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MASTER CLASS: PRISON THEATRE AS A RESTORATIVE TOOL Brussels, 21 novembre 2016 PsicoIus Scuola Romana di Psicologia Giuridica Antonio Turco Responsabile attività culturali CR di Rebibbia, Roma Responsabile nazionale Politiche sociali AICS Collaborazioni Cattedra di Psicologia sociale e giuridica Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali Università degli studi di Sassari

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MASTER CLASS: PRISON THEATRE AS A RESTORATIVE TOOLBrussels, 21 novembre 2016

PsicoIus Scuola Romana di

Psicologia Giuridica

Antonio TurcoResponsabile attività culturali CR di Rebibbia, Roma

Responsabile nazionale Politiche sociali AICS

CollaborazioniCattedra di Psicologia sociale e giuridica

Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali

Università degli studi di Sassari

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Prison dramaturgy is a social theatre of testimonies where prisoners are given the opportunity to share their difficulties and

exchange their life stories.

Even if the focus of this Master-Class is on the prison setting and the social inclusion of prisoners, similar theatre tools are used in other fields of social work (e.g. with youngsters, migrants, drug-

addicts, mentally distressed people, victims of violence).

Master-Class on ‘prison dramaturgy’

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The Master-Class will be divided in two parts:

1. A general presentation of what is prison dramaturgy in Italy. The presentation will include two short films on two theatre plays performed and filmed by the detainees.

2. A workshop (incl. short comfort break) for sharing experiences and practicing the techniques of this specific type of social theatre and storytelling.

Master-Class on ‘prison dramaturgy’

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Master-Class on ‘prison dramaturgy’

general presentation

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■ Il primo spettacolo esibito all’esterno delle mura carcerarie risale al 5 luglio 1982.

■ A Spoleto, nell’ambito del Festival dei Due Mondi, il Teatro gruppo della reclusione di

Rebibbia, mise in scena “Sorveglianza speciale” di Jean Genet.

■ Si trattò di un evento eccezionale per vari motivi, nel più importante dei quali si può

individuare la disponibilità dell’autore a concedere ai detenuti, che gli avevano

inviato una lettera in Marocco dove viveva, di poter interpretare l’opera che dal 1967

non era stata più rappresentata.

5 luglio 1982: primo spettacolo all’esterno del carcere

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■ Si era, in quel periodo, agli albori della attività trattamentale e pedagogica, del tutto

inedita negli scenari dei penitenziari italiani. Moltissime cose si sarebbero modificate

in seguito.

■ Alla “stagione della speranza”, si sarebbe succeduta la risposta repressiva dello

Stato alle stragi di mafia, culminate con gli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino.

■ Il teatro, in questo arco, tra riforma e controriforma, ha mantenuto inalterata la sua

caratteristica di “strumento utile”. Uno strumento di comunicazione e talora di

modifica della realtà istituzionale.

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■ Sulla sua funzione trattamentale, sul “valore artistico delle iniziative”, sulla

fondamentale domanda “che cosa è e a che serve il teatro carcerario?” si sono spesi

fiumi di parole.

■ In molti momenti di confronto con la psicoterapeuta Sandra Vitolo avremmo poi

definito il nuovo concetto di drammaturgia penitenziaria.

■ Il teatro carcerario, ad esempio, non può essere ipotizzato come genere a se stante.

■ Così come il teatro carcerario può essere certamente catalogato nel “teatro

delle diversità”.

Le funzioni del teatro penitenziario

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■ Il teatro, al di là di qualsiasi connotazione stilistica, di qualsiasi vicenda normativa e

di qualsiasi rivendicazione terapica, ha avuto, nella dimensione reclusa, un merito di

indiscutibile valore.

■ Ha consentito, cioè, più e meglio di altre opportunità di coinvolgimento collettivo, di

superare steccati e appartenenze; ha permesso a detenuti, provenienti dalla

criminalità organizzata, di confrontarsi su un terreno in cui i ruoli non sono stati

determinati dalle funzioni attivate nell’area di provenienza.

■ Il teatro in carcere, se opportunamente canalizzato dal lavoro comune di operatori e

registi, è stato lo strumento con cui si sono sconfitti, anche se in una zona

circoscritta, gli stili e i costumi propri dell’agire deviante.

■ E questo è un aspetto vincente sul quale poco si è riflettuto, perché spesso

abbagliati dal sentire dottrinale.

