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Dossier giugno 2013 MATTONE E FINANZA

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Consumo di suolo e ruolo della pianificazione nella provincia di Verona

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Dossier giugno 2013

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FINANZA Consumo di suolo e ruolo della pianificazione nella provincia di Verona

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Mattone e finanza: l’abbraccio mortale per suolo e paesaggio

Una comunità vasta, come può essere una regione, organizza la sua vita istituzionale in base a regole e procedure certe. La pianificazione territoriale regionale è una dimensione fondamentale di questo sistema di regole, proprio dove, come nel Veneto, l’uso del territorio è stato caotico, opaco e distruttivo.

“La pianificazione si esplicita nel Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC), che costituisce il quadro di riferimento per la pianificazione locale, in conformità con le indicazioni della programmazione socio-economica (Piano Regionale di Sviluppo)”. Definizione sacrosanta della stessa Regione Veneto, cui segue la specificazione: “Il PTRC ha il fine di delineare gli obiettivi e le linee principali di organizzazione del territorio regionale, nonché le strategie e le azioni volte alla loro realizzazione”. In particolare questo strumento “disciplina” le forme di “tutela, valorizzazione e riqualificazione del territorio”. Un impegno basilare, cui la stessa Regione viene meno, sia perché il PTRC “nuovo” è in stallo dal 2009, lasciando in vigore quello precedente vecchio di 21 anni, sia perché il “nuovo” PTRC dimentica, nel suo testo, gli stessi suoi principi.

Vi è innanzitutto una tattica dilatoria: «… l’analisi puntuale degli effetti del piano è rinviata ad una fase successiva all’individuazione puntuale delle azioni di progetto e degli interventi localizzati di attuazione (progetti strategici) del piano stesso». Risulta quindi rinviata alla successiva fase del Rapporto Ambientale anche «… la valutazione tra alternative di Piano e – a maggior ragione – l’indicazione di misure per il monitoraggio degli effetti».

Vengono individuate le principali aree tematiche (uso del suolo; biodiversità; energia; risorse e ambiente; mobilità; sviluppo economico; crescita sociale e culturale) ed i connessi obiettivi ed azioni strategiche. Obiettivi e azioni condivisibili, che rispecchiano indicazioni e linee strategiche da tempo formulate dalla comunità internazionale (in particolare dalla Comunità Europea) per introdurre elementi di sostenibilità ambientale e sociale nei meccanismi dello sviluppo territoriale ed economico. Ma come far sì che questo elenco di principi e strategie non si traduca semplicemente in una generica dichiarazione di buone intenzioni? E come verificare la coerenza tra detti principi ed i concreti progetti di salvaguardia e d’intervento che verranno definiti dal PTRC o la coerenza degli indirizzi assunti con le politiche ed i programmi che – in attesa del piano – Regione ed enti locali stanno effettivamente attuando o mettendo in cantiere?

Ecco che il carattere, rivendicato dal testo del PTRC, “di realizzare un piano ‘essenziale’ (per facilitarne la comprensione e la ‘maneggevolezza’), concepito in una dimensione ”aperta” e “flessibile”, rivela il suo arcano: gli enti locali potranno procedere senza una bussola regionale, che, nel caso un giorno dovesse essere approvato il “nuovo” PTRC, esso non potrà che prendere atto di cambiamenti già avvenuti e spesso in aperto contrasto con quei principi di salvaguardia, sostenibilità ecc. pomposamente rivendicati.

Stessa logica dilatoria riguarda i Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali (P.T.C.P.), previsti dalla L.R. 11/2004 quali strumenti di pianificazione che “delineano gli obiettivi e gli elementi fondamentali dell'assetto del territorio provinciale in coerenza con gli indirizzi per lo sviluppo socio-economico provinciale, con riguardo alle prevalenti vocazioni, alle sue caratteristiche geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche, paesaggistiche ed ambientali”. Questo il proclama del sito web della Regione Veneto.

A Verona si aggira il suo fantasma, mai nemmeno adottato(a nove anni dall’entrata in vigore della L.R.11/04). In sua assenza la programmazione territoriale dei Comuni

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procede a vele spiegate. C’è da chiedersi dove i Comuni hanno trovato il quadro d’insieme attestato dalla Regione e che garantisca “coerenza con gli indirizzi per lo sviluppo socio-economico provinciale, con riguardo alle prevalenti vocazioni, alle sue caratteristiche geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche, paesaggistiche ed ambientali”.

E così in assenza di pur labili orientamenti, la babilonia di varianti e fantasiosi PAT si è scatenata per anni con vittime predestinate il suolo, il territorio e il paesaggio, consumati da una voracità alimentata da concezioni erronee dello sviluppo e da interessi convergenti di speculatori, amministratori e istituti bancari.

Cosa si intende per consumo di suolo

Il suolo ce lo abbiamo sotto i nostri piedi fin dalla nascita, ci viviamo sopra, eppure trascuriamo il fatto che è sicuramente una delle più importanti – e tuttavia trascurata - risorsa naturale.

E’ “l’elefante nella stanza, che nessuno vede”. É essenziale per la vita sulla Terra perché alimenta le piante che a loro volta forniscono cibo ed ossigeno per gli uomini e gli animali. Il suolo è il “luogo” in cui si formano e vengono scomposti materiali essenziali per gli equilibri ecologici, ma anche la sede fisica in cui vengono prodotti i nostri alimenti.

Per capire bene la natura, insomma, bisogna andare al di là di quello che si riesce a vedere (o a sentire) e a comprendere con ragionamenti semplici.

Si pensi per esempio alla nostra difficoltà di immaginare i molti processi che si verificano a livello microscopico o sub-microscopico, come nell’ambiente cellulare.

Anche se sugli organismi del suolo non si sa molto, è certo che esso non è un ambiente inerte e sterile, ma è invece un ambiente dinamico e ricchissimo di vita. La maggior parte degli organismi vive entro il primo metro di profondità e, in generale, gli spazi biologici che essi occupano e le loro attività biologiche sono di scala molto piccola.

Il suolo è una risorsa di grande valore ambientale, e nel contempo è anche un sistema ecologico difficilmente recuperabile ogni volta che la sua salute viene compromessa dall’inquinamento prodotto dall’uomo. Esso svolge una straordinaria attività di mantenimento degli equilibri ecologici e gioca un ruolo di importanza cruciale nella protezione della salute umana.

Lo prova la sua complessa attività di filtro biologico e chimico, in grado di rallentare e limitare gli inquinanti chimici pericolosi che, penetrando dagli strati più superficiali verso quelli più profondi, rischiano di arrivare nelle acque di falda che beviamo.

Nel suolo il ruolo biologico principale, in termini puramente quantitativi, è giocato dai microrganismi. Ma i microrganismi da soli non possono spiegare tutti i fenomeni ecologici che hanno luogo nel suolo. Le caratteristiche della biodiversità dei microhabitat del suolo sono definite in maniera diretta da molti fattori, ma soprattutto dal variare della disponibilità di acqua e aria e della temperatura.

La formazione del suolo, processo che in realtà non finisce mai perché tutti i suoli sono in lento e continuo cambiamento, diventa un serbatoio pressoché illimitato di organismi. La biodiversità che ne consegue è di altissimo valore ecologico e di grande utilità anche per l’uomo.

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Il terreno vale per l'energia: superficie necessaria per assorbire l'anidride carbonica prodotta dall'utilizzo di combustibili fossili; vale come terreno agricolo: superficie arabile utilizzata per la produzione di alimenti ed altri beni; vale per i pascoli: superficie destinata all'allevamento; vale per le foreste: superficie destinata alla produzione di legname; vale per la superficie edificata: superficie dedicata agli insediamenti abitativi, agli impianti industriali, alle aree per servizi, alle vie di comunicazione.

La UE convalida queste evidenze scientifiche Nel maggio 2011 Janez Potočnik, commissario UE per l’ambiente, nel presentare uno studio voluto dalla Commissione, ha dichiarato: “Il suolo è una risorsa indispensabile per diversi servizi ecosistemici da cui dipendono tutte le forme di vita sul nostro pianeta. Non possiamo permetterci di continuare a sacrificarne vaste porzioni a vantaggio della cementificazione. Nessuno ci chiede di frenare lo sviluppo economico o l’ottimizzazione delle nostre infrastrutture, ma abbiamo bisogno di un approccio più sostenibile in materia.”. Quando l’asfalto prende terreno L’impermeabilizzazione si verifica quando il suolo è coperto da materiali impermeabili come l’asfalto o il cemento. Tra il 1990 e il 2000 nell’UE sono stati cementificati almeno 275 ettari di terreno al giorno, per un equivalente di 1 000 km² all’anno (5 volte la superficie del comune di Verona). La metà di questa superficie è impermeabilizzata in via definitiva da edifici, strade e parcheggi. Secondo lo studio della Commissione negli ultimi anni si è registrato un rallentamento di questa crescita a 252 ettari al giorno, ma lo sfruttamento del terreno prosegue a ritmi preoccupanti. Tra il 2000 e il 2006 nell’UE l’aumento medio di aree trasformate è stato pari al 3%, con picchi del 14% in Irlanda e Cipro e del 15% in Spagna. Raccomandazioni Lo studio propone una soluzione articolata su tre livelli: • limitare l’espansione dell’impermeabilizzazione del suolo ottimizzando la pianificazione territoriale o ridefinendo i sussidi che incentivano indirettamente l’impermeabilizzazione; • attenuarne le conseguenze laddove l’impermeabilizzazione non può più essere evitata, ad esempio sostituendo l’asfalto o il cemento con superfici permeabili e costruendo “tetti verdi”, • compensare le perdite attuando misure di recupero in altre aree, che possono concretizzarsi con una riqualificazione di terreni già impermeabilizzati. A tale proposito sono degne di nota le iniziative realizzate a Dresda e a Vienna. Contesto L’impermeabilizzazione compromette irrimediabilmente le funzioni biologiche del suolo. Senza afflusso ed evaporazione dell’acqua aumentano i deflussi che talvolta possono portare a inondazioni dagli effetti catastrofici. Il paesaggio appare frammentato, gli spazi vitali si restringono o sono troppo isolati per ospitare determinate specie e la produzione agricola risulta inesorabilmente compromessa. Il Centro comune di ricerca della Commissione stima che a causa dell’impermeabilizzazione ogni anno si perdano quattro milioni di tonnellate di frumento.

Diverse regioni europee – sempre secondo lo studio UE - sono colpite da una crescente impermeabilizzazione del suolo, tra cui la metà delle regioni olandesi, otto province italiane (Vercelli, Lodi, Verona, Piacenza, Parma, Campobasso, Matera, Catanzaro), tre dipartimenti francesi (Vendée, Tarn-et-Garonne, Corrèze) la regione di Poznan in Polonia, la Stiria occidentale in Austria, la regione di Põhja-Eesti in Estonia e la regione di Jugovzhodna in Slovenia.

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I costi del consumo di suolo

I costi derivanti dal modello insediativo di tipo disperso, che più avanti valuteremo anche in termini quantitativi, e dal complementare consumo di suolo individuano dei costi economici, ambientali, paesaggistici e sociali che appaiono poco sostenibili già nello scenario attuale e che, in assenza di interventi correttivi ancorati ad una visione di lungo termine, sono destinati a crescere.

Camagni, Gibelli e Rigamonti, figure di rilievo nel panorama della pianificazione in Italia, e non solo loro, nella loro analisi sulla città dispersa distinguono tra costi collettivi e costi pubblici. I primi coincidono con le esternalità negative, spesso irreversibili e cumulabili, prodotte dalla diffusione urbana e rappresentano costi cui gli individui devono far fronte in termini di qualità della vita, anche se non incidono direttamente sulle loro finanze. I secondi, viceversa, gravano direttamente sui bilanci delle pubbliche amministrazioni tenute a garantire i servizi di base a tutte le aree insediate sul proprio territorio e risultano quindi quantificabili in termini oggettivi.

Tra i costi collettivi figurano:

– la riduzione o la perdita della capacità del suolo di esplicare le sue principali funzioni ecologico-ambientali dovute essenzialmente ai processi di cementificazione e impermeabilizzazione che modificano drasticamente le proprietà chimico-fisiche degli strati pedologici;

– la dipendenza sempre maggiore dai mezzi di trasporto privati che genera congestione da traffico, tempi di pendolarismo sempre più dilatati e livelli di inquinamento atmosferico e acustico sempre più allarmanti;

– l’amplificarsi dei fenomeni connessi al dissesto idrogeologico, dovuti essenzialmente all’incapacità delle superfici impermeabilizzate di assorbire acqua;

– la formazione di barriere antropiche diffuse e pervasive che aggravano i processi di frammentazione ambientale in atto sul territorio, alterando la funzionalità degli habitat naturali e i delicati equilibri ecologici che stanno alla base della sopravvivenza degli ecosistemi e della loro biodiversità;

– la banalizzazione e l’inquinamento scenico-percettivo del paesaggio, che deriva dalla perdita di qualità estetica delle aree insediate e dall’omologazione e destrutturazione dei palinsesti territoriali e che genera luoghi sempre più anonimi e privi di una identità riconoscibile;

– la perdita dell’“effetto città”, soprattutto nelle aree periferiche, dove è sempre più elevato il rischio di innescare forme acute di segregazione spaziale e sociale per le fasce più svantaggiate della popolazione.

I costi pubblici derivano, invece, dalle spese che le pubbliche amministrazioni devono sostenere per garantire a tutte le aree insediate sul proprio territorio l’erogazione dei servizi di base: dalle infrastrutture a rete (rete idrica, rete fognaria, rete elettrica) a quelle di trasporto, fino ai servizi pubblici locali (scuole, ospedali, biblioteche, caserme di polizia, rimozione rifiuti etc.). Realizzare e mantenere tali servizi, soprattutto se diffusi su vasti territori, impone alle amministrazioni locali un notevole carico finanziario, con spese che spesso non garantiscono un adeguato ritorno in termini di gettito fiscale.

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Da quanto detto emerge chiaramente che il consumo di suolo prodotto dalla dispersione insediativa costituisce un fenomeno complesso e assolutamente trasversale: coinvolge processi che si sviluppano a differenti livelli territoriali, ha ricadute molteplici su diverse componenti ambientali e risulta fortemente correlato alla gestione di tematiche settoriali.

Numerose sono, ad esempio, le relazioni tra il consumo di suolo e il “consumo di paesaggio”, tanto che il Codice dei beni culturali e del paesaggio riserva uno specifico richiamo a tale problematica, ribadendo all’art. 135 “Pianificazione paesaggistica”, co. 4, lettera c, la necessità di garantire la “salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor consumo del territorio”.

Anche la Convenzione europea del paesaggio (Consiglio d’Europa, 2000), ribadendo la necessità di superare la tradizionale dicotomia tra natura e cultura, chiede di coniugare la dimensione ambientale ed ecologica di un territorio con quella paesaggistica; di operare un radicale cambiamento di scala per ragionare su un paesaggio che è anche risorsa ambientale, oltre che valore sociale e spazio per la crescita economica.

L’obiettivo di contenere il consumo di suolo impone, quindi, un approccio necessariamente multidisciplinare, che consenta una solida integrazione tra le politiche di governo del territorio che operano ai vari livelli e le diverse politiche settoriali, tra la pianificazione urbanistica e la programmazione di settori strategici, tra strumenti giuridici, quali piani, programmi e leggi, e strumenti di natura economica e fiscale.

Genti, numeri e fantasie dei PAT a Verona e provincia

La provincia di Verona, secondo lo studio sul consumo di suolo della Commissione Europea sopraccitato, è quindi tra le otto province italiane dove l’impermeabilizzazione dei suoli è giunta a livelli preoccupanti. Una tendenza che avrebbe bisogno di un rallentamento per non giungere a un punto di non ritorno. Un rallentamento che avrebbe dovuto trovare attuazione nelle previsioni dei piani urbanistici .

I PAT e PATI della provincia di Verona si sono succeduti nella loro adozione ( circa 2/3 dei 98 comuni della provincia) dal 2006 ad oggi, un lasso di tempo utile per notare cambiamenti nel modo di affrontare il problema dell’urbanizzazione a seguito non solo delle denunce di studiosi e di associazioni ambientaliste, ma anche di posizioni forti come quella del commissario UE per l’ambiente Janez Potočnik.

Nulla è cambiato invece nelle premesse analitiche che guidano i Comuni nelle previsioni di nuove edificazioni. Che fossero stati redatti nel 2006-07 o nel 2012-13, tutti i piani, più o meno, contengono dati che giustificano una forte estensione delle superfici da edificare.

Vediamo come .

Demografia dei comuni veronesi

A leggere i piani è costante l’attestato di fiducia su un andamento della popolazione costantemente positivo che prevede, su scala provinciale, a fronte di un + 4,97% nel periodo dal 2001 al 2011 (+ 6,98% di incremento come media tra i comuni nello stesso periodo), un incremento per i successivi 10 anni (arco temporale di attuazione e previsione del PAT) del 25,2% tra i comuni che alla data odierna hanno già adottato o approvato il PAT. Strano, perché nel decennio passato, pur con scostamenti percentuali e nel tempo, la tendenza è stata di un aumento assolutamente molto contenuto pur se

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crescente, per altro con una sensibile e continua diminuzione negli ultimi anni tra il 2007-08 e il 2011.

Ci sarebbe da chiedersi dunque su quale dato reale di evoluzione dell’economia, e quindi di afflusso di nuova popolazione immigrata (poiché è su di essa che puntano i progettisti e gli amministratori per giustificare gli aumenti di popolazione, dato che il saldo naturale è negativo), si fondi questa previsione fiduciosa nell’aumento di un quarto della popolazione complessiva.

