Messaggero 2009-07 Lug-Set

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I sacramenti: la Cresima 60 anni dalla Madonna pellegrina Dieci minuti per te Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare Luglio Settembre 2009 Rivista trimestrale - anno 99 7

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Trimestrale di formazione e spiritualità francescana

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I sacramenti: la Cresima

60 anni dalla Madonna pellegrina

Dieci minuti per te

Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare

LuglioSettembre2 0 0 9

Rivista trimestrale - anno 99

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io MESSAGGERORivista di cultura ed informazione religiosa fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccinidella Svizzera Italiana - Lugano

Comitato di Redazionefra Callisto Caldelari (dir. responsabile)fra Ugo Orellifra Edy Rossi-Pedruzzifra Michele RavettaClaudio Cerfoglia (segretariato)E-Mail [email protected]

Hanno collaborato a questo numero Mario Corti fra Agostino Del-PietroGino DriussiAlberto LeporiFernando Leporifra Boris Mutherfra Riccardo Quadrifra Andrea Schnöllerdon Sandro Vitalini

Redazione e AmministrazioneConvento dei CappucciniSalita dei Frati 4CH - 6900 LuganoTel +41 (91) 922.60.32Fax +41 (91) 922.60.37

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Abbonamenti 2009Per la Svizzera:ordinario CHF 30.-sostenitore da CHF 50.-CCP 65-901-8

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Copertinafra Roberto, tempera su tavola 1965

Fotolito, stampa e spedizioneRPrint - Locarno

Intervista a don Sandro Vitalini 4Il sacramento della Cresima 6Cristiani maggiorenni 9Sessantesimo anniversario della 12Madonna Pellegrinafra Callisto Caldelari

Madonna Pellegrina in Piazza Grande 14fra Agostino Del-Pietro

Fra Boris e fra Eraldo sacerdoti per sempre 15fra Boris Muther

La sfida della povertà evangelica 16fra Riccardo Quadri

La donna e San Francesco 18Mario Corti

Le tre donne di San Francesco 19Le pagine dell’OFS 20Spiritualità in cammino 22fra Andrea Schnöller

Appunti di vita ecclesiale 24Alberto Lepori

La visione ecumenica 26del patriarca BartolomeoGino Diussi

Biblioteca Salita dei Frati 30Fernando Lepori

Abbiamo letto... abbiamo visto… 32

Note importanti

Compilando la polizza per l’abbonamento non mancate di riportarel’esatto nominativo al quale la rivista è stata spedita. Indicate anche per favore l’indirizzo di spedizione.

Per semplicità organizzativa la polizza di versamento é statainserita in tutte le copie di questo numero.

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Eccoci al terzo numero sui sacramenti che affronta uno dei meno cono-sciuti e forse anche uno dei meno stimati: la Confermazione. Dovrebbeessere il “sacramento dell’impegno”, per troppi adolescenti è invece

il “sacramento del disimpegno”. Fatta la Cresima, abbandonano la pratica religiosa. Sappiamo che le nostre pagine dedicate a questi segni sacri sono apprezzate,perché permettono una preparazione ed un approfondimento per chi li riceve,a condizione che – se fanciulli ed adolescenti – in questa preparazione siano ac-compagnati, non solo dai catechisti, ma anche dai genitori. Oggi per la Cresimacrediamo veramente che sia un sogno quello di pensare ad una famiglia che ilgiorno prima si ritrova per discutere sul sacramento che un loro figlio sta per ri-cevere, e pregare che sia “Inondato e rafforzato“ dallo Spirito Santo, con van-taggi spirituali per tutto il nucleo familiare. Ma sognare non è proibito ed anchei sogni, se sono preparati, risultano più belli. In questo numero che esce nel mese in cui si celebra la festa liturgica di San Fran-cesco d’Assisi dedichiamo alcune pagine al nostro fondatore: ci accorgiamosempre più che questo santo viene amato anche da chi è lontano dalla Chiesa.Viene trattato, oltre ad un tema fondamentale della sua spiritualità evangelica,la povertà, anche un tema meno conosciuto: “Francesco e le donne”.I sessant’anni della Madonna Pellegrina vengono ricordati, con un articolo di P.Callisto, allora “fratino” a Faido, mentre una pagina è dedicata al pellegrinaggiodel 6 settembre scorso.Non mancano pagine di “Vita nostra”: l’ordinazione di due sacerdoti cappuc-cini e il ricordo di un fratello dell’Ordine Francescano Secolare, Bruno Raggenbass. Come in ogni numero ci sono preziosi apporti sulla vita della Chiesa in casa no-stra e sull’ecumenismo, opera di due preziosi collaboratori: Alberto Lepori eGino Driussi.Il Messaggero continua così il suo cammino di formazione ed informazione cer-cando sempre nuovi lettori ai quali consegnare i suoi messaggi cristiani e fran-cescani. Ci siamo proposti di raggiungere 2000 abbonati entro il 2009, il che cipermetterebbe di uscire con un deficit finanziario più modesto, ora invece siamosolo a 1150. Preghiamo caldamente i nostri lettori di trovare nuovi abbonati. Così facendonon solo aiuteranno una rivista cattolica che punta ai 100 anni di vita ma col-laboreranno a spargere il seme della buona novella (= Vangelo).

la redazione

Lettera della Redazione

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Continua la preziosa collaborazione con il prof. don San-dro Vitalini al quale, sulla Cresima, abbiamo posto questedomande.

1. La Cresima è un sacramento poco conosciutoed anche di difficile comprensione. E’ d’accordocon questa opinione?

Bisogna precisare che i Sacramenti non sono sette oggettida estrarre da sette cassetti. Il Sacramento è Cristo, chenella sua umanità ci comunica la sua vita divina, che èl’amore infinito. Gesù “tocca” ogni uomo con la sua luce,e la maggior parte degli uomini è immersa in Lui solo daquel “Battesimo di desiderio implicito” che inonda ogniuomo che opera con onestà e giustizia (Giovanni 3, 21). IlBattesimo sacramentale ci fa esplicitamente membra del Fi-glio di Dio, che ci nutre della sua parola, della sua personanell’Eucaristia. La sacramentalità cristiana è essenzialmentemissionaria: si prolunga il mistero dell’incarnazione di Gesùper divinizzare l’universo (Matteo 28, 19-20). Nell’antichitàsi enumeravano anche solo due sacramenti o anche venti-quattro (come la lavanda dei piedi, il sacramento dei ca-nonici o la benedizione delle badesse). La Cresima vapertanto vista nell’orbita del Battesimo. Nell’antichità (eanche oggi nella Chiesa orientale) è celebrata nel momentodel Battesimo e sottolinea con l’unzione il dono dello Spi-rito d’amore che invia il cristiano a evangelizzare il mondo.

2. Come si potrebbe definire la Cresima?

La Cresima fa fiorire il Battesimo rendendoci “cristi”, “unti” delSignore, per annunziare al mondo l’avvento dei tempi messia-nici. Quanto dice di sé Gesù a Nazaret (Luca 4, 18-19) va ri-petuto da ogni cresimato: “Sono consacrato dallo Spirito perportare una concreta speranza ai poveri del mondo, per liberaregli oppressi, per aiutare i ciechi a vedere e i debitori a rimettersiin sesto: questo è l’anno giubilare, che non termina mai!”.Si nota allora come la preparazione all’unzione, che dal V se-colo in Occidente è staccata dal Battesimo, debba essere nonteorica, ma pratica. Idealmente ogni candidato dovrebbe sce-gliere un padrino che lo porti a visitare anziani e malati, che loinizi ad attività di volontariato, perché capisca che il cristiane-simo è bello se vissuto nel servizio degli altri. Noi incontriamoCristo non nelle teorie, ma nel servizio di chi ha fame e sete,di chi è povero, disoccupato, straniero, carcerato, disperato. Ilpadrino che porta all’altare il cresimando dovrebbe attestareche questi si è specializzato nel visitare malati o anziani o nelfar giocare i piccoli all’oratorio o nell’inviare aiuti ai missionario nel servire i poveri (le Conferenze di San Vincenzo non sonomonopolio degli anziani!).

3. Si dice che tutti i sacramenti sono stati istituiti daGesù Cristo, ma c’è traccia dell’istituzione della Cre-sima nei Vangeli?

Nel Battesimo la crismazione sottolinea il fatto che il neofitadiventa Cristo, l’unto, l’inviato dal Padre a rendere il mondomeno deserto e più giardino. Dagli Atti degli Apostoli ap-prendiamo che i battezzati samaritani (visti dagli ebrei comedei maledetti) ricevono dagli Apostoli lo Spirito Santo (8,15-17). Il dono dello Spirito è visibile e a volte precede il Bat-tesimo (Atti 10, 44-46). Anche oggi il battezzato cresimatovisibilizza lo Spirito in opere di servizio concreto al pros-simo. Se non c’è alcuna visibilizzazione, non c’è alcun sa-cramento, ma solo un teatrino insignificante.Sarebbe bello se il termine “istituiti da Gesù” si attualizzasseoggi. Ci rendiamo conto che in questo gesto “passa” Gesùdal momento in cui il suo Spirito inonda i nostri cuori (Ro-mani 5, 5) e li fa fruttificare nell’amore, nella pace, nella gioia(Galati 5, 22).“Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”: cosìdovrebbe esclamare ogni cresimato, che abbraccia con en-tusiasmo il suo battesimo, il quale è destinato ad approfon-dirsi (bapto = immergersi) per tutta l’eternità (Galati 2, 20).

4. Nei primi tempi del cristianesimo, quando si bat-tezzavano gli adulti, si amministravano contempo-raneamente i tre sacramenti dell’iniziazione cris-tiana, dopo lunga preparazione. Non era forse unaprassi migliore dell’attuale?

L’antica prassi di battezzare, cresimare e nutrire dell’Euca-ristia i catecumeni (adulti, ma anche i loro bambini) si con-serva in Oriente. Oggettivamente il vantaggio è quello dievidenziare la comunione con il Cristo risorto, che mandai cristiani ad evangelizzare il mondo. Così si procede anchein Occidente per i catecumeni adulti.E per i bambini? In Oriente si cerca di rammentare loro ciòche hanno ricevuto perché lo vivano. In Occidente la Cre-sima è separata perché il singolo prenda coscienza del suoBattesimo. Nei due casi si vede come la crescita nella fedeva assicurata dalla famiglia e dalla parrocchia. I problemiche abbiamo in Occidente esistono anche in Oriente, e cre-scono là dove la famiglia non vive più quei valori di oblati-vità e di preghiera che plasmano progressivamente ilcristiano. Il problema fondamentale resta quello dell’ac-compagnamento. Si può dire che un cristiano è davverocresimato se porta nella sua vita uno spirito di servizio e didedizione che mostra in lui una vitalità e una gioia che ven-gono da Dio (Filippesi 4, 4).

Intervista a don Sandro Vitalini

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5. Lo Spirito Santo è per la maggior parte dei cri-stiani il “Grande sconosciuto”. Eppure lo riceviamonel Battesimo e nella Cresima. Ritiene importanteuna migliore formazione sullo Spirito Santo?

Il Padre e il Figlio non sono meno sconosciuti dello Spi-rito. Noi conosciamo le divine Persone se operiamo inconformità alla loro natura che è amore. E’ essenzialeche si capisca che si conosce Dio nella misura in cui siama il prossimo (1Giovanni 5, 20-21). Il vertice, l’es-senza di tutta la rivelazione divina sta nell’amare il pros-

simo come sé stessi (Romani 13, 9; Galati 5, 14). Peruna conoscenza di Dio che non sia ammantata di su-perstizione o di paganesimo, dobbiamo aiutare ogniuomo a vincere l’egoismo istintivo per diventare, nel sa-crificio e nella gioia, altruista. La vera divisione tra gli uo-mini non si ha tra atei e credenti, ma tra egoisti ealtruisti. L’egoismo uccide, l’altruismo vivifica. Anche chinon crede, se fa dono della sua vita al prossimo, lasciascorrere in lui l’amore trinitario. La consegna di Agostinovale per ogni uomo: “Ama et quod vis fac” e cioè “Amae poi fa ciò che vuoi!”.

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Il sacramento della Cresima

Per presentare la Cresima come abbiamo fatto per il Batte-simo esponiamo i vari momenti del rito. La Cresima nor-malmente viene celebrata durante una funzione Eucaristica.Prima vi è la “Liturgia della Parola”, poi l’omelia e in seguitoil credo. Terminato questo momento il parroco, o un cate-chista da lui delegato, chiama ad uno ad uno i Cresimandiche rispondono: “Eccomi”, un’antica parola biblica che si-gnifica: “Sono pronto a ricevere questo sacramento ed adassumerne gli impegni”. Segue la riconferma del Battesimo.Nella mia Comunità una solenne riconferma per i Cresi-mandi viene fatta la notte di Pasqua, prima dell’ammini-strazione della Cresima. In quell’occasione i giovanipreparano ognuno un loro credo. Preparare un Credo, sianella notte pasquale, come nella celebrazione della Cresima,dovrebbe essere una sfida ad esprimere pubblicamente lapropria fede con parole loro. È una testimonianza forte chenormalmente commuove la Comunità; molti adulti nonpensano che dei giovani siano capaci di fare le cose così se-riamente. Segue l’imposizione delle mani. Antichissimogesto che già nella Chiesa primitiva veniva fatto soprattuttonell’ordinazione dei presbiteri, dove ancora viene osservato.Il rito esiste, anche se non è sottolineato nell’Eucarestia, ilsacerdote impone le mani sul pane e sul vino invocandoche lo Spirito di Dio trasformi quel pane e quel vino nelcorpo e sangue di Cristo.Che senso ha l’imposizione delle mani nella Cresima? Hadiversi significati. Prima di tutto vuol invocare lo Spirito di

Dio su quei cristiani che si impegnano a vivere, difendere,diffondere la propria fede. Inoltre è un segno di apparte-nenza, come se Dio attraverso il suo Spirito dicesse: “Tu seimio, e impongo su di te la mia mano per proteggerti, inquanto ti ho scelto per andare ad annunciare al mondo ilvangelo di Cristo e le opere dello Spirito”. Questa imposi-zione avviene mentre tutta l’assemblea si raccoglie in pro-fondo silenzio ed in preghiera per i Cresimandi. È unmomento che se è vissuto bene diventa anche commo-vente, spiegandolo ai genitori, padrini e madrine, affinchédurante l’imposizione delle mani si raccolgono in un pro-fondo raccoglimento per accompagnare la discesa dello Spi-rito sui loro figli e figliocci.

