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1,80 n. 3 MARZO 2005 MENSILE DI CULTURA, INFORMAZIONE, POLITICA DELL’ARCO ALPINO Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Sondrio n. 3 MARZO 2005 MENSILE DI CULTURA, INFORMAZIONE, POLITICA DELL’ARCO ALPINO Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Sondrio 1,80 MONTAGNA: Ortles e Cevedale Arrampicate in Val di Mello Soccorso Alpino Museo di Valmalenco JEEP STORY ITINERARI VERDI IN LOMBARDIA MONTAGNA: Ortles e Cevedale Arrampicate in Val di Mello Soccorso Alpino Museo di Valmalenco JEEP STORY ITINERARI VERDI IN LOMBARDIA

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MONTAGNA:Ortles e Cevedale

Arrampicate in Val di MelloSoccorso Alpino

Museo di Valmalenco

JEEP STORY

ITINERARI VERDI IN LOMBARDIA

MONTAGNA:Ortles e Cevedale

Arrampicate in Val di MelloSoccorso Alpino

Museo di Valmalenco

JEEP STORY

ITINERARI VERDI IN LOMBARDIA

COPERTINA marzo 2005 1-03-2005 8:38 Pagina 2

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SOMMARIOALPES N. 3 - MARZO 2005

LE LETTERE 6LA PAGINA DELLA SATIRA 7aldo bortolotti

SIETE INSODDISFATTI DEL SISTEMASANITARIO NAZIONALE?DERIVE EFFICIENTISTICHE ESPRECHI... 8medardo moskovsky

«ITINERARI VERDI»IN LOMBARDIA 10lorenzo croce

TREND VINICOLI D’OLTRALPE:BIODYNAMICS 12angelo granati

10 FEBBRAIO:GIORNO DEL RICORDO 14pierangela bianco

LE FOIBE 15ada tansini

INSONNIA, INFLUENZA,DEPRESSIONI E OLIGOTERAPIA 16carmen del vecchio

INTERVISTA AL DALAI LAMA 20luciano villa

VERA CENINI: L’ANGELO DELLA VALMASINO 36pielleti

LE BANCHE DEL TEMPO 39benedikte del felice

JEEP STORY 1944-2004SESSANT’ANNI DI ONORATOSERVIZIO IN GUERRA E IN PACE 40pier luigi tremonti

DIGITALE TERRESTRE,LA NUOVA TELEVISIONE 43gianluca lucci

IL TAI CHI CHUAN 44oliviero bergomi

IL MOTTO DI LUCREZIA BORGIA:SE IO MORISSI, TUTTO IL MONDOSAREBBE SENZA AMORE 46giancarlo ugatti

PAESAGGI.PRETESTI DELL’ANIMA 48donatella micault

TUTTA LA VITA DENTRO UNOROLOGIO. I CENTO ANNIDI RINALDO BUZZI 50costante bertelli

UNO SGUARDO, ED UN AIUTO,ALLA SANITÀ DI GUADALCANAL -INTERVISTAA FERNANDO ANDREASSI 52

IL PRESENTE È IMPORTANTE 23alessandro canton

“NOVE PERLE DI SICILIA” 24luciano scarzello

SANTA VITTORIA D’ALBA 24luciano scarzello

ADDIO ALLE ARMI...TRENTACINQUE ANNI DI VITACOL MUSEO DELLA VALMALENCO 26nemo canetta

TOBIA NANI E IL CORRIERONE 54ermanno sagliani

IL CAVALLO PUROSANGUE 56carlo nobili

RECENSIONI 58giuseppe brivio

ORTLES-CEVEDALECONQUISTE A FIL DI CIELO 30pier luigi tremonti

IL GIOCO DELL’ARRAMPICATAIN VAL DI MELLO 32mario vannuccini

UN PONTE TRA SPIRITOE MATERIA 34roberta piliego

60 ANNI DI STORIA DEL CORPO NAZIONALE DI SOCCORSO ALPINO E SPELEOLOGICO 35giovanni lugaresi

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Crisi energetiche:ieri il legno, oggi il petrolio

La fame di energia e il possibile inizio di una crisi energetica nell’inizio del nuovo millennio co-minciano a preoccupare tutti coloro che sono consapevoli del fatto che l’energia, i suoi costi e il li-vello di apertura dei mercati che la riguardano, sono l’elemento base per definire la competitività

dell’intero sistema economico europeo.E’ un problema non nuovo: anche in passato la fame di energia si è scontrata con un’offerta limitata e conprezzi alle stelle.Il caso che maggiormente ricorda le attuali ‘sofferenze’ energetiche è quello della crisi del legno che colpìl’Europa tra il 1500 e il 1600, ma che affondava le sue radici qualche secolo prima per la enorme espan-sione demografica iniziata all’apparire del nuovo millennio.La accresciuta richiesta di legno portò ad una riduzione delle foreste che ricoprivano il Vecchio Conti-nente: si passò dal 70% al 30% del territorio europeo boscato!Bisogna ricordare che il legno non era soltanto utilizzato come combustibile, ma era anche la materia pri-ma alla base delle costruzioni navali, della produzione di mobili, di attrezzi agricoli e artigianali e dell’edi-lizia.Verso il 1500 vi fu poi una ulteriore richiesta di legname legata allo sviluppo della navigazione oceanicain seguito alle esplorazioni geografiche e alla scoperta di nuove rotte commerciali verso l’Africa, l’Asiae verso il nuovo continente americano, con conseguente esigenza di navi sempre più grandi; l’espansio-ne in Europa della metallurgia e delle fonderie, comportarono un crescente consumo di carbone di legna.Con la penuria di legname i prezzi naturalmente andarono alle stelle!Si calcola che nell’arco di 150 anni il livello dei prezzi del legno fosse quintuplicato!E le lamentele sull’eccessivo costo del legno diedero il là a geremiadi e preoccupazioni simili a quelleche oggi si diffondono in rapporto alla continua ascesa del prezzo del petrolio (c’è chi ipotizza i 60 dol-lari al barile, ma peraltro c’è anche chi pensa che potrà scendere a 35 dollari), che è alla base di gran par-te dell’attività economica soprattutto in questi ultimi decenni.Nei secoli scorsi la incombente crisi energetica fu scongiurata, a partire dalla seconda metà del Settecento,dalla introduzione del carbon fossile nella fusione del ferro oltre che come combustibile negli impiantidi riscaldamento domestico.Oggi siamo invece in presenza di una scarsità energetica assoluta, che è spesso all’origine delle guerreper il controllo dei giacimenti petroliferi ancora non sfruttati, per scongiurare così il crollo del sistemaproduttivo basato su forte consumo (e spreco) di energia da petrolio.Si parla da qualche anno di fonti energetiche rinnovabili: il fotovoltaico, la biomassa, l’energia eolica equella geotermica, recupero di calore e cogenerazione, minidraulica e biocarburanti prodotti dall’agri-coltura.Ci sarà per noi e per il futuro delle nuove generazioni qualcosa da affiancare al petrolio?Quale sarà il “carbone del futuro”: l’idrogeno, il vento, le maree, il sole e/o l’energia nucleare?E’ tempo di fare serie riflessioni per trovare la strada per rendere compatibile la necessaria produzione dienergia con gli equilibri del Pianeta, cioè per non influire negativamente sull’ambiente, per capire soprattuttole dimensioni di questa sfida.E’ una sfida da affrontare, e da vincere, prima che le fonti energetiche da idrocarburi si esauriscano etenendo contemporaneamente presente la necessità di difendere l’ambiente naturale del nostro Pianeta egarantire l’equilibrio climatico minacciato dall’effetto serra.E per quanto riguarda in particolare noi “genti delle Alpi” abbiamo di fronte … “l’agghiacciante spetta-colo dello scioglimento crescente dei ghiacciai e dei nevai” delle nostre montagne, con lo sguardo rivol-to alle catastrofiche conseguenze che ne possono derivare.

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AAllppeessRIVISTA MENSILE DELL’ARCO ALPINO

Anno XXVI - N. 3 - Marzo 2005

Direttore responsabilePier Luigi Tremonti - cell. 3492190950

Redattore CapoGiuseppe Brivio - cell. 3492118486

Segretaria di redazioneManuela Del Togno

Direttore editorialeAldo Genoni

A questo numero hanno collaborato:Oliviero Bergomi - Costante Bertelli - Pierangela Bianco

Aldo Bortolotti - Giuseppe Brivio - Nemo CanettaAlessandro Canton - Lorenzo Croce - Benedikte Del Felice -

Antonio Del Felice - Carmen Del Vecchio - Aldo GenoniAngelo Granati - Gianluca Lucci - Giovanni Lugaresi

Donatella Micault - Medardo Moskovsky - Carlo NobiliRoberta Piliego - Ermanno Sagliani - Luciano Scarzello

Ada Tansini - Pier Luigi Tremonti - Giancarlo UgattiMario Vannuccini - Luciano Villa

In copertina: “Fabio Fazzini in arrampicata sul pizzo Torrone”

(foto Mario Vannuccini)

Ed.ce l’Alpes Agia - S. Coop a R.L.23100 Sondrio - Via Vanoni, 96/A

Direzione e amministrazione:Sondrio - Via Vanoni, 96/A

Tel. e Fax 0342.512.614E-mail: [email protected] - [email protected]

http://www.alpesagia.com

Autorizzazione del Tribunale di Sondrio n. 163 del 2.12.1983

Stampa Lito Polaris - Sondrio

C/C postalen. 10242238C/C bancari

Credito Valtellinese - Agenzia n. 1 - n. 51909/14Banca Popolare di Sondrio - Agenzia di Albosaggia n. 14300/86

Credito Cooperativo di Sondrio - c/c nº 220178-85

Quote abbonamento anno 2004Italia EE 15,50 - Europa EE 33,57 - Altri EE 51,65

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BENEFICIARIO ALPESVia Vanoni, 96/A - Sondrio

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Tutti i manoscritti pervenuti a questa rivista sono al vaglio deldirettore responsabile e della redazione.Gli articoli firmati rispecchiano solo il pensiero degli autori enon coinvolgono necessariamente la linea della rivista.Testi e foto, pubblicati o meno, non si restituiscono, salvo spe-cifici accordi, e la redazione non si assume la responsabilità perl’eventuale smarrimento.La riproduzione anche parziale, è subordinata alla autorizza-zione della direzione ed alla citazione dell’autore e della rivista.

Il nostro nuovo sito è pronto ed è in lineaLa Web Agency - nereal.com dell’amico Claudio Frizziero ha concluso il suo lavoro.La rivista è in pdf, con interessanti link e poi “...chi siamo” e altro ancora.Qualcosa ancora manca,ma ora siamo noi della redazione a dovercompletare l’opera.Visitate il nostro sito:http:www.alpesagia.comAttendiamo vostri consigli e suggerimenti.*Alpesagia è il nome della nostra cooperativa ed è il nome con il quale tanti anni fa ènata la nostra rivista.

MODULO DA PRESENTARE ALLO SPORTELLO DELLA VOSTRA BANCA

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L E L E T T E R E

Sul numero di gennaio è apparso un interventodell’amico Lorenzo Croce dal titolo: “Perché qualcunoaspetta di rinascere.Donazione degli organi. Una scelta di vita”.

Lo scorso dicembre dalla Regione Lom-bardia con un manifesto che riproduceun uomo adulto nel grembo materno …“quale senso della donazione: una verae propria nuova nascita” ha voluto pro-muovere l’iniziativa, peraltro assai lo-devole, non con l’AIDO, ma con altraassociazione non del tutto specificata-mente dedicata, ignorando che l’AIDOha avuto ed ha tuttora un ruolo assaiimportante a livello locale, regionale enazionale per la realizzazione dei prin-cipi ispiratori della legge nazionale il cuisuccesso è e rimane quello di un “donoper la vita” che è la sua ragione d’esse-re!Il fatto poi che nell’intervento di Lo-renzo Croce si faccia riferimento ad unadivergenza tra chi è favorevole ai tra-pianti e chi è contrario, contrapponen-do l’AIDO ad un altro non ben cono-sciuto movimento che “da tempo si bat-te contro la donazione degli organi inItalia e nel resto dell’Europa”, me lo silasci dire, appare quanto meno para-dossale oltre che ingeneroso nei con-fronti di migliaia e migliaia di malati inlista d’attesa e degli stessi associatiall’AIDO che gratuitamente si prodiga-no, spendendo anche del proprio, persostenere e per cercare di far realizzareil più possibile quella che è e rimane unalegge dello stato italiano. Nell’articolosi fa riferimento ad un bavaglio degli or-gani di informazione nei confronti ditale movimento che denuncia una seriedi contraddizioni sugli espianti, che asuo dire spesso verrebbero fatti primadel termine reale della vita del donato-re. E poi ancora “vi è un altro aspettoche meriterebbe un approfondimentoed è quello del mercato degli organi…”.Poche volte ho avuto modo di leggeresimili insinuazioni e bassezze. C’è una

legge che stabilisce chiaramente i con-fini per le donazioni. Non ritengo che cisi possa alzare la mattina ed affermareche si fa quello che si vuole e che c’è ilmercato degli organi. Trattandosi di il-leciti penali oltre che di comportamen-ti aberranti che interessano anche la sfe-ra etico-morale, se qualcuno è a cono-scenza di simili comportamenti, invecedi lanciare delle insinuazioni sui me-dia, prenda carta e penna e informi leautorità preposte: sarà la magistratura avagliare ogni singolo atto e ad espri-mersi, eventualmente, con adeguate sen-tenze. L’articolo termina con “… unadomanda è lecita: qual è il confine chepassa tra legalità e l’illegalità? E’ un ar-gomento che avremo sicuramente mo-do di sviluppare nei prossimi mesi”.La legge esistente è chiara in proposito.Bisognerebbe conoscerla di più, me nerendo conto, e spero che l’AIDO anco-ra una volta si faccia carico, partendodalle scuole, di ulteriori campagne diinformazione e di sensibilizzazione.L’AIDO lo ha sempre fatto, diversa-mente dalla associazione che la Lom-bardia ha scelto quale sua compagnaoccasionale! Vogliamo farlo sapere?

Dr. Luigi Mescia

Caro Mescia, ti dico da subito che nonè mio intendimento creare artificiosecontrapposizioni tra i favorevoli alladonazione e i contrari, ma per fortunain Italia abbiamo una legge che per-mette la libera scelta sulla donazionedegli organi dopo la propria morte.Non trovo scandaloso nella realizza-zione di un servizio giornalistico con-trapporre le ragioni di chi è favorevolee di chi è contrario alla donazione de-gli organi. Il movimento di cui parlavoda anni si contrappone alla donazionedi organi, è un movimento che esiste,forse non è diffuso come Aido, ma fa ca-po a medici dell’ospedale di Torino.Perché non dare anche a loro la possi-bilità di esprimersi? Se esiste ancorain questo paese la libera informazioneessa deve prevedere la possibilità dicontrapposizione tra le parti. Ogni vol-

ta che si parla di mercato di organi i fa-vorevoli alla donazione si inalberano. Ilvoler negare l’evidenza è fare come lostruzzo che infila la testa sotto la sab-bia per non vedere quello che accadefuori. Tu sei uomo di mondo, ma so-prattutto conosci bene il sistema sani-tario, ti porto un esempio personale.Nel ‘94 ero ricoverato in neurochirur-gia al Fatebenefratelli ed ho visto con imiei occhi un luminare della medicinamilanese (non faccio il nome perché èdefunto) mantenere artificialmente invita un bambino per cinque giorni in at-tesa di convincere i genitori a donare gliorgani. Alla fine siccome i genitori nonerano d’accordo ha fatto staccare laspina. Questa è etica e difesa della vi-ta? Per me no. Lo scorso anno una ragazza del miopaese è morta a 21 anni perché dovevasubire un trapianto polmonare ed èmorta soffocata maledicendo i mediciche non le volevano dare dei sedativi.Sono convinto che quel polmone invecec’era ed è finito in qualche clinica do-ve qualche “pagante” ha potuto faroperare la propria figlia.Il diritto al trapianto ed alla donazioneè sacrosanto e nessuno vuole tornareindietro, ma se qualcuno la pensa di-versamente o se denuncia una realtàcome il mercato degli organi (così co-me il baronato medico, le finte campa-gne per la prevenzione e la cura dei tu-mori che servono ad ingrassare i medi-ci, le lunghe liste di attesa per fare esa-mi in ospedale…) perché alzare gli scu-di e gridare allo scandalo? Le conni-venze sono alla base delle deviazionidel sistema, purtroppo, caro Mescia, leconnivenze esistono (e te lo scrive unoche ha denunciato situazioni circostan-ziate alla magistratura) anche nel mon-do della sanità. Figuriamoci se non esi-stono sul fronte della donazione orga-ni. Alla maggioranza di persone per be-ne si contrappongono delle infime mi-noranze che sulla vicenda degli organici hanno fatto un mercato che li ha re-si e che li rende ricchi … Con affetto

Lorenzo Croce

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“Siete insoddisfattidel Sistema SanitarioNazionale?Sappiate che le ragioni diquesto malcontento non so-no connaturate al sistemasanitario pubblico, perché,se viveste in un paese sen-za sanità pubblica le coseandrebbero peggio, moltopeggio.Chi dice queste cose è l’OC-SE: l’Organizzazione Inter-nazionale per lo Sviluppo ela Cooperazione, che rag-gruppa la maggior parte deipaesi più ricchi del pianetae che ha recentemente resopubblico un ponderoso stu-dio sui diversi sistemi sani-tari dei paesi membri.Per misurare l’efficacia deisistemi sanitari nazionali,l’OCSE ha usato il parame-tro della “mortalità evita-bile” nei cittadini sino a 65anni, testando l’epidemio-logia delle più diffuse cau-se di morte sino a quell’età:le malattie cardiovascolari,i tumori, le malattie infet-tive, la cirrosi epatica, gliincidenti stradali, gli avve-lenamenti, i suicidi e altrecause di mortalità.I risultati di questa ricercadicono che ai primi postidella classifica ci sono in-variabilmente le nazioni do-tate di un SSN.L’efficacia dimi-nuisce semprequando il siste-ma è pr ivato(sia esso di ti-po mutualisti-co o assicura-tivo a scopodi lucro, for-profit) o mi-sto”. (Da unarticolo di“Avveniremedico”).

Derive efficientistiche mascherano attacchi alla sanità pubblica

Da tempo è ben noto il fatto che per ilmalato non basta la nuda e cruda co-noscenza scientifica: serve approc-

ciare il malato come persona. In un sistemapiù ampio di valori debbono emergere le ca-pacità e la sensibilità del medico.Il malato non è sintetizzabile nel sintomo, elo hanno ben capito tutti coloro che si rivol-gono alla medicina alternativa.Ivan Cavicchi, docente alla Università LaSapienza di Roma asserisce che “il rischiopiù grande è di ridurre la complessità dellapersona a modelli biologici”.Questo trend purtroppo è aggravato dall’eco-nomicismo che lega le necessità cliniche al-la sostenibilità.Si ipotizzano universi di malati standardiz-zati, visti come categorie e non come indivi-dui: tutti dovrebbero avere le stesse necessitàe tutti soprattutto lo stesso costo.Tra l’incudine ed il martello si trova il medi-co, che è indotto a decidere meno per la sem-plice ragione che le sue decisioni comporta-no inesorabilmente dei costi.Al contrario l’utenza, che ora si chiama clien-tela, tende a chiedere sempre di più sia per ra-gioni anagrafiche sia per ragioni culturali, equesto è il vero conflitto.Una volta si diceva al medico di “sceglieresecondo scienza e coscienza” mentre oraogni decisione deve essere innanzi tutto “eco-nomicamente sostenibile”. Il medico è “usa-to” dal sistema e viene visto quasi come unacontroparte.I poteri decisionali sono spostati su figuregestionali, amministrative e tecnocratiche.