Maggiore meraviglia suscita l’esame dei dati di ogni Comune (tenendo conto che l’analisi da noi effettuata è stata parziale per l’incompletezza o l’assenza di documenti nei siti ufficiali dei Comuni).

Il capoluogo, Verona, vede approvato a dicembre 2007 il PAT che dichiara 268100 abitanti e prevede un aumento del 9,32% con una popolazione stimata, a scadenza del Piano (2016), di 293.100 abitanti. L’Istat certifica al 2011, quindi a metà percorso del PAT, solo 254.607 abitanti, ovvero quasi 40 mila abitanti in meno di quelli previsti al 2017. E’ più realistico che ci sia stato un abbondante errore di valutazione o che in cinque anni arrivino 40 mila nuovi abitanti?

Nei Comuni della provincia le valutazioni sono analoghe e si assiste, quasi dappertutto, ad uno inaspettato e inspiegabile boom demografico.

Albaredo, con una variazione di popolazione tra il 2001 e il 2011, del 2,00%, vede, secondo i calcoli del suo PAT, un aumento del 15%.

Arcole salta dal 7,94% del decennio passato a un 30,17%. Bosco Chiesanuova dal 5,11% al 24,95%. Brentino Belluno dal 5,55% al 24,45%. Cerea dal 5,11 al 32,87%. Cerro dal 7,17% al 34,94%.

Più o meno con le stesse percentuali Cologna Veneta, Colognola ai Colli, Concamarise, Costermano, Dolcé, Garda, Grezzana, Isola della Scala, Isola Rizza, Lazise, Nogara, Rivoli, Roveré, San Pietro di Morubio, Tregnago e Zimella.

Casaleone, addirittura, inverte la tendenza e da -1,08% schizza al 31,04%. Così come Bevilacqua da -0,72 nel decennio passato a 26,14. Gazzo da -1,77% a 36,01. Salizzole da -1,14% a 21,61%. Terrazzo da -1,84% a 14,55%.

Per giungere poi a degli autentici exploit: San Mauro di Saline che da un’emorragia di -2,46% tra il 2001 e il 2011 vede l’esplosione del 66,67%, in buona compagnia con Velo Veronese che da un -0,76% corre a un 62,84%. In termini assoluti San Mauro passerebbe da 556 abitanti a 950; Velo da 786 e 1356, quasi un raddoppio.

Quali dati conoscitivi hanno guidato i progettisti per intravedere questi miracolosi risultati, senza mai citare un elemento che desse fondamento a tali previsioni? E’ forse una cultura settoriale, lineare, che fa moltiplicare i numeri senza badare a uno straccio di analisi sociale, senza portare a supporto studi specifici? E’ dunque una questione meramente culturale? Certo che questa ha un rilevante ruolo nella scelta di avanzare ipotesi non suffragate. Sarebbe bastato esaminare i documenti dell’Istat (grafico qui a fianco) per capire che Verona non poteva fare eccezione a questa dinamica offerta dal Servizio Statistico sull’evoluzione della popolazione in Italia.

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E ancora. Se l’indice di vecchiaia aumenta e il contributo maggiore al mantenimento della popolazione è dovuta al saldo migratorio, è pensabile che le tipologie abitative debbano restare le stesse di quando la tendenza demografica era quella dell’aumento delle famiglie italiane? E le tipologie abitative sono alla portata di quella popolazione immigrata su cui si basano le previsioni edificatorie?

Basta andare a vedere le previsioni demografiche al 2025 dell’Istat per verificare che la popolazione prevista dai Piani dei 2/3 dei comuni della provincia di Verona che hanno adottato il PAT supera quella complessiva indicata, a quella data, dall’Istat. Semplici errori? No, è’ probabile che ci sia dell’altro.

Superficie Agricola Utilizzata (SAU)

Secondo i dati forniti sempre dall’Istat in occasione dei Censimenti della aziende agricole, per effetto della crescita urbana e dell’abbandono delle montagne tra il 1970 ed il 2010, in circa quarant’anni nel Veneto la SAT (Superficie Agricola Totale, intesa come l'area complessiva dei terreni dell'azienda agricola destinati a colture erbacee e/o arboree, inclusi i boschi, la superficie agraria non utilizzata, nonché l'area occupata da parchi e giardini ornamentali, fabbricati, terre sterili, canali, ecc. situati entro il perimetro dei terreni che costituiscono l'azienda) è diminuita di 385.588 ettari (con un decremento del 27% rispetto al 1970), mentre la SAU (Superficie Agricola Utilizzata intesa come terreni utilizzati effettivamente in coltivazioni propriamente agricole condotti a seminativi, orti familiari, prati permanenti e pascoli, coltivazioni legnose agrarie e castagneti da frutto) è diminuita di 107.698 ettari. Un decremento che ha subito una brusca accelerazione negli ultimi due decenni: se negli anni Ottanta, infatti, si registrava annualmente una diminuzione di 23 milioni di mq all’anno di SAT, negli anni Novanta la media è salita a 97 milioni di mq/anno, per poi raddoppiarsi (se i dati provvisori del Censimento 2011 saranno confermati) negli anni Duemila, raggiungendo la cifra record di 182 milioni di mq/anno.

Situazione simile per quanto riguarda la situazione in Provincia di Verona. Secondo lo studio della Regione Veneto “Le superfici agricole nel Veneto” pubblicato nel novembre del 2012, infatti, la provincia di Verona ha diminuito la SAT dal 1970 al 2010 del 17,5%, complessivamente 43.323 ettari in meno che equivalgono a oltre due volte l’intera superficie comunale di Verona. La SAU ha subito un decremento del 12,6% con una perdita totale dal 1970 di 25 mila ettari.

La situazione così descritta nello studio porta la stessa Regione a sottoscrivere la recente determinazione del Consiglio dei Ministri che in data 14 settembre 2012 ha approvato la proposta concernente un disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e sul contenimento del consumo di suolo, nella convinzione che “… i ritmi attuali di consumo del territorio e l'eccesso di urbanizzazione stravolgono il volto dell'Italia, che modificano irreversibilmente le condizioni climatiche, ambientali e sociali del nostro paese, e che alterano il cibo, l'aria, il paesaggio, è ormai patrimonio condiviso di ampi strati della popolazione e delle categorie produttive.” Speriamo che non rimanga un disegno di legge e soprattutto che la Regione Veneto non

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si copra dietro i soliti principi esposti in premessa ad ogni piano o progetto e che finalmente traduca nei fatti ciò che a tutt’oggi non ha minimamente prodotto.

È questo il caso anche della Legge Regionale 11/2004 per il governo del territorio, la quale sembrava voler porre un limite a questa insensata distruzione di risorse naturali, stabilendo che non più di una certa percentuale della SAU (variabile tra lo 0,65 e l‘1,3%, in relazione alle diverse tipologie localizzative dei Comuni) potesse essere destinata ad altri usi nel corso di un decennio. Il successivo Atto di indirizzo, predisposto per fornire ai Comuni il corretto metodo di calcolo (Delibera di Giunta Regionale n. 3650 del novembre 2008), ha richiesto che nel computo della SAU si considerasse l’uso effettivo del suolo «a prescindere dalle destinazioni e classificazioni di PRG». Secondo il provvedimento regionale dunque nel computo della SAU non vanno considerate le sole “zone E” del PRG, bensì anche le aree aventi ancora caratteristiche agricole (anche se attualmente non utilizzate o abbandonate) indipendentemente dal fatto che il PRG vigente o la pianificazione sovraordinata (Piani d’Area, Piano Regionale e Piano Provinciale) ne abbia prevista una diversa destinazione d’uso.

Sembrerebbe logico dedurne che il limite massimo dello 0,65% o dell’1,3%, calcolato sul totale di dette superfici, imponga una revisione dello stesso PRG vigente ed uno stralcio delle previsioni in eccesso rispetto a detto limite. Interpretazione che, a nostro giudizio, appare confermata dalla lettura dell’articolo 48 comma 5 bis della Legge urbanistica regionale con il quale si stabilisce che il PRG vigente con l’approvazione del primo PAT, “per le parti compatibili”, diventa il Piano degli Interventi. Purtroppo non è questa l’interpretazione normalmente fornita dai Comuni che applicano il limite SAU alle sole nuove espansioni previste dai PAT, confermando indiscriminatamente tutte le trasformazioni di destinazione d’uso dei terreni agricoli già previste dai PRG vigenti, oltre naturalmente tutte le opere previste dalla pianificazione sovraordinata. Una interpretazione evidentemente “intrinseca“ nella DGRV 3650/2008 citata che oltretutto, nel momento in cui alla base del calcolo si pongono tutte le aree agricole presenti nel territorio comunale, “a prescindere dalle destinazioni e classificazioni di PRG”, premia proprio quei Comuni che nel passato hanno sovradimensionato le previsioni di piano rispetto al fabbisogno reale.

Questa interpretazione contraddice di fatto, a nostro parere, le finalità della Legge 11/2004 e svuota di significato quanto previsto dall’articolo 13. I PRG vigenti hanno, infatti, come risulta dai dati forniti dalla stessa Regione, una potenzialità edificatoria residua enormemente superiore al prevedibile fabbisogno dei prossimi decenni. A pagina 161 della Relazione del PTRC del 2009 vengono sinteticamente riportati i risultati di una indagine preliminare affidata dalla Regione all’Università dell’Aquila (coordinatore il professor Bernardino Romano) ed effettuata analizzando le previsioni urbanistiche dei 314 Comuni veneti (comprendenti il 36% della superficie regionale, con 68.340 ettari urbanizzati) dotati di strumenti urbanistici informatizzati. Da detta indagine, riferita al 2007, risulta che le nuove espansioni previste nei PRG vigenti consentono un incremento del 40% dell’attuale urbanizzato! Applicando detto indice all’intera superficie urbanizzata della Regione, pur con evidenti margini di approssimazione, sarebbe attualmente possibile nel Veneto – sulla base delle previsioni dei PRG vigenti - un incremento dell’urbanizzato di oltre 75.000 ettari, un valore che risulta pari a più di due volte e mezzo rispetto a quello del consumo di suolo conseguente alle urbanizzazioni effettuate nel ventennio precedente, dal 1983 al 2006! E nel calcolo non rientra il consumo di suolo dovuto alle autostrade ed alle strade nazionali e provinciali (circa 16.000 ettari nel 2007).

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Ancora sui criteri per il calcolo della superficie trasformabile

Il caso del comune di Vigasio

Ai sensi della DGR 3650/2008, intervenuta dopo 4 anni dall’entrata in vigore della L.R. 11/04, il calcolo della SAU viene eseguito facendo una fotografia del territorio nel momento dell’elaborazione del quadro conoscitivo. Non vengono escluse dal calcolo della SAU quelle aree la cui destinazione a usi diversi da quelli agricoli è già stata definita da piani sovraordinati o PRG vigenti.

Fig 1 -in verde la SAU totale nel momento della definizione del quadro conoscitivo

Fig. 2 -individuazione in arancio di aree già destinate a usi diversi da quelli agricoli ma non ancora trasformate

Dal calcolo della SAU deriva uno dei parametri più importanti su cui si basa il dimensionamento di un PAT ossia la superficie agricola trasformabile in aree non agricole (SAT); in estrema sintesi più alta è la SAU più alta sarà la SAT.

Il caso del comune di Vigasio mette in evidenza come i criteri per il calcolo della SAU definiti dalla DGR 3650/2008 siano poco in sintonia con i principi ispiratori della L.R. 11/04 volti a tutelare il territorio rurale e limitare il consumo di suolo agricolo.

In Fig.1 e 2 vengono riportate delle illustrazioni che mettono a confronto la SAU comunale di Vigasio (in verde) al momento della definizione del quadro conoscitivo e la stessa scorporata di aree già destinate ad usi diversi (in arancione) da quelli agricoli. Considerare o meno quelle aree già a diversa destinazione, per cui di fatto sotto il profilo pianificatorio da classificare non agricole, influenza il calcolo della SAU e così della SAT.

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Ecco i numeri: Metodo ai sensi della DGR 3650/2008

Metodo scorporando le aree già a diversa destinazione dalla SAU

SAU 2560 ha 2160 ha STC 3080 ha 3080 ha SAU/STC 83% 70% SAT 33,28 ha 28,08 ha

Tra i due metodi emerge una differenza di ben 52000 mq corrispondenti a oltre 7 campi da calcio. Il rapporto SAU/Superficie comunale si abbassa di ben 13 punti percentuali, e la SAT è inferiore del 15,6% rispetto al calcolo standard.

Cosa accade in provincia di Verona in merito alla SAU?

Le analisi hanno preso in considerazione la SAU rilevata dall’Istat nel 2001 e la SAU dichiarata dai PAT dei Comuni, quindi negli anni che vanno dal 2006 al 2012.

In 31 Comuni essa è aumentata negli anni, anche, in qualche caso, in misura rilevante. Prendiamo il caso di Verona, da 6164,3 ettari dichiarati dall’Istat nel 2001 si è passati nel 2007 a 12963,5 ettari. Terreno agricolo più che raddoppiato. In virtù di quali politiche di “rinaturalizzazione”? E poi, che politiche efficienti! Un raddoppio in meno di 7 anni!

Va detto che a fronte di questi 31 Comuni “naturalisticamente virtuosi”, ci sono 16 Comuni che vedono diminuire la SAU (con numeri rilevanti nel caso di Concamarise che passa da 1108 a 639, Bardolino da 1418 a 968, Caldiero da 1011 a 790, Isola Rizza da 1723 a 1359, San Mauro di Saline da 828 a 478, S. Zeno di Montagna da 1922 a 929, S. Anna di Alfaedo da 2857 a 2034, Velo Veronese da 2847 a 1286).

Ben 45 Comuni non mettono a disposizione i loro propri dati.

La Legge Regionale 11/2004, come dicevamo, stabilisce un limite massimo di superficie agricola trasformabile e che non più di una certa percentuale di SAU (variabile tra lo 0,65 e l‘1,3%) possa essere destinata ad altri usi nel corso di un decennio.

Hanno seguito tale indicazione di legge i Comuni veronesi?

Come prima valutazione va detto che tutti i comuni hanno interpretato l’aggettivo “massima” come valore “indispensabile” quasi “sollecitato”, pur se immotivato dalla domanda o dalla demografia. Inoltre nessun comune ha rinunciato a quel 10% (20% per i PATI) quale aumento “motivato” alla SAU trasformabile, sempre previsto dalla DGR 3650/2008.

Ne consegue che 31 Comuni superano, nei loro PAT-PATI il limite di 1,3%, con le vette di Cerro Veronese 1,83%, S. Mauro di Saline di 1,78, Roveré Veronese 1,77, Bosco Chiesanuova 1,76, Velo Veronese 1,74, Isola Rizza 1,69. Ad alcuni di questi Comuni, come Cerro e Bosco Chiesanuova, è stato approvato il PATI contenente tali percentuali.

E’ lecito chiedersi quali principi di etica pubblica alberghino in una istituzione regionale che prima stabilisce dei limiti nella propria legge e poi approva tranquillamente lo strumento urbanistico che quei limiti supera abbondantemente?

Quale destino può avere dunque il suolo se le istituzioni pubbliche affermano principi che disattendono loro stesse?

Page 12: Mattone e finanza

Comune Pop res 1991 (ISTAT)

Pop res 2001 (ISTAT)

Pop res 2011 (ISTAT)

% Var. pop 1991-2011 (20 anni)

% Var. pop 1991-2001 (10 anni)

% Var. pop 2001-2011 (10 anni)

Stima nuovi ab PAT1+ PRG2

%Var. pop da PAT in 10 anni

stima pop a scadenza PAT

anno proiezione PAT

STC3 ha

SAU4 ha 2001 (ISTAT)

SAU ha 2010 (ISTAT)

SAU ha da PAT

consumo SAU %

SAU ha trasform.

