MEDICINA E CHIRURGIA DELLA CAVIGLIA E PIEDE … · adeguatamente a causa del rischio di sviluppare...

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Pag.1 MEDICINA E CHIRURGIA DELLA CAVIGLIA E PIEDE PATOLOGIE DELLA CAVIGLIA O TIBIO-TARSICA: Le più frequenti problematiche riguardanti la caviglia che capitano alla nostra osservazione sono di natura traumatica (fratture e/o lussazioni, distorsioni, rotture del tendine d’Achille) e infiammatorio- degenerativa. FRATTURE E FRATTURE-LUSSAZIONI Una caviglia "fratturata" è una caviglia rotta. Ciò significa che una o più delle ossa che compongono l'articolazione della caviglia sono rotte. Una caviglia fratturata può variare da una frattura semplice di un solo osso, che non vi impedisce di camminare, alla frattura di diverse ossa, che addirittura forzano la caviglia fuori posto (lussazione). Queste ultime sono fratture gravi che possono portarvi a non camminare sulla gamba fratturata per un paio di mesi. In poche parole, più ossa nella caviglia si rompono, più questa diventa instabile e più la frattura è grave. In questo genere di traumi si possono rompere anche i legamenti. I legamenti della caviglia tengono le ossa della caviglia e dell'articolazione in posizione. La frattura della caviglia può interessare persone di tutte le età. Nel corso degli ultimi 30 o 40 anni, i medici hanno notato un aumento del numero e della gravità delle caviglie rotte, dovuto in parte all'aumento dell'attiva soprattutto della popolazione più anziana. Anatomia La caviglia è un'articolazione detta in carico cioè sostiene tutto il peso del corpo. Per questo quando si frattura l'obiettivo sará quello di farla guarire con i suoi pezzi nella perfetta posizione in cui era prima di rompersi. Sono tre le ossa che costituiscono l'articolazione della caviglia: 1 – La tibia: il più grosso della gamba che termina all’interno della caviglia con il malleolo mediale e dietro con il malleolo posteriore; 2 – Il perone: il più sottile della gamba che termina con il malleolo peroneale o laterale; 3 – L’astragalo che si trova tra tibia e calcagno. 1 2 3

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MEDICINA E CHIRURGIA DELLA CAVIGLIA E PIEDE

PATOLOGIE DELLA CAVIGLIA O TIBIO-TARSICA:

Le più frequenti problematiche riguardanti la caviglia che capitano alla nostra osservazione sono di natura traumatica (fratture e/o lussazioni, distorsioni, rotture del tendine d’Achille) e infiammatorio-degenerativa.

FRATTURE E FRATTURE-LUSSAZIONI

Una caviglia "fratturata" è una caviglia rotta. Ciò significa che una o più delle ossa che compongono l'articolazione della caviglia sono rotte. Una caviglia fratturata può variare da una frattura semplice di un solo osso, che non vi impedisce di camminare, alla frattura di diverse ossa, che addirittura forzano la caviglia fuori posto (lussazione). Queste ultime sono fratture gravi che possono portarvi a non camminare sulla gamba fratturata per un paio di mesi. In poche parole, più ossa nella caviglia si rompono, più questa diventa instabile e più la frattura è grave. In questo genere di traumi si possono rompere anche i legamenti. I legamenti della caviglia tengono le ossa della caviglia e dell'articolazione in posizione. La frattura della caviglia può interessare persone di tutte le età. Nel corso degli ultimi 30 o 40 anni, i medici hanno notato un aumento del numero e della gravità delle caviglie rotte, dovuto in parte all'aumento dell'attiva soprattutto della popolazione più anziana.

Anatomia

La caviglia è un'articolazione detta in carico cioè sostiene tutto il peso del corpo. Per questo quando si frattura l'obiettivo sará quello di farla guarire con i suoi pezzi nella perfetta posizione in cui era prima di rompersi.

Sono tre le ossa che costituiscono l'articolazione della caviglia:

1 – La tibia: il più grosso della gamba che termina all’interno della caviglia con il malleolo mediale e dietro con il malleolo posteriore;

2 – Il perone: il più sottile della gamba che termina con il malleolo peroneale o laterale;

3 – L’astragalo che si trova tra tibia e calcagno.

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Le fratture della caviglia vengono classificate in base alla zona di osso che si rompe. Per esempio, una frattura al termine del perone è chiamata frattura del malleolo laterale, se sono rotti sia la tibia che il perone, la frattura si chiamerà frattura bimalleolare, se si rompe sia il perone e la tibia in due punti la chiameremo frattura trimalleolare. Queste ultime talvolta sono complicate dalla dislocazione della caviglia (lussazione) e vanno trattate in urgenza.

Due articolazioni sono coinvolte nelle fratture della caviglia:

La caviglia: dove la tibia, il perone e l'astragalo si incontrano. La sindesmosi: il giunto tra la tibia e il perone, che è tenuta insieme da legamenti. Molteplici legamenti contribuiscono poi a rendere stabile la caviglia.

Cause

Una delle cause più frequenti di frattura della caviglia è una distorsione dovuta ad una torsione o rotazione della caviglia come succede tipicamente durante traumatismi ad alta energia (sport, incidenti stradali, ecc.):

Sintomi

I sintomi più comuni per una caviglia fratturata includono:

� Dolore immediato e molto forte. � Nausea e talvolta sensazione di mancamento. � Gonfiore. � Lividi. � Non si riesce a mettere alcun peso sul piede traumatizzato. � Deformità ("la caviglia appare fuori posto"), in particolare questo succede quando l'articolazione

della caviglia è lussata - guarda figura sotto -.

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Esame medico

Anamnesi ed esame obiettivo

Dopo aver discusso la vostra storia medica, i sintomi e come l'infortunio si è verificato, il medico farà un esame attento della vostra caviglia, del piede e della parte inferiore della gamba .

Raggi-X

I raggi X sono la tecnica di imaging diagnostica più comune e largamente utilizzata. I raggi X possono mostrare se l'osso è rotto e se vi è spostamento (distanza tra le ossa rotte). Essi possono anche mostrare quante sono le ossa fratturate della vostra caviglia. La radiografia spesso sarà estesa alla gamba e al piede per assicurarsi con non vi siano altre fratture in queste parti del corpo.

Tomografia computerizzata (TAC)

Questo tipo di esame può creare un'immagine a sezioni trasversali o tridimensionali della caviglia e viene talvolta fatta per valutare ulteriormente la caviglia soprattutto se la frattura non è ben visibile alla radiografia o se interessa l'articolazione o quando è comminuta. È particolarmente utile in alcuni casi per pianificare un eventuale intervento chirurgico.

La Risonanza Magnetica

Questo esame fornisce immagini ad alta risoluzione delle due ossa e dei tessuti molli, come i legamenti. In genere per una valutazione delle fratture della caviglia non serve, ma talvolta, anche se raramente, può essere utile per valutare eventuali lesioni legamentose.