L’atto clinico è subordinato da spese, bilan-ci, budget, standard e parametri vari: si ten-de ad offrire solo quello che è ritenuto indi-spensabile, salvavita insomma, e si parla dilivelli minimi di assistenza.Questo fenomeno comporta la eliminazionedi vaste aree di cura che sono classificate inu-tili e non necessarie.Il welfare subisce attacchi continui e furbe-schi: escludere le persone dalle prestazionipotrebbe avere conseguenze politiche nefastementre ridurre le prestazioni è più “spendi-bile”!Fino ad oggi la medicina pubblica, con tut-te le sue pecche, era il riferimento del citta-dino per la tutela della salute, mentre in fu-turo le cose potrebbero cambiare profonda-mente.La linea di confine tra sanità pubblica e pri-vata passa subdolamente dal rimescolamen-to tra pubblico e privato oltre che per le pra-tiche mediche differenziate. Tutto ciò por-terà verso una logica nella quale solo il red-dito sarà determinante per poter ottenere omeno cure adeguate.Costosissimi, fumosi se non irrealizzabili so-no gli attuali controlli che verificano poi so-lo la corrispondenza dell’atto medico allenorme di legge e ignorano i risultati! Do-vrebbero esserci veri “controlli di gestione”diretti all’uso delle risorse, comparando atti-vità e risultati (È appropriato un determinatointervento a curare una certa malattia? Si puòfare meglio spendendo meno? Quanti am-malati abbiamo guarito rispetto a quanti se nepossono guarire in rapporto ai dati di lettera-tura internazionale?). Per medici, ammini-stratori e politici è venuto il momento di la-vorare insieme e seriamente tenendo conto inprimo luogo delle esigenze di benessere del-

la popolazione e delle necessità degli am-malati. Sono queste ultime, prima di qua-lunque altra considerazione, che devonofar da guida alle scelte.Non è onesto imporre onerosi ticket (sic!) ecreare mille ostacoli all’accesso alle curecon trafile burocratiche (ne vedremo dellebelle!) e con liste di attesa vergognose (le ab-biamo sotto gli occhi!), non è onesto disin-centivare il lavoro di reparti che “producono”sinergicamente salute .... ma anche spesa (cirisultano casi di primari che contrariamenteal passato ottengono riconoscimenti se fannoil minimo indispensabile!).

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Avevamo deciso di occuparci diprivacy, tema a forte impatto eti-co e per alcuni versi scottante.

In realtà però i due temi (sprechi e pri-vacy) si sovrappongono producendo unmiracolo: farmacisti e medici per unavolta incassano il plauso del Movimen-to Consumatori e quello di Cittadinan-zattiva.Quanto era in essere è di gran lunga mi-gliore, più sicuro di quello che verrà.L’avvento della tessera sanitaria susci-ta infatti molti sospetti, in termini diprivacy.I consumatori/cittadini in base all’arti-colo 50 della legge 362/2003 trovano li-miti al loro diritto alla riservatezza.Vediamo come: l’informativa sulla pri-vacy resa nota dalla Regione Lombar-dia impone al cittadino di apporre unafirma se vuole entrare in possesso del-la tessera necessaria per usufruire del-le prestazioni sanitarie. Peccato chequella firma autorizzi altri soggetti al-

la lettura dei dati, dando luogo ad unainfelice invasione di campo.Il Movimento Consumatori ha correla-to le due vicende, rammentando le fol-lie di un sistema pieno di improvvisa-zioni, con evidente spreco di denaropubblico. Ha citato i soldi buttati (730milioni di euro) per affidare a una so-cietà privata, la Sogei, il monitoraggiodella spesa farmaceutica in Italia.Non basta: dopo aver affidato il con-trollo di quanto è farmaco ad una Agen-zia specifica (Agenzia del Farmaco),senza motivo plausibile questa vienedestituita del suo potere, per affidare adun privato, senza nessuna gara di ap-palto, il prestigioso compito. Curioso,non trovate, visto che il controllo dellaspesa farmaceutica funziona già da tem-po a costo zero. Da anni sono monito-rate sia le informazioni relative alle pre-scrizioni, sia l’incidenza del loro costo.Con il vecchio sistema si risale dal far-maco al medico prescrittore e soprat-tutto si tutela la privacy dei singoli cit-tadini. Il controllo è esercitato attraver-so le farmacie da meccanismi di verifi-ca messi in atto dalle regioni.La novità è insita nei costi e nelle mo-

dalità del nuovo sistema che manderàfuori controllo ogni spesa almeno sinoa quando quello nuovo non sarà messoa regime. Nel frattempo non ci sarannopiù dati da leggere e gestire per il con-trollo della spesa. Geniale!Di mezzo c’è il Ministero dell’Econo-mia che ha deciso di non riservare la ne-cessaria attenzione all’appropriatezzadelle prescrizioni farmaceutiche limi-tandosi al solo controllo della spesa far-maceutica. Il solo dato economico sem-bra essere degno di interesse dopo anniin cui si è letto di tutto e di più a pro-posito di farmacovigilanza e farmacoe-conomia.Curioso paese il nostro: a dispetto del-la logica si spendono cifre importantiche potrebbero essere più proficua-mente destinate alla integrazione deifondi per la assistenza farmaceutica, co-me ha segnalato lo stesso assessore al-la Salute della Regione Toscana, Enri-co Rossi, per altro membro del consigliodi amministrazione dell’Agenzia delFarmaco.E’ il parere di uno che se ne intende, nonquello di un esperto del Ministerodell’Economia.

Degli sprechi ci sarebbe piaciuto parlarein una prossima occasione

pagine a cura di Medardo Moskovsky

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«ITINERARI VERDI»in LOMBARDIA

Trentun nuovi “itinerariverdi” in Lombardia: 1.700

chilometri di piste ciclo-pedonali in aree rurali, per

lo più lungo i canali, lealzaie e gli argini dei corsi

d’acqua che caratterizzanola campagna lombarda.

Èl’attuazione in Lombardia delprogetto “Rever Med - ReteVerde del Mediterraneo Occi-

dentale”.Il progetto mira a completare la reteverde europea del Mediterraneo.In Lombardia consisterà, in particolare,nella riqualificazione dei canali di bo-nifica e di irrigazione e delle stradedelle alzaie, nel recupero delle lineeferroviarie dismesse, nell’utilizzo dellestrade campestri o a scarso traffico, inun’ottica sia di salvaguardia ambien-tale sia di promozione turistico-ricrea-tiva.E’ previsto il recupero di 430 chilome-tri di strade su alzaie e di strade di ser-vizio lungo i canali, sulle quali ver-ranno costruite le piste ciclo-pedonali.Saranno i consorzi di bonifica a predi-sporre i piani di lavoro per l’attuazioneconcreta del progetto, progetto cheviene realizzato anche in zone similaridi Francia, Portogallo e Spagna.

Inoltre, lungo tutti questi itinerari eco-logici ci saranno anche luoghi impor-tanti da visitare come chiese, abbazie,ruderi di monumenti e di piccoli bor-ghi, tutte testimonianze storiche chesono e devono restare nella memoriastorica della nostra regione.Si tratta di un progetto che coinvolgeanche la Valtellina in tutta la sua lun-ghezza con un percorso che collegheràFuentes a Tirano seguendo l’astadell’Adda; un secondo percorso se-guirà la via del Mera e del Lago di No-vate Mezzola collegando Colico aChiavenna.Vediamo qui di seguito nel dettaglio gliinterventi previsti che saranno finan-ziati con i fondi dell’Unione Europeaed in piccola parte anche con quellidella Regione Lombardia.

di Lorenzo Croce

«ITINERARI VERDI»in LOMBARDIA

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1) Ticino e Naviglio Grande Milanese:collega il lago Maggiore da Sesto Ca-lende alla darsena di Porta Ticinese aMilano, seguendo la storica via d’acquadel Ticino e del Naviglio Grande (65,8chilometri).

2) Morene Varesine: collega Varese e ilParco del Ticino a Sesto Calende (Va-rese) per una lunghezza di 31 chilome-tri.

3) Ex ferrovia Varese-Como: l’itinerarioriguarda il tratto Malnate-Camerlata, inprovincia di Varese, per una lunghezzadi 18 chilometri.

4) Ex ferrovia della Valle Olona: la pistaciclo-pedonale collegherà Malnate (Va-rese) a Parabiago (Milano), per unalunghezza di 29 chilometri.

5) Canale Villoresi: l’itinerario del Villo-resi è un corridoio verde di collega-mento fra i parchi del Ticino edell’Adda, da Tornavento (Varese) aGroppello d’Adda (Milano), lungo 70chilometri.

6) Canale Scolmatore di Nord-Ovest: l’iti-nerario, in fase di realizzazione, tra ilTicino, il Naviglio Grande e il CanaleVilloresi, si estende da Abbiategrasso aBollate, in provincia di Milano, per 22chilometri.

7) Brianza: da Maslianico (Como), al con-fine con la Svizzera, attraverso laBrianza e costeggiando il Parco diMonza e il Parco della Valle del Lambro,fino a Milano, a poca distanza dall’iti-nerario del Naviglio della Martesana(55 chilometri).

8) Naviglio della Martesana: da Milano aGroppello d’Adda (Milano), per 26 chi-lometri.

9) Martesana-Muzza: l’itinerario, in fasedi realizzazione, va da Cassina de’ Pec-chi a Paullo, in provincia di Milano, peruna lunghezza di 15 chilometri.

10) Canale della Muzza: pista che unisceCassano d’Adda (Milano) con Pizzighet-tone (Cremona)attraverso le campagnelodigiane (60 chilometri).

11) Valle dell’Adda: da Garlate, a sei chilo-metri da Lecco, a Crotta d’Adda, vicinoa Cremona, per 136 chilometri.

12) Naviglio di Bereguardo: attraversa labassa pianura lombarda, da Abbiate-grasso (Milano) a Pavia, per 29,3 chi-lometri.

13) Naviglio di Pavia: dalla Darsena diPorta Ticinese a Milano alla conca delNaviglio di Pavia per un percorso di30,5 chilometri.

14) Po: dalla stazione ferroviaria di CandiaLomellina, in provincia di Pavia, a Stel-lata, vicino a Mantova, per 300 chilo-metri circa, dedicati a ciclisti, pedoni ecavalieri.

15) Oltrepò Pavese: dal ponte di MezzanaCorti a Varzi, in provincia di Pavia, per51,5 chilometri.

16) Naviglio Cremonese: dal Canale Vac-chelli di Spino d’Adda a Cremona per 56chilometri.

17) Oltrepò Mantovano: da Sabbioneta aStellata, in provincia di Mantova, per102 chilometri.

18) Bonifica Parmigiana-Moglia: 16 chilo-metri che mettono in comunicazionegli itinerari del Po e dell’Oltrepo man-tovano con il territorio emiliano (Carpie Modena).

19) Valle del Mincio: l’itinerario oltrepassaMantova abbandonando il Mincio everso sud si collega con l’itinerario delPo a Borgoforte (Mantova), per 57 chi-lometri.

20) Morene del Garda: da Brescia ai Mulinidella Volta (Mantova) su un percorso di58 chilometri.

21) Riviera degli Ulivi: da Virle a Salò, inprovincia di Brescia, per 22 chilometri.

22) Colline Prealpine e della Franciacorta:da Brescia a Bergamo per 56 chilome-tri.

23) Bassa Bresciana: da Brescia a Casal-buttano (Cremona) su un tragitto di 55chilometri.

24) Isola Bergamasca: da Bergamo a Im-bersago (Lecco), per 25 chilometri.

25) Valtellina: da Colico (Lecco) a Tirano(Sondrio) per 64 chilometri.

Questi sonoi sei interventi “minori”:

26) Valchiavenna: da Colico (Lecco) fino aChiavenna (Sondrio), per 25 chilome-tri.

27) Ex ferrovia della Val Brembana: a Ber-gamo si entra in Val Brembana e lungoil tracciato già recuperato della vec-chia ferrovia si arriva a Piazza Brem-bana (40 chilometri).

28) Genivolta-Adda: il percorso, attual-mente in fase di studio e che interessail Parco naturale del Serio, interessa labassa pianura bergamasca da Genivolta(Cremona) a Groppello d’Adda (Milano).Il percorso è di 45 chilometri.

29) Valle Camonica: il collegamento è fraPisogne e Capo di Ponte, sede del Parconazionale delle incisioni rupestri, beneiscritto nel patrimonio Unesco, su unpercorso di 32 chilometri.E’ allo studio il prolungamento dell’iti-nerario fino a Edolo.

30) Oglio: da Monticelli d’Oglio, puntod’incontro dell’itinerario della bassabresciana, a Bocca d’Oglio, dove si in-contra con l’itinerario del Po. La lun-ghezza del percorso è di 58 chilometri.

31) Chiese: il collegamento è fra Gavardo(Brescia) e Canneto sull’Oglio (Mantova)per un percorso di 55 chilometri.

Le foto del sentiero Valtellina sono diGiampaolo Palmieri.

Questi in dettaglio sono i 31 itinerari (25 principali e 6 “minori” perché non “toccano” i capoluoghi di provincia, ma sono di rilevanza non inferiore) che attraversano tutta la regione peruna totale di 1.708 km.

LA SCHEDA

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In Francia è di attualità - tra i più bla-sonati produttori di vini, tra cui: Do-maine Le Roy in Borgogna, Cha-

teau de la Roche-aux-Moines nella Loi-ra, Maison Chapoutier nella valle delRodano, e Domaine Zind Humbrechtin Alsazia - un modo innovativo di pro-durre vino ormai noto come “biodyna-mics”: che è una forma di viticolturanella quale tutto il lavoro in vigna ed incantina è svolto seguendo scrupolosa-mente i cicli lunari, l’allineamento deipianeti e tecniche agronomiche non in-vasive.Il leader dei Biodynamics è NicolasJoly, carismatico proprietario della ri-nomata tenuta di Chateau de la Roche-aux-Moines. Joly è anche l’autore del li-bro “Il vino, dal cielo alla terra”, bibbiadegli aspiranti biodinamici. Alcune sueaffermazioni sono condivisibili come:“gli erbicidi distruggono la vita micro-batterica nel suolo. Senza di essa la vi-te non riesce a nutrirsi al meglio”. Al-tre, più esotiche, le lasciamo a coloroche volessero cimentarsi con la letturadel libro. Le sue teorie si fondano sul ri-spetto del ciclo naturale delle piante edenunciano l’abuso delle pratiche anti-parassitarie che creano intorno allapianta un’innaturale cintura asettica do-ve non c’è vita microbatterica. Non ef-fettuare i trattamenti, o limitarne l’uso,è per il viticoltore più rischioso, ma sel’approccio è scientifico e vi è un attentomonitoraggio delle patologie che si svi-luppano nel vigneto, il risultato è la pro-duzione di un’uva migliore, con menoresidui chimici e quindi di un vino piùsano, più naturale, più vivo e profuma-to.Alcune pratiche biodinamiche che siispirano alle teorie di Rudolf Steiner , fi-losofo austriaco (1861-1925), in verità,sono tradizionali ed i nostri avi, adesempio nei travasi, già le seguivano.Altre, come quella che i francesi furbe-scamente chiamano “preparation 500”,sono al limite della ragionevolezza. In-fatti un noto scienziato americano,

Anthony Aveni, molto vicino al nostroillustre astrofisico Prof. Antonino Zi-chichi, le bolla con queste parole: “Nonvi sono prove scientifiche che avallinotaluni comportamenti. Ci sono molteragioni, le più disparate, perché la gen-te arriva ad affidarsi a pratiche esoteri-che. Il mio personale parere è che, dalpunto di vista scientifico, talune di que-ste pratiche sono irragionevoli”.Dopo aver incassato il freddo e lapida-rio parere di un eminente scienziato nonrimane che analizzare perché biodyna-mics, a dispetto del categorico parere diillustri scienziati, ha un così convinto se-guito, in particolare da parte dei più ri-nomati produttori francesi.Il problema ricorrente dei produttori divini storici, tra i quali, appunto, i fran-cesi, ma anche gli italiani, è come usci-re indenni dalle secche della rapidaperdita di significative quote di mer-cato a favore dei paesi emergenti cheoggi possono vantare impianti vitivi-nicoli nuovi, nei quali vengono messia dimora i migliori vitigni scelti fraquelli scientificamente più adatti allespecifiche tipologie dei loro terreni.Questi impianti sono poi realizzati edorganizzati al fine di minimizzare i co-sti con la massima automazione possi-bile delle attività agricole connesse al-la produzione, ai trattamenti ed allaraccolta. L’uva che si ottiene è gene-ralmente di livello qualitativo elevato econsente di produrre ottimi vini a prez-zi decisamente competitivi.Biodynamics può essere la risposta deiproduttori storici dislocati nelle tradi-zionali aree di produzione, soprattutto inEuropa, alle minacce provenienti dainuovi agguerriti competitors. Biodyna-mics, infatti, valorizza l’unicità di unaparticolare produzione. I francesi espri-mono efficacemente con la parola “ter-roir” questo importante concetto. L’uni-cità di un vino è legata indissolubil-mente al contesto ambientale, territo-riale e culturale che lo ha originato. Lanobiltà di un vino è fortemente ancora-

ta al vissuto del territorio che lo vedenascere. E’ proprio il caso di dire “no-blesse oblige”.Un vino francese o italiano ha, per unintenditore, decisamente più appeal diun vino australiano, filippino o russo.I francesi sanno che questo, nel raffinatomondo che ruota intorno al consumodel vino di qualità, è il miglior vantag-gio competitivo. Non è un caso, adesempio, che i vini prodotti nei Do-maine Leroy e nei Domaine Leflaivespuntino prezzi anche di 1.000 $ allabottiglia e gli acquirenti, generalmentenordamericani e giapponesi, nel preno-tare le migliori annate, non battano ci-glio. Sarebbero, anzi, un po’ delusi sele due prestigiose case vinicole france-si offrissero loro, a prezzi più contenu-ti, questo prezioso nettare.Il segreto, come nella moda, è crearecon intelligenti azioni di marketing lagiusta immagine, il particolare richia-mo, il contesto unico ed inarrivabile.Queste politiche creano la dominanzaed eliminano la concorrenza.Una intelligente azione di marketing èproprio biodynamics: vini speciali edunici creati da pochi nobili eletti chevinificano da generazioni con metodispeciali ed assolutamente personali, nonimitabili. Questi vini sono profonda-mente legati al loro territorio ed alle lo-ro nobili origini.Quanto è disposto a spendere un esti-matore per avere questo nettare da mo-strare e servire nelle migliori occasio-ni? Non vi è certamente una questio-ne di prezzo. Siate pure certi che i fa-coltosi nordamericani, i giapponesi maanche i russi, i cinesi ed i nuovi ricchisgomiteranno per contendersi questoprezioso nettare degli dei, prodotto se-guendo le indicazioni delle stelle e chesolo pochi facoltosi eletti potranno gu-stare.