Volume per ab. mc/ab

Affi 1468 2083 2303 56,88% 41,89% 10,56% - - - - 980,0 355,86 576,7 - - - - Albaredo d'Adige 4971 5138 5241 5,43% 3,36% 2,00% 800 15,06% 6113 2020 2820,0 1958,3 1971,5 1996,0 1,43% 28,52 250 Angiari 1733 1892 2165 24,93% 9,17% 14,43% 284 14,17% 2288 2018 1344,0 1067,5 974,3 1043,5 1,43% 14,92 160-

200 Arcole 4639 5708 6161 32,81% 23,04% 7,94% 1882 30,17% 8121 2021 1893,5 1141,5 967,9 1491,6 1,30% 19,39 - Badia Calavena 2202 2461 2664 20,98% 11,76% 8,25% - - - - 2690,0 1009,7 1679,8 - - - - Bardolino 6021 6377 6728 11,74% 5,91% 5,50% 400 5,93% 7149 2020 5534,8 1418,1 1066,8 968,3 1,30% 12,59 200 Belfiore 2639 2746 3013 14,17% 4,05% 9,72% 343 12,18% 3159 2016 2650,0 1523,4 1896,6 2218,0 1,29% 28,72 150 Bevilacqua 1578 1801 1788 13,31% 14,13% -0,72% 476 26,14% 2297 2017 1210,0 761,01 847,0 1039,0 1,43% 14,87 150 Bonavigo 1953 1990 2028 3,84% 1,89% 1,91% 846 42.6% 2830 2020 1780,0 1334,5 1133,0 1518,5 1,43% 21,7 - Boschi Sant'Anna 1285 1369 1457 13,39% 6,54% 6,43% - - - - 900,0 466,24 369,9 - - - - Bosco Chiesanuova 3028 3386 3559 17,54% 11,82% 5,11% 895 24,45% 4556 2025 6460,0 2150,7 2065,8 3638,1 1,76% 63,86 150 Bovolone 12962 13934 15851 22,29% 7,50% 13,76% - - - - 4140,0 3220,7 3559,0 - - - - Brentino Belluno 1236 1333 1407 13,83% 7,85% 5,55% 260 18,64% 1655 2018 2597,2 602,29 645,4 585,2 1,59% 9,29 314 Brenzone 2306 2494 2511 8,89% 8,15% 0,68% - - - - 5010,0 1032,9 474,6 - - - - Bussolengo 14488 18266 19497 34,57% 26,08% 6,74% - - - - 2430,0 1840,7 1245,7 1647,1 1,43% 23,55 Buttapietra 4469 6195 6878 53,90% 38,62% 11,03% - - - - 1720,0 1044,6 827,0 - - - - Caldiero 4825 6046 7381 52,97% 25,31% 22,08% 1312 21,02% 7555 2016 1042,7 1011,9 1259,6 790,7 1,30% 10,28 150 Caprino Veronese 6972 7657 8076 15,83% 9,83% 5,47% - - 6050 - 4730,0 2582,6 1729,2 - - - - Casaleone 6133 6010 5945 -3,07% -2,01% -1,08% 1900 31,40% 7950 2018 3830,0 2378,2 3056,3 3369,0 1,43% 48,2 150 Castagnaro 4305 4091 3935 -8,59% -4,97% -3,81% - - - - 3470,0 3005,9 2972,7 3087,0 1,42% 43,8 - Castel d'Azzano 9309 10825 11748 26,20% 16,29% 8,53% 1887 15,9% 13731 2023 970,0 649,4 377,1 770,3 1,43% 8,7 150

Castelnuovo del G. 7934 9988 12211 53,91% 25,89% 22,26% 1247 10,99% 12591 2017 3470,0 1878,2 1580,1 - - 24,64 - Cavaion Veronese 3411 4459 5480 60,66% 30,72% 22,90% 1462 25,6% 7167 2023 1290,0 528,43 654,9 770,3 1,45% 11,2 150

Cazzano di Tramigna 1253 1340 1556 24,18% 6,94% 16,12% 456 29,44% 2005 2025 1228,2 831,72 648,5 764,4 1,49% 11,39 150 Cerea 14604 15473 16263 11,36% 5,95% 5,11% 5165 32,87% 20880 2016 7040,0 5379,0 5416,1 5461,0 1,43% 78,09 179 Cerro Veronese 1503 2274 2437 62,14% 51,30% 7,17% 848 34,94% 3275 2025 1020,0 326,47 199,6 491,2 1,83% 8,99 150 Cologna Veneta 7460 8207 8622 15,58% 10,01% 5,06% 2217 26,66% 10534 2019 4300,0 3779,4 3559,9 3534,0 1,29% 45,76 - Colognola ai Colli 6642 7481 8149 22,69% 12,63% 8,93% 1978 25,74% 9664 2016 2081,0 1410,4 1504,7 1549,0 1,30% 20,14 150 Concamarise 1081 1044 1078 -0,28% -3,42% 3,26% 333 31,90% 1377 790,0 1108,1 1385,6 639,7 1,43% 9,1 186 Costermano 2380 3318 3596 51,09% 39,41% 8,38% 843 23,33% 4457 2020 1690,0 515,47 392,0 768,0 1,53% 11,74 - Dolcè 2149 2387 2574 19,78% 11,07% 7,83% 865 35,91% 3274 2016 3940,0 496,87 459,0 512,0 0,72% 3,67 310 Erbè 1579 1619 1846 16,91% 2,53% 14,02% - - - - 1590,0 1185,6 1163,8 - - - - Erbezzo 772 809 774 0,26% 4,79% -4,33% - - - - 3240,0 2191,8 1130,1 - - - - Ferrara di Monte B. 167 216 225 34,73% 29,34% 4,17% - - - - 2690,0 684,54 789,5 - - - - Fumane 3419 3908 4161 21,70% 14,30% 6,47% 1070 25,5% 5260 2023 3430,0 928,64 1042,1 1499,4 0,71% 10,7 150 Garda 3451 3815 3989 15,59% 10,55% 4,56% 1148 31,94% 4742 2016 1610,0 160,13 122,6 180,7 0,71% 1,29 150 Gazzo Veronese 5763 5584 5485 -4,82% -3,11% -1,77% 2009 36,01% 7588 2017 5670,0 4238,3 3824,2 4860,8 1,43% 69,51 186 Grezzana 9360 10525 10814 15,53% 12,45% 2,75% 2037 19,16% 12666 5200,0 1842,5 1558,8 1889,0 1,30% 24,56 220 Illasi 4519 5112 5319 17,70% 13,12% 4,05% - - - - 2500,0 1738,2 1859,3 - - - - Isola della Scala 10388 10897 11467 10,39% 4,90% 5,23% 2072 18,00% 13585 2020 6990,0 4666,3 5261,9 5423,4 1,43% 77,56 Isola Rizza 2707 2977 3256 20,28% 9,97% 9,37% 960 29,62% 4201 1680,0 1723,9 1537,4 1359,4 1,69% 22,97 150 Lavagno 5009 6222 8119 62,09% 24,22% 30,49% 1657 25,34% 8196 2016 1466,0 893,32 796,8 1074,0 1,30% 13,96 150 Lazise 5446 6213 6723 23,45% 14,08% 8,21% 1236 18,87% 7787 2018 6500,0 1581,9 1397,2 1772,0 1,30% 23,05 Legnago 26256 25181 25124 -4,31% -4,09% -0,23% - - - - 7970,0 4883,7 4379,3 - - - - Malcesine 3396 3498 3691 8,69% 3,00% 5,52% - - - - 6820,0 1198,3 354,2 - - - - Marano di Valpolicella 2537 2975 3083 21,52% 17,26% 3,63% 229 7,55% 3264 2021 1860,0 1188,5 1015,2 1017,5 1,43% 14,55 200 Mezzane di Sotto 1786 1949 2466 38,07% 9,13% 26,53% - - - - 1960,0 1096,1 941,2 - - - - Minerbe 4630 4599 4655 0,54% -0,67% 1,22% 1167 25,3% 5782 2021 2970,0 2225,9 1996,6 2249,9 1,43% 32,2 150 Montecchia di Crosara 3917 4414 4467 14,04% 12,69% 1,20% 1440 32,8% 5830 2019 2110,0 1210,6 1363,2 1384,0 1,46% 20,22 150 Monteforte d'Alpone 6610 7597 8415 27,31% 14,93% 10,77% 1247 14,64% 9765 2020 2041,2 1673,9 1979,2 1576,5 1,44% 22,66 250 Mozzecane 4308 5611 7014 62,81% 30,25% 25,00% 2667 38,0% 9686 2020 2470,0 1685,0 1697,1 2064,0 1,30% 26,8 150

Negrar 13242 16705 16956 28,05% 26,15% 1,50% - - - 2017 4050,0 1686,9 1956,8 2057,2 1,30% 26,7 150 Nogara 7712 8154 8527 10,57% 5,73% 4,57% 2888 33,64% 11473 2018 3897,6 2257,5 2546,1 3126,0 1,30% 40,63 - Nogarole Rocca 2664 3088 3462 29,95% 15,92% 12,11% - - - - 2920,0 2093,5 2183,3 - - - -

Oppeano 6941 8018 9405 35,50% 15,52% 17,30% - - - - 4700,0 4720,9 4261,3 - - - -

1 PAT: Piano di Assetto del Territorio

2 PRG: Piano Regolatore Generale

3 STC: Superficie Territoriale Comunale

4 SAU: Superficie Agricola Utilizzata

Page 13: Mattone e finanza

Palù 1090 1181 1284 17,80% 8,35% 8,72% - - - - 1350,0 1107,0 1202,7 - - - - Pastrengo 2326 2486 2893 24,38% 6,88% 16,37% - - - - 900,0 483,3 422,5 - - - - Pescantina 9806 14096 16349 66,72% 43,75% 15,98% 3266 21,76% 18278 1971,0 1306,5 1099,2 1289,0 1,23% 16,10 - Peschiera del Garda 8382 9006 9628 14,87% 7,44% 6,91% 350 3,72% 9747 2017 1760,0 626,2 432,2 - - 4,14 - Povegliano Veronese 5729 6921 7065 23,32% 20,81% 2,08% - - - - 1870,0 1358,1 1536,1 - - - - Pressana 2399 2465 2566 6,96% 2,75% 4,10% - - - - 1770,0 1548,9 1621,3 - - - - Rivoli Veronese 1733 2033 2130 22,91% 17,31% 4,77% 624 29,70% 2725 2018 1839,6 760,2 721,7 945,8 1,50% 14,20 289 Roncà 3297 3479 3730 13,13% 5,52% 7,21% 1422 38,7% 5100 2019 1820,0 1140,7 1076,8 993,5 1,51% 15,0 150 Ronco all'Adige 5643 5834 6185 9,60% 3,38% 6,02% 900 14,75% 7002 2020 4268,7 3142,4 2645,7 3187,5 1,30% 41,44 - Roverchiara 2588 2685 2743 5,99% 3,75% 2,16% - - - - 1980,0 1830,2 2236,0 - - - - Roverè Veronese 1999 2129 2132 6,65% 6,50% 0,14% 860 39,27% 3050 2020 3650,0 905,1 1144,4 1790,8 1,77% 31,76 150 Roveredo di Guà 1227 1437 1541 25,59% 17,11% 7,24% - - - - 1020,0 2257,1 1855,4 - - - - Salizzole 3737 3788 3745 0,21% 1,36% -1,14% 812 21,61% 4569

3070,0 2255,3 2845,8 2661,5 1,43% 38,06 186

San Bonifacio 15634 18810 20304 29,87% 20,31% 7,94% - - - - 3390,0 1920,3 2442,5 - - - - San Giovanni Ilarione 4644 5067 5117 10,19% 9,11% 0,99% 1592 30,6% 6791 2019 2530,0 1203,3 1042,9 1374,6 1,51% 20,7 150 San Giovanni Lup.to 20129 22218 24173 20,09% 10,38% 8,80% 3428 15,24% 25925 2015 1890,0 845,5 676,7 999,2 0,71% 7,14 150 Sanguinetto 4176 4009 4136 -0,96% -4,00% 3,17% 1193 28,97% 5311 - 1360,0 1148,8 1053,1 1060,2 1,43% 15,16 186 San Martino B. A.go 13258 13231 14314 7,97% -0,20% 8,19% 2180 15,55% 16197 2019 3530,0 1718,5 1916,8 2416,8 1,33% 32,20 250 San Mauro di Saline 534 570 556 4,12% 6,74% -2,46% 380 66,67% 950 2020 1110,0 828,8 677,4 478,9 1,78% 8,53 150 San Pietro di Morubio 2872 2828 3026 5,36% -1,53% 7,00% 694 23,34% 3668 1600,0 1267,7 1125,6 1317,9 1,69% 22,27 150 San Pietro in Cariano 10880 12624 12949 19,02% 16,03% 2,57% - - - - 2020,0 1363,4 1353,4 - - - - San Zeno di Mont. 1108 1328 1375 24,10% 19,86% 3,54% 145 10,43% 1535 2021 2825,8 590,8 637,9 929,8 1,40% 12,97 Sant'Ambrogio di Vap. 9143 10656 11432 25,04% 16,55% 7,28% - - - - 2350 2857,4 2215,6 - Sant'Anna d'Alfaedo 2490 2544 2573 3,33% 2,17% 1,14% 208 8,00% 2807 2019 4362,3 1922,0 1118,1 2034,6 1,48% 30,14 303 Selva di Progno 1012 985 938 -7,31% -2,67% -4,77% - - - - 4120,0 2688,7 1560,1 - - - - Soave 6015 6800 6921 15,06% 13,05% 1,78% - - - - 2270,0 1612,6 1803,0 - - - - Sommacampagna 10873 13799 14640 34,65% 26,91% 6,09% 1022 7,24% 15136 2016 4090,0 2763,3 2718,7 2336,7 1,61% 37,71 150 Sona 12593 15020 17116 35,92% 19,27% 13,95% - - - - 4120,0 2671,3 2807,3 3161,3 1,43% 45,3 150 Sorgà 3006 3031 3114 3,59% 0,83% 2,74% - - - - 3150,0 2631,7 2024,4 - - - - Terrazzo 2575 2336 2293 -10,95% -9,28% -1,84% 341 14,55% 2685 2017 2050,0 1585,7 1397,2 1692,0 1,43% 24,20 150 Torri del Benaco 2468 2793 2840 15,07% 13,17% 1,68% - - - - 5140,0 298,1 195,6 - - - - Tregnago 4643 4862 4935 6,29% 4,72% 1,50% 948 19,20% 5886 2020 3740,0 1095,1 1193,6 1703,1 1,55% 26,47 - Trevenzuolo 2358 2584 2731 15,82% 9,58% 5,69% - - - - 2700,0 2393,5 1634,1 - - - - Valeggio sul Mincio 9299 12118 14363 54,46% 30,32% 18,53% 2899 20,45% 17074 2019 6393,6 4422,2 4187,6 4894,7 1,43% 69,99 150 Velo Veronese 822 792 786 -4,38% -3,65% -0,76% 504 62,84% 1306 2020 1910,0 2847,9 3061,7 1286,7 1,74% 22,35 150 Verona 255799 259068 254607 -0,47% 1,28% -1,72% 25000 9,32% 293100 2016 20660,0 6164,3 7971,9 12963,5 1,29% 167,84 Veronella 3426 3946 4681 36,63% 15,18% 18,63% 1958 47,02% 6122 2017 2080,0 1329,3 1852,9 1688,9 1,30% 21,96 150 Vestenanova 2479 2683 2624 5,85% 8,23% -2,20% 1160 43,3% 3840 2019 2390,0 1078,2 747,4 1008,1 1,48% 14,91 150 Vigasio 6047 7393 9451 56,29% 22,26% 27,84% 3148 38,71% 11280 2020 3080,0 1999,1 1793,0 2535,7 1,33% 33,62 150 Villa Bartolomea 5403 5500 5846 8,20% 1,80% 6,29% - - - - 5330,0 3315,9 3798,5 4679,0 1,42% 66,4 - Villafranca di Verona 27005 30521 32718 21,16% 13,02% 7,20% - - - - 5740,0 3926,8 4312,7 - - - - Zevio 10176 13055 14436 41,86% 28,29% 10,58% 2250 15,49% 16772 2022 5500,0 3979,5 4243,9 4155,0 1,43% 59,42 150 Zimella 3962 4626 4833 21,98% 16,76% 4,47% 1032 21,68% 5793 2017 20100,0 1763,8 2105,1 1622,7 1,30% 21,10 150 TOTALI 788303 860796 9033564 106842 330187,2 177520,4 169319,9 135233,0

MEDIE 20,4% 12,1% 6.98% 25,2% 1,40%

VAR. MEDIA SUL TOT 14,% 9,2% 4,97%

Comune

Pop res 1991 (ISTAT)

Pop res 2001 (ISTAT)

Pop res 2011 (ISTAT)

% Var. pop 1991-2011 (20 anni)

% Var. pop 1991-2001 (10 anni)

% Var. pop 2001-2011 (10 anni)

Stima nuovi ab PAT5+ PRG6

%Var. pop da PAT in 10 anni

stima pop a scadenza PAT

anno proiezione PAT

STC7 ha

SAU8 ha 2000 (ISTAT)

SAU ha 2010 (ISTAT)

SAU ha da PAT

consumo SAU %

SAU ha trasform.

Volume per ab. mc/ab

5 PAT: Piano di Assetto del Territorio NOTE: I comuni evidenziati in rosso non hanno ancora adottato alcun PAT (o PATI)

6 PRG: Piano Regolatore Generale

7 STC: Superficie Territoriale Comunale

8 SAU: Superficie Agricola Utilizzata

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Non accade solo a Verona

Ecco il commento di “Un’altra Treviso” a proposito del PAT del capoluogo della Marca.

Un PAT che aumenta il cemento e non fa crescere la città.

Le amministrazioni leghiste hanno sempre sostenuto di favorire l’edificazione per aumentare il numero dei residenti in città e ridurre i prezzi delle case. Sono state così rilasciate un numero enorme di concessioni edilizie, pari a circa 3.000.000 di metri cubi di nuovi edifici residenziali, ma la strategia è clamorosamente fallita perché solo una parte dei volumi è stata realizzata, moltissimi alloggi sono rimasti inutilizzati e i prezzi non sono diminuiti più della media.

Di quei 3.000.000 di metri cubi ne sono stati realizzati circa 1.400.000 ma nel decennio 2001-2011 gli alloggi sfitti in città sono passati da 3.000 a 3.800-4.000: buona parte degli appartamenti e delle case costruite, quindi, sono rimasti vuoti.

La realizzazione di nuove lottizzazioni in ogni angolo del territorio cittadino, inoltre, ha reso più difficile e costoso raggiungere le nuove residenze con i servizi pubblici (acqua, gas, trasporto pubblico, asporto rifiuti…). Il risultato è che la popolazione cittadina è cresciuta di 1.000 unità nel decennio 2001-2011: Treviso é una città che non cresce, che non attrae nuovi abitanti, anzi che “espelle” i propri giovani, è una città che invecchia e si inaridisce.

Treviso può e deve tornare a crescere per uscire dalla crisi che ha vissuto in questi anni: stagnazione della popolazione, crisi delle attività economiche, chiusura culturale.