L’unzione con il crisma

Il Cresimando si accosta al Celebrante accompagnato dalpadrino o madrina, o meglio ancora da tutta la famiglia, inmodo che i parenti più stretti, genitori, fratelli, sorelle, sianovicini nel momento della Crismazione. Il giovane viene untocon il Crisma, mentre il celebrante dice le parole “Ricevi ilsigillo dello Spirito Santo che ti è stato dato in dono”. Per-ché il sigillo? Questa parola indica autenticità, indica diritto,indica capacità di essere riconosciuto. La Cresima è l’au-tentico riconoscimento di essere cristiani, è il diritto di viveree di propagandare la propria fede. Il Cresimato viene untocon un olio che contiene del balsamo, cioè delle resine odo-rose. L’olio è sempre stato considerato come un medicinale,un elemento che dà forza. Anche gli antichi lottatori si spal-

Il sacramento della Cresima

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mavano le membra diolio per poter essere piùpronti a combattere laloro battaglia. Il Cresi-mando deve essere ununto di Cristo, cioè uncombattente di Cristo. Ilbalsamo che forma ilCrisma, parola che ri-chiama il nome di Cri-sto, che vuol direappunto “unto”, lasciaun odore gradevole; èl’odore della spiritualitàche deve animare tuttala vita del Cresimato.Questo gesto deve es-sere spiegato profondamente ai giovani affinché vi parteci-pino con le risposte: quando rispondono “amen”,affermano la loro volontà di vivere il sacramento della Cre-sima, che diventa per loro un serio impegno di vita cristiana.

Il padrino o la madrina

Il Cresimato non è solo ma come abbiamo detto viene ac-compagnato da un padrino o da una madrina, o meglio an-cora da tutta la sua famiglia. Chi è designato come padrinodeve essere un cristiano esemplare. Ecco perché il Dirittocanonico mette dei limiti all’ufficio del padrino per coloroche non possono testimoniare con sincerità la loro pienaadesione a Cristo e alla Chiesa. Non si tratta di esclusione,ma di coerenza. Il padrino, o la madrina, si pone dietro ilCresimando e mette la mano sulla sua spalla. Gli altri for-mano un cerchio attorno a lui. Un cerchio di sostegno, di di-fesa per dirgli: “Guarda che siamo con te, non soltanto inquesto momento, ma per tutta la tua vita, per sostenertinegli impegni che ti stai assumendo”. Ecco perché padrinoe madrina non possono essere delle persone troppo giovaniche vivono lontano dal Cresimato, e quindi non possonoesercitare il loro ufficio, o persone che vengono scelte sol-tanto per parentela, o peggio ancora amiche o rispettiva-mente per le ragazze, amici, che al momento si conosconoe si frequentano, con un’alta probabilità che poi si perdano.L’ufficio del padrino e della madrina domanda una seria pre-parazione e quando si celebra una Cresima nessun parrocodovrebbe esimersi di fare una o più riunioni con i genitori,con i padrini e le madrine dei Cresimandi. Tutta la Comunità deve partecipare a questo rito: il Cresi-mando che è già entrato con il Battesimo, che ha vissuto ericevuto nella stessa i Sacramenti dell’iniziazione cristiana,

sa che la Comunità pre-sente lo accoglie comeadulto, ed egli stessodeve promettere di di-ventare un membro at-tivo, occupando unodei ruoli che la Comu-nità gli mette a disposi-zione e che sia corris-pondente alle sue capa-cità e alle sue doti. Eccoperché è bene che laComunità festeggi isuoi Cresimandi.

Il segno della pace

Terminata l’unzione il celebrante abbraccia il Cresimato. Do-vrebbe essere un abbraccio significativo, forte, non appenaaccennato. Perché sta ad indicare un’accoglienza nell’am-bito della Chiesa locale di un nuovo cristiano adulto e im-pegnato. Anticamente, per noi ora adulti, c’era il rito chepiù qualificava la Cresima: il Vescovo dava un buffetto ouno schiaffetto sulle guance del Cresimato (vedi foto pag.6).Molti sono stati i tentativi di spiegazione di questo gesto,segno evidente che è difficile trovare una spiegazione va-lida. Poi la celebrazione continua con i vari riti che ne sonopropri. Alle preghiere dei fedeli è bene che i Cresimandi par-tecipino attivamente. All’offertorio dovrebbero portare l’offerta sull’altare, ma conil pane ed il vino è bene che portino qualche cosa a lorocaro, un oggetto, una busta con delle elemosine che ven-gono destinata per uno scopo preciso da loro scelto, co-municato a tutta la Comunità, affinché l’offerta di quelgiorno vada a vantaggio di coloro che sono poveri, ai qualila si invierà dicendo: “ll giorno della Cresima in Parrocchiaci siamo ricordati di voi”. Segue l’Eucarestia con la Comu-nione, ricevuta con particolare senso di devozione e sottoambedue le specie. Il segno della pace viene poi ripetutodurante la celebrazione Eucaristica. Ed è li che i Cresimandidovrebbero spargersi in tutta la Chiesa e in un tempo nontroppo lungo offrire la pace a diverse persone. È frutto delloSpirito che hanno ricevuto, il ripetere delle parole e del gestodi Cristo: “Vi dò la mia pace”. Alla fine della Messa è importante che i Cresimandi ringra-zino la Comunità e il Celebrante e, se non c’è il Vescovo,mandino un saluto allo stesso per mezzo del suo delegato.Sarebbe altrettanto importante che ogni Cresimando, nu-mero permettendo, annunci quale impegno vorrebbe assu-mersi nell’interno della Comunità.

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Terminata la celebrazione è bene che sia offerto un piccolorinfresco a tutta la Comunità e che i Cresimandi si ritrovinocon i loro parenti più stretti, padrini e madrine, il celebrante,i sacerdoti della parrocchia e i catechisti a cena insieme. Nonha senso sciamare per i ristoranti del paese a fare delle ceneparticolari: la Mensa Eucaristica deve continuare nella mensafamigliare. Ed in quell’occasione la festa può diventare anchevivace secondo l’età e le esigenze dei giovani che hanno ri-cevuto il Sacramento. Tutto questo evidentemente presuppone che la Cresima siadata ad una età in cui i giovani possono comprendere edimpegnarsi. Dare la Cresima ad una età troppo giovane vuoldire affidare il tutto alla grazia di Dio e allo Spirito Santo. Masia la grazia come lo Spirito non agiscono se non c’è di-sponibilità. Ricordo che in una Veglia tenuta la sera primadella Cresima un giovane, quasi per scherzo, mi domandò:“Domani quanto Spirito Santo riceviamo?” Stava piovendoa dirotto ed io ebbi questa intuizione, dicendo a tutti i Cre-simandi presenti: “Vedete, piove a catinelle, ognuno di voipensi di avere un recipiente in mano. Tu, per esempio, cherecipiente vorresti avere?”. Uno mi rispose, una bottiglia,un altro un catino, un altro un bicchiere, e così via. Dissiloro: “Immaginate di portare i vostri recipienti fuori sul piaz-zale della Chiesa, domani mattina quale recipiente conterràpiù acqua? La risposta fu evidente: quello che aveva l’aper-tura più larga. “Ebbene chi di voi avrà il cuore più ampia-

mente allargato riceverà maggiormente lo Spirito di Dio”.Attualmente nella nostra Diocesi la Cresima viene ammi-nistrata quasi sempre durante la scuola media. Una riformalegislativa dice che non si può amministrare prima, ma nondice che non la si possa fare dopo. Nella mia Comunitàviene amministrata verso i diciotto anni, perché a sedicianni la Costituzione Svizzera permette ai giovani di sce-gliere la propria religione ed è proprio da lì che bisogna par-tire per una scelta personale. Una conferma del loroBattesimo che, come ho detto, viene fatta durante la VegliaPasquale e ripetuta secondo il rito durante la celebrazionedella Cresima.Non è la panacea per tutti i mali: purtroppo devo consta-tare che molti giovani specialmente di nazionalità diversadalla nostra, pur appartenenti alla mia Comunità, vanno aricercare il sacramento della Cresima in Comunità vicineper poterla fare il prima possibile, circondati da mille pa-renti che arrivano per festeggiare l’entrata nella gioventù delloro ragazzo. La Cresima diventa un’occasione per un ri-trovo delle famiglie, e questo è bello, basta che non soffo-chi il senso del Sacramento. A mio modo di vedere laCresima dovrebbe essere l’impegno per una vita cristianaadulta e responsabile, attiva ed impegnata. Avendo portatola Cresima più tardi, nella mia parrocchia, è diminuito il nu-mero dei Cresimandi ma è aumentata la qualità. E alcuni diloro rimangono veramente attivi all’interno della parrocchia.

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Prendiamo spunto da una pagina del libro Il tempo del-l’esilio di Giovanni Kirschner per esporre un effetto delsacramento della Cresima, quella di rendere i laici cri-

stiani maggiorenni.

La crisi della chiesa, in particolare per quanto riguarda la di-minuzione dei preti, ci obbliga a ripensare la distinzione traclero e laici, che nella nostra tradizione europea ha fattoper secoli dei preti il centro unico e insostituibile della vitareligiosa. Ora che di preti ce ne sono sempre meno, siamostimolati a rivalutare l’importanza dei laici. Cominciamo adaccorgerci che non sempre c’è bisogno del prete per in-contrare Dio, non è necessario che ci sia sempre un mini-stro ordinato che ci prende per mano e ci accompagna dalui, ma possiamo andarci anche da soli.Il battesimo e la cresima non sono solo due feste remoteche ci hanno lasciato qualche foto per ricordarci com’era-vamo da piccoli. In questi due sacramenti abbiamo rice-vuto la vita di Cristo, il suo Spirito che rimane in noi e cimette in grado di pensare, amare e agire come lui. Sonoquesti sacramenti che ci hanno dato la dignità di cristiani,che ci hanno resi figli capaci di parlare a tu per tu con Dio.

E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricaderenella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottiviper mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”. Lo Spiritostesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio (Rm8,15-16).

Un figlio non ha bisogno di farsi accompagnare per parlarecon suo padre, non ha bisogno d’intermediari.Il dono dello Spirito Santo mette in grado ogni credente diascoltare la parola di Dio e di comprendere la sua volontà.Questo non significa mettere i laici contro i preti, rivendi-cando una loro indipendenza dal clero. Lo Spirito di Dionon può che condurci alla comunione nella chiesa, maifuori o contro di essa. Ma è importante smontare quelsenso d’inferiorità che spesso condiziona ancora i laici percui sembra loro di non potere leggere e comprendere la pa-rola di Dio anche da soli, senza l’assistenza di un ministroordinato. In un mondo in cui i cristiani sono in minoranza,spesso dispersi in mezzo a tante persone indifferenti allafede, è necessario che essi possano imparare a stare in piedida soli, a trovare modalità per tener viva la fede, per nutriregiorno per giorno la propria relazione con Dio anche in as-senza dei preti o delle attività organizzate di una comunitàcristiana.In questo senso la fede del futuro rischia di giocarsi moltodi più tra le mura domestiche che non tra quelle dellechiese. È sempre più necessario inventare o riscoprire i modi

per pregare e ascoltare la Parola nelle case, in famiglia, colproprio sposo e coi propri figli. Anche se a livello di comu-nità ecclesiale potranno esserci meno momenti organizzatiin cui vivere e celebrare la propria fede, essa vivrà se sa-premo inserirla dentro i tempi ordinari delle nostre giornate.Questo richiede la convinzione di essere cristiani maggio-renni ai quali lo Spirito ha già donato una sensibilità parti-colarità per la parola di Dio, un’affinità con la vita di Gesùche ci rende capaci di riconoscere la sua volontà dentro levicende della nostra vita. Non abbiamo sempre bisogno dimaestri, di qualcuno che ci insegni, perché la parola di Diopossiamo ascoltarla, capirla e viverla anche da soli: magarinon tutta, magari non sempre, ma almeno qualcosa, al-meno una pagina, questo sì.Sta proprio nell’ascolto della Parola il passaggio obbligatoper arrivare a questa fede maggiorenne che lo Spirito Santoha seminato in noi. Mentre i sacramenti si celebrano nellacomunità ecclesiale e richiedono la presenza del sacerdote,l’ascolto della Parola si può vivere anche da soli, in famiglia,in piccoli gruppi. È trovando il coraggio di mettersi davantialla Parola che il cristiano si rende conto di essere in gradodi stare a tu per tu con Dio, di comprendere almeno qual-cosa di quel che lui vuole comunicarci. Il cristiano si rendeconto che quell’operazione inesauribile di ascoltare la Pa-rola e rileggerla dentro la propria storia e dentro la propriavita ognuno deve compierla per sé e nessun altro può farlaal posto suo. Nella fedeltà dell’ascolto della Parola, il cri-stiano si accorge che va imparando il linguaggio di Dio, cheil modo di pensare e di agire di Cristo gli diventa familiaree comincia a comprendere un po’ di più il mistero della suapersona. Lo Spirito compie in lui la nuova alleanza: quelDio non è più un Dio generico o estraneo, è il mio Dio, ilDio che giorno dopo giorno imparo a conoscere.Ovviamente in tutto questo c’è da rispettare un equilibriodelicato. Già Pietro lo ricordava ai primi cristiani:

Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va sog-getta a privata spiegazione, poiché non da volontà umanafu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo par-larono quegli uomini da parte di Dio (1 Pt 1,20-21).

Ogni cristiano che ascolta la parola di Dio sa che nonl’ascolta per conto proprio ma sempre dentro alla comu-nità, anche se in quel momento si trova da solo o con isuoi familiari. La spiegazione a cui io posso giungere per-sonalmente grazie al dono dello Spirito che abita in me nonpuò mai andar contro quella chiesa che mi ha trasmessoquesto stesso Spirito, così come mi ha messo in mano illibro delle Scritture. La parola di Dio chiede di essere ascol-tata anche personalmente non tanto per porsi in concor-

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renza con la predicazione ufficiale svolta nelle chiese,quanto perché ciascuno è chiamato a riportare quella pre-dicazione alla propria particolare situazione di vita, alla pro-pria famiglia, al proprio luogo di lavoro. È solo grazie aquesta operazione che la Parola viene realmente assimilata,che Dio diventa il mio Dio. Solo in questo modo mi ap-proprio realmente della Parola, così che essa può davveroradicarsi nel mio cuore, nella mia persona. Quando giungoa tanto, nessuno può più strapparla da me, perché non èpiù qualcosa di aggiunto da fuori, ma fa ormai parte dellamia esistenza.Ogni madre che insegna a camminare al proprio figlio devea un certo punto lasciarlo andare da solo, anche se questocomporta il rischio di qualche caduta. Il bambino non potràimparare a camminare da solo se lei continua a trattenerloa sé. Un po’ alla volta il figlio imparerà ad andare sempre piùlontano, in luoghi che la madre non potrà più controllare dipersona. Ma ella confida che nell’educazione che ha cer-

cato di dargli ci sono le indicazioni sufficienti per orientarlonella vita. Per fargli evitare quei luoghi dove potrebbe rice-vere del male e indirizzarlo verso quelli dove può trovaredel bene. Così la madre chiesa non può trattenere semprea sé i suoi figli, come se non sapessero camminare da soliverso l’incontro con Dio. Certo, lasciarli andare da soli puòcomportare il rischio di qualche sbandata. Ma lei confidache la formazione che ha dato e continua a dare loro, unitaal dono dello Spirito di Cristo ricevuto nei sacramenti, sianosufficienti per difenderli dal compiere errori irreparabili.Il tempo che viviamo chiede ai cristiani che sappiano stareanche da soli di fronte a Dio. Ben venga la comunità ec-clesiale, ben venga la guida dei nostri pastori. Ma oggi inmolti luoghi e in molti momenti della nostra vita essi nonriescono a essere presenti. Ci siamo solo noi. Ma non siamosoli: lo Spirito di Cristo datoci nel Battesimo e nella Cre-sima e che perciò dimora in noi ci rende capaci di ricono-scere ovunque la voce e la volontà del Padre.