Trattamento

Poiché il trattamento di queste fratture non è sempre lo stesso, lo suddivideremo in relazione alla zona in cui l'osso si è rotto:

Fratture del malleolo laterale. Fratture del malleolo mediale. Fratture del malleolo posteriore. Fratture bimalleolari. Fratture trimalleolari. Lesioni della sindesmosi.

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FRATTURE DEL MALLEOLO LATERALE

Una frattura del malleolo laterale è una frattura del perone.

Ci sono diversi livelli in cui il perone si può fratturare. Il livello della frattura orienterà il trattamento.

Trattamento non chirurgico.

Potreste non aver bisogno dell'intervento chirurgico se la caviglia è stabile, l'osso rotto non è fuori posto (scomposto) o è lievemente scomposto (meno di 2 mm). Il tipo di trattamento richiesto può anche essere basato su dove l' osso è rotto. Diversi metodi differenti sono utilizzati per proteggere la frattura mentre guarisce che vanno da un semplice tutore bivalve ad un apparecchio gessato tipo stivaletto. In alcuni casi si può caricare già da subito con le stampelle ed un carico parziale ma in genere conviene procrastinare il carico sull'arto fratturato per circa 4-6 settimane. Vedrete il vostro medico regolarmente per ripetere i raggi X della caviglia e assicurarsi che i frammenti della vostra frattura non si sono spostati durante il processo di guarigione.

Nota bene: Studi hanno dimostrato che uno spostamento di soli 2 mm è un'indicazione all'intervento chirurgico di riduzione della frattura. Una caviglia il cui malleolo esterno guarisce ruotato e/o accorciato di 2 mm o più, lavorerà male e in futuro può sviluppare artrosi e quindi dolore.

Trattamento chirurgico.

Se la frattura è scomposta o la caviglia è instabile, vi verrà consigliato il trattamento chirurgico. Durante questo tipo di procedura, i frammenti ossei vengono ricollocati nella loro posizione di origine (ridotti) e nel loro normale allineamento. Saranno poi tenuti insieme con viti speciali e piastre metalliche (placche in titanio) attaccati alla superficie esterna dell'osso.

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FRATTURE DEL MALLEOLO MEDIALE

Una frattura del malleolo mediale è una rottura della tibia, all'interno della gamba. Le fratture possono verificarsi a diversi livelli del malleolo mediale. Le fratture malleolari mediali spesso si verificano con una frattura del perone (malleolo laterale), una frattura della parte posteriore della tibia (malleolo posteriore), o con un infortunio ai legamenti della caviglia.

Trattamento non chirurgico.

Se la frattura non è scomposta o è una frattura molto bassa fatta di pezzi molto piccoli, essa può essere trattata senza intervento chirurgico. La frattura può essere trattata con un gesso corto di gamba o un tutore rimovibile. Di solito, è necessario evitare di mettere peso sulla gamba per circa 4-6 settimane. Avrete bisogno di vedere il vostro medico regolarmente per ripetere le radiografie e quindi accertarsi che la frattura non cambi posizione.

Trattamento chirurgico.

Se la frattura è scomposta, la chirurgia può essere necessaria. In alcuni casi, la chirurgia può essere considerata anche se la frattura non è scomposta. Questo perché capita che anche se la frattura è composta, del tessuto si interpone tra i frammenti di osso rotto impedendone il contatto e la frattura rischia di non guarire (pseudoartrosi) mentre con la chirurgia si riduce questo rischio, e poi per consentire di iniziare a muovere la caviglia subito. Una frattura del malleolo mediale può avvenire per impatto o distorsione. A seconda del tipo di frattura, i frammenti ossei possono essere fissati mediante viti, placche e viti, o differenti tecniche di cerchiaggio.

FRATTURE DEL MALLEOLO POSTERIORE

Una frattura del malleolo posteriore è una frattura della parte posteriore della tibia a livello della caviglia. Nella maggior parte dei casi di frattura del malleolo posteriore, il malleolo laterale (perone) è rotto anch'esso, perché queste due parti della caviglia sono legate insieme da robusti legamenti. In alcuni casi ci può essere anche una frattura del malleolo mediale. Quanto più è grande il pezzo rotto, tanto più la parte posteriore della caviglia può essere instabile. Alcuni studi hanno dimostrato che se il pezzo è più grande del 25 % di tutta la superficie articolare della tibia, la caviglia diventa instabile e deve essere trattata con la chirurgia. È importante per una frattura del malleolo posteriore di essere diagnosticata e trattata adeguatamente a causa del rischio di sviluppare l'artrosi in futuro. La porzione posteriore della tibia, dove l'osso del malleolo posteriore si rompe è coperta di cartilagine. La cartilagine è la superficie liscia che disegna la linea articolare. Se il pezzo rotto di osso è più grande di circa il 25 % di tutta la caviglia, ed è fuori posto per più di un paio di millimetri, la superficie dell'articolazione non guarirà correttamente e la superficie della cartilagine non sarà liscia. Questa superficie irregolare porta normalmente ad una maggiore e scorretta pressione sulla superficie articolare, che col tempo conduce al danno della cartilagine e allo sviluppo di artrosi.

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Trattamento non chirurgico.

Se la frattura non è scomposta e la caviglia è stabile, può essere trattata senza intervento chirurgico.

Il trattamento può essere con un gesso di gamba o con un tutore rimovibile. Ai pazienti in genere si consiglia di non mettere alcun peso sulla caviglia per 6 settimane.

Trattamento chirurgico.

Se la frattura è scomposta o se la caviglia è instabile, la chirurgia potrà essere consigliata. Sono disponibili per il trattamento delle fratture malleolari posteriori diverse opzioni chirurgiche. Una possibilità è quella di inserire viti applicate dalla parte anteriore della caviglia. Un'altra opzione è quella di applicare una placca con viti posizionate lungo la parte posteriore della tibia. In alcuni casi di fratture del malleolo posteriore la chirurgia artroscopico-assistita è una validissima opzione per aiutare la riduzione sempre molto difficile di queste fratture. L'utilizzo di microtelecamere e strumenti miniaturizzati introdotti attraverso piccole incisione della pelle, innanzitutto evita che il Chirurgo proceda a grosse incisioni posteriori aggiuntive, poi consente una microriduzione di questo importantissimo frammento di frattura.

FRATTURE BIMALLOLARI

"Bimalleolare" significa che due delle tre parti o malleoli della caviglia si sono rotte. Nella maggior parte dei casi di frattura bimalleolare, il malleolo laterale ed il malleolo mediale si sono rotti e la caviglia non è stabile. Le fratture bimalleolari sono fratture instabili e possono essere associate ad una lussazione (dislocazione) della caviglia.

Trattamento non chirurgico.