Trend vinicoli d’oltralpe:biodynamicsdi Angelo Granati

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Così recita all’art. 1 una legge chearriva con quasi sessanta anni daquei tragici fatti durante i quali

quelle povere vittime dell’odio, dell’in-tolleranza, della violenza totalitarista so-no state oggetto di rimozione, di nega-zione, addirittura di falsificazione. Mai fatti non cessano di esistere perchéqualcuno vuole ignorarli e seppellire persempre una memoria scomoda, una me-moria con cui non si ha il coraggio onon si vuole fare i conti. Viene il mo-mento in cui le vittime gridano più for-te dei loro assassini, prevalgonosull’ignavia di alcuni e sul cinismo dialtri. Su quelle tombe dimenticate, sen-za fiori, senza nomi, senza commemo-razioni ufficiali, senza bandiere e auto-rità a ricordarli, per 50 anni è regnatoil silenzio dei vivi, che ha offeso il si-lenzio dei morti e ucciso un’altra voltaquegli uomini.Le foibe ricordano l’orrore assoluto diquelle stragi, reso ancora più dramma-

tico perché quei posti sono sempre sta-ti visti dalla popolazione locale comemaledetti, sconsacrati, bocche inferna-li, immondezzaio aperto e profondo do-ve venivano gettati rifiuti di ogni generee tutto ciò che si doveva o si voleva di-smettere, occultare, dimenticare. Dopotanti anni però è venuto il momento diaprire gli armadi, tirare fuori gli sche-letri, superare ipocrisie e omissioni. E’venuto il momento di commemorarequelle migliaia di italiani trucidati daititini: una parte furono infoibati, la mag-gior parte morirono per fame, malattia,violenze, maltrattamenti nei campi diconcentramento o furono uccisi dai sol-dati durante le operazioni di raccolta edi trasferimento verso i campi di mor-te. Ancora oggi non siamo in grado didire quanti siano stati gli infoibati,quanti i deportati, quanti gli uccisi inprigionia. Eppure per decenni il dibat-tito sui numeri ha suscitato più interes-se di quello sulle cause, le responsabi-

10 FEBBRAIO:Giorno del ricordodi Pierangela Bianco

Il 30 marzo 2004 laCamera e il Senato dellaRepubblica italiana hannoapprovato la legge n. 92che istituisce il “10febbraio quale Giorno delricordo al fine diconservare e rinnovare lamemoria della tragediadegli italiani e di tutte levittime delle foibe,dell’esodo dalle loro terredegli istriani, fiumani edalmati nel secondodopoguerra e della piùcomplessa vicenda delconfine orientale”.

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lità e le dinamiche. Si è cercato di spo-stare sulle cifre il compito di spiegareil senso di una persecuzione. E’ ora dismettere di nascondersi e affrontare concoraggio la sostanza del problema. Sideve dire chiaramente che questa tra-gedia fu un insieme di azioni terroristi-co-militari per eliminare quanti eranocontrari all’annessione alla Jugoslavia,alla slavizzazione forzata e al regime diTito, come ricorda il sen. Leo Valianiche in un’intervista al Corriere della Se-ra del 21/8/96 disse: “Non ho maismesso di deplorare l’eccidio di italia-ni nelle foibe eanche fuori dal-le foibe: tuttiquei morti perestirpare l’ita-lianità dellecittà della Vene-zia-Giulia. Iosono di Fiume,quanti mieiconcittadini fu-rono vittime diquel l ’orrore.Ammazzaronofascisti e antifa-scisti, ma anchetanti apoliticicon la sola col-pa di essere ita-liani”.Si trattò di unodei punti piùacuti delle trage-die del ‘900, secolo in cui il totalitari-smo ha seminato milioni di vittime perodio etnico e ideologico dispensato apiene mani. Fra le tragedie di quel “se-colo del male” vi è anche l’eliminazio-ne nelle foibe, espressione di un nazio-nalismo violento coperto dal silenziodello Stato e legittimato da interessi diparte dai quali ancora oggi troppi nonriescono a prendere le distanze. A ri-prova, se mai ve ne fosse ancora biso-gno, che ieri non sapeva chi non vole-va sapere, chi era anti ciò che gli face-va comodo o gli conveniva, ma non eracerto anti-totalitario. Oggi pure.Per anni su questi problemi è stato ca-lato un tragico silenzio: ma la storia fat-ta di silenzi, di falsificazioni, di misti-ficazioni non è maestra di vita, non aiu-ta a capire. Ricordare tutta la storia, an-che gli episodi più scabrosi, più tor-mentati o vergognosi significa educarei giovani alla conoscenza il più possi-bile obiettiva, all’eliminazione dellecensure, alla comprensione delle ragio-ni dell’altro. La Scuola italiana è stata

In questo mese di febbraio è statacelebrata la “giornata del ricordo”per commemorare le vittime delle

foibe, le stragi compiute contro gli ita-liani dall’esercito jugoslavo nelle re-gioni di confine tra l’autunno del ‘43ed il ‘45.Forse a distanza di tanti anni i ricordiragionati prendono finalmente il via alposto dei rancori. La giornata è stata ingenere ispirata a sentimenti di conci-liazione e di dialogo, ma senza rinun-ciare a capire il perché di quelle effe-ratezze: conseguenze di ideologie raz-ziste di regimi dittatoriali.L’accento è stato posto sulle sofferen-ze di Istriani, Fiumani e Dalmati co-stretti all’esodo.Solo il ricordo di ciò può impedire al-le foibe di ripercorrere la stessa stradadell’odio. Ricordando che le foibe so-no state una tragedia italiana ed euro-pea ora l’Italia democratica può af-frontare la rilettura della sua storia sen-za che nessun episodio possa essere

utilizzato come strumento nella lottapolitica quotidiana.Il silenzio è durato troppo a lungo.L’impegno di tutti deve essere quellodi ricordare , non per rinnovare i con-trasti ma per costruire insieme le ra-gioni forti di un reciproco riconosci-mento. Il ricordo deve servire per fareluce sulla verità e non per fare propa-ganda ai partiti politici. L’Azione Gio-vani ha indetto nell’occasione una ma-nifestazione per spiegare a chi non sache le foibe sono le cavità carsiche do-ve furono uccisi decine di migliaia diitaliani, vittime dei partigiani comu-nisti del Maresciallo Tito.Una pagina triste e poco ricordata nel-la storia italiana, questa, sulla quale laprima Repubblica ha steso un velo.Si tratta invece di consegnare alla sto-ria un momento drammatico che devefare ancora molti conti con il suo pas-sato per aprire un ciclo di incontri, de-dicati ad eventi dimenticati.

Le foibedi Ada Tansini

colpevolmente carente, i libri di testohanno taciuto, con qualche lodevole ec-cezione, fino a questi ultimi anni o nehanno parlato in modo volutamente fal-so e distorto. Del resto è ormai chiaroa tutti che si sono usati due pesi e duemisure nell’analisi delle pagine più do-lorose e vergognose della storia del‘900.Non si sono valutati i fatti ma si è con-dannato, ignorato o elaborato prete-stuose costruzioni concettuali giustifi-cazioniste a seconda di chi avesse com-messo certe azioni.

Con questa legge siricorda un capitolodoloroso, che erastato rimosso dalricordo collettivo:si comincia a scri-vere una paginabianca e a correg-gere vergognosestorture.Il PresidenteCiampi in visita aTrieste nel febbraiodel 2000 si recò al-

le foibe di Basovizza che definì “unaorribile manifestazione di violenza daesecrare e da non dimenticare”. Auto-revoli ed illuminate parole sulle qualispero vogliano riflettere tutti gli amma-lati di negazionismo, soprattutto se au-tori di libri di testo e docenti. Se rievo-care gli errori deve servire a non ripe-terli, perché dopo tanti anni ci si ostinaa tacere, a minimizzare, a falsificare unaparte di storia che ci riguarda così da vi-cino?Scrivere quella pagina per comprende-re come e perché sia successo significarendere onore alle vittime, elaborareuna memoria condivisa del passato sen-za la quale non si creano le premesse peruna reale comune identità nazionale. Si-gnifica anche educare alla verità e su-perare i vizi ideologici che rendono cie-chi e stolti.E’ pur vero che il grembo che partori-sce l’idiozia è sempre fecondo, ma fac-ciamo in modo di limitare il più possi-bile le nascite, o almeno di correggerein fase di sviluppo.

Le foto sono di Angelo Sgualdino

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nale e ripristinando lo stato armonicodi salute.Anche con una corretta alimentazionespesso non si riesce a far fronte alle ri-chieste del nostro organismo e a soppe-rire alle sue necessità. Si può verificarecosì una carenza di uno o più mineraliindispensabili al nostro benessere, checomporta un rallentamento delle rea-zioni enzimatiche e cellulari … sintomidi invecchiamento.Attualmente si fa sempre più ricorso airimedi vegetali e alle vitamine per sti-molare il sistema immunitario e nel cu-rare diverse patologie.

Stare bene, vivere meglioin salute ed in armoniaè un’aspirazione di tutti

gli uomini ma non tutti sannoche quantità rilevanti del no-stro corpo sono dominate dapochi grammi di metalli emetalloidi, in tracce, checome catalizzatori favori-scono i processi biologici.Alcuni elementi, contribui-scono alla difesa da nume-rose malattie, alla produzionedi energia, alla trasmissionedegli impulsi nervosi e pre-siedono ad altre importantifunzioni come liberare le cel-lule dalle sostanze tossiche.Dovrebbero essere integratiquotidianamente, attraversominuscole particelle, nelladieta e da chi svolge attivitàsportive o conduce una vitafrenetica. La moderna alimentazionenon riesce a sopperire a talifabbisogni indispensabili,che vanno necessariamentecompensati. Infatti, il corpoumano è sempre più sottopo-sto non solo a situazioni distress, ma anche al massiccioinquinamento atmosferico,all’abuso di farmaci, all’assunzione dicibi poveri. La causa principale va ri-cercata nell’esagerato impiego di pesti-cidi e prodotti chimici in agricoltura e atutti i processi di raffinazione e trasfor-mazione dei prodotti alimentari. Que-ste condizioni sfavorevoli possono pro-vocare nell’individuo un fenomenochiamato “ametallosi”, cioè una ca-renza di atomi metallici, che favorisceuno squilibrio generale dell’organismoe porta all’insorgere di malattie funzio-nali. Solo correggendo lo stato caren-ziale di ametallosi si riequilibra il me-tabolismo, guarendo la malattia funzio-

L’oligoterapia è un metodoper prevenire e curare le ma-lattie attraverso l’assunzionedi sostanze chimiche chia-mate “oligoelementi”.Questi funzionano da regola-tori del metabolismo, affian-cano e permettono sial’azione degli enzimi che de-gli ormoni, nonché delle vita-mine in tutti i tessuti dell’or-ganismo. Sono presenti nelcorpo umano in piccolissimequantità svolgendo la fun-zione di catalizzatori, facili-tando e rendendo più velocitutte le reazioni biochimiche,così da renderle compatibilicon i tempi della vita chesono rapidissimi. Gli oligoe-lementi fanno infatti parte delnostro “pool enzimatico”.Come le vitamine, essi vannoassunti giornalmente, poichéqueste sostanze sono insosti-tuibili e la loro carenza puòprovocare alterazioni struttu-rali e fisiologiche. Sono impiegati nel tratta-mento dei disturbi allergici,respiratori, infettivi, digestivi,osteo-articolari, dermatolo-

gici, endocrini, distonie neurovegeta-tive, ansia, depressioni, astenie e neidisturbi del sonno e dell’emotività.L’oligoterapia inoltre può essere ancheassociata all’omeopatia, alla fitoterapiaed anche alla medicina allopatica.Le piccolissime quantità necessarie dimetalli a scopo terapeutico possono es-sere fornite per via nutrizionale, attra-verso integratori alimentari o con veri epropri farmaci.

L’oligoterapia si avvale di tre ap-procci terapeutici per l’assimilazionedi minerali e metalloidi: quello catali-

Insonnia, influenza, depressioni:gli oligoelementi sono un rimedio naturale per curare alcune malattie

funzionali che possono colpire il nostro organismo

di Carmen Del Vecchio

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tico, nutrizionale e farmacologico.L’approccio nutrizionale è basatosull’integrazione alimentare di oligoe-lementi nelle situazioni di carenza o diaumentato fabbisogno. Per semplifi-care il concetto, basta pensare allasomministrazione in dosi ponderali delmagnesio dopo un’eccessiva sudora-zione oppure al calcio a donne in statodi gravidanza o nel caso di osteoporosi,il rame invece è usato per curare reu-matismi o dopo un’intossicazione daalcool.Il manganese, in natura è conte-nuto nella frutta secca nei ce-reali e nei legumi secchi; il cal-cio si trova nel latte, nella soya,negli ortaggi verdi, nel pesce,nella farina di conchiglia diostrica, nella farina di ossa.Senza questo minerale non sipossono avere ossa e denti sani.Il rame è presente nel fegato enei crostacei. L’approccio cata-litico si basa sull’impiego dimetalli o metalloidi purificati,in dosi piccolissime ma non in-finitesimali, non necessaria-mente quando è presente unacarenza, ma quando è necessa-rio un impiego terapeutico permalattie funzionali di vari or-gani o apparati secondo la teo-ria delle “diatesi o quadri pato-logici”.Per diatesi, in oligoterapia cata-litica, si intende una tendenzamorbosa del terreno di una per-sona, che coinvolge tutto il suoessere sia fisico, sia psichico.Più recentemente si è configu-rato l’approccio farmacologico,basato sulla somministrazionedi elementi minerali a dosi ele-vate, nel trattamento di alcuniquadri morbosi. In particolare èusato per curare le arteriti, at-traverso la somministrazioneche avviene con iniezioni intra-arteriali. Questo approccio èutilizzato soprattutto in Franciae solo da specialisti del sistemacardiocircolatorio.

Patologie e cure in oligoterapiaL’oligoterapia prevede l’esistenza diquattro quadri patologici, detti “dia-tesi”, in base alla tipologia dei soggetti,e classifica i malati in ciascuno di essi.Prima di tutto è bene tener presente chel’apparizione di una malattia è legata anumerosi fattori che possono causare ladeviazione dallo stato di armonia

(dall’insulto alla salute) nello svolgi-mento delle funzioni vitali. La causapuò dipendere tanto dall’agente pato-geno, infatti, le malattie possono esseresia parassitarie (infettive) che fisiopatie(causate da agenti non infettivi) che perla progressiva usura dovuta all’età edagli insulti fisici e psichici della vita,quanto alla sensibilità dell’organismo aquest’ultimo e dal carattere del sog-getto che lo può spingere a reagire inmaniera diversa alle situazioni.In oligoterapia grande importanza ha la

modalità e il periodo di assunzione deiprodotti. Risulta quindi necessario unaccurato esame da parte del medico,che cerca di individuare la tipologia diappartenenza o predominante, per poipoter usare il rimedio terapeutico piùadatto.I pazienti vengono classificati in oligo-terapia considerando il loro fattore ere-ditario, la loro recettività o resistenza a

Bismuto: indicato nelle affezioniotorinolaringoiatriche (tonsilliti, la-ringiti, faringiti).

Calcio: una sua carenza può deter-minare rachitismo, carie dentaria, fra-gilità delle unghie, reumatismi ed ec-zemi.

Cobalto: componente essenziale del-la Vitamina B12. Una sua carenza puòcausare l’anemia.

Ferro: svolge un ruolo fondamentalenella formazionedell’emoglobina del san-gue. Una sua carenzapuò causare l’anemia.

Fluoro: indicato nei ca-si di lassità dei lega-menti, rachitismo, di-storsioni o strappi mu-scolari.

Fosforo: svolge un ruo-lo importante nel meta-bolismo delle ossa, deilipidi e dei protidi. Unasua carenza può com-portare disturbi dell’ac-crescimento con dete-rioramento delle ossa edei denti.

Iodio: garantisce unbuon funzionamentodella ghiandola tiroide.Una sua carenza puòprovocare disturbidell’accrescimento, psi-chici e circolatori.

Litio: una sua carenzapuò indurre numerosi di-sturbi psichici, quali ipe-ransietà, iperemotività,insonnia, depressione.

Magnesio: complementodel Calcio, una sua ca-renza può determinareun calo di forma, ac-compagnato da irritabi-lità e depressione, oltreche da disturbi cardiaci.

Manganese: svolge un ruolo impor-tante in numerosi sistemi enzimati-ci responsabili dello sviluppo osseo,della lubrificazione delle articolazio-ni e del corretto utilizzo degli zuc-cheri. Una sua carenza può causareuno stato di affaticamento generale,diminuzione della libido, insonnia,vertigini, disturbi artritici.

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certe malattie, il loro comportamentofisico o psicologico:• diatesi 1 o allergica: il paziente pre-

senta una costituzione iperreattiva,energica, impetuosa e quindi il suoorganismo reagisce in maniera esage-rata alle situazioni e quindi è predi-sposto alle allergie, a disturbi dige-stivi e intestinali;

• diatesi 2 o ipostenica: il paziente pre-senta una costituzione iporeattiva cheeconomizza gli sforzi, non passionalee reagisce con stanchezza agli sforzipresentando scarse difese organiche equindi è predisposto ad infezioni, in-fiammazioni, artrite, diabete;

• diatesi 3 o distonica: il paziente pre-senta disordine metabolico, una ten-denza psicologica alla stanchezzaprogressiva con tendenza all’ansia, alnervosismo, alla malinconia ed è pre-disposto ai disturbi neurovegetativi,circolatori e cardiovascolari;

• diatesi 4 o anergica: il paziente pre-senta astenia grave, scarse o quasinulle le autodifese fisiche e moralicon tendenza alla depressione, alla ri-lassatezza e al disincanto.

Ogni disturbo della funzione fisiologicaè curato con specifici oligoelementi.Per la diatesi allergica si utilizza ilmanganese; per la diatesi ipostenica siutilizza il manganese - rame; per la dia-tesi distonica si utilizza il manganese -cobalto; per la diatesi anergica si uti-lizza il rame - argento - oro.Le diatesi 1 e 2 sono dette anche “dia-tesi di nascita” in quanto condizionatedal patrimonio genetico e familiare,mentre la 3 e la 4 sono dette “diatesi diinvoluzione” per il progressivo veniremeno della vitalità.Una volta individuata la situazione delpaziente si passa alla somministrazionedegli oligoelementi sotto forma di fialecon soluzioni diluitissime, sempresotto il controllo di un medico naturo-pata, sia a scopo preventivo, sia pertrattamenti in fase acuta, sia per tratta-menti in fase capsule, sempre sottocontrollo di un medico specialista e ascopo preventivo.Si deve sempre tener presente che que-ste terapie possono essere usate solonel caso di malattie funzionali relativea squilibri biologici e non di natura le-sionale: per questo motivo viene intro-dotto il termine di Medicina Funzio-nale per indicare il metodo clinico - te-rapeutico per lo studio e il trattamentodi tali disturbi.