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“Altissimu, onnipotente bon Signore,

Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,

et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,

spetialmente messor lo frate Sole,

lo qual è iorno, et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:

de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si', mi Siignore, per sora Luna e le stelle:

il celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si', mi' Signore, per frate Vento

et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,

per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua.

la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi Signore, per frate Focu,

per lo quale ennallumini la nocte:

ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra,

la quale ne sustenta et governa,

et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.

Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore

et sostengono infermitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,

ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,

da la quale nullu homo vivente pò skappare:

guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;

beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,

ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate

e serviateli cum grande humilitate.

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Im iei ricordi sulla Madonna pellegrina riguardano tre mo-menti. Uno vissuto in modo indiretto e due ai quali hopartecipato personalmente. Come tutti sanno, l’avveni-

mento diocesano avvenne nella primavera del 1949. Io al-lora ero chierico seminarista, presso il Seminario Seraficodi Faido, cioè uno di quei “fratini” che si preparavano a di-ventare Cappuccini, e in quanto tali custodi del Santuariodella Madonna del Sasso. Il mio primo ricordo riguarda lapartenza dell’effigie da Orselina per Morbio Inferiore. Ec-cezionalmente i superiori dal seminario ci portarono in con-vento per ascoltare la Radio della Svizzera Italiana che alle18.30 trasmetteva in diretta la funzione della partenza dellaMadonna del Sasso. Ricordo che fu un momento moltocommovente per noi e per tutti i frati presenti, perché erala prima volta che l’effigie della Madonna lasciava Locarnoper iniziare un lungo viaggio in tutto il Ticino. Il cronista di-ceva che attorno alle strade che scendevano verso la cittàsi era accalcata molta gente, parecchie ciglia si inumidi-vano. Per radio si sentivano le campane della città che sa-lutavano la Madonna Pellegrina. Evidentemente frati efratini aspettavano il giorno in cui l’effigie sarebbe arrivataa Faido. Noi allora non pensavamo che avremmo incon-trato la statua della Madonna del Sasso in occasione delConvegno della Fanciullezza che si sarebbe tenuto a Bel-linzona il Lunedì di Pentecoste. Qualche giorno prima diquel 6 giugno il nostro direttore Padre Agatangelo ci avvertìche avremmo partecipato a detto Convegno. La gioia ditutti fu grande perché finalmente avremmo potuto vedere

la Madonna Pellegrina di cui tanto si parlava. La mia gioiaera più grande ancora, perché sarei ritornato per qualchemomento in famiglia fra i miei genitori, fratello e sorelle. Lamattina di quel 6 giugno partimmo con il treno da Faido.Arrivati alla stazione di Bellinzona ci dirigemmo diretta-mente al campo militare dove era stato allestito l’altare perla celebrazione della Santa Messa. Noi fratini eravamo inprima fila, proprio vicino all’altare, quando arrivò il Vescovo.Ricordo che venne a salutarci con un largo sorriso, tipico dimonsignor Angelo Jelmini, che quel giorno doveva esserecontento perché attorno all’altare vi erano migliaia di fan-ciulli. Molti appartenevano ai gruppi dell’Azione cattolica,aspiranti, crociatini; molti gli scout con le loro divise; i tar-cisiani (una specie di chierichetti di Stabio) avevano l’onoredi fare da accoliti. Il Vescovo celebrò l’Eucarestia attorniatoda alcuni sacerdoti, fra i quali un indaffaratissimo don Al-fredo Leber che era l’anima della Pellegrinatio Mariae. Dopola celebrazione Eucaristica i miei compagni andarono alconvento del Sacro Cuore, mentre a me e all’attuale fra Ro-berto, pure di Bellinzona, fu permesso di pranzare in fami-glia. Tutti ci ritrovammo alle 14 allo stesso posto sul campomilitare per accogliere l’effigie della Madonna Pellegrina.Quando arrivò ci fu un momento intenso di commozione,mentre ogni fanciullo aveva con sé un palloncino che salìverso il cielo formando una specie di nuvola in una gior-nata primaverile tersissima. Il Vescovo, dopo alcune pre-ghiere, parlò a tutta la fanciullezza e ricordo molto bene lapredica che fece perché era estremamente adatta ai piccoli

ascoltatori. Narrò la bella leggenda del cavaliereche volle offrire la sua spada alla Madonna suun cuscino di fiori, ma i fiori avvizzirono perchéil cuore del cavaliere non era libero dal peccatoe la Madonna gli disse che il dono della spadadoveva essere accompagnato da quello benmaggiore di un cuore in grazia. Finita la predicasi ordinò un grande corteo che, passando per levie della città, raggiunse il piazzale della sta-zione. Vedendo anni dopo le fotografie di quelcorteo posso assicurare che il numero di dieci-mila fanciulli ticinesi non è stata una esagera-zione giornalistica. Arrivata la vettura su quelpiazzale ci fu un momento di congedo moltovissuto. La sera ritornammo a Faido sapendo chenon mancava troppo al giorno in cui la Ma-donna Pellegrina avrebbe visitato il capoluogoleventinese; sarebbe giunta in convento, anzi,nell’aula maggiore del nostro Seminario Serafico. Quel giorno fu il 24 giugno. Accogliemmo lastatua davanti al convento dove si era radunatatutta la popolazione di Faido per accompagnarlaLa Madonna Pellegrina tra i fratini: la portano fra Callisto e fra Roberto

Sessantesimo anniversario della Madonna Pellegrina

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verso la prepositurale di Sant’Andrea. Ricordo che fu postasotto il tempietto dell’altare maggiore tra molte luci e fiori.Un altare bellissimo che fece onore ai faidesi che l’avevanopreparato con molta attenzione. Il giorno dopo, nel pome-riggio, la Vergine arrivò anche in convento dopo aver visi-tato l’ospedale distrettuale. Si fermò per un momento inchiesa dove il padre guardiano, Giuliano da Vira Gambaro-gno, aveva preparato un altare che per lui era il più bello ditutto il Cantone, opinione non condivisa da tutti gli altri.Padre Giuliano era una specie di artista che preparava lecose con cura, ma non sempre gli riuscivano bene. Poi laVergine fu portata nell’aula scolastica del Seminario, a noiparlò il missionario di turno, padre Gabriele, e ci esortò aprepararci bene per essere, in un domani, i custodi del San-tuario. Nessuno avrebbe immaginato che il sottoscrittotrent’anni dopo sarebbe stato a Locarno ed avrebbe orga-nizzato un’altra presenza della Madonna del Sasso nellevarie parrocchie del Ticino in preparazione del quinto cen-tenario della fondazione del Santuario. Interessante è la cro-naca che il Giornale del Popolo fece sulla visita al nostroSeminario. La ritrovai quando, sempre in occasione delquinto centenario, preparai un libro sulla grande visita dellaMadonna Pellegrina unendo i vari articoli che mons. Lebere don Maestri pubblicarono sul quotidiano cattolico. Eccocosa scrissero in merito alla presenza della Madonna tra i“fratini”: “E prima di tornare alla prepositurale per la fun-zione d’addio non poteva mancare la visita al SeminarioSerafico, dove sono educati nello spirito di S. Francesco i

giovanetti che aspirano alla vita religiosa nell’Ordine deiMinori Cappuccini. Il Seminario Serafico oggi è un istitutoche può essere citato come modello. L’ambiente è bello esereno. Le aule scolastiche sono dotate di ogni più modernaattrezzatura. E i “fratini”, sotto l’occhio buono e amorevoledell’angelico Fra Angelico, vivono veramente come in unafamiglia. Immaginate quale festa hanno fatto i bravi “fra-tini” alla dolce Madonna del Sasso, a quella Madonna che,diventati “frati”, se l’obbedienza li destinerà a Locarno, saràaffidata alla loro premurosa, affettuosa custodia. E imma-ginate anche con quanta dolcezza la Madonna del Sassopellegrina ha guardato ai piccoli “fratini” che le si stringe-vano attorno come buoni figlioli attorno alla mamma”. Allasera ritornammo in parrocchia per il saluto. Tutti i faidesi sistaccarono dalla statua della Madonna del Sasso con rico-noscenza, avendo passato una giornata spiritualmentericca. Purtroppo la visita della Madonna Pellegrina per noi semi-naristi non ebbe più seguito; malgrado le nostre insistenzenon ci fu permesso di andare a Locarno per il Congressodiocesano di chiusura, con la scusa che avevamo già par-tecipato a Bellinzona al Convegno della gioventù. Malgradoquesto dispiacere, dopo 60 anni, ricordo con immensa gioiai momenti della grande visita a cui ho partecipato e che haaumentato in me la devozione alla Madonna del Sasso nellacui chiesa fui portato ancora in fasce.

fra Callisto Caldelari

P. Alberto, l’unico missionario vivente della Madonna Pellegrina

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Madonna Pellegrina in Piazza Grande

Nella diocesi di Lugano la GrandeVisita della Madonna Pellegrinadell’anno 1949 fu uno degli

eventi religiosi più incisivi del secoloscorso. Dal 3 marzo al 3 luglio di quel-l’anno l’effigie della Beata VergineMaria, venerata da quasi cinque secolisul Sasso sopra Locarno, visitò tuttele parrocchie della diocesi. Ovunquefu accolta con grande solennità e vi-vissima devozione. Trasportata consommo decoro, trovava di paese inpaese accoglienza entusiastica in sug-gestive cornici coreografiche. La suavisita riscaldava gli animi, suscitava

commozione, muoveva alla conver-sione. A sessant’anni da quello sto-rico evento, nella nostra diocesi cisono ancora molti fedeli che l’hannovissuto personalmente e che ne ser-bano un grato ricordo.Come far si che nel 2009 questi ricordipotessero essere riaccesi in coloro cheavevano vissuto personalmentel’evento religioso del 1949, e come su-

scitare interesse nelle generazioni piùgiovani per questa gloriosa paginadella storia della nostra diocesi? Que-sti interrogativi se li andava ponendoda tempo il vescovo Pier Giacomo. Giàdue anni fa, in occasione della festadel nostro Santuario, mons. Grampami faceva partecipe di questi suoi pen-sieri. La mia reazione fu immediata.Pur condividendo gli intenti del Ve-scovo, gli feci subito notare che l’annoora in corso sarebbe stato molto par-ticolare per il nostro Sacro Monte, inquanto si prospettava l’inizio dei la-vori di restauro e soprattutto la chiu-

sura della chiesa dell’Assunta. Per unacelebrazione commemorativa digrande richiamo non avremmo avutoa disposizione un’infrastruttura ade-guata. Le mie giustificate obiezioni,fortunatamente, non hanno distolto ilnostro Vescovo dal suo proposito.L’opportunità e la possibilità di indireun pellegrinaggio diocesano alla Ma-donna del Sasso per sottolineare il

sessantesimo anniversario della Pere-grinatio Mariae, deve essere diventatapiù chiara ed evidente nella mente delnostro Vescovo in occasione dellaFesta delle Famiglie, tenutasi nellagrande piazza della “rotonda” di Lo-carno il 28 settembre dello scorsoanno. Da allora in poi si è messa in motouna sempre più complessa macchinaorganizzativa che ha cominciato aprodurre idee, progetti e piani. Unodei primi argomenti di discussione af-frontati dai frati, dal Vescovo e dallepersone da lui designate concerneva

il luogo dove pro-porre la comme-morazione. La piazza della“rotonda” o laPiazza Grande cit-tadina? Dopo at-tente e ponderateriflessioni la sceltaè infine caduta suquest’ultima. Alla guida del co-mitato organizza-tivo, mons. PierGiacomo ha postoil suo vicario gene-rale, don ErnestoStorelli. Sei sonostate le riunioni diquesto gruppo dilavoro, alle quali,di volta in volta,ha partecipato unnumero sempremaggiore di colla-

boratori. Sempre più lungo e detta-gliato si è fatto anche l’elenco degliaspetti organizzativi da discutere e de-terminare; per citarne solo alcuni: leautorizzazioni, il servizio d’ordine, itrasporti, le attrezzature, la liturgia, icanti e la musica, il trasporto dell’effi-gie della Madonna del Sasso, la parte-cipazione dei malati, gli inviti alleautorità eccetera.

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Lo scorso 6 giugno ha avuto luogo nella Cattedrale di San Lorenzo a Lu-gano l’Ordinazione presbiterale di fr. Eraldo Emma e di fr. Boris Mutherinsieme ad altri cinque seminaristi diocesani per l’imposizione delle

mani del nostro Vescovo Mons. Piergiacomo Grampa. La cerimonia è stata molto bella e commovente.Abbiamo vissuto un momento di gioia per il dono di questi due giovani neopresbiteri con i loro parenti più stretti, con il Ministro provinciale ed i nu-merosi confratelli provenienti dalle altre Regioni della Svizzera ed una nutritarappresentanza di frati della Provincia di Bologna che avevano accompa-gnato fr. Eraldo nella sua formazione teologica .I due confratelli hanno celebrato la loro prima S. Messa domenica 7 giugno,Solennità della SS. Trinità: a Ronco sopra Ascona fr. Eraldo, mentre fr. Borisa Balerna.È stata una bella occasione per riallacciare contatti significativi e sperimen-tare il valore delle comunità parrocchiali dentro la quali nascono e cresconole vocazioni.In uno dei prossimi numeri dedicato al Sacramento dell’Ordine verrà datomaggior risalto alla testimonianza dei nuovi presbiteri e al significato delMinistero.Ringraziamo insieme il Signore ed accompagniamo nella preghiera il lorocammino. Tanti auguri!

Fra Boris e fra Eraldosacerdoti per sempre

Il 4 giugno, nel palazzo della Curiavescovile di Lugano, il pellegrinaggiodiocesano di domenica 6 settembre,dettagliatamente programmato, ve-niva presentato in modo ufficiale aimedia del nostro Cantone. Gli organidi stampa hanno dato una discreta ri-levanza al progetto. La sensibilizza-zione dei parroci, dei fedeli e di tuttele persone interessate è proseguita nelcorso dell’estate e si è intensificatasoprattutto dopo la metà del mese diagosto. La prima domenica del mese di set-tembre di quest’anno, per la tredice-sima volta dal lontano 1485, la statuadella B.V. Maria, in una giornata ba-ciata dal sole, lascia il Sasso sopra Lo-carno e scende nella grande piazzacittadina. Ad accoglierla ci sono piùdi cinquemila fedeli, convenuti daogni parte del Cantone; tra di loroanche un centinaio di ammalati incarrozzella, gruppi di giovani e di fa-miglie. Alle ore quindici inizia la ce-lebrazione Eucaristica. Centocin-quanta sacerdoti precedono l’ince-dere processionale della venerata ef-figie portata a spalla da quattrocappuccini. Sull’apposito palco il ve-scovo Pier Giacomo preside l’Eucari-stia affiancato da mons. Togni emons. Russo, è presente anche il mi-nistro generale dei frati cappuccini,padre Mauro Jöhri. Le parole del Vescovo, che invitanoanche a riscoprire il volto marianodella Chiesa, vanno al cuore dellagente. La funzione solenne, sobria espedita, viene seguita con grande par-tecipazione da parte dei fedeli. Un ri-cordo indelebile si imprime nel cuoredi tutti i partecipanti. Grazie, oh Vergine del Sasso, di avervoluto essere pellegrina, almeno an-cora un giorno, in mezzo alla tuagente, accolta, umil Regina, da preci,canti e fior. Proteggi il popol tuo dalmale e dall’error: infondi in tuttel’alme speranza nel tuo Cuor.

