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Max Scheler Percorsi interpretativi Claudio Zuccaro

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Max SchelerPercorsi interpretativi

Claudio Zuccaro

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I edizione: gennaio 2008

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Indice

Indice delle abbreviazioni usate nel testo ......................................................... 7

Capitolo primo – Scheler e la scuola fenomenologica 1.1. Un mondo di essenze ............................................................................. 9 1.2. Il fatto fenomenologico .......................................................................... 12 1.3. L’a priori in Scheler ............................................................................... 15 1.4. L’etica materiale e il mondo dei valori .................................................. 18 1.5. Il sentire affettivo e l’amore ................................................................... 22 1.6. L’ordine degli interessi umani ............................................................... 26

Capitolo secondo – La persona

2.1. La stratificazione della vita emozionale e il mondo dei valori .............. 31 2.2. La persona individuale ........................................................................... 37 2.3. Le direzioni intenzionali e gli atti etici .................................................. 44 2.4. Il Dio personale e l’incontro con i “Wertmodelle” ................................ 46 2.5. La persona comune ................................................................................ 54 2.6. Le diverse forme d’essere della persona comune .................................. 57

Capitolo terzo – La nozione di risentimento in Nietzsche, Scheler Freud

3.1. Nietzsche e il risentimento ..................................................................... 63 3.2. Scheler e la fenomenologia del risentimento ......................................... 73 3.3. La struttura formale del risentimento e il movimento della rimozione

(Verdrängung) ....................................................................................... 78 3.4. Scheler, Freud, Nietzsche: il movimento della Verdängung nell’edifi-

cazione delle morali ............................................................................... 82 3.5. La rilevanza onto–fenomenologica del risentimento nelle analisi

scheleriane ............................................................................................. 89 Capitolo quarto – Risentimento, utilitarismo ed intuizione del mondo

4.1. L’equivoco nietzschiano e l’umanitarismo moderno ............................. 93 4.2. L’umanitarismo moderno ...................................................................... 97 4.3. Utilitarismo e morale ............................................................................. 100

Capitolo quinto – Interesse, disinteresse, amore

5.1. La riforma dell’intenzionalità ................................................................ 113 5.2. Tra essenza ed esistenza ........................................................................ 116 5.3. L’ek–stasi ............................................................................................... 120 5.4. Sfere d’essere e resistenza ..................................................................... 123

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Indice 6

5.5. L’ekstasi e lo spirito .............................................................................. 129 5.6. L’impotenza dello spirito ....................................................................... 135 5.7. La posizione dell’uomo nel cosmo ........................................................ 138 5.8. Interesse e disinteresse .......................................................................... 144

Capitolo sesto – L’uomo come “mikrotheos”

6.1. L’uomo e Dio nell’ultimo Scheler ......................................................... 149 6.2. L’amore come relazione ontologica ...................................................... 154

Conclusioni ....................................................................................................... 163 Bibliografia

Opere di Max Scheler ................................................................................... 171 Traduzioni italiane ........................................................................................ 174 Opere su Max Scheler in italiano ................................................................. 176 Opere di altri autori su Max Scheler utilizzate nel testo ............................... 183 Altre opere .................................................................................................... 186

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Indice delle abbreviazioni usate nel testo

Der Formalismus Form. Essenza della filosofia EDF Phänomenologie und Erkenntnisstheorie PUE Lehre von den drei Tatsachen LDT Ordo amoris OA Absolutsphäre und Realsetzung… ARG Vorbilder und Führer VUF Zur Metaphysik des Menschen ZMDM Erkenntnis und Arbeit EUA Il risentimento nell’edificazione… REM L’idea cristiana dell’amore ICDA Essenza e forme della simpatia EFDS Weltanschauung filosofica WF Idealismus–Realismus IR La posizione dell’uomo nel cosmo PUC Amore e conoscenza AEC Sociologia del sapere SDS Über Phänomenologie (A. Reinach) UP

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Indice 8

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Capitolo primo

Scheler e la scuola fenomenologica

1.1. Un mondo di essenze In genere si colloca il nome di Max Scheler insieme a quello di

Husserl e dei discepoli della sua scuola, tra i fondatori di quel metodo filosofico che prende il nome di fenomenologia. Scheler tuttavia non volle mai essere considerato propriamente un husserliano, riteneva che l’incontro con il padre riconosciuto della scuola fenomenologica, fos-se solo la coincidenza dello svolgersi parallelo di una indagine filoso-fica pervenuta alle medesime conclusioni. Un metodo filosofico peral-tro atto ad indagare una delle regioni proprie della ricerca speculativa, ovvero quel mondo di essenze posto al di là di ogni determinazione temporale.

Del resto ci troviamo nel contesto della prima scuola fenomenolo-gica, quella cosiddetta ad orientamento realistico, che si sviluppò in-nanzitutto presso l’Università di Monaco per opera di A. Pfänder, per poi congiungersi al gruppo di Gottinga legato al primo Husserl e ai suoi allievi (Reinach, Stein, Ingarden, Conrad–Martius, ecc.). Scheler entrò in contatto con entrambi i mondi, legando amicizia con uomini, quali ad es. D. von Hildebrand, che gli resteranno vicini per tutto il corso controverso, e per certi versi contraddittorio, della sua vita.

Anche per Scheler, dunque, la conoscenza filosofica si caratterizza come scienza di essenze, come noumenologia, in pratica, un’opera di recupero di uno dei temi più cari alla tradizione filosofica classica. Un salto a ritroso che egli riteneva necssario dopo le opere decostruttrici dell’intero corso della filosofia compiute tanto dai così detti “maestri del sospetto”, quanto dal “relativismo” dilteyano, atto a circosrivere l’esperienza filosofica a luogo di incontro di diverse Erlebnisse spo-

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Capitolo primo 10

gliandola pertanto di ogni possibile contenuto speculativo proprio. Non solo, ma la marea montante della mentalità, oltre che della cultu-ra, positivistica, sembrava, a sua volta, ridurre l’esperienza filosofica a mero strumento della ricerca scientifica, espropriandole così ogni pro-prio oggetto di indagine che non fosse la pura, utilitaristica conoscen-za empirica dei fenomeni, atta a determinarne le condizioni di ripro-ducibilità, al fine di un dominio sempre più esteso dell’ambito feno-menico. Escluso ogni possibile noumeno dalla realtà, l’indagine sem-brava rivolgersi, al meglio, ad un trascendentalismo di tipo neokantia-no, dove tutta l’indagine speculativa sembrava ridursi alla mera inda-gine dei fenomeni, alla pura apparenza di essi, senza alcun interesse per ogni qualsiasi problema di natura noumenologica.

In Scheler, come negli altri filosofi dei circoli di Monaco e di Got-tinga, si sviluppò invece il progetto di un nuovo ambito di ricerca non solamente circoscritto a quanto è trascendentale nell’ordine delle sole condizioni di possibilità, ma anche di quanto era stato ritenuto tra-scendente le possibilità della ragione stessa, ma non per questo eludi-bile, secondo la scuola fenomenologica realistica, dall’indagine filoso-fica: esiste un’evidenza del mondo del Sosein (dell’esser–così, dell’essere che non può essere altrimenti da ciò che è) in quanto sor-gente, origine, scaturigine di ogni possibile Dasein (di ogni essere–qui). Un mondo di quiddità, lo definiranno i fenomenologi della prima scuola husserliana, archetipo, modello, forma del mondo degli enti fat-tuali.

Certamente non può sfuggire l’impostazione classica della prima fenomenologia, che non può non far pensare a Platone, a Sant’Agosti-no, ai grandi della tradizione neoplatonica, laddove il mondo degli enti sensibili altro non era se non la traduzione fattuale del mondo degli enti sovrasensibili, metafenomenici. Del resto in diverse opere della scuola fenomenologica di quegli anni è facile rinvenire espliciti rife-rimenti a Platone, quasi una necessaria ripresa della filosofia dalle ori-gini, un ritorno alle sorgenti del pensiero, per ridefinire un corretto rapporto tra l’indagine speculativa e il suo oggetto più proprio di ri-cerca.