Queste lesioni sono considerate instabili e la chirurgia di solito è il trattamento più corretto. Il trattamento non chirurgico può essere considerato se si hanno problemi di salute, dove il rischio dell'intervento chirurgico può essere troppo grande, o se prima della frattura non camminavate per altre malattie. Il trattamento in genere consiste in una stecca per immobilizzare la caviglia fino a quando il gonfiore si risolve. Poi verrà confezionato un gesso corto di gamba definitivo. Il gesso può essere sostituito di frequente man mano che la caviglia continua a sgonfiarsi. Avrete bisogno di vedere il vostro medico regolarmente per ripetere le radiografie per assicurarsi che la frattura della vostra caviglia non si scomponga ulteriormente. Nella maggior parte dei casi, il carico non sarà consentito per 6 settimane. Dopo 6 settimane, la caviglia può essere protetto da un tutore rimovibile per il tempo necessario alla completa guarigione.

Trattamento chirurgico.

Il trattamento chirurgico spesso è consigliato perché queste fratture rendono la caviglia instabile. Le

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fratture del malleolo mediale e laterale sono trattate mediante l'associazione delle stesse tecniche chirurgiche descritte in precedenza per ogni singola frattura elencata.

FRATTURE TRIMALLEOLARI

Frattura Trimalleolare significa che tutti e tre i malleoli della caviglia si sono rotti. Queste sono le lesioni più

instabili e spesso si associati ad una lussazione (dislocazione) della caviglia.

Trattamento non chirurgico

Queste lesioni sono considerate instabili e quindi la chirurgia di solito è il trattamento più indicato.

Come nel caso di fratture di caviglia bimalleolari, il trattamento non chirurgico può essere considerato se si hanno problemi di salute, dove il rischio dell'intervento chirurgico può essere troppo grande, o se prima della frattura non camminavate per altre malattie.

Il trattamento non chirurgico è simile a quello per le fratture bimalleolari, come descritto sopra.

Trattamento chirurgico

Ogni frattura verrà trattata con le stesse tecniche chirurgiche come descritto in precedenza per ogni singola frattura.

TRAUMA DELLA SINDESMOSI

L'articolazione della sindesmosi si trova tra la tibia e il perone, ed è tenuta insieme da legamenti. Una lesione della sindesmosi può essere solo al legamento (questa è nota anche come distorsione alla parte alta della caviglia). A seconda di quanto la caviglia è instabile, queste lesioni possono essere trattate senza intervento chirurgico. Tuttavia, queste distorsioni richiedono più tempo per guarire rispetto ad una normale distorsione alla caviglia. In molti casi, una lesione sindesmosica si associa alle fratture malleolari. Queste sono lesioni instabili che fanno molto male, senza trattamento chirurgico. Generalmente una lesione della sindesmosi converrà trattarla chirurgicamente applicando una o due viti tra la tibia ed il perone per proteggere il legamento rotto e tenerlo in posizione durante la sua guarigione. Queste viti saranno poi rimosse in anestesia locale ed in regime di Day Hospital dopo 4-6 settimane. Durante questo periodo verrà consigliato di non poggiare sull'arto operato ma comunque sarà possibile iniziare il programma riabilitativo di mobilizzazioni della caviglia. Poiché quasi tutte le fratture del malleolo laterale si associano ad una lesione della sindesmosi, questa procedura chirurgica sarà eseguiti in molti casi di fratture della caviglia.

Nota bene: il trattamento chirurgico di queste fratture spesso è procrastinato di 5-15 giorni per consentire alla caviglia di essere ben sgonfia. La caviglia sarà controllata dal vostro chirurgo ortopedico che deciderà quando sarà arrivato il momento giusto per intervenire: questo riduce moltissimo i rischi di infezione e deiscenza della cute.

In alcuni casi di gravi fratture lussazioni trimalleolari chiuse o esposte (cioè quando l'osso fratturato buca e fuoriesce dalla pelle), le condizioni della cute della caviglia sono talmente compromesse che sarà necessario applicare un Fissatore Esterno (cioè un sistema di viti e fili metallici collegati con delle barre all'esterno della caviglia) che terrà la caviglia immobile per tutto il periodo necessario a che il gonfiore si risolva e la situazione dei tessuti molli diventi matura per la chirurgia.

Prognosi

Poiché esiste una vasta gamma di lesioni, vi è anche una vasta gamma di risultati. Ci vogliono almeno 6 settimane perché le ossa rotte guariscano. Come accennato in precedenza, il vostro ortopedico probabilmente monitorerà la vostra guarigione ossea con ripetute radiografie. Questo è in genere fatto più spesso durante le prime 6 settimane se la chirurgia non è stata eseguita. Anche se la maggior parte delle persone torneranno alle normali attività quotidiane, tranne che per lo sport, entro 3 o 4 mesi, studi scientifici hanno dimostrato che le persone possono ancora essere in ripresa fino a 2 anni dopo la loro

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fratture di caviglia. Potrebbero essere necessari diversi mesi per non zoppicare più, o perché si possa tornare allo sport a livello agonistico. La maggior parte delle persone torneranno a guidare tra le 9 e le 12 settimane dal momento in cui sono procurate una frattura della caviglia.

Riabilitazione

La riabilitazione è molto importante a prescindere da come una frattura alla caviglia è stata trattata. Quando il vostro ortopedico vi consentirà di iniziare a muovere la caviglia, la riabilitazione e i programmi di esercizio a casa diventeranno molto importanti. Eseguire gli esercizi regolarmente è la chiave del successo del trattamento.

Non vi sarà consentito di poggiare il piede in terra per 1 mese circa e fino a rimozione della vite sindesmosica. Dopo 1 mese circa inizierete il carico parziale con stampelle (circa il 50% del vostro peso) per 1 mese ancora. All'inizio del terzo mese dovreste essere in grado di abbandonare gradualmente le stampelle e di caricare completamente. Se tutto è andato per il meglio la ripresa sportiva inizierà tra il terzo ed il sesto mese a seconda della gravità della frattura (più veloce per le fratture di un singolo malleolo, più lenta per le fratture bi o trimalleolari).

Anche dopo che la frattura è guarita, il medico può raccomandare di indossare una cavigliera per diversi mesi durante le attività sportive.

Complicazioni

Le persone che fumano, hanno il diabete, o le persone anziane sono a più alto rischio per le complicazioni dopo un intervento chirurgico, tra cui i problemi di cicatrizzazione. Questo perché le loro ossa e la loro pelle richiederanno più tempo per guarire.

Trattamento non chirurgico

Senza chirurgia, vi è il rischio che la frattura si sposterà prima che guarisca. Questo è il motivo per cui è importante seguire il programma raccomandato dal vostro ortopedico. Se i frammenti di frattura all'inizio erano scomposti di 2mm o più oppure se all'inizio erano composti ma durante il trattamento (soprattutto quello non chirurgico) si muovono fuori posto e le ossa guariscono in quella posizione, si parla di un "vizio di consolidazione". Il trattamento per questa complicanza è determinato da quanto le ossa si sono spostate e da come la stabilità della caviglia sarà poi alterata. Se si verifica un vizio di consolidazione o se la caviglia diventa instabile dopo la guarigione dell'osso, questo col tempo può portare ad artrosi della caviglia.