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La sfida della povertà evangelica

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Dai Poveri di Lione ai Frati minori

Per capire il testo che presen-tiamo, bisogna innanzitutto si-tuarlo nel suo contesto storico.Francesco d’Assisi vive nel pe-riodo storico che vede il passag-gio da una società agricola ad unabasata sullo scambio commer-ciale. Si sa che anche suo padre,Pietro di Bernardone, fosse unagiato mercante di stoffe cheagiva tra l’Italia e la Francia.La ricchezza procurata dal com-mercio e dal danaro aveva sen-z’altro recato dei benefici, maaveva anche suscitato o accre-sciuto forti disparità sociali. Perquesto non stupisce che le per-sone più sensibili fossero preoc-cupate e che si tendesse ariscoprire la beatitudine della po-vertà, proposta da Gesù di Naza-reth: “Beati i poveri, perché di essiè il Regno dei cieli”.Per questo figure come quelle diDomenico e dei suoi predicatori,e di Francesco e dei suoi frati mi-nori, non sono casi fortuiti. Ve-diamo cosa ci dice un suo coevo.

La testimonianza di Burcardo

Burcardo era un monaco premon-stratense di Ursperg, morto nel1230. Egli aveva conosciuto aRoma Bernardo dei Poveri diLione, forse nel 1210, e proprio diquell’anno è la Bolla di condannadi questo movimento pauperi-stico da parte di papa InnocenzoIII.Burcardo distingue molto benequi il movimento dei seguaci diFrancesco, che chiama “PauperesMinores” (cioè Poveri Minori), datutti gli altri gruppi penitenzialidel suo tempo. Una precisazione

che, più tardi, farà pure il più notoGiacomo da Vitry.Leggiamo ora il testo di Burcardo,un testo molto puntuale, che nonrichiede molte spiegazioni. Maforse è bene ricordare che anchepapa Innocenzo ebbe inizial-mente dei dubbi riguardo al mo-vimento penitenziale diFrancesco. Dubbi che, come si sa,scomparvero dopo il famososogno, così ben rappresentato dalgrande Giotto.

(Scrive il Burcardo). Il mondod'allora già dava segni di vec-chiezza, ma Dio suscitò nellaChiesa due nuovi Ordini religiosia rinnovarne la giovinezza,come d'aquila; e la Sede aposto-lica li ha approvati. Sono i fratiminori e i Predicatori. L'occa-sione per la quale furono appro-vati è, probabilmente, questa.Si erano diffuse in Italia, e du-rano ancora, due sette, dettedegli Umiliati la prima e dei Po-veri di Lione l'altra. A suotempo, papa Lucio aveva con-dannato come eretici i loroadepti, perché circolavano traloro dommi e usanze supersti-ziose e, inoltre, nella loro predi-cazione clandestina, che per lopiù svolgevano in luoghi ben na-scosti, screditavano l'autoritàdella Chiesa e il sacerdozio. Ab-biamo visto noi, in quel tempo,alcuni seguaci della setta dei Po-veri di Lione, che si presenta-vano alla Sede apostolica,guidati da un certo Bernardo,loro maestro, penso, chiedendocon insistenza che approvassecon privilegio il loro modo divita religiosa, sostenendo cheessi vivevano la vita degli apo-stoli. Rifiutavano, infatti, comedicevano, ogni specie di pro-prietà, non volevano avere di-

more fisse, e andavano comepellegrini per le città e i paesi.Ma il signor Papa, in quel-l'udienza, li redarguì per alcuneloro usanze superstiziose: chesfilacciavano un poco i calzariappena sopra il piede e se ne an-davano in giro quasi fossero apiedi nudi; che mentre porta-vano cappucci alla maniera deireligiosi, usavano invece capi-gliature alla maniera dei laici.Anche più riprovevole sembravaal Papa quest'altra usanza: chese ne andavano insieme per lestrade, uomini e donne, e spessevolte dimoravano insieme nellastessa casa, quando addiritturanon dormivano nel medesimoletto, come si sosteneva da al-cuni. Ma essi rispondevano chetutte queste pratiche erano diorigine apostolica.Invece il Papa approvò altri reli-giosi, sorti al loro posto, che sichiamavano Poveri Minori. Que-sti, da un lato rigettavano tuttele predette pratiche malsane esuperstiziose, dall'altro anda-vano per il mondo proprio apiedi nudi, tanto d'estate ched'inverno, e non accettavano nédenaro né altra cosa, ad ecce-zione del vitto e del vestito,quando ne avevano estremo bi-sogno, se qualcuno l'offrivaspontaneamente.Costoro, più tardi, riflettendoche non raramente la coperturadi un nome troppo umile può in-generare vana gloria e che, fa-cendosi scudo del nome dellapovertà, molti, che lo portanofraudolentemente, ne prendonopoi motivo di vanto orgogliosopresso Dio, preferirono chia-marsi Frati Minori, invece di Po-veri Minori. Questi vivono inpiena sottomissione alla Sedeapostolica. (FF 2243-2246)

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La testimonianzadi Giacomo da Vitry

Per concludere questo intervento,mi piace riprendere alcuni pas-saggi, perfino esageratamente elo-giativi ed entusiastici, del celebreGiacomo da Vitry, il quale vedevanei francescani addirittura degliuomini apostolici, anche se affer-mava che il loro movimento nonsembrava adatto “per i deboli e gliimperfetti” (FF 2230).

Questo è il santo Ordine dei fratiminori, questa la meravigliosareligione di uomini apostolici,degna che sia imitata. Questi noicrediamo che Dio abbia susci-tato, in questi ultimi tempi con-tro il figlio della perdizione,l'Anticristo e i suoi discepolisenza fede.Costoro, come forti atleti di Cri-sto, sono la guardia del corpo diSalomone, e, costituiti custodidelle mura di Gerusalemme, pas-sano da una porta all'altra, ar-mati di spada, poiché noncessano mai dalle divine lodi edai santi colloqui il giorno e lanotte; levano alta la loro voce,forte come tromba, per fare ven-detta contro le nazioni e ammo-nire i popoli; e non trattengono leloro spade dal sangue, uccidendoe divorando; percorrono la cittàin tutti i sensi, pronti a soffrire lafame come cani erranti. Questi,vero sale della terra, confezio-nando cibi di soavità e di sal-vezza, conservano le vivande,dissolvono la puzza dei vermi e ilfetore dei vizi. E come luce delmondo, molti illuminano nellascienza della verità e li accen-dono ed infiammano al fervoredella carità. (FF 2229).

fra Riccardo Quadri

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La donna e San Francesco

A l tempo di Francesco i rapporti fra uomini e donneerano caratterizzati da una marcata e rigida divisionee gerarchizzati a favore del maschio: a temperare que-

sto rigido schematismo intervenivano la poesia e la caval-leria con l’idealizzazione della donna, angelicata come nelDolce Stil Novo, e raramente l’ascetismo. Francesco fuuomo del suo tempo e del suo ambiente di cui subì inmodo marcato l’influsso e da cui venne sensibilmente in-fluenzato. Quale fu dunque,di quale essenza, il rapportodi Francesco con la donna? A leggere le testimonianze diTommaso da Celano gli elementi per considerarlo un mi-sogino sono innumerevoli. Leggiamo infatti nella Vita Se-conda: “Comandava che fossero del tutto evitate lefamiliarità con le donne, dolce veleno che corrompe gli uo-mini santi” e poi “quando si intratteneva con una donnaparlava ad alta voce, in modo che tutti potessero udire” edinfine “il beato Francesco non voleva avere familiarità connessuna donna e non permetteva che le donne usasserocon Lui modi familiari; solo alla beata Chiara sembrava por-tare affetto”. Possiamo chiederci: cosa c’è dietro un simileatteggiamento? Paura? Antifemminismo? O solo umiltà erifiuto del culto della persona? E come è possibile con que-ste premesse che Francesco possa poi essere anche il pro-tagonista di una delle più toccanti “storie d’amore” chel’agiografia cristiana conosca, quella con Chiara? Occorrecioè chiederci, al di là delle remore legate al fatto che tuttigli agiografi di Francesco erano uomini e quindi pesante-mente condizionati nei loro giudizi e nelle loro valutazionidallo spirito del tempo, come e in che modo la donna abbiacontribuito ad innescare quel processo che va sotto il nomedi “francescanesimo”, a farlo crescere e a maturarlo, ladonna che secondo arcaiche simbologie significa la terra. Ese le donne nella Bibbia sono innumerevoli, nessuno piùdel Cristo ha rivolto il suo viso verso la donna: così nellasua imitazione ingenua, quasi maniacale, delle ScrittureFrancesco non poteva evitare questo incontro con unadonna amante, sua sorella, il suo doppio: si completanocome i due pilastri dell’arcobaleno, ogni gradazione del-l’amore passa dall’uno all’altra e il suo nome dice chi sia ecosa dia: Chiara. In una bellissima poesia di Alda MeriniFrancesco si rivolge a Chiara con tenerezza e abbandono,a Lei in cui stanno tutte le luci. “O donna angelicata e su-blime, come non diventerò un grande poeta cantando letue sublimi stanchezze. Come siamo stanchi, Chiara, dicamminare su questa terra che non dà luce. Noi siamo duetorce d’amore per Dio” Cioè Francesco e Chiara amanodello stesso amore, sono fatti per intendersi, solo in appa-renza separati, maschi con maschi e femmine con fem-mine, ma uniti nel colloquio incessante delle loro anime,nell’estasi di aver trovato l’interlocutore privilegiato, colei e

colui che capisce ogni cosa, anche i silenzi. Sempre conAlda Merini: “O Chiara, siamo prigionieri di noi stessi enon serve a niente demolire questi limiti se Dio non ci ra-pisce.” E se si è detto di Chiara che fu “Francisci plantula”,anche Francesco in modo vicendevole può venir salutatocome “Clarae plantula”, albero dI Chiara. Perché la sceltae la vocazione di Francesco da nessuno fu meglio interpre-tata che da Chiara e dalle sue discepole. La compenetra-zione è stata tale che non è possibile fare una storia deifrancescani senza fare parallelamente una storia delle cla-risse. E di fronte alla fuga di Chiara, che è contestazione einaudita ribellione ai costumi del tempo, l’addio di France-sco alla famiglia, benchè più pubblico e più spettacolare, haun linguaggio eversivo assai minore. E una donna capace digesti tanto dirompenti e fragorosi non poteva limitarsi adun rapporto di pura sudditanza o di discepolanza passiva:e gli apporti di Chiara sono gli apporti della femminilità, fil-trati in un mirabile equilibrio nella sua persona, e dellaspontaneità che la portano alla pienezza della liberazionee alla limpidezza dell’amore. Un amore che non potrà nonessere anche amore d’emotività e di corporeità oltre che dispirito e di grazia. Chiara ama totalmente Francesco, comeama totalmente Dio; e Francesco ama totalmente Chiara,ma in qualche modo ha paura di dirselo. Così avverte an-cora il bisogno di chiamare Chiara “madonna povertà“ o“cristiana”: ma quel nome gli risuona dentro e quel rap-porto lo matura. Così non sorprende che il Cantico di FrateSole sia stato composto a San Damiano, vicino a Chiara,Chiara che è la donna, la gioia, la naturalità, il creato, lavita. La libertà di fantasia e di spirito che egli raggiungelungo il suo cammino terreno e lungo la sua esistenza, èanche in gran parte frutto della femminile mediazione edella influenza di Chiara. Un percorso di mediazione che inmodo mirabile viene raccolto alle soglie della morte da unaseconda donna, Jacopa de’ Settesoli, che è un’altra figura-zione della libertà, a cui egli non esita a chiedere di fargliquel dolce di mostaccioli (fatto con farina e miele) chetanto gli piaceva: così il primo Francesco, severo, ascetico,dedito ai digiuni, cede il posto a un Francesco più maturo,armonioso e conviviale. Jacopa appare come la secondadonna di Francesco: colei che assieme a Chiara lo ha fattocrescere nella sensibilità e nella libertà. E quando France-sco si fa deporre nudo nella nuda terra è un consegnarsialla povertà, di cui Chiara era stata una figurazione, e in-sieme un consegnarsi al grembo della donna, di cui la terrasi conferma simbolo. Così che possiamo dire che la vicendaterrena del Santo si conclude nel segno di una doppia sim-bologia femminile.

Mario Corti

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Le tre donne di San Francesco

La Madre

Sappiamo poco di questa donna, portata sposa ad As-sisi dal mercante Pietro di Bernardone dalla sua nativaProvenza. Si chiamava Pica ed era di animo gentile checontrastava la rudezza paterna. Perciò, quando il figliofu perseguitato dal padre per la sua generosità esage-rata verso i poveri, lo protesse e sembra che lo abbia li-berato dal carcere paterno. Troviamo un accenno a leinella Vita Seconda di Tommaso da Celano: “Il servo eamico dell’Altissimo, Francesco, ebbe questo nomedalla Provvidenza, affinché per la sua originalità e novitàsi diffondesse più facilmente in tutto il mondo la famadella sua missione. La madre lo aveva chiamato Gio-vanni, quando rinascendo dall’acqua e dallo SpiritoSanto, da figlio d’ira era divenuto figlio della grazia.Specchio di rettitudine, quella donna presentava nellasua condotta, per così dire, un segno visibile della suavirtù. Infatti fu resa partecipe, come privilegio, di unacerta somiglianza con l’antica santa Elisabetta, sia peril nome imposto al figlio, sia anche per lo spirito profe-tico. Quando i vicini manifestavano la loro ammira-zione per la generosità d’animo e l’integrità morale diFrancesco, ripeteva quasi divinamente ispirata: “Cosapensate che diverrà, questo mio figlio? Sappiate, cheper i suoi meriti diverrà figlio di Dio”.