Per Scheler, poi, la fenomenologia si caratterizzò, da subito, non solo come puro metodo di indagine filosofica, ma anche come vero e proprio atteggiamento esistenziale da assumere di fronte al

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Scheler e la scuola fenomenologica 11

reale1. Un modus vivendi, un’estetica di vita nuova, in grado di porci in immediato contatto con i contenuti ultimi della realtà. Un modo nuovo di guardare al mondo e alle cose del mondo, ponen-doci in una condizione, filosoficamente ultima, di ascolto delle cose presenti. Un ascoltare che concorrerà a rendere possibile il dischiudersi di quel mondo di enti reali posto al di là dei limiti di quanto è temporale. Cosicché, potremmo dire, che in Scheler, quel tanto amato dai fenomenologi ritorno all’intuizione (Einsicht, An-schauung) come strumento primo dell’indagine filosofica, si ca-ratterizzò immediatamente con dei contenuti più esistenziali, per la sua attenzione manifestata da subito alla schöne Seele, come precondizione fondamentale per la stessa intuizione filosofica, che lo collocò subito prossimo alla grande tradizione romantica, dalla quale, come vedremo, non se ne distaccò mai. Secondo Scheler, pertanto, al filosofo sarà richiesta una capacità di intensa implica-zione esistenziale con l’oggetto del suo conoscere, senza la quale ogni ascolto del reale riuscirebbe impossibile. Uno stupore quoti-diano suscitato dall’impatto con il reale, che determina lo spinger-si del filosofo al di là dei limiti del tempo. Una quotidiana, ver-rebbe voglia di dire, esperienza del sublime, dove lo scienziato delle essenze viene sollecitato prepotentemente al suo ruolo di “archeologo” della verità, di scopritore del fascino ultimo delle cose, a partire da una facoltà di ascolto del reale sollecitata da un implicarsi, filosoficamente ultimo, del ricercatore con l’oggetto

1 Per la storia del movimento fenomenologico, H. Spiegelberg, The Phenomenological Movement. A Historical Introduction, The Haghe, 1982 (I ed. 1960). Più recente il libro di E. Stoeker/P. Janssen, Phänomenologische Philosophie, Freiburg/München 1989, in particolare su Scheler, pp. 161 ss. cfr. anche M. Scheler, Phänomenologie und Erkenntnistheorie, GW Bd.10,Bonn 1986. L’autore spiega: «An erster Stelle ist Phänomenologie weder der Name für eine neue Wissenschaft noch ein Ersatzwort für Philosophie, sondern der Name für eine Ein-stellung des geistigen Schauens, in der man etwas zu er–schauen oder zu er–leben bekommt, was ohne sie verborgen bleibt: nämlich ein Reich von Tatsachen eigentumlicher Art. Ich sage Einstellung ― nicht Methode. Methode ist ein zielbestimmtes Denkverfahren über Tatsachen, z.B. Induktion oder Deduktion. Hier aber handelt es sich erstens um neue Tatsachen selbst, die vor aller logischen Fixierung liegen, zweitens um ein Schauverfahren […]. Das Erlebte und Er–schaute ist gegeben nur in dem er–lebenden und er–schauenden Akt selbst, in seinem Vollzug: es erscheint in ihm, und nur in ihm», p. 380. Ulteriori interessanti delucidazioni sulla scuola fenomenologica e sul “metodo” fenomenologico realistico, in A. Reinach, Über Phä-nomenologie, in SW, Muenchen 1989, vol. I, oppure J. Seifert, Back to “Things in Themsel-ves”. A phenomenological foundation for classical realism. Boston London Henley, 1986.

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della sua ricerca. Un lasciarsi cadere del genio filosofico nella vo-ragine aperta tra la visione delle cose propria del senso comune degli uomini e di quella della comunità scientifica, e la visione nelle cose (autentica Ein–sicht) specifica dell’indagine fenomeno-logica22: un seguire il fluire della realtà, lo scorrere delle cose del mondo, dalla loro foce (il Dasein) alla loro sorgente (le essenze, il mondo delle Wesenheiten).

1.2. Il fatto fenomenologico Diventa quindi fondamentale comprendere con quale atto saranno

portate ad evidenza le essenze, cioè definire quel fatto entro il quale le essenze stesse immediatamente si manifestano, ovvero quel evento che determina l’avvenimento stesso della realtà, il dischiudersi dei termini ultimi di essa, quel “tornare alle cose stesse” vero e proprio manifesto della sensibilità fenomenologica.

Un “fatto fenomenologico”, cioè “puro”, scrive Scheler, è quel fat-to che diviene reale attraverso un atto di intuizione immediata, che nel darsi stesso del fenomeno, manifesta il che cosa, il quid, della realtà. Tale quid è autodato all’esperienza stessa3. Nel Formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, Scheler afferma: «L’esperienza fenome-nologica è quella in cui non vi è alcuna frattura fra ciò che è pensato e ciò che è dato […]. Nella coincidenza di pensato e dato, si apre il con-tenuto dell’esperienza fenomenologica»4. Al suo sorgere la fenomeno-logia si sforzò di mostrare che sia le essenze, sia le loro così dette in-terconnessioni essenziali, vengono date a priori, cioè prima di ogni e-sperienza induttiva. Da un tale assunto, Scheler conclude che l’espe-rienza fenomenologica conduce ai contenuti ultimi del reale e che fa

2 M. Scheler, Lehre von den drei Tatsachen, in Schriften aus dem Nachlass I. Zur Ethik und Erkenntnistheorie, GW, Bd.10, Bonn 1986. Scheler spiega: «Phänomenologische Erfa-hrung in diesem Sinne gibt also ― im Unterschiede von aller nichtphänomenologischen Erfa-hrunge, d.h. der natürlichen Weltanschauung und der wissenschaftlichen Erfahrung ― die Ta-tsachen selber und unmittelbar, d.h. ohne Symbole, Zeichen» p. 433. Su tale argomento si ve-da anche J. Seifert, op. cit., pp. 47–52 e pp. 223–251.

3 M. Scheler, LDT, op. cit., p. 433; cfr. dello stesso autore, Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik, GW. Bd. 2, München/Bern 1980, pp. 67–72.

4 M. Scheler, Formalismus, op. cit., p. 70.

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ciò direttamente, senza la mediazione di alcunché di simbolico5. L’esperienza fenomenologica è, pertanto, asimbolica ed immediata. In tal guisa che «è nella coincidenza tra ciò che è inteso e ciò che è dato, che il fenomeno si manifesta ed il contenuto dell’esperienza fenome-nologica è compiuto»6. Pervenendo così al piano dell’evidenza, ove il quid ultimo delle cose irradia la sua luce “nello spirito stesso”, «anzi, vi è presente esso stesso come correlato di un atto intenzionale, quan-do si realizza la piena unità tra i contenuti di ogni atto di pensiero e di intuizione»7.

Per la prima generazione di fenomenologi esiste un legame, a sua volta di natura essenzialistica, tra la nostra coscienza e ciò che si ma-nifesta fenomenicamente, che precede ogni costruzione logica della relazione stessa, e che anzi la rende possibile. Naturalmente è necessa-rio astrarre dal «fattuale compimento dell’atto e da tutti quei fenomeni concomitanti che non adeguano il senso e la direzione dell’atto stesso, come da tutte le particolari caratteristiche di colui che lo compie (ani-male, uomo, Dio)», inoltre, bisogna eludere «ogni posizione (credere o non credere) del determinato coefficiente di realtà con il quale il contenuto dell’atto è dato nella percezione naturale e in quella scienti-fica (attualità, apparenza, immaginazione, illusione)»8. In tal modo, «solo ciò che noi troviamo ivi ancora immediatamente presente, cioè il contenuto di questa essenza dato nell’esperienza vissuta di essa, di-

5 Per un’ampia discussione sulla fenomenologia come forma a–simbolica di conoscenza:

P. Good, Anschauung und Sprache. Vom Anspruch der Phaenomenologie auf asymbolische Erkenntnis, in Aa.Vv., Max Scheler im Gegenwartsgeschehen der Philosophie, Bern 1975, p. 124 ss.