Gli oligoelementi presenti nel nostroorganismo sono circa una ventina,dei quali almeno 10 sono essenziali,cioè non possono assolutamentemancare nella nostra dieta, se nonvogliamo ammalarci.Quelli essenziali sono: ferro, rame,zinco, manganese, molibdeno, iodio,fluoro, cromo, selenio e cobalto.A questi se ne aggiungono altri, chepur non essendo essenziali, sono uti-lissimi in quanto facenti parte del no-stro pool enzimatico; essi sono il litio,il vanadio, il bismuto ed altri.Quando nasce l’uso degli oligoele-menti?L’uso di elementi naturali presenti innatura ci riporta alle prime civiltàumane: egizia e romana. Esse, anchese in modo empirico, li utilizzavanoper scopi terapeutici: braccialetti dirame per prevenire le infezioni e com-battere i reumatismi, o l’argento per lesue proprietà antinfettive o il magnesiocome sedativo.Nel 1894 Gabriel Bertrand evidenziail ruolo essenziale volto dagli oligoe-lementi nella creazione dei biocataliz-zatori.Gli oligoelementi non sono “biocata-lizzatori”, sono sostanze chimiche, inparticolare metalli o metalloidi, e ser-vono per creare all’interno dell’orga-nismo degli “enzimi” che svolgono laloro funzione di biocatalizzatori, cioèacceleratori delle reazioni chimiche,nella biologia vegetale ed animale.Bertrand giunge ad affermare, inaperta polemica con l’opinione deltempo che riteneva come impurità lapresenza di elementi in traccia, che“l’organismo appare come una sorta dioligarchia nella quale enormi masse dielementi passivi sono dominati da unpiccolo numero di elementi catalizza-tori”.Fu tuttavia il medico francese JacquesMenetrier che, negli anni trenta delnovecento, elaborò il sistema dell’oli-goterapia, basato sulla assunzione dioligoelementi in grado di ristabilirel’equilibrio degli scambi biochimicinell’organismo umano, e quindi mi-gliori condizioni di salute, e di raffor-zarne le difese naturali. Egli intro-dusse l’uso sistemico degli oligoele-menti in terapia, definendo l’oligotera-pia catalitica.Negli anni ’50 nasce un secondo indi-rizzo di oligoterapia quella nutrizio-nale ed infine negli anni ’60 quella far-macologica.

Intervista al Dott. Alfredo Torti Chimico e Farmacista,esperto in oligoterapia.

Di cosa si occupa precisamente?Sono consulente dell’azienda “Spec-chiasol” di Verona, leader in Italianella produzione di oligoelementi e fi-toderivati. Insegno oligoterapia inte-grata con la fitoterapia nelle scuole dinaturopatia e sono professore a con-tratto nella Facoltà di Farmaciadell’Università di Ferrara. La società ècomposta da medici, farmacisti, bio-logi, che svolgono attività informativae consultiva sull’utilizzo della meto-dica oligoterapica e sui risultati otte-nuti.Cosa cura l’oligoterapia?Insonnie, ansie, depressione, raffred-dori, influenze, malattie del sistemanervoso possono essere curati conl’oligoterapia. E’ una medicina natu-rale, complementare non convenzio-nale che si può associare anche contutte le metodiche terapeutiche, com-presa la medicina ufficiale.Gli oligoelementi sono elementi chi-mici presenti nel nostro organismoquindi assumendoli non apportiamonulla di estraneo al nostro organismo.Da quanto tempo l’oligoterapia èpresente in Italia?In Italia, l’oligoterapia ha iniziato lasua diffusione nel 1983 ad operadell’azienda “Specchiasol” per quantoriguarda la produzione e la commercia-lizzazione dei suoi oligoelementi e adopera mia e del compianto dott. Mar-zio Perdetti, con il quale ho iniziato atenere una serie di convegni per far-macisti, erboristi e medici sia nellescuole naturopatiche, sia in alcuneUniversità dove tengo seminari di ag-giornamento scientifico. Un altro con-tributo alla diffusione di questa meto-dica terapeutica l’ho fornito attraversoun libro edito nel 1988 con il titolo“Gli oligoelementi nel futuro terapeu-tico”, che è stato pubblicato e diffusoin più di 10.000 copie dalla G. M. Ri-chiuto Editore. Ora è stato pubblicatoun altro mio libro intitolato “Il pre-sente terapeutico degli oligoelementi”che rappresenta un aggiornamento conmolti argomenti nuovi del vecchio te-sto e prende in considerazione circa100 malattie funzionali che possonotrarre significativi vantaggi dagli oli-goelementi integrati con i derivatidelle piante.

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“L’umanitànon può seguiresolo il dio soldo”.

(Prima parte)

Intervista raccolta da Luciano Villa

In occasione della grande iniziazione delKalachakra per la pace universale, ap-portatrice d’energie positive, al mona-stero di Ky Gompa, ad oltre 4.000 metrinella remota valle himalayana dello Spi-ti in India, Luciano Villa alla guida di ungruppo di italiani del Centro Studi Tibe-tani “Sangye Cioeling” (il cui nome èstato dato da Sua Santità il Dalai Lama)e del Centro Studi “L’Angolo dell’Avven-tura” di Sondrio è stato ricevuto da SuaSantità il Dalai Lama cui ha posto unaserie di domande, che vi proponiamo.

Il saluto del Dalai Lama

Sono felice di incontrarvi. Sono qui con-venute molte persone animate da unasincera fede verso i valori spirituali.

Molti, come voi, sono venuti da paesi lon-tani e diversi tra loro, inclusi innumerevolipaesi europei. Tutto ciò mi fa sentire felice. Penso che questa partecipazione sia unfatto molto importante, proprio perché av-viene in quest’epoca caratterizzata da unagrand’attrazione per le cose materiali, incui ci si dimentica spesso dei valori inte-riori. Ritengo che, per poter essere una personafelice o una famiglia felice, i valori inte-riori umani siano un qualcosa di vera-mente essenziale. Perciò cerco sempre dipromuovere i valori di base della persona,al di là del fatto di credere o meno in unareligione. Nonostante le difficoltà di rag-giungere questo luogo sperduto e di tro-varvi una qualche precaria sistemazione,molte persone si sono date qui appunta-mento, il che significa che desideranorafforzare i valori umani. Per questo misento tanto felice. Se mi rallegro dal latospirituale, fisicamente, tuttavia, non misento molto in forma: per certi malesserid’alta quota, come il mal di testa (e di ciòSua Santità ride di gusto). Penso che anchevoi (e Sua Santità si rivolge direttamente anoi) abbiate avuto delle esperienze del ge-nere. (E Sua Santità riprende a rideregioiosamente).L’iniziazione del Kalachakra, al pari dellemie esperienze precedenti, ha sempre si-gnificato un grande raduno di massa,mosso da motivi non economici, né per vo-ler fare un’escursione, ma è spinto da pro-positi spirituali. Perciò, penso che, comeminimo, la motivazione positiva, l’espe-rienza spirituale vissuta positivamente,nello stesso luogo e nello stesso momento,può risultare d’un certo apporto per lapace mentale delle persone ed anche perun impatto positivo verso l’ambiente nelsuo insieme.

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Potrebbe parlarmi del suo rapportocon l’India?L’India, nella sua globalità, è il luogostorico del Buddhadharma, la terra deigrandi apostoli del Dharma: Nagarjunaed Aryasanga, che vedete raffigurati aidue lati del Buddha Sakyamuni, in que-sta gran tela o tanka, qui alle mie spal-le. Tutti questi grandi maestri vengonodall’India, e, partendo dall’India, ilbuddhismo ha raggiunto innumerevolilocalità differenti tra di loro: il SudestAsiatico, lo Sri Lanka, la Cina, il Giap-pone, il Tibet, la Mongolia ed una par-te della Siberia. Quindi, ad un certo pun-to, il buddhismo in India declinò. Ov-viamente il Buddhismo e l’Induismo so-no come fratelli gemelli, hanno tra lo-ro molte similitudini, come il Samadhi(il calmo dimorare) e il Vipassaana (laspeciale visione interiore), come pureparte degli insegnamenti del Tantra. An-che l’Induismo è interessato in questo.Una caratteristica davvero unica delbuddismo è il concetto dell’origine di-pendente. Ora, nel 21° secolo, sta na-scendo un crescente interesse per il bud-dismo in India. Ovviamente nell’Hi-malaya settentrionale, in Ladakh, Aru-nachal, Sikkim e qui nella Spiti Valley,ci troviamo in una popolazione da sem-pre familiarizzata con i valori della cul-tura buddista, del Tibet e del buddhi-smo. Negli ultimi 41 anni, da quandosono giunto in quest’area, ho notato trala popolazione di queste zone hima-layane un continuo sviluppo del propriopatrimonio culturale, incluso il Buddha-darma. Si tratta di un processo di svi-luppo culturale molto positivo. Ma nonbasta il fatto che qui sorgono dei tem-pli e dei monasteri. Tutto ciò è insuffi-ciente! Occorre studiare e apprendere ilBuddhadarma. Occorre dedicarsi al suostudio. Non è sufficiente pregare e re-

citare dei mantra. Questo è utile ma nonbasta! Occorre impegnarsi a studiare!

Quale contributo il buddhismo offreal patrimonio dell’umanità?E’ un dato di fatto che si sono avuti mol-ti cambiamenti, intesi come sviluppomateriale. L’umanità ha raggiunto unelevato sviluppo tecnologico e scienti-fico. Tutto ciò è di gran beneficio. Maallo stesso tempo l’umanità ha bisognod’un qualcosa d’altro che non siano so-lo i valori del denaro. Ciò è molto chia-ro. L’umanità non può seguire solo il diosoldo. Possiamo osservare con i nostriocchi che esistono persone che hannoproprio tutto, cui non manca proprionulla. Sono tuttavia persone molto in-soddisfatte, molto infelici. Il che signi-fica che, se il solo denaro è in grado dirisolvere tutti i problemi, inclusa l’in-soddisfazione e l’infelicità, i ricchinon possono avere motivo alcuno per la-mentarsi.Questa è la prova che la sola disponi-bilità finanziaria non è in grado di ri-solvere i problemi interiori, le insoddi-sfazioni e le infelicità, dando a questidelle risposte accettabili. Ne deriva, in-vece, la necessità di impegnarsi a pro-muovere sia i valori umani sia quelli spi-rituali. In altre parole, i bisogni umanihanno necessità di trovare delle spie-gazioni spirituali profonde ed accetta-bili. Esiste un livello di spiritualità nonconnesso a credenze religiose, esso simanifesta, in generale, nella condottaretta e giusta degli esseri umani. La na-tura umana di base è la gentilezza. Nelnostro sangue c’è la radice del prendersicura degli altri, perché l’essere umanoè un animale sociale. E da tempo im-memorabile nella nostra mente esisto-no i semi della comunità. In accordo conquanto espresso dalle moderne cono-

scenze della scienza medica, perfino ilfeto, quando è ancora nel ventre dellamadre, è in grado di riconoscerne la vo-ce. Ciò deriva dal fatto che l’esistenzad’ognuno dipende dall’affetto dellapropria madre. Il che sta a significareche, persino prima della nascita, avver-tiamo una sensazione di vicinanza,d’intimità perché la nostra sopravvi-venza dipende dal fatto che qualcuno,la madre appunto, si debba prender cu-ra di noi. Persino nelle prime settima-ne di vita, stando alle dichiarazioni del-la scienza medica, le carezze dellamamma rappresentano il miglior sti-molo per un buon sviluppo cerebrale delbambino. Il contatto fisico con la ma-dre è lo stimolo più importante per losviluppo delle capacità intellettive delnuovo essere. Questi sono i segni checi comunicano che siamo esseri umani,questi sono gli indicatori di quanto è im-portante l’affetto umano. Noi dipen-diamo dagli altri e non possiamo far-ne a meno. Sto parlando dell’istinto al-la comunità, del senso di prenderci cu-ra degli altri, del dimostrare gli uni ver-so gli altri le attitudini più compassio-nevoli: un cuore caldo. E questi sono ivalori umani di base, che, se osservati,sono in grado di rendere felici le per-sone che li praticano. E, se questi valo-ri sono vivi anche a livello famigliare,ne deriverà una ricaduta positiva, un cli-ma di felicità nell’ambito domestico.Noi tutti vogliamo vivere una vita feli-ce, perciò, fondamentalmente, deside-riamo star bene, non avere conflitti, mavivere una vita improntata a un benes-sere non tanto esteriore, ma che so-prattutto ci faccia star bene dentro. Vor-remmo insomma, una vita felice. Al dilà del fatto d’essere o meno pratican-ti d’una religione, ognuno desidera vi-vere una vita felice.La disponibilità economica è impor-tante, ma rappresenta solo un fattore. Ilpunto più importante è il raggiungi-mento della pace interiore, la pace del-la mente. Questa giunge solo se si haun cuore caldo. Questo valore umanobasilare è fondamentale! Ora viene lavera risposta alla tua domanda. Moltetradizioni religiose, pur diverse tra lo-ro, hanno grandi potenzialità per con-tribuire allo sviluppo di questi valoriumani, ed il buddismo è una di queste.Uno dei punti fondamentali del buddhi-smo è il concetto di interdipendenza,che si accorda molto bene col punto divista scientifico. Sono ormai innume-revoli gli scienziati che iniziano a mo-strarsi interessati a questo concetto

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buddhista. Tra questi, uno dei più au-torevoli scienziati indiani, chiamatoanche il Socrate dell’India, esponen-do i suoi scritti in una conferenza con-siderava le parole di Nagarjunasull’interdipendenza molto simili aquelle delle teorie scientifiche piùavanzate sulla natura e sulla realtà. Inquesto modo è emersa, ad esempio,una grande somiglianza tra le teoriedella fisica quantistica ed il concettod’interdipendenza buddista. Se ap-profondiamo la nostra ricerca, scopri-remo che non v’è alcuna sostanza chesia indipendente dalle altre. L’esisten-za sorge a causa di molti fattori, nonda sé stessa; ha molte interconnessio-ni, dipende da innumerevoli cause e,senza cause e condizioni, non può au-togenerarsi. La teoria quantistica ègiunta a conclusioni analoghe. Que-sto è attualmente un paradigma dellascienza, in sostanza sovrapponibile aduna delle affermazioni di base delbuddhismo. Anche la teoria darvinianadell’evoluzione ha parecchi punti diconnessione con la convinzione buddhi-sta dell’interdipendenza dei fenomeni.Perciò accade che gli scienziati nutro-no un interesse sempre maggiore nelDharma. In base alla mia esperienza, daquando negli ultimi 10/15 anni mi so-no regolarmente ritrovato in seminaricon degli studiosi, sono quattro le di-scipline dove si ritrova un comune in-teresse tra le teorie scientifiche e quel-le buddhiste: cosmologia, fisica quan-tistica, neurobiologia e psicologia. Que-ste quattro branchie della scienza mo-strano molte analogie col buddismo.L’incontro e la discussione con gliscienziati di queste materie è molto im-portante. Noi buddhisti, da questi in-contri abbiamo tratto il gran vantaggiod’essere aggiornati sulle ultime scopertescientifiche. Ovviamente, la scienza siaddentra in spiegazioni ancora piùprofonde di quelle avanzate dal buddhi-smo. Così, si è rivelato molto utile ap-prendere nuove conoscenze nel corsodegli incontri col mondo scientifico.Di converso, il buddhismo offre agliscienziati un nuovo modo d’osservare iloro campi d’interesse. Voglio farvi unesempio. In uno di questi seminari sta-vo incontrando degli scienziati in Ca-lifornia, e ve n’erano alcuni totalmen-te digiuni delle teorie buddhiste. Alcu-ni di loro all’inizio non nascondevanod’essere un poco annoiati. La loro atti-tudine era quella che non avrebbero maipotuto apprendere nulla di utile dalbuddhismo. Tuttavia, una volta che il se-minario era iniziato, dopo una o due ses-

sioni essi mostravano un grande entu-siasmo ad apprendere qualcosa di nuo-vo, si facevano sempre più interessatiad afferrare dei punti specifici, ponen-do incessanti domande. Perciò, credoche il buddhismo può contribuire a ren-dere più vicina la scienza al Dharma,e viceversa. Non succedeva la medesi-ma cosa nel corso dell’800 e del ‘900,quando si pensava che il Dharma, la re-ligione, fosse basata meramente sullafede, senza nessuna base di razionalità,ma semplicemente sulla condivisione diprecetti. Il metodo scientifico è basatosu molte sperimentazioni e, fonda-mentalmente, è più scettico, tende aporsi molte domande in modo da veri-ficare le argomentazioni. Anche nelbuddhismo, in particolare in quelloMahayana, viene posta enfasi nell’as-sumere un approccio scettico. Persinole parole stesse di Buddha indicano chedobbiamo rimanere scettici ed investi-gare, studiare, sperimentare. Il che ri-sulta abbastanza simile all’approccioscientifico. Non dobbiamo accettare

ciecamente ciò che ci viene detto, dob-biamo dimostrarci aperti, ma allo stes-so tempo scettici, quindi provare ed in-vestigare. Anche nel nostro approcciobuddhista dobbiamo adottare il meto-do di verificare quanto ci viene pro-posto, di sottoporlo a critica e, a se-conda dei casi, accettarlo o rifiutar-lo, utilizzando un metodo basato sul-la razionalità, vicino, molto vicino aquello scientifico: critico, investigati-vo. Da tutto ciò ne deriva un contribu-to alla conoscenza umana, l’approccioscientifico è critico, non è per niente fi-deistico ed è affine a quello buddhista.La scienza fa i suoi esperimenti, studi,ricerche: vedo con questo metodo unqualcosa d’affine. Credo che in ciò ilbuddhismo può offrire un contributo al-lo sviluppo della conoscenza umana e,conseguentemente, rivelare la propriapotenzialità per instaurare e mantene-re la pace interiore, la pace a livellomentale che è il fondamento della pa-ce nel mondo.