Chiara d’Assisi

In tutta la letteratura francescana antica è la secondapersona più importante. Nasce ad Assisi nel 1193 edeve aver osservato con stupore ed ammirazione ilcambiamento di vita verificatosi in Francesco. A di-ciotto anni (1212) di notte lascia la casa paterna e va daFrancesco che la consacra a Dio. Con tutta probabilitàvuole condividere con lui l’aiuto ai poveri, ma non èpossibile; la gerarchia ecclesiastica non l’avrebbe per-messo. Diventa così “la pianticella di Francesco e il fon-damento del suo secondo ordine”, del quale divennecofondatrice e prima abadessa. Per 43 anni governa lesorelle quale madre e maestra di perfezione. Con ilSanto ha rapporti di affetto e confidenza, ripagata conla richiesta, da parte di lui, di consigli per esplorare lavolontà di Dio sul modo di esercitare la sua missione.Lotta per avere dalla Chiesa l’approvazione del suo Or-dine, che al papa sembra troppo rigido nella povertà,che ottiene all’anti-vigilia della sua morte avvenuta l’11agosto 1253. Solo due anni dopo viene canonizzata.Preziosi per lo spirito di alto misticismo il suo testa-mento ed alcune sue lettere.

Jacopa dei Settesoli

Nobile romana, grande amica di Francesco, testimonedelle sue stigmate. Di lei si ricorda soprattutto la visitadella Porziuncola al santo morente, chiamata da luistesso. Leggiamo nel Trattato dei miracoli di Tommasoda Celano che dopo aver manifestato questo desiderioda parte dei frati: “Si scrive una lettera, si cerca unmesso molto veloce e trovatolo si dispose al viaggio.All’improvviso si udì alla porta un calpestio di cavalli,uno strepito di soldati e il rumore d’una comitiva. Unodei confratelli, quello che stava dando istruzioni almesso, si avvicinò alla porta e si trovò alla presenza dicolei, che invece cercava lontano.Stupito, si avvicinò in fretta al Santo e pieno di gioiadisse: “Padre, ti annunzio una buona novella”. Il Santo,prevenendolo, gli disse: “Benedetto Dio, che ha con-dotto a noi donna Giacoma, fratello nostro! Aprite leporte, esclama, e fatela entrare perché per fratello Gia-coma non c’è da osservare il decreto relativo alledonne!”

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Sorelle e Fratelli dell'OFS

In ricordo di Bruno Raggenbass

Ho avuto una certa difficoltà a selezionare le tante cose nontanto a vanto di Bruno, ma piuttosto utili per la nostra vitacristiana, a selezionare le tante cose che potevano, che pos-sono prestarsi in questo momento appunto come qualcosadi positivo e di stimolo per il nostro cammino cristiano.Ma perlomeno mi è sembrato di riuscire ad identificare quelleche sono le più significative e applicabili alla nostra vita. Un aspetto importante è quello del suo essere francescanosecolare, terziario francescano come si usa dire in linguaggiopiù popolare; è stato anche ministro di questo Terzo OrdineFrancescano nella nostra regione, nel senso cioè che ha ac-cettato anche il servizio di maestro, tra virgolette, di guida,di incoraggiamento, di sostegno alle comunità francescane,sia del Ticino e in particolare di questa nostra regione.Ed abbiamo colto in lui lo spirito francescano anzitutto nelsuo prendere sul serio la preghiera; l’abbiamo visto più voltecon il libro della Liturgia delle Ore, a cui era, mi sembra, fe-delissimo e già in questo tanto di cappello davvero, anchemagari per noi stessi consacrati, presbiteri, diaconi e reli-giosi il vedere quella serietà nell’unirsi agli impegni dellapreghiera universale della chiesa.Ma lo notavamo anche nel suo stile lo spirito francescano,nella sua semplicità: dal modo di vestire, all’alimentazione,alle abitudini molto “terre à terre”.In questi giorni mentre si preparava la sua tomba, dove lasua salma verrà deposta assieme a quella della sua Alice,scomparsa nel 1987, ho potuto apprezzare anche questospirito francescano nella tomba da lui voluta per Alice eper se stesso: quella semplice croce che la dice lunga sullanostra speranza cristiana e sulla nostra fede.Ma dopo aver accennato a questa sua esperienza che di-

venta un esempio sia per l’Ospitalità Diocesana di Lourdese sia nel mondo Francescano secolare, due elementi cheriguardano la sua vita in generale mi sembra più che do-veroso da parte mia, come parroco, di proporre come suoinsegnamento in questo momento. Anzitutto è stato unlaico aggiornato, aperto, impegnato, ha vissuto i tempid’oro del Concilio e del dopo Concilio e credo che pro-prio in lui abbiamo un esempio, abbiamo avuto un esem-pio splendido di che cosa significhi quello stimolo ai laicivoluto dal Concilio di essere protagonisti impegnati, col-laboratori altrettanto importanti come la gerarchia nelmondo della chiesa.Aperto ho detto. Nella sua biblioteca, chi l’ha avvicinatoda quegli anni in poi, notavamo libri come: “Liberi in Cri-sto” di Bernhard Häring, o alcuni volumi di Hans Küng ecredo che non ci sia che da apprezzare questa sua aper-tura, anche critica a volte, nei confronti della chiesa e dellagerarchia e della comunità cristiana.Ma, critica proprio nel suo caso, non ci sono dubbi al ri-guardo, critica proprio per quell’amore e per quella pas-sione che dimostrava di avere per la chiesa, quasirattristandosi che a volte perdesse e perda il treno nell’ac-compagnare gli uomini nel cammino della vita.Lo propongo questo esempio anche di apertura e di im-pegno contro le attuali nostalgie di epoche preconciliari enon solamente degli anziani, come ben sappiamo, lo pro-pongo dico con convinzione questo esempio proprio op-ponendole a quelle nostalgie fuori posto che cosìfacilmente escono oggi anche nelle discussioni e nelle tra-dizioni della nostra fede cristiana.E poi un altro aspetto che sottolineo della sua vita in ge-nerale è il suo impegno nel sociale.C’è un po’ l’idea che cattolico praticante, lui era eccomecattolico praticante, sia quasi inevitabilmente anche sino-nimo di bacia-pile, di cattolico e di cristiano che pensaalla preghiera e alle cose spirituali e lì dentro inizia e siesaurisce la sua religiosità.“Bacia-pile”, “sgüra-medai”, come si dice di quelli di Balernariferendosi proprio ad un certo atteggiamento di lucidare isantini pensando che quello è il cristianesimo e la fede.Un esempio che definisco coraggioso e che farà scuola alriguardo è quel suo impegno in prima persona, lui capo-fila, primo firmatario, presidente, promotore della protestapubblica nel 1977, contro l’insediamento della Boxer Asbe-stos, qui a Balerna.Per chi eventualmente non aveva seguito quei momenti:era una fabbrica che aveva già ottenuto i permessi comu-nali che cantonali, era una fabbrica già in costruzione chedoveva realizzare, pezzi che non so come definirli, stru-menti di edificazione in cemento-amianto, che era rite-

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È il grido del capitano della nave che indica ai suoi marinaila direzione da seguire e l’intensità con la quale i motori de-vono produrre energia, quindi movimento. Ci lasciamo allespalle l’estate, con il giusto e meritato riposo dalle faticheaccumulatesi in questa prima parte dell’anno, ed ora civiene chiesto di ripartire con rinnovata gioia alla scopertadel messaggio del Vangelo e dell’esperienza di vita di Fran-cesco e Chiara d’Assisi. Capitoli elettivi, formazione per-manente ed attività varie costelleranno il cielo dell’OFSticinese nel periodo 2009-2010. A questo proposito rac-comando a tutti i membri dell’OFS di voler accettare dibuon grado gli incontri formativi proposti, sia quelli a li-vello di singole fraternità, quanto quelli regionali a SpazioAperto. La formazione permanente, oltre ad essere utile enecessaria a tutti, fa sì che ci si ritrovi in un ambiente fra-terno di condivisione e di crescita reciproca. Nessuno sisenta dispensato da questo dovere primario! A novembresi terrà il capitolo elettivo del ministro regionale; sarà una

sicura occasione di verifica sull’andamento dell’Ordine emagari i tempi saranno maturi per un rinnovo delle cari-che e quindi dei servizi all’interno del Consiglio Regionale.Da parte mia sarei ben lieto se qualche frate giovane (peranni di professione religiosa), volesse assumere il serviziodi assistente regionale, carica che sto ricoprendo congrande interesse, entusiasmo e fiducia ma che non deve re-stare troppo a lungo legata alla mia persona. Auguro a tuttiuna buona ripresa delle attività all’interno delle singole fra-ternità, quanto al Consiglio Regionale che ha il compito difare da “collante” tra le realtà locali e quella regionale. Rac-comando da ultimo di leggere e promuovere la diffusionedi MESSAGGERO, unica voce stampata della cattolicitàfrancescana ticinese. Un caro saluto lo rivolgo pure alleconsorelle ed ai confratelli delle comunità della val Po-schiavo che, lontani fisicamente, sono presenti al centronel cuore della Regione.

fra Michele Ravetta

nuto, sono andato in questi giorni a rileggere la stampa diquell’epoca, materiale nuovo, straordinario.E, purtroppo, la Svizzera, in quegli anni, veniva ritenutala capitale di questi prodotti che, pensate la beffa, haavuto il nome, rispetto a quell’Asbestos, il nome di Eter-nit. E sapete perché l’han chiamato Eternit? Perché nellasupposizione dell’euforia di quegli anni, era l’unico ma-teriale che si poteva considerare eterno. E infatti, Asbestosè una parola greca che vuol dire “eterno”, fu tradotta inquel “eternit”. Mi è sembrato di capire che è stato quasi casualmente chequi a Balerna qualcuno si è accorto, da primi allarmi lanciati,di questa sostanza così velenosa e persino mortale.La voce ha cominciato a correre. Credo che il figlio Mario,in quegli anni appena laureato in fisica, ha passato a papàBruno quelle importantissime informazioni. Ed ecco laraccolta di firme, la sensibilizzazione.Lui, in un mese, personalmente, ne ha raccolto 1500 quia Balerna e poi, nei tre mesi seguenti, nell’estate del 1977,i comuni vicini ne hanno aggiunte altre 4’000.La Confederazione, il Cantone, il Comune non hanno po-tuto che far marcia indietro, riconoscendo l’errore gravis-simo che si stava compiendo.Penso che non riusciamo ad immaginare le conseguenzeche ci sarebbero state per Balerna e per il Mendrisiottocon l’insediamento di quella ditta e di quella fabbrica.

È un debito che abbiamo verso di lui.Glielo avevo promesso che sarebbe giunto il giorno in cui,a nome di tutti voi, mi sarei sdebitato di questo suo co-raggio. Ma lo cito perché è un esempio di cristianesimoconvinto che si fa vita e impegno, che si fa socialità, per-ché solo così che è autentico e che può definirsi al se-guito del Vangelo di Gesù.E termino riprendendo il finale del “Cantico delle crea-ture” di San Francesco d’Assisi, il quale ha composto lamaggior parte di questo cantico, messo poi insieme daisuoi Francescani, presso San Damiano, in un momento digrande prova interiore e di malattia; lo sottolineo perchéil “Cantico delle creature” sulle labbra di un uomo provatodalla malattia e persino dalla prova nello spirito, assumeevidentemente un significato particolare. Lo leggo nel-l’idioma originale del 1200 che usava Francesco:

“Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale,da la quale nullu homo vivente po’ skappare:guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati,ka la morte secunda no ‘l farrà male.Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiatee serviateli cum grande humilitate.”

dall’omelia funebre di don Gian Pietro Ministrini

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Avanti tutta!

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Spiritualità in cammino

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r te La realtà del cammino è molto vicina a quella della spi-

ritualità. La spiritualità viene spesso paragonata a uncammino. Gli uomini dello spirito sono anche uomini

in cammino. Il loro camminare non è solo interiore; spessocomporta notevoli e continui spostamenti esteriori, ossiafisici. Gesù percorre le strade della Palestina, annunciandoovunque la buona notizia del regno di Dio. Spesso valica iconfini del mondo giudaico. Si sposta sull’altra riva del lagoperché anche ai pagani sia annunciato il Vangelo. Ha frettadi raggiungere Gerusalemme, il luogo della sua suprema te-stimonianza. È proprio con riferimento a questi continuispostamenti che dice: «Il Figlio dell’uomo non ha ove po-sare il capo» (Mt 8,20). Sale sulla montagna o si ritira neldeserto per essere solo con il Solo. Ma poi lo ritroviamo dinuovo sulle strade percorse dagli uomini per adempiere allamissione che ha ricevuto. Se non viene accolto in una città,scuote la polvere o il fango che si è attaccato ai piedi con-tro di essa, in segno di rimprovero (Mc 6,11), per andar-sene liberamente altrove. Francesco d’Assisi cogliesoprattutto l’aspetto più squisitamente spirituale e liberantedi questo gesto praticato da Gesù e dai suoi discepoli. PerFrancesco si tratta di mantenersi interiormente liberi da ogniattaccamento, così da evitare dispute e litigi, sapendo chesiamo forestieri e pellegrini in questo mondo e, quindi, dob-biamo amare e apprezzare ogni cosa, ma senza appiccicarcia nulla. Prescrive ai suoi frati: «Comando fermamente a tuttii frati che, ovunque sono, non osino chiedere lettera alcunanella curia romana né per le chiese, né per altri luoghi, néper motivi di predicazione, né per la persecuzione dei lorocorpi, ma, dove non saranno ricevuti, fuggano in altra terraa far penitenza con la benedizione di Dio».1