6 A tal riguardo precisa G. Ferretti, Max Scheler I: Fenomenologia e antropologia perso-nalistica, Milano 1972: Se non si presuppone più, oltre al dato o fenomeno, un “essere in sé” non dato, ecco che il fenomeno acquista la sua valenza originaria di ciò che è in se stesso e per se stesso conosciuto, di ciò che è “inteso” come termine “intenzionale” dell’atto conosci-tivo, p. 39. Su tali questioni poi appare ancora oggi fondamentale il contributo di W. Poell, Wesen und Wesenserkenntnis.Untersuchungen mit besonder Berücksichtigung der Phänome-nologie Husserls und Schelers, München 1936.

7 M. Scheler, Vom Ewigen im Menschen, GW, Bd.5, Bern/München 1968, p. 17. 8 M. Scheler, PUE, op. cit., p. 394. Relativamente alle questioni sulla intenzionalità, risul-

tano importanti i contributi di F.W.von Herrmann, Der Begriff der Phänomenologie bei Hei-degger und Husserl, Frankfurt am Main 1982, soprattutto alle pagine 38 ss., e lo scritto di P. Emad, Heidegger and the Phenomenology of Values.His Critique of Intentionality, Glen Ellyn 1981, dove ampio spazio è dedicato alle questioni scheleriane.

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Capitolo primo 14

viene oggetto di analisi fenomenologica»9. Secondo Scheler, che su questa particolare questione non muterà di molto atteggiamento nel corso degli anni (anche quando verrà ad affinarla ricorrendo a concetti prossimi a quelli di epoché e di riduzione fenomenologica, finanche ad ammettere, in veste diversa, principi quali quello dell’intenzionalità), il fatto fenomenologico è intuizione di essenze (Wesensschau), il luo-go ove è possibile il dischiudersi del mondo stesso delle essenze e del-le loro relazioni. Inoltre, proprio in virtù di quanto detto, l’esperienza fenomenologica diviene essa stessa l’esperienza prioritaria, ove l’es-senza è colta come dato di fatto (Tatsachen), privo di ogni mediazione simbolica, come altrimenti invece accade tanto nell’esperienza quoti-diana della realtà, quanto in quella scientifica10.

A tale scopo è essenziale, per Scheler, l’implicarsi autentico, e filo-soficamente ultimo, dell’uomo con l’essere, che costituisce il presup-posto irrinunciabile della filosofia. Senza di esso non sarebbe possibile né l’esperienza intuitiva, né l’emergere della determinazione “inten-zionale”, che in quanto tale resterebbe oscurata e latente, schiacciata dalle determinazioni quotidiane o scientifiche del mondo. Per tale mo-

9 M. Scheler, Ibidem A tal riguardo, cfr. anche J. Seifert, Essere e Persona, Milano 1990, che scrive: Il senso di reductio, in Bonaventura si riferisce ancora ad un altro fenomeno ed ha ancora un altro significato: Ricondurre, porre in relazione all’origine. In questo senso una ‘reductio’ ci condurrebbe semplicemente a riconoscere la fonte ultima, il valore, il significato o il fine di un essere o di una sfera di conoscenza. La fenomenologia, in quanto arte di vedere le essenze in ciò che esse sono in se stesse, ci permette così di ridurre là dove la riduzione è necessaria, ma anche di smascherare tutte le forme illegittime di riduzione attraverso cui i fe-nomeni essenzialmente distinti sono erroneamente identificati (61). Interessante e fondamen-tale per la ricostruzione della “reductio” in Scheler, il contributo di E. Ave’–Lallemant, Die phänomenologische Reduktion in der Philosophie Max Schelers, in Aa.Vv., Max Scheler im Gegenwartsgeschehen der Philosophie, op. cit.

10 Nella prima fase della riflessione scheleriana, quella più propriamente realistica, la no-zione di reductio resta legata alla tradizione aperta da San Bonaventura. Nell’uso di una pos-sibile riduzione fenemenologica, inerente al suo metodo, Scheler prende le distanze tanto dal-la maggior parte degli stessi fenomenologi realistici, ai quali il concetto resta del tutto estra-neo, quanto dalla modalità propriamente husserliana di introdurla come puro fenomeno della coscienza (a tal riguardo, E. HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Torino 1981.). Nella posizione scheleriana è possibile rinvenire, ancora in nuce, un progressivo distanziarsi di Scheler dagli altri orientamenti fenomenologici, imprigio-nati, a suo dire, nella contrapposizione di realismo e idealismo. Le osservazioni critiche rela-tive alla riduzione fenomenologica husserliana, per lo più contenute in opere tarde quali Er-kenntnis und Arbeit, oppure Idealismus–Realismus, rivelano lo sforzo scheleriano di affran-carsi da un’indagine fenomenologica imbrigliata in quella contrapposizione, e, allo stesso tempo, l’intenzione di percorrere un itinerario proprio.

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tivo, più avanti negli anni, Scheler continuerà a classificare platoni-camente l’esperienza filosofica, come un’eterna morte, e a qualificare l’esperienza esistenziale dell’essere filosofo come un’attitudine asceti-ca, la sola in grado di rendere possibile quella capacità di ascolto ne-cessaria per ogni autentico filosofare. Si tratta pertanto di un atto inte-grale dell’uomo il filosofare, determinato da vero amore alle strutture essenziali del reale, laddove l’atto stesso di implicarsi in modo radica-le con la realtà diviene il vero “intenzionale” dell’atto filosofico e lad-dove la “fuga dal mondo”, di platonica memoria, si colora dei termini di una necessaria ascesi determinata dall’amore stesso all’essenzialità costituente il reale.

In Scheler, quindi, la visione d’essenza acquista il più alto valore conoscitivo, essa diviene il vertice di ogni possibile filosofare, costi-tuisce il culmine di un puro atto d’amore, poiché solo in essa si realiz-za una piena coincidenza di intenzione e datità, che libera il procedere da ogni approccio puramente induttivo. Per lui, la Wesensschau per-mette una conoscenza d’essenze, che ha validità per ogni ente così come esso è in se stesso11.

1.3. L’a priori in Scheler Come abbiamo visto, la visione d’essenza (Wesensschau) è un

atto di natura intuitiva che, come Scheler osserva, ha validità aprio-rica. Tuttavia come intendere l’ a priori all’interno dell’opera sche-leriana?

Definiamo con a priori tutte quelle unità di significato e proposizioni che si presentano in se stesse come oggetto di un’intuizione immediata, indipenden-temente da ogni posizione sia del soggetto che le pensa e della sua presenza

11 In proposito, A.R. Luther, in The Articulated Unity of Being, in Aa.Vv., Max Scheler

(1874–1928).Centennial Essays, Den Haag 1974, scrive: The effort, then, in Scheler’s phe-nomenology is not to reduce something else, or to explain something away, or to demonstrate the proof of something, but to account for ‘everything’ as it discloses itself in concrete expe-riencing (p. 5). Sullo stesso argomento, cfr. anche H.H. Meyer, Max Scheler’s Unterstanding of the Phenomenological Method, in “International Studies in Philosophy”, 19 n°1, 1987, pp. 21–31.