Rischi del trattamento chirurgico

Rischi generali:

� Infezione: l'infezione delle ferite chirurgiche è il rischio più elevato nel trattamento di questo tipo di fratture e questo è dovuto al fatto che le ossa della caviglia normalmente sono coperte da un sottile velo di tessuti molli. Questo rischio diventa molto elevato quando la chirurgia viene effettuata senza aver aspettato un congruo periodo di tempo che abbia ridotto in modo significativo l'edema e gli ematomi del trauma e ci può volere anche una settimana perché questo succeda e la chirurgia diventi più sicura.

� Sanguinamento. � Dolore. � Coaguli di sangue nelle vene delle gambe (trombi). � Danni ai vasi sanguigni, tendini o nervi.

I rischi specifici:

� Difficoltà con la guarigione ossea. � Infezione dell'articolazione. � Dolore in corrispondenza delle placche e delle viti utilizzate per fissare la frattura:

generalmente se i metalli utilizzati per fissare la frattura non danno fastidio, conviene lasciarli in sede. Essi

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non daranno problemi per tutta la vita. Capita però che, soprattutto la placca esterna al malleolo del perone, possa dare fastidio perché la pelle che la copre è molto sottile e indossando le calzature il paziente abbia fastidio. In quel caso si potrà procedere alla rimozione del mezzo di fissazione, intervento semplice veloce e molto poco rischioso.

DISTORSIONI DELLA CAVIGLIA:

sono eventi estremamente frequenti, soprattutto tra gli sportivi (si calcola che negli USA si verifichino 27000 distorsioni tibio-tarsiche al giorno, in Italia circa 5000). La maggior parte delle distorsioni avviene in inversione (vedi figura sotto), poche in eversione : infatti, siccome il malleolo laterale (epifisi distale del perone) è più lungo del malleolo mediale (della tibia) e permette così una maggiore stabilizzazione, è più facile che si realizzi un meccanismo in inversione (il piede si porta verso l’interno) coinvolgendo i legamenti laterali; più raramente si verifica invece una distorsione in eversione, conseguentemente alla quale viene lesionato quel grosso e robusto fascio mediale che è il legamento deltoideo. Ne consegue che il compartimento legamentoso più frequentemente interessato sia quello esterno (di solito il primo legamento ad essere lesionato è il peroneo-astragalico anteriore e successivamente il peroneo-calcaneare), meno spesso il danno avviene a carico di quello interno (legamento deltoideo). Gli sport più frequentemente incriminati sono pallavolo, basket, calcio e corsa.

La maggior parte delle distorsioni viene trattata con un trattamento incruento: si effettua un bendaggio (ad esempio taping funzionale) oppure si utilizzano tutori semirigidi, e successivamente, si sottopone il paziente ad un programma di riabilitazione propriocettiva. Più raramente si effettua un gesso. Tenendo l’articolazione a riposo e in scarico, infatti, il legamento col tempo cicatrizza. Magari non raggiunge la stessa capacità del legamento iniziale, ma rinforzando la muscolatura e dando al paziente un buon assetto propriocettivo si raggiunge un buon risultato. Anche per quanto riguarda le lesioni legamentose, la chirurgia è estremamente rara: una volta esclusa una possibile frattura da strappo o da impatto dei malleoli mediale e peroneale all’RX, il trattamento è ancora un bendaggio funzionale oppure un tutore. Il trattamento chirurgico di ricostruzione lo si effettua generalmente solo in professionisti di alto-altissimo livello che devono recuperare molto velocemente. Nelle forme croniche, in quei pazienti che non sono stati trattati adeguatamente e nei quali residua una lassità o addirittura un’instabilità, è possibile ricostruire con una plastica il legamento esterno ed il

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legamento mediale. Il trattamento incruento risulta comunque alquanto efficace nella maggior parte dei casi: secondo gli studi, infatti, i soggetti che dopo aver avuto una distorsione ed essere stati trattati in modo incruento si trovano, più avanti nel tempo, a dover effettuare una revisione con ricostruzione legamentosa non sono più del 5% (quindi una bassa percentuale).

ROTTURA DEL TENDINE D’ACHILLE:

E’ il tendine più robusto del corpo. La sua lesione è tipica “dell’atleta della Domenica”, quel soggetto di età media (tra i 30 e i 45 anni) che fa una partita a calcetto una volta a settimana senza riscaldamento e senza allenamenti infrasettimanali, e che spesso ha anche avuto delle tendinopatie nel corso della sua storia: è un soggetto con un tendine ancora funzionale, ma meno resistente, per cui potrà rompersi con minor forza.

La rottura si manifesta classicamente col “segno della sassata”, quel dolore acuto e improvviso che dà la sensazione che qualcuno abbia tirato un sasso o una pugnalata nella caviglia, inoltre si aggiunge l’impotenza funzionale (non ci si riesce più a sollevarsi in punta di piedi). Per il trattamento, è possibile seguire molte strade. Come confermano recenti studi americani, un tendine lesionato, grazie alla potenza rigenerativa del peritenonio (che generalmente rimane integro), è in grado di guarire autonomamente semplicemente riducendone i capi e mettendo un gesso in equino a gambaletto. Si farà poi la fisioterapia a distanza di breve tempo. Altri autori sostengono però che un tendine così trattato va incontro ad un maggior rischio di lesionarsi nuovamente nel tempo: di conseguenza negli ultimi anni, soprattutto nei pazienti più giovani e sportivi semi-professionisti/dilettanti, si tende ad effettuare una ricostruzione del tendine d’Achille tramite una tenorrafia percutanea (chirurgia mini-invasiva, di basso impegno per il paziente e che permette un ritorno alle attività sportive nel giro di “breve” tempo, ossia 4-6 mesi): si avvicinano i due capi del tendine, si suturano e si lascia la caviglia con il tensionatore a riposo in scarico dentro una valva per 45 giorni. Dopo 20 giorni si inizia la riabilitazione e i risultati sono estremamente buoni. In alternativa, si può fare una chirurgia open: gli studi su atleti professionisti dicono che dà migliori risultati e volendo si può fare anche un rinforzo con un legamento artificiale oppure con una plastica tendinea.

ARTROSI DELLA CAVIGLIA:

Introduzione

Il termine artrosi indica la degenerazione della cartilagine articolare cioè un processo che ne determina la progressiva distruzione. È una patologia molto frequente nella popolazione perché colpisce soprattutto le persone anziane che, con

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l’allungamento della vita media, sono sempre più numerose. Tuttavia può interessare anche persone in età relativamente giovane, dopo un trauma che abbia lesionato la cartilagine, come ad esempio una frattura della caviglia. In ambulatorio ortopedico è molto frequente visitare persone affette da un’artrosi a livello del ginocchio o dell’anca ma molto meno comunemente a livello della caviglia.