Per far venire a vivere a Treviso nuovi abitanti nei prossimi anni non è necessaria una nuova selvaggia espansione edilizia ma serve migliorare la qualità dei servizi, ridurre l’inquinamento atmosferico, aumentare il verde, serve cioè migliorare la qualità della vita in città perché Treviso diventi attraente per chi oggi risiede altrove.

Invece, il PAT adottato pochi giorni fa da Lega e PDL prevede 1.200.000 metri cubi di nuove abitazioni che serviranno solo a ridurre il valore delle case già esistenti e non garantisce nulla per migliorare la qualità della vita.

Quante abitazioni vuote avremo nel 2021?

I numeri del consumo di suolo nazionale

A gennaio del 2012 WWF e FAI hanno pubblicato il rapporto Terra rubata: Viaggio nell’Italia che scompare. Dallo studio condotto da Bernardino Romano dell’Università dell’Aquila su di una decina di Regioni (il 44% del territorio nazionale) risulta che dagli anni Cinquanta ai primi anni Duemila le aree urbanizzate si sono moltiplicate di circa 3,5 volte. A livello nazionale, ne deriva – nel corso di quasi cinquant’anni - un consumo medio di suolo per urbanizzazioni di circa 75 ettari/giorno, equivalenti a 100 campi di calcio al giorno, oppure 50 km di autostrada a 4 corsie al giorno .

In realtà il processo si è enormemente accelerato proprio negli ultimi quindici anni.

Ed infatti secondo il Rapporto Ambiente Italia 2011, elaborato da Legambiente con la collaborazione dell’Istituto Ambiente Italia e dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, attualmente ogni giorno in Italia si artificializzano 137 ettari di territorio, in prevalenza

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costituiti da suoli agricoli tra i più fertili. Il che corrisponde ad un consumo totale di circa 50.000 ettari/anno. E’ come se ogni 4 mesi sorgesse una nuova città delle dimensioni di Milano ed è come se in una dozzina d’anni si cementificasse un’intera regione delle dimensioni del Friuli Venezia Giulia. Quasi il 7,6% del territorio nazionale è urbanizzato: in totale 2.350.000 ettari, pari a 415 mq/abitante. E’ ovviamente una media: in alcune Regioni questa percentuale è ben superiore! Al primo posto in questa classifica negativa c’è la Lombardia, con il 14% di superfici artificiali, ma subito a ruota segue il Veneto, con l’11% (anche se dai dati della Relazione illustrativa del PTRC la percentuale risulterebbe ancor più elevata).

Uso del suolo in provincia di Verona

Il quadro generale dell’utilizzo dei suoli e delle attività economiche prevalenti è significativo, quindi, per capire sia la coerenza tra le modificazioni del suolo e l’andamento demografico sia lo stato di salute del paesaggio.

Il territorio veronese rappresenta uno dei sistemi insediativi più peculiari dell’Italia settentrionale. La provincia di Verona, condizionata dalla presenza di sistemi montuosi significativi a nord che degradano verso sud attraverso un insieme di ambiti collinari e di valli, formate da un vasto e importantissimo sistema fluviale, che si aprono formando la grande pianura, contiene in sé tutte le caratteristiche, forme e criticità del nord Italia. Si presenta come un’area fortemente antropizzata, intensamente coltivata e negli ultimi trenta - quarant’anni interessata da un processo di fortissima industrializzazione e crescente urbanizzazione, che ne ha mutato sia la morfologia e il paesaggio sia il sistema sociale ed economico. La cartografia qui sotto, ricavata dalla Carta di Copertura del Suolo (CCS) redatta dalla Regione Veneto, fotografa al 2006 una diffusione dell’urbanizzato (in rosso) che ha raggiunto ogni angolo del territorio.

Si riconosce la tendenza, iniziata alla fine degli anni ’70, ad una dispersione territoriale che via via ha assunto caratteristiche sempre più marcatamente urbane. Si sono poste in questi ultimi quarant’anni le basi per un radicale cambiamento delle funzioni degli stessi luoghi che per migliaia di anni hanno caratterizzato il paesaggio. Si è avviato anche qui quel processo descritto da Francesco Indovina di “metropolizzazione del territorio”, generato proprio dalla dispersione, tendente ad integrare i diversi aggregati urbani anche ai territori ad urbanizzazione diffusa.

L’elemento decisamente distintivo è il suo funzionamento come se fosse una vera e propria città, in cui la popolazione tende ad usare tutto il territorio per i propri bisogni, favorita da un tasso di motorizzazione privata che ha raggiunto le 62 automobili ogni cento abitanti.

Le altre riconosciute cause delle principali trasformazioni che si possono individuare, pur nella difficoltà di descriverle anche per effetto della velocità con cui questi cambiamenti sono avvenuti, sono:

- l’affermarsi della piccola media impresa come sistema del produrre e dell’accoglienza, con la nascita di una miriade di piccole imprese che direttamente o per indotto si sono messe a servizio delle varie forme di distretti (legno, concia, turismo…);

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16

- l’abbandono delle pratiche agricole a titolo principale in ampie porzioni della provincia, anche nella grande pianura veronese, per effetto di una sopraggiunta competitività di produzioni cerealicole intensive di importazione; un’agricoltura comunque non particolarmente florida, se si esclude la zona vitivinicola della Valpolicella, per le colture locali tanto che è prevalsa la tendenza alla formazione di una rendita che, con l’integrazione di più redditi, ha posto le basi negli anni ottanta per costituire quella fonte finanziaria alle radici della micro-imprenditorialità, condizione di partenza della piccola media impresa (Indovina, 2010). - il contemporaneo aumento dei valori immobiliari negli ambiti urbani seguito all’aumentato interesse da parte della finanza di investire in “rendita di posizione”, che determina uno spostamento abitativo residenziale “dal centro verso la periferia”. - l’affermarsi del settore commerciale-direzionale, con l’apertura di innumerevoli centri commerciali, attrezzati negli ultimi anni con attività ricreative (palestre, attrezzature sportive, multisala, sale giuochi etc…) diventate nuove centralità per le attività delle famiglie oltre ad essere grandi catalizzatori di mobilità privata; - l’universale aumento delle esigenze degli individui, che per effetto dei miglioramenti salariali e delle condizioni di lavoro hanno avuto a disposizione più tempo non obbligato e più disponibilità per nuovi investimenti in seno alla famiglia; - il continuo nuovo afflusso di turisti, prevalentemente nell’area gardesana, con oltre 12 milioni di presenze/anno sulla sola costa veronese, provenienti soprattutto dai paesi del centro nord Europa, che chiedono nuovi e maggiori servizi efficienti e moderni; - l’affermarsi del settore terziario, legato all’accoglienza, all’organizzazione delle attività culturali e ludiche nonché al coordinamento delle attività alberghiere; - la disgregazione della famiglia tradizionale che allontana i giovani verso nuove forme di lavoro;

Il nuovo mosaico metropolitano, pur avendo contribuito ad una forte integrazione in un contesto di dispersione, ha attivato nuove criticità che ancora, non essendo per altro considerate tali, non hanno trovato soluzione o mitigazione. Anzi al contrario stanno producendo effetti indesiderati che stentano ad invertire rotta. Questi caratteri, ancora una volta comuni ad altre aree metropolizzate, sono:

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Superficie

agricola

totale

60%

Superficie

forestata

totale

19%

Superficie

artificializ

zata

15%

Fiumi

torrenti e

aree

umide

6%

Distribuzione uso del suolo (%)

309750

184308

59794

45665

19983

Superficie totale

Superficie agricola totale

Superficie forestata totale

Superficie artificializzata

Fiumi torrenti e aree

umide

Distribuzione uso del suolo (ha)

- eccessivo consumo di suolo, per effetto della tendenza della dispersione abitativa a bassa densità; - consumo di territori ”naturali”, con la riduzione non solo di aree agricole, ma anche di aree boscate, aree umide e in taluni casi anche di aree protette (SIC e ZPS); - aumento accentuato della mobilità pluridirezionale su un sistema stradale esteso e capillare, quindi effettuato e favorito quasi esclusivamente con mezzi privati, con conseguente aumento della diffusione degli inquinanti ormai senza soluzione di continuità tra aree urbane e aree agricole di pianura; assenti, pur se previsti dal PTRC del 1992, investimenti sulla mobilità pubblica con l’integrazione del Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale (SFMR), unico sistema in grado, recuperando le linee ferroviarie dismesse integrate con quelle attive, di affrontare correttamente le criticità legate agli spostamenti; - elevato consumo di energie, sia per la mobilità ma anche per il riscaldamento. È noto infatti che le case isolate hanno bisogno di maggior energia per essere riscaldate;

È in questo contesto, fatto di noncuranza degli aspetti ambientali, naturali e antropologici, che di fatto prosegue un’urbanizzazione a ritmo costante, in continua assenza di interventi mitigativi da parte degli organi preposti e con una scarsa propensione a governare questi territori mediante la pianificazione, realizzata più come atto dovuto che con l’obiettivo di organizzare e distribuire correttamente le plurime funzioni sul territorio.

Stato di fatto

Le aree naturali e agricole

Le analisi territoriali effettuate sono state elaborate utilizzando la Carta di Copertura del Suolo (CCS) pubblicata nel 2007 dalla Regione Veneto, unico strumento pubblico disponibile redatto ad una scala di dettaglio adeguata, pur omettendo la dispersione urbana fatta di singole unità abitative o comunque di piccola dimensione.

La provincia di Verona su una superficie territoriale di 309.750 ettari, presenta 184.308 ha ( 60%), ad uso agricolo, quindi teorica Superficie Agricola Utilizzata (SAU), distribuita a sua volta al 60 % in seminativo (frumento, mais, soia, tabacco, riso …), il 28% per colture da frutto ( di cui il 54% vigneto per complessivi 28 mila ettari) e il rimanente 11% come prati stabili da sfalcio, concentrati prevalentemente nelle aree collinari e montane.

Il tema della sottrazione di aree agricole è particolarmente emblematico per i consumi di suolo. Se lo spazio costruito cresce le aree agricole, in tutte le sue forme, decrescono per forza di cose.

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18

seminativ

o

60%

colture da

frutto

28%

prato da

sfalcio

11%

altre

colture

1%

Distribuzione sup. agricola utilizzata (SAU)

Ma la perdita di queste determina la perdita di paesaggio, di naturalità, di cibo, di ambiente e anche di posti di lavoro.

Sono molte infatti le aziende agricole che hanno chiuso la loro attività negli ultimi anni, cedendo i propri terreni alle espansioni edilizie, ma non possiamo immaginare questo fenomeno proiettato all’infinito. Le esperienze del passato recente con le nuove forme dell’abitare, pur se portando nuove ricchezze, hanno allontanato chi non era proprietario o chi, non possedendo suoli agricoli sufficientemente grandi per continuare a svolgere la propria attività, una volta ceduti ha dovuto spostarsi alla ricerca di un nuovo posto di lavoro.

Drammatica la situazione negli ambiti montani dove l’abbandono delle attività boschive e zootecniche determinano un degrado ambientale sempre più visibile, che si trasforma in rischio quando all’abbandono subentrano insediamenti abitativi o produttivi. Sono moltissimi infatti i nuovi eventi franosi che hanno coinvolto aree precedentemente coltivate e/o boscate che, a seguito dei recenti eventi piovosi, hanno dimostrato la loro forza distruttrice.

Da Malcesine alla media e bassa Val d’Alpone, passando per la media collina nei comuni di Negrar e Grezzana, la “disattenzione” e spesso l’incapacità di governare il territorio da parte di molti amministratori, cedendo alla pressione di costruttori e immobiliaristi e disattendendo la pianificazione sovraordinata delle Autorità di Bacino di riferimento, sono alla base delle principali cause di nuovi o più gravi eventi, per effetto di scelte autorizzative ignoranti e arbitrarie.

Non esenti da queste scellerate scelte autorizzative nemmeno le aree boschive, che ricoprono la superficie provinciale per il 19 %. Un esempio per tutti: il comune di Negrar, area collinare già oggetto di interventi abitativi scriteriati fatti negli ultimi vent’anni, con un colpo di mano cancella la norma riguardante 1700 ha di territorio comunale, precedentemente considerato “ambito di tutela degli elementi di naturalità della matrice agraria”, ove era permesso il solo ampliamento dell’edificato esistente; nella nuova versione sono consentiti tutti gli interventi edilizi, ivi comprese le possibilità di intervenire con gli strumenti del credito edilizio e della compensazione urbanistica. Nel novembre dello stesso anno e nei successivi mesi due eventi atmosferici rilevanti provocano 24 nuovi eventi franosi, perimetrati dalla Protezione Civile della Provincia di Verona, quasi tutti nelle aree appena descritte o in quelle direttamente connesse. Il tutto nell’assoluta indifferenza degli amministratori che imperterriti hanno proseguito nelle loro politiche ormai universalmente conosciute con il termine di “negrarizzazione territoriale”.

Infine il 6% della superficie provinciale è coperta di acqua, caratterizzato dal bacino veneto-gardesano, da fiumi, torrenti, fossi, oltre ad ambienti umidi fluviali e lacuali, quest’ultimi spesso tutelati dalle norme di protezione e conservazione della Rete Natura 2000, derivate dalle direttive della Comunità Europea, ma non per questo rispettate dalle comunità locali. Un esempio per tutti di questa mancanza di rispetto è il bacino del Laghetto del Frassino, Area SIC, ZPS nonché zona Ramsar, ma non per questo sottratta a nuove aree di espansione residenziale o turistico alberghiero.

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aree

residenziali

47%

aree

industriali e

commercial

i

25%

rete

stradale

16%

aree verdi e

per lo sport

4%

aree in

costruzione

4%

cave e

discariche

3%

rete

ferroviaria

1%

Distribuzione aree artificializzate per funzioni (%)

Le aree artificializzate

La rappresentazione cartografica delle aree artificializzate, intese come suolo che ha definitivamente perso le caratteristiche naturali e in particolare che ha alterato tutte le funzioni dello spazio iniziale e in modo permanente, ci restituisce in maniera impressionante la diffusione del costruito, indistintamente espanso in ogni direzione.

Il suolo è una risorsa fortemente esauribile e spazialmente limitata. Ancor più limitata la superficie di quelle aree fruibili per impedimenti climatici, morfologici o ambientali. Il suolo si configura quindi come una risorsa limitata. Se si amplia tale punto di vista incorporandone anche altri come il fatto che con il suolo si producono beni e servizi (cibo, controllo idrologico, sequestro di CO2, etc.) oppure che il suolo concorre a produrre beni sociali (es. casa, fruizione ambientale, aggregazione sociale, etc.) o beni ambientali in quanto è il vitale sostentamento della vegetazione e del mondo animale e quindi degli equilibri ecologici, della biodiversità, etc., allora potremmo davvero pensare che il suolo sia una bene comune in quanto attende a produrre interessi e beni per la collettività e in quanto diviene strategico per il benessere e il futuro della stessa società.

Il rispetto, quindi, sul suo uso è virtù essenziale (sostenibilità) per garantire alle generazioni future condizioni di vita perlomeno uguali se non migliori di quanto hanno potuto godere le attuali e le precedenti.

Vediamo se quanto avvenuto risponde ai criteri di sostenibilità che ogni piano o progetto enuncia e ne motiva verosimilmente l’efficacia.

Va premesso che i valori emersi, data la scarsa disponibilità di dati e le difficoltà a recuperare i documenti e le cartografie che testimoniano soprattutto gli interventi ammessi e realizzati in questi ultimi anni, sono certamente quantitativamente sottostimati. Inoltre la sottostima dipende dal fatto che, date le modalità di produrre i dati in un’ottica di scarsa o inesistente continuità con le cartografie esistenti ovvero modelli non “pianificati”, non coordinati tra enti territoriali (sia per quanto riguarda le soglie temporali, sia per le caratteristiche dei prodotti cartografici e sia per quanto riguarda aggiornamenti e classificazione delle coperture dei suoli) gli obiettivi erano poco definiti se non inesistenti e molto diversi tra amministrazione e amministrazione.

La quantità del suolo urbanizzato nella provincia di Verona ammonta a 45.665 ettari pari al 15% dell’intera superficie.

La carta riportata a pag. 19, aggiornata al 2006, ci consente di vedere come sull’area siano contemporaneamente presenti elementi significativi di dispersione e frammentazione urbana molto forti ma anche una tendenza alla compattazione attorno ai nuclei.

Nel 2006, anno di riferimento finale per la nostra analisi, la distribuzione delle funzioni nelle aree artificializzate (grafico) vede un uso residenziale per complessivi 21.396 ettari, il 47% del totale; seguono le aree produttive- commerciali-direzionali con

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11.213 ettari pari al 25% del suolo impermeabilizzato, quindi il 16% di aree utilizzate per sedimi stradali, per complessivi 7264 ettari, un valore elevatissimo che sottolinea una fittissima maglia di piccole e medie aste stradali per connettere e collegare la dispersione abitativa e produttiva. Il 4% sono aree dedicate al verde urbano e agli impianti sportivi, comprendendo campeggi, campi da golf e aree destinate a verde urbano pur se ancora non attrezzate a tale finalità

Altrettanta superficie alla data del rilevamento era in costruzione. Significativi, inoltre i 1424 ettari di suolo, pari al 3,1% della superficie artificializzata, utilizzati per attività estrattive o discariche

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tessuto

urbano

molto denso

(centri

storici); 1,4%

tessuto

urbano a

media-bassa

densoità;

26,8%

tessuto

urbano

discontinuo

(residenze

isolate);

36,6%

tessuto

urbano

denso

(insediament

i compatti)

periferie;

35,2%

Tipologia del tessuto urbano

Il 46.9% ( 21.396 ha) del suolo artificializzato è utilizzato, come precedentemente evidenziato, ad uso residenziale.

