Maschere Di Sardegna

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Franco Stefano Ruiu ImAGO 8 Maschere e Carnevale in 8 SARDEGNA

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carnevale e maschere di sardegna

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Franco Stefano Ruiu

ImAGO

8Maschere e Carnevale in

8SARDEGNA

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La memoria visiva

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SARDEGNACollana “La memoria visiva”

Maschere e Carnevale in

SardegnaRicerche e testi: Giulio Concu© Imago_multimedia

Foto:Franco Stefano Ruiu© Archivio Imago_multimedia

p. 3 e p. 6 foto: A. Contu© Archivio Imago_multimedia

p. 88 foto: R. Brotzu© Archivio Imago_multimedia

Grafica:Nino Mele© Imago_multimedia

©2008 Imago Edizionivia A. Manzoni 2408100 Nuoro

ISBN88-89545-09-07

Tutti i diritti riservati.Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta,interamente o in parte, memorizzata o inserita in un sistema di ricerca delle informazioni o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo(elettronico, meccanico, in fotocopia o altro), senza il consenso scritto dell’editore. ImAGO

Franco Stefano Ruiu

8

testi di Giulio Concu8

Mascheree Carnevale in

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sica era chiamato Adone, Attis, Bacco, Brumo, Iacco,

Osiri. In Sardegna il suo culto penetrò con le migrazio-

ni micenee e greche. Prima della religione misterica

era chiamato Giorgi o Zorzi; in seguito assunse le

sembianze di un bambino, chiamato su Pitzinnu, ma

era meglio conosciuto come Maimone, Jaccu, o An-drìa, che la chiesa cattolica trasformò in Giacomo, e

Andrea. Nella toponomastica sarda questi nomi ricor-

rono spesso, soprattutto Maimone presso le fonti e le

sorgenti, e Jaccu in luoghi elevati, sui quali forse erano

celebrati i misteri. Come i riti dionisiaci anche i carne-

vali sardi esibiscono una vittima. La stessa parola “Car-

rasegare” ricorda il tragico sacrificio perché carre ’esegare significa “carne viva (umana) da lacerare”. Co-

sì i carnevali di Mamoiada, Ottana e Orotelli, ma anche

d’altri paesi come Austis, Samugheo, Lula, Fonni, Ula

Tirso, sono caratterizzati da vittime animalesche: l’ani-

male con le corna era la rappresentazione più diffusa

di Dioniso. Ricoperte di pelli, sonagli e campanacci,

con il volto imbrattato di fuliggine o celato da una ma-

schera lignea dalle fogge zoomorfe, le vittime sono te-

nute alla fune da un guardiano e sono spesso chiama-

te Maimone ’e fune. Altri Maimones o Mamutho-nes, nomi che derivano da “Mainoles” (il pazzo, il fu-

rioso) rappresentano i folli posseduti dal dio che, ese-

guendo una danza da invasati, vanno incontro alla

morte, mentre i guardiani impediscono loro di sfuggire

alla tragica sorte. La danza saltellante serviva, come

durante i misteri eleusini, per passare dallo stato uma-

no a quello divino. I riti della passione della vittima era-

no piuttosto cruenti, perché dovevano simulare un sa-

crificio necessario per il bene della comunità. Solo nel

‘700 si tentò di attenuare gli aspetti più violenti: in ve-

ce della vittima si bruciavano fantocci, appendendogli

al collo vesciche o interiora d’animale da pungere per

fare uscire il sangue e rendere fertile la terra. Nel corso

dei secoli si perdette il senso del rito del dio-capro, ri-

petuto sempre uguale a se stesso. Rito che riemerge-

va, nonostante i moniti della chiesa, solo quando la

siccità si prolungava. Altri carnevali, riconducibili ai riti

propiziatori, sono caratterizzati dal sacrificio di una vit-

tima chiamata Gioldzi o Zorzi. È rappresentata da

una maschera-pupazzo, simbolo del dio o del capro

espiatorio: viene bruciata, impiccata o gettata in un

fosso perché le sue ceneri possano fecondare la terra.

È ritenuta colpevole delle pene che la comunità ha

sopportato durante l’anno. Il sacrificio si concludeva

con un’orgia, durante la quale i giovani in età virile

cantavano versi scurrili al grido di “Andira, Andira, An-

dirò”, forse una variazione di “Andrìa”, appellativo di

Dioniso e del membro virile. La celebrazione aveva una

funzione terapeutica per la comunità, che in seguito al

sacrificio scopriva un nuovo senso del vivere. Masche-

ra misteriosa, che conferma i legami della Sardegna

con il mondo Egeo, è sa Filonzana (la filatrice). Pre-

sente in quei paesi dove s’inscenavano i riti con la vitti-

ma del carnevale, era la maschera più temuta perché

rappresenta forse una delle antiche Parche greche,

quella della morte. Le giostre equestri e a pariglia sono

un modo diverso di vivere su Carrasegare: i cavalieri,

con il volto mascherato e indossando un costume, de-

vono mostrare grande abilità e coraggio (“balentìa”) a

cavallo. Ma mentre Sa Sartiglia di Oristano può in

qualche modo avere avuto origine o essere legata ai ri-

ti di propiziazione, altre corse a cavallo come sa Carre-la ’e nanti di Santu Lussurgiu o sa Corsa a sa puddadi Ghilarza, sono celebrazioni di cui si è perso l’antico e

originario significato.

Il carnevale di Sardegna, su Carrasegare, si svolge

nel periodo che in base alla liturgia cristiana prece-

de la Quaresima. Ma le manifestazioni più conser-

vative contengono elementi così atipici rispetto agli

spensierati carnevali moderni, che non vi è dubbio ab-

biano avuto origine in riti e credenze pre-cristiane. An-

ticamente il carnevale era un momento fondamentale

e con chiare funzioni sociali della vita delle società

agro-pastorali. Le celebrazioni iniziavano con la festa

per la fine dell’inverno: intorno ai grandi fuochi si svol-

gevano orge primitive, si danzava e si assaggiava il vi-

no nuovo. La chiesa cattolica tentò di cristianizzare

questi culti pagani perché fossero dimenticati: vietò i

riti cruenti e l’uso della maschera animalesca, soprat-

tutto quella munita di corna, troppo simile a un osses-

so; ribattezzò i luoghi sacri dell’epoca pagana (nura-

ghi, tombe, villaggi) con nomi di santi cristiani, spesso

costruendoci sopra chiese o santuari. Alle celebrazioni

propiziatorie della fertilità fu cambiato il senso, e fu

così che il 17 gennaio divenne data d’inizio del carne-

vale. I grandi falò per la festa di fine inverno furono de-

dicati a Sant’Antonio Abate, novello Prometeo, sceso

agli inferi per portare il fuoco agli uomini. Ma i culti an-

tichi si conservarono a lungo soprattutto nelle aree più

isolate, anche quando ormai si era perso il senso origi-

nale, perpetuati come riti per la pioggia in periodi di

siccità. Alcuni elementi che ricorrono nei carnevali tra-

dizionali sardi si possono così riassumere: i festeggia-

menti si svolgono tra il giovedì e il martedì grasso, e

sono accompagnati da abbondanti libagioni con fave

e lardo, dolci tipici e vino; una questua di porta in por-

ta serve a raccogliere doni per la festa; personaggi con

il viso imbrattato di fuliggine o coperto da una ma-

schera lignea; una vittima legata alla fune e controllata

da alcuni guardiani; un bambolotto (su Pitzinnu) pri-

vo delle membra, la cui morte è accompagnata da un

canto funebre; un pupazzo dalle fogge umane viene

processato, condannato al rogo e pianto; l’euforia fi-

nale esplode in attesa della resurrezione del carnevale.

Studi recenti (vedi Dolores Turchi), che ipotizzano la

presenza in Sardegna del culto di Dioniso, aiutano a

trovare un senso per alcune delle misteriose rappre-

sentazioni. Il culto di questo dio bambino, celebrato in

quasi tutte le società agrarie del Mediterraneo, risale

almeno al XV secolo a.C. Era il dio della vegetazione e

della fertilità, che moriva e rinasceva ogni anno come

la natura. Durante le celebrazioni in suo onore, a Eleu-

si, nell’antica Grecia, una vittima era sbranata viva per

ricordare il suo sacrificio, in un rito antropofagico che

prometteva la resurrezione, ma nulla doveva avere

d’allegro o spensierato. Crudele e sanguinario all’ini-

zio, Dioniso si trasformò in dio dell’ebbrezza e dell’e-

stasi. I suoi adoratori ottenevano la certezza della vita

dopo la morte e bramavano uscire dalla propria perso-

na per essere da lui posseduti: lo facevano attraverso

la danza, la musica, il vino. Dioniso era conosciuto per-

ciò come “il Delirante”, “il Rumoreggiante”, “il Furen-

te”, con chiara allusione alle orge sacre; in epoca clas-

Maschere e Carnevale in Sardegna di Giulio Concu

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Visi cupi di carbone e maschere

ferine, campanacci con batacchi

d’osso per le danze degli invasati

di Dioniso. E tamburi, cavalli,

fantocci di pezza, semidei che

muoiono all’alba, rinascono al

tramonto. “Carrasegare” è più

di un carnevale: è rito ancestrale

per la celebrazione del dio della

natura, un’orgia visionaria, un

sogno a colori per un mondo

folle d’abbondanza.