(segue)

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Il presente è importantedi Alessandro Canton

Invece capita che molti di noi anticipano l’avve-nire, come se volessero affrettarne il corso, comese fosse troppo lento ad arrivare; richiamano alla

memoria il passato, come se fosse troppo pronto ascomparire.Si aggirano nel tempo passato e futuro (che non ci ap-partengono), come son-nambuli e non pensano alpresente che hanno a por-tata di mano.Si preoccupano delle oredi cui non possono di-sporre e lasciano incusto-dito il tempo che hanno adisposizione.La loro mente è sempre ri-volta o al passato o all’av-venire, mai al presente.Il presente fa paura?Il presente potrebbe aiu-tarli ad accogliere il fu-turo.Il passato e il presente, perloro sono solo mezzi;mentre lo scopo è l’avve-nire.Così avviene che non vi-vano mai, perché speranodi vivere nel futuro, sem-pre disponibili verso la fe-licità... futura!Così facendo, al presentefelici non lo saranno mai.“Carpe diem! - afferra ilmomento - non lasciarteloscappare!” scriveva Ora-zio.“Vivere in dies et horas!”:“Vivere giorno per giorno,ora per ora!”. La Compa-gnia di Gesù, lo aveva tra-dotto così.Approfittiamo di tutte leoccasioni che oggi ci sipresentano, quelle future forse non verranno mai.Facciamo bene tutto e subito: potrebbe essere la no-stra ultima azione.Il presente, secondo me, è importante.

“Hic et nunc”, “adesso e qui” dovrebbe essere il nostro comportamento.

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Agrigento ... nell’antichità il suonome era Akragas e già all’epo-ca della sua fondazione, ad ope-

ra dei coloni rodio-cretesi, l’odiernaAgrigento era una delle più belle cittàdel Mediterraneo. Anche ad Agrigento,come in tutta la Sicilia, nel corso dei se-coli sono passati un po’ tutti (come vie-ne magistralmente rappresentato nellospettacolo “Komodia, Akragas: l’albadi una civiltà”) dai sicani, ai fenici, aigreci e, poi via via, i romani, gli arabi,i normanni e gli spagnoli ... ma le testi-monianze più significative risalgonoproprio ai tempi dei greci che eresserola straordinaria e bellissima valle deiTempli, suggestiva immagine dell’artedorica, allineati sullo sperone rocciosotra il verde della valle dei mandorli eulivi e il baluginio luminoso del Medi-terraneo.Impossibile venire ad Agrigento senzasoffermarsi ad ammirare l’incanto diqueste opere dell’uomo (o, verrebbe lavoglia di domandarsi, degli Dei?) illu-minate alla sera e nella notte. Ma seAgrigento e la Sicilia, in generale, sonoda sempre noti per la storia, l’arte e lacultura (proprio per questo l’isola è si-nonimo di “classicità”), altrettanta at-tenzione meritano le risorse agroali-

mentari del territorio. In particolarequelle dell’agrigentino con i suoi sapo-ri ed aromi rappresentano il retaggiodelle molte dominazioni che si sonosuccedute. I piatti tipici sono, infatti, ilcondensato di modi diversi di intende-re il piacere della tavola. I prodotti del-la terra sono tutti alimenti in cui si cer-ca di prediligere l’alta qualità e quindise usati per cucinare danno origine a ci-bi raffinati e gustosi. L’occasione pro-pizia per scoprire o riscoprire questiaspetti è stata la kermesse “Nove perledi Sicilia” svoltasi a fine novembre indue fasi diverse: il workshop all’hotel“Dioscuri Bay Palace”, dove una venti-na di aziende hanno proposto i loro pro-dotti in degustazione alla stampa spe-cializzata ed a un nutrito numero di im-portatori stranieri e, in contemporanea,la visita al territorio con soste nei luo-ghi più significativi. Le aziende (l’elen-co in calce al servizio) hanno rappre-

sentato le varie zone della provincia: inquelle costiere la parte del leone lo fa ilpesce mentre nell’entroterra e nella fa-scia montana le principali prelibatezzesono i cereali, i formaggi freschi e sta-gionati e poi le arance di Ribera, la pe-sca bianca di Bivona, l’uva Italia di Ca-nicattì, i carciofi di Menfi, il melone diCantalupo di Licata, l’olio e le olive diBurgio e Caltabellotta fino ai vini, inparticolare il pregevole Nero d’Avola. Ilworkshop è stato un successo e - comeriferisce la Camera di Commercio dacui è partita l’iniziativa - diversi con-tratti di acquisto sono stati firmati dagliimportatori provenienti, tra l’altro, dal-la Svezia, dalla Norvegia, dalla Dani-marca, dal Canada e dalla Finlandia.Interessante anche il tour in provinciadove molte località hanno nomi sugge-stivi e noti. Tra queste Aragona con ilsuo caratteristico centro storico e le“Maccalube”, una curiosa manifesta-

“Nove perle di Sicilia”di Luciano Scarzello

L’inizio della primavera invita ad untour in collina.Per offrire suggerimenti agli amantidella cucina e del buon bere (ma an-che della storia) ci siamo recati a San-ta Vittoria d’Alba, nel cuneese, unadelle località più note per la produ-zione dei vini del Roero.

Il paese sorge sulla collina alla sini-stra del Tanaro, là dove il fiume si di-stende nella pianura tra Bra ed Al-

ba, offrendo un naturale scenario sulleLanghe. Ad attribuirle questo nome fu-rono i Romani che intitolarono il suocolle alla dea Vittoria, dopo la battagliavinta da Stilicone sui Goti nel 402 d.c..Le alterne vicende del paese, condizio-nato dalla vicinanza con Pollenzo ed Al-ba, gli regalarono nei secoli successivimomenti di prosperità economica ed ar-tistica e momenti di dubbia fortuna. Neltempo, diversi motivi contribuirono arendere famosa la cittadina. A chi co-nosce solo la storia recente del Roero po-trà sembrare curioso sapere che fino al-la fine del XVIII° secolo i suoi comunierano considerati, insieme a Santo Ste-

fano Belbo e Castiglione Tinella, comeil terzo polo di produzione delle uve mo-scato.Proprio in questa zona, nel 1757, fu fon-data la “Cinzano”, l’azienda produttri-ce di spumante destinata a diventare unadelle più famose al mondo.Da quel 6 giugno 1757, data della regi-strazione dell’atto con il quale i mastridistillatori Carlo Stefano e GiovanniGiacomo Cinzano venivano “congrega-ti” nell’Università dei Confettieri eAquavitari di Torino, passando attra-verso la lavorazione del vermouth conricetta segreta e la costruzione di vastecantine sotterranee ad opera di re CarloAlberto di Carignano, l’evoluzione del-la Cinzano è stata in costante ascesa. Ilgruppo è ora diventato proprietà della

Campari e gli stabilimenti sono stati tra-sferiti a Novi Ligure. A Santa Vittoriaè rimasta la storia.Insieme alle storiche cantine anche ilmuseo dove sono esposti esposti la rac-colta di calici d’epoca (la” CinzanoGlass Collection”: una collezione di bic-chieri e cristalli risalenti alle più diver-se epoche e civiltà) e i manifesti pub-blicitari realizzati dalle firme più pre-stigiose del Novecento. Molto interes-sante è anche la sala di distillazione del-le erbe, con alambicchi in rame ed unaesposizione di un centinaio di spezie,fiori, cortecce, radici, erbe e legni pre-giati per la produzione del vermouth.Al centro della tenuta troneggia la sto-rica villa eretta dai Savoia all’iniziodell’800.

Santa Vittoria D’Albadi Luciano Scarzelloha collaborato Patrizia Zucchetti

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Tramontata l’era d’oro dello stabili-mento, da dove uscivano ogni anno mi-lioni di bottiglie, a Santa Vittoria il vi-no continua a costituire l’asse portantedell’economia agricola.Diverse piccole aziende hanno puntatole loro fortune proprio sui vini del Roe-ro, due dei quali - l’Arneis e il nebbio-lo “Roero” - hanno ottenuto nel 2004 ladocg.Importante è anche il moscato di cui iproduttori, capitanati da Andrea Rabino,azienda leader, hanno chiesto il ricono-scimento di una “Sottozona Santa Vit-toria d’Alba” che permetta di dare risaltoe prestigio alle qualità del vino.Le cantine, previo appuntamento, dan-no la possibilità di effettuare visite e fa-re acquisti.Al momento del pranzo e della cena se-dersi a tavola nei ristoranti della zona edegustare i piatti tipici della cucina al-bese è qualcosa di memorabile.

In maggio Santa Vittoria ospiterà il tra-dizionale “Saliscendi”, passeggiatamangereccia nei borghi e tra i vigneti.Info tel. 0172-478023.

letterario, uno deitre parchi del-l’agrigentino chesi fregia anche dialtri due intitolatia Giuseppe To-masi di Lampedu-

sa e a Luigi Pirandello. Suggestivo davisitare è anche il castello Chiaramon-tano dove durante il workshop è stataproposta un’altra esposizione di pro-dotti tipici. La stagione turistica ha ri-preso già a febbraio con la Sagra delMandorlo in fiore e il festival interna-

zionale del folcloreche ha attirato sicu-ramente, come ne-gli anni scorsi, nu-merosi forestieri.

Info tel.0922.403069 o0922.28508.

AZIENDE PARTECIPANTI AL WORSHOP: Asprol Sicilia, Palmara, La Goccia d’Oro, Società IniziativeAgricole, Cantina Sociale La Torre, Vitale Vini, Cantina socia-le viticoltori Associati, Cantine Settesoli, La Torre, Convivio,Spinello Dolci Pensieri, La Casa del Cioccolato, Sicily Food, A.& S. , Salumificio Fattoria Santagiolese, Sipa, Gemini, Paolo Li-cata, Sinergie e Bio Maggio.

zione di origine vulcanica in cui fuo-riescono dal terreno anidride carbonicae acido solforico che formano vulca-nelli in costante ebollizione, Realmon-te nota per la miniera di sale e la sug-gestiva Scala dei Turchi e anche Racal-muto, città natale di Leonardo Sciasciaal quale è intitolato l’omonimo Parco

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ADDIO ALLE ARMI …Trentacinque anni di vita

col Museo della Valmalencodi Nemo Canetta

Lentamente esamino vecchi ritaglidi giornali, degli anni ’70 ed ’80.Da poco l’Assemblea dell’Asso-

ciazione Amici del Museo che detiene laproprietà del Museo Storico EtnograficoNaturalistico di valle, ha deciso la ces-sione del Museo al Comune di Chiesa,con la clausola che nel Comitato di Ge-stione siano rappresentati anche gli altriComuni e tutte le Parrocchie della Val-malenco.Ascoltando certi interventi, ricordando ledure polemiche che si sono sviluppatenel 2004, mi chiedo quanti conoscono lastoria del Museo. Quanti sanno come ènato, perché, chi l’ha messo in piedi, conquali forze, con quali appoggi, chi furo-no i primi custodi. La carta stampata nonsbaglia, ecco nomi, fatti che io stessoavevo quasi dimenticato. Come il miticocustode Mario Pedrotti per anni nostro

L’affresco di Ca’ Bianchi, scoperto daCanetta e Corbellini (il più antico della valle)nei primi anni di vita del Museo. Testata della Val Poschiavina: l’imponenteghiacciaio del Pizzo Scalino.

ADDIO ALLE ARMI …Trentacinque anni di vita

col Museo della Valmalenco

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punto di riferimento, come Serafino Cer-vio che ancora ricordo seduto sui gradi-ni della “vecchia” sede, assieme ad altriamici, prima che un morbo incurabile loallontanasse. Come Giannina Berera,altra mitica custode tanto interessata alMuseo da essere considerata una veraamica e collaboratrice.A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 due stu-denti milanesi, Giancarlo Corbellini eNemo Canetta, svolgono le loro tesi dilaurea, il primo di storia, il secondo digeologia e glaciologia, sulla Valmalenco.Amici da sempre, collaborano ai rispet-tivi lavori ed il quadro che ne risulta è diuna ricchezza che li lascia sbalorditi. Fre-quentano la Valle del Mallero sin dabambini, eppure … eppure hanno “sco-perto” di tutto: incisioni rupestri e vec-chie miniere, sentieri abbandonati e tor-ri medioevali.Grazie al loro lavoro hanno conosciutol’allora geometra comunale GiancarloCarrara che, benché sondriese, abita invalle. Anch’egli giovane ed entusiastapropone “… perché non facciamo unMuseo?”. Oggi la domanda può sembra-re ammissibile ma in quegli anni rasen-tava la follia: di musei locali, in Valtelli-na, non ce ne erano, anzi, l’unico veroMuseo era quello di Sondrio, ospitato aVilla Quadrio accanto alla Biblioteca. MaCarrara non s’arrestò di fronte a nulla,spinto dal consenso degli amici e così, nel1970, nacque il Comitato Promotore delMuseo della Valmalenco. Sembra incre-dibile ma in due anni si ottennero i fondi(grazie a sottoscrizioni tra malenchi e vil-leggianti), i locali (dal Comune di Chie-sa) ed i materiali da esporre. In partico-

vecchi e polverosi articoli, prese l’av-vio nel 1975.

Devo ammetterlo, l’idea non era del tut-to originale. Corbellini e Canetta la me-diarono da ciò che in quegli anni si sta-va facendo in Dolomiti. L’Alta Via del-la Valmalenco non sarà solo una lungagaloppata tra rifugi, vette e colli ma do-vrà guidare l’escursionista alla scopertadegli angoli più nascosti della Valma-lenco e soprattutto fargli comprenderela vita del montanaro tra i 1500 ed i 2500metri. L’idea è tanto bella che l’editoreOscar Tamari di Bologna, cui Carrara,Corbellini e Canetta si sono rivolti, de-cide entusiasticamente di farla propria; aquei tempi gli editori rischiavano: nonchiedevano finanziamenti pubblici o pri-vati, se l’idea piaceva il libro venivastampato e così i nostri moschettieri pas-sano due anni a esplorare, scoprire, scri-vere.Ben presto gli autori si rendono controche descrivere il tracciato non è suffi-ciente; troppi sentieri abbandonati, trop-pi bivi, troppe incertezze. Ed allora ilMuseo fa un grande salto di qualità: tra-sforma la Valmalenco in Museo all’aper-to. Corbellini e Canetta, accompagnatidalle fidanzate e da un pugno di amici siarmano di pennelli e vernice e segnala-no l’Alta Via e le Escursioni culturalidel Museo. Del tutto volontariamente,con i pochi soldi del Museo per il mate-riale, vengono segnalati in un paio di an-ni qualcosa come oltre 150 km di sen-tieri. Mentre, giusto riconoscerlo, il Soc-corso Alpino della Guardia di Finanzaporrà in opera numerosi cartelli. Tra l’al-tro questa opera cementerà una solidaamicizia tra Corbellini e Canetta e mol-ti “rifugisti”, come i Lotti, i Lenatti, iDell’Andrino, i Dell’Avo; vere dinastieche da anni curano rifugi privati e del

Da sinistra: Nemo Canetta, GiancarloCarrara, il consigliere regionale AntonioMuffatti, Giancarlo Corbellini, Natale Comi(allora presidente dell’azienda turistica).

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lare la collezione Sigismund che la fami-glia Cecchi volle fosse finalmente esibi-ta in valle.E così in una fredda mattina nel gennaio1972 il Museo fu inaugurato. Ci crede-vano in pochi. Ricordo ancora chi, amezza voce, scommetteva che di lì a bre-ve sarebbe stato chiuso. Ma il successofu travolgente: riviste a livello naziona-le scrissero che era nato il primo “Museodi Valle” delle Alpi italiane!Lo spazio era scarso, i soldi ancor piùscarsi ma l’entusiasmo moltissimo.Parafrasando un noto titolo potremmoscrivere “ … fantastici quegli anni”, ri-ferendoci ai primi 10/15 anni di vita delMuseo. Infatti i nostri tre moschettieri,come li chiamarono, non contenti di avercreato il piccolo Museo iniziarono a pen-sare in grande: portare tutti al Museo eraimpossibile e poi … come racchiuderetra quattro mura boschi e ghiacciai, laghied alpeggi?Nacque così l’idea dell’Alta Via dellaValmalenco che, come attestano i nostri

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CAI in valle e che subito apprezzanol’impegno del Museo. Nel 1977 l’operaè conclusa, la guida pubblicata, ma, noncontenti, i nostri iniziano una tambureg-giante campagna di articoli e di confe-renze per lanciare l’Alta Via nei circuitinazionali. Ed ancora Corbellini e Canet-ta (allora le leggi erano assai più elasti-che di quelle odierne!) “guidano” grup-pi di escursionisti sul tracciato che in po-chi anni diventa celeberrimo, tra i piùnoti delle Retiche.Il successo è tale che si giunge ai massi-mi livelli della notorietà lombarda: la mi-tica Terrazza Martini. Ai tempi in questosalotto bene della Milano che conta, af-facciati sul Duomo, attori ed industrialipresentavano le loro opere. Ci andò an-che il Museo della Valmalenco: l’invito,religiosamente conservato, recita: Gio-vedì 28 giugno, alle ore 18, Nemo Ca-netta, Giancarlo Carrara e GiancarloCorbellini, direttori del Museo storicoetnografico e naturalistico della Val-malenco presenteranno il Parco dellaValmalenco e l’edizione 1979 dell’AltaVia. Seguirà la proiezione di alcune dia-positive.Mitici quegli anni: nel 1984 l’Eco delleValli riporta un altro incontro milanese,al Palazzo delle Stelline, ove si presen-terà la seconda edizione della guida del-la Valmalenco e dell’Alta Via, alla pre-senza degli autori. A Canetta e Corbelli-ni si è aggiunta, per la flora e la fauna,Eliana Lanfranchi e per l’arte la mon-tagnona Giliana Muffatti, il cui maritoLuciano Musselli è stato tra primi adoffrirsi volontario per segnalare le piùdure tappe dell’Alta Via. Ed ancora noncontenti Carrara, Corbellini e Canetta,grazie ad un accordo col Parroco GiulioRoncan, “annettono” la vecchia parroc-chiale dei SS. Giacomo e Filippo, al Mu-seo. Uno spazio notevole, fondamentaleper il Museo. Ma anche, forse, la sal-vezza per l’edificio sacro, oramai lascia-to, da anni, nel più completo abbandono.Era il 1976. Sempre in quegli anni i no-stri “direttori” scoprono, ai Bianchi, incomune di Torre di S. Maria, il più anti-co affresco della Valmalenco: l’esplora-zione, sempre più in dettaglio, della val-le, prosegue incessante. Mitici quegli an-ni: su di un altro ritaglio troviamo il ri-cordo di quello che fu il Convegno Val-malenco Natura 3: turismo integrato,una proposta per gli anni 90. Purtrop-po l’ultimo di quegli interessanti incon-tri. E’ il 1988, in valle si discute quali do-vranno essere le prospettive di sviluppofuturo: la partecipazione è ai massimi li-velli. Troviamo il consigliere regionale