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Capitolo primo 16

reale, sia dell’oggetto di riferimento. È necessario, pertanto, prescindere da ogni posizione, incluse quelle di reale e non–reale, illusione o realtà, ecc.12. Ne consegue che per la fenomenologia realistica ogni volta che si è

in presenza di essenze e delle loro possibili relazioni (reciprocità, uni-lateralità, oppure, per quanto riguarderà i valori, il più alto o il più basso in ordine alla loro scala gerarchica), la verità delle proposizioni, che si radicano nelle essenze, è del tutto indipendente dagli ambiti di conoscenza, ove sono determinanti l’osservazione e la descrizione. Per questa ragione, Scheler potrà dire che le essenze e le loro possibili re-lazioni (le Wesenszusammenhänge) sono a priori, ovvero costituiscono delle preesistenze a–temporali rispetto ad ogni esperienza possibile. A tal proposito, nel Formalismo, egli scrive: «L’a priori non dipende dalle proposizioni e neppure dalle forme di tali proposizioni o atti. Al contrario, esso appartiene interamente al dato e alla sfera dei fatti»13. In tal guisa che è possibile asserire che in Scheler l’a priori e il quid di un dato fenomeno coincidono. In una sorta di puro rovesciamento del-la tradizione kantiana di quanto è trascendentale, ora l’a priori non de-termina solo la forma di una condizione di possibilità, ma è di diritto iscritto nella relazione fenomenologica come dato di fatto (Tatsachen), come residuo della relazione d’essenza possibile. Questione assoluta-mente problematica, che sarà al centro delle attenzioni e del dibattito suscitato all’interno della scuola fenomenologica dalla pubblicazione delle Idee di Husserl, la nozione di a priori viene risolta da Scheler nella sfera dei fatti fenomenologici dove essa è rilevabile, in tal modo che essa stessa ne è frutto diretto14.

Abbiamo osservato quanta importanza assuma, all’interno del me-todo scheleriano il ricorso alla visione d’essenza. Essa infatti permette di cogliere ― in una qualsiasi regione d’essere ― le qualità e le strut-ture essenziali del mondo. In Scheler, poi, discepolo della grande tra-

12 M. Scheler, Form., op. cit., p. 67. Sulla teoria dell’a priori nella prima generazione di

fenomenologi, si sofferma J. Seifert nel già citato Essere e Persona, alle pp. 101–102. 13 M. Scheler, Form., op. cit., p. 68. 14 Sull’argomento importanti appaiono le considerazioni sul dato fenomenologico che a-

vanza G. Ferretti, in op. cit., alle p. 37 ss.

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dizione classica, i processi intuitivi sempre condurranno, e troveranno il loro compimento, nella contemplazione del cosmo delle essenze15.

Un’essenza, o quiddità ― spiega Scheler ― è in questo senso, in quanto tale, né universale, né particolare […]. Le differenze tra universale e particolare emergono soltanto in relazione agli oggetti nei quali un’essenza viene colta. Così un’essenza diviene universale se viene colta in una pluralità di oggetti differenti come essenza identica tra essi. L’essenza può per altro verso, costi-tuire anche la natura di una cosa individuale senza cessare di essere essenza16. La tesi di Scheler indica che, all’interno di un fenomeno, è oppor-

tuno distinguere tra l’essenza del fenomeno in quanto tale e ciò che invece può valere per determinare l’essenza di fenomeni simili. Lo scopo sarebbe quello di evidenziare come la posizione di Kant rispetto alla forma dei fenomeni risulti inadeguata, prigioniera com’è della di-stinzione tra formale ― identificato con il puro a priori ― e materiale ― a sua volta identificato con l’a posteriori. Invece è nel dato residua-le dell’esperienza fenomenologica che diviene possibile, secondo Scheler, animare e vivificare le strutture noumenologiche della realtà. Vi è un dato materiale attuale che non rende la ragione vittima dei li-miti categoriali imposti dall’intelletto, ma la libera, attraverso la sua capacità intuitiva, di essere tramite diretto con le strutture essenziali del mondo. Tale è l’esperienza fenomenologica e il fatto fenomenolo-gico che l’accompagna, come processo relazionale di natura apriorica che invece di prescindere dai dati materiali attuali, è proprio in essi che è in grado di cogliere la natura essenziale del reale.

Inoltre, la posizione Kantiana, agli occhi della prima fenomenolo-gia, si rivelerebbe ancor più insufficiente, nel momento in cui avanze-rebbe la pretesa di volere «l’a priori di interconnessioni tra oggetti e stati di cose (Sachverhalten) ridotto a prodotto di una attività sponta-nea di connessione o di una pura sintesi operante nel caos del dato»17. Si vuole così riaffermare la priorità, ancora una volta, dell’esperienza fenomenologica, l’unica in grado di cogliere il quid, l’essenza, l’a prio-

15 Cfr. sullo stesso argomento, W. Poell, op. cit., p. 25 ss. ; ed anche P. Emad, op. cit., pp. 8–10.

16 M. Scheler, Form., op. cit., p. 68; ed anche PUE, pp. 395–396. 17 M. Scheler, Form., op. cit., p. 84; Cfr. anche le pagine che M. Heidegger dedica all’a

priori in Gesamtausgabe, Bd. 20, p. 99 ss.

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ri, il Sosein di un dato fenomeno. Pertanto, argomenta Scheler, quei giudizi che sono meno formali nell’ambito degli a priori e che trovano il loro compimento solo attraverso il massimo di contenuto intuitivo materiale, non sono, proprio in virtù di quanto fin qui affermato, meno strettamente apriorici.

Sarà possibile pertanto rintracciare strutture aprioriche anche all’in-terno della sfera emozionale dello spirito, ove Kant vi aveva visto solo caos pulsionale, da plasmare in virtù dell’unica ragione intuitiva pos-sibile che egli aveva riconosciuto, quella pratica, intimamente legata al darsi immediato della legge morale e quindi dall’imperativo categori-co. Ora invece la pretesa di un ordine apriorico materiale libera l’analisi del filosofo da tali angusti ambiti e gli permette di indagare quel territorio dell’io fino allora confinato alla pura sensibilità indivi-duale, scevra da interesse filosofico18. Cosicché, seguendo il metodo scheleriano, diverrà possibile rintracciare relazioni aprioriche, e quindi essenziali, anche in atti quali il preferire, il posporre, l’amare, l’odiare, ecc. tutti segnavia per determinare quell’ambito, mai sufficientemente indagato, che egli nomina come il mondo delle evidenze del cuore.

1.4. L’etica materiale e il mondo dei valori In relazione al nesso tra etica materiale e valori, nodo che costitui-

sce uno dei momenti centrali della riflessione scheleriana, l’autore scrive:

Tutti i valori (inclusi i valori di bene e male) sono qualità materiali ordinate tra loro secondo l’alto e il basso; ciò indipendentemente dalle forme d’essere nelle quali entrano, siano esse qualità pure, ovvero, membri di rapporti di va-lore (il preferire, l’esser bello di qualcosa), oppure, momenti parziali di beni, ancora, nella forma di valore che una cosa possiede. In ciò si costituisce

18 La scoperta di un contenuto a priori della vita della coscienza emozionale viene presen-

tata da M. Scheler, Form., op. cit., p. 82, come segue: Auch das Emotionale des Geistes, das Fühlen, Vorziehen, Lieben, Hassen, und das Wollen hat einem ursprünglichen apriorischen Gehalt, den es nicht vom ‘Denken’ erborgt, und den die Ethik ganz unabhängig von der Logik aufanweisen hat. Es gibt einem apriorischen ordre du coeur, oder logique du coeur, wie Blai-se Pascal Treffend sagt. Importanti chiarimenti a riguardo, anche nell’opera di N. Hartmann, Etica I. Fenomenologia dei costumi, ed. it. Napoli 1969, pp. 147–151.