Accanto a Gesù staglia potente la figura di Paolo. Tutti gliapostoli sono degli itineranti. Ma se c’è un apostolo in cuil’aspetto itinerante della vita di Gesù emerge con maggioreevidenza, quest’apostolo è sicuramente Paolo. I suoi viaggimissionari sono descritti in lungo e in largo da Luca nellibro degli Atti degli Apostoli. Paolo stesso ne accenna,quando racconta delle difficoltà e dei pericoli che deve af-frontare quotidianamente per il Vangelo. Confrontandosicon gli altri apostoli, dice che «più di loro ho affrontato pe-ricoli mortali: cinque volte ho ricevuto le trentanove fru-strate dagli Ebrei; tre volte sono stato bastonato daiRomani; una volta sono stato ferito a colpi di pietra; trevolte ho fatto naufragio, e una volta ho passato un giornoe una notte in balìa delle onde. E ancora: lunghi viaggi apiedi, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli da partedegli Ebrei e dei pagani, pericoli nelle città, nei luoghi de-serti e sul mare, pericoli da parte dei falsi fratelli. Ho sop-portato duri lavori ed estenuanti fatiche; ho trascorso moltenotti senza poter dormire; ho patito la fame e la sete; pa-

recchie volte sono stato costretto a digiunare; sono rimastoal freddo e non avevo di che coprirmi… Quando ero a Da-masco, il governatore rappresentante del re Areta avevafatto mettere delle guardie alle porte della città per cattu-rarmi. Ma da una finestra io fui calato in una cesta al-l’esterno delle mura e così gli sfuggii di mano» (2Cor11,23-33). Quella di Paolo, quindi, non è solo itineranza,ma itineranza disseminata da difficoltà, da pericoli, da mi-nacce continue, da resistenze e da persecuzioni. Per cogliere il significato spirituale di questo travaglio itine-rante che tocca anzitutto la dimensione più sensibile, cor-poreo ed esteriore dell’essere umano, posso citare ÉloiLeclerc. Nel suo splendido libretto su san Francesco, La sa-pienza di un povero, descrive le difficili condizioni di vita diFrancesco e dei frati alla Verna. Le considerazioni che fa e leconclusioni a cui arriva, ci permettono di cogliere il signifi-cato spirituale di tante difficoltà, resistenze e disagi materialie concreti che incontriamo lungo il nostro percorso di vita,se siamo all’altezza di leggerli in prospettiva di crescita e dicammino. «In quel luogo selvaggio e dirupato» – scrive –,«dove ci si moveva tra ardue scalate e discese veloci e peri-colose, il corpo stesso si faceva più agile e leggero, sempredocile ai comandi dello spirito. Per vivere questa vita di pre-ghiera si rendeva necessario un temperamento di acrobata.Bisognava camminare sulle mani, senza paura, perdendobrandelli di tonaca stracciata dalle sporgenze delle rocce.Francesco pensava che tali acrobazie fossero un modo, an-ch’esse, di rendere lode a Dio. Il corpo e l’anima, saldamentecongiunti tra loro, partecipavano in tal modo allo stessoslancio e ritrovavano la loro unità nella vera pace dello spi-rito. Ed era questa una grande saggezza! Questa esistenza,spoglia di ogni comodità, non tollerava più nessun artificio.L’uomo vi veniva costretto ad attingere la verità, e nulla più.Ci si faceva sobri di parole e di gesti. Gli stessi sentimenti siplacavano e si facevan più semplici. E ciò non era dovuto néa letture, né a meditazioni; ma soltanto a quella santa e duraobbedienza alle cose, provocata dalla povertà allorché que-sta viene accettata in tutto il suo rigore. Era una scuola durache insegnava a sentire diversamente dal solito, con mag-giore semplicità e più aderenza alle cose». In effetti – ag-giunge subito dopo – nulla aiuta a penetrare, a gustare e acapire il senso più profondo e vero della vita, «quanto il vi-vere pericoloso e malcerto. La minaccia delle intemperie cifa sentire il valore di un tetto. Inoltre, l’assenza di ogni ap-poggio umano e d’ogni sostegno ci fa sentire quanto sianovere le seguenti parole: La mia roccia, il mio baluardo seiTu. Allora l’uomo può vedere senza paura la sua vita tre-mare come il fragile stelo di un’orchidea selvaggia sullospacco di una roccia al di sopra di un precipizio. Quando,di sera, i frati recitavano, riuniti nel piccolo oratorio, il ver-

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setto: Proteggici, o Signore, come la pupilla degli occhi tuoi,essi sentivano di dire qualcosa di grande e di forte! Non sta-vano Dio da una parte e la realtà dall’altra. Dio stesso erareale nel cuore delle cose reali».2

Itineranti sono la maggior parte dei profeti. A volte in fuga,perché minacciati e perseguitati; a volte perché guide scelteda Dio per condurre il popolo verso terre di libertà; altrevolte ancora perché solidali col popolo che va in esilio.Mosé precede e guida Israele verso la terra dove scorre lattee miele. È una guida coraggiosa e determinata che, col suoincedere, mantiene viva nel popolo che lo segue la spe-ranza di un futuro diverso. Il suo cammino è costellato daimprevisti, ribellioni e resistenze. Ma Mosé non demorde.La sua fiducia in Dio e nella bontà del cammino intrapresoè troppo grande e non gli permette di voltarsi indietro.Elia fugge verso il monte Oreb per sottrarsi all’ira di Geza-bele. Durante l’estenuante viaggio è nutrito e dissetato daun angelo che lo incoraggia a proseguire. Al termine dellasua vita, dopo aver miracolosamente attraversato con Eli-seo il Giordano, fu rapito in cielo in un turbine di vento.Isaia, Geremia, Ezechiele sono profeti in patria e in esilio.Deportati in Babilonia,mantengono viva la spe-ranza del ritorno a Gerusa-lemme e della ricostruzionedella città.Ma il cammino spirituale sisnoda soprattutto su unalunghezza d’onda che ètutta interiore. A ricordar-celo è soprattutto la figuradi Abramo, il pellegrinodell’Assoluto. La Letteraagli Ebrei ne tesse unampio elogio al capitolo 11. Le note dominanti di que-sto cammino interioresono la fede-fiducia, laconsapevolezza cheascolta la realtà e apre allacomprensione e alla con-versione, il coraggio e lacostante ricerca della veritàche fa liberi. Un’altra notadominante, che sembraquasi in contrasto conquella del cammino, èquella dell’immobilità e del silenzio che ascolta. Sul pianodello spirito, questi due atteggiamenti sono di assoluta im-portanza, se vogliamo davvero celebrare un cammino che

conduce di scoperta in scoperta, di grazia in grazia.Mi limito a citare due testimonianze. «La mente che sta,impara a stare con il proprio respiro, nel silenzio e nell’im-mobilità, è una mente che cresce e che si evolve. E tutta laspiritualità non è altro che una mente che cresce e che sievolve, per realizzare quella pienezza dell’essere che va in-finitamente al di là di tutto quello che i nostri concetti epreconcetti ci dicono. Crescita, evoluzione della mente af-fidata alle cose più semplici: andiamo verso il respiro e os-serviamo che cosa succede all’inspiro e all’espiro. Nellamente silenziosa ci sono le radici dell’intelligenza e del-l’amore». Questa è una citazione di Corrado Pensa. L’altraè di Aurobindo: «La prima cosa da farsi nel cammino spiri-tuale è stabilire nella mente una pace e un silenzio durevoli.Altrimenti potrete avere esperienze, ma nulla sarà perma-nente. La vera coscienza può formarsi soltanto in unamente silenziosa», ossia in una mente capace di fermarsi edi ascoltare attentamente la realtà e il proprio modo di rea-gire ad essa.

fra Andrea Schnöller

1 S. Francesco, Testamento 28-32; FF 122-123.2 Éloi Leclerc, La sapienza di un povero, Ed. BibliotecaFrancescana, Milano 2007, pp. 25-26

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Maggiori mezzi finanziari per i media

La Conferenza centrale cattolico romana della Svizzera(RKZ), durante l’assemblea plenaria dello scorso giugno,ha deciso di destinare un maggiore aiuto finanziario perl’attività mediatica della Chiesa. Grazie alla disponibilitàdei suoi membri, che sono le Chiese cantonali e le Diocesi,la RKZ ha aumentato i contributi per il 2010 del 2% e poidell’1,5% nei tre anni successivi, e potrà meglio finanziarela presenza della Chiesa cattolica alla televisione, alla radioe su internet nella Svizzera Romanda e in Ticino, in par-ticolare col Centro cattolico di radio e televisione della dio-cesi di Lugano. La RKZ dimostra così di ritenereimportante l’attività informativa sulla Chiesa cattolica e siattende che ciò contribuisca a diffondere nel pubblico unaimmagine di Chiesa credibile, contemporanea e aperta almondo. Il preventivo 2010 della RKZ prevede un totale dicontributi di fr. 10,2 milioni, dei quali 6,55 milioni per ilfunzionamento di istituzioni nazionali o delle regioni lin-guistiche (2,1 milioni per il segretariato dei Vescovi sviz-zeri e istituzioni dipendenti), 1,73 milioni sono destinatialla pastorale dei migranti, 0,5 milioni per compiti pasto-rali affidati alla Federazione romanda cattolico romana e fr.0,5 milioni quale pagamento globale per diritti d’autoreper l’insieme della Chiesa svizzera.

Perchè il vescovo di Basilea sta a Soletta?

Accanto alla chiesa-cattedrale di Basilea sorge un impo-nente edificio che fu residenza dei vescovi fino alla ri-forma protestante (1521); rimase tuttavia proprietà delprincipe-vescovo di Délemont fino al 1794, e infine fu de-stinato nel 1919 a sede dell’amministrazione della Chiesaevangelica riformata. La città di Basilea fu sede vescovilefin dall’alto medioevo, come provato dalle tombe dei ve-scovi e dei dignitari ecclesiastici nella cripta della catte-drale. Dal 1528 al 1792 la sede del vescovo di Basilea (checonserva il titolo originale) divenne poi Porrentruy (oracanton Giura), e dopo un trasferimento a Offenburgo, fufinalmente dal 1828 stabilita nella città di Soletta, capitaledell’omonimo cantone. Per molti secoli il vescovo di Ba-silea era anche un principe del Sacro romano impero ger-manico e per questo i confini della diocesi mutarono aseguito delle vicende storiche (in particolare vi fu stac-cata l’Alta Alsazia). Attualmente la diocesi di Basilea (rior-ganizzata nel 19mo Secolo) comprende 10 cantoni(Argovia, Berna, i due Basilea, Giura, Lucerna, Sciaffusa,Soletta, Turgovia e Zugo), cioè la parte svizzera della pri-mitiva diocesi basilese e quella della antica diocesi di Costanza.

Un cristianesimo sempre piu’ plurale

È comunemente noto, almeno agli svizzeri, che i cristianisono da secoli divisi in tre «Chiese nazionali», la cattolica(ora la più numerosa, diretta dalla Conferenza dei vescovi),la evangelica riformata (costituita dalle Chiese cantonali riu-nite in una Federazione) e la Chiesa vecchio-cattolica o me-glio cattolica-cristiana (comprendente circa 15.000 membrie un proprio Vescovo). Ma ormai sono presenti in Svizzeraaltre Chiese cristiane, sia di antica origine (anglicani, orto-dossi) sia di più recente costituzione. Recentemente il pae-saggio si arricchisce (se è veramente un... arricchimento)delle cosiddette «Chiese dell’immigrazione», per la tendenzache dimostrano certi gruppi di immigrati, specialmente afri-cani, latino-americani e asiatici, a costituirsi in comunitàparticolari. Una recente pubblicazione, dal titolo «Le Peuplede Dieu est de toutes le couleurs» ha elencato, per la sola re-gione della Svizzera occidentale, più di 50 «nuove Chiesedell’immigrazione» che fanno parte della grande famiglia ri-formata. Molte di queste Chiese svolgono un prezioso la-voro di integrazione, aiutando i nuovi venuti ad ambientarsinella società svizzera, come del resto hanno fatto in pas-sato e ancora oggi le cosiddette «Missioni cattoliche» perimportanti gruppi di immigrati (italiani, spagnoli, porto-ghesi, ora croati ecc.). Un ulteriore passo sulla integrazionesarà rappresentato dall’adesione di queste nuove Chiese allaFederazione evangelica-riformata; un problema analogo, conle sue difficoltà, all’integrazione degli appartenenti alle «mis-sioni cattoliche» alle tradizionali parrocchie.

La facoltà teologica di Lucerna

Le diocesi di Basilea e di San Gallo sostengono la facoltà diteologia di Lucerna che conta circa 260 studenti e 13 pro-fessori. La decana della facoltà Monika Jakobs (sì, unadonna!) ha recentemente informato di alcune novità offerteper la formazione degli studenti, come un corso di musicasacra in collaborazione con l’Alta scuola di musica di Lu-cerna, un master di «religione - economia - politica» in col-laborazione con la facoltà di scienze sociali e di cultura diLucerna e in collaborazione con quelle di Basilea e di Zu-rigo; già dall’autunno 2007 la facoltà organizza un corso diformazione per insegnanti di religione che ha avuto unbuon successo. La priorità della facoltà di Lucerna resta tut-tavia la formazione di teologi per il servizio della Chiesa edella società, trasmettendo «una teologia fedele sia alla tra-dizione sia aperta ai problemi del mondo contemporaneo».Lucerna possedeva fin dal 1600 una scuola superiore isti-tuita dai gesuiti, da cui ebbe origine nel 2005 l’attuale uni-versità di Lucerna che comprende la facoltà di teologia.

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Appunti di vita ecclesiale

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Finanze delle Chiese

La Chiesa riformata del canton Soletta ha approvato i contiper l’esercizio 2008 che presentano un totale di spese di fr.870.000, destinando fr. 19.000 a favore dell’Aiuto Prote-stante Svizzero (EPER). Il Sinodo cattolico romano del can-ton Zurigo ha approvato i conti 2008 con una entratacomplessiva di 50,25 milioni di franchi, e spese per com-plessivi 49,9 milioni, mentre il preventivo accusava un de-ficit di 5 milioni; a causa della crisi, sono previsti risultatimeno favorevoli nel futuro. Anche i conti 2008 della Col-lettività ecclesiastica cattolica del canton Giura hanno pre-sentato una eccedenza attiva di fr. 7.900, mentre ilpreventivo accusava una perdita; l’importo totale del bilan-cio è di fr. 8.800.000, mentre la somma di fr. 630.000 èstata destinata ad una riserva per finanziare in particolarela fusione di comuni ecclesiastici. Difficoltà finanziarie col-piscono invece la cassa pensione del clero, il cui tasso dicopertura è disceso all’87,5%. Piange pure il bilancio 2008della diocesi di Lugano, che denuncia un disavanzo alla ge-stione ordinaria 2008 di fr. 390.827, su un totale di costi difr. 3.241.300,72. In crisi finanziaria anche alcune Chiese ri-formate cantonali e la causa è la diminuzione dei fedeli: Zu-rigo sopprimerà una ventina di posti di pastore e diminuiscei salari del 3%, Neuchâtel ridurrà gli effettivi da 100 a 75,quella ginevrina ha già soppresso nel 2004 una decina diposti, e quella vodese una ventina negli ultimi anni.

Religiosità dei giovani

Una inchiesta finanziata dal Fondo nazionale svizzero hacercato di analizzare la religiosità dei giovani, interrogando400 giovani tra i 16 e i 19 anni del canton Neuchâtel (40%protestanti, 31% cattolici, 16% senza religione, 6% mu-sulmani, 4% diversi). Il 50% dei protestanti e dei musul-mani non pregano mai, il 20% dei protestanti e l’11% deimusulmani pregano ogni giorno. Per i cattolici, il 45% nonprega mai, e solo il 3% ogni giorno. Questi adolescenti in-dicano come riferimenti della propria vita la famiglia, gliamici, la formazione; all’ultimo posto pongono la religione,persino dopo la politica. A Lucerna i giovani sono più reli-giosi: più del 30% pregano almeno una volta alla settimana,il 20% dei musulmani prega ogni giorno e il 20% almenouna volta alla settimana. Solo il 15% dei giovani portavaun segno religioso (pendaglio), solo una musulmana delcampione di Neuchâtel portava il velo; i giovani conside-rano la religione una questione privata, anche se si è con-statato che in genere le amicizie sono fatte specialmentetra simili (ma qui gioca specialmente l’affinità culturale edetnica). Contrariamente a quanto spesso riferisce la stampa,il comportamento dei giovani musulmani non è sostan-zialmente diverso da quelli appartenenti ad altre credenze.(da un articolo del Courrier, del 2 giugno 2009).