Anatomia

L’articolazione della caviglia è formata da tre ossa: le prime due sono il perone e la tibia, che sono le due ossa della gamba (la gamba in anatomia è la parte di arto inferiore al di sotto del ginocchio) e dall’astragalo che è un osso del piede posto proprio sopra il calcagno (cioè l’osso che forma il tallone).

All’interno dell’articolazione troviamo la cartilagine cioè quello strato liscio e lucido che ricopre la superficie di un osso che partecipa a formare un’articolazione. Con la sua superficie molto liscia e levigata, la cartilagine offre un piano di scorrimento ideale tra le ossa che altrimenti avrebbero un attrito troppo elevato per il corretto funzionamento di un’articolazione. L’articolazione è racchiusa dalla capsula articolare, formata da tessuto fibroso molle ma resistente e impermeabile. All’interno della capsula troviamo il liquido sinoviale con funzione di lubrificante e nutriente della cartilagine. La stabilità della caviglia è determinata dalla sua particolare forma a incastro e dai legamenti che la circondano lungo tutti e quattro i lati.

Come si rovina la cartilagine?

A differenza dell’osso che ha notevoli proprietà di riparazione, la cartilagine articolare non ha capacità rigenerative dopo una sua lesione. La cartilagine con cui nasciamo è destinata a essere la stessa per tutta la nostra vita. L’artrosi di un’articolazione può essere il risultato naturale dell’invecchiamento o la conseguenza di un trauma come ad esempio una frattura della caviglia.

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Quando una frattura dell’osso si estende nell’articolazione, la cartilagine è inevitabilmente danneggiata. Più il trauma è grave e maggiore sarà la sofferenza della cartilagine e quindi maggiore il rischio di sviluppare una forma precoce di artrosi. Dopo un trauma alla caviglia è possibile che uno o più frammenti di cartilagine, a volte anche di dimensioni considerevoli, vaghino nell’articolazione, causando dolore quando camminiamo, episodi di blocco articolare o persistente gonfiore dell’articolazione. Una lesione della cartilagine può essere anche molto estesa e profonda diversi millimetri con, nei casi più gravi, esposizione diretta dell’osso nell’articolazione. La cartilagine inoltre può essere seriamente danneggiata anche a causa di malattie reumatiche come ad esempio l’artrite reumatoide oppure dopo un’infezione dell’articolazione.

Esistono dei fattori di rischio?

I fattori di rischio più comuni per lo sviluppo dell’artrosi sono il mal allineamento dell’articolazione e l’obesità. Ogni kilogrammo di sovrappeso rappresenta uno sforzo aggiuntivo che le articolazioni di anca, ginocchio e caviglia sono costrette a subire. Sappiamo inoltre che alcune persone ne sono colpite con maggiore facilità a causa della predisposizione familiare. Il ruolo della genetica nello sviluppo dell’artrosi non è ancora completamente chiarito ma i sempre più numerosi studi a riguardo, ci aiuteranno a comprenderlo nel prossimo futuro. Il tipo di attività lavorativa o sportiva può influenzare la comparsa precoce o meno di un’artrosi in termini di micro- o macrotraumatismi ripetuti che possono quindi danneggiare la cartilagine.

Sintomi

Il dolore e la rigidità di un’articolazione sono le manifestazioni più classiche dell’artrosi. Il dolore può diventare sempre più costante durante la giornata fino a essere presente anche a riposo, quando non camminiamo. L’articolazione può diventare gonfia, deformata e dare la sensazione di qualcosa che gratta all’interno, quando si prova a muovere il piede. In alcuni casi è possibile avere una sensazione di instabilità articolare quando camminiamo, come se la caviglia non fosse più in grado di sopportare il nostro peso.

Diagnosi

Il medico deve potervi visitare e capire come sono iniziati i vostri disturbi. Segnalate al medico se avete avuto un trauma importante alla caviglia nel corso della vostra vita. Fate presente al medico se avete una malattia reumatica o se ne sono affetti i vostri parenti diretti. In caso di dubbio il medico prescriverà degli esami del sangue per escludere una possibile componente reumatica. E’ indispensabile fare una radiografia, preferibilmente non sul lettino ma mentre state in piedi (per vedere se il peso del corpo accentua la deformazione dell’articolazione). La visita e la radiografia sono le sole cose necessarie nella maggior parte dei pazienti. Ricordate che la TAC e la Risonanza Magnetica non sono generalmente utili salvo in casi particolari. Trattamento

Dopo avere inquadrato la forma di artrosi da cui siete affetti, il medico prescriverà una terapia per contrastare i sintomi dolorosi. Tra le soluzioni più comunemente adottate, troviamo:

� Antidolorifici-antiinfiammatori: ne esistono tanti tipi. È importante segnalare al medico se soffrite di gastrite o ulcera gastrica. Fate sempre sapere al medico se avete delle allergie o se esistono altre patologie che sconsiglino l’uso di questi farmaci.

� Glucosamina solfato e condroitin solfato (sono delle componenti normalmente presenti nella cartilagine articolare, ora disponibili anche sotto forma di pastiglie. La loro efficacia è tuttora dubbia).

� Scarpe ortopediche. � Terapia fisica (TENS, Tecar, Laser ad alto potenziale, ecc.).

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� Infiltrazioni di cortisone: è un’iniezione in articolazione con del cortisone e dell’anestetico locale. La loro efficacia è generalmente buona ma limitata nel tempo. È bene puntualizzare che le iniezioni articolari di cortisone, a qualunque livello siano fatte, possono dare, se in numero eccessivo, un’ulteriore sofferenza della cartilagine nonché un’alterazione della colorazione della cute nella zona dell’iniezione.

� Infiltrazione di acido ialuronico: come la precedente ma a base di un composto che si trova normalmente già nell’articolazione. Ha lo scopo di ridurre l’infiammazione e lubrificare le superfici articolari. Non esiste ancora un’evidenza scientifica sulla loro reale efficacia.

Il trattamento chirurgico è riservato ai pazienti con una forma di artrosi molto dolorosa, che non hanno avuto alcun beneficio da altri tipi di trattamento.

L’intervento chirurgico può prevedere:

� Artroscopia: si usa una piccola telecamera per vedere all’interno dell’articolazione e rimuovere

eventuali frammenti di cartilagine e tessuto infiammatorio. Può trovare indicazione nei casi meno gravi di artrosi. La sua efficacia è tanto minore quanto più grave è l’artrosi.

� Protesi di caviglia: si eseguono dei sottili tagli ossei per rimuovere la parte consumata dell’articolazione e poter collocare una componente metallica sulla tibia ed una sull’astragalo. Tra queste due componenti viene inserito uno spessore in plastica molto resistente all’usura.