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l’indipendenza ultima dell’essere dei valori relativamente a cose, beni e stati di cose (Sachverhalte), che giunge a chiara evidenza in un insieme di dati di fatto (Tatsachen)19. I valori sono, quindi, qualità materiali indipendenti dalla forma

d’essere nella quale si presentano. Benché tali qualità materiali impli-chino una manifestazione nel tempo, il loro modo di essere apriorico ― essere disvelato nell’esperienza temporale del singolo ― conferi-sce loro uno statuto assoluto ed extratemporale. Analogamente, Plato-ne sosteneva che da cose, oggetti o persone che ci ricordano il bene, non è possibile risalire meccanicamente all’essenza del bene20. In pro-posito, Scheler ricorre a numerose esemplificazioni miranti a mostrare l’assoluta indipendenza dell’essere di valore da beni o persone. Valori come il piacevole, infatti, oppure, il nobile, o l’elegante si presentano, inizialmente, come qualità afferenti a persone o cose; ciò non implica che quei valori, però, siano proprietà esclusive ed inseparabili da esse. A tal riguardo, spesso, all’interno della prima generazione di fenome-nologi, si tornava ad un caso ritenuto esemplare: i colori. Benché, in-fatti, ogni colore è legato all’oggetto nel quale si presenta, esso ne mantiene, tuttavia, una peculiare indipendenza. In proposito, A. Rei-nach ― personalità di spicco della prima scuola fenomenologica ― spiegava:

In questo istante posso guadagnare la certezza che l’arancione stia, riguardo alla sua qualità, tra il rosso e il giallo, solo riuscendo ― in virtù di un atto di intuizione ― a cogliere chiaramente le essenzialità che loro corrispondono, senza che io debba essere guidato da una percezione sensibile, che mi do-vrebbe condurre in un qualsivoglia luogo del mondo, ove sia possibile esibire un caso di arancione, di rosso e di giallo21.

19 M. Scheler, Form., op. cit., p. 39 ss.; importanti delucidazioni ci provengono dal libro

fondamentale di M.S. Frings, Person und Dasein. Zur Frage der Ontologie des Wertseins, Den Haag 1969, lavoro centrato in particolare sull’ultima parte della vita e dell’opera di Sche-ler, che fornisce contributi utili alla comprensione anche del primo periodo “realista”, cfr. in particolare pp. 7–13.

20 Benché ormai datato, non perde il suo fascino il testo di E. Paci, Pensiero, esistenza, valore, Milano 1940, opera che contribuì non poco alla diffusione delle teorie assiologiche, e al dibattito intorno alla nozione di valore. In particolare, riguardo Scheler, p. 62 ss.

21 A. Reinach, UP, op. cit., pp. 395–396.

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Scheler sostiene, inoltre, con riferimento però ad un diverso ambi-to conoscitivo, che si cadrebbe in errore, qualora si volesse dedurre, per esempio, la bellezza, il fascino o l’attrattiva estetica di un vaso, di un fiore, o di un cavallo dalle loro proprietà comuni. Ogni giudi-zio estetico presuppone, quindi, un’esperienza di valore che riguar-derà rispettivamente la bellezza, il fascino, o l’attrattiva estetica; e-sperienza che non è affatto riconducibile alle semplici “proprietà comuni”. In modo analogo, nell’esperienza etica, egli sottolinea che non si prende coscienza del bene o del male, del coraggio o della co-dardia attraverso tratti costanti deducibili da fatti o persone. In pro-posito, egli aggiunge che il fatto «che un uomo o un’azione siano ri-spettabili o volgari, coraggiosi o vili, puri o colpevoli, buoni o cattivi non viene stabilito sulla base di caratteristiche costanti che possiamo rintracciare in cose od eventi»22. Non sarà possibile, pertanto, coglie-re un valore deducendolo da caratteristiche estranee alla sfera stessa dei valori. Cosicché, o un valore è appreso intuitivamente, o è ripor-tato ad un dato intuitivo attuale, in ogni caso, ciò vorrà dire che, ben-ché i valori possano essere colti in beni o persone, è solo nell’esperienza fenomenologica che essi appaiono secondo il loro contenuto essenziale autonomo23.

Con Scheler, l’esperienza fenomenologica mostra la sua capacità di chiarificazione della sfera etica ed il metodo fenomenologico tutta la sua fecondità nella descrizione dell’intera vita emozionale, dove i va-lori diverranno oggetto preferenziale di un autonomo ed indipendente ambito di intuizioni.

La determinazione di una scala di valori etici, del tutto indipenden-te dai loro portatori, diveniva ora possibile solo in virtù di quel capo-volgimento determinato dalla nuova posizione degli a priori, tendente a manifestarne l’esistenza in ogni ambito dell’agire filosofico. L’etica stessa, del resto, assumeva innanzitutto i contorni dell’esperienza fe-nomenologica di tipo etico, in grado di renderla un puro fatto fenome-nologico e quindi territorio dell’applicazione del metodo e dell’atteg-

22 M. Scheler, Form., op. cit., pp. 36–37. 23 Scheler respinge con forza l’idea di un innatismo dei valori; nella direzione scheleriana,

ciò che è a priori deve essere distinto da ciò che è innato.

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giamento fenomenologici. La fenomenologia realistica, così, nel tra-sformare l’etica nel fatto etico, veniva a liberare tale ambito da ogni legame, e dipendenza, di tipo metafisico, restituendola ad un insie-me di vibrazioni emotivo–sentimentali in grado di rivelarne il suo contenuto essenziale di valore. Cosicché per la fenomenologia rea-listica, all’interno dell’esperienza etica, non diveniva essenziale il che cosa fare, né il come fare, ma solo ciò che, in ordine ad una scala preferenziale di valori, la singola esperienza etica manifesta, ovvero, il che cosa (di valore) veniva preferito (da cui dedurre, poi, il che fare e il come fare).

Si accede, così, ad una delle questioni più controverse dell’intera analisi scheleriana. Se infatti diviene essenziale il preferire, tale atto non potrà essere in alcun modo “imposto” ad alcuno. Il preferire, in quanto atto, presuppone un ordine di preferenza che, in quanto tale, è assolutamente libero. Pertanto, ecco sorgere il fondamentale problema della comunicabilità stessa dell’esperienza di valore. Come, infatti, rendere accessibile l’ordine preferenziale essenziale di valore, restan-do fedeli all’intima natura libera di ogni atto preferenziale?

Scheler insiste nel sostenere che all’esperienza etica di valore è e-straneo ogni atteggiamento razionalistico; l’intuizione etica dei valori non ha infatti un significato puramente gnoseologico. I valori stessi, poi, “esistono” solo in un mondo di esperienze ― quelle della vita emozionale dello spirito ― che sono ben distinte dalle relazioni sola-mente logiche. Non solo, ma più volte egli ci avverte che i valori vi-vono solo nell’esperienza stessa che li realizza e solamente durante il suo compiersi. Ciechi all’atteggiamento razionalistico, non è pensabile separarli dall’atto che li coglie. I valori, pertanto, si presentano solo nel realizzarsi dell’esperienza emozionale come qualità materiali di beni, persone, cose ad essa inerenti.

In questa fase del suo itinerario di pensiero, l’autore difese ad ol-tranza la relazione tra l’esperienza emozionale e il mondo dei valori. Un mondo di sentimenti puri

di cui l’oggetto non è questo o quel dato contenuto del sentimento particola-re, legato alla contingenza dei fatti, ma il contenuto di questa o quella qualità del sentimento puro. Pertanto, perché la vita morale venga riconosciuta, non bisogna dunque negare il sentimento, quanto piuttosto distinguere, nella vita emozionale, le forme pure di essa da quelle impure, senza ricondurre il sen-

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timento a pura razionalità e riconoscendo, con ciò, un apriorismo emozio-nale24.