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■ Che il teatro produca autoconsapevolezza e autopercezione, che la pratica determini

migliore capacità comunicativa, che l’azione scenica sia elemento per consolidare

percorsi socializzanti, che la riflessione di gruppo possa costituire una concreta

opzione terapica individuale e collettiva, di tutto questo, da tempo si ha

distintamente cognizione.

■ Se il teatro carcerario può essere inserito, di diritto, nella categoria del “teatro delle

differenze”, questa notazione è ancora più appropriata se si pensa alla sua

innegabile capacità di essere un mezzo che unisce le differenze.

Dal teatro “delle differenze” al teatro che “unisce le differenze”

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■ Una valutazione di base che pone il teatro in termini di metaobiettivo del trattamento

rispetto al contenitore complessivo dell’azione trattamentale.

■ Per valorizzare tale concetto è indispensabile fare il punto sulla condizione attuale,

prendendo spunto da una valutazione elaborata durante un seminario, promosso nel

’97 dalla Cattedra di Storia del teatro e dello spettacolo dell’Università di Urbino.

■ La riflessione in questione suggeriva di dividere gli stili di conduzione teatrale nel

contesto istituzionale, in tre grandi ambiti.

Gli stili teatrali

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■ Il primo permette di pensare al teatro come testimonianza con l’obiettivo

di valorizzare la specificità della persona.

■ Il secondo ambito stilistico riconduce alla visione terapica del teatro,

impostando l’organizzazione del lavoro sul corpo dell’attore, sprigionandone creatività e

libera espressività.

■ Lo stile educativo rappresenta la terza versione, con lo scopo di promuovere la

funzione socializzante di tale attività.

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■ Due le ipotesi programmatiche per identificare le esperienze che si sono

concretizzate, in questi anni, negli istituti penitenziari. Due vere e proprie

modalità differenziate di intendere il teatro.

■ Naturalmente lavorando nel penitenziario ognuno si è rifatto al precedente vissuto

esperienziale, tentando di esaltare la propria vena poetica, ma non potendo fare a

meno di rapportarsi alla realtà dell’istituto.

■ Tempi, modi, storie, regole e problemi hanno certamente messo in campo uno

scambio, un "baratto" per dirla con Barba, certamente una relazione profonda fra

persone che devono produrre assieme un fatto artistico.

I due principali modi di intendere il teatro penitenziario. Criterio di diversità: la opzione del testo

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Il testo come laboratorio di pratica sociale: la Compagnia Stabile Assai(e la Fortezza di Volterra)

■ La Stabile Assai privilegia il fatto storico connesso alla dimensione detentiva.

■ La partecipazione dei detenuti alla stesura del testo è un fatto fondamentale per la costruzione dello spettacolo della Compagnia Stabile Assai che parte sempre da avvenimenti classici della storia criminale.

■ La prova, la preparazione diventano, in questa ottica, il momento creativo e dunque la parte più interessante dell’attività.

■ La pratica teatrale supera il concetto dello spettacolo conclusivo, anche se il buon esito della rappresentazione resta l’obiettivo, la tensione ed in qualche modo il sistema di misura del lavoro svolto.

Altri gruppi, altri registi hanno privilegiato e continuano a preferire la messa in scena di un testo classico.

Un esempio specifico è quello della compagnia della sezione di alta sicurezza del Nuovo Complesso di Rebibbia. In tal caso, questi detenuti, con alle spalle un passato criminale di rilievo, tutti di estrazione meridionale, sembrano proporsi come naturali depositari di una tradizione teatrale all’italiana.

Il testo, spesso tratto dalle opere di Eduardo, impone la produzione di uno spettacolo scandito rigorosamente dalle entrate e dalle uscite, dalle inflessioni delle battute precisamente interpretate. Questa tendenza è stata, tra l’altro, sempre presente nella impostazione teatrale minorile.

Nei carceri minorili di Nisida e ad Airola, in particolare, è stato sollecitato un interesse, nei ragazzi, verso il recupero della tradizione partenopea.

La messa in scena dei classici: la Compagnia dell’alta sicurezza del NC di Rebibbia

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■ I positivi risultati raggiunti ottenuti dal gruppo “teatro Domani”, con la contemporanea attivazione del laboratorio di dizione e del laboratorio di scenotecnica gestito da un serio professionista come Bruno Garofalo, stanno a ribadire proprio la differenza dei modelli teorici.