Il 35,2% di questo, per complessivi 7540 ettari, è riconducibile ad un tessuto urbano denso (densità dal 50% al 80%) con insediamenti compatti pur se discontinui tra loro. Sono corpi urbani periferici distribuiti su aste viarie principali, aggregati ai piccoli centri storici minori, lottizzazioni con edifici a schiera o quartieri periferici prodotti da piani di lottizzazione risalenti agli anni ’80 e ’90. Va osservato inoltre che dal 1990 al 2000 si è intensificato quel processo di parziale densificazione lungo gli assi principali con una tendenza molto simile a quella dei grandi agglomerati urbani, pur se alternate ad aree a densità variabile, confermando quel fenomeno tipico veneto di privilegiare non le formazioni compatte di completamento ma con linee preferenziali lungo le direttrici principali, producendo nastri ininterrotti di edificato, vere e proprie barriere insuperabili che hanno frammentato e reciso non solo le campagne ma anche habitat naturali destinati per questo alla loro riduzione se non alla scomparsa.

Il 26,8% per complessivi 5731 ettari risulta un tessuto urbano mediamente denso (densità dal 30% al 50%) e/o aggregato al precedente fatto di aree di completamento o aggregati di pochi edifici sparsi in ogni direzione.

Il 36,6%, 7540 ettari, sono edifici prevalentemente a bassissima densità (10% al 30%) o perlopiù isolati.

Solamente l’1,4% sono corpi urbani compatti, i centri storici, un tessuto urbano molto denso caratterizzato da antichi nuclei abitati o perlopiù da un’edilizia aggregata a formare una residenzialità direttamente connessa al precedente edificato.

La vita nel disperso, prodotta certamente da una assenza di pianificazione integrata ma in parte voluta e cercata dalle stesse popolazioni spinte dalle nuove esigenze che la società andava manifestando, appare quindi anche per la provincia di Verona una formula imperante, consolidata e diffusa, resa manifesta da una volontà politica che ancora oggi mantiene viva la matrice deregolamentativa che ha condizionato i processi di trasformazione territoriale. “La città diffusa” è stato un prodotto casuale ma anche voluto, frutto del combinato tra risorse già disponibili nella società e nelle culture locali e il mercato: il modello più comodo nel breve periodo e il meno costoso, quindi più conveniente e meno impegnativo.

Dall’altra le politiche pubbliche hanno rincorso i problemi senza risolverli o peggio in molti casi senza nemmeno individuarli. La città, per effetto di questa mancata

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programmazione in grado di approntare politiche di respiro e di incidenza sui processi di trasformazione in atto, nel frattempo era diventata insicura, costosa, congestionata, degradata, senza disponibilità di aree verdi, priva di evidenti possibilità di integrazione e di spazi appetibili per produrre reddito. Il contrario appunto di quanto stava accadendo fuori le mura, dove in molti casi la proprietà dei suoli e la possibilità di integrare il reddito agricolo con piccole attività imprenditoriali, ha facilitato il proliferare del fenomeno. Si è dato avvio così all’esplosione della città a bassa densità, una distesa di edificato (sprawling) distribuito sull’intera superficie provinciale e collegato agli assi stradali primari per mezzo di una fittissima rete di viabilità secondaria. Indistinta rimane la separazione tra città e campagna, tra urbano e agricolo, un susseguirsi di funzioni che spesso si confondono con le moltissime piccole aree produttive.

Evoluzione dell’edificato

Per meglio comprendere la situazione appena descritta si propone una analisi, per il momento parziale e limitata ad alcune aree significative scelte a campione, sui processi che hanno determinato il consumo e un uso del suolo con finalità edificatorie di tipo “diffuso”, a partire da un arco temporale che include momenti storici ritenuti particolarmente significativi, cioè il 1954 (reso possibile per la presenza di ortofoto disponibili), 1983 e il 1998 facendo ricorso alla Carta Tecnica Regionale (CTR) e infine il 2006, con l’uso della Carta di Copertura del Suolo, già precedentemente citata, pubblicata nel 2007 dalla Regione Veneto.

Le scelte degli archi temporali sono stati quindi dettati dalla disponibilità di elementi cartografici ma anche da valutazioni oggettive legate ai diversi momenti storici:

1- il dopoguerra e la conseguente ricostruzione seguita dal boom economico;

2- la fine degli anni ’70 allorquando un’economia prevalentemente agricola si trasforma, se pur lentamente, in un’economia legata alla media e piccola impresa, sviluppando e occupando diversi settori quali, tra gli altri, il calzaturiero, il legno, la concia, il tessile e, negli ambiti del lago di Garda, il turismo;

3- la fine del secolo con il lento trasformarsi verso economie di servizi;

4- i primi anni di inizio del nuovo secolo con la finanziarizzazione dell’economia e la diffusa pratica degli investimenti immobiliari.

Le trasformazioni del paesaggio sono state velocissime così come il sistema delle infrastrutture che ha favorito insediamenti dispersi e disorganizzati inferendo ferite profonde nella trama del tessuto agrario.

Non avendo ancora terminato le analisi su tutta la superficie provinciale lo studio propone alcuni ambiti a campione che per situazioni omogenee tendono a rappresentare, con un margine di errore ritenuto limitato, tutto il territorio.

Area del medio basso Garda

Uso e consumo del suolo

L’area del Garda considerata include 11 comuni (Peschiera del Garda, Castelnuovo, Pastrengo, Lazise, Bardolino, Cavaion V.se, Affi, Caprino, Rivoli V.se, Costermano, Garda, rappresentativi di un territorio di circa 20.000 ettari che include un po’ tutte le esperienze di crescita avvenute negli ultimi 50 anni, dato che alle comunità direttamente

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1954 1983 1998 2007

ha. 979 1978 591 1054

0

500

1000

1500

2000

2500

ett

ari

Consumo di suolo in valori assoluti

ACQUA

1%BOSCO

24%

FRUTTETO

LEGNOSE

28%PRATO

8%

SEMINATIVO

17%

URBANIZZAT

O

22%

Copertura del suolo (terra ferma) 2007

connesse all’area gardesana e quindi vocate al turismo, si affiancano i territori interni di pianura improntati alle trasformazioni imprenditoriali della media e piccola impresa, e i territori a ridosso delle aree montane che, per effetto della perdita di redditività legata alle tradizionali attività agricole e pastorizie, hanno dapprima diminuito la popolazione residente, recuperandone successivamente una parte in conseguenza di valori immobiliari più bassi rispetto alle aree urbane e a quelle più turisticizzate.

A fronte di un andamento demografico che per l’area considerata dal 1951 al 2009 ha rilevato una crescita più o meno costante dell’1%/anno, passando da 39.448 abitanti nel 1951 alle 63.363 unità residenti nel 2009, il suolo dedicato all’edificato è aumentato di oltre 4 volte.

Il suolo artificiale, infatti, nel 1954 era pari a 979 ettari mentre nel 2006 ha una copertura di 4602 ettari, con un

significativo incremento intermedio nel 1983 con 1978 ettari aggiunti, ulteriori 591 nel 1998, quindi un vero boom fino al 2006 con 131 ettari all’anno per complessivi 1054 ettari sottratti

definitivamente e irreversibilmente al paesaggio lacustre e planiziale.

Complessivamente la media di suolo artificializzato, aggiornato al 2006, è pari al 22% suddiviso tra l’11% con destinazione residenziale con una rilevante quota realizzata tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80 e un ulteriore incremento significativo nell’ultimo periodo dato probabilmente dalle seconde case, per le quali ad oggi non sono disponibili dati certi per quantificarne l’entità.

L’8% è di carattere produttivo – direzionale – commerciale, di cui il 42,2% realizzato nell’ultimo periodo per effetto delle recenti politiche degli amministratori locali che hanno rivolto la propria attenzione in parte sui nuovi modelli insediativi turistico - alberghiero, in parte a nuovi servizi per il divertimento.

Infine il 3% del suolo è occupato dalle infrastrutture stradali, perlopiù risalenti agli anni ’50 tranne le poche reti minori residenziali che inevitabilmente hanno dovuto essere attuate per creare gli accessi alle numerose lottizzazioni prodotte.

Le attività agricole complessivamente occupano il 53% dell’area considerata, alla quale si aggiunge il 24% di boschi prevalentemente localizzati sulle pendici del Monte Baldo, oltre ad un 1% di ambienti umidi e corsi d’acqua, escludendo l’ambito lacuale gardesano.

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Il 50% delle attività agricole, tutt’oggi ancora in crescita, è legato alla viticoltura, il 28% della superficie complessiva considerata nello studio, pressoché una monocoltura che certamente ha impoverito e impoverisce il suolo ma che ha prodotto un significativo aumento del reddito delle stesse aziende agricole, anche se in molti casi le ha trasformate in vere e proprie “industrie del vino”. Come tutte le industrie in crescita richiedono costantemente nuovo suolo da sottrarre a colture meno redditizie, con grave danno al mantenimento delle biodiversità delle specie animali e vegetali.

I seminativi (frumento e mais) ammontano al 17% della superficie totale che, insieme all’8% delle aree prative, continuano ad assottigliarsi per effetto sia della costante domanda di espansione edilizia sia per la loro riconversione, come si è detto, a favore di coltivi a vite.

Analisi del sistema insediativo dei singoli Comuni

Proseguendo nell’analisi ed entrando nel dettaglio della distribuzione del costruito comune per comune, si può confermare, escludendo la parte lacuale delle aree di pertinenza, che i comuni con maggior consumo di suolo sono ubicati sulla costa, prevalentemente con aree destinate ad uso residenziale, mentre nell’entroterra prevalgono funzioni miste.

- Peschiera del Garda al 2007 ha consumato il 42% della propria superficie comunale, di cui il 19% ad uso residenziale, il 6% per l’infrastrutturazione (oltre il 15% di tutta l’area) e il 17 % per usi diversi, prevalentemente per l’ospitalità e in minor parte per il comparto industriale - commerciale. Solo il 58% pertanto rimane area prevalentemente agricola (vigneto e seminativo) con il 5,4% di area protetta occupata da SIC e ZPS con relitti di zone umide (il laghetto del Frassino) e il 2,1% occupata da boschi ai sensi della L.R. 52/78 modificata con L.R. 05/05. È certamente uno tra i comuni più attivi verso la cementificazione diffusa del proprio territorio. Anche le scelte e la programmazione inserita nel PATI confermano tale obiettivo, occupando per altro i pochi relitti umidi (il laghetto del Frassino) con la sottoscrizione di accordi di programma con i privati che andranno ad insediarsi proprio sulle rive del laghetto.

- Bardolino ha destinato il 22% della superficie comunale ad uso residenziale, realizzata prevalentemente negli anni ’60 e ’70, su un totale del 32% di artificializzato. Il rimanente 68% della superficie comunale è diviso tra seminativo, vigneto e oliveto, con il 7,3% vincolato a SIC e ZPS e il 4,6% di area boscata tutelata. Bardolino è stato tra i primi comuni ad aprire il proprio territorio all’edilizia turistico residenziale a partire già dal secondo dopoguerra, e soprattutto dagli anni ‘60 in poi, quando si è verificata una vera e propria esplosione di edilizia turistica, di seconde case e di alberghi distribuiti a nastro lungo la costa che successivamente ha aggredito la collina.

- Castelnuovo del Garda ha una superficie non urbanizzata del 74%, con il rimanente suddiviso tra il 4% di infrastrutture e il rimanente 22% equamente diviso tra produttivo e residenziale. Dal punto di vista naturalistico - ambientale l’area si articola con unità ecosistemiche caratterizzate da aree collinari, con la presenza di nuclei boscati alternati a prati aridi, e da aree agricole tra vigneti, seminativi e frutteti. Negli ultimi anni l’Amministrazione Comunale ha intensificato l’attività edificatoria concentrandola nella fascia centrale dell’area comunale in prossimità della rilevante infrastrutturazione interregionale e autostradale, proseguendo con altrettanta significatività verso nord lungo la SS 450 verso il casello di Affi sull’A22.

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Rappresentazione della funzione di densità a partire dal 1954. In evidenza la tendenza alla compattazione delle aree sul perimetro del territorio analizzato, pur aumentando contemporaneamente la diffusione del tessuto urbano verso il cuore. In alto in ogni riquadro la rappresentazione grafica della densità.

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- Lazise occupa un quarto della propria superficie con il costruito, con caratteristiche distributive delle funzioni simili al precedente comune. Da evidenziare il 19,5% di suolo dedicato ad aree campeggio e ricreative, al netto degli edifici, realtà che ne fa il comune con la più alta percentuale di queste strutture tra tutte quelle considerate. Il territorio si presenta fortemente urbanizzato lungo la costa con una significativa tendenza a espandere verso l’entroterra, previsione questa confermata dal nuovo PAT che individua in 312.000 mc l’ipotesi di nuove volumetrie residenziali da erodere alle frammentate aree agricole dedicate a seminativo e in buona parte a vigneto e frutteto.

- Garda è sicuramente il comune, anche se non in valore assoluto, con la più alta presenza di aree urbanizzate, tanto da risultare estremamente difficile l’individuazione di possibili nuove espansioni. Infatti la superficie comunale, escludendo la parte lacuale, occupata dall’edificato è pari al 30%, ma il territorio di pertinenza è caratterizzato dalla presenza di aree tutelate dalla Rete Natura 2000 individuate come SIC e ZPS per una superficie pari al 59,7%, nelle quali, pur non esistendo nessun vincolo assoluto di inedificabilità, la normativa di riferimento prevede che qualsiasi piano o progetto insistente al suo interno e nelle aree direttamente connesse deve essere coerente con la sua gestione e la sua protezione, oltre a tutelarne l’integrità. Inoltre il territorio comunale include 28,6% della superficie, solo parzialmente già inclusa nelle aree protette appena descritte, adibita a bosco e vincolata ai sensi della L.R. 52/78 modificata con L.R. 05/05, che ne prevede l’assoluta tutela. Singolare, alla luce di quanto descritto, l’ipotesi inclusa nel Documento Preliminare del PAT in cui si quantifica, in base alle stime sull’aumento della popolazione nei prossimi 10 anni, un incremento concedibile di nuove aree di espansione edilizia del 20% sulla volumetria complessiva.

- Costermano, comune con un territorio articolato di carattere prevalentemente pede-collinare, ha sensibilmente incrementato nell’ultimo periodo l’artificializzazione della propria area raggiungendo il 19% di suolo occupato, distribuito tra l’11% di residenziale e il 6% di produttivo, quest’ultimo realizzato nel recentissimo periodo. Nel territorio del Comune di Costermano, grazie alla sua particolare posizione strategica e alla sua morfologia molto varia che ne costituisce un paesaggio assolutamente straordinario, si sono sviluppate negli ultimi anni le attività legate al settore turistico - alberghiero con la presenza di numerose abitazioni che non sono occupate da residenti, le cosiddette “seconde case”.Da una stima eseguita dall’Ufficio Tecnico Comunale in base ai permessi di costruire rilasciati negli ultimi dieci anni, è emerso che il 60% di tali permessi corrisponde alla realizzazione di seconde case per i non residenti, che è la quota media ipotizzabile, condivisa da più settori, che vale per l’intero territorio gardesano che si affaccia sul Lago di Garda.

- Caprino Veronese è il comune con meno occupazione di suolo per usi non agricoli tra quelli considerati in questo studio, con una quota complessiva del 10% prevalentemente ad uso residenziale con una piccola quota ad uso produttivo – industriale -- artigianale.I processi di espansione residenziale, avvenuti essenzialmente nello spazio di tempo tra gli anni ’60 e ’80, hanno comportato sul territorio di Caprino Veronese uno sviluppo edilizio a carattere diffuso, che si evidenzia principalmente sulla parte Sud del territorio comunale. Tale diffusione si caratterizza maggiormente lungo l’asse viario che dal capoluogo si rivolge verso ovest, e in modo minore verso sud lungo l’asse viario che collega il capoluogo con il Comune di Affi. Nella Parte Nord del territorio comunale, fino agli anni ’70 si è verificato, come già descritto, un fenomeno di abbandono da parte dei residenti delle abitazioni ubicate nelle aree e nelle frazioni più disagiate. Il patrimonio edilizio abbandonato è stato successivamente assorbito dal mercato delle seconde case, sviluppatosi con interventi di recupero, effettuati principalmente dai non residenti e da immigrati.

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- Rivoli Veronese ha caratteristiche molto simili a Caprino con un consumo di suolo pari al 13% dell’intera superficie comunale distribuito equamente tra residenziale e produttivo – industriale – artigianale. Anche Rivoli ha visto una significativa crescita dell’urbanizzato negli anni ’70 del secolo scorso, incrementando negli anni successivi prevalentemente le aree industriali per effetto del vicino distretto del marmo della val d’Adige di Domegliara e Sant’Ambrogio di Valpolicella.

- Affi raggiunge il 24% di suolo consumato, subendo una pesante espansione negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso per effetto della spinta ricevuta dal passaggio dell’A22, autostrada del Brennero, che ha prodotto, in prossimità del casello autostradale, nuovi imponenti insediamenti tra cui un grosso centro commerciale – direzionale. Lo sviluppo economico ha visto cessare il fenomeno dell’emigrazione della popolazione, molto consistente fino al secondo dopoguerra ed ha attivato un flusso di immigrazione ancora presente. L’attività edilizia si è legata da un lato allo sviluppo commerciale dell’area e dall’altro a quello di costruzioni turistico residenziali dovute sia alla vicinanza al Lago di Garda sia al fenomeno edilizio che ha interessato soprattutto il versante occidentale del monte Moscal.