Antonio Muffatti, il presidente dell’APTAntonio Locatelli, il Presidentedell’ENIT Gabriele Moretti, l’assessoreal turismo della Comunità Montana Pal-ladini e naturalmente il sindaco di Chie-sa Aldo Faggi che fu tra i più strenui so-stenitori della collaborazione e sinergiatra i comuni della valle ed il Museo. Inu-tile aggiungere che a quei convegni ilMuseo era sempre presente.Con la seconda metà degli anni ’80, conla trasformazione del Comitato Promo-tore in Associazione degli Amici del Mu-seo, l’attività prosegue: nuove forze siinseriscono nell’organigramma museale,come Silvio Gaggi, che dall’81 ad oggiè stato ininterrottamente consigliere econservatore, una vera, robusta colonna,il cui contributo sarà fondamentale per lagestione del Museo e le cui capacità ar-tistiche contribuiranno molto a comple-tarlo e migliorarlo. Altri terranno a lun-go il loro posto come Sergio Guerra eMarco Negrini, altri ancora apparirannoe scompariranno, per i più svariati moti-vi, come Camillo Zanchi, Cesare Le-natti, Gianfranco Comi.Negli anni successivi il Museo di arric-chisce di nuove collezioni, vengono pro-poste esposizioni temporanee; però l’im-pegno dell’Associazione si concentraforse un po’ troppo sulla sede, trascu-rando la più grande prospettiva del Mu-seo: la realizzazione della Valle-Museo,di cui l’Alta Via doveva essere un im-portante tassello. E’ mantenuta la rego-lare apertura, raccogliendo il consensodei visitatori; il Museo partecipa a varieiniziative ma l’entusiasmo iniziale sten-ta a trasformarsi in una gestione più ade-guata ai tempi. In Valtellina sono sorti al-tri musei e la regione tende a burocratiz-zare i rapporti: vi è sempre meno spazioper l’improvvisazione. Le regole si fan-no ferree ed il Museo della Valmalenco,già testa di serie provinciale, perde col-

pi. Non sempre i finanziamenti arrivano,i rapporti con il Pirellone sono disconti-nui. Mentre altri musei si dotano di strut-ture e di strumenti legislativi più ade-guati alle nuove esigenze, il Museo del-la Valmalenco resta indietro. Tutti sen-tono la necessità di qualche cambia-mento ma il salto di qualità ritarda. Co-sì, quando cinque anni orsono, la Par-rocchia chiede la restituzione dell’anti-co edificio (mai sconsacrato), il Museosi trova di fronte a problematiche im-previste. Va detto che le amministrazio-ni comunali di Chiesa saranno sempredisponibili sull’argomento “nuova se-de”. Prima proporranno il piano inferio-re del Centro Servizi, su un interessanteprogetto degli architetti Cagliari ed Ago-stini. Verrà poi offerta l’ex sede APT(già Casa Parrocchiale seicentesca), pergiungere ai nostri giorni, con l’ultimapossibilità legata alla ristrutturazione diquello che fu l’Albergo Bernina.La necessità di adeguare le strutture ainuovi dettami regionali, i contrasti sullepossibili nuove sedi, uniti a talune in-comprensioni ed a diversità di vedutesulle nuove linee museali, hanno messoin crisi i rapporti interni al Consiglio(duramente provato dalla prematuramorte di Giancarlo Carrara). I superstitisoci fondatori, Corbellini e Canetta, han-no cercato sino all’ultimo di portareavanti l’idea di un Museo di Valle. Ormaila possibilità di una “gestione privati-stica” del Museo era improponibile, co-me giustamente aveva previsto negli ul-timi tempi Carrara. I contrasti interni (edesterni) hanno fatto il resto. Il Museopassa ora al comune di Chiesa.Lo scrivente, che nel frattempo ha as-sunto la carica di direttore del Museo diTirano, lascia dopo 35 anni il suo postosul ponte di comando ...Addio alle armi … Addio al Museo…

Canetta illustra la preistoria della Valmalenco a Ca’ Bianchi ad un gruppo di escursionisti del Cai.

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SASSO REMENNO

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ORTLES E CEVEDALEConquiste a fil di cieloPier Luigi Tremonti

Una nota introduttiva diGiovanni De Censi inquadrail senso del libro ed il suosignificato.Vette e ghiacciai nell’Ortles-Cevedale rappresentano unasfida tra silenzi, fatiche,sacrifici e umiltà!Negli scenari che sono statiteatro di una guerra affioranoancora oggi resti etestimonianze dei fatti e diun’epoca. In questo contestoil Parco Nazionale delloStelvio rappresenta unaestrema difesa della natura edella memoria, un modo perassicurarne unatestimonianza nel futuro perle nuove generazioni.

Si tratta di una “storia” comincia-ta più di 200 milioni di anni fa ...tranquilla e intatta fino alla gran-

de guerra che ha sconvolto tutto. Oggi-giorno sotto certi aspetti è un gelido mu-seo all’aria aperta.Termalismo e acque, non solo centrali.Nel momento del disgelo si assiste almagico spettacolo del risveglio della na-tura. Il ghiaccio galleggia libero nelleacque dei settanta laghetti del parco del-lo Stelvio e segue il suo destino: unaparte prende la via del Danubio e finirànella acque del Mar Nero, una parte for-ma l’Adda, si riversa nel lago di Como

e poi confluirà col Po e nell’Adria-tico, una parte invece è convoglia-ta in gallerie e condotte per ali-mentare le turbine della produzio-ne di energia elettrica. Non va di-menticato però il contributo datodalle acque al termalismo che è unadelle attrattive del territorio.Questo territorio è per il 70% al disopra dei 2000 metri di quota, con-ta 140 cime al di sopra dei 3000 me-tri e la più alta raggiunge i 3.905.La vetta dell’Ortles è stata raggiun-ta per la prima volta nel 1804 da Jo-sef Pichler con due cacciatori, JohannKlausner e Johann Leitner.Abbondano rocce e minerali di ognigenere, spesso irreperibili in altre zo-ne.Ricche foreste si espandono sempre

più in alto a causa dell’abbandono dimolte attività agricole e raggiungono ipascoli di alta quota.Dal punto di vista paesistico ci sono del-le inevitabili criticità causate dallo svi-luppo del turismo e dalle stazioni scii-stiche, dalle aree antropizzate, dall’agri-coltura e perfino dall’allevamento, maper fortuna la soddisfazione di effettuaregite e scalate, di essere abbagliati dal-la luce delle nevi e di arrancare con ilrespiro pesante sono ancora oggi diestrema attualità.Il Parco dello Stelvio è nato nel ’35 eda allora ai giorni nostri ha subito “at-tentati” di ogni genere.Nell’87 l’Alto Adige rimosse la segna-letica del parco!Nel libro e nelle sue 150 immagini pos-siamo apprezzare da angolazioni spes-so di estrema suggestione un vero “mo-numento alla natura alpina nel cuore delvecchio continente”.Immagini, emozioni e riflessioni sonoofferte a chi sfoglia le pagine, como-damente seduto in poltrona in un caldosalotto.Resta la amara sensazione dell’invidiadiretta a chi ha potuto realmente vede-re e fotografare quegli scenari da favo-la.

Il libro è in vendita ad euro 49,00nelle migliori librerie o consultando il sitohttp://www.worldimages.it/

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Livio Piatta è nato a Sondrio, nel 1959. Ini-zia ad accostarsi alla natura fin da bambi-no, seguendo la famiglia nel Parco Nazio-nale dello Stelvio, dove i genitori conduco-no una baita durante i mesi estivi.Si diploma in Fotografia naturalistica, geo-grafica e comunicazione visiva per la di-vulgazione scientifica all’Istituto Europeodi Design di Milano, e avvia collaborazio-ni con periodici italiani (Meridiani Monta-

gne, Airone, Bel l ’ l ta l ia,Bell’Europa, Tuttoturismo, InViaggio, Traveller) e stranieri(Watch). Da venti anni viag-gia in numerosi paesi foto-grafando montagne, deserti eambienti marini.Partecipa a spedizioni alpini-stiche extraeuropee. Ha effet-tuato esposizioni fotografichein Italia e all’estero. Scrive

articoli sui temi della montagna e dellaconservazione della natura ed è titolaredell’Agenzia fotografica World Images diSondrio.

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Il torrente scorre placido, in Val diMello. Una staccionata accompa-gna la mulattiera fino ai prati ridentie alle baite di Cascina Piana, dove

i contadini falciano l’erba. Tutt’intorno,le immense pareti di perfetto granitospingono i loro profili arrotondati finoal cielo, un cielo terso e luminoso. Lecascate spumeggianti che irromponodalle balze rocciose fanno rabbrividirenelle prime ore del mattino, quandol’aria è più frizzante, e inducono la vo-glia di un tuffo quando il sole è alto nelcielo.Così si presentava la Val di Mello in-torno alla metà degli anni Settanta, quan-do un gruppo di giovani scalatori ab-bandonò l’alpinismo classico sulle pa-reti dell’alta Val Masino per rivolgere leproprie attenzioni a questo “nuovo mat-tino”.Il nuovo mattino fu fioriero di scalatevertiginose lungo fessure perfette, diprove di autocontrollo cercando l’ade-renza su placche liscissime, di bagni neltorrente, di feste intorno a un falò.Il gioco dell’arrampicata, inconsapevo-le di se stesso, portò anche una grandeevoluzione nelle tecniche, nei materialie nella mentalità degli scalatori, evolu-zione che contribuì in modo sostanzia-le a far nascere in Italia la cosiddetta ar-rampicata libera.All’arrivo della bella stagione tutto è alproprio posto, la magia della “valle” sirinnova e, a distanza di trent’anni, si pos-sono rivivere la sensazioni dei “primi”,in quanto l’etica dei frequentatori dellaVal Masino è sempre stata quella di “nonlasciare traccia del proprio passaggio”.L’unica novità è rappresentata dal fattoche, nel frattempo, la fama della Val di

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Il gioco dell’arrampicata in Val di Mello

testi e fotodi Mario Vannuccini

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Mello ha varcato i confini nazionali at-tirando centinaia di scalatori provenientida tutta Europa.Negli anni, l’idea dell’arrampicata in ValMasino si è estesa anche ai massi di fon-dovalle, dove si può praticare il boul-dering o sassismo (termine nostrano ebellissimo, coniato all’epoca proprio da-gli artefici del nuovo mattino) nonchéall’area del Sasso di Remenno, gigan-tesco monolite (il più grande d’Europa)

sul quale ci si può allenare prima di af-frontare le pareti della Val di Mello.Tra i più appassionati di questa immer-sione nella natura a contatto delle roc-ce ci sono le guide alpine della Val Ma-sino, i famosi Gigiat.Alzando gli occhi li potrete vedere ag-grappati a qualche parete in compagniadi qualche cliente entusiasta, impazien-te di “assorbire” le sensazioni forti delgranito.

Le guide alpine si adoperano ancheper organizzare manifestazioni cheabbiano per oggetto l’arrampicata ela conoscenza dell’ambiente natura-le.Il 7 e 8 maggio prossimi si terrà inVal Masino il Melloblocco, un radu-no internazionale di sassisti orga-nizzato dal Collegio Regionale GuideAlpine Lombardia che nella passataedizione ha visto la partecipazione dioltre 300 arrampicatori provenientida tutto il mondo.In tale occasione verrà presentatoanche il Sentiero dei Ciclopi, un sug-gestivo percorso escursionistico,adatto a tutti, che si avventura tra igrandi massi intorno all’area del Sas-so di Remenno.La presenza dell’attrezzatissimo Cen-tro Polifunzionale della Montagna diFilorera - dotato di una grande e mo-derna palestra di arrampicata indoor- completa il quadro delle possibilitàdi scalata in Val Masino, consenten-do di svolgere questa attività anchenel periodo invernale e nelle ore se-rali.È qui che dovrete rivolgervi (tel. 0342640004) per contattare le guide al-pine de “Il Gigiat”, se vi è venuta vo-glia di arrampicare in “valle”.

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L’acqua accoglie la volontà di Dio ecome un nastro ne trasportal’informazione facendosi ponte tra

spirito e materia, creando un link tra mi-cro e macrocosmo. Ma per potere acco-gliere la volontà di Dio, le acque devononecessariamente esistere prima dell’emis-sione della volontà divina.L’ acqua preesistente è quindi l’elementodeputato ad accogliere, trasportare e tra-durre l’atto creativo stesso.Nel testo “Il Tao: La via dell’acqua chescorre”, Alan W. Watts cita un passo trat-to dal Kuan-tzu: “L’acqua è il sangue del-la Terra, e scorre attraverso i suoi musco-li e le sue vene. E’ per questo che si diceche l’acqua è qualcosa che possiede fa-coltà complete…Essa è accumulata nelCielo e nella Terra, ed immagazzinata nel-le differenti cose (del mondo). Viene fuo-ri nel metallo e nella pietra, ed è concen-trata nelle creature viventi. Perciò si diceche l’acqua è qualcosa di spirituale.La ragione per cui le creature possono rea-lizzare le loro potenzialità e crescere finoalla normale dimensione sta nel fatto chela loro interna regolazione di acqua è inaccordo…”.

Le acque d’amoreAccordo, quindi. Il libro di Watts invita al-la riflessione sull’accordo, argomento cheè stato oggetto dell’attenzione di molti stu-diosi. In particolare vorrei ricordare il la-

voro della biologa Enza Ciccolo che nelsuo libro “Acqua d’amore” racconta di co-me l’acqua, elemento conduttore e recet-tore per eccellenza, possa giungere a qual-siasi organo, tessuto, cellula, atomo, re-cando loro l’informazione di natura fre-quenziale.“L’acqua - sostiene Enza Ciccolo - puògiungere a qualsiasi recettore e grazie aglielettroni, informatori intelligenti, puòequilibrare ogni cellula con la sua giustafrequenza vibratoria”.A conferma di quanto affermato dalla ri-cercatrice, il fisico Howard Witten ha di-mostrato, con la teoria delle super strings(super corde), un universo organizzato inarmoniche frequenziali. Secondo la teo-ria di Witten l’universo si presenta costi-tuito da corde vibranti che risuonano inarmoniche diverse, allungandosi in unospazio invisibile a 9 dimensioni più unatemporale.

“Ma - sottolinea la Ciccolo - ciò che è nelgrande cosmo è anche nel microcosmo:nell’uomo e nell’ambiente noi troviamorisposte frequenziali su 9 piani o livellienergetici distinti, e su un decimo pianoche li comprende tutti. Ogni livello ha unaspecifica vibrazione e qualità vibratoria,una nota dominante che si distribuisce poisulle nove armoniche di cui ogni piano èa sua volta costituito”.

L’uso terapeutico delle acqueLa riflessione sull’aspetto idrofrequen-ziale dell’acqua ha visto l’affermarsi diuna vera e propria disciplina che, al fine diristabilire l’equilibrio bioenergeticodell’individuo e dell’ambiente, si avvaledell’uso terapeutico delle acque.Le domande e le risposte che l’acqua puòsuggerirci sembrano non avere mai fine. Ilsuo ciclo di discesa e salita e la capacità ditrasformazione di stato (solido nel cristal-lo, liquido e aeriforme) propria di questoelemento sembrano ricordarci “l’eternoritorno”.Che cosa è quindi l’acqua, qual è il suo si-gnificato, quale il suo valore.Cosa significa “trasportare l’informazio-ne”, in cosa consiste la “memoria dell’ac-qua”, cosa comporterà la teoria delle su-per strings. Forse la possibilità che fisicie astrofisici riescano a suonare l’universocome un immenso strumento musicale?Forse la speranza che l’uomo, consape-vole di questa sua possibilità, riesca a riac-cordarsi con l’universo a cui appartiene?Il tema dell’acqua sta vivendo un mo-mento di grande attenzione e la riflessio-ne sulla sua valenza economica, spiritua-le e scientifica vede coinvolti i più diver-si ambiti.Economia e religione, geologia e biologiacellulare, mitologia e fisica si trovano con-frontati ad un comune appuntamento.L’acqua, risorsa scarsa per gli economisti,bene brevettabile per i produttori ed ele-mento di studio per uomini in cerca di ri-sposte, ha ancora molto da dire.Quando i ghiacciai si scioglieranno, sa-premo ascoltare la lunga storia del mon-do che l’acqua cristallizzata ha saputo cu-stodire?Per ascoltare un racconto, una storia, oc-corre restare in silenzio. E in umiltà.

Un ponte tra spirito e materiadi Roberta Piliego

“In principio Dio creò il cielo e laterra. La terra era informe e desertae le tenebre ricoprivano l’abisso e lospirito di Dio aleggiava sulle acque.Dio disse: ‘Sia la luce!’. E la luce fu.Dio vide che la luce era cosa buonae separò la luce dalle tenebre echiamò la luce giorno e le tenebrenotte. E fu sera e fu mattina: primogiorno”.“Dio disse: ‘Sia il firmamento inmezzo alle acque per separare le ac-que dalle acque’. Dio fece il firma-mento e separò le acque, che sonosotto il firmamento, dalle acque chesono sopra il firmamento. E così av-venne. Dio chiamò il firmamento cie-lo. E fu sera e fu mattina: secondogiorno”.Con queste parole la Bibbia inizia ilsuo racconto sull’origine del mondoe dell’umanità.

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Dopo di lei, altre donne sono en-trate in questa storia che viene dalontano e alla base della quale ci

sono vari elementi.Incominciamo con la passione per lamontagna, che significa anche ardimen-to, lotta contro le avversità della natura,confronto con se stessi: realismo, quin-di, nel misurare le proprie conoscenze,le proprie risorse, le possibilità che pos-sono indurre ad affrontare certe diffi-coltà, tenendo sempre ben presenti lavariabilità del tempo e le difficoltà og-gettive che una ascensione, una scalatacomportano.Sono finiti, certo, i tempi dei pochi so-litari scalatori, in accanito confrontocon la montagna.Oggi viviamo un’epoca nella qualechiunque pensa di poter andare in mon-tagna, appunto, di poter affrontare certedifficoltà facilmente, fidando magarinelle attrezzature che grazie alla tecnica

60 ANNI DI STORIADEL CORPO NAZIONALE

DI SOCCORSO ALPINOE SPELEOLOGICO

di Giovanni Lugaresi

C’è anche lei, una donna

valtellinese, “la prima donna” nella storia

del soccorso alpino: Vera Cenini,

“l’angelo della Valmasino”.