■ Là dove è forte l’invenzione, il capovolgimento delle regole del teatro di tradizione a favore di un teatro che supera e rifà la vita, qua è proprio nella osservazione attenta delle regole, è proprio nel rigore con cui ci si accosta al mestiere del teatro, che si misura l’abilità creativa dei detenuti.

■ Si tratta di due modi completamente diversi di vedere il "teatro in carcere". Personalmente

prediligo la dimensione della "drammaturgia penitenziaria" dove forte è il coinvolgimento dei detenuti nella costruzione del testo, nell'azione scenica e nella stessa preparazione dello spettacolo.

La drammaturgia penitenziaria

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■ Nella riproduzione dei classici, il rischio è quello di riprodurre le gesta di una sia pur apprezzata filodrammatica.

■ Altro è mettere in scena se stessi e le proprie storie di vissuto criminale.

■ In questa ottica L’obiettivo diventa comune. Costringe entrambi, operatori penitenziari e registi, a predicare una idea diversa di cultura rispetto a quella dominante nell’universo della devianza.

■ Neanche Strehler riuscirebbe a realizzare una opera di Strehler con i detenuti se non si ponesse in una posizione di ascolto dell’altro, del recluso.

■ Di una persona, cioè, che ha all’attivo momenti che le persone normali non hanno mai vissuto.

■ Di una persona o di un gruppo che, spesso, è capace di capovolgere il ruolo, ponendosi in una situazione out e talora giudicante gesta e comportamenti di chi dovrebbe essere depositario del verbo della cultura, sia essa quella omologata o quella alternativa.

■ Una operazione che mira a rendere uguali e tutti meritevoli di identica attenzione, qualsiasi detenuto voglia salire sul palco.

LA SCELTA DEI MODELLI OPERATIVI

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■ Sono 112 gli Istituti italiani in cui, in qualche modo, si fa teatro. Un dato di spessore,

soprattutto se si pensa che in ben 42 realtà, la data di costituzione dei laboratori risale agli

anni ottanta, al primo decennio di attività trattamentale.

■ Un dato che non deve indurre alla tentazione di slegare il contenuto artistico dalla vicenda

pedagogica che rimane il naturale contenitore di tutto il percorso operativo.

■ L’idea di un teatro che privilegi la crescita personale del detenuto-

attore sul piano della autopercezione e della riappropriazione di

una identità culturale, è quella vincente.

LA SITUAZIONE DEL TEATRO

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■ In tale prospettiva occorre pensare al superamento del termine rigido “teatro” per

individuare nella “performance” un ambito più aperto.

■ Lo spettacolo conclusivo si definisce così come una tensione pedagogica.

■ Detenuti di talento e non, detenuti organizzati e riconosciuti come gruppi di potere all’interno dell’istituto, soggetti con difficoltà psichiatriche o di comunicazione con l’esterno, e poi romani

e calabresi, napoletani e siciliani: tutti potenziali fruitori di una occasione.

■ All’interno del carcere il bravo attore è considerato tale più o meno sul cliché dell’attore dialettale comico: capacità mnemonica, gestione “in proprio” del palcoscenico all’italiana, forti doti istrioniche, secondo modelli classici che dividono ancora in maniera netta spettatore e attore, mestiere e impresa teatrale ed esistenza.

■ Il concetto di capacità modellato su una espressività meno evidente e misteriosa, che

ricorre più alla sensibilità interna è abbastanza sconosciuta dentro il carcere.

Il carcere come luogo di teatro

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■ Il teatro che finisce per “essere” facendo a meno del “fingere”, l’esperienza teatrale che coincide con l’esistenza, doppiando

il concetto contemporaneo ripreso dalle avanguardie artistiche dell’arte uguale alla vita, il teatro che apre i propri schemi e che fa saltare ogni barriera di relazione fra attore

e spettatore, il teatro, insomma, che favorisce la base creativa rispetto a quella imitativa: è questo il teatro che appartiene alle esperienze di Brook, del Living, di Grotowsky, di Bene e di Cage.

■ Ed è un modello che, soprattutto senza facili riferimenti, sta dando i suoi frutti, perché pone tutti i detenuti, soprattutto quelli senza occasioni, sullo stesso piano.