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01. Mamoiada Mamuthones e Issohadores

Caracollano lenti al ritmo di una danza ubriacante, incedono frala gente che li adora tanto da volere essere uno di loro. Un pazzo,un folle che non sa dove andare, non sa da dove viene. Mascherecupe e strepiti di campanacci per un rito inebriante di misteriosità.

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Intro Il Carnevale di Mamoiada è uno dei più affa-scinanti della Sardegna, grazie alle sue inquietantimaschere e all’ancora più misteriosa danza che esseinscenano.

I personaggi Sos Mamuthones: portano sabisera, maschera nera di legno d’ontano o pero sel-vatico, di fogge antropomorfe. L’espressione è soffe-rente o impassibile: labbra, naso, zigomi sono pro-nunciati per nascondere e trasfigurare le sembianzeumane. In testa portano su bonette, copricapo ma-schile, e su muncadore, fazzoletto femminile, mar-rone o granata. Indossano sas peddhes, mastruca dipelli di pecora, sopra un abito di fustagno o velluto(su belludu); calzano sos husinzos, scarponi del pa-store. Sulle spalle portano sa carriga, 30 chili di cam-panacci (su ferru) tenuti insieme da un intreccio dicinghie di cuoio. Appesi al collo un grappolo di cam-panelle più piccole (sas hampaneddhas), legate in-sieme da cinghie di cuoio. Sos Issohadores: indossa-no sa hamisa, una camicia di lino, una giubba dipanno rosso (su guritu) e portano a tracolla una cin-tura di cuoio ornato con broccato e alcuni sonaglid’ottone o bronzo (sos sonajolos). I calzoni bianchi

(su cartzone) sono di tela o lino e vengono infilatidentro le ghette d’orbace (sas cartzas). Completanol’abbigliamento uno scialle femminile triangolare(s’issalletto), annodato sui fianchi; sa berritta, anti-co copricapo del vestiario sardo maschile, sostenutada un fazzoletto colorato annodato sotto il mento; saune de resta o soha, fune di giunco che dà il nomeal personaggio. Alcuni Issohadores portano una ma-schera bianca e antropomorfa di legno, dall’espres-sione severa, a volte dal sorriso enigmatico.

La vestizione Vestire da Mamuthone è unavocazione, non un gioco. Si è parte di una rappresen-tazione che ha un significato condiviso da tutta la co-munità. E chi veste da Mamuthone non può vestireda Issohadore. Durante la vestizione dei Mamutho-nes si respira un’aria frenetica, tesa ma gioiosa. L’o-perazione è compiuta da due persone: una sistemasa carriga sulle spalle, l’altra sas hampaneddhas.L’agitazione cessa quando i Mamuthones fanno ri-suonare i campanacci con vigore, per vedere se le cin-ghie sono ben strette e per scaricare la tensione. È ilmomento di indossare sa bisera, su bonette e sumuncadore. Per la vestizione de s’Issohadore non

serve l’aiuto di altre persone: s’inumidisce sa soha (lafune) e la si fa roteare più volte perché prenda la for-ma giusta per il lancio. Infine s’indossa la bandolieradi sonagli a tracolla e s’issalletto, legandolo al fiancosinistro.

La rappresentazione Terminata la vesti-zione, i Mamuthones si dispongono su due file dasei: sono dodici come i mesi dell’anno. Di solito gli Is-sohadores sono invece otto. Quando questi ultimidanno il via i Mamuthones, in un silenzio carico ditensione, mettono in scena una danza sacra e malin-conica. Si muovono su due file parallele, guidati dagliIssohadores: il loro è un passo (su passu) complessoe difficile che devono imparare fin da bambini, carat-terizzato da uno scatto in avanti del ginocchio. Ad in-tervalli regolari fanno risuonare sa carriga, produ-cendo nel silenzio un unico intenso e malinconicostrepito. Al segnale de s’Issohadore fanno tre salti inserie (sa doppia). Gli Issohadores si muovono conbalzi più agili, sincronizzati con quelli dei Mamutho-nes; all’improvviso lanciano sa soha per catturareuna persona fra gli spettatori. Il pegno per la libera-zione sarà un bacio o un bicchiere di vino.

Il significato Il carnevale mamoiadino conservail suo fascino grazie al mistero che ancora l’avvolge. Haorigine nell’ambiente agro-pastorale pre-cristiano,forse come rito apotropaico per scacciare gli spiriti ma-ligni da persone e armenti. L’etnologo Raffaello Mar-chi riteneva che i personaggi inscenassero la lotta deisardi contro i mori. Nel rito i mori assoggettatori diven-tano assoggettati (Mamuthones), mentre i sardi in-dossano i panni dei vincitori (Issohadores). Un’altrateoria affascinante parla di un rito propiziatorio dedi-cato a Dioniso, dio bambino che deve morire e risusci-tare con la natura. La parola Mamuthone in genereindica un pazzo, un buono a nulla; viene da “Maimat-to”, il furioso, il violento e da “Mainoles”, il pazzo, ilfurioso, alcuni dei tanti nomi di Dioniso. I Mamutho-nes sarebbero le vittime nelle quali il dio della naturas’incarna. Eseguono la danza sacra nel tentativo dipassare dallo stato umano allo stato di folle divinizza-to, avviandosi, come il loro dio, al sacrificio. Il rito eraeseguito anche per implorare da Dioniso la pioggia.Molte sorgenti in Sardegna hanno infatti il nome di“Maimone”. Il rito di Mamuthones e Issohadoresconserva il ricordo della cerimonia che il cristianesimoscreditò a mascherata.

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02. Ottana Boes e Merdules

Una fune li lega inesorabile, uomo e bestia uniti dal giogodella vita. Che nasce e si spezza e poi rinasce in un rito dicampanacci e volti finti, frenetico come il caos primordiale.

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volta da fili di lana grezza; minaccia continuamente direciderli, invocando la fine su chi non le offre un bic-chiere di vino. Quando la maschera de su Boe cade aterra lei gli si siede accanto e continua imperterrita a fi-lare. La pantomima procede al ritmo de s’afuente, unpiatto di bronzo che è fatto risuonare con una grossachiave, e di uno strumento detto su zirodde, una sortadi tamburo di sughero ricoperto di membrana di pelleda un lato. È un tamburo che non viene percosso: il suosuono è un lungo lugubre lamento prodotto tirando lospago legato alla membrana.

Il significato L’origine di questa cerimonia risaleai riti apotropaici delle antiche civiltà del Mediterraneo.La teoria oggi più accreditata per la spiegazione delcarnevale di Ottana è, infatti, quella di un rito in onoredel dio Dioniso, che ogni anno rinasce a primavera, ri-svegliando la terra e la vegetazione, e la cui propizia-zione era indispensabile per ottenere piogge e raccoltiabbondanti. Ma le caratteristiche del carnevale ottane-se conducono anche al cosiddetto “culto del bove”,praticato sin dall’età neolitica in tutte le società agro-pastorali del Mediterraneo antico, dove il toro era sim-

bolo di forza, vitalità, fertilità. Il rito avrebbe una fun-zione apotropaica, praticato per proteggersi dagli spi-riti maligni e propiziare la fertilità degli armenti. Mal’uomo, su Merdule, aggiogando e adorando su Boe,corre il rischio “de si bovare”, divenire cioè simile all’a-nimale, perdendo i suoi connotati umani. Il carnevaleottanese, mettendo in scena ironicamente l’avvenutatrasfigurazione, è teso ad esorcizzare il rischio chequanto avviene a carnevale diventi realtà quotidianaper il pastore che lavora notte e giorno con le bestie.Più complesso il significato de sa Filonzana. Era unamaschera molto temuta e per il suo significato oggettodi superstizione. Probabilmente è un personaggio im-portato da altre culture più “dotte” di quelle agro-pa-storali sarde; perché la sua figura e la sua azione sceni-ca ricordano molto da vicino le Parche della mitologiagreca. Anch’esse portavano in mano il fuso, pronte arecidere il filo della vita. Quando sa Filonzana è dotatadi gobba impersona un’altra delle Parche. Alcune testi-monianze ricordano che anticamente veniva rappre-sentata anche sa Partorja (la partoriente), la quale mi-mava l’evento della natività, come l’ultima delle treParche greche, dando alla luce un pupazzo di stracci.