1.5. Il sentire affettivo e l’amore Esiste, quindi, secondo Scheler, una sfera propria del mondo etico,

dove è possibile rintracciare un darsi di dati aprioristici: tale è il mon-do del sentire affettivo–emozionale, che, dopo la “rivoluzione” teore-tica operata dalla nuova nozione di contenuto apriorico materiale, ap-pare ora, in virtù dell’insieme delle qualità intenzionali che lo caratte-rizzano, quale territorio proprio dell’emergere di un cosmo di essenze di valore. Tale operazione sarà portata a termine attraverso l’indagine di un insieme di atti “intenzionali” ed emozionali, propri del mondo etico, quali il preferire, il posporre, l’amare, l’odiare. In essi i valori sono immediatamente edimmanentemente dati alla nostra percezione, secondo un altrettanto immediato ed immanente ordine gerarchico. In-fatti, la capacità che possiede la nostra coscienza di dirigersi verso un contenuto ad essa eterogeneo che gli è proprio, in campo etico signifi-ca che la nostra coscienza è immediatamente “intenzionata” verso contenuti, ad essa eterogenei, di valore. Vi saranno pertanto atti propri del mondo etico e morale in grado di manifestare contenuti di valore (secondo il loro nucleo essenziale) già posti secondo un già determina-to ordine gerarchico. In tal guisa, che tra gli atti propri a tale mondo, uno in particolare emerge per il suo ruolo assolutamente primario, cioè l’atto del preferire, ovvero l’atto in cui si media la libertà della scelta individuale e l’ordine gerarchico d’essenza secondo cui i valori si presentano e sono posti25.

24 E. Paci, op. cit., p. 63; sullo stesso argomento, anche M.S. Frings, Max Scheler. A Coin-cise Introduction into the World of a Great Thinker, Pittsburgh Louvain 1965, p. 68 ss. ; cfr. anche N. Hartmann, op. cit., p. 167, e P. Emad, op. cit., p. 133.

25 Sul problema del valore è importante anche il contributo di D. von Hildebrand, il quale, a partire dall’aver riconosciuto a Scheler d’aver posto centrale la questione dei valori (Die Bedeutung eines specifischen anschaulichen Wertfassung deckte vor allem Max Scheler auf, zuerst in seinen Vorlesungen ueber Ethik an der Universität München 1907–1909), concentrò la sua attenzione sullo specifico dell’agire morale, e, in particolare, sulla questione dello stabi-lire «die direkten und indirekten Träger des sittlichen Wertes einer Handlung» (D. von Hilde-brand, Idee der sittlichen Handlung, Darmstadt 1969, pp. 122–126), tornando, poi, più volte su problemi inerenti la conoscenza dei valori, “intuitives Wertfassen und Werterkennen”, op-

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Anche l’emozionalità dello spirito ― spiega Scheler ― ovvero il sentire af-fettivo, il preferire, l’amare, l’odiare, il volere hanno un contenuto apriorico originario, non preso in prestito dal pensiero e che l’etica ha presentato come interamente indipendente dalla logica. Vi è un apriorico ordre du coeur, cioè una logique du coeur, come dice acutamente Pascal26.

Nell’atto di preferenza accordato ad un valore, quindi, ci si apre al

nucleo essenziale dell’esperienza morale. Il preferire ― secondo Scheler ― come tipo fondamentale degli atti indicanti elevatezza di valore, non è soltanto puramente presente nella attiva decisione della volontà, ma in ogni giudizio di valore, in ogni presa di posizione. Il pre-ferire non è neppure un atto di giudizio su valori, ma un elemento primario nel percepire affettivo stesso immediato del valore27. I valori, pertanto, costituiscono qualità materiali, autonome dai loro

portatori; essi sono presenti solo nell’esperienza vissuta come estremi relazionali di atti specifici della sfera emozionale dell’uomo. L’unica possibilità di coglierli ― poiché, osserva più volte Scheler, essi non sono oggettivabili, cioè non sono compiutamente separabili dall’espe-rienza che li porta ad evidenza ― ci viene offerta da un dischiudersi intuitivo dell’esperienza vissuta stessa, attraverso una partecipazione esistenziale ed emotivamente ultima del singolo. Con ciò viene alla luce l’importanza essenziale del carattere di preferenza del valore, laddove, nel compiersi dell’atto, si manifesta il carattere gerarchico ed ordinato dell’intera scala dei valori, posizionati dal più basso al più al-to: ciò che un uomo preferisce manifesta ciò in cui crede e in una qualche misura anche ciò che egli è.

Appare evidente il richiamo scheleriano alla dimensione pascaliana della sua riflessione. L’esprit de finesse è ciò che guida l’esperienza pure sul “Wertsehen und Wertfuhlen” (D. von Hildebrand, Sittlichkeit und ethische Werter-kenntnis.Eine Untersuchung über ethische Strukturprobleme, Darmstadt 1969, pp. 131–137). Di rilievo sono inoltre le sue analisi sul tema dell’Affiziertwerden, contenute in Moralia, Re-gensburg Stuttgart 1980, pp. 68–73.

26 M. Scheler, Form., op. cit., p. 82. A tal proposito, anche N. Hartmann, op. cit., p. 87 ss. 27 M. Scheler, Zur Metaphysik des Menschen, in Philosophische Anthropologie. Schriften

aus dem Nachlass III, GW Bd.12, Bonn 1987, p. 233, dove, in questa tarda pubblicazione, e-gli scrive: Es ist aber auch der Eros, der die Wahlspären in der Wahlhandlung differenziert. In ihm beginnen sich die Wertqualitaeten von den realen Gütern loszulösen. Er wird der Quell des Vorziehens ― einer Funktion, die Tiere nicht besitzen.

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stessa dell’atto di preferenza, dove l’uomo appare solo ed unico, con la propria capacità di scegliere di fronte all’ordine di valore che gli si rivela. Tuttavia, a determinare l’esprit de finesse, anche in Scheler, è la logique du coeur che ne è il presupposto, in tal guisa che l’ordine stesso della “logica del cuore umano” apparirà speculare all’ordine della scala gerarchica di valore. Solo un cuore ordinato potrà essere veramente capace di scegliere, secondo un altrettanto ordinata scala dei valori, il vero valore di una possibile esperienza o atto.

Il richiamo all’intima connessione geometrica tra l’ordine del cuore e l’ordine della scala dei valori, porta Scheler a concludere che quando tale esperienza pura del cuore viene meno, anche le leggi di preferenza subiscono una variazione. In tal caso, il singolo preferirà ora altri va-lori rispetto a quelli precedenti, tuttavia, ciò non potrà affatto incidere sull’ordine rigorosamente gerarchico ed essenziale del loro posizio-narsi originario, che è, e resta, assolutamente apriorico e materiale.

Chiarisce N. Hartmann che l’assunto scheleriano asserisce che tali leggi di preferenza, che si contrappongono visibilmente ad ogni influenza esteriore e che dominano senza incertezza o esitazione nella profondità del sentimento umano di valore, potrebbero definirsi come il “senso della elevatezza assiologica”. Infatti ― scrive Hartmann ― esse costituiscono «il senso per un ordine ideale sui generis che non si può eguagliare con nessun altro e che non coincide dimensionalmente con nessun altro»28, e

28 N. Hartmann, op. cit., vol.II, p. 48; sulle relazioni a priori tra i valori, cfr. M. Scheler,

Form., op. ci., pp. 104–107. L’atto di preferire valori diversi per ordine di rango sulla scala dei valori, è stato discusso anche da D.von Hildebrand (D. von Hildebrand, Ethics, Chicago 1953) soprattutto in relazione al concetto di importanza nel suo nesso con la motivazione. Se-condo Von Hildebrand è improprio l’atto scheleriano che non riconosce altra motivazione morale al di là del valore, e che soprattutto non distingue tra i valori e ciò che è soddisfacente sul mero piano soggettivo. Tale assenza di distinzione e l’aver ridotto tutto ad un’unica scala di rango di valori, immanente all’esperienza stessa del valore, avrebbe preteso arbitrariamente l’estensione e l’uso di un unico comune denominatore tra atti morali, che sarebbero, per loro essenza, diversi. Il non aver distinto tra i valori in sé e ciò che è soggettivamente soddisfacen-te è dovuto, secondo Von Hildebrand, al fatto che Scheler non approfondisce la categoria dell’importanza in relazione alla motivazione. Ciò sarebbe ancor più testimoniato dal tentati-vo, per Von Hildebrand fallimentare, di spiegare l’attitudine morale cattiva con la sola scelta di valori di scala inferiore. Infatti, per prima cosa, è impossibile spiegare ogni azione morale a partire da un solo atto di preferenza, secondariamente, anche se ciò fosse possibile, ogni scelta sarebbe così fondata su un comune denominatore, il valore, lasciando non spiegato perché uno sceglie il minore rispetto al maggiore valore (pp. 43 ss.).

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che sempre accompagna l’uomo, come correlato “intenzionale” di quel mondo di atti che rappresentano la personale logique du coeur.

In Scheler, quindi, il preferire è parte essenziale del cosmo del-l’apriorico ordre du coeur, parte altrettanto essenziale della più com-plessiva logique du coeur. Tuttavia, dire logica del cuore vuol dire ri-ferirsi al mondo dell’eros personale, all’atto dell’amare, vero e proprio alfa e omega tra gli atti emozionali dell’individuo.

Rifiutando un primato degli atti gnoseologici, non resta a Scheler altra possibilità se non riferirsi ad una scala di atti che trovano la loro origine all’interno del cuore dell’uomo. Tuttavia, più Platone che Pa-scal, anche per Scheler l’eros diviene essenziale via di conoscenza. Certo, una conoscenza che conduce ad oggetti particolari quali sono i valori (sempre co–dati all’esperienza che li conduce ad evidenza e mai compiutamente separabili da essa e dei quali la filosofia ne coglierà senso e spessore solo a posteriori, delucidando le diverse scale gerar-chiche di valore) ma che pur tuttavia sempre modello di conoscenza rimane, in tal guisa che per conoscere i valori è essenziale aprirsi all’essere attraverso quell’atto fondamentale che è l’amare.

Del resto lo avevamo già scritto, la fenomenologia stessa per Sche-ler sottintende un atteggiamento, filosoficamente ultimo, che, in quan-to tale, è amore: amore al destino delle cose che si rivela fenomenolo-gicamente attraverso un atto intuitivo che, a sua volta, è un portare ad evidenza. In modo tale che l’amere e il suo corrispettivo negativo, l’odiare, costituiscono gli atti fondanti l’intera vita, e non solo quella emozionale, dell’individuo, determinandone tutte le possibili direzio-ni. «Essi vertono necessariamente su un nucleo individuale delle cose, su un nucleo di valore, che mai si lascia risolvere completamente in valori giudicabili e giammai in valori percepibili isolatamente. Essi sono ciechi all’atteggiamento razionalistico»29.

Nell’analisi scheleriana persino l’odiare viene ad assolvere ad un compito positivo. In esso infatti è dato immediatamente un disvalore, cosicché il vivere secondo un ordine di valori negativi, è sempre de-terminato da un atto di odio. Analogamente accade nell’atto d’amare, dove, al contrario, si rivela un valore positivo. Nell’amare, poi, si ha la

29 M. Scheler, Essenza e forme della simpatia, ed. it. a cura di G. Morra, Roma 1980, p.

227 ss.

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percezione preferenziale di un movimento che va dai valori inferiori a quelli superiori, mentre invece l’odiare si configura come l’esatto op-posto, dai superiori agli inferiori. In altri termini, l’amare è un moto intenzionale in cui «a partire da un valore (dato) A di un oggetto, si realizza il fenomeno del suo valore superiore ed è questo apparire del valore superiore che sta in relazione essenziale con l’amare»30. Secon-do Scheler, quindi, l’amare si dà sempre ove, al valore della esperien-za stessa, si aggiunge il movimento, la direzione verso possibili valori superiori. Compare già dalle prime opere di Scheler un movimento le-gato all’amare, che da un minus di valore è in grado di portarci verso un plus dello stesso. Un movimento che ― non a caso ― avrà modo di ricordarci le leggi economiche, in particolare il processo di valoriz-zazione della “merce”, laddove da un minus di valore di scambio si perviene attraverso un processo di valorizzazione ad un plus di ricavo: strana simmetria che avremo modo di affrontare in seguito.

1.6. L’ordine degli interessi umani La questione dell’origine degli atti emozionali dell’individuo, di-

viene il tema dominante di Ordo amoris, opera scritta nel 1916 e pub-blicata postuma. Qui l’amare ed il suo ordo, vengono affrontati dal la-to della loro genesi e significato. Infatti, non è sufficiente porsi il pro-blema della semplice constatazione del darsi fenomenico degli atti della sfera dell’emozionale, senza poi entrare nel merito della loro or-ganizzazione e della loro genesi. Nelle opere precedenti, alcune molto significative a riguardo, Scheler era apparso sensibile al problema ― come ad es. già nel Formalismo ― senza tuttavia affrontarlo diretta-mente. Non più demandabile, la questione viene direttamente discussa già in Amore e conoscenza del 1915, ma è solo nel 1916, con Ordo amoris, che la riflessione su tale argomento giunge alla piena maturità.

Infatti, l’amare appare a Scheler come un tendere–verso determina-to da un orientamento di interesse. Anzi, l’amare e il suo ordo origina-rio, sono descritti come il risultato di un movimento emozionale detta-to da un orientamento di interesse preliminare ad ogni atto del singo-

30 Ibidem, p. 233 ss.

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lo31. In tal maniera, che sempre l’amare è il prodotto di un movimento originario determinato da un interesse ― direbbero i fenomenologi re-alistici ― “alla cosa stessa”. Un interesse, filosoficamente ultimo, che nel muovere le direzioni dell’organizzazione emozionale dei singoli, ne anticipa e ne determina le direzioni. Cosicché anche l’atto di prefe-renza viene posto nell’orizzonte determinato dagli orientamenti di in-teresse.

Non era certamente ignoto a Scheler il dibattito filosofico sui mo-vimenti di interesse determinato dalle scuole pragmatistiche anglosas-soni, tuttavia egli sembra rifiutare decisamente la riduzione degli atti di interesse a pura immanenza di tipo naturalistico, per cogliere invece in essi direzioni di ordine spirituale, secondo una maniera di leggere l’amore che trovava in Sant’Agostino il suo padre riconosciuto (come egli stesso ci ricorda in Amore e conoscenza). Certamente non può nemmeno sfuggire la centralità che tale tematica assume, lungo la strada che filosoficamente conduce alla Sorge (cura) heideggeriana, che, in ultima analisi, con la distinzione tra prendersi–cura ed aver–cura in una qualche maniera richiama ai differenti orientamenti degli atti affettivo–emozionali guidati dall’interesse, sui quali Scheler si di-lunga in Ordo amoris (opera che Heidegger non conosceva, ma i cui temi è possibile rintracciare precedentemente, anche se in modo meno analitico, nel Formalismo, libro che invece Heidegger conosceva assai bene).

Il problema che in ogni caso emerge dalla lettura che fa Scheler de-gli atti affettivo–emozionali orientati dall’interesse, è che essi benché non siano allineabili a soluzioni di natura semplicemente pragmatisti-ca, in realtà ne ricalcano il modello. Cioè, l’amare per Scheler è sem-pre un movimento che da un minus di valore tendenzialmente guida verso un plus di valore, ora questo atto diviene il riflesso di un origi-nario movimento di interesse. In modo tale che riappare sullo sfondo

31 M. Scheler, OA, op. cit., pp. 123–124; in proposito è opportuno segnalare l’osservazione di W. Schulz, Le nuove vie della filosofia contemporanea. La corporeità, vol. III, ed. it. Genova 1988, che segnala che da un punto di vista filosofico la determinazione dei valori è estremamente problematica. Nella storia della scienza il concetto di valore deriva dall’economia politica. Là esso serve essenzialmente all’analisi del comportamento economi-co che come tale valuta le merci sempre solo dal punto di vista del possibile scambio. Per Schulz, quindi, il concetto di valore affine all’ambito economico è dunque una determinazio-ne di diverso contesto epistemologico.