� Artrodesi dell’articolazione: un’artrodesi è la fusione di un’articolazione. In questo caso la caviglia sarà permanentemente rigida ma almeno il paziente può camminare senza dolore. E’ un tipo di operazione con degli ottimi risultati, stabili nel tempo. Quest’ultima metodica può essere eseguita anche sotto controllo artroscopico (tecnica mini-invasiva).

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PATOLOGIE PIU’ FREQUENTI DELL’AVAMPIEDE:

1. ALLUCE VALGO

2. ALLUCE RIGIDO (ARTROSICO)

3. DITO A MARTELLO

4. NEUROMA PLANTARE DI MORTON

5. METATARSALGIA DA SOVRACCARICO

1. ALLUCE VALGO:

l’alluce valgo si manifesta come una deformità del primo dito del piede, appunto proprio dell’alluce, che ne determina una deviazione in senso laterale della falange, verso quello che è l’interno del piede; insomma, per intenderci, dirigendosi verso il secondo dito del piede. A tale deviazione si aggiunge infatti una ulteriore circostanza visibile a occhio nudo, ossia la cosiddetta “cipolla”.

Con tale denominazione si fa riferimento a una tumefazione dolorosa che si realizza nella parte interna del piede, e che altro non è se non una borsite, conseguenza dell’alluce valgo. Essa è una infiammazione che è causa dello sfregamento contro la calzatura.

Da questa situazione possono derivare lesioni cutanee, o anche deformazioni che interessano anche il secondo dito, e a volte pure il terzo. Peggio ancora, possono verificarsi lesioni osteoarticolari che possono avere anche ripercussioni sulle ginocchia e sulla schiena.

Eziologia:

Cause primarie, o congenite, che si sviluppano in specie durante l’accrescimento, e che hanno dunque matrice ereditaria (per esempio il piede piatto valgo, precedenti in famiglia, maggiore predisposizione delle donne, ecc.). Cause secondarie, o acquisite, che derivano molto spesso e in particolare da altre patologie. Come abbiamo avuto modo di accennare poco sopra, esistono alcune cause cosiddette secondarie o acquisite per le quali vi è il rischio concreto di incappare nella patologia di alluce valgo; e vogliamo specificare che spesso queste possono aggravarsi in base al tipo di calzatura utilizzato dalla persona. Al

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contempo, abbiamo anche sottolineato come tale patologia colpisca in maggior numero le donne, invece che gli uomini.

Una semplice somma matematica dei due elementi qui sopra ricordati potrà rendere chiaro quale sia la principale tipologia di calzatura che determina il rischio maggiore di aggravamento di alluce valgo: la scarpa col tacco, o le scarpe strette in punta. In particolare, le scarpe con un tacco alto in maniera eccessiva, e possiamo definire come eccessiva una scarpa che ha un tacco di lunghezza variabile tra i 12 e i 14 centimetri. Tali scarpe pongono il piede in una posizione innaturale, che determina forzosamente uno spostamento del peso del corpo in avanti, e dunque neutralizza lo scopo proprio del piede di distribuire in maniera uniforme il peso sul suolo. Ciò comporta dunque l’avvio di una catena di conseguenze le quali, una dopo l’altra, portano appunto alla patologia di alluce valgo che in questo sito abbiamo deciso di trattare.

Diagnosi:

Normalmente la storia clinica del/la paziente con una radiografia in due proiezioni (eventualmente anche in carico) sono sufficienti per poter fare diagnosi. Solo raramente vengono richiesti ulteriori accertamenti come TAC, RMN, esame baropodometrico o elettromiografie per escludere altre problematiche.

Trattamento:

Nella fase iniziale il trattamento dell'alluce valgo può essere di tipo conservativo: si prescrive l'uso di calzature idonee o di eventuali plantari e divaricatori.

Nei casi più gravi o nell'ipotesi in cui il trattamento conservativo non sia sufficiente, andrà valutato un intervento chirurgico per la correzione dell' alluce valgo. E' meglio intervenire in una fase iniziale della patologia piuttosto che in una fase più avanzata: l'operazione chirurgica può diventare più complessa a causa di possibili peggioramenti dovuti all'artrosi. ��Esistono più di 126 tecniche chirurgiche per correggere l' alluce valgo, molte delle quali obsolete o non adeguate sotto il profilo dei risultati.

Va poi sgombrato il campo da numerosi equivoci: per una efficace correzione dell'alluce valgo è sempre

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necessario ricorrere al taglio dell'osso e al suo corretto riposizionamento (c.d. osteotomia). Pertanto, non esiste la possibilità di operare con il laser per correggere il difetto di cui trattasi. Per quanto riguarda le tecniche artroscopiche, anche queste non sono in grado di risolvere il problema dell'alluce valgo, poiché come per il ginocchio e la caviglia possono essere soltanto utilizzate per curare infiammazioni o patologie della cartilagine.

Le tecniche chirurgiche attualmente più utilizzate si dividono in due categorie: interventi “a cielo aperto” e interventi “mini-invasivi”. Sarà il Chirurgo ortopedico con il paziente a decidere il tipo di intervento in base alla gravità della patologia, dell’età della persona e delle richieste funzionali. Fra le tecniche tradizionali a cielo aperto la più utilizzata presso la nostra unità operativa è quella di Austin, mentre fra quelle mini-invasive è quella di Boesch.

Normalmente l’intervento viene eseguito in regime di Day Hospital e prescritto l’uso di una calzatura particolare con la quale il paziente può camminare caricando sul tallone. La durata della convalescenza varia da una tecnica chirurgica e l’altra: abitualmente si eseguono medicazioni periodiche, e un controllo radiografico e clinico dopo 30-40 giorni per poi concedere il carico podalico completo utilizzando inizialmente scarpe comode a punta larga e associando della fisioterapia per il recupero articolare, muscolare e propriocettivo della deambulazione. Dopo 6-8 settimane si può riprendere a guidare l’auto e leggere attività sportive (ballo, corsa, ecc.).

2. ALLUCE RIGIDO (ARTROSICO):

Viene definito come alluce rigido l’artrosi primaria o secondaria dell’articolazione metatarso falangea del primo raggio (l’articolazione alla base del primo dito). È caratterizzato da scarsa mobilità dell’articolazione associata a dolore e spesso alla presenza di osteofiti dorsali tra la testa del primo metatarso e la base della falange prossimale che rendono difficile il movimento di estensione dell’alluce durante la camminata.

Questa patologia colpisce circa il 2% della popolazione con una netta prevalenza, a differenza dell’alluce valgo, degli uomini sulle donne tra i 30 e i 60 anni di età.