Intro Il coinvolgente carnevale di Ottana conservariti e maschere molto simili a quelli originali. È rappre-sentato da tre personaggi: Su Merdule, Su Boe e Sa Fi-lonzana.

I personaggi Su Merdule: tutte le maschere diOttana vengono in genere chiamate “Merdules”. Masu Merdule vero e proprio indossa bianche pelli di pe-cora (sas peddes), porta sul capo un fazzoletto fem-minile nero (su muccadore), e sul viso ha una masche-ra nera antropomorfa (sa carazza) in legno di pero sel-vatico, dall’espressione impassibile; sovente la ma-schera è resa deforme da bocche storte, denti in evi-denza o nasi lunghi e adunchi. Ha in mano un bastone(su mazzuccu) e una frusta di cuoio (sa soca). Nonporta campanacci. Ha gambali in cuoio (sos gamba-les) e calza sos cusinzos o bottinos, le scarpe da cam-pagna del pastore. Si suppone che il suo nome sia diorigine nuragica: da “mere” (padrone) e “ule” (bue):padrone del bue. Su Boe: indossa pelli bianche di pe-cora e una maschera di pero selvatico (carazza ’e boe)dalle fogge bovine, da qui il suo nome, con intagli rea-lizzati con lo scalpello. Sul capo ha su muccadore fem-

minile nero e sulle spalle un grappolo di campanacci dibronzo (sas sonazzas o su erru). Sa Filonzana: in-dossa una triste maschera antropomorfa in legno e unampio scialle nero. A volte porta una grossa gobba. Hain mano il fuso con cui fila la lana.

La rappresentazione Sos Merdules esos Boes procedono in un disordinato e tumultuosocorteo. Su Merdule, nervoso e tirannico, agita perico-losamente su mazzuccu, che gli serve anche da soste-gno nel suo incedere. La sua andatura è zoppicante,curvo sotto il peso della vita. Tiene legato (insogau) suBoe a una fune e cerca di limitarne la furia e l’indiscipli-na con su mazzuccu o sa soca. Su Boe si ribella e siscaglia sul padrone, tentando goffamente di limitare leaggressioni e la frusta: sbuffa, scalcia, muggisce e allafine si getta in terra sfinito. Ma ha bisogno dell’aiutodella gente per compiere il suo rito: così dopo averestordito gli astanti con il suo passo ritmato dai campa-nacci, li travolge improvvisamente. Si aggrappa e tira,si trascina tentando di fuggire, e si calma solo quandouna persona pietosa gli offre da bere. Intanto sa Filon-zana incede lenta, tenendo in mano una conocchia av-

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03. Orotelli Sos Thurpos

Nera la scena, di carbone, dai cupi pastrani d’orbace. Seminato-ri col volto celato: uomini non più uomini che muggiscono ag-giogati, soggiogati da una guida cieca e nervosa. Chi offrirà ilvino per placare la sete dei buoi e del mandriano?

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Intro Il Carnevale tradizionale di Orotelli è caratte-rizzato da due tipi di maschere: sas mascaras decaddu (maschere a cavallo) e sas mascaras de pè(maschere a piedi): tra queste ultime, sos Thurpossono i protagonisti.

I personaggi Sos Thurpos: il termine significa“i ciechi”, “gli storpi”. Portano l’abito di velluto, igambali di cuoio (sos gambales) e un lungo pastrano(su gabbanu) di nero orbace, un tempo usato dal pa-store nel periodo invernale. A tracolla hanno una ban-doliera di campanacci. Il viso è nascosto da uno stratodi sughero bruciato e da un cappuccio che scende fi-no al naso. Fra gli abitanti di Orotelli è ancora viva lamemoria di altre maschere: Erithajos, Tintinnajos,Burrajos. S’Erithaju (il riccio) indossava un saio bian-co con cappuccio e portava una collana di tappi di su-ghero con aculei di riccio.

La rappresentazione Il rito è incentratosu un corteo, caotico e coinvolgente. Sos Thurposdeambulano a gruppi di tre e inscenano diverse azio-ni. In un gruppo c’è su Thurpu pastore che infliggecolpi alla cieca con il pungolo per governare i testardiThurpos boes, legati alla fune. In un altro gruppo suThurpu massàiu (contadino) ne tiene aggiogati altridue che trainano un aratro lungo la via. Seguono al-cuni Thurpos seminatori che spargono crusca lungo ilcammino. Ci sono poi sos Thurpos maniscalchi cheferrano su Thurpu boe. Muggendo e sbandando im-provvisamente, a causa della loro cecità, sos Thurposinvestono il pubblico, che entra così a far parte delgioco. Tentano di catturare una persona con sas so-gas (le funi). L’azione termina con sa tenta (la cattu-ra): il prigioniero dovrà offrire da bere se vuole essereliberato. Il martedì di Carnevale i ruoli s’invertono: sa-ranno sos Thurpos a offrire il vino agli spettatori. Il ri-

to si conclude nella piazza del paese, dove tutti pren-dono parte a su ballu de sos Thurpos. Nel frattem-po S’Erithaju, strano e misterioso personaggio, inse-gue le donne, le cattura e le abbraccia per pungerle ilseno e far uscire il latte, probabilmente per adempie-re ad un rito di fertilità.

Il significato Secondo alcuni studiosi sarebbela rappresentazione di un rito propiziatorio, metaforadel lavoro contadino incentrata sul rapporto uomo-animale. Non ci sarebbe però nessuna forma d’identi-ficazione misterica dell’uomo con l’animale, come av-viene per “s’imbovamentu” di Boes e Mamuthones. Ilrito de sos Thurpos sarebbe più semplicemente lapantomima della lotta contro i proprietari dei pascoli,rappresentata attraverso il capovolgimento dei ruolitra contadino e bue. Questa teoria sarebbe avvaloratadalla storia di Orotelli. Ai pastori del paese, che aveva-no il privilegio di non dover sottostare ai proprietariterrieri, era concessa una certa libertà di contestare, inmodo ironico, lo sfruttamento da parte dei padroni.Così, a partire dalla penultima domenica di gennaio, ipastori attraversavano il paese indossando un pastra-no nero con un cappuccio, mimando a gruppi di tre ilrito dell’aratura. Ci si prendeva insomma gioco dei pa-droni, costringendoli poi ad offrire da bere. Più di unostudioso inquadra però il rito de sos Thurpos all’in-terno delle celebrazioni per la fertilità e la propiziazio-ne del raccolto, con alcune varianti e peculiarità: l’abi-to de su Thurpu sarebbe quello del vedovo, figuraemblematica di persona resa cieca dal dolore per l’im-possibilità di riprodursi e fecondare la terra, costrettoad espiare la sua sterilità. Il rito d’invocazione dellapioggia e del risveglio della natura non prevede il sa-crificio della vittima, anche se un tempo il baccanaledi Orotelli terminava coi funerali di Jorzi, il fantocciodi Carnevale.

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04. Gavoi Sos Tumbarinos

La festa che attendi da sempre. Balli al suono de su pipiolu,un’incessante melodia fino al cuore della notte. L’allegriadel triangolo, oltre il cupo rullio del tamburo, è il battito an-cestrale del cuore della Barbagia.

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Intro Allegria, buon vino, dolci tipici a disposizionedi tutti fanno il carnevale a Gavoi. Non esiste una vera epropria maschera, ma c’è la vittima del carnevale. Pro-tagonisti gli strumenti musicali d’origine arcaica, suo-nati al ritmo del ballo sardo.

I personaggi Zizzarrone: è un fantoccio untempo chiamato “Tiu Zarrone”. Rappresenta la vitti-ma, “su mortu de Harrasehare”. Le persone che suona-no gli strumenti musicali, sos Sonadores, indossanoabiti di velluto, sos gambales (gambali) e su bonette(coppola). Il loro volto è ricoperto di nera fuliggine. SuTriangulu, ottenuto dalla lavorazione di un pezzo diferro alla forgia, ha le punte ripiegate verso l’esterno. Ilsuo suono acuto si erge oltre quello cupo de su Tum-barinu (tamburo). Per i tamburi viene in genere utiliz-zata la pelle di capra o di cane e sono realizzati intera-mente a mano con metodi antichi. I suonatori di tam-buro, detti sos Tumbarinos, percuotono lo strumentocon sos mazzuccos (le bacchette): devono allenarsimolto per fare risuonare gli strumenti all’unisono. SuPipiolu è un flauto arcaico in canna, che tesse la melo-dia dei giorni di festa. Ha quattro fori rotondi che fun-zionano da tasti; all’interno è inserito un pezzo di su-ghero sagomato. Altro strumento arcaico è su Tum-borro: alla sommità di una canna palustre di circa unmetro e mezzo è fissata una vescica di maiale che fun-ziona da cassa di risonanza. Alla vescica è poggiata unacorda sottile di crine di cavallo o d’ottone, della stessalunghezza della canna. È suonato sfregando la cordacon un pezzo di legno seghettato.