■ Lo sconfinamento ha portato il teatro fuori dal teatro: nei manicomi, nelle piazze, negli ospedali, nelle strade, nelle carceri.

■ Questa riflessione ha consentito un rapporto interessante tra teatro e psichiatria, tra teatro e sociologia, fra teatro e pedagogia, trasferendo la possibilità di prevedere un rapporto tra i soggetti, fondato sul connotato educativo.

TEATRO E VITA REALE

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■ Il modello del laboratorio teatrale della Casa di reclusione di

Rebibbia

■ Per avere un quadro esaustivo di quanto da tempo si realizza all’interno della Casa

di reclusione di Rebibbia, occorre far contemporaneamente riferimento alle due

componenti essenziali di questa specifica forma di attività:

■ A) il laboratorio teatrale permanente

■ B) la Compagnia Stabile Assai.

TEATRO E VITA REALE

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■ La Compagnia Stabile Assai, che è l’espressione artistica consacrata dell’Istituto, è

attiva dal 1982.

■ È stata la prima compagnia italiana di detenuti a formarsi

ufficialmente.

■ L’Associazione culturale “Rino Gaetano” dell’AICS gestisce gli

aspetti artistici e amministrativi della compagnia e del laboratorio teatrale

permanente da oltre venti anni.

La compagnia Stabile Assai della CR di Rebibbia, Roma

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■ Di fondamentale importanza è l’attività teatrale nel rapporto tra operatori

(trattamento – sicurezza) e i detenuti e tra gli stessi detenuti.

■ Si può, dunque, ragionevolmente ribadire che il teatro è da sempre l’attività che

migliora il livello delle relazioni tra i detenuti. La condivisione dell’obiettivo

spettacolo cementa nuove amicizie e rende meno conflittuali i rapporti.

■ Trattamento, sicurezza, volontariato, interagiscono con il duplice obiettivo di

rendere più sereno il clima carcerario, favorendo una

partecipazione più consapevole dei detenuti.

■ La comunità esterna partecipa con calore alle iniziative teatrali.

■ Il teatro favorisce una visione meno drammatica ed allo stesso

tempo più riflessiva della condizione carceraria.

Valenza istituzionale e sociale

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Master-Class on ‘prison dramaturgy’

workshop

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Durante il filmato non viene mai citato

l’episodio che ha determinato la

morte del figlio.

Cosa ha attraversato la vostra mente?

Cosa/come è successo?

Di che si tratta?

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Cosa provate pensando che sono

stati i detenuti a scrivere monologo

e copione?

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Quale vi sembra il posizionamento

dei detenuti (auto-giustificativo e di

che genere, di assunzione di

responsabilità, altro…)?

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Sostanzialmente, cosa pensate del

diretto coinvolgimento dei detenuti

nella stesura del testo?

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Se io lavorassi nelle carceri francesi darei parola

ai ragazzi delle banlieues.

Se lavorassi nella carceri irlandesi, darei la

parola a chi ha vissuto il dramma dell’IRA.

Ma, questa è la mia rappresentazione da

italiano…

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■ Sessanta sono in media i detenuti coinvolti nella attività laboratoriale.

■ Il laboratorio teatrale permanente utilizza gli spazi interni di una sezione.

■ Gli spettacoli, che vengono organizzati dai detenuti del laboratorio si tengono presso

il campo sportivo o presso un’area interna adibita agli eventi.

■ Perché una delle caratteristiche speciali di questo gruppo è

quella di non poter contare su un vero e proprio teatro.

Il laboratorio teatrale

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■ L’interno del corridoio della terza sezione e l’area passeggi della sezione semiliberi

(uno spazio di sapore grotowskyano), durante i quattro mesi estivi, sono i luoghi dove

si riescono due volte la settimana i detenuti che partecipano al laboratorio teatrale o

al laboratorio di teatro terapia.

■ Gli attori o si autosegnalano o vengono segnalati dagli operatori.

■ Le modalità di lavoro prevedono il contemporaneo coinvolgimento della totalità dei

detenuti.

■ Esiste un nucleo stabile di lavoro con un responsabile del laboratorio teatrale e un

gruppo direttivo.

■ Il nucleo si è modificato poiché per anni si è pensato ad una conduzione impostata

su una sola responsabilità gestionale.