è stato possibile realizzare; ma l’inci-dente, per esperti e non, è sempre in ag-guato.Le imprudenze si pagano a caro prezzo;l’avversità improvvisa del tempo puòcolpire anche i più esperti scalatori, e al-lora sono guai, a volte seri, a volte dram-matici.Si leggono, soprattutto durante l’estate,notizie di sciagure in montagna, con fe-riti, gente costretta a trascorrere ore eore immobile in parete, e a volte vittime.Ma accanto a chi va in montagna perpassione, scalando ardimentoso le altevette, oggi, come ieri accanto al vian-dante che saliva ai valichi alpini, ci so-no altri uomini pronti a portare aiuto,soccorso, con altruismo, con generosità,e certo con grande conoscenza dei luo-ghi e competenza tecnica.Per cui la storia del “soccorso alpino”possiamo dire risalga all’antichità, quan-do singoli o gruppi di persone transita-

vano sui valichi innevati e venivano in-vestiti magari da una valanga, o costret-ti a fermarsi per l’imperversare di unabufera.In quelle circostanze erano animati dal-la speranza di essere tratti in salvo daqualcuno esperto della montagna, cono-scitore dei luoghi.Del resto, in quelle alte quote, furonorealizzati già in tempi lontani, servizivari di accoglienza, ospizi, ricoveri, efra i volontari generosi che portavanosoccorso, ecco in prima fila i monaci, icui conventi erano anche rifugi per co-loro che si smarrivano o venivano colpitidalle bufere lungo gli impervi cammini.Esistono cronache che fanno risalire al1130 l’opera dei volontari e dei mona-ci che si diedero da fare in Valle d’Ao-sta per portare in salvo una carovanadi pellegrini diretti a Roma, travolti dauna valanga.Monaci, supportati da montanari locali

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detti “marroniers”, abituati a guidare iviaggiatori attraverso i valichi, appunto.L’importante ruolo di questi generosifu riconosciuto ufficialmente soltantonel 1627, quando nel Ducato di Savoiail servizio militare divenne obbligatorioe i “marroniers” di Saint Rhémy-en-Bosses, proprio per l’importante com-pito svolto, vennero esentati da tale ob-bligo.Del resto, in questo quadro d’ambiente,fino a qualche tempo fa giganteggiava lamitica immagine dei monaci del SanBernardo che, avendo come preziosi col-laboratori cani “ad hoc”, uscivano dal lo-ro ospizio del Gran San Bernardo persoccorrere i viandanti.E, del resto, sono stati proprio, fino aqualche tempo fa, quegli stessi cani raf-figurati con la celeberrima botticelladi Cordiale al collo, le icone più popo-lari del soccorso in alta montagna.Col passare del tempo, sempre più utili,

L’ANGELO DELLA VALMASINOUna donna di ferro ai piedi del Piz-zo Badile, Vera Cenini è una delletante celebrità dell’alpinismo chesi sono misurate con i graniti dellaValmasino.Autentica missione quella di VeraCenini Lusardi: deve scuotere ilmondo dell’alpinismo facendo ri-suonare con forza le campane dellasolidarietà per far uscire il soccor-

so alpino da unafase pressochéprimordiale?In passato eb-bi modo di co-noscerla e

quindi ho colto al volo l’occasioneper farle una telefonata.Subito risponde una asettica segre-teria telefonica e lascio il messag-gio. Non passano dieci minuti chemi richiama e inizia una chiacche-rata.“Ho cominciato ad occuparmi di soc-corso in montagna fin dai primordi,nel ’56 seguendo la ‘mia guida’ Virgi-lio Fiorelli nei suoi interventi. Succes-sivamente sono stata ufficialmente re-sponsabile del soccorso alpino in Val-masino dal ’63 al ‘66. In quel periododovevo essere sempre reperibile, gior-no e notte, estate ed inverno. Sicco-me di finanziamenti allora non se neparlava, ho organizzato delle lotterie

per poter acquistare le prime at-trezzature necessarie. Negli annidella rinascita arriva il momento dichiamare a raccolta gli uomini più

dotati della valle, e anche dei ‘fo-resti’ purché dotati di risorseeconomiche. Fu così che nel ma-gazzino dei Bagni (dove ha of-ferto dal ‘56 fino agli anni no-vanta prove esemplari della suasapienza di albergatrice n.d.r.)ho accumulato i materiali per ilsoccorso: corde, barelle e un mi-nimo di attrezzatura per poter

operare. Dipendeva poi da me al-lora la chiamata dell’elicottero,

che andava usato con parsimonia e

solo se ritenuto indispensabile: lesquadre si muovevano a piedi facendomiracoli. Allora di sprovveduti per lemontagne se ne vedevano pochi, male disgrazie erano sempre in agguato.Non è scritto nelle stelle il martirio acui sono andati incontro appassiona-ti di alpinismo la cui preparazione e lacui attrezzatura è spesso inadeguata:oggi c’è una maggiore facilonerianell’affrontare i rischi della montagnae molti si cacciano nei guai. Se si do-vesse responsabilizzare la gente fa-cendo pagare il costo degli interven-ti, o almeno un contributo, ci sareb-bero sicuramente meno incidenti e nonsi seguiterebbe tra l’altro a mettere arepentaglio anche la vita dei soccor-ritori”.Come vanno le cose in Valmasinooggi?“Per carità di Dio ... guardo le mon-tagne! C’è chi lavora bene nel rispet-to dell’ambiente e del territorio, manon manca chi cerca di compromet-tere la Valle. Parlo delle intenzioni dideviare le acque nel mammellone delPorcellizzo per fare una centrale elet-trica! Una operazione di questo tiporischia di mettere a repentaglio le ac-que termali che sono una ricchezzaper la Valmasino: di precedenti ne ab-biamo visti parecchi sia nei confinidella valle che fuori”.

(pielleti)

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sempre più necessari, perché, col passa-re del tempo, appunto, l’alta montagnacominciò ad essere meta non soltanto diviandanti, ma di romantici a caccia diemozioni.La data può essere fissata a metà dell’Ot-tocento. E allora, agli audaci che allaconquista delle vette si ponevano, nonpoterono non unirsi coloro che, in casodi bisogno, a quegli stessi audaci porta-vano soccorso. Le guide alpine sorserocosì, ad accompagnare i romantici incerca di emozioni, e quindi, e di conse-guenza, a costituire elemento di soccor-so in caso di bisogno.La storia ci dice che risale al 1871 unRegolamento per le guide di montagnadella Società Alpinisti Tridentini (la mi-tica SAT), nata qualche tempo dopo lafondazione del Club Alpino Italiano (ilCAI, voluto da Quintino Sella nel 1863).Ed è nell’ultimo scorcio del dicianno-vesimo secolo che la questione del soc-corso alpino comincia ad essere affron-tata con impegno. Nascono organizza-zioni varie: a Torino la Scuola Samari-tana, poi a Milano, a Venezia, e via elen-cando.Fino a che non si giungerà al secondodopoguerra del ventesimo secolo, everrà costituita una vera e propria or-ganizzazione ad hoc: il Corpo Soccor-so Alpino.La storia di questa benemerita organiz-zazione, che raccoglie uomini esperti egenerosi, ci viene raccontata proprio nel-la ricorrenza cinquantenaria della suaesistenza da Roberto e Matteo Serafin,in un volume di ben 388 pagine (tantis-

sime le illustrazioni) pubblicato dallaFerrari Editrice di Clusone (Bergamo),volume al quale è stato assegnato il Pre-mio Speciale della Giuria “GambrinusGiuseppe Mazzotti” di San Polo di Pia-ve (Treviso).La pubblicazione, dal titolo “1954-2004- 50 anni di Soccorsi in Montagna”, siavvale di una presentazione di MarioRigoni Stern, il quale fra l’altro sottoli-nea: “Chi va per vette e le sale dovreb-be anche sapere il rischio, prevedere iltempo, conoscere le proprie forze e leproprie risorse; troppe volte agli sprov-veduti capita di mettere in pericolo lavita dei soccorritori”: una avvertenza,un monito, che si aggiungono alla poe-sia della montagna e della scalata che loscrittore dell’Altipiano di Asiago pureesalta.Ma il “viatico” alla storia del Corpo na-zionale di Soccorso Alpino e Speleolo-gico - come esattamente si deve indica-re - oltre a Rigoni Stern lo danno altridue personaggi di rilievo del settore: Ar-mando Poli, presidente del Corpo stes-so (che sottolinea le fatiche, l’impegno,le drammatiche e le dolorosissime per-dite umane nelle operazioni di soccor-so), e Gabriele Bianchi, presidente ge-nerale del Club Alpino Italiano.La storia qui tratteggiata viene, ovvia-mente, come si diceva all’inizio, da lon-tano, e fa riferimento a quei monaci e aquei montanari che volontariamente por-tavano soccorso ai viandanti in difficoltànel passaggio sui valichi.Ma poi, ecco tutta una serie di riferi-menti, di notizie, a tutto quel movimen-

In terza pagina sul Corrieredella Sera (4 agosto), Dino Buzzati titola “L’eroismo come hobby”E spiega come “i più intrepidi alpinisticortinesi sempre pronti a soccorrere gliscalatori incrodati sulle tremende pa-reti di Lavaredo non ricevono compen-si per le loro eccezionali imprese”.Campo principale d’azione ancora unavolta sono le Tre Cime con interventiestremamente difficili e con rischi so-stenutissimi per tutti i soccorritori.Eccone alcuni di particolare significa-to.17 luglio. Sulla direttissima degliScoiattoli alla Ovest di Lavaredo lasquadra, dopo avere percorso il primotratto della via Cassin con difficoltà di6° grado superiore fino oltre la gran-de traversata, cala un soccorritore finoa raggiungere due infortunati che ven-gono agganciati e calati fino alla ba-se della parete. Gli uomini del Soccor-so percorrono poi per intero la via.25 luglio. Sulla via Dimai-Comici dellaCima Grande di Lavaredo i soccorrito-ri, percorsa la via comune, si portanosulla parete nord, calano un uomo fi-no ai due infortunati che vengono an-corati e recuperati di peso e trasporta-ti a valle lungo la via comune.30 luglio. Sulla via dei Sassoni alla ci-ma Grande la squadra, portatasi sullaparete nord lungo una cengia, cala unsoccorritore fino a due alpinisti in gra-vi difficoltà. Uno dei due è ferito e vie-ne deposto alla base della parete lun-go gli strapiombi per circa 400 metri.Il compagno illeso viene recuperatoper la via comune.8 e 9 agosto. La squadra compie forsela sua operazione più drammatica re-cuperando sulla via Dibona della CimaGrande l’amico fraterno Ivano Dibona,colpito a morte assieme al suo clienteda una scarica di sassi.Lo stesso giorno un altro gruppo soc-corre sullo spigolo giallo della Piccoladi Lavaredo due alpinisti rimasti in-crodati a causa del ferimento di unodei due. I soccorritori dopo essersi ca-lati dalla cima recuperano il ferito e ilsuo compagno e li trasportano alla ba-se della via.

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to di guide, di tecnici, di appassionatidella montagna, che nel periodo fra ledue guerre mondiali del Novecento po-sero le premesse per la costituzione uf-ficiale del Corpo Nazionale SoccorsoAlpino e Speleologico.Ci imbattia-mo in nomi“antichi” ein nomi piùr e c e n t i ;quelli notisoltanto aglispecialisti equelli cono-sciuti anchedal grossopubblico: daBartolomeoFigari a TitaPiaz, da Sci-pione Steri-co a OrestePinotti (cheprepararonoil Regola-mento delfuturo Cor-po) a Mari-no Sterico eBruno De-tassis, daGiorgio Gabrielli a Paolo Mellucci, aCarlo Claus e Cesare Maestri, da Caolaa Prada, a Collini…Sono storie di uomini, e uomini che han-no fatto storia nel soccorrere, via via coimezzi che la modernità metteva a lorodisposizione (in ultimo, gli elicotteri)sulle alte vette dell’arco alpino: dallaValle d’Aosta e dal Piemonte alle Dolo-miti. Allora, accanto ai nomi che abbia-mo fatto, ecco aggiungersene altri, chesi sarebbero imposti all’attenzione delpubblico, magari anche per altre impre-se: Floreanini, Lacedelli, Abram, Ange-lino, Soldà, Piussi, Savoi, e i notissimi“Scoiattoli” di Cortina d’Ampezzo:Gandini, Alverà, Lorenzi, Vecio, Bocia,Bibi, Igi, Baa; Da Roit (Tama) e De To-ni agordini, e ancora Sorgato, Lacedel-li, Pompanin (sempre Dolomiti Bellu-nesi).Spostandoci in Valtellina ci imbattiamoin Cassin, Ratti, Esposito, Motteni Val-secchi, Rossi, Ortelli, Pedrini, e nellaprima donna del soccorso in monta-gna: Vera Cenini, alla quale altre poi sisarebbero aggiunte, fra le quali Ma-riuccia Bertarelli col marito Giorgio.Fra i “maglioni grigi” della Val Garde-na, spicca Cesare Maestri (il “ragno del-le Dolomiti”), e nel vicentino, Gino

Soldà e Franco Perlotto. Ancora: spo-standoci sulla Marmolada, protagonistaappare Attilio Bressan coi suoi vent’an-ni di soccorsi in montagna.Si è accennato ai mitici San Bernardo,ma l’ausilio dei cani oggi è esteso a tut-

to l’arco alpino, non è li-mitato a quella zona. Unpioniere dei cinofili fuFritz Reinstadler che, colcane Bell, il 6 febbraio1961 fu protagonista di unfamoso salvataggio neipressi di Solda (Ortles).Una vittima della sua di-sponibilità e generosità fudon Sebastiano Costa daFalcade. Parroco di Rea-ne, vicino ad Auronzo diCadore, moriva nel 1973,a soli 46 anni, coordinan-do una operazione di soc-corso coi volontari dellazona.Non meravigli la presen-za di un sacerdote nelSoccorso Alpino.

La vita dei paesini di montagna è vita dirapporti stretti, quindi di solidarietàespressa nella realtà del bisogno, coi fat-ti, per cui in questa opera di soccorsonon esistono differenze sociali o cultu-rali o “religiose”.Ci si dà la voce e si parte, dove si deve

andare si va, e tanto basta.La storia di mezzo secolo di soccorsi inmontagna parla ovviamente con le cifre.Il volume presenta una serie di numeriche, partendo dal 1955, arrivano al 2002.Ne diamo qualcuno, di questi numeri.Primo anno, il 1955.Interventi: 106; persone soccorse: 153;soccorritori impiegati: 925; personemorte: 57; persone ferite: 47; Illesi: 48.Anno 2002.Interventi: 4.874; persone soccorse:5.424; soccorritori impiegati: 22.862;persone morte: 427; persone ferite:3.434; illese: 1.371; interventi con eli-cottero: 3.180.Complessivamente, i dati aggiornati al2002 parlano così.Interventi: 62.952; persone soccorse:76.522; soccorritori impiegati: 366.566;persone morte: 8.984; persone ferite:39.911; illese: 25.047.Dietro questi numeri, come si è visto,c’è una storia lunga mezzo secolo, nonè un lasso di tempo trascurabile.E poi, quello che conta, è rappresentatodall’impegno, dalla consapevolezza di

un’opera altamente umanita-ria, e dai risultati, sempre po-sitivi, anche quando si va alsoccorso e l’interessato è ma-gari nel frattempo deceduto;in forza di una pietas prove-niente dal profondo, si cercadi fare di tutto per recupera-re la salma...La montagna è (anche) que-sta. La si ama e la si teme,affascina e conquista, e chia sua volta la conquista, neresta sempre più affascinato.In questa storia, in questeconsiderazioni, appare infinequanto mai opportuna la ci-tazione di Bruno Detassis:“... Della montagna biso-gnerebbe sempre avere unpo’ di paura. Io però nonl’ho mai avuta. Perché sonosempre stato sulla difensiva.Mi spiego: non le ho mai re-galato il mio Io, la parte piùprofonda di me”...Una considerazione, una “re-gola”, che vale per chiunquevada in montagna e, natural-

mente, anche per quell’esercito piccoloma agguerrito di oltre 6.600 volontaridel Soccorso Alpino e Speleologicosparsi in tutta Italia e pronti ad accorre-re in qualsiasi giorno dell’anno e... conqualsiasi tempo, a maggior ragione, sebrutto.

Eroismi sulle Tofane: 1968, l’annus horribilisIl 1968 viene ricordato come un an-nus horribilis per la brusca impenna-ta degli interventi: 18 azioni di soc-corso con il recupero di otto morti, seiferiti e 14 illesi per complessive 127giornate/uomo e l’impiego di 120 per-sone.Dodici salvataggi impegnano AlbinoAlverà, un veterano del soccorso di cuioccorre riparlare in questa storia,campione italiano di sci alpino nel1951 e olimpionico a Oslo.Luciano Bernardi, impiegato all’Enel,è appena tornato dal viaggio di noz-ze e deve, prima ancora di disfare levaligie, correre sulle Tofane a prele-vare un ferito.“Cominciamo bene”, sospira la spo-sina. Non è mai successo niente di si-mile a Cortina.

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“Solo il tempo è nostro. E l’uomo ètanto stolto che, quando acquistabeni di nessun valore, e in ogni ca-so compensabili, accetta che glivengano messi in conto; ma nessu-no che abbia cagionato perdita ditempo agli altri, pensa di essere de-bitore di qualcosa; mentre questo èl’unico bene che l’uomo non puòrestituire, neppure con tutta la suabuona volontà” scriveva nel I secolo d.C. il filosofo Se-neca.

Il tempo, il nostro bene più prezioso.L’unica cosa che nessuno potrà mairestituirci. Ben vengano allora - po-

trebbe pensare qualcuno - le Banche delTempo! Sì, insomma - continua il nostroamico - casse di risparmio in cui, dopo unavita di economia e sacrifici, potrò riscuo-tere settimane, mesi, addirittura anni!Per quanto assurdo, un simile ragiona-mento potrebbe non stupire: se oggi tut-to viene valutato, se a tutto viene datoun prezzo, perché mai il tempo dovreb-be fare eccezione? “Il tempo è denaro”,lo sappiamo tutti. Plasmati come siamoda Mammona e dai suoi servitori checon incudine e martello forgiano conti-nuamente la nostra mente, difficilmen-te riusciamo a pensare a rapporti uma-ni che escano dal tradizionale alveo deldenaro, dell’utile e dell’arricchimento.Tuttavia, qua e là, piccole fiammelle disperanza sembrano illuminare questocupo panorama: spinti da una logica as-surda per i canoni attuali, gruppi di don-ne - lavoratrici o casalinghe - neolau-reati e pensionati si sono organizzati incentri a diffusione locale, le Banche delTempo, che stanno prendendo partico-larmente piede in quella che è la capi-tale del “laurà com on dannaa”: Mila-no e dintorni. L’innovazione stanell’uscire dall’occhiale deformante delmercato, del contratto o del baratto peraprirsi ad un’azione sociale innovativache faccia emergere la socialità, la so-lidarietà, la potenzialità della persona, ingruppi organizzati secondo associazio-ni non istituzionalizzate né omogenee.Ma come funzionano questi particolari

centri di credito già attivi dalla metà de-gli anni ‘90?I partecipanti, in media 15-20 personedalle svariate capacità ed estrazione, siuniscono con il preciso scopo di mette-re a disposizione conoscenze e compe-tenze sottolineando al tempo stesso ciòche vorrebbero ricevere. Qui non cir-cola denaro, ma tempo, tempo che di-venta merce, grazie alla messa in co-mune di abilità e capacità. Sei un ma-go del computer ma due uova al tega-mino sono per te un’erculea impresa?Con l’aiuto della Signora Pina la tuacenetta a due sarà un successo assicu-rato, ma in cambio, potresti trovarti amandare regolarmente ai suoi nipotinie-mail dipendenti “Cari saluti dalla non-na che vi vuole tanto bene”. Si va allo-ra dal disbrigo di pratiche d’ufficio al-la preparazione di dolci e cibi, dallaconversazione in portoghese alle ripeti-zioni di latino, dalle piccole riparazio-ni domestiche all’aiuto per il 740. Allafine di ogni prestazione, viene staccatoun assegno (sì, proprio un assegno!) do-ve si attesta il valore del servizio rice-vuto, quantificato in ore, di cui il titola-

re può disporre a piacimento. È possi-bile, quindi, anche accumulare creditiche poi verranno soddisfatti, a secondadelle necessità, da qualunque membrodella comunità.Questi centri, fatti di spontaneità, mu-tualità e collaborazione, educano a fa-re un uso positivo della risorsa tempo,non in una logica mercantile o assi-stenziale, ma nel quadro di rapporti co-munitari improntati su una reciprocitàche si fa lievito di un nuovo modo di vi-vere il nostro essere “animali sociali”.Il rispetto della pari dignità dei singoliaderenti è garantito: non c’è socio piùqualificato di un altro, tutti hanno lapossibilità di dare e chiunque ha biso-gno dell’altro per ricevere. E stupiscesentirli parlare, loro, abitanti diquell’alienante metropoli che è l’hin-terland milanese: “Abbiamo costruitouna specie di paese nella città, nel si-gnificato più bello del termine, dovecon il termine “paese” intendiamo unacomunità di scambio reciproco e di so-stegno amichevole grazie al quale re-cuperare il piacere di relazioni umanetra pari”.Nasce oggi un nuovo modo di stare in-sieme. Superando il diffuso disimpe-gno, cancro delle moderne società in-dustrializzate, le BdT colmano il vuo-to tra spazio pubblico e spazio privato,tra apparati statali e piccole necessitàquotidiane, creando un nuovo modo divivere la collettività, più diretto e soli-dale. Non è da trascurare che le BdTsiano fatte di membri e soci, non diclienti e utenti. La triplice azione del da-re, ricevere e ricambiare sembra allorafarsi motore, non del gratuito assisten-zialismo e volontariato, ma di un nuo-vo modo di fare economia, incentrato susolidarietà e reciprocità. Uomini e don-ne che, sentendosi estranei rispetto aduna realtà sociale che per un motivo oper l’altro li ignora o respinge, reagi-scono creando una comunità, nel sensopieno del termine. “Cum-munera”, sipotrebbe ipotizzare dal latino, è “condono”: implica l’esistenza di un terre-no comunitario intessuto dallo scam-bio reciproco di beni, servi e saperi.