La rappresentazione I festeggiamenti ini-ziano il Giovedì grasso (Zobia Lardazzola) quando sisvolge sa sortilla de sos tumbarinos (la sfilata deitamburini). Da tutti i rioni sos Sonadores si radunano

nella piazza della parrocchiale, percuotendo i tamburial ritmo del ballo sardo. Si fa silenzio e poi, all’improvvi-so, comincia il frastuono: centinaia di tamburi suonanoall’unisono, destando il paese; si alternano al suono desu Triangulu e de su Pipiolu. Dalla chiesa prende il viala processione che percorrerà le vie del centro storico.La festa prosegue fino a notte fonda insaporita dagrandi bevute del vino rosso nuovo, da zippulas, pili-chittos (dolci tipici di semola fritti nell’olio d’oliva onello strutto di maiale), arrosto di maiale e agnello, fa-ve e lardo, formaggio e patate di Gavoi. Simili le cele-brazioni durante la domenica e il martedì grasso. Gior-no che si conclude con il rogo di Zizzarrone, traspor-tato per il paese in groppa ad un asino o sulle spalle diuna persona. Forse il rito originale prevedeva che il cor-teo de sos Sonadores lo accompagnasse al sacrificio.Durante il tragitto si bussava alle porte delle case chie-dendo su humbidu (l’invito). Gli abitanti, alla vista diZizzarrone dicevano: “Suni harribande sos de su har-rasehàre, itte l’amus a dare” (Stanno arrivando quellidel carnevale, cosa gli daremo). Il corteo rispondeva:“Lardu sartizza e pane, binu po imbriagare” (Lardo sal-siccia, pane e vino per ubriacarsi). Zizzarrone finiva lasua esistenza sul rogo su Merhulis de lessia (il Merco-ledì delle Ceneri).

Il significato La celebrazione del carnevale diGavoi si differenzia dai carnevali tragici della Barbagiaper l’allegria e il clima da baccanale chiassoso. Sos So-nadores, con i visi neri di fuliggine, sono forse la remi-niscenza di maschere cupe per un rito crudele: accom-pagnavano con la musica la liturgia del sacrificio dellavittima del carnevale. Probabilmente la cerimoniaodierna rappresenta ciò che resta di un antico rito pro-piziatorio dedicato alla natura e al suo dio, perché si ri-destasse dopo il lungo inverno.

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05. Lula Su Battileddu

Corna di caprone e sonagli di Dioniso, visi contriti per un ritoselvaggio di sangue, versato caldo. Terra fecondata dal sacrifi-cio di una vittima sbeffeggiata, uccisa e poi adorata. La mortee la rinascita come rito universale di rinnovamento.

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Intro Il carnevale tradizionale di Lula era un rito ar-caico, selvaggio e cruento che contemplava il sacrificiodi una vittima in carne e ossa.

I personaggi Su Battileddu: la vittima del car-nevale indossa nere pelli di pecora o montone; ha il vol-to nero di fuliggine, con macchie rosse a simulare ilsangue. Sul petto un grappolo di campanacci, sosmarrazzos. Sulla testa porta un fazzoletto nero dadonna e corna caprine, oltre a sa ’entre or tata, unaparte dello stomaco di caprone. Nel petto cela suchentu puzone, una parte di stomaco di ruminantepieno di san gue. Altri Battileddos accompagnano lavittima e sono vestiti di stracci. Sos Battileddos isso-catores hanno il ruolo di guardiani del bestiame; altriBattileddos sono buoi aggiogati. Sos Battileddosvestiti da vedove piangono la vittima del carnevale consos attittos (lamentazioni funebri).

La rappresentazione Sos Battileddoserano impersonati sempre dalle stesse persone di ses-so maschile. La vittima era un indivi duo conside ratopazzo; così su Battileddu si comporta da folle, prof-ferendo frasi scurrili e senza senso. Sos Battiled dos

issocatores lo tengono legato per impedirgli di sot-trarsi al suo destino. Gli astanti pungono su chentupuzone per far scaturire il san gue e poi s’imbratta noil volto. Quando su Battileddu cade per terra qual-cuno esclama: “L’ana mortu, Deus meu, l’an’irgorga-tu!” (l’hanno ucciso, Dio mio, lo hanno sgozzato!).Ma basta un bicchiere di vino per rianimarlo. Le vedo-ve inscenano il funerale con gesti e lamentazioniscurrili. A volte hanno in mano un bambolotto smem -brato e chiedono agli astanti di baciarlo. Ogni tantole maschere si siedono in cerchio e giocano a “pizzicae non rie” (pizzica e non ridere). Si anneriscono l’unal’altra il volto di fuliggine, in un silenzio serio e com-posto. Chi ride dovrà offrire da bere.

Il significato Il carnevale di Lula risale ai ritiagrari pre-cristiani e rappresentava probabilmente lapassione e la morte di Dioniso. Il nome della mascheraderiva da “battile” che in sardo significa “cosa inutile”,“straccio”; rivolto a una persona signi fica “buono anulla”. Secondo la studiosa Dolores Turchi il ter mineprimario era però “bathileios”, che significa “ricco dimessi”. Così la maschera indicava probabilmente coluiche avrebbe reso fertili i campi.

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06. Orani Su Bundu

Voci e ululati nati dal vento, una maschera di sughero perun rito infernale. Non amerai la natura senza averla doma-ta: con sos Bundos dalla nostra parte placheremo le forzeprimordiali del bene e del male.

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Intro Il carnevale tradizionale di Orani, è incentra-to su una maschera unica e misteriosa, chiamata suBundu, riportata in auge all’inizio degli anni ’80 delsecolo scorso dopo alcuni anni di accurata ricer-ca. Incoraggiati dalla Proloco, numerosi artigiani, ap-passionati delle arti e delle tradizioni, i ricordi degli an-ziani e della gente del paese, hanno contribuito allasua riscoperta.

I personaggi Su Bundu: è il personaggio prin-cipale del carnevale tradizionale. Indossa l’antico abbi-gliamento tipico del contadino: un lungo e pesantegabbano invernale o un ampio sacco de vresi (d’orba-ce), sotto il quale indossa la camicia e, spesso, un gilet(su groppette); indossa inoltre pantaloni di velluto egambali di cuoio. È il solo personaggio del carnevale,fra quelli sinora riscoperti in Sardegna, che nasconda ilviso sotto una maschera interamente di sughero, condelle lunghe corna, un naso grosso e aguzzo, il pizzo e ibaffi posticci. La maschera, dall’espressione indifferen-te, può essere colorata di rosso porpora, ma il pizzo, ibaffi e le corna devono essere bianchi o del colore delsughero. La ricostruzione si è basata sul più anticoesemplare conosciuto, interamente in sughero e dipin-ta con del gesso, conservato al Museo Etnografico diNuoro. Completa il travestimento un lungo forcone inlegno d’olivastro (su trivutzu). I partecipanti al carne-vale un tempo si dipingevano il volto con il sugherobruciato; a volte vanno in groppa a un asino o a cavallo,seguendo il corteo de sos Bundos.

La rappresentazione La messa in scenaprevede un corteo di numerosi Bundos che impugna-no i forconi e tengono in mano sos mojus (contenitoridi sughero). Mettono in scena il rito della semina; lapantomima è incentrata soprattutto sul gran vociare, e

gesti che sembrano provenire da esseri infernali, con loscopo esplicito di intimorire gli astanti.

Il significato La celebrazione del carnevale desos Bundos ha probabilmente origini successive aquelle dei riti delle altre maschere tradizionali della Bar-bagia; rimanda in ogni caso ad antiche credenze e su-perstizioni dell’ambiente contadino della Barbagia. Ilpersonaggio incarna un essere che è simbiosi tra unacreatura umana e un animale, in particolare un bovino(unu voe). Ma l’abbigliamento, i movimenti improvvisie il gran vociare sembrano indicare degli esseri in pena oinfernali. Le maschere paiono inscenare un combatti-mento di portata universale tra il bene e il male o lotta-no contro un nemico invisibile agli occhi umani. Secon-do le testimonianze degli anziani, le terribili voci de sosBundos potevano essere intese in modo particolare inquelle notti in cui si scatenavano violenti temporali e te-mibili bufere di vento. In queste occasioni si diceva: “Pa-rete chi vi sunu tottus sos Bundos a giru” (sembra che cisiano tutti i Bundos in giro). La credenza popolare vuoleche questa creatura mitica uscisse allo scoperto con loscopo di incutere maggiore timore agli umani (in questocaso rappresentava il male). All’opposto si credeva chesi mostrasse sulla terra per invocare benevolenza dallepossenti forze della natura, e propiziare raccolti abbon-danti (in questo caso rappresentava il bene). In quellestesse notti di tempesta pare che un coraggioso conta-dino si travestisse da Bundu, unendosi alla compagniadegli spiriti inquieti e spaventosi, invitandoli a compor-tarsi con rispetto della gente e dei raccolti. Quando l’o-pera di convincimento aveva successo tutti sos Bundossi univano a lui nella semina e nel propiziare un buonraccolto. Per questo il contadino portava con sé dellespighe di grano, e il contenitore in sughero (su moju)con del grano pronto per la semina.