Alberto Lepori

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La visione ecumenica del patriarca Bartolomeo

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o Il patriarca ecumenico di Costantino-poli Bartolomeo I, che detiene il pri-mato d’onore ed è il “primus inter

pares” tra i capi delle 15 Chiese orto-dosse autocefale o autonome in comu-nione tra di loro, è stato l’ospite d’onoredella Conferenza delle Chiese europee,che ha festeggiato il suo 50.mo anni-versario in occasione della sua 13.maAssemblea, che si è tenuta dal 15 al 21luglio di quest’anno a Lione.Di fronte alla divisioni internazionaliprovocate dalla seconda guerra mon-diale, alla guerra fredda e alle crescentitensioni tra Europa orientale ed occi-dentale, alcuni responsabili di Chiesecristiane sentirono la necessità, all’ini-zio degli anni 50, di studiare la possibi-lità di stabilire contatti tra Chiese dipaesi europei separati da sistemi poli-tici, economici e sociali diversi. Dopoalcuni incontri esplorativi, rappresen-tanti di 45 Chiese di 20 paesi dell’Eu-ropa orientale e occidentale fondarono

nel gennaio 1959 a Nyborg, in Dani-marca, la Conferenza delle Chiese eu-ropee (conosciuta anche come KEK,dall’acronimo tedesco), allo scopo dipermettere alle Chiese d’Europa di di-ventare strumenti di pace e di com-prensione e di promuovere la ricon-ciliazione, il dialogo e l’amicizia.Con il passare degli anni, la KEK si èman mano allargata e nel 1964 è diven-tata uno degli otto organismi regionalidel Consiglio ecumenico delle Chiese.La KEK, che ha la sua sede principalepresso il Centro ecumenico di Ginevra,conta attualmente 126 Chiese membro(per lo più Chiese nazionali) di 38 paesie di tutte le grandi famiglie confessionalicristiane d’Europa ad eccezione di quellacattolica romana, con la quale esisteperò un’ottima collaborazione, tantoche i due organismi hanno organizzatocongiuntamente le tre grandi Assembleeecumeniche europee di Basilea (1989),Graz (1997) e Sibiu (2007).

Fare la volontà di Gesù Cristo

Nel magistrale discorso pro-nunciato il 19 luglio a Lione,città altamente simbolicapoiché è quella dove S. Ire-neo è giunto dall’Orienteper esercitarvi il ministeroepiscopale, Bartolomeo -confermandosi uno deimaggiori leader mondiali at-tuali in campo ecumenico -ha ribadito la profonda con-vinzione, sua personale edel patriarcato di Costanti-nopoli, che soltanto dialo-gando e cooperando stret-tamente le Chiese sarannoin grado di proclamare almondo il Vangelo di Cristoin modo convincente ed ef-ficace. “Noi crediamo fer-mamente – ha aggiunto –che il ristabilimento della

comunione cristiana rappresenta un do-vere primordiale e imperativo che spettaa noi tutti, in quanto è un comando cheil Cristo Salvatore ha espresso nella Suaultima preghiera. Questa preghiera è iltestamento di nostro Signore Gesù Cri-sto, cui dobbiamo dar seguito alla let-tera, affinchè il mondo creda”. Dopoaver ricordato che è in questo spirito chegli ortodossi sono stati tra i fondatori siadel Consiglio ecumenico delle Chiese(nel 1948) sia della Conferenza delleChiese europee, il patriarca di Costanti-nopoli ha sottolineato quanto sianostate numerosi e preziosi i risultati fi-nora ottenuti dalla KEK, in particolare la“Charta Œcumenica”, solennemente fir-mata il 22 aprile 2001 a Strasburgo daipresidenti della Conferenza delle Chieseeuropee e del Consiglio delle Confe-renze episcopali cattoliche (CCEE). Aproposito di quest’ultimo documento,però, Bartolomeo ha affermato che nu-merose sue proposte non sono state néintegrate nella coscienza dei fedeli né, afortiori, applicate dalle Chiese, per cui,purtroppo, restano ignorate dai fedeli esono rimaste lettera morta. Pertanto,l’oratore ha incoraggiato le istanze com-petenti della KEK a favorire e a promuo-vere la recezione degli impegni della“Charta Œcumenica”, scopo al qualepossono contribuire anche le scuole e lefacoltà di teologia.Uno dei passaggi più rimarcati del di-scorso del patriarca ecumenico è statola proposta di trovare un modo di coo-perazione meglio organizzato e struttu-rato tra la KEK e il CCEE. MaBartolomeo è andato ancora più lon-tano, esprimendo la convinzione che“una Conferenza di tutte le Chiese eu-ropee può, all’unisono, rispondere almeglio al sacro comando del ristabili-mento della comunione ecclesiale e ser-vire l’uomo contemporaneo confrontatocon una moltitudine di problemi com-plessi”. A questo proposito, ha ricordatocome già in occasione dell’8.a Assem-blea della KEK, nel 1979 all’Accademia

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ortodossa di Creta, la Chiesa di Co-stantinopoli avesse proposto che laChiesa cattolica romana diventasse infuturo membro della Conferenza delleChiese europee. Lui stesso ha però ri-conosciuto le difficoltà che una simileimpresa comporterebbe, poiché neces-siterebbe lavori preparatori ed emenda-menti ai relativi regolamenti.

Ricard: maggiorecollaborazione, ma non fusione

La proposta del patriarca ecumenico haprovocato diverse reazioni. Prudentequella del cardinale francese Jean-PierreRicard, arcivescovo di Bordeaux e vice-presidente del CCEE. “Se si tratta di in-tensificare la collaborazione – ha dettoRicard in un’intervista al quotidiano “La

Croix” – sono assolutamente favore-vole, ma non credo sia possibile sop-primere le istanze esistenti per integrareCCEE e KEK, in quanto non è l’oggettodel CCEE, che è un luogo di incontro, dilavoro e d’informazione reciproca tra ipresidenti delle Conferenze episcopali,un luogo di concertazione, di scambioe di riflessione interna, non di pro-clami”. Quanto al presidente uscentedella Conferenza delle Chiese europee,il pastore riformato francese Jean-Ar-nold de Clermont, va ricordato che eglistesso, in un commento di grande spes-sore pubblicato sull’”Osservatore Ro-mano” in prima pagina nel novembre2007 (a poche settimane dalla conclu-sione dell’Assemblea ecumenica euro-pea di Sibiu), si era proprio chiestoperché non cominciare a lavorare ad

un’unica struttura ecumenica europea eaveva scritto di vedere favorevolmentela creazione di una “piattaforma ecu-menica comune”. Esprimendosi in con-ferenza stampa a Lione sull’appello diBartolomeo, de Clermont ha affermatoche si tratta di un momento importanteper la storia della KEK e di una doppiasfida, lanciata non solo alla Chiesa cat-tolica romana, ma anche alla stessaConferenza delle Chiese europee, chedeve dimostrarsi capace di aprirsi a que-sta collaborazione con la Chiesa diRoma. In ogni caso, il pastore de Cler-mont ha aggiunto che KEK e CEE (chesi incontrano regolarmente) devono ri-flettere insieme su come dire di sì a unatale sfida.

Gino Driussi

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Riunito a Ginevra, il Comitato centrale del Consiglio ecu-menico delle Chiese ha eletto lo scorso 27 agosto il teo-logo e pastore luterano norvegese Olav Fykse Tveit nuovosegretario generale dell’organismo che ha sede nella città diCalvino e che raggruppa 349 Chiese non cattoliche delmondo intero. Tveit ha 48 anni e sostituirà, il 1 gennaio2010, il pastore metodista kenyano Samuel Kobia, che,come è noto, non ha sollecitato un secondo mandato.Dal 2002, Olav Fykse Tveit è segretario generale del Con-siglio della Chiesa luterana di Norvegia per le relazioni ecu-meniche e internazionali, mentre dal 2007 è membro di“Fede e Costituzione”, l’importante commissione teolo-gica del Consiglio ecumenico della quale fa parte a pienotitolo anche la Chiesa cattolica. E a proposito di rapporticon la Chiesa di Roma, il nuovo segretario generale li haconsiderati, sin dalle prime dichiarazioni, di grande im-portanza, addirittura cruciali, esprimendo l’auspicio chevengano intensificati, sia nei modi già sperimentati (adesempio attraverso il gruppo misto di lavoro tra i due or-ganismi, che esiste dal 1965), sia cercando nuove forme dicollaborazione. “Abbiamo entrambi, Consiglio ecumenicodelle Chiese e Chiesa cattolica romana – ha detto Tveit –la stessa preoccupazione, la stessa missione: la ricerca del-

l’unità visibile dei cristiani e questa è una base che ci ac-comuna”. Da parte cattolica, alle relazioni multilaterali Be-nedetto XVI sembrerebbe però preferire quelle bilaterali, inparticolare con il mondo ortodosso. Non è un caso che ilPapa non abbia ancora dato seguito all’invito a visitare ilConsiglio ecumenico delle Chiese rivoltogli a Roma nelgiugno 2005, pochi mesi dopo la sua elezione, da una de-legazione guidata dal segretario generale Samuel Kobia.Quanto alla questione di un eventuale ingresso dellaChiesa di Roma nel Consiglio ecumenico delle Chiese, giàsollevata, con un grande punto interrogativo, da Paolo VIdurante la sua visita a Ginevra nel 1969 e che non sembrapiù di attualità, Tveit ha affermato che per lui è ancora pre-maturo prendere posizione.

Il norvegese Olav Fykse Tveit nuovo segretario generale delConsiglio Ecumenico delle Chiese

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Dio creò l’uomo a sua immagine

Nel numero precedente abbiamo visto il raccontodella creazione. Evidentemente non è un rac-conto scientifico: è un inno, un canto, è una

poesia che ha dei fini ben precisi. Il primo fra tutti èquello di dimostrare che il sole non è Dio e la luna nonè una dea; che nessun albero può vantare di essereuna divinità, nessun animale può essere adorato comeidolo, e nemmeno l’uomo, anche se assomiglia a Dio,anche se è la sua immagine. Tutto è stato creato, vo-luto, conservato e guidato da l’unico Dio.

Quindi il vero scopo del “Cantico della creazione” èuna grande confessione monoteistica: “Adorerai unsolo Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra”,scopo che ci permette di capire l’attualità di questaprima pagina della Bibbia.

Aveva ben compreso questo primo capitolo della Ge-nesi Francesco d’Assisi che ce ne ha lasciato uno deipiù bei commenti nel suo meraviglioso Cantico delleCreature.

Si dice che il filosofo Diogene con una piccola lanternacercasse l’uomo.Ma per cercarlo, Diogene, doveva già sapere chi era unuomo.La Bibbia, prima di cercare l’uomo, tenta di risponderenel capitolo primo, versetto 26 e seguenti, alla do-manda: chi è l’uomo?Leggiamo questi versetti:

“Allora Dio disse: facciamo l’uomo a no-stra immagine, simile a noi, domineràsui pesci del mare, sugli uccelli del cielo,sul bestiame, su tutta la terra e su tutti ivolatili della terra.Allora Dio creò l’uomo come Sua imma-gine, come immagine di Dio lo creò, ma-schio e femmina li creò”.

Volendo spiegare questi versetti dobbiamo iniziare daquel verbo plurale “facciamo” l’uomo. Il verbo “facciamo” - al plurale - indica una consulta-zione interna.

Dio si consulta: non dimentichiamo mai che questibrani sono stati scritti da orientali che rappresentanoDio come un grande re, e i monarchi del tempo si con-sultavano con i loro ministri quando dovevano proce-dere a cose importanti. Dio non ha ministri con cui

consultarsi, è assoluto e unico, ma consulta se stessoproprio per dimostrare che sta per compiere un’operaimportante. E l’importanza di quest’opera ci è data dal’altra parola: “immagine”.Vi è una regoletta biblica molto semplice che dice: sevolete cogliere la parola più importante di uno o piùversetti, guardate se vi è un’espressione che è ripetutapiù volte.Rileggiamo i versetti: per tre volte troviamo la parola“immagine”. Dio dunque crea l’uomo a “Sua imma-gine”, e l’autore insiste dicendo a “Sua somiglianza”.

L’uomo è dunque l’immagine di Dio, forse per questo presso gli ebrei eraproibito rappresentare Dio con altre im-magini, e di conseguenza non vi èun’arte figurativa ebraica, perché - comenoi sappiamo nel Decalogo - vi è un co-mandamento preciso al riguardo: “Tu nonfarai mai nessuna mia immagine”, cioètu non dovrai mai rappresentare Dio,perché la statua vivente, più bella, piùluminosa, più somigliante a Dio, sei pro-prio tu, uomo.

Queste ultime frasi sono di Gianfranco Ravasi checontinua con questa acuta osservazione: “Ma c’è unacosa curiosa a questo proposito rispetto a tuttol’Oriente. L’Oriente conosceva già l’idea dell’uomo adimmagine ed somiglianza di Dio, ma questa ideal’aveva applicata il re, soltanto il sovrano era l’imma-gine di Dio, tante è vero che egli veniva rappresentatoavvolto con una aureola di luce che gli circondava il capo; egli era quasi immerso nella stessa atmosferadi Dio”.

Nella Bibbia avviene quasi il processo contrario, ogniuomo è un’immagine di Dio; non soltanto colui chesta sopra ed ha il potere, ma ogni creatura umana,anche la più fragile, anche la più dimenticata, anchequella che presenta un volto deforme è sempre imma-gine di Dio.

Dovremmo riflettere su questo concetto, perché se lofacessimo veramente programma della nostra vita,avremmo forse più rispetto per la nostra umanità e perquella dei nostri fratelli. Gesù ci dà l’esempio, ama gliuomini in genere e predilige i meno fortunati, e in lorosi rispecchia, quale “Servo sofferente” dicendo chetutto quello che facciamo per loro lo facciamo per lui.