- Cavaion Veronese ha consumato suolo per il 25% diviso tra residenziale e produttivo. Il sistema insediativo residenziale è incentrato sull’impianto urbano del capoluogo, ubicato a nord-ovest rispetto il territorio comunale, alla base del monte Moscal, e nella frazione di Sega, nell’area più bassa del territorio. Il sistema produttivo, oltre a registrare numerose attività fuori zona, negli anni ’90 e 2000 ha sviluppato un’imponente area a nord est del territorio comunale, adiacente a quella di Rivoli e di Affi. Negli ultimi anni anche a Cavaion si è manifestato il fenomeno legato al cambio di destinazione urbanistica di vaste aree turistico - alberghiere, realizzate con le caratteristiche che quest’ultima funzione prescrive e successivamente “trasformate”, con il beneplacito degli Amministratori, in nuclei residenziali, pur non rispettando gli standard urbanistici e sottraendosi in questo modo al computo previsto dal Piano Regolatore Generale.

- Pastrengo ha una superficie comunale urbanizzata del 22% sul totale, con un 9% di residenziale prevalentemente addensato al centro del territorio includendo il capoluogo e l’adiacente frazione di Piovezzano quasi a formare un nucleo unico. Nel territorio comunale insiste inoltre un’uguale superficie di aree destinate ad attività industriali, suddivise in due grossi nuclei, uno a nord e uno a sud. Significativo anche il 4% della superficie comunale in uso alla mobilità, crocevia strategico per la distribuzione delle merci tra il nord e l’ovest della provincia di Verona.

Questa breve descrizione del sistema insediativo localizzato comune per comune ci porta ad evidenziare una dualità di funzioni dell’area gardesana: le località della sezione occidentale si confermano vocate al settore turistico alberghiero, con una variabilità di funzioni legate a forme direttamente connesse con il settore stesso, quali aree per il divertimento, impianti salutistici ed impiantii termali; la parte orientale quale area produttiva - industriale.-commerciale, affermatasi tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del nuovo millennio, ma che ancora oggi risulta in costante crescita. Tra le due aste longitudinali, tagliate a metà dalla SS 450 Castelnuovo - Affi si è affermata una struttura abitativa dispersa, alternata da medio piccoli nuclei storici che originariamente erano residenze perlopiù agricole e che negli ultimi anni si stanno ampliando con funzioni residenziali.

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1982 1998 2006 infrastrutture

Ha 4029,58 1081,16 399,52 1199,77

0

1000

2000

3000

4000

5000

ett

ari

consumo di suolo comune di Verona

Residenziale

37%

Industr.

Direz.

Comm.

31%

Infrastruttur

e

19%

Cave e

Discariche

4%

In

costruzione

3%

Verde

urbano e

imp

sportivi

6%

Comune di Verona:distribuzione funzioni

artificiali

L’area comunale di Verona

Uso e consumo del suolo

La superficie comunale di Verona misura 19888 ettari, simile per dimensione a quella precedentemente analizzata. Diversa, naturalmente, appare la composizione e la distribuzione delle funzioni, proprie, in questo caso, degli aggregati urbani, mantenendo comunque ampie aree agricole e boscate.

Nel 1982 la superficie urbanizzata ammontava a poco più di 4000 ettari, il 20% dell’intera superficie comunale, il doppio, come esito stimato dato che lo studio non ancora completo non ci permette di presentare dati puntuali, dal 1954 per effetto di quei fattori precedentemente analizzati riconducibili ad un forte impulso alla residenzialità ed alla ricerca di una migliore disponibilità abitativa oltre allo svilupparsi della media - piccola impresa, la quale ricerca nuovi spazi e quindi nuove aree produttive dove insediare le proprie attività.

Nel periodo dal 1982 al 1998 l’incremento è di oltre 1081 ettari di suolo artificializzato, il 5,44% della STC con un incremento del 16% rispetto all’esistente pari all’1%/medio/anno, prevalentemente per edificare nuovi capannoni (487 ha) e nuovo residenziale (264 ha).

Dal 1998 al 2006, in leggera flessione rispetto ai precedenti anni, si costruiscono nuove volumetrie pari a 400 ettari, con un incremento del 6% pari allo 0,75%/media/anno.

La situazione, così come certificata dalla CCS (Carta di Copertura del Suolo) della Regione Veneto relativa all’anno 2006, si presenta con una superficie complessiva artificializzata pari al 33,7% dell’area comunale, di cui 2502 ettari (37%) con funzione residenziale, 2097 ettari (31%) per industriale-commerciale-direzionale.

Il solo 6% dei suoli artificializzati sono aree destinate a verde urbano e ad impianti sportivi, pur essendo riconosciuto il verde pubblico un elemento strutturale portante e un indicatore sul quale misurare la qualità urbana, come affermato nell’ottavo rapporto dell’ISPRA sulla qualità dell’ambiente urbano, dove inoltre si sostiene che investire nella Città Pubblica, considerato ormai l’unico modo per far rinascere le città, non può prescindere dal ridare valore e difendere gli spazi liberi rimasti, i vuoti urbani, le aree non edificate. In particolare “il verde pubblico è una componente essenziale della qualità

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Territorio

artificializzat

o

33,7%

Territori

agricoli

50,3%

Area boscata

14,4%

Ambiente

delle acque

1,5%

Copertura del Suolo comune VR 2006

urbana, della qualità della vita della gente, della bellezza e della salute fondamentali per la rigenerazione del tessuto edilizio”.

Il 3% risultano aree in costruzione o in attesa di destinazione, mentre il 4% come cave e discariche, corrispondente a circa 200 ettari di suolo.

Il rimanente 19% delle aree urbanizzate sono dedicate alle infrastrutture, di cui il 77,8% di queste dedicate per strade e autostrade, il 17,4% per le reti ferroviarie e lo scalo merci e il 4,8% per l’aeroporto.

Il 50,3% della superficie comunale, pari a 10010 ettari, al 2006 permaneva ancora con destinazione agricola (SAT). Secondo i dati più recenti forniti dalla Regione del Veneto, confermati e riportati nella Relazione Programmatica del Piano degli Interventi del Comune di Verona, nel 2008 la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) è però di 6628 ettari, di cui il 32% occupato dai seminativi, il 22% da prati e pascoli e il 45% da colture arboree. Le colture arboree sono rappresentate per il 45% da alberi da frutto, per il 35% dai vigneti e per il rimanente 20% da oliveti. Anche secondo questa fonte, il bosco, benché nettamente superiore (817 ettari), occupava poco più del 9% delle superfici agricole totali. Di tutto rilievo sono le superfici non agricole (11%), o perché occupate da fabbricati, cortili, strade poderali ecc. o perchè non utilizzate ai fini agricoli o a riposo.

Calcolo SAU nel PAT

Sono statti precedentemente riportati quelli che sono i dubbi sull’interpretazione della lettera C all’art. 50 della LR 11/2004 in merito al calcolo della SAU riferito “… allo stato di fatto a prescindere dalle destinazioni e classificazioni di PRG…” interpretato come possibilità di “ricalcolare e aggiungere ” le aree urbanisticamente già trasformate ma non attuate.

A questa “interpretabilità” va aggiunta la facoltà lasciata ai comuni, contrariamente a quanto premesso nello stesso atto di indirizzo là dove si riporta che “ il calcolo [della zona agricola trasformabile] è un automatismo che prescinde dalla discrezionalità del Piano”, di aumentare la superficie agricola trasformabile inserendo "campi da golf, attività sportive e della protezione civile, parchi per divertimento, parchi giardino, rovine archeologiche, camping, boschi di pianura, bacini di laminazione…”

Sono questi i meccanismi che permettono anche al comune di Verona di “interpretare” e far uscire, nel calcolo della SAU, “magicamente” la quota 12.963,5 ettari, il doppio di quella effettiva (6628 ettari) recepita anche nella Relazione Programmatica del PI (Piano degli Interventi) dello stesso comune di Verona. L’indice di trasformabilità, se utilizzata la SAU effettiva, sarebbe stato lo 0,65%, ovvero 6628x0,65%= 84,3 ettari di superficie agricola trasformabile, e non 168,5 gli ettari trasformabili con diversa destinazione dall’agricolo calcolati con un indice di 1,3%, come confermato nelle NTA del PAT.

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Il Piano degli Interventi

Sono 5.240.000 metri quadrati le superfici interessate dai 295 interventi ammessi nella proposta di Piano degli Interventi approvato il 23 dicembre 2011.

Tra questi il 46,3% sono insediati in aree ad urbanizzazione consolidata, di cui il 39,2% tra residenziale e industriale mentre il 7,2% % in aree destinate a verde urbano o sportivo ricreativo.

Il 53,7% degli interventi ammessi si collocano rispettivamente per il 46,9% in aree agricole, il 6,5% in aree boscate e il rimanente 0,3% in aree umide o comunque in presenza di acque.

I soli interventi in area agricola corrispondono ad una sottrazione di suolo di 245,6 ettari, quindi ben oltre i limiti prefissati dal PAT di SAU trasformabile (max 168,5 ha). Pur considerando il calcolo sommario fatto con la Carta di Copertura del Suolo (CCS), il cui margine di errore se fosse rilevante dovrebbe essere stato da tempo oggetto di contestazioni da parte della PA, peraltro mai avvenute, appare comunque inverosimile la risposta ricevuta in fase di controdeduzioni al PAT per cui, oltre a risultare la CCS “difficilmente comparabile con quella utilizzata nelle elaborazioni effettuate dagli uffici…” si sostiene che “ Esistono in buona sostanza, nel territorio comunale di Verona, aree ad effettivo uso agricolo che tecnicamente non costituiscono SAU, in quanto già pianificate dal PRG pre-vigente con destinazione urbanistica diversa”, al punto che secondo il PI gli interventi ammessi ricadono solamente per il 21,5% in aree agricole.

Soddisfare gli appetiti sembra essere l’elemento conduttore del PI: se si escludono le proposte ammissibili relative al secondo bando, dove perlomeno il filo conduttore è la riqualificazione dell’area industriale anche se si è preferito ricucire più progetti scollegati tra loro con un obiettivo dichiarato di polifunzionalità degli ambiti senza ripensare alla qualità dell'abitare o del produrre, per la maggior parte delle altre è evidente la perfetta continuità con il passato fatto di consumo di suolo agricolo e di interventi a macchia di leopardo, dispersi indistintamente su tutto l’ambito comunale, privi di un disegno minimamente organico per perseguire quell’obiettivo di città compatta prevista dal piano strutturale.

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Un coacervo di interventi in molti casi di rilevante dimensione che andranno a consumare nuovo suolo pur in presenza di un mercato stagnante con innumerevoli abitazioni invendute e invendibili, dato che gli unici possibili acquirenti potrebbero essere giovani coppie o immigrati la cui capacità economica si scosta anni luce dagli attuali valori del mercato della casa.

Ad oggi le aree urbanizzate nel comune di Verona, come visto precedentemente, occupano il 33,7% (6710 ettari) dell’intera superficie comunale. Con l’attuazione di tutti i progetti ammessi la superficie urbanizzata raggiungerà quota 35.1% del totale. Infatti l’ammontare di nuovo suolo agricolo e boscato sottratto alle loro funzioni primarie per effetto del PI sarà di 281 ettari, un’area grande quanto circa 400 campi da calcio o 235 volte la nostra Arena.

Verona quindi con questa proposta di PI si avvicina sempre più alle “migliori” grandi città per consumo di suolo.

Infatti se fortunatamente è ancora molto lontano dai disonorevoli traguardi per consumo di suolo delle storiche metropoli italiane (62,3% del totale comunale per Napoli, 61,6% per Milano, 54,7% per Torino) ha però avvicinato città come Brescia (41,9%) o Padova (38,2%), superando ampiamente Venezia (30,2%); un incremento per Verona tra i più elevati a livello nazionale.

Nessuna relazione nel PI nemmeno con gli incrementi demografici. Infatti, anche dopo l’adozione del PAT (che aveva previsto 25000 nuovi residenti nel periodo 2006-2016) si è preferito ignorare che in questi ultimi 5 anni la popolazione è diminuita. Nonostante queste variazioni rispetto a quanto stimato, sono state confermate le esagerate volumetrie da paese emergente precedentemente programmate nel PAT, pur se in assenza di una “vincolante” relazione. Il vincolo, a nostro parere, sussiste per effetto della recente sentenza del TAR della Lombardia che ha annullato il Piano Generale Territoriale (corrispondente al PAT) di un comune del cremonese perché le scelte dimensionali del Piano sono state considerate “illogiche” in relazione all’evoluzione demografica che “… addirittura negli ultimi quarant’anni, è caratterizzata da una sostanziale stabilità …”.

È purtroppo una fotografia amara che denuncia quanto fino ad oggi siano state assenti politiche di governo del territorio volte ad arrestare il fenomeno del consumo di suolo, ma che ancora oggi nulla stia cambiando.

Si pensa, infatti, che quella che stiamo vivendo sia l’ennesima ciclica crisi del settore. Si ragiona come se fossimo negli anni ‘50 o ‘70, ossia in una fase certamente difficile ma da cui si uscirà con un po’ di edilizia pubblica o contrattando nuovi volumi in cambio di opere pubbliche, nell’attesa che il mercato riparta.

No, questa volta la crisi è diversa: non riguarda solo il settore edilizio ma arriva in un periodo di difficoltà economica e finanziaria internazionale nella quale sono chiusi i cordoni delle casse pubbliche sia Statali che Locali e delle banche. Per questo c’è bisogno di una assunzione di responsabilità da parte di tutti. Occorre prendere atto del fallimento del primo “Piano Casa” – quello degli ampliamenti – perché il numero di interventi che ha messo in moto risulta insignificante. E che la macchinosa architettura del secondo “Piano Casa” – quello dei fondi immobiliari per realizzare l’edilizia sovvenzionata – continua a collezionare ritardi, e rende ancora più difficile la situazione del settore. Ma soprattutto questa situazione fa apparire ancora più velleitario, oltre che dannoso, insistere su una risposta che possa venire da una ancora più spinta liberalizzazione e deregolamentazione del settore.

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Un Piano degli Interventi, quindi, rivolto nella direzione di consumare ancora nuovo suolo e incoerente con la reale e obiettiva situazione dello stato di fatto, ma aperto agli interessi della speculazione edilizia.

I Programmi Complessi di Verona sud e Il Piano d’Area Quadrante Europa (PAQE)

I programmi complessi sono un insieme di strumenti per la riqualificazione urbana, introdotti all'inizio degli anni '90. Sono strumenti non più volti a governare la crescita quantitativa ma a promuovere la trasformazione qualitativa, quindi a migliorare la qualità di un ambito urbano. A Verona in quegli anni si producono una serie di grandi progetti che, ideati nello spirito dei programmi complessi, propongono di rivoltare come un calzino alcune aree della città. Una parte di questi sono in fase di attuazione (ex Cartiere e Passalacqua) altri (ex Officine Adige, Foro Boario, ex Mercato Ortofrutticolo, ex Magazzini Generali, ex Manifattura Tabacchi …) sono per ora rimasti dormienti soprattutto per effetto della crisi e della mancanza di liquidità.

Alla luce dell’esperienza dei due Piani Urbanistici avviati all’attuazione, denominati “ex.Cartiere” e Passalacqua”, viene da ripensare radicalmente la formula dei programmi complessi, dato che rappresenta una delega in bianco che la PA ha affidato al capitale privato inclusa la pianificazione urbanistica e della viabilità. La cessione di ampi spazi verdi, in parte inclusi in ambiti storico-monumentali, per nuove volumetrie in cambio di un presunto beneficio pubblico che riqualifica spazi lasciati colpevolmente abbandonati, aggrava una condizione di frammentarietà degli interventi e ne conferma gli aspetti speculativi.

Infatti, ad esempio, il progetto delle ex Cartiere prevede, in un’area di 150 mila mq, 300 mila mc di nuovo cemento, ospitando negozi, bar e ristoranti, multisale, centri fitness, palestre e uffici direzionali, con presenze giornaliere fino a 20000 unità così come dichiarato nel progetto. Il beneficio pubblico consiste nell’aver affidato gli adeguamenti alla mobilità al privato che, in cambio di un’operazione indispensabile alla fruibilità dell’area una volta a regime, ha ricevuto come premio nuove volumetrie.

Analoga situazione alla Passalacqua, una vasta area ex-militare nel centro storico di Verona delimitato dalla cinta muraria medievale e da un tratto di cortina cinquecentesca, al cui interno si trovano edifici ottocenteschi di grande pregio architettonico. In questo caso si è preferito cedere al privato l’intero spazio pubblico con la possibilità di nuove volumetrie, per altro in sfregio alle opere monumentali, oltre al recupero di quelle ex militari esistenti realizzate al di fuori di qualsiasi programmazione urbanistica comunale, in cambio di cure alla porzione di cinta muraria pertinente all’area e alla realizzazione di un parco urbano che perlopiù sarà adibito ad impianti sportivi.

Una delega, quindi, totale al privato il quale organizza, a proprio beneficio, gli spazi che, in una logica di pianificazione urbana, dovrebbero essere di interesse collettivo.

A questo si aggiunge, anch’essa al di fuori della pianificazione comunale, quella Regionale prevista dal Piano d’area vasta denominato PAQE. In particolare sono previsti: • il Quadrante Europa, “costituito dal complesso delle strutture edilizie, delle

infrastrutture e degli spazi aperti circostanti, organizzati per l'esercizio delle attività di

logistica integrata, di direzione, di organizzazione e promozione delle attività di

interscambio di tipo commerciale relative a prodotti, beni e servizi”.