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07. Fonni S’Urthu

Senza meta, esseri neri, orrendi, fuggiti da un limbo d’infer-no, deambulano per un giorno sulla terra. Orchi orridi assol-dati per riti di fertilità: spaventano gli spiriti deformi del maleperché si rinnovi il prodigio misterioso della natura.

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Intro Il carnevale di Fonni è ricco di personaggi ca-ratteristici. È stato riesumato recentemente per la vo-lontà della popolazione, ma tanti sono i dubbi che re-stano sul significato reale della sua pantomima.

I personaggi S’Urthu: è impersonato di solitoda un individuo dalla stazza imponente ma che si muo-ve con agilità. Indossa pelli di montone in genere di co-lore bianco e ha il volto imbrattato di fuliggine. Al colloporta un grosso campanaccio ed è legato a una pesan-te catena di ferro. È il personaggio chiave del rito sim-bolico. I guardiani di s’Urthu sono vestiti come “sosThurpos” di Orotelli: indossano un lungo pastrano ne-ro d’orbace con il cappuccio che scende fino al naso,hanno il volto dipinto di fuliggine; portano a tracollauna bandoliera con campanacci; calzano gli scarponi ei gambali del pastore. Su Ceomo: detto anche Narci-su, è un pupazzo dalle sembianze umane, realizzatocon stracci e paglia. Simboleggia il carnevale che devemorire e per questo è condannato all’impiccagione earso sul rogo. Sos Buttùdos: sono uomini travestiticon l’abbigliamento della vedova: portano stracci oabiti completamente neri, uno scialle e un fazzoletto intesta, e hanno il viso imbrattato di fuliggine.

La rappresentazione Il rito è caratterizza-to da un corteo per le vie del paese. Sos Buttùdos pro-cedono a gruppi: in genere la vedova è accompagnatada cinque o sei “figlie” che portano in braccio o in spal-la il loro “padre” morto, su Ceomo. Di tanto in tantolo depositano in terra rivolgendogli un lamento fune-bre grottesco (su teu o attittidu), rimproverandone lamorte, inopportuna per la famiglia. Ma poi, fra glischiamazzi del popolo, il canto si trasforma in coro li-cenzioso, persino osceno. Sos Buttùdos erano solitiinseguire le ragazze cercando di abbracciarle e bersa-

gliandole con versi satirici e allusivi. Nel frattempos’Urthu, tenuto a bada da uno o più guardiani tramitela pesante catena di ferro, si scaraventa sui partecipan-ti al carnevale. È un personaggio violento, istintivo, im-prevedibile come un animale: le ragazze in modo parti-colare sono costrette a subire il suo abbraccio ed esseresporcate di fuliggine. La vittima entra così a far partedel gioco carnevalesco, pur senza mai sentirsi aggredi-ta. Altra caratteristica de s’Urthu è l’agilità con cui ten-ta di divincolarsi dal suo padrone aggrappandosi a pali,alberi, davanzali, talvolta curiosando all’interno dellecase. Sos Buttùdos accompagnano il fantoccio de suCeomo verso la tragica fine, lo processano e lo con-dannano a morte.

Il significato Sul carnevale di Fonni le testimo-nianze più antiche risalgono alla fine dell’800. Descri-vono la processione, il processo, il rogo subito dal per-sonaggio di su Ceomo e la pantomima inscenata dasos Buttùdos. Su Ceomo è dunque il fantoccio delcarnevale, responsabile di tutte le malefatte compiutedai membri della comunità nell’anno precedente. Nonsi conoscono però i legami, se ve ne sono, con il perso-naggio de s’Urthu. Costui è di certo una figura simbo-lica che secondo alcuni studiosi potrebbe rappresenta-re un orso, anche se questo animale è estraneo allafauna sarda. Altre ipotesi affermano si tratti di un orco,o meglio dell’”Orcus” della tradizione latina, dio delletenebre. A sostegno ci sono le evidenze toponomasti-che e archeologiche: sono tante le tombe preistorichein Sardegna chiamate “sa domo de s’orcu” (la casadell’Orco) o “sa prejone de s’orcu” (la prigione dell’Or-co), con riferimento al dio dei morti. Il carnevale di Fon-ni resta però avvolto nel mistero: studi più approfonditipotrebbero rivelarne la simbologia e i legami con la tra-dizione delle altre maschere barbaricine.

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08. Ovodda Don Conte

Ridicolo fantoccio di stracci noi ti accompagneremo allamorte, e te ne saremo grati. Noi ti bruceremo perché con iltuo fuoco purifichi il nostro mondo di leggi e divieti. E poitutto sarà nuovo e chiaro.

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Intro Il carnevale di Ovodda si distingue da tanti altricarnevali barbaricini perché si svolge in giorno proibito,il Mercoledì delle ceneri, in un clima di allegra saraban-da e follia intorno alla vittima Don Conte.

I personaggi Don Conte Forru: è il personag-gio centrale del carnevale. Si tratta di un grande fantoc-cio, brutto e osceno, fatto con uno scheletro di ferro eimbottito di stracci. In genere ha sembianze maschili,con gli attributi sessuali piuttosto accentuati. Può ancheassumere caratteristiche ermafrodite, ma mai un aspet-to solo femminile. Sos Intintos: sono le persone chepartecipano alla festa con il volto annerito dalla fuliggi-ne, e accompagnano Don Conte.

La rappresentazione La festa, che si tienesu Me’uris de lessia (Mercoledì delle Ceneri), dura so-lo mezza giornata e non è organizzata: tutti sono atto-ri e spettatori. Le vie del paese si animano con un festo-so corteo; chi vuole prendervi parte deve imbrattarsi ilviso con la fuliggine e diventare uno dei sos Intintos.Le maschere, in groppa ad asini o tenendo al guinza-glio animali di ogni specie, gironzolano creando confu-sione con urla, campanacci, strumenti musicali rudi-

mentali. Ballano e cantano dileggiando Don Conte,accompagnandolo verso la sua tragica fine. Il fantoc-cio, su un carretto trainato da un asino, vaga per il pae-se senza un percorso prestabilito. La festa giunge alculmine quando, al calar del sole, Don Conte è brucia-to. A volte subisce un processo, ma è inevitabilmentecondannato come il capro espiatorio dei mali della co-munità. Il fantoccio in fiamme è condotto al ponte piùalto del paese e gettato giù, fra urla di disperazione ecanti osceni.

Il significato È una festa di difficile lettura per-ché ha perso il senso del rito ancestrale; che forse avevalo scopo di propiziare la fertilità della natura e prevede-va il sacrificio di una vittima. Fino agli anni ’70 del seco-lo scorso le donne erano escluse dai bagordi. E l’auste-ra maschera tradizionale, con il viso nero dalla fuliggi-ne del sughero, è oggi spesso sostituita da travesti-menti stravaganti. Ma svolgendosi in giorno proibitodalla chiesa, è tuttora un carnevale dissacratorio neiconfronti del potere politico e religioso. La fine di DonConte, che rappresenta il potere costituito è, ancoraoggi, un rito catartico che trasforma e rinnova la comu-nità locale.

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09. Lodine Su Harrasehare Lodinesu

Canta della farsa: che tutto è fatuo e tutto è nero nel tramontodell’esistenza. Beffeggia l’impresa effimera dell’uomo, esorcizzail tempo, non più preda del mondo che consuma. E piangere ne-gato sarà, nella corte del pozzo dei desideri bianchi.

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Intro Su Harrasehare Lodinesu ha da sempre ilsuo culmine in su Merhulis de lessia (Mercoledì delleCeneri), nonostante il secolare veto della chiesa cattolica.

I personaggi. Il protagonista è su Ziomo, fan-toccio di paglia rivestito di stracci; un tempo non avevafattezze ben precise, ma oggi gli si mette una masche-ra di legno di pero (o fico) che abbia i lineamenti di unapersona della comunità o di un personaggio da tutticonosciuto, distintosi durante l’anno per qualche spro-posito o fatto eclatante. Un tempo il pupazzo venivaportato in braccio, mentre oggi è sistemato su un car-retto; viene spinto da sas Umpanzìas, corteo di uomi-ni che indossano fardetta (gonna lunga), issallu(scialle), muccadòre (fazzoletto) – gli abiti tipici de sabiuda (la vedova) – hanno il viso dipinto di nero e por-tano appese al collo le maschere indossate dai fantoccinegli anni precedenti. Pilichittos, tzippulas e binunieddu scaldano le serate della festa.