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Cause dell’alluce rigido

Esistono numerosi fattori intrinseci e non che concorrono alla formazione dell’alluce rigido: � Primo dito del piede lungo responsabile di ripetuti microtraumi per il contatto con la calzatura; � Forma piatta della testa del primo metatarso che modifica e altera il movimento normale

dell’articolazione metatarso-falangea favorendo la comparsa di un artrosi primaria; � Pronazione del metatarso con alterato angolo di incidenza al suolo e insufficienza meccanica; � Lesioni osteocondrali della testa del primo metatarso; � Malattie sistemiche (gotta, reumatismi), infiammatorie (es. artrite reumatoide), traumatologiche o

insuccessi di precedente intervento (es. alluce valgo).

Terapia A seconda dello stadio di degenerazione dell’articolazione metatarso-falangea, possono essere indicate ai paziente diverse soluzioni. L’obiettivo è diminuire il processo infiammatorio locale e intraarticolare. Nei casi più lievi, può essere sufficiente l’assunzione di farmaci anti infiammatori e/o terapie fisiche oltre che la riduzione delle forze di estensione dell’articolazione metatarso falangea ottenuta con la scelta di calzature adeguate (es. a suola rigida e tipo balance), sufficientemente larghe e comode per non creare conflitto e costrizione alla regione dell’alluce. I pazienti che non trovano beneficio dall’impiego dei metodi sopra descritti e che radiograficamente mostrano un alluce rigido in uno stadio avanzato, con dolore articolare importante, ridotta funzionalità e mobilità e che intendono mantenere uno stile di vita attivo e dinamico, possono essere sottoposti al trattamento chirurgico. Gli atti chirurgici descritti di seguito, possono essere effettuati tutti o in parte a seconda del livello di rigidità.

Esostosectomia globale: Liberazione dell’articolazione metatarso falangea con eliminazione degli osteofiti. Decompressione della capsula articolare, aumento dell’arco di movimento e diminuzione del dolore.

Osteotomia cuneiforme della prima falange: L’esecuzione dell’osteotomia aumenta l’estensione dell’articolazione MF a seguito dell’accorciamento del primo dito con conseguente diminuzione di ripetuti microtraumi e effetto biologico di diminuzione della pressione intravascolare a livello della falange.

Osteotomia cuneiforme del primo metatarsale: Si ottiene lo stesso effetto dell’osteotomia eseguita nella falange con aumento dell’estensione ed effetti biologici a livello metatarsale.

Artrodesi della articolazione metatarso falangea dell’alluce: Quando la decompressione chirurgica dell’articolazione metatarso-falangea dell’alluce è inefficace o la sintomatologia dolorosa è importante, come avviene nelle artrosi avanzate, nelle patologie autoimmunitarie come l’artrite reumatoide, nelle lesioni post-traumatiche, ecc, si ricorre alla fissazione chirurgica dei capi articolari. Il blocco dell’articolazione viene eseguito mantenendo una leggera estensione metatarso falangea per permettere una normale andatura durante la marcia e consentire l’uso di un modico tacco.

Condro- o cheiloplastica secondo Valenti: Questa tecnica chirurgica è particolarmente indicata nelle forme avanzate di artrosi nelle persone giovani ed attive. Prevede l’asportazione della base della base della prima falange dell’alluce e la ricostruzione di una superficie articolare con un “trapianto” di cartilagine recuperata dal pezzo resecato (in alternativa si può recuperare anche un trapianto per esempio dal ginocchio come si fa in altri interventi di ricostruzione della cartilagine articolare).

Protesi totali o parziali: Vengono proposte nelle forme in cui la cartilagine articolare è completamente distrutta, e consiste nell’asportare la superficie articolare rovinata ed inserirvi la protesi che normalmente è metallica.

Decorso post-operatorio: E’ sovrapponibile a quello dell’alluce valgo.

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3. DITO A MARTELLO:

Il dito a martello è una deformazione caratterizzata da una flessione della articolazione interfalangea prossimale e da una iperestensione dorsale della articolazione metatarso-falangea e della articolazione interfalangea distale che dispone il dito come il martelletto del tasto del pianoforte da cui deriva il nome.

Oltre ad un difetto estetico, ben visibile, queste deformità sono causa di infiammazione, forte dolore e arrossamento nel punto di contatto con le calzature. L’attrito porta alla formazione di calli dorsali o plantari che possono sfociare in lesioni ulcerative ed infezioni. La causa principale del dito a martello è uno squilibro muscolo-tendineo che porta al piegamento del dito. Inizialmente vi è la degenerazione e la successiva rottura della capsula articolare metatarso-falangea che aumenta l’instabilità e la predisposizione a sviluppare la deformità. Altra causa può essere un dito eccessivamente lungo che in scarpe strette e dall’attrito viene forzato a piegarsi. Occasionalmente può essere legato ad un trauma, ad una condizione ereditaria, a patologie reumatiche, nervose o anche ad esiti di precedenti trattamenti chirurgici e non.

Terapia

Quando l’utilizzo di scarpe comode, l’impiego di protettori in silicone o di altri dispositivi a protezione della zona dolorosa interessata non portano un benefico sollievo al paziente, è necessario ricorrere all’intervento chirurgico. L’intervento avviene in regime di Day Hospital, con anestesia tronculare eseguita in corrispondenza delle dita interessate o loco-regionale. A seconda del caso clinico del grado di deformità la correzione delle dita può avvenire mediante la semplice tenotomia dei flessori e/o degli estensori ormai privi della loro funzionalità o combinate con un’osteotomia alla base della falange. In casi più gravi si esegue la fusione tra prima e seconda falange (artrodesi) e perciò vengono inseriti temporaneamente dei chiodini metallici e dopo circa 1 mese sfilati (procedimento indolore!). Il decorso post-operatorio è sovrapponibile a quello dell’alluce valgo.

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4. NEUROMA PLANTARE DI MORTON:

Il neuroma di Morton, un aumento di volume provocato da un'irritazione cronica di uno dei nervi interdigitali dei piedi, più frequentemente quello che passa fra il secondo e il terzo e quello fra terzo e il quarto dito. Il fenomeno prende il nome dal chirurgo americano Thomas George Morton, che nell'Ottocento descrisse per primo questa sindrome dolorosa, chiamata anche neurinoma di Morton, nevralgia di Morton, sindrome di Morton, metatarsalgia di Morton. Niente a che vedere con forme tumorali: il neuroma, però, con il passare del tempo provoca lo sviluppo di tessuto cicatriziale fibroso attorno al nervo che può raggiungere le dimensioni di un'oliva.

Cause:

le cause primarie dello sviluppo del neuroma di Morton sono tuttora sconosciute. È però accertato che alcuni fattori scatenanti possono favorire e accentuare il disturbo. Questi i principali: uso di calzature non adeguate (per esempio, nelle donne, l'indossare per molto tempo scarpe con tacco alto o con le punte eccessivamente strette); scompensi di tipo posturale; disturbi a livello neurologico; alluce rigido; alluce valgo; sovraccarico dell'avampiede; alterazioni morfologiche del piede (come piede cavo e piede piatto); lassità dei legamenti; artrite reumatoide; microtraumi al piede, leggeri, ma ripetuti; sport su superfici non idonee, calzature anti-infortunistiche.