Le Banche del Tempodi Benedikte Del Felice

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Basta guardarsi attorno per notaredei mastodontici fuoristrada, conmotori di grossa cilindrata, assai

simili alle autovetture come comodità eprestazioni che sono utilizzati nellamaggior parte dei casi per dei safari cit-tadini, per posteggiare comodamentesui marciapiedi e poco altro: una tri-stezza infinita!A pochi viene in mente di fare un con-fronto con la progenitrice di questi mo-stri: la umile jeep della seconda guerramondiale.Jeep è oramai il sinonimo di mezzo mi-litare fuoristrada dal quale sono deriva-

te le future generazioni.La enorme diffusione, evidentementenon disgiunta dalla sua versatilità, la vi-de protagonista alla grande in tutti gliscenari di guerra europei, africani e sul-le isole del Pacifico.Nell’immediato dopoguerra le jeep so-no state utilizzate per tutto e per il con-trario di tutto: dall’Esercito Italiano, daiVigili del Fuoco e dalla Polizia Strada-le e dai reparti celeri - dipinte nei co-lori di ordinanza, dai contadini – comeautocarro o con ingegnose applicazioni,dai ferrovieri - con ruote di ferro adat-te ai binari, dagli operai nelle cave e per

stendere cavi, dai montanari per tra-sporto merci, spazzaneve, autoambu-lanza e gatto delle nevi …. insommauna serie di “riusi” provvidenziali inquegli anni!Molte jeep sono state evidentemente di-strutte e demolite, ma alcune per fortu-na sono tornate allo splendore dei loro

“Jeep Story 1944-2004Sessant’anni di onorato servizioin guerra ed in pace”

Nell’ottobre dell’annoscorso Ravenna ha ospitato una mostra evento di notevole rilievostorico culturale.

di Pier Luigi Tremonti*

Maurizio Mauro -Renato PujattiJEEP STORY 1944-2004Sessant’anni di onorato servizioRavennaMostreEventiAdriapress Srl - RavennaTel [email protected] 25,00 spese porto e imballo in-cluse

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ma monografia sulla Jeep disponibilein italiano.Disegni, schemi, tabelle e curiositàrendono il libro attraente anche per unnon appassionato, figuriamoci per uncollezionista di mezzi d’epoca o an-che solo per un curioso nostalgico.Provare poi una Jeep è una esperienzaimpagabile: telaio, motore, meccanicasemplice, poca carrozzeria e tanta po-tenza.Attenti ai freni ed al torcicollo! Maquesto è un altro discorso.

* presidente Valtellina Veteran Car (ASI)

migliori anni nella mani di appassiona-ti, e testimoniano un’epoca passata ora-mai alla storia.Anche se si tratta di un veicolo tipica-mente bellico viene visto oggi come unsimpatico attore di un’epoca e comeesempio di studi e di ricerche ingegne-ristiche che ancora oggi non hanno per-so il loro fascino.In tutti i film di guerra la Jeep ha avutoruoli di primo piano … mi meraviglioche non le sia mai stato assegnato unOscar!

Ma la classica jeep ha subito una seriedi migliorie che la hanno portata aigiorni nostri in versioni modernissime,ma ha anche subito una serie di “imi-tazioni” spesso di notevole interesse ein diversi paesi del mondo: Fiat 508CM, Fiat 508 C, Volkswagenwerke-Kubelwagen, Willis M 38, WillisM38A1C, American Motors Co.M151A2 Mutt, Fiat AR 59, Alfa Romeo AR51 Matta, Fiat Campagnola AR 55,Autounion, Viasa CJ3B, Land RoverAR 90.Una completa rassegna di questi mez-zi militari era esposta a Ravenna. Chiha perso l’occasione di fare una visitanon si deve mangiare le mani, perchécome si usa fare in tutte le mostre chesi rispettano è stato allestito un prege-vole catalogo.Due appassionati ed esperti di Jeep aimassimi livelli hanno raccolto una se-rie di foto e di documenti che danno vi-ta a quella che probabilmente è la pri-

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Omeglio, la televisio-ne conosce una nuo-va e importante evo-

luzione: stiamo parlandodel “digitale terrestre”, os-sia della nuova frontieranel mondo mediatico.Il mezzo televisivo è dasempre stato consideratocome il medium per eccel-lenza, sia per la sua impor-tanza a livello comunicati-vo sia per il ruolo ricopertodal punto di vista sociale.Ancora oggi, però, si con-sidera la televisione solo co-me uno strumento di carat-tere analogico, anche per-ché il digitale, fino a qual-che anno fa, era solo una chimera daraggiungere.Nel frattempo, però, con la nascita del-le stesse piattaforme digitali, inevita-bilmente si è cominciato a pensare a unafruizione diversa del mezzo, diventatosempre più interattivo.È nata prima la pay tv e in un secon-do tempo la pay per view all’america-na, ovvero il meccanismo attraverso ilquale lo spettatore ha la facoltà di ve-dere un determinato programma ospettacolo acquistandolo direttamente.L’unico problema del digitale satellita-re era il costo non ancora competitivoper un paese come l’Italia. Ed è proprioper questo motivo che la sua diffusio-ne non è stata e non è ancora capillare.Oggi, al tempo stesso, la tecnologia vaavanti e il sistema analogico viene con-siderato sempre più antiquato: la tra-smissione del segnale attraverso i ripe-titori necessita di una continua manu-tenzione, ma soprattutto la particolareconformazione dell’Italia (attraversatada due catene montuose come le Alpie gli Appennini) non ne permette unacopertura totale.Proprio per questa ragione l’attuale Go-verno ha reputato indispensabile un in-tervento con una riforma, per mezzo

della cosiddettalegge “Gasparri”(dal nome del Mi-nistro propositore),al fine di aggiornare il sistema radiote-levisivo stesso.L’ultimo intervento in questo senso erastata la legge Mammì del 1990, attra-verso la quale si riconosceva la legitti-mità della coesistenza di televisionepubblica e televisione commerciale, cheera cominciata a nascere e a diffonder-si proprio a partire dalla metà degli an-ni ottanta. Quel provvedimento cerca-va di fare chiarezza in riferimento allavecchia riforma del sistema radiotele-visivo legata alla legge 103/1975, cheaveva portato al rafforzamento della Raicon la nascita del terzo canale e al pas-saggio dalla tv bianco e nero a quella acolori.I principi fondamentali a cui si ispira-va la legge Mammì, la N°. 223/1990,erano il pluralismo, l’obiettività, lacompetenza e l’imparzialità dell’infor-mazione. In questo senso si spiega la ne-cessità dell’istituzione di un nuovo or-gano di controllo: il Garante per la ra-diodiffusione e l’editoria (che va a so-stituire il vecchio Garante per l’edito-ria istituito con la legge 416/1981).Mancava, dunque, da allora, un ag-

giornamento del sistema radiotelevisi-vo anche dal punto di vista legislativo(in realtà una nuova legge è stata ema-nata nel 1997, anche se si trattava di unprovvedimento che andava a discipli-nare meglio quelli che dovevano esse-re i compiti dell’Authority sulle comu-nicazioni).La grande novità della legge Gasparri(n. 66/2001) sta nella disciplina del di-gitale: inizialmente, il termine ultimoper il definitivo passaggio dalla televi-sione analogica, ricevibile con le tradi-zionali antenne, a quella digitale era fis-sato per il 2006, ma successivamente lascadenza è stata posticipata al 1° gen-

naio 2007. Già in questi ul-timi mesi, però, alcuni pri-mi esperimenti sono statifatti: Rai, Mediaset e La7hanno, infatti, cominciato amettere a punto i primi di-

spositivi per ricevere il segnale del di-gitale terrestre.Attraverso la vecchia antenna analogi-ca, con l’utilizzo di un apposito ricevi-tore, già adesso è possibile ottenere unafruizione digitale dei canali. Si è arri-vati, dunque, a una prima vera e pro-pria concorrenza nei confronti dellepiattaforme satellitari.L’obiettivo è fare in modo che tutti pos-sano arrivare ad ottenere un migliora-mento nella fruizione del mezzo tele-visivo e favorire la nascita di un’inte-razione sempre maggiore con lo spet-tatore. Proprio per questo motivo,dall’approvazione della legge Gaspar-ri in poi, il Governo, attraverso delleagevolazioni, sta cercando di arrivare auna larga diffusione del nuovo sistema,in previsione della scadenza del 1° gen-naio 2007.In realtà, non è chiaro se quello sarà unvero e proprio termine ultimo o se perarrivare a un passaggio definitivo al di-gitale bisognerà attendere ancora deltempo. In ogni caso, le prime offerte sono giàpartite: al pubblico dei telespettatori larisposta.

DIGITALE TERRESTRE,la nuova televisione

di Gianluca Lucci

È nato un nuovo medium.

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Combattimento delle ombre, me-ditazione in movimento, danzadegli immortali ...

Al Tai Chi Chuan sono stati dati moltinomi, però nessuno è riuscito a cattura-re l’essenza di questa disciplina le cuiorigini affondano nella leggenda e nelmistero. Poiché la parola “Chuan” si-gnifica “pugno vuoto”, il T.C.C. può es-sere definito l’arte del combattimento inarmonia con il Tao e senza aggressività.Si può così arrivare a percepire il Tao,la via, che non può essere spiegato maconferisce esistenza, significato ed ener-gia ad ogni cosa. Il T.C.C. è un’anticaarte cinese basata sul movimento: è con-siderata sia un’arte marziale, sia un me-todo per il mantenimento od il recupe-ro della salute, a cui possono accostar-si tutti, indipendentemente dall’età edalla forma fisica.L’aspetto preventivo e terapeutico è ilsuo obbiettivo.Il T.C.C. si pratica con esercizi e movi-menti che si addicono a chi ricerca unmetodo fisico adeguato alla propria in-dividuale condizione fisico-mentale. In-fatti, per come è strutturato e per il tipodi esercizio fisico e attenzioni richiesti,esige solamente disponibilità ad ascol-tarsi e costanza nella pratica. Findall’inizio, si apprendono esercizi sem-plici che si susseguono in modo lento,armonico e preciso.Gli esercizi costituiscono già da soli unprogramma utile per il benessere gene-rale, ma non hanno applicazioni di com-battimento e di solito sono praticati co-me preludio e preparazione all’esercizioprincipale di Tai Chi Chuan: la “forma”che, invece, comprende movimenti uti-li sia per la salute che per la difesa per-sonale.Questi movimenti fluidi, in sintonia conla respirazione, riportano armonia e sin-cronia tra mente e corpo, flessibilità al-le articolazioni, rilassamento ai musco-li, forza e benessere agli organi interni,tranquillità, chiarezza e sicurezza allamente. Nella pratica del T.C.C. rivestenotevole importanza un atteggiamen-to posturale corretto: inizialmente, vi

sarà il riconoscimento di parti corpo-ree più soggette a tensione; in un se-condo tempo, la costante pratica delT.C.C. provoca lo sblocco di questetensioni sia sul piano fisico che suquello psicologico; ecco, quindi, che ilT.C.C. si trasforma da ginnastica dol-ce in un metodo introspettivo in gradodi modificare la qualità stessa della vi-ta.Il T.C.C. è una pratica energetica inter-na che non fa leva sulla forza muscola-re ma utilizza la forza che scaturiscedall’interno: l’Energia Vitale chiamata“Qi”. Perchè vi sia benessere, l’energiavitale deve fluire liberamente nel corpo.Qualsiasi blocco di questo fluire con-duce ad uno squilibrio energetico e, diconseguenza, attiva il malessere o lamalattia. La riattivazione graduale deicentri energetici permette il riconosci-mento, il potenziamento e l’utilizzo delQi considerato dalla medicina tradizio-nale cinese l’elemento primario per ilraggiungimento della “Perfetta Salute”.Questa capacità è già insita in ciascunodi noi, fin dalla nascita.

Gli esercizi: fare uso di energia, non diforza muscolare. Gli esercizi vannoeseguiti senza tensione muscolare, perpermettere la circolazione di energia.Il corpo deve essere rilassato e morbi-do, le spalle bene aperte per non osta-colare il respiro, il ventre rilassato. Sesi impiega troppa forza per praticare unesercizio ci si stancherà in fretta, esau-rendo così prima del tempo la propriaenergia e affaticando inutilmente il cuo-re. Lo scopo è invece quello di pratica-re gli esercizi in modo che il cuore pom-pi forte, e venga quindi rinforzato, sen-za però aumentare la frequenza del bat-tito o stressare questo organo.

Come e quando: il momento ideale peresercitarsi è nelle prime ore del matti-no, possibilmente all’aria aperta. Quan-do non è possibile, si può praticare inqualsiasi orario, cercando di evitare leore successive a pasti abbondanti, sem-pre in luoghi tranquilli e ben areati. Sesi dispone di poco tempo da dedicare al-

di Oliviero Bergomi

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la pratica degli esercizi, è meglio di-luirla in pochi minuti al giorno, anchedieci minuti bastano, invece di concen-trarla in una sola volta alla settimana.Ogni esercizio va ripetuto per almenodieci volte alternando i lati quando in-dicato.

La concentrazione: durante la pratica,bisogna rispettare la propria strutturafisica, senza forzature. “E’ molto più

importante mantenersi aperti e rilassa-ti, piuttosto che cercare di raggiungereun’estensione di movimento per la qua-le non si è pronti”. Lo stesso rispetto de-ve essere riservato alla propria mente:deve rimanere concentrata, ma apertaanche a quello che accade intorno.

La respirazione: per la filosofia degliesercizi taoisti, bisogna imitare un ani-male longevo: la tartaruga. Lo sforzo

deve essere quasi nullo e misurato e ilrespiro lento, calmo e profondo.

Il Tai Chi Chuan: insegna, al corpo ealla mente, proprio come riattivare lacircolazione energetica; conoscere ecapire la propria energia, vuol dire co-noscere e capire la natura, presuppo-sto fondamentale per condurre una vi-ta serena e appagata.

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Sovente mi ritrovo soprattutto dopoil tramonto o nei periodi di nebbiaa vagabondare per le vie e per i vi-

coli della mia città, mi aggiro estasiatoad ammirare la sontuosità e la maesto-sità dei suoi palazzi e delle sue vie, deitanti campanili, delle innumerevoli chie-se e dei monasteri.Adoro il silenzio delle sue piazzette, ivecchi androni dei palazzi dove si sof-fermano a far le fusa i famosi gatti tur-chini. Proprio durante uno di questi vagabon-daggi mi ritrovai in via Capo delle Vol-te nel silenzio reso ancor più misterio-so dalla nebbia azzurrina che incorni-ciava i tremolanti lampioni: all’im-provviso fui attirato dal rumore di uncarretto e da quello degli zoccoli di ca-valli che si fermarono al civico 50: nel-la semi-oscurità scorsi alcune bellissimedame avvolte in sontuosi mantelli,scomparire furtivamente nel buio an-drone di un vetusto palazzo. Non capii,ed un po’ frastornato ripresi a cammi-nare: la via era deserta, solo una musi-ca di clavicembalo aleggiava.Ma ecco: lo scoppiettare lontano di unoscooter mi riportò ben presto alla nor-malità e capii che stavo sognando …forse o ricordando vecchie leggende opettegolezzi della Ferrara del 1500.Si narra infatti che Lucrezia Borgia in-contrasse proprio in questa casa i suoiamanti, o che in serate come questa laduchessa, dopo che si erano accesi i bra-cieri per bruciare incensi ed erbe pro-fumate per esorcizzare la paura dellapeste che incombeva sulla città, si re-casse trepidante a far visita al suo ama-to poeta che solitamente celebrava lasua bellezza e le sue virtù con i suoiversi: Pietro Bembo. Sicuramente ave-vo sognato o forse complice era stato ilfresco calice di vino bianco che avevogustato poco prima nella più antica oste-ria del mondo, L’Osteria del Chiù, sitain via degli Adelardi, che si snoda lun-go la fiancata sinistra del Duomo e giàesistente prima del 1435, alla luce del-le sue candele e della spassosa musicalocale, o forse ancora, chissà, l’aver am-

mirato la misteriosa testa di donna difattura medioevale, scolpita nella pietrae che si trova sulla porta sinistra delDuomo, dai ferraresi chiamata la “por-ta delle donne” perchè in tempi lontanida questa porta dovevano entrare solo ledonne per assistere alle funzioni reli-giose.Senza dubbio tutti questi ricordi e l’at-mosfera irreale della sera mi hanno tra-sportato nel lontano periodo in cui Ma-donna Lucrezia era vissuta a Ferrara.Nata a Subiaco nell’Aprile del 1480,questa bellissima bambina bionda dagliocchi grigio-azzurri trascorse la sua gio-vinezza tra le torri dell’austera roccache si affacciava sulle rive del fiumeAniene.Questa dolce creatura era nata da Va-nozza, figlia di scultori e decoratori pro-venienti da Brescia, donna dotata di unastraordinaria bellezza, e da Don Rodri-go Borgia, futuro Papa Alessandro VI°.Lucrezia credeva fermamente nella re-ligione, nella preghiera e nei canti sacri,aveva compiuto studi umanistici ed ave-va appreso la lingua spagnola, come pu-re le danze catalane, non amava la po-litica, capiva poco di arte, però avevavissuto tra uomini di comando e sicