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Per una lettura psicoacustica di Aida a cura di Mauro Perissinotto Introduzione Se la credenza vulgata assegna impropriamente alla partitura di Aida i connotati quasi esclusivi e monocordi della magnificenza drammaturgica - prima ancora che strettamente musicale - , è ormai opinione comune considerare questo capolavoro della maturità verdiana non solo un esempio di mirabile ingegno compositivo, ma anche un compendio di raffinata orchestrazione. Pur non potendo divagare in questa sede su questioni di estetica compositiva, vorrei almeno confessare la mia convinzione aprioristica di poter riscontrare tra queste pagine qualche curiosa implicazione con i fenomeni di psicoacustica. Sebbene di certo nel 1871 poco si conoscesse di quest’ultima scienza, soprattutto se si considerano le conquiste dell’ultimo cinquantennio, è indubbio che la prassi avesse insegnato molto alle menti creative più sublimi. In particolare poi al Cigno di Busseto, che conosceva come pochi le risorse della parola, le potenzialità delle voci, le qualità degli strumenti, la forza della teatralità ed i significati che le varie articolazioni di tutte queste entità sapevano veicolare. A questo si è aggiunto il cogente approfondimento della partitura, cui personalmente ho dedicato spazio in occasione di un recente debutto nel titolo. La circostanza ha consentito quindi non solo di studiare molti dei dettagli compositivi con la finalità tecnica dell’interpretazione, ma anche di sperimentare sul campo le diverse problematiche esecutive e nello specifico la definizione dei piani sonori. Troppo scontato sarebbe limitarsi a citare la gestione delle sonorità nello spazio, che in un titolo come il presente - dal retaggio di Grand Operà - si enfatizzano: cori, banda, arpe e solisti esterni, doppio coro, trombe egizie; oppure se raccontassi degli aspetti relativi all’amplificazione esterna e registrazione live, che investono comunque l’ambito disciplinare dell’acustica. Il lavoro di cui di seguito si darà conto, ha invece voluto individuare alcuni frammenti dello spartito, sui quali risulta indispensabile per il direttore d’orchestra uno studio acustico pregresso, se lo stesso interprete intende ottenere con rigore filologico gli effetti richiesti dal compositore. G. Verdi: Aida. Cento (Fe), 13 settembre 2013. Regia di Stefano Nardo. Direttore : Mauro Perissinotto

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Per una lettura psicoacustica di Aida

a cura di Mauro Perissinotto

Introduzione

Se la credenza vulgata assegna impropriamente alla partitura di Aida i connotati quasi esclusivi

e monocordi della magnificenza drammaturgica - prima ancora che strettamente musicale - , è

ormai opinione comune considerare questo capolavoro della maturità verdiana non solo un

esempio di mirabile ingegno compositivo, ma anche un compendio di raffinata orchestrazione. Pur

non potendo divagare in questa sede su questioni di estetica compositiva, vorrei almeno

confessare la mia convinzione aprioristica di poter riscontrare tra queste pagine qualche curiosa

implicazione con i fenomeni di psicoacustica. Sebbene di certo nel 1871 poco si conoscesse di

quest’ultima scienza, soprattutto se si considerano le conquiste dell’ultimo cinquantennio, è

indubbio che la prassi avesse insegnato molto alle menti creative più sublimi. In particolare poi al

Cigno di Busseto, che conosceva come pochi le risorse della parola, le potenzialità delle voci, le

qualità degli strumenti, la forza della teatralità ed i significati che le varie articolazioni di tutte

queste entità sapevano veicolare.

A questo si è aggiunto il cogente approfondimento della partitura, cui personalmente ho dedicato

spazio in occasione di un recente debutto nel titolo. La circostanza ha consentito quindi non solo di

studiare molti dei dettagli compositivi con la finalità tecnica dell’interpretazione, ma anche di

sperimentare sul campo le diverse problematiche esecutive e nello specifico la definizione dei piani

sonori. Troppo scontato sarebbe limitarsi a citare la gestione delle sonorità nello spazio, che in un

titolo come il presente - dal retaggio di Grand Operà - si enfatizzano: cori, banda, arpe e solisti

esterni, doppio coro, trombe egizie; oppure se raccontassi degli aspetti relativi all’amplificazione

esterna e registrazione live, che investono comunque l’ambito disciplinare dell’acustica. Il lavoro di

cui di seguito si darà conto, ha invece voluto individuare alcuni frammenti dello spartito, sui quali

risulta indispensabile per il direttore d’orchestra uno studio acustico pregresso, se lo stesso

interprete intende ottenere con rigore filologico gli effetti richiesti dal compositore.

G. Verdi: Aida. Cento (Fe), 13 settembre 2013. Regia di Stefano Nardo. Direttore : Mauro Perissinotto

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L’occasione ha costituito un pretesto per impostare un nuovo approccio allo studio della partitura:

la dimensione psico-acustica ha cominciato a rappresentare non solo una fenomenologia

imprescindibile per la fase empirica dell’esecuzione - da saper pre-vedere durante l’analisi astratta

-, ma anche un nuovo parametro di valutazione della qualità compositiva. Infatti scoprire all’interno

di opere un pensiero acustico logico, coerente e – oggi diremo – sostenibile, di certo è un biglietto

da visita beneaugurante; constatarne, invece, l’assenza potrebbe significare aver incontrato il

viatico di un’aurea mediocritas.

Preludio Atto I

La sezione di questa delicata introduzione strumentale, che è stata riconosciuta significativa per

un’analisi acustica nella prospettiva empirica dell’esecuzione, è costituita dalle nove misure

comprese tra le battute 18 e 26 del Preludio dell’Atto Primo dell’opera. L’incipit della parte in

questione è indicato nella partitura con A, cui ci si riferirà nella seguente analisi.

Le argomentazioni sono state articolate in due fasi, coincidenti rispettivamente con le prime 6

misure (nelle quali la partitura indica la dinamica del ppp per ciascuno degli strumenti) e con le

successive 3 battute (nelle quali si procede dal p con un generale crescendo, che condurrà al ff)

Sei battute di ppp

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Le prime sei misure, scritte in stile contrappuntistico, presentano un soggetto di due battute, che

costituisce peraltro uno dei leitmotive dell’intera opera.

L’orchestrazione prevede il solo impiego degli archi, le cui entrate seguono con regolarità l’ordine

della tessitura dal grave all’acuto (violoncelli, viole, violini II e violini I): ciò garantisce una certa

omogeneità di colore e favorisce per il direttore il controllo delle intensità. L’elemento acustico da

gestire è rappresentato dal fatto che il compositore indica esplicitamente la dinamica ppp in

ciascuno degli ingressi delle sezioni, generando implicitamente un effetto di accumulazione

sonora, ovvero un crescendo non indicato in partitura, ma cogente rispetto alla stessa struttura

compositiva. Ciò che si deve percepire in modo chiaro, quindi, sono le varie entrate del soggetto

(pur nella dinamica ppp) e il conseguente necessario “secondo piano sonoro”1 delle parti non

tematiche della struttura. Il processo appare semplice da realizzarsi con l’attacco delle viole in IV

corda (consigliabile già dal si – la iniziale, in nome dell’omogeneità del colore), più delicato

allorquando sono i violini ad aggiungersi al tessuto contrappuntistico. Si può infine notare come la

scrittura verdiana venga in soccorso, stringendo ad una sola misura gli ingressi dei violini: tale

scelta compositiva da un lato rende meno decisiva la creazione di secondi e/o terzi piani di

intensità, dall’altro enfatizza la percezione accumulativa di carattere tematico ed anche sonoro.

Un aspetto acustico da considerare per favorire l’uscita tematica è il mascheramento, generato dai

suoni più gravi del “secondo piano sonoro”, soprattutto se contengono le medesime armoniche

delle fondamentali più acute del tema. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di togliere il

vibrato in corrispondenza delle note non tematiche più gravi e di richiederlo contemporaneamente

al soggetto2.

In seguito all’ascolto di alcune interpretazioni, seppur talora elette alla memoria per tanti non

trascurabili meriti, emerge come talvolta si sia trascurata nella concertazione questa riflessione di

carattere acustico. Il risultato è non solo l’inevitabile crescendo complessivo determinato dalla

sovrapposizione dei piani, ma soprattutto il fatto che le entrate delle sezioni devono giocoforza

avvenire in una dinamica più vicina al mf.

1 Per il concetto di primo piano, secondo piano e sfondo si considerano come riferimenti le definizioni contenute in S.

ADLER, Lo studio dell’orchestrazione, EDT, Torino, 2008, pag. 134. 2 A. J. M. HOUTSMA, T. D. ROSSING, W. A. WAGENAARS, Auditory Demonstrations, Institute for Perception Research

(IPO), Eindoven, 1987 (con CD allegato), pag. 10: When one of the harmonics is turned off and on, it stands out clearly. The same is true if one of the harmonics is given a “vibrato”

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1. Queste concertazioni, almeno in questo frangente e secondo la direzione di analisi del

presente lavoro, risultano di certo poco attente alle dinamiche della partitura:

a) Arturo Toscanini,19493

Una dinamica già “accesa” caratterizza l’entrata dei violoncelli; si procede

enfatizzando il crescendo, tanto che l’orchestra deborda su un f sgraziato già alla

quinta misura.

b) Valeriy Gergiev, 19954

La pasta sonora dei violoncelli prevarica nettamente quella delle viole, generando

addirittura uno sconveniente mascheramento tra il dei celli e delle viole.

3 https://www.youtube.com/watch?v=-OhfTxgjGmM 4 https://www.youtube.com/watch?v=m1VWdB161vA

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c) Antonio Pappano, 20125

Pur essendo una registrazione amatoriale, si comprende anche qui come il ppp

indicato da Verdi risulti lontano dalle attenzioni della concertazione. L’intellegibilità

dei temi rimane chiara almeno fino alla terza entrata; poi la massa sonora è troppo

imponente e nemmeno il principio di buona continuazione assicura la definizione del

primo piano di ascolto.

d) Roberto Abbado, 20136

Il vibrato molto esposto non aiuta di certo il ppp e comunque i secondi piani tendono

a mantenere la stessa sonorità del soggetto tematico, producendo alla sesta misura

un mf piuttosto sgradevole. Il mascheramento delle armoniche acute da parte di

quelle più gravi è piuttosto evidente.

5 https://www.youtube.com/watch?v=7Cu_hmXy5Js&index=16&list=PL-vmxoN0_5oZzofHakBwtS-jYYQ6Zix9M 6 https://www.youtube.com/watch?v=7MToalunbDc

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2. I due ascolti seguenti – rispetto ai precedenti - rivelano soluzioni certo più

coinvolgenti, pur cedendo troppo presto alla tentazione del crescendo generale:

a) Herbert von Karajan, 19597

L’incipit è davvero suggestivo, non solo per le dinamiche, ma anche per l’agogica

sublime; qui la scelta musicale – di certo deliberata – consiste nell’iniziare il

crescendo con l’ingresso dei secondi violini (quinta misura), probabilmente per

evitare l’improvviso delta d’intensità che si registra alla settima battuta a causa della

pasta sonora dei fiati. In termini strettamente acustici è sottostimato il

mascheramento prodotto dalle armoniche basse e dall’uniforme applicazione del

vibrato

b) Riccardo Chailly, 20108

Il colore degli archi è molto gradevole e, più che su un crescendo generale, il

direttore punta su una lettura molto intensa delle articolazioni del soggetto, creando

però di fatto una sonorità forse troppo corposa rispetto alle intenzioni del

compositore. I piani sonori sono molto chiari e soprattutto il tema si staglia sempre

con autorità.

7 https://www.youtube.com/watch?v=K-C5gSk5Zpc

8 https://www.youtube.com/watch?v=KEJ1Enqf9o8

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3. Le prossime due testimonianze superano tutte le precedenti, almeno per la loro

aderenza alle prescrizioni dinamiche della partitura. Data la complessità delle

componenti che concorrono alla realizzazione di piani sonori intellegibili, si può

sostenere che vi sia stato uno studio acustico su tale sezione più o meno

scientificamente fondato, ma comunque di empirica efficacia.

a) Erich Kleiber, 19239

L’equilibrio qui sembra piuttosto ricercato ed i piani sonori alquanto delicati,

nonostante la data e la conseguente qualità dell’incisione debbano lasciare molto

all’immaginazione.

b) N. Harnoncourt, 200510

Le sei misure vivono in un’aura silenziosa, per crescere d’intensità solo con

l’ingresso dei clarinetti e del corno ed ottenere quindi lì il p indicato in partitura. Il

vibrato, diffuso nel soggetto, è impiegato con parsimonia nelle parti più gravi: ciò

garantisce il dipanarsi del tema in sonorità ppp, evita il mascheramento di alcune

note e nel contempo favorisce la formazione di più piani sonori

9 https://www.youtube.com/watch?v=gLHaUz8HOd0 10 https://www.youtube.com/watch?v=oWeTFIfOP_k

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Due misure di crescendo sui generis:

un nuovo problema filologico in nome della psicoacustica?

Le battute da 7 a 9 a partire dalla lettera A registrano11 il crescendo solo nei violini e

nelle viole (a partire dal ppp) e del timpano (dal pp al f). Si può pertanto presumere che

l’intenzione del compositore fosse quella di raggiungere il forte generale a principio della

nona misura, ma solo mediante il crescendo di alcune sezioni. Clarinetti, oboi, fagotto II,

corno, tromba, violoncelli e contrabbassi dovrebbero rimanere nel p (pur realizzando gli

accenti indicati nel loro soggetto). Il crescendo dovrebbe essere avvertito grazie

11

Il crescendo nell’autografo verdiano è riportato solo in corrispondenza delle parti di violini, viole e timpano. Le edizioni

a stampa successive hanno esteso l’indicazione alle parti degli strumenti che entrano a partire dalla settima misura di A.

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all’accumulazione di queste sezioni e dovrebbe così aggiungersi a quello effettivamente

realizzato da violini, viole e timpano.

Nella ricerca di questo effetto - che oggettivamente potrebbe essere complicato se si

valicasse presto la soglia del f - agisce proficuamente il principio di buona conservazione,

grazie al quale l’alternanza dei soggetti nel p risulta comunque intellegibile. Inoltre l’ingresso

dei fiati genera un nuovo piano timbrico e quindi psico-acusticamente sposta l’attenzione

sulla novità di colore introdotta.

Si può inoltre osservare nell’incipit che il (reale) del primo clarinetto viene ampiamente

mascherato dai fa# più gravi dei violoncelli, del corno e del clarinetto secondo e dal dei

violini primi12. Affinché la nota tematica venga percepita distintamente e costituisca il

primo piano sonoro, la si dovrà far risaltare con una intensità leggermente superiore rispetto

alle altre e nel contempo si dovrà controllarne l’intonazione13.

Tra gli ascolti precedenti il più coerente su questa linea appare certamente quello di

Harnoncourt14; la lettura di A. Kleiber15 rimane interessante, anche se la qualità dell’incisione

non consente di rilevare con attendibilità il forte conclusivo.

Le questioni di carattere acustico di seguito descritte sembrano implicare delle riflessioni

filologiche per nulla scontate: la prassi - diffusa nel primo Verdi - di assegnare delle

dinamiche speculari alle varie sezioni della partitura pare lasciare campo nella sua maturità

compositiva ad una differenziazione, che osiamo considerare quale esito di una

“consapevolezza acustica empirica”. In sostanza si vorrebbe sostenere come il Cigno di

Busseto avesse raggiunto a partire dagli anni Settanta del XIX secolo una tale conoscenza

delle espressioni foniche degli strumenti e delle voci (soprattutto in termini di intensità in

rapporto alle tessiture), da fargli operare delle scelte assai raffinate nell’orchestrazione,

comunque molto lontane dalle attenzioni della produzione giovanile. Questo semplice

esempio dimostra per esempio come il concetto dei piani sonori ed il problema del

mascheramento dei suoni fosse un aspetto a cui il compositore ha riflettuto, pur non potendo

possedere un bagaglio di giustificazioni scientifiche. Il tratto curioso di questa indagine, come

più sopra si è accennato, consiste nel fatto che la psicoacustica sia divenuto uno strumento

utile per dirimere questioni filologiche, cui peraltro si era fornita in sede critica una soluzione

quantomeno opinabile.

12

Il mascheramento in questo caso si determina - a parità di intensità - a causa del fatto che la nota più acuta è una delle armoniche dei suoni più gravi. 13

A. J. M. HOUTSMA, T. D. ROSSING, W. A. WAGENAARS, op.cit., pag. 41 The pitch of a tone is influenced by the

presence of masking noise or another tone near to it in frequency.[…] The tone partially masked by noise of lower

frequency appears slightly higher in pitch. 14

Si veda la nota 10 15

Si veda la nota 9