Complessivamente l’area occuperà 873 ettari di suolo di cui circa la metà (435

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873

172

40

6,6

5,8

4,5

Quadrante Europa

LA nuova Contina

Ecoborgo

Nassar

Agorà (Croce Bianca)

Tiberghien

Interventi programmati nel PAQE

ha

Territorio modellato artificialmente (totale)

38%

Area agricola

46%

Area boscata

14%

Ambiente delle acque

2%

ha) già artificializzati mentre 435 ettari sono superficie agricola o adibita a bosco;

• la nuova Contina a Verona sud, un galoppatoio che potrebbe rappresentare il classico veicolo per pilotare un uso speculativo del territorio. L’area occupa 172 ettari di cui solo 11 già urbanizzati e 161 ad uso agricolo.

• L’Ecoborgo di Mezzacampagna (seminario di San Massimo) che si propone di realizzare un centro direzionale, ricettivo, commerciale, residenziale, sociale e assistenziale su un’area di 40 ettari di cui 5 già in uso artificiale ma 35 dedicati attualmente ad uso agricolo.

• La Porta del Nassar di Parona, un’area pregiatissima sotto il profilo ambientale a ridosso del fiume Adige. L’area, 6,6 ettari agricoli soggetti a periodica esondazione, prevede la costruzione di un complesso abitativo, direzionale e commerciale con fabbricati alti 11 metri per 25 mila mc.

• L’Agorà della Croce Bianca, un centro turistico ricettivo metropolitano di 5,8 ettari su suolo agricolo;

• l’ex Opificio Tiberghien a Borgo Venezia, 4,5 ettari di suolo già urbanizzato destinato per attività relative al direzionale, commerciale e ricettivo.

Ultimo non per dimensione o importanza ma in senso temporale il prospettato insediamento di IKEA nell’area a sud della ZAI, ex Biasi. Sono 60 ettari di suolo di cui 37 già artificializzati e 23 in parte agricoli e in parte boscati.

Una volta attuati tutti i progetti descritti, includendo il PI, il suolo artificializzato nel comune di Verona passerebbe dagli attuali 6710 ettari di aree urbanizzate, pari come abbiamo precedentemente calcolato al 33,7% dell’intera superficie comunale, a 7660 ettari, il 38% del totale.

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Dietro i numeri… gli interessi: dimensione economica del suolo nella recente storia d’Italia

“Perché dunque quei numeri preoccupanti? Perché il consumo di suolo ha assunto un ruolo di primo piano nella vicenda storica dell’Italia repubblicana?

Nella fase di espansione urbana che va dalla ricostruzione del dopoguerra fino agli anni settanta - fase della ricostruzione, dell’espansione delle città, dei processi di inurbamento di vasti strati di popolazione rurale ha prevalso la rendita marginale prodotta dal progressivo ampliamento dei tessuti edilizi: la decisione pubblica di spostare i confini dell’edificato valorizzava i terreni limitrofi sottraendoli all’uso agricolo. La finanza entrava nel processo nel modo semplice e tutto sommato subalterno del credito bancario, che consentiva al costruttore di sopportare i costi di costruzione per poi incamerare con la vendita degli immobili una rendita di gran lunga superiore ad un ordinario profitto industriale.

Con la rivoluzione terziaria degli anni ottanta cambiò il verso della trasformazione. Si tornò a operare all’interno della città per rispondere ai bisogni localizzativi e di prestigio delle nuove funzioni terziarie, utilizzando gli immobili liberati nel contempo dalla dismissione industriale e dalle funzioni pubbliche (caserme, ferrovie, poste, uffici amministrativi ecc.). Prevalse quindi la cosiddetta rendita differenziale, che indica la valorizzazione di immobili interni alla città, dotati di vantaggi posizionali diversi tra loro e comunque superiori a quelli marginali.

La dismissione industriale fece scoprire ai capitalisti i vantaggi immeritati delle plusvalenze immobiliari, un modo più semplice di arricchirsi, senza dover fare i conti con l’organizzazione del ciclo produttivo.

Nacque proprio negli anni ottanta l’effimero strutturale, cioè l’organizzazione di grandi eventi – Verona ne visse le vicende con i Mondiali ’90 -, che focalizzarono le decisioni pubbliche, anche mediante legislazioni d’emergenza, in modo da assicurare un termine ai progetti immobiliari che altrimenti andrebbero troppo alle lunghe.

A chiudere quella fase intervenne l’esplosione della bolla immobiliare dei primi anni novanta, alla fine di quel decennio ricominciò un nuovo ciclo di valorizzazione immobiliare con i livelli di crescita mai raggiunti in precedenza .

Il fondo immobiliare consente di raggruppare in un portafoglio unico le proprietà di una vasta gamma di immobili e di coinvolgere anche i piccoli risparmiatori su operazioni altrimenti fuori dalla loro portata. Con il fondo la valorizzazione approda a una rendita immobiliare pura, distante dalle concrete condizioni fisiche della trasformazione edilizia e connessa alle tendenze macroeconomiche determinate dalla finanziarizzazione. Allo stesso tempo, però, il fondo immobiliare consente una maggiore opacità delle operazioni rispetto alla normale gestione finanziaria, che pure non ha certo brillato per trasparenza. (da W. Tocci, L’insostenibile ascesa della rendita urbana, 2010)

I numeri del decennio 1997-2006 secondo le stime Cresme sono impressionanti: la produzione edilizia residenziale è aumentata di circa il 40%; le compravendite annue sono raddoppiate e nel periodo hanno riguardato circa un terzo dello stock esistente; i valori immobiliari sono aumentati del 63% nella media nazionale e quasi raddoppiati a Milano e Roma; la crescita degli investimenti nelle costruzioni è stata doppia (13.6%) rispetto a quella del Pil”.

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Ciò accade quando “la crescita esplosiva dei fondi del mercato monetario ha aumentato la disponibilità del finanziamento a breve termine delle imprese” (H. Minsky, citato da M. De Gaspari, Bolle di mattone, 2013). Il problema – continua De Gaspari –è che la massa di liquidità drenata dal settore durante la fase euforica, una volta che questa è esaurita, per un certo periodo non circola più e quindi fatica a rientrare nel sistema bancario per essere nuovamente distribuita e tornare ad alimentare l’economia reale… le banche non operano come puri intermediari e quindi non possono riprendersi i beni ipotecati e ripartire da capo… Le società che organizzano il risparmio rischiano sempre perdite in conto capitale quando si trovano collettivamente nella necessità di vendere una parte della loro posizione. L’unica protezione significativa è impedire di disfarsi delle loro passività di deposito, cioè rifinanziare piuttosto che vendere la loro posizione… Questo si riflette sulla stabilità delle banche il cui problema principale diventa la copertura in bilancio dei crediti erogati, considerati ancora attività, ma ormai fortemente incerti”. Nasce di qui la “mostruosa fratellanza” tra gli istituti di credito e gli speculatori, che di fronte al baratro non vogliono ammettere il fallimento. E intanto le banche proprio quando ci sarebbe più bisogno di credito per dare ossigeno alle imprese cercano di recuperare quanto erogato. Con esiti incerti (De Gaspari, 2013).

Mattone e cemento: i protagonisti

“Nella fase di rendita marginale gli attori protagonisti del processo erano pochi e ben definiti: il politico e il costruttore prendevano le decisioni e il tecnico svolgeva una funzione servente. È stato il trionfo della speculazione immobiliare che tanti guasti ha prodotto nelle nostre città lasciando segni indelebili.

In quella successiva, denominata rendita differenziale non bastava più la furbizia levantina del palazzinaro, era necessario un soggetto coordinatore in grado di allineare le decisioni delle pubbliche amministrazioni, dei politici, dei proprietari, degli industriali, nonché di gestire la complessità tecnica, logistica e di marketing connessa alle nuove funzioni terziarie, di sostenere finanziariamente i tempi lunghi della trasformazione e di catturare il consenso dell’opinione pubblica mediante adeguate campagne mediatiche. Emerse quindi la nuova figura dell’immobiliarista-finanziere, prendendo rapidamente il sopravvento nello scenario dei poteri urbani, sicché oggi bastano pochi nomi per riassumere le vicende urbanistiche delle maggiori città italiane, quasi sempre legati alla proprietà dei giornali più diffusi.

Nella rendita immobiliare pura lo strumento principe è stato il fondo immobiliare introdotto proprio in quel periodo in Italia, seppure in ritardo rispetto agli altri paesi.

Con lo strumento del fondo la rendita immobiliare si comporta a tutti gli effetti come un prodotto finanziario, la città reale diventa quasi un pretesto per una valorizzazione immobiliare che si innalza nei cieli della finanza.

L'esternalizzazione dei patrimoni industriali in appositi fondi immobiliari viene realizzata in pochi anni da tutti i grandi gruppi italiani (la Fiat, Benetton, Falck, Pirelli ecc.), da banche e assicurazioni (Ina, San Paolo-Imi, ecc.) e dai grandi enti pubblici (Eni, Enel, Fs ecc.). Si tratta della più importante ristrutturazione del capitalismo italiano di fronte alla sfida della globalizzazione.

I gruppi industriali ottengono da questa operazione un netto miglioramento dei propri bilanci, come non sarebbe possibile con nessun altra ristrutturazione produttiva. I benefici sono molti e di diverso tipo: la copertura di debiti accumulati, la ricapitalizzazione delle imprese, nuovi prestiti ecc.” (W. Tocci)

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Vi è anche uno scenario, allestito dal giornalista Luca Martinelli, che vede, come in un film una serie di attori: gli istituti di credito che firmano la regia di un film che possono girare grazie al “credito” incondizionato di cui godono. Sono il regista che trova finanziatori nei cittadini che diventano “correntisti” mettendo a disposizione di questo o quell’istituto di credito i propri risparmi senza prestare attenzione a come vengono “impiegati”.

Aiuto-regista sono gli enti locali e le istituzioni che o per incongruenze di competenze consentono che prevalga l’interesse privato o per ragioni di convenienza tendono a far cassa grazie agli oneri di urbanizzazione o ad altri contributi richiesti agli attori della filiera grigia: i cavatori che cavano montagne di materiali pagando canoni irrisori; i cementieri, che possiedono gli impianti che trasformano le “materie prime” fornite loro dai cavatori; immobiliaristi e società di costruzioni che godono della complicità delle banche pronte a foraggiare le loro attività mettendo a bilancio il valore puramente teorico di un’infinità di unità immobiliari invendute ed invendibili. Operando un gioco di prestigio: quel che è una voce passiva diventa per incanto un attivo.

Di fronte a questo film noi cittadini siamo spettatori impotenti e paganti.

Lo sfruttamento del suolo negli ultimi anni: dalla bolla alla depressione

Il copione ha solo qualche variante.

Un esempio: si crea una società di scopo, quasi interamente di proprietà di enti locali, finalizzata a promuovere lo sviluppo industriale. Per alcuni anni, la società resta sana, svolgendo correttamente la propria funzione pubblica. Una serie di operazioni immobiliari spericolate vengono poi condotte nel periodo di redazione del nuovo Piano regolatore, riducono la società ad un indebitamento che può arrivare a svariati milioni di Euro e che rischia di condurla alla liquidazione. Si tratta di acquisizioni di aree a prezzi smaccata-mente troppo alti rispetto a quelli di mercato ed in condizioni poco chiare, che generano utili spaventosi ad alcune società di intermediazione immobiliare e a pochi privilegiati proprietari di terreni, a scapito della società pubblica stessa, acquisizioni tutte avvenute alla vigilia del nuovo Piano, quando buona parte delle aree era ancora classificata a verde agricolo.

Aleggiano in queste compravendite espliciti conflitti di interesse, tra parentele di primo grado e ruoli di responsabilità nelle scelte urbanistiche del Piano allora in gestazione, che portano alla riclassificazione di quelle aree, allora agricole, in aree industriali. Per fare fronte ai pagamenti delle acquisizioni, la Società arriva ad indebitarsi per decine di milioni di Euro e le aree, comperate a quei prezzi, oggi non riescono più ad essere piaz-zate sul mercato immobiliare, se non a prezzi più bassi, con una perdita secca non sostenibile da parte della Società. Così i guadagni dei privati sono avvenuti direttamente a scapito dei bilanci di una società pubblica e a pagare il conto sarà l’erario comunale, che di quella società detiene la quasi totalità delle quote. L’idea degli amministratori di acquisire aree su aree, a qualsiasi prezzo e condizione, era basata sulla presunzione che il “mercato” avrebbe assorbito gli ammanchi, che i guadagni facili generati dall’operazione sarebbero stati velocemente nascosti dalle dinamiche delle successive compravendite. La crisi ha improvvisamente lacerato il velo e mostrato la mistificazione che si celava dietro queste operazioni.

Oppure: l’operatore immobiliare privato acquisisce un ambito agricolo e poi chiede all’amministrazione pubblica di modificare i piani vigenti e dichiararlo terreno da urbanizzare (decuplicando e incamerandone il valore fondiario), di urbanizzare nuove

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aree prima che siano utilizzate aree dismesse o già urbanizzate, di cambiare la destinazione d’uso di aree di interesse. Poi l’operatore immobiliare chiede alle amministrazioni pubbliche di allocare nel proprio ambito funzioni e uffici pubblici per favorire e avviare l’operazione, chiede di edificare volumi edilizi con densità altissime. L’amministrazione esegue le variazioni e tutti sono felici della “valorizzazione”.

Di quanti costruttori, immobiliaristi, società semipubbliche potremmo raccontare la stessa sceneggiatura, solo con piccole variazioni?

Il risultato?

l’Agenzia del Territorio ha certificato che le compravendite dopo aver toccato quota 869.308 nel 2006, sono state solo 617.286 nel 2010. il numero di immobili “a disposizione”, cioè vuoti, inutilizzati sono ben 5.979.995, quasi un milione in più di quelli “locati”, che sono 4.985.081, il 9,6% dei circa 51,7 milioni di immobili censiti. I dati sullo sfitto sarebbero da incrociare con quelli relativi al reddito degli italiani. Con uno stipendio medio-basso di 18.300 euro netti, ci vogliono 21 anni per acquistare una casa. Nel 1965 ne bastavano nove. La durata media dei mutui sottoscritti dai cittadini italiani che decidono comunque di acquistare casa è, nel 2010, di poco più di 23 anni, contro i 19 e mezzo del 2004.

Quante case costruire, e se costruirle, e per chi costruirle dovrebbero essere le domande-cardine di politiche delle costruzioni. Siccome l’accesso al mercato è precluso a chi destinerebbe al mutuo più del 30% del reddito familiare, difficile che servano nuove case di edilizia “libera”. La domanda degli anziani, il fenomeno delle nuove povertà, le giovani coppie, gli stranieri, il cui flusso è in costante aumento non è presa in considerazione. L’edilizia sociale non è più finanziata. Così non è un caso che l’83,9% delle famiglie sfrattate “devono” il provvedimento alla morosità: sono quelle che non ce la fanno più a pagare un affitto di mercato.

Si costruisce non per abitare ma per “fissare valore”. La risposta sta nella concentrazione della proprietà immobiliare: il 5% della popolazione possiede il 16,5% del totale degli immobili, che occupano però una superficie del 17,1% e valgono il 24,9%. Ciò significa che c’è una classe benestante che possiede immobili mediamente più grandi, che (perché situati in zone di pregio, o con finiture migliori) valgono di più. Sono coloro che considerano la casa un investimento, che portano il dato medio della “disponibilità di abitazioni” a 120,91 ogni 100 famiglie (ben maggiore di quello relativo agli italiani che vivono in una casa di proprietà, 4 su 5 circa).

Sono quelli che hanno continuato a far girare il mercato, assorbendo la domanda in eccesso. Oggi anche questa ruota non gira più. Ecco apparire la bolla: “: “Abbiamo superato anche la capacità di ‘assorbimento’ di chi compra per investire” (dice Gabriele Rabaiotti, ricercatore al Dipartimento di architettura e pianificazione (Diap) del Politecnico di Milano).

Come mai tanti soldi per il mattone?

«I prezzi elevati dei terreni - scriveva Camillo Sitte nel 1889 nel suo L’arte di costruire la città - spingono i costruttori alla loro massima utilizzazione possibile; è questa la ragione per cui molti dei più attraenti motivi dell’ architettura cadono a poco a poco in disuso ed ogni lotto fabbricabile dà luogo ad un blocco squadrato».

E Luigi Einaudi nel 1900: «Il caso dei terreni edilizi [così Einaudi definisce i suoli edificabili, distinguendoli da quelli destinati agli usi agricoli] è invece molto diverso. Non esiste un vincolo indissolubile tra la proprietà del terreno ed il lavoro applicato alle

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costruzioni; anzi, il valore del terreno cresce per virtù propria, date le circostanze d’ambiente propizie, senza che su di esso si sia nulla edificato. Il proprietario del terreno nudo, sul quale mai non è stata fatta da lui alcuna spesa, può venderlo ad un prezzo incredibilmente alto all’imprenditore di case il quale ha intenzione di fabbricarvi sopra”.

Il seme dell’intensivo consumo di suolo vergine era dunque già individuato all’interno della dottrina liberale.

Se ci spostiamo nell’ultimo cinquantennio troviamo il ministro Fiorentino Sullo, noto per la sua proposta di legge urbanistica, elaborata nei primi anni 60, presentata nell'estate del 1962 e clamorosamente bocciata nella primavera del 1963. Sullo era democristiano e ministro per i lavori pubblici.

L'obiettivo che Sullo si poneva era di contrastare la rendita fondiaria urbana, quell’elevatissimo gradiente che gratifica il proprietario del suolo quando il prezzo, da quello del terreno agricolo, ascende a quello del terreno edificabile.