La rappresentazione Durante la proces-sione, sas Umpanzìas deridono e beffeggiano su Zio-mo improvvisando canti allegri e sarcastici. Una dellevedove recita da solista e il gruppo ripete in coro. Il cor-

teo attraversa le vie portando il fantoccio di casa in ca-sa, dove vengono loro offerti vino, pane, dolci e salumi:serviranno per il banchetto che si svolge a fine serata insa corte ’e su putzu, e che caratterizza il momentodel processo. La sentenza viene emessa sempre sottoforma di rime cantate: su Ziomo è condannato al rogoe le vedove inscenano il pianto intonando sos muttosde mortu, tragiche lamentazioni, comunque ironichee sferzanti. La vittima verrà arsa il giorno della pento-laccia: la tradizione vuole che dalle fiamme si salvi lamaschera di legno, che sarà esibita durante i carnevalisuccessivi.

Il significatoAnticamente non c’era un giornopreciso per iniziare la festa, e per mascherarsi bastavaun cappuccio in panno. Si andava in giro per le vie ingruppo, schiamazzando, ballando e cantando al ritmodi pipiòlu (piffero di canna), triangulu e tumbarìnu,e bussando alle case per la consueta questa. La fine desu Ziomo rappresenta ciò che resta di un arcaico rito dipurificazione, fondamentale per la comunità, capacedi rinnovare i legami umani e ristabilire la pace. Solo intempi recenti la cerimonia ha assunto il carattere dissa-cratorio nei confronti del potere politico e religioso.

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10. Austis Sos Colonganos

Risuona il passo lugubre, trac, dei discepoli del buio, riempie l’a-ria del profumo della fine. Simili a demoni in cammino, giuntisulla terra per rigenerarla. Paradosso irresistibile, li segui dan-zando. Così sei. Così rinascerai.

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Intro Il carnevale di Austis si distingue dagli altri ritidella Barbagia per i misteriosi Colongànos, che porta-no sulle spalle un carico di ossi d’animale anziché dicampanacci.

I personaggi Sos Colongànos si distinguonoper l’abbigliamento, senza uguali nei carnevali dellaSardegna. In testa portano pelli di volpe o di marto-ra, sul viso sa caratza de ortigu (maschera di sugheronera) nascosta sotto alcune franzas de lidone (ramet-ti e foglie di corbezzolo); indossano lunghe e scure pel-li di pecora e portano sulle spalle un carico di ossi dianimali, un tempo legati con pezzi di intestino. In ma-no hanno un bastone o un forcone. Della cerimonia faparte anche s’Urtzu, vittima che indossa una pelle dicinghiale completa della testa e ha il viso imbrattato dicarbone. È tenuto alla fune da alcuni bardiànos (guar-diani) dal viso nero, pastrano di orbace e gambàles.

La rappresentazione Durante la festa diSant’Antonio Abate e per quella di San Sebastiano, sosColongànos ballano intorno ai falò come sofferenti inpenitenza. Su due file ordinate, all’unisono sbattono interra il bastone e poi eseguono un salto, scrollando le

spalle per far risuonare il carico di ossi e produrre unsuono sordo e lugubre. Nel frattempo s’Urthu correcome pazzo, cercando di sfuggire ai guardiani. Alcunibardiànos annunciano il passaggio del corteo produ-cendo un prolungato suono con un corno d’animale ouna conchiglia. Altri figuranti gettano crusca e granosulla folla.

Il significatoAd Austis e nei paesi vicini il carne-vale è chiamato “su coli coli”, e chi si maschera conpelli è detto “bestia de coli coli”. Da qui, secondo al-cuni, l’etimologia di “Colongànos”: da “kòlos” (“pe-cora” in greco), col significato di “coloro che si vestonoda pecora”. La tragica cerimonia ha un forte caratterepropiziatorio. Ciò è messo in evidenza, in particolare,dall’uso delle fronde di corbezzolo, pianta mediterra-nea sempreverde, chiaro omaggio al dio della vegeta-zione, e dall’uso degli ossi, simbolo della morte che at-tende la resurrezione, ma che hanno anche una fun-zione apotropaica. Infatti ad Austis si dice che sos Co-longanos “faghen sonu ’e matracca”; sa matracca èuno strumento di legno utilizzato durante la SettimanaSanta, quando non possono suonare le campane, perprodurre un forte schiocco con valenza apotropaica.

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11. Samugheo Mamutzones e Urzu

Sotto gabbani scuri uomini trasformati in capri spaventosi: vengo-no dal silenzio ancestrale. La danza la senti dentro, in quei campa-nacci che suonano inesorabili il ritmo della passione e della morte.Per ingraziarsi la natura. E che i raccolti siano abbondanti.

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Intro Il Carnevale di Samugheo s’inserisce nelle ce-lebrazioni carnevalesche degli ambienti agro-pastoralidella Sardegna. Presenta alcune varianti originali chene spiegano le antichissime origini.

I personaggi Su Mamutzone: indossa panta-loni di fustagno, o velluto nero, e pelli di capra; i gam-bali di cuoio sono ricoperti da pelli di capra. Annodatialla vita porta campaneddas e trinitos (sonagli) e alpetto dei campanacci in ottone o bronzo. Nasconde lesembianze umane sotto uno strato di fuliggine di su-ghero bruciato. Il copricapo è piuttosto originale: sitratta di un recipiente di sughero (su casiddu o sumoju), rivestito di lana di capra e con delle corna capri-ne, a volte bovine. Alcuni Mamutzones portano unbastone; un tempo pare venisse avvolto con pervinca oedera, a somiglianza del “Tirso“, il bastone del dio Bac-co o Dioniso. S’Urtzu: è la vittima della rappresenta-zione. Indossa una pelle di caprone nero, completa del-la testa; porta sul petto pelli di capretto e pesanti cam-panacci. Un tempo aveva dei pezzi di sughero sotto lepelli per ripararsi dalle percosse de s’Omadore. Na-sconde sotto le vesti una vescica di sangue e acqua cheviene pungolata per riversare il contenuto in terra. Untempo era chiamato “Ocru”. S’Omadore: è la figuradel pastore; indossa gli scarponi da campagna, un lun-go pastrano nero d’orbace con il cappuccio che scendefino al naso. Il viso è nero di fuliggine. Ha in mano sasoga (fune), un bastone, la catena e il pungolo. Sa Fi-ladora: è un personaggio simile, per il vestiario e l’a-zione scenica, a “sa Filonzana” di Ottana, ma non sihanno notizie certe sulla sua reale presenza nel carne-vale di Samugheo.

La rappresentazione Richiamate in piazzadal suono di un corno, le maschere apparivano per laprima volta nell’anno durante la festa di Sant’Antonio

abate. Il rito è incentrato su una processione, danza di-sordinata e coinvolgente. Sos Mamutzones procedo-no a balzi per far risuonare i campanacci; ogni tantos’incornano, inscenando la lotta delle capre in amore. Avolte poggiano sos casiddus in terra uno accanto al-l’altro e danzano intorno al cerchio dei coprica-po. S’Urtzu intanto procede goffo e zoppicante; ognitanto si butta in terra, poi si rianima, muggendo. Si av-venta contro gli spettatori che divengono, così, partedel rito. S’Omadore cerca di guidare s’Urtzu, pic-chiandolo e pungolandone la vescica: il sangue e l’ac-qua si riversano sulla terra rendendola fertile. S’Urtzu sirialza, cade ancora, mentre sos Mamutzones gli dan-zano intorno, eseguendo un ballo di folli.

Il significato del Carnevale Il carneva-le di Samugheo ha le sue origini nei miti della culturaagro-pastorale. Anche se il significato originale è per-duto, pare conservi elementi che conducono alle cele-brazioni dionisiache. Dioniso è rappresentato das’Urtzu, che ne inscena la passione e la morte. SosMamutzones, che circondano s’Urtzu-Dioniso dan-zandogli intorno, sarebbero i folli e invasati seguaci deldio che cercano l’estasi per divenire simili a lui. Testi-monianza del fatto che s’Urtzu aveva un tempo uncarattere sacro si può rintracciare nel fatto che i bam-bini del paese erano soliti inseguirlo urlando: “S’Ocrumannu piludu non timet a nissunu, solu su Deus Man-nu, S’Ocru mannu corrudu” (Il grande occhio pelosonon teme nessuno, solo il grande Dio il grande Occhiocornuto). Persino in alcuni gocius (canti sacri tradizio-nali), s’Urtzu era chiamato “Santu Minchilleo”, nomeche indica la sua sacralità ma soprattutto l’inguaribilestupidità. Secondo la tradizione popolare, se le capres’incornano il tempo sta per cambiare: il rito de sosMamutzones è così anche rito propiziatorio dellapioggia e dei raccolti.

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12. Ula Tirso S’Urtzu

Animali e uomini confusi insieme, campanacci e pelli perun rito primordiale. Nel corteo di maschere oscure e tragi-che il guardiano umilia la vittima: non fuggirà alla sua tri-ste sorte e rinascerà per fare nuovo il mondo.

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Intro Il carnevale di Ula Tirso, riscoperto solo qual-che anno fa, è una celebrazione complessa di cui èprotagonista una canea d’inquietanti personaggi.

I personaggi S’Urtzu: è rivestito con una pel-le intera di cinghiale che ricopre la testa dell’uomo. In-dossa pelli scure di montone o caprone e porta al col-lo un grosso campanaccio. Cela sotto le pelli un pez-zo di sughero (sa zippa) che serve per proteggerlo daicolpi. Sul petto nasconde una vescica d’animale pienadi vino. Ha il viso nero dalla fuliggine e sos gambalesdi cuoio. Sos Domadores (i domatori) indossano gliabiti tipici del pastore: gambales e completo di vellu-to. Il viso è nascosto dalla fuliggine del sughero. SosBardianos (i guardiani) indossano un ampio vestitod’orbace (su saccu ’e su pastore) che ne ricopre per-sino il capo. Hanno in mano un grosso bastone (samazzocca) che termina con una grossa radice, nodo-sa e arrotondata. Anche loro hanno il viso imbrattatodi fuliggine e portano sos gambales. Sos Ma-muthones sono ricoperti da una sorta di sacco o ungabbano di pastore d’orbace nero; hanno sul voltouna semplice maschera di sughero dalle fogge antro-pomorfe e dall’espressione indifferente. Indossanocinturoni con grossi campanacci. Del corteo fa parteanche una figura enigmatica: su Maschingannu, im-personato da un uomo dalla corporatura imponente,ricoperto da una pelle di caprone, comprendente te-sta e corna.

La rappresentazione La celebrazione ècaratterizzata da un corteo che percorre con frastuo-no le vie del paese. Le maschere bussano alle portedelle case per ricevere l’invito: s’Urtzu è costretto arestare fuori, imprigionato con corde e catene da sosDomadores. Gli viene offerto da bere sulla sogliaperché se entrasse porterebbe s’iscomuniga e, con

essa, sos dimonios. Questa maschera tragica percor-re le strade con il suo incedere cadenzato facendo ri-suonare il pesante campanaccio. Durante il tragittocade sotto i colpi poderosi di sa mazzocca inferti dasos Bardianos. La sacca contenente il sangue-vino sispacca e rende fertile la terra. A volte la caduta è ilpreludio alla sua morte: su Domadore invita allora ilgruppo delle maschere a ballare intorno alla vittima.L’orgia è cadenzata dal suono di un organetto e da uncorno soffiato più volte e a lungo. Finita la danzas’Urtzu rinasce: il corteo prosegue il suo pellegrinag-gio di casa in casa. L’unica maschera che, pur parteci-pando al corteo, rimane passiva durante il sacrificio des’Urtzu è su Maschingannu.

Il significato Ricostruire il vero significato delcomplesso carnevale di Ula Tirso non è compito sem-plice. Pochi sono ancora gli studi su questa celebrazio-ne coinvolgente, dal sapore misterioso e tribale. Se-condo alcuni di questi l’origine è da cercare nei ritiagrari di propiziazione legati ad ancestrali celebrazio-ni dionisiache. S’Urztu è la vittima del carnevale, unamaschera tragica mezzo uomo e mezzo animale, cheè rappresentazione concreta e ideale del dio: sos Do-madores e sos Bardianos cercano di impedire che sisottragga alla sua fine. È una figura temuta ma che al-lo stesso tempo ha il potere di allontanare le maledi-zioni e la siccità, propiziando la fertilità. Sulla masche-ra de su Maschingannu aleggia una curiosa creden-za: il periodo carnevalesco era un tempo durante ilquale, ai giovani in età virile, era consentito trasgredi-re alle regole del buon senso e del pudore; corteggia-menti e avventure pericolose a volte lasciavano stra-scichi di gravidanze non desiderate. Per evitare dram-mi e scandali, e per il quieto vivere, la comunità trovòproprio in su Maschingannu il responsabile dellemalefatte.

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13. Ghilarza Su Carruzu a s’antiga

Bianco e nero: non ha via di mezzo l’antico sapore della festa. Sot-to i volti e i gabbani scuri uomini che questuano un po’ d’allegria;donne sotto candide lenzuola celano l’identità al mondo. Nellepiazze affollate balli senza fine, e dolci serate e vino nuovo.

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Intro Il Carnevale tradizionale di Ghilarza è uno deipiù antichi dell’Oristanese. È incentrato su sfilate dimaschere tradizionali e su corse a pariglia.

I personaggi Sas Mascheras a lentsolu (ma-schere bianche): uomini e donne indossano una tunicabianca, lunga sino ai piedi, legata sul capo con un na-stro colorato. Sotto la tunica portano una camicia bian-ca. Le mani sono coperte da guanti bianchi di lana, il vi-so da un cappuccio di tela bianca. Quello de sos Bur-rones (maschere nere) è un travestimento consentitosolo agli uomini. Il volto tinto di nero, portano sa caba-nella (giacca nera di orbace) con cappuccio, lunga sinoalla vita, con guarnizioni e maniche in velluto nero; in-dossano su zippone (giacca di velluto nero), a doppiopetto, con maniche lunghe e due file di bottoni neri suldavanti, pantalones a s’isporta (pantaloni alla caval-lerizza), gambali di cuoio e scarponi (cosinzos); sul ca-po, sotto il cappuccio de sa cabanella, hanno il berret-to di velluto .

La rappresentazione Un tempo sos Bur-rones andavano di casa in casa a chiedere o “rubare”cibo di ogni genere. La sfilata delle maschere tradizio-

nali è chiamata su Carruzu a s’antiga. Si svolge nei vi-coli del centro storico. La domenica pomeriggio i varisotzios, formati per il carnevale, si spostavano di piaz-za in piazza per ballare e degustare dolci e vino. Neicrocicchi era un via vai di maschere e musica. Sos Bur-rones si spostavano senza la compagnia de sas Ma-scheras a lentzolu. Oggi deambulano insieme e poiballano nelle piazze che i vecchi ricordano come quellede su Carruzu di un tempo. La festa si conclude conuna gara equestre a parillas detta sa cursa a sa pud-da (la corsa alla gallina): i cavalieri sui cavalli al galoppo,cercano di afferrare alcune galline appese ad una cordalungo la strada.

Il significato È difficile ricostruire il senso di unarappresentazione complessa. Sas Mascheras a lent-zolu si divertivano, come oggi, non solo con il ballo,ma anche dimostrando la loro abilità nel nascondere,soprattutto a parenti e amici, la loro identità. I ricordidegli anziani inducono a credere che questo tipo dimascheramento venisse utilizzato dalle persone in lut-to, cui era severamente vietato partecipare ai diverti-menti, come unico modo per concedersi il piacere di unballo.

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14. Bosa Carrasegare osincu

Lamenti esilaranti, pantomime d’un teatro popolare. Non puoi chefare parte della follia del mondo, ne fai già parte: vestito a lutto,vestito a festa, sei il fantoccio che incarna la morte e la rinascita,giorno dopo giorno, purificato dal fuoco.

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Intro Il carnevale di Bosa, chiamato “CarrasegareOsincu” è unico nel suo genere in Sardegna; contra-riamente ai tragici carnevali delle zone interne dell’i-sola vi trionfano la libertà, la fantasia e l’esplicita iro-nia a carattere sessuale.

I personaggi Gioldzi: è il “Re Giorgio”, il sim-bolo del carnevale, rappresentato da un pupazzo distracci e paglia, con una botte per pancia. S’Attitta-dora: è la prefica che recita le lamentazioni funebri; èvestita a lutto, il viso dipinto di nero con s’oltigiubrusiadu (sughero bruciato), e indossa sa bunnedda(la gonna lunga), s’isciacca (il bustino), e s’isciallucun sas randas (lo scialle con le frange). Porta inbraccio, o in una carriola, Gioldzi, neonato morentedi fame, rappresentato da un bambolotto senza mem-bra, di solito macchiato di sangue vicino all’inguine,oppure da un fallo in legno o cartapesta, o ancora daanimali domestici. Le maschere in bianco sono pa-drone della notte del martedì: vestite con un lenzuoloe una federa, il viso dipinto di nero, una lanterna o uncestino (su pischeddu) in mano, simboleggiano lamaschera di Gioldzi. Anticamente la gente indossavail berretto e la giacca al rovescio e s’imbrattava il visodi fuliggine. Cantava dietro i carri, accompagnata dauno strumento grezzo (sa serraggia), dal rumore acu-to de s’attaidu (le staffe del cavallo) e da sos kobel-tores (coperchi di pentole).

La rappresentazione Nei giorni che pre-cedono il giovedì grasso gruppi in maschera irrompo-no nelle case per la questua di lardazholu o laldag-giolu (giovedì grasso). Ricevono in cambio sa palte’e cantare, tutto ciò che è utile per il cenone. Im-provvisano canzoni e dileggiano coloro che durantel’anno si sono resi protagonisti di eventi scandalosi. Ilgiorno più importate del carnevale è martedì grasso:

la popolazione si riversa dalla mattina presto nelle viedel centro. Gli striduli lamenti de sas Attittadorasannunciano la morte di Gioldzi; fra risate e scherzicoinvolgono gli spettatori in un’azione che enfatizzal’amplesso; agli astanti chiedono “unu tikkirigheddude latte” (un goccio di latte) per il bambino, abban-donato dalla madre distratta dal carnevale. Importu-nano le giovani donne, cercando di palpare loro il se-no e far uscire il latte per Gioldzi affamato. Si balla esi canta: su ballu de sas kadreas (delle sedie), suballu ’e s’iskoba (della scopa), su ballu tundu, es’intonano versi satirici e blasfemi. Al calare della not-te, una pausa irreale segna il cambio della scena: lemaschere in bianco, anime del carnevale morente,vagano come spettri in una sarabanda sfrenata, inse-guendosi per i vicoli con lumi e lanterne alla ricerca diGioldzi. Quando una maschera ne cattura un’altragli illumina i genitali gridando: “Gioldzi! Ciappadul’appo! Ahi Gioldzi! Damilu a Gioldzi!” (Gioldzi! L’hopreso! Ahi Gioldzi! Dammelo Gioldzi). Quando il veroGioldzi è trovato l’euforia collettiva sfocia nella ca-tarsi del rogo del pupazzo.

Il significato Il carnevale di Bosa è vissuto co-me rito collettivo che fa del disordine il canovaccio perun’allegoria sessuale esplicita, durante la quale si ridi-colizza la vita quotidiana con atteggiamenti osceni.Già nel XVI secolo alcuni decreti limitavano gli eccessidi una festa troppo esuberante. I riferimenti ad un ri-to di fertilità pagano sono evidenti nella rievocazionedella morte del carnevale e della rinascita dalle proprieceneri. Gioldzi cerca di fuggire al suo destino celan-dosi nel sesso dei partecipanti al rito. L’euforia colletti-va e la simbologia sessuale esprimono il bisogno di li-bertà dopo la carestia invernale. Anche se si è perso ilsenso originario resiste il clima scalmanato tipico di unbaccanale.

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15. Oristano Sa Sartiglia

Battono i tamburi il ritmo di fuoco dei cavalli. Il volto celatodalla maschera, il cavaliere è solo in mezzo alla folla. Unaspada in mano, la speranza nella buona sorte e nel cavalloalato. Corri verso la stella. E non fallire.

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in terra: passerà dalla tavola al cavallo, da cui nonscenderà fino alla fine della giostra, perché la sua sa-cralità si mantenga pura.

La rappresentazione Terminata la vesti-zione, su Componidori esce dalla stanza sul cavalloin posizione supina. Appena oltre il recinto del cortileriassume la posizione eretta. Il presidente del gremio(Oberaju Majore), gli dona sa Pippia de maju (labambina di maggio). È lo scettro del re del carnevale,ornato da un fascio di pervinca e due mazzi di viole.Su Componidori con sa Pippia benedice la folla deipartecipanti a sa Sartiglia. Inizia il corteo, con in te-sta i membri del gremio che portano le spade, lo stoc-co e le stelle. Il presidente del gremio dona a su Com-ponidori e a su Sottocomponidori due spade e suComponidori lancia il cavallo al galoppo, cercando diinfilzare la stella. Poi concede la scena ad altri cavalie-ri. In caso di successo il cavaliere viene premiato conuna stella d’argento. Più stelle sono infilzate più gene-roso sarà il raccolto. Alla fine della prova con la spadail presidente del gremio consegna a su Componidorilo stocco, strumento più impegnativo della spada. Incaso di successo verrà premiato con una stella d’oro.

Sa Remada, con su Componidori, su Segundu esu Terzu che benedicono la folla, supini sui cavalli algaloppo, conclude la giostra. Iniziano le spettacolariPariglias.

Il significato Alcuni studiosi vedono nella Sar-tiglia molte analogie con i rituali di propiziazione deicarnevali sardi più antichi. Pare che al posto de sa Pip-pia de maju il capo corsa tenesse in mano una pu-pattola (da cui Pippia) di pervinca, chiamata Maimo-ne (uno dei nomi del dio bambino Dioniso), il cui cul-to non doveva essere sconosciuto alla società agricoladell’oristanese. In questo senso sarebbe da leggere ladivinità androgina de su Componidori e la simbolo-gia della posizione supina e del ritorno a quella eretta:indicherebbe la morte e la rinascita del dio. La tradi-zione vuole inoltre che il numero dei cavalieri che cor-revano sa Sartiglia fosse di dodici, come i “Mamu-thones” di Mamoiada. Gli spagnoli trasformarono ilrito in una gara all’anello: la parola Sartiglia derivadallo spagnolo “sortija”, che a sua volta viene dal la-tino “sorticula” (anello), anche diminutivo di “sors”,(fortuna); buona o cattiva dipenderà dai cavalieri chepuntano alla stella.

Intro La giostra equestre di Oristano è l’ultima cor-sa all’anello della Sardegna e una delle poche che sicorrono in Europa. È uno spettacolo teatrale, con il suospazio scenico, i suoi attori e spettatori, il suo canovac-cio. E i suoi registi: il gremio degli agricoltori nella Sar-tiglia della domenica, quello dei falegnami nella Sar-tiglia del martedì di Carnevale. Tutto ha inizio il 2 difebbraio, festa della Candelora, durante la quale ven-gono nominati i Componidores delle rispettive Sarti-glie. Su Componidori, deciderà a quali cavalieri darel’onore della spada per la discesa alla stella.

I personaggi Su Componidori: è il re dellagiostra. Tutte le attenzioni sono rivolte a lui, a partiredalla vestizione. Il suo abbigliamento, maschile e fem-minile insieme, include elementi del vestiario dei diver-si dominatori della Sardegna. Indossa una camicia dilino seicentesca, con sbuffi legati da nastri del coloredel gremio cui appartiene. Sopra la camicia su cojet-tu (o collettu), casacca di pelle senza maniche. Sul vi-so una maschera androgina: olivastra quella del gre-mio dei contadini, terrea quella del gremio deifalegnami. Sul capo tre fazzoletti cuciti insieme e samantiglia, un velo femminile ricamato. Un cinturone

di pelle, pantaloni alla cavallerizza, stivali con speroni,un cappello cilindrico ottocentesco e una camelia ros-sa al petto, completano il travestimento. Su Compo-nidori è aiutato da su Sottocomponidori e su Ter-zu, i quali indossano costumi tradizionali e unamaschera bianca, così come gli altri cavalieri che par-tecipano alla giostra. Cavalieri, cavalli, tamburi,trombe e pariglias. Sa Sartiglia non potrebbe esi-stere senza i cavalli, decorati con ghirlande e sonagli, itamburini e i trombettieri che sottolineano i momenticruciali del rito, e le Pariglias: i cavalieri a gruppi ditre, effettuano figure acrobatiche sui cavalli lanciati algaloppo.

La vestizione de su ComponidoriÈ il momento più suggestivo della manifestazione, du-rante la quale avviene la trasfigurazione de su Com-ponidori da essere umano a divino. Il capo della cor-sa, su una sedia posta sopra un tavolo (mesitta), èaiutato da sa Massaja Manna (la moglie del presi-dente del gremio) e da due ragazze in costume (Mas-sajeddas). Il suono dei tamburi annuncia la fine dellavestizione: non c’è più l’uomo ma solo il semidio sen-za sesso. L’essere divino non può però mettere piede

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01. Mamoiada Mamuthones e Issohadores 8

02. Ottana Boes e Merdules 16

03. Orotelli Sos Thurpos 24

04. Gavoi Sos Tumbarinos 30

05. Lula Su Battileddu 36

06. Orani Su Bundu 40

07. Fonni S’Urthu 46

08. Ovodda Don Conte 52

09. Lodine Su Harrasehare Lodinesu 56

10. Austis Sos Colonganos 60

11. Samugheo Mamutzones e Urzu 64

12. Ula Tirso S’Urtzu 70

13. Ghilarza Su Carruzu a s’antiga 76

14. Bosa Carrasegare osincu 80

15. Oristano Sa Sartiglia 86

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