Dove e chi

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■ Agli inizi dell’anno si aprono le iscrizioni al laboratorio teatrale permanente. Sono aperte a tutti i detenuti. I partecipanti alla selezione devono compilare un questionario redatto dalla psicoterapeuta titolare dell’attività teatrale.

■ La selezione diventa naturale per la gravosità dell’impegno. Sullo stesso piano deve essere ricordato che i membri della Compagnia facilitano l’inserimento dei nuovi elementi provenienti dal laboratorio.

■ Allo spettacolo si giunge dopo circa sei mesi di lavoro in comune, dove vengono utilizzate le risorse individuali dei detenuti e le loro capacità di presenza attiva alla ideazione ed allo svolgimento dell’iniziativa.

■ Vengono privilegiate le partecipazioni spontanee o quelle prive di appartenenza gruppale.

■ Sono inseriti, da anni, i minorati psichici dell’Istituto ed in genere le persone meno rappresentative.

Dove e chi

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■ Nel tempo si è compresa l’importanza di differenziare i ruoli di più

componenti del laboratorio che rimane la naturale fucina di passaggio per accedere

alla compagnia.

■ Il nucleo direttivo di entrambe le strutture operative è composto da

detenuti ergastolani o lungodegenti.

■ È altissimo il grado di coinvolgimento dei detenuti partecipanti.

■ Lo spunto di partenza degli spettacoli è determinato dall’obiettivo di raccontare

vicende personali, di gruppo, storiche, tutte legate alla

condizione detentiva.

■ Il concetto di “working progress” è alla base dell’impostazione metodologica.

Ruoli e coinvolgimento dei detenuti

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■ Il testo viene perfezionato dopo un lavoro preventivo in cui vengono valutati gli spunti

e le idee degli operatori, dei detenuti o del regista.

■ L’idea di teatro sociale è alla base del lavoro che si sviluppa

attraverso tecniche diversificate che possono rinviare alle concezioni

classiche del “living theatre” o a impostazioni più tradizionali, sempre tenendo conto

delle caratteristiche dei detenuti coinvolti.

Il testo

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■ In genere lo spettacolo conclude il lavoro del laboratorio teatrale.

■ Il lavoro è talora preceduto da una esibizione basata sulla pratica teatrale esibita dal gruppo in azione.

■ Il coinvolgimento di un congruo numero di detenuti, il superamento dei conflitti, la valorizzazione dei vissuti, la creazione di una cultura teatrale, il superamento degli stereotipi: questi alcuni dei risultati raggiunti.

L’esito del laboratorio

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■ La storia del brigantaggio e della “questione meridionale”,

del disagio mentale in carcere, dell’ergastolo, della

integrazione razziale, del blues o della taranta, una forma

tradizionale di musica e cultura dove viene esaltata la pazzia

femminile, come contenitori culturali di provenienza, sono

alcuni dei temi trattati in questi anni.

I temi

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Alcune immagini

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La pratica teatrale e le collaborazioni■ Il concetto di pratica teatrale, come detto, è alla base del lavoro.

■ I movimenti di gruppo si sovrappongono agli spazi di interpretazione individuale.

■ Spesso si realizzano spettacoli in cui il testo è prevalente sull’azione e sulla dinamica gestuale.

■ L’attività viene costantemente monitorata dal responsabile culturale dell’area trattamentale, da una psicologa, dal regista e dal responsabile della sicurezza, per valutare le motivazioni e l’andamento dei

singoli partecipanti.

■ L’attività è spesso sostenuta da docenti universitari. L’attività

del gruppo di lavoro è basata sul rapporto interprofessionale.

■ Spesso sono presenti musicisti dell’area jazzistica e popolare della Capitale.

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■ L’attività viene inserita nel “piano pedagogico” dell’Istituto.

■ Tutte le figure professionali operano per la condivisione degli obiettivi.

■ Il contributo costante di operatori, detenuti e professionisti

esterni nell’elaborazione del testo, è alla base del metodo di

lavoro.

■ Le tecniche utilizzate sono quelle relative alla gestione delle dinamiche di gruppo, al lavoro

sul corpo, al lavoro sui movimenti, al lavoro sullo spazio scenico e sullo spazio musicale.

■ Le professionalità implicate sono relative al lavoro di attore, alla scenografia e alle musiche.