L'enorme incremento del prezzo dei terreni, che si manifestava quando questi da agricoli divenivano idonei all'edificazione, incideva in modo insopportabile sul prezzo delle abitazioni, delle quali anche negli anni ’60 c'era un grande bisogno a causa sia dell'entità delle migrazioni interne sia dall'esigenza di migliorare le condizioni di abitabilità.

Ma soprattutto l'entità della rendita urbana e la sua appropriazione da parte dei proprietari facevano sì che forma e struttura della città fossero determinati dall'unica regola del massimo sfruttamento economico d'ogni porzione di suolo, realizzando periferie invivibili.

Un governo del territorio e del mercato capace di abbattere in misura consistente il prezzo delle case esigeva di contenere gli incrementi della rendita fondiaria urbana che incidevano in modo insostenibile, sia sui bilanci delle famiglie che sul potere pubblico, che doveva provvedere sia ad assicurare il godimento dell’abitazione per quei ceti che non possono accedere al mercato sia ad arricchire la città delle dotazioni che le rendono cosa diversa, e più civile, che un mero ammasso di case e capannoni.

E Sullo così tratteggiava il rapporto tra pianificazione delle città e interessi forti: «la pianificazione urbanistica diventa pressoché impossibile quando chi dovrebbe pianificare deve lottare con centinaia di piccoli o medi proprietari terrieri che desiderano lo sfruttamento dei terreni a mezzo delle maggiori altezze dei fabbricati e che si pongono in netto antagonismo con i cittadini non interessati alla speculazione, i quali chiedono spazio per i veicoli ed aria per le persone. E quindi riduzione al massimo della densità fabbricativa».

Nel difendere la sua proposta Sullo ripete che si deve incidere seriamente sugli alti costi dei suoli urbani, il che è possibile solo se si espropria, urbanizza e rivende le aree a chi ha bisogno del suolo per costruire. E prosegue: «Se milioni di cittadini ci guadagnano, c’è qualcuno che ci perde. E che strepita. Ma chi ci perde, perde arricchimenti iniqui. Non ciò che è suo, ma ciò che, per fortuite coincidenze, gli viene, con l’attuale sistema delle leggi, regalato dalla collettività».

La vicenda della legge Sullo si aprì all’inizio degli anni 60 e si concluse nel 1963.

Nell’analisi di Sullo era stata trascurata una cosa: la potenza di quel “complesso edilizio” così descritto da Valentino Parlato:

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«In questo blocco si raccoglie un coacervo di forze che fa pensare ad alcune pagine del 18 brumaio di Luigi Bonaparte. Ci sono tutti: residui di nobiltà fondiaria e gruppi finanziari, imprenditori spericolati e colonnelli in pensione proprietari di qualche appartamento, grandi professionisti e impiegati statali incatenati al riscatto di una casa che sta già deperendo, funzionari e uomini politici corrotti e piccoli risparmiatori che cercano nella casa quella sicurezza che non riescono ad avere dalla pensione, oppure che ritengono di risparmiare in avvenire sul fitto pagando intanto elevati tassi di interesse, grandi imprese e capimastri, cottimisti ecc. Un mondo nel quale, all’infuori di poche sicure coordinate (quelle di sempre, della potenza economica e del potere politico) vasta é l’area magmatica delle improvvise fortune e della prigione, del triste esproprio (pensiamo solo alla sorte di molti piccoli proprietari di case a fitto bloccato). Un mondo, però, che si tiene saldamente insieme strumentalizzando - per rafforzare i più solidi legami di interesse economico - il fanatismo dell’ideologia della casa, la drammatica necessità di ottenere una casa anche a costo di sacrifici, la necessità di avere un lavoro: il contadino fattosi edile, di fronte alla minaccia di non lavorare, é naturalmente portato a considerare inutili e dannose sottigliezze tutti i perfezionamenti democratici dei regolamenti edilizi. Il fatto che questo sistema non sia in grado di dare la casa a tutti finisce con l’essere la condizione di forza del “complesso edilizio”» (Valentino Parlato, Il complesso edilizio, 1970).

Il punto di forza che assumeva la rendita in quella fase storica va visto entro il quadro del ruolo svolto dal settore costruzioni nei processi di sviluppo economico. Il settore delle costruzioni – gli economisti convergono su questo punto -, all’aumentare del reddito pro-capite di un paese (indicatore scelto per misurare il fenomeno della crescita economica), segue una traiettoria ad U rovesciata. Cioè il peso delle costruzioni sull’economia cresce nelle prime fasi dello sviluppo, per poi cominciare a decrescere una volta che l’economia ha raggiunto un certo livello di industrializzazione.

Nei paesi a basso reddito pro-capite le costruzioni tendono, infatti, ad aumentare progressivamente il proprio peso economico. L’urbanizzazione e la realizzazione delle infrastrutture fondamentali (strade, ferrovie, acquedotti, …) e degli impianti produttivi sono i processi che trainano le prime fasi della crescita economica. Così il settore delle costruzioni registra tipicamente tassi di crescita maggiori rispetto al resto dell’economia, aumentando il proprio peso relativo. Anche perché è un settore che in questa fase richiede un livello di imprenditorialità meno sofisticato e assorbe una grande quantità di manodopera non qualificata, per cui è particolarmente adatto a trainare la crescita economica in questa fase iniziale.

Tuttavia, una volta che i fenomeni elencati di urbanizzazione, infrastrutturazione, industrializzazione hanno esaurito la propria spinta, perché ormai giunti a maturità, la dinamica s’inverte. L’investimento in costruzioni comincia a crescere in misura minore rispetto al resto dell’economia, che ormai è trainata dalla crescita della produttività dell’industria e dei servizi. Cosi, nelle economie industrializzate il peso economico del settore costruzioni tende a seguire una traiettoria declinante.

I dati sembrano confermare la validità del modello nel contesto italiano. Se si escludono gli anni della seconda guerra mondiale e i due immediatamente successivi, l’importanza economica delle costruzioni è cresciuta costantemente nel periodo dell’industrializzazione, fino a raggiungere un picco nel 1970, per poi iniziare a declinare quando l’economia era ormai industrializzata.

A partire dagli anni Settanta il peso economico delle costruzioni ha iniziato a scendere mentre il pil procapite cresceva. A metà anni Novanta si è registrata una nuova temporanea inversione del rapporto: durante il boom edilizio di fine anni Novanta-inizio anni Duemila, il peso delle costruzioni sull'economia ha ripreso a crescere al crescere

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del reddito procapite, segno che le costruzioni stavano di nuovo crescendo a un tasso maggiore rispetto agli altri settori economici. Il nuovo boom delle costruzioni ha assunto caratteri speculativi ed è sfociato in una crisi da sovrapproduzione, che arrivando in concomitanza con la crisi finanziaria globale ha provocato la peggiore crisi del dopoguerra per il settore costruzioni italiano, che nel periodo 2007-2012 è andato peggio del resto dell’economia, tornando a ridurre il proprio peso economico.

Come mai tanti cedimenti degli amministratori pubblici al mattone?

Se assumiamo ancora la ripartizione in tre fasi della storia repubblicana quanto a rendita immobiliare, si può vedere che il ruolo dell’amministratore pubblico è sempre quello della predisposizione di strumenti di piano coerenti con gli interessi degli speculatori immobiliari. Basterebbe la frase, divenuta celebre, di quel costruttore romano al politico di rilievo nazionale: “ A Fra’ che te serve?” per riassumere il rapporto che intercorreva fra politici e imprenditori nella fase della rendita marginale e poi differenziale, un rapporto che si serviva della finanza come supporto acquiescente ai voleri speculativi.

Tutto si trasforma con la crescita del ruolo dei fondi finanziari, in essi si miscela la rendita parassitaria e il ruolo progressivo del profitto industriale, che piano piano cede il ruolo di conduzione dell’economia. La stretta ai bilanci delle amministrazioni pubbliche, in particolare agli enti locali, induce la stragrande maggioranza di questi a fare cassa con le nuove costruzioni, si pareggiano così i bilanci, si danno servizi ai cittadini, si eseguono opere (anzi le fanno quegli stessi speculatori che così facendo appaiono come benefattori), si fa fronte a difficoltà finanziarie con la cessione di pezzi sempre più grandi di territorio.

Queste scelte passano anche attraverso la coscienza costruita nei cittadini: che ritengono che la crescita economica passi attraverso la costruzione immobiliare. E a questa tutto si sacrifica.

La concessione legislativa di trattenere gli oneri di urbanizzazione fino al 75% per la spesa corrente permette poi di usare per la spesa corrente quello che per sua natura è legato agli investimenti. Venendo meno questa norma i comuni dovrebbero trovare altre entrate, tagliare spese inutili. E invece si è garantito finora i servizi essenziali su entrate straordinarie, come gli oneri di urbanizzazione.

Un gioco limitato nel tempo perché il territorio è risorsa finita e poi perché era prevedibile l’arrivo della crisi immobiliare.

Le visioni dei tecnici e la realtà dei numeri: la complicità dei saperi. Saperi?

Gravi sono le responsabilità dei tecnici. In particolare gli urbanisti, che hanno accompagnato e “facilitato” la legittimazione della rendita. Scrive Walter Tocci: «Quando il progetto urbanistico smarrisce il senso critico si riduce a celebrare il già fatto o a pianificare il nulla».

Gravi anche le responsabilità degli imprenditori, e soprattutto dei politici in questa scelta di privilegiare la rendita anziché combatterla: incoraggiata da alcuni, utilizzata da altri, ignorata da chi aveva il dovere culturale di denunciarla.

Come si configura oggi questa complicità? Vediamo i testi delle Relazioni tecniche ai PAT e PATI della provincia di Verona che avvalorano i dati esposti in Tabella.

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PATI Bosco Chiesanuova-Cerro “… Tenendo conto di tutto ciò viene da prospettare per il prossimo quindicennio tassi d’incremento costantemente positivi. Per il comune di Bosco Chiesanuova la popolazione residente alla fine del quindicennio 2010/2025, viene così ipotizzata a soli 4556 abitanti, puntando all’obiettivo minimo di un carico di 60 nuovi abitanti per ogni anno di durata del Piano”.

“… Per il comune di Cerro Veronese la popolazione residente alla fine del quindicennio 2010/2025, viene così ipotizzata a soli 3277 abitanti, puntando all’obiettivo minimo di un carico di 57 nuovi abitanti per ogni anno. Per cui il P.A.T.I. considera per il prossimo quindicennio un trend demografico in leggero aumento puntando al consolidamento del dato 2,5 ab/fam componenti/famiglie quale valore di allineamento sul dato provinciale e nazionale”.

“… L’incremento della popolazione nel prossimo quindicennio dovrebbe risultare positivo grazie al saldo positivo della componente sociale sostenuto dall’immigrazione interna dovuta soprattutto al trasferimento di residenti dai comuni limitrofi verso il Comune di Bosco Chiesanuova per motivi di lavoro, in quanto all’interno del Comune è presente un sistema economico - produttivo significativo ed importante sia sotto il profilo quantitativo che sotto il profilo qualitativo vista la presenza di importanti aziende nazionali ed internazionali; e verso il Comune di Cerro Veronese per motivi economici e logistici, in quanto all’interno del Comune il costo per una abitazione è competitivo rispetto ai comuni più a valle collegato alla vicinanza con i centri produttivi di Grezzana, e con il capoluogo.

In riferimento ai conteggi dimostrativi ed esplicativi che seguono il fabbisogno per edilizia abitativa per il quindicennio 2010 - 2025 è stato determinato per un volume pari a 683.400 mc corrispondente a 4556 abitanti totali (utilizzando il parametro di 150 mc/abitante)”.

Cazzano di Tramigna “… Per il comune di Cazzano di Tramigna la popolazione residente alla fine del quindicennio 2011/2026, viene così ipotizzata a soli 2.005 abitanti, puntando all’obiettivo minimo di un carico di 34 nuovi abitanti per ogni anno di durata del Piano… A fronte di questi dati il P.A.T. considera per il prossimo quindicennio un trend demografico in leggero aumento puntando al consolidamento del dato 2,5 ab/fam componenti/famiglie quale valore di allineamento sul dato provinciale e nazionale.

… L’incremento della popolazione nel prossimo quindicennio dovrebbe risultare positivo grazie all’inversione del segno del Saldo Naturale della componente sociale sostenuto dall’immigrazione interna data soprattutto dal trasferimento di residenti dai comuni limitrofi verso il Comune di Cazzano di Tramigna”.

Garda “… Dall’anno 2001 all’anno 2006. Il dato percentuale di aumento del +6% del numero di residenti sembra abbastanza consolidato … Proiettando il dato di incremento, dei soli residenti, per la durata del PAT (prossimi 10 anni) mantenendo il trend di crescita del 6% medio annuo, risulterebbe un aumento della popolazione residente del 60%... Una ipotesi di incremento percorribile potrebbe attestarsi su una percentuale aggiratesi dal +25-30% della popolazione residente e quindi su un valore massimo (30%).

Isola della Scala “… Il fabbisogno totale del Comune di Isola della Scala nei prossimi dieci anni risulta complessivamente … nuovi abitanti: 2.072 x 228 mc/ab = 472.416 mc più fenomeno erosione abitativa: 5,23% = 24.707 mc. Totale = 497.123 mc Di cui disponibili sul PRG vigente 196.288. Totale = 300.835 mc”. [Come si ricavi questo dato di 207,2 abitanti in più per anno non si sa, se l’incremento dal 2002 al 2010 è stato di 866 abitanti. E i 228 mc/abitante, a fronte di quei 150 indicati dalla Regione Veneto?]

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Grezzana Poi ci sono le affermazioni “dogma”: “ … l’incremento degli abitanti nel decennio di validità del PAT sarà del 19%”. “L’incremento ipotizzato appare congruente con quanto si è verificato nei recenti quindici anni”. [Affermazione inspiegabile se dal 2002 al 2010 l’incremento è stato del 7,95%].

Conclusioni

Basta accontentarsi di un’analisi del dato demografico come semplice dato statistico rilevato periodicamente, magari tramite censimento? Questa pura aritmetica nasconde una estrema povertà culturale, una frattura tra saperi che conviene ad alcuni, banalizza l’atto del pianificare e immiserisce il territorio. In una destoricizzazione degli strumenti di previsione e piano delle città ridotti a puro strumento di espansione del costruito, dimenticando che l’abitare non è un semplice, “misero” atto di insediarsi in una casa, ma è un concentrato di relazioni con altri, con i servizi offerti, con il lavoro…

In una fase storica considerata di forti mutamenti, come si prepara a questi mutamenti l’atto pianificatorio?

In un sistema a risorse invariate (nella migliore delle ipotesi), il valore creato per ogni singolo cittadino rischia di diminuire sensibilmente se la popolazione aumenta in maniera così sensibile. Il rapporto della spesa procapite vede nel suo denominatore -la popolazione residente- un elemento critico e spesso non sufficientemente approfondito nel dibattito relativo allo stato della finanza locale. “Sempre considerando il nostro un sistema a risorse finanziarie invariate o comunque stabili nel medio-lungo periodo, la variabile demografica diviene il parametro che più influenza il sistema di offerta dei servizi comunali. Se poi consideriamo che in questo momento storico le amministrazioni locali sono nel mezzo di un continuo processo di riduzione delle risorse disponibili, mentre si registra una crescita sia del numero che dei fabbisogni della popolazione, risulta intuitivo comprendere, al di là di tutti i miglioramenti possibili grazie alla razionalizzazione della spesa e di “efficientamento” nell’erogazione dei servizi, quanto sia importante coniugare l’approfondimento sulla dinamica delle entrate e delle uscite degli enti con quelle che sono le caratteristiche più rilevanti della popolazione” (dal X° Rapporto Nobel dell’IRES Veneto).

Intuitivo, dice l’IRES. Eppure non ancora entrato nelle menti e nelle intenzioni degli amministratori e dei tecnici. «Quando il progetto urbanistico smarrisce il senso critico si riduce a celebrare il già fatto o a pianificare il nulla».

Che città aspettarsi se cresce il mattone

Sulla base di inspiegabili dati numerici, gli enti locali autorizzano sempre nuove costruzioni, in variante o all’interno di Piani votati alla “crescita”. La risposta del governo è, se possibile, anche peggiore: il Dl Sviluppo, convertito in legge nel luglio 2011, “sdogana la perequazione”. Cioè, spiega Il Sole 24 Ore, rende “possibile un mercato delle volumetrie”. Il rischio è quello di creare un mercato secondario, una “borsa” dei diritti edificatori: una ulteriore gigantesca bolla, un po’ com’è successo con la CO2.

La politica deve tornare a dirigere l’economia: a definire per quali fini debbano essere impiegate le risorse scarse di cui il pianeta dispone.

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Hanno curato la redazione del presente dossier:

Lorenzo Albi, Angelo Mancone, Grazia Sparacino, Giovanni Zanoni Questo testo è debitore ed ha tratto brani dagli studi sull’urbanistica e la rendita fondiaria di: Walter Tocci, direttore del Centro per la Riforma dello Stato; Edoardo Salzano, professore allo IUAV di Venezia; Osvaldo Lamperti - urbanista della Facoltà di Architettura di Milano-Leonardo; Luca Martinelli, redattore del mensile “Altreconomia”;

Bibliografia Mario De Gaspari, (2013) Bolle di Mattone, Mimesis Camagni R. Gibelli M.C. Rigamonti P. (2002), I costi collettivi della città dispersa, Alinea, Firenze. L. Fregolent, F. Indovina, M. Savino (a cura di) (2005), L’esplosione della città, Editrice Compositori, Bologna L. Fregolent (2005), Governare la dispersione, FrancoAngeli, Milano