Sintomi:

i sintomi tipici del neuroma di Morton sono dolori e bruciori, anche violenti, sotto la pianta del piede, tali da costringere talvolta a togliersi la scarpa. Nei casi più seri si ha l'impressione di avvertire una scossa. Con il tempo il dolore diventa costante, soprattutto quando si cammina, si sta in piedi per molto tempo, si indossano scarpe strette o tacchi alti, o quando si praticano attività sportive che sollecitano la compressione del nervo interdigitale. Diagnosi:

individuare il neuroma di Morton non sempre è facile. Innanzitutto è necessario escludere problemi di altra natura, spesso responsabili di dolori e infiammazioni, come per esempio la metatarsalgia, uno stato doloroso di una o più ossa dell'avampiede, o l'alluce valgo, e le artrotenosinoviti. Lo specialista in ortopedia può consigliare una radiografia per visualizzare la struttura del piede o un esame baropodometrico computerizzato per misurare il carico su ciascun punto di appoggio dei piedi. Importante è anche la storia clinica del paziente: i sintomi e il loro protrarsi nel tempo sono indicativi di un disturbo piuttosto che di un altro. Esclusi problemi di altra natura, l'esame più idoneo alla diagnosi del neuroma di Morton resta l'ecografia dinamica con compressione manuale delle ossa alla base delle dita, le cosiddette teste metatarsali. Questa tecnica ecografica si è dimostrata negli anni come la più affidabile, grazie anche al miglioramento tecnologico delle attrezzature usate. Esercitando una leggera pressione sull'avampiede, si costringe l'eventuale neuroma a fuoriuscire dallo spazio intermetatarsale, quello cioè

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compreso tra le dita del piede, in modo da visualizzarlo meglio con la sonda ecografica. L'ecografia è considerata un'indagine di primo livello e può essere talvolta completata da una risonanza magnetica nucleare.

Trattamento:

negli stadi iniziali, quando il neuroma di Morton è recente e molto piccolo, la cura può essere rappresentata da un plantare realizzato su misura dopo l'esame baropodometrico. D'aiuto sono anche sedute di fisioterapia, terapie farmacologiche con antinfiammatori per bocca o sotto forma di cerotti medicati, infiltrazioni di farmaci cortisonici. La chirurgia però resta l'unica soluzione definitiva. Quando il neuroma raggiunge dimensioni importanti e la sintomatologia si presenta resistente alle terapia conservative è consigliabile procedere con la neurectomia. Praticata un'incisione, sul dorso (preferibile) o sulla pianta del piede, si raggiunge e si asporta con il bisturi il nervo interdigitale. L'operazione non provoca alcun problema al movimento delle dita, perché il nervo interessato ha caratteristiche solo di tipo sensitivo: l'unico effetto è che le due dita fra le quali passava il nervo perdono parzialmente la sensibilità cutanea. Generalmente si esegue l’operazione in Day Hospital. Il decorso post-operatorio dura circa tre settimane, durante le quali si indossano calzature tipo “Talus” (usate anche per molte altre patologie dell’avampiede) ed è concesso l’appoggio sul tallone. Il ritorno alla normalità avviene dopo circa un mese.

5. METATARSALGIA DA SOVRACCARICO:

Con il termine di “metatarsalgia” si definisce un quadro clinico ad eziopatogenesi multipla, caratterizzato da dolore localizzato alla regione plantare in corrispondenza di una o più teste metatarsali.

Tale patologia predilige notevolmente il sesso femminile, sia per una non ben chiara predisposizione congenita, sia per l’influenza negativa che esercita la calzatura, ed in particolare il tacco alto e la punta stretta, elementi che determinano un sovraccarico ed uno squilibrio sull’avampiede. Il quadro clinico è caratterizzato da: � callosità cutanea, conseguenza del sovraccarico, esprime fedelmente, meglio e prima di qualunque

altro dato strumentale, la topografia della localizzazione del sovraccarico stesso; � dolore localizzato a livello della zona plantare; � se lo stimolo traumatizzante persiste la borsite reattiva si trasforma in “igroma” e “necrosi”; � rare e tardive sono le lesioni ossee (“fraPure da durata” a carico di uno o più metatarsi).

Diagnosi:

L’ esame radiografico di un piede affetto da metatarsalgia va eseguito con proiezioni dorso-plantare e latero-laterale, con e senza appoggio.

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La podoscopia a trans-illuminazione consente la visualizzazione diretta, tramite la trans-illumina- zione, delle zone di sovraccarico in corrispondenza delle teste metatarsali. La baropodometria elettronica permette chiaramente di definire la distribuzione del carico nell’ambito della superficie di appoggio del piede ed in particolare dell’avampiede individuando le zone di sovraccarico.

L’esame podoscopico e baropodometrico inoltre, oltre che per un preciso inquadramento diagnostico, sono indispensabili per la valutazione dei risultati ottenuti con il trattamento instaurato sia esso ortesico o chirurgico.

Trattamento: Il trattamento con plantare correttivo va attuato nelle forme iniziali con scarsa sintomatologia dolorosa ma evidente sintomatologia obiettiva, come callosità e duroni. Tale trattamento può essere anche realizzato nelle forme dolorose gravi, allo scopo di alleviare la sintomatologia dolorosa a livello dell’avampiede. Condizione indispensabile per l’ottenimento di un buon risultato è l’utilizzazione di un plantare correttivo “costruito su misura” in carico con materiale morbido per ottenere un effetto ammortizzante. La realizzazione personalizzata del plantare permette di correggere adeguatamente i carichi di appoggio statico e dinamico dell’avampiede mediante l’ausilio di “zone di scarico”. Frequentemente si associano anche terapie anti-infiammatorie farmacologiche e con la fisioterapia. Il trattamento chirurgico va riservato ai casi dolorosi gravi che non hanno tratto alcun benefico dopo trattamento conservativo. Il trattamento chirurgico delle metatarsalgie consiste in resezioni ed osteotomie (tagli correttivi delle ossa interessate) metatarsali selettive o globali. Sarà il chirurgo ortopedico a spiegarvi il migliore intervento per il vostro caso.

Il compito di realizzare un corretto riallineamento metatarsale è quindi affidato al carico precoce. L’anestesia è loco-regionale, spinale o generale, valutata da caso a caso dal medico anestesista. La degenza ospedaliera è normalmente di 24-48 ore. Dopo pochi giorni il paziente inizia la deambulazione con scarpa “talus”. Dopo 30 giorni si esegue una radiografia di controllo.

Comunque la convalescenza con ritorno alla vita normale raramente è inferiore ai 2 mesi. Per la ripresa di attività sportive che coinvolgono intensamente i piedi bisogna aspettare almeno 4-6 mesi.