Pratica teatrale e trattamento

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■ Sino ad oggi si sono tenute oltre seicento repliche esterne. Teatri stabili

e teatri di periferia, piazze o aule magne universitarie: questi gli spazi scenici che

evidenziano la validità del prodotto.

■ La compagnia effettua tournée. I detenuti fruiscono per

l’occasione di permessi premiali individuali. In oltre cento

casi è stato utilizzato lo strumento dell’art. 21

dell’Ordinamento Penitenziario per prestazioni artistiche

retribuite.

L’attività esterna della Compagnia

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■ La Compagnia ha vinto importanti premi culturali in Italia. Il Premio Massimo Troisi, il premio Cultura della Regione Campania, il premio Radici della Regione Calabria, la palma dell'eccellenza della Regione Lazio.

■ Si è esibita alla Camera dei Deputati-unico caso in Italia- e 3 volte al

Campidoglio a Roma.

■ La Compagnia è l’unico gruppo teatrale italiano che può vantare il riconoscimento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che ha inviato al Presidente dell’AICS, l’Ente di promozione sociale che sostiene l’attività della compagnia, l'onorevole Bruno Molea, una targa per l’impegno svolto in questi anni.

■ Le iniziative di corredo riguardano pubblicazioni, seminari e rapporti con le università (Sassari, Urbino, Napoli, Cassino, Padova, Roma 3, Salerno, Torino, Cagliari e Palermo le strutture accademiche con cui la compagnia si è rapportata).

Premi e collaborazioni

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■ Da sottolineare la partecipazione attiva di un sovrintendente che

recita con la compagnia da oltre 15 anni, di un sovrintendente che si occupa della

gestione tecnica organizzativa, di un ispettore che suona batteria o percussioni con

la band.

■ La Direzione incoraggia e promuove le iniziative.

■ Le migliaia di persone che hanno assistito agli spettacoli, tanto all’interno quanto

all’esterno, hanno apprezzato il lavoro della compagnia.

■ L’attività teatrale ha rappresentato un utile strumento per lo sviluppo

della partecipazione dei detenuti alla vita collettiva

dell’Istituto e ha consentito agli operatori di comprendere molte dinamiche

relazionali.

Valenza istituzionale e sociale

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■ Di fondamentale importanza è l’attività teatrale nel rapporto tra operatori

(trattamento – sicurezza) e i detenuti e tra gli stessi detenuti.

■ Si può, dunque, ragionevolmente ribadire che il teatro è da sempre l’attività che

migliora il livello delle relazioni tra i detenuti. La condivisione dell’obiettivo

spettacolo cementa nuove amicizie e rende meno conflittuali i rapporti.

■ Trattamento, sicurezza, volontariato, interagiscono con il duplice obiettivo di

rendere più sereno il clima carcerario, favorendo una

partecipazione più consapevole dei detenuti.

■ La comunità esterna partecipa con calore alle iniziative teatrali.

■ Il teatro favorisce una visione meno drammatica ed allo stesso

tempo più riflessiva della condizione carceraria.

Valenza istituzionale e sociale

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■ La qualità artistica degli spettacoli è determinata dal grado di partecipazione

consapevole dei detenuti, con la valorizzazione della loro capacità espressiva.

■ Alcuni detenuti hanno acquisito profonde conoscenze

nell’utilizzo dei costumi, delle scene e degli strumenti

musicali e 4 di loro sono impegnati attualmente in altrettanti

teatri della Capitale, come attrezzisti o addetti alle luci o alla

fonica.

Altri risultati per i detenuti

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■ L’attività teatrale è diventata, con gli anni, oggetto di forte condivisione

programmatica e di identificazione nell’immagine dell’Istituto.

■ Gli Enti Locali, la comunità territoriale, il volontariato, conoscono e riconoscono la storia

della compagnia, divenuta oggi il patrimonio della cultura

sociale della Capitale.

■ Il teatro carcerario ha una sua utilità solo ed

esclusivamente se i detenuti sono soggetti e non

oggetto della pratica teatrale.

Pratica teatrale…pratica di comunità

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….

Human AgencyIntegrated Relational

System

Knowledge

CourageHope

Responsability

OptimismResilience

CapabilityReciprocity and

obligation

GenerativityConnections

Creativeness Contamination

Participation

Wellbeing

Adaptability

Inclusion

Co.Re. – Community of

Restorative Relationships

Patrizi, Lepri, Lodi, in progress