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Un percorso tra fede e cultura attraverso la meditazione delle sacre scritture

Perché parlare di spiritualità della musica e quindi delcanto? È una storia lunga, antica ed affascinante allecui origini vi sono miti e leggende, sogni. Come

quello che vorrebbe che l’uomo abbia imparato il canto di-rettamente dagli dei, prima ancora che dal sibilo del ventonelle canne. E ancora, che la lira sarebbe stata donata al-l’umanità nientedimeno che da Apollo in persona.Gli esempi potrebbero continuare lungo i secoli per arrivarefino ai nostri giorni e tutti, pur nella loro diversità non fa-rebbero altro che dimostrare come generazione dopo ge-nerazione, l’uomo abbia sempre intravisto nella sferamusicale le tracce di un “passaggio divino” al punto daconferire alla musica un posto tra le cose più sacre e a volteinviolabili.Una convinzione capace di supe-rare ogni religione e ogni tipo di di-versità o divisione anche a livelloideologico. Già S. Agostino facevasua, collocandola in un’ottica cri-stiana, una millenaria convinzionepagana secondo cui: “La musica(...) è stata concessa dalla divina liberalità anche ai mor-tali dotati di anima razionale”. La musica e il canto comedono della divinità e della realtà cosmica presente nell’im-mensità dei corpi celesti come negli elementi microscopicidella materia: ovunque! Quindi tutto canta, tutto è armo-nia ed equilibrio nella creazione perché armonia perfetta èla Trinità divina dalla quale tutto deriva. Questa la convin-zione del cristiano.Tutto questo, seppur in un’ottica diversa, veniva avvertitoanche da chi cristiano non poteva essere, perché vissutonei secoli precedenti la nascita di Gesù, ancora in epocheremote quando già l’uomo percepiva nella musica un “si-gnum” (traccia, segno) della realtà soprannaturale. Un con-cetto che sarà ereditato divenendo fondamentale nellateologia della musica per il culto cristiano.Ma perché la musica, il canto?Perché è linguaggio dell’anima, è veicolo dei sentimenti piùnascosti capace di trasformarci, nelle culture di tutti i tempi,in pianto per chi è afflitto o in inno per chi è nella gioia. Cisi guardi attorno e dentro di sé e non si troverà idioma piùimmediato, più espressivo e comunicativo e nello stessotempo più adatto ad accomunare. Un idioma “sacro” da ri-servare alle comunicazioni più nobili e ai gesti rituali.Anche e soprattutto per questo fu da sempre e quasi esclu-sivamente usato nel culto di tutte le religioni, ovviamentesecondo schemi e modalità diverse, ma sempre nella con-

vinzione che esso, il canto, possedesse il “potere” di col-mare l’immensa distanza tra l’uomo e lo “spirito superiore”. La musica, infatti, nel suo significato più ampio, dal rumore algrido, fino alle melodie più elaborate, avrebbe la capacità diammansire il dio corrucciato e renderlo amico e favorevole allasalute, alla fecondità della terra, alla buona riuscita della caccia.Per affermare la priorità del sentimento interiore sul gestomusicale costantemente confrontato al rischio di rimaneresegno esteriore e vuoto, si dovrà attendere sino alla conce-zione cristiana del canto.Ma la musica cristiana, si sa, è figlia dell’esperienza cul-tuale ebraica la introdusse nella propria liturgia come ele-mento importante e con una grandiosa organizzazionevoluta dal re David che fu poeta, musico e danzatore (Si-racide 47, 11-12).A lui sono attribuiti i Salmi, che nella maggioranza dei casi,

costituiscono il terreno sul quale èstato costruito per secoli il reperto-rio musicale cristiano. Testi sacri incui si esprimono pagine significativedella storia sociale e religiosa del po-polo di Israele e poi dei cristiani.Non si può dimenticare però l’ori-gine popolare o profana di numerosi

testi che furono poi utilizzati dagli autori per tradurre il mes-saggio rivelato della Alleanza. Solo per fare un esempio ilCantico dei Cantici, così come diverse parabole evangeli-che, appartenevano alla lettura “secolare” sia di ambienteebraico sia di ambiente assiro-babilonese ed egiziana. Lasaggezza della Provvidenza del Padre ne ha creato un mezzodidattico adeguato per nutrire una riflessione di fede, di con-versione e di speranza sotto il segno dell’unica alleanza edella Redenzione.L’intelligenza della Fede è attenta a non confondere le me-todologie di approfondimento e di analisi: una cosa è la ri-flessione esegetica metodica universitaria, altro è l’usoliturgico cristiano nella cui ottica entra la musica e il cantodella cui essenza ci facciamo portatori.

Giovanni Conti

Spiritualità e musica medioevaligiornata di studio al Bigorio

7 novembre 200910.00/15.30

Le radici spiritualidella musica

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Biblioteca Salita dei Frati

È stato detto autorevolmente che le bibliotechesono uno dei principali indicatori della culturadiffusa in un paese: il patrimonio bibliografico

che esse conservano e mettono a disposizione dei let-tori e l’efficienza dei servizi di consultazione e di pre-stito sono un contributo essenziale per il benessereculturale della collettività. Chi ritenesse che i dati oggidisponibili elettronicamente possano costituire la prin-cipale (o l’unica) fonte di informazioni, prescindendodalla ricerca bibliografica ‘tradizionale’, dimostrerebbedi non conoscere i criteri con cui va condotta un’in-dagine culturale e intellettuale in modo serio e rigo-roso. È d’altra parte indiscusso che l’avventodell’informatica non minaccia la sopravvivenza dellebiblioteche, perché non è ragionevolmente pensabileche il libro in formato digitale possa sostituire il librosu supporto cartaceo. Ciò vale a più forte ragione perquelle biblioteche (le cosiddette “biblioteche stori-che”) che si propongono prima di tutto di tutelare evalorizzare fondi librari antichi, che documentano lastoria e l’ideologia di determinate comunità nel lorosviluppo sull’arco di più secoli.

Caratterizzazione della Biblioteca Salita dei Frati

La Biblioteca Salita dei Frati di Lugano occupa senzadubbio una posizione bibliografica e culturale unicanel panorama delle biblioteche della Svizzera italiana.Di essa si è fornita una caratterizzazione adeguata nel

primo numero del ‘nuovo’ «Messaggero» (gennaio-marzo 2008, p. 29), al quale si rimanda. Qui ci si li-mita a ricordare che essa è la più importante bibliotecaprivata del Cantone aperta al pubblico, che è la piùantica (la sua fondazione risale al 1565) e che è la solabiblioteca monastica del Ticino (con quelle molto piùpiccole di Bigorio e di Faido) che sia rimasta integra,non avendo subito spoliazioni: i libri antichi (secoliXVI-XVIII) che vi si conservano sono un documentoinsostituibile che testimonia le scelte e gli interessi re-ligiosi e culturali della comunità conventuale di Lu-gano (e prima, dal 1565 al 1653, di Sorengo) nel corsodei secoli. Si pensi in particolare alle opere di ascetica,di oratoria sacra, di devozione popolare, di storia lo-cale.Va pure ricordato che, da quando (nel 1980) la bi-blioteca è stata aperta al pubblico e affidata all’Asso-ciazione “Biblioteca Salita dei Frati”, si è provvedutoad un accrescimento bibliografico continuo e coe-rente, acquistando in particolare opere per lo studiodel fondo antico, testi e studi letterari, studi su Fran-cesco d’Assisi e il francescanesimo, opere sulla ‘reli-gione praticata’ (in particolare: spiritualità, storia dellamentalità e dei comportamenti religiosi, devozione epietà popolare). Con queste scelte la Biblioteca Salitadei Frati ha acquisito, anche per i nuovi acquisti librariche si sono innestati sul vecchio fondo conventuale,una sua specifica fisionomia culturale nel contesto bi-bliotecario ticinese. Val la pena anche sottolineareche, per una precisa scelta dei suoi fondatori, l’Asso-ciazione “Biblioteca Salita dei Frati” è aconfessionale,e si propone di offrire alla persona colta, di qualun-que appartenenza religiosa, i mezzi per soddisfare leproprie aspirazioni in ordine alla conoscenza del cri-stianesimo in termini storici e culturali. Secondo que-sto principio vengono promosse e organizzate anchele conferenze e gli incontri di studio su tematiche re-ligiose, in particolare gli incontri biblici.

Un servizio culturale pubblico

Per dare concretezza al carattere di servizio culturalepubblico che la Biblioteca Salita dei Frati ha sempreinteso rivestire, dal 2003 essa fa parte del Sistema bi-bliotecario ticinese (Sbt) come biblioteca associata,sulla base di una convenzione sottoscritta il 24 giugnodi quell’anno e di una risoluzione governativa del suc-cessivo 22 luglio: con questo atto ufficiale la Biblio-teca Salita dei Frati è stata riconosciuta “di interessepubblico” (Legge delle biblioteche, art. 17). Le noti-

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zie bibliografiche delle nuove acquisizioni librarie ven-gono perciò inserite nel catalogo informatizzato delSbt. Attualmente, grazie al notevole lavoro svolto dallabibliotecaria Luciana Pedroia e dai suoi collaboratori,nel catalogo del Sbt sono inseriti i dati di oltre 46’000volumi della biblioteca, cioè meno della metà delleopere possedute: questo significa che la ricataloga-zione informatizzata del ‘pregresso’, in corso di at-tuazione, richiederà ancora del tempo per esserecompletata. Pur-troppo, per ragionidi natura finanzia-ria, non è possibileassumere altro per-sonale qualificatoin aggiunta a chi èalle dipendenzedell’Associazione.

La sala di studio e di lettura

La biblioteca èaperta al pubblicotre pomeriggi lasettimana (merco-ledì, giovedì e ve-nerdì) e il sabato mattina. Le limitate risorsefinanziarie non consentono, come sarebbe auspica-bile, orari più estesi: l’apertura al pubblico implica in-fatti la presenza in sala di lettura di personalequalificato per la consulenza e il prestito. La frequenzadi lettori e di studiosi ha comunque fatto registrare unnotevole incremento in questi ultimi anni, come di-mostra anche l’aumento dei prestiti, che dai 400 del2003 sono passati ai 1’619 del 2008. La sala di studioe di lettura dispone di 56 posti, per studenti (liceali ouniversitari), studiosi o semplici lettori. Il fondo delleopere di consultazione e le collezioni di testi presentiin sala e direttamente accessibili all’utente, che negliultimi anni s’è provveduto ad arricchire in modo con-sistente, è utile soprattutto per ricerche di storia dellateologia e del cristianesimo (si pensi solo alla Patro-logia del Migne e al Corpus christianorum). Si ag-giunga che il frequentatore della sala di lettura haovviamente la possibilità di usufruire del prestito adomicilio di opere della biblioteca (o anche, attraversoil prestito interbibliotecario, di opere conservate inaltre biblioteche della Svizzera).

Collaborazione con l’USI

Poco dopo la creazione dell’Istituto di studi italiani(ISI) presso l’Università della Svizzera italiana (USI),in un incontro tra il direttore dell’Istituto stesso CarloOssola e i responsabili della biblioteca, è stata valutatal’opportunità di mettere in atto forme di collabora-zione, tenuto conto soprattutto della natura e dellaspecificità dei fondi librari antichi della biblioteca

stessa. Da questoincontro è scaturitauna prima espe-rienza estrema-mente positiva: trail novembre e il di-cembre del 2008,infatti, François Du-puigrenet Desrous-silles, titolare dellacattedra di Storiadel libro e bibliogra-fia dell’ISI (e do-cente ordinario allaFlorida State Uni-versity), ha tenutoper i suoi studentiun corso sul libroantico presso la Bi-

blioteca Salita dei Frati, visionando un centinaio di vo-lumi. Un analogo corso verrà riproposto nell’annoaccademico 2009-2010.

Fernando Lepori

L’Associazione “Biblioteca Salita dei Frati” conta at-tualmente 326 soci. Vi può aderire chiunque approvilo statuto e versi la tassa sociale annua (almeno 40franchi i soci individuali; 10 franchi studenti, appren-disti, pensionati; 100 franchi le istituzioni). Chi èmembro dell’Associazione è informato di ogni attivitàche si tiene in biblioteca, riceve gratuitamente la rivi-sta «Fogli» e partecipa alle scelte dell’Associazione nel-l’assemblea. Chi fosse interessato a diventare membro si rivolga alsegretariato, Salita dei Frati 4, CH – 6900 Lugano, tel. +41 91/923 91 88, e-mail [email protected].

www.bibliotecafratilugano.ch

Adesione all’Associazione

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Mick E. L.Cresima. Per capire il sacramentoPadova, Messaggero, 2008

Un agile sussidio - scritto da questo sacerdote dell'Ohio, professore di liturgia- che presenta in sintesi la visione dei sacramenti, in particolare della Cresima,nata dal concilio Vaticano II per tutti i cristiani e non solo per coloro che si pre-parano a riceverla. Un testo che può servire per la formazione dei cresimandi,la catechesi degli adulti e per i gruppi di riscoperta della fede.Nelle sue brevi pagine, dopo aver spiegato che cos'è un sacramento in genere ela Cresima o Confermazione in particolare, pone della domande dalle quali sicomprende che l'autore insiste sulla Cresima come momento di conferma delBattesimo, di conversione e di inizio di un'attività comunitaria.

Maurice Prétôt “Scelto da Dio”

Una premessa è doverosa: non conoscevo l’autore. Questo libro mi fu donato un paio di anni or sono dall’amico Sandro Moli-nari presidente di UNITAS Ticino in occasione di un incontro per preparare un ritiro con il Gruppo S. Lucia. Il titolo “scelto daDio” e il sottotitolo “autobiografia di un malato di sclerosi multipla”, stridevano. Ho avuto paura. Avevotimore di leggere della sofferenza come di un dono di Dio. Ero terrorizzato alla solaipotesi che dietro quel libro vi fosse una visione doloristica. Così il volume è finitotra i testi “da leggere”. Ma poi al ritiro ho conosciuto Maurice Prétôt. E una volta tor-nato in convento mi son detto che valeva la pena di leggere il suo libro che presentovolentieri per i lettori di Messaggero. Come potete vedere dalla foto di copertina illibro si presenta austero: la sagoma di un uomo, forse mentre pensa, seduto su diuna sedia a rotelle con attorno un gioco di ombre. Dentro, brevi capitoletti di qualchepagina o anche meno. Inizia il libro con la vita di Maurice prima della malattia a cuifa seguito il racconto dello sviluppo della malattia stessa. Ma al centro non vi è la ma-lattia ma sempre la persona. In sede di prefazione troviamo parole commosse, affet-tuose, ma soprattutto schiette del Vescovo. Il testo viene poi ritmato da ampi spazibianchi, che ci invitano a fermarci e riflettere. Ci sono molte immagini, non troppe. Illoro formato è ridotto, quasi discreto. Diverse sono in bianco e nero, per evidenti mo-tivi, visto che si parte dall’inizio degli anni cinquanta. Troviamo alcune foto di squadra,che ci ricordano quelle degli album delle figurine, tanto ambite e difficili da trovare. Sonoimmagini certamente preziose anche per il nostro autore, ricordi della sua grande pas-sione per il calcio. Spiccano le foto coloratissime scattate sulle isole Mauritius, ricordi diviaggi, di affetti. Maurice esprime riconoscenza per tutto quanto la vita gli ha dato. Conchiarezza, a volte quasi disarmante, racconta tutto quello che ha vissuto dall’appariredella malattia. Racconta anche quello che altri avrebbero forse taciuto per pudore. Una let-tura per soli adulti? Di certo per soli “adulti nella fede”. Che sappiano accettare il titolo“scelto da Dio”. A proposito Maurice scrive: “Mentre scrivevo, tra mille angosce, ho provato una sensazione di luce e di spe-ranza, quasi una “folgorazione”, un intuito che si è trasformato in certezza: sono stato Scelto da Dio. Siamo stati Scelti da Dioquasi fossimo degli eletti-testimoni di un percorso privato, personale, che attraverso tante asperità ci porterà direttamente aLui”. Come Maurice, tutti credenti, sani o ammalati non importa, possiamo sentirci, anzi dobbiamo sentirci “scelti da Dio”.

fra Edy Rossi-Pedruzzi, socio UNITAS Ticino

Abbiamo letto...abbiamo visto...