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quel movimento che gli economisti definiscono di valorizzazione, che da un minus di valore è in grado di condurre ad un plus dello stesso valore. Pertanto, si ama qualcuno o qualcosa affinché mi restituisca qualcosa in grado di valorizzarmi, di potenziarmi, in ordine alla perce-zione dei valori (fosse pure l’amore come valore, o l’amore–alla–per-sona come forma più alta di esso). Tale movimento, determinato da ciò che è interesse, continua ad operare anche con il variare delle leggi stesse di preferenza, il che significa, che anche quando muta l’orien-tamento dei miei interessi, e quindi di ciò che preferisco, non muta il destino comunque valorizzante dei miei atti affettivo–emozionali32.

Anche per questa ragione Scheler sottolinea l’importanza di portare ad evidenza l’ordre du coeur, che, obbedendo ad una logica rigorosa-mente obiettiva, quella delle direzioni di interesse, risulta assoluto ed inviolabile33. Lo stravolgere queste direzioni di interesse, il provocarne l’oblio, il fuggirne la verità rifugiandosi in una sorta di divertissment pascaliano, ha comportato per l’uomo occidentale delle conseguenze che oggi corrispondono a quella sorta di deformità etica nella quale l’umanità attuale si dibatte. Una deformità (l’espressione è mutuata dal vocabolario nietzschiano, in tal guisa che taluni hanno definito, a loro volta, Scheler il Nietzsche cattolico!) che allo stesso tempo è il segnale più profondo ed inequivocabile di ciò che può corrispondere allo stravolgimento di un ordine assiologico oggettivo. «L’idea ― scrive Scheler ― di un corretto ed autentico ordo amoris è l’idea di un insieme strettamente oggettivo ed indipendente dell’umano; l’ordine oggettivo di ciò che è degno di amore in ogni cosa, qualcosa che può essere solo riconosciuto, ma che non può essere posto, prodotto o fat-to»34. Cosicché, nella fase del pensiero scheleriano più vicina alle po-sizioni del realismo fenomenologico, l’attenzione è rivolta a cogliere nell’uomo il manifestarsi apriorico di un mondo di essenze (anche di natura assiologica), che Scheler vede iscritto ed autodato nell’ordine

32 Scheler nomina con ethos il sistema delle valutazioni e delle preferenze che una persona o un gruppo hanno di fronte ai valori; con Weltanschauung, si riferisce all’assetto organizza-tivo–sociale derivante dal primo; con ordo amoris, definisce l’ordinamento dell’amore e dell’odio propri tanto dell’individuo, quanto dei gruppi. In proposito, C.S. OH, Sein und Herz, Diss. München 1984, p. 127 ss.; cfr. anche J. Malik, Wesen und Bedeutung der Liebe im Per-sonalismus Max Schelers, in “Philosophiscen Jahrbuch”, 71 (1963/64), p. 126 ss.

33 M. Scheler, OA, op. cit., p. 351; anche Form., op. cit., p. 82. 34 M. Scheler, OA, op. cit., p. 351.

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di tutte le esperienze possibili. Come abbiamo visto, un ruolo partico-lare spetta a quel territorio di esperienze che è il mondo etico, laddove il darsi materiale delle essenze, corrisponde alle essenze di valore. Su-perata la distinzione kantiana di a priori e a posteriori, egli può dire che esiste un orizzonte di essenze aprioriche che si rivelano co–date all’esperienza stessa. Per questa ragione, quindi, il cuore ha sue ragio-ni, rispetto alle quali quelle della logica formale, ad es., sono radical-mente cieche35.

Nella direzione scheleriana, inoltre, il cuore dell’uomo è presentato come la casa dei suoi propri interessi. La struttura del cuore, infatti, qualora non sia trattenuta e svuotata nelle molteplici forme dell’oblio, si indirizza a compiere atti, in grado di realizzare l’ordine assiologico predato, secondo un reticolo di interessi. Il cuore dell’uomo esprime sempre una direzione di essere–interessato–a qualcosa, oppure a qual-cuno36.

In questa direzione l’uomo si rivela propriamente come un ens a-mans; Scheler vede nell’uomo un originario atto d’amare (oppure, ori-ginario ordine delle direzioni di essere–interessato–a), che determina, secondo le sue direzioni di interesse, il dove, verso il quale il soggetto si dirige. L’amare si dà, quindi, come movimento che si dirige dal va-lore inferiore al valore superiore, secondo un processo, che abbiamo più volte definito, di valorizzazione; con ciò, Scheler indica una strut-tura intenzionale pre–data, del prendere–interesse–a, secondo un pro-cesso di innalzamento dei nostri interessi37. Tale orientamento origina-rio avrà, quindi, una struttura gerarchica.

È pertanto assolutamente necessario superare quelle tendenze del-l’uomo che possono portare all’oblio della struttura dell’interesse, non

35 Sul nesso che lega l’essenza ed il suo rivelarsi: S. Passweg, Phänomenologie und Onto-

logie. Husserl, Scheler, Heidegger, Leipzig/Strassburg/Zuerich 1939, il quale spiega: Die Ein-heit von Wesen und Erscheinung deutet er nicht so, dass das Wesen nur Erscheinung wäre und nichts darüber hinaus, sonder: das Wesen kann uns selber erscheinen, Erscheinung wer-den und somit auch sein (p. 104).

36 Lo stesso Scheler chiarisce: L’interessamento–a–qualcosa, l’amore–a–qualcosa sono gli atti primari e fondanti rispetto a tutti gli altri mediante i quali è comunque possibile che il no-stro spirito colga un oggetto. M. Scheler, Amore e conoscenza, ed. it. a cura di U. Pellegrino, Padova 1967, pp. 71–72.

37 M. Scheler, EFDS, op. cit., p. 237; sull’uomo come ens amans, Form., op. cit., p. 358 ss.

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Capitolo primo 30

ultimo il limite, imposto dalla stessa filosofia, conseguente all’aver i-dentificato con ragione, solo le capacità logiche dello spirito, senza aver voluto minimamente estendere ― salvo rare eccezioni38 ― tale concetto anche a ciò che Scheler nomina come ambito a–logico dell’individuo: ovvero, il cuore e quelle che potrebbero essere definite come le sue leggi.

Secondo Scheler, però, al di là dei limiti arbitrariamente imposti dalla filosofia, è possibile scoprire una ricchezza ulteriore della vita spirituale. Tornare al cuore dell’uomo, infatti, significa procede ad una ridefinizione dei fatti stessi della realtà, in virtù di un nuovo sguardo indagatore, che costituisce lo strumento necessario all’indagine del fe-nomenologo. Egli è chiamato, pertanto, ad una rinnovata attenzione agli stati di cose presenti, secondo una loro corrispondenza intenziona-le con gli atti etici dell’uomo. Ora, infatti, bisognerà porsi l’interro-gativo sull’uomo stesso, per indagarne la sua natura e la sua essenza, e comprendere così chi è il protagonista ultimo delle vicende del mon-do, in ordine alla direzione dei suoi atti “intenzionali”. Si aprirà, in tal modo, l’argomento relativo all’uomo come persona e alla direzione degli atti affettivo–emozionali.

38 Riferendosi a tali eccezioni, Scheler nomina in particolare Sant’Agostino e Pascal. M.

Scheler, AEC, op. cit., pp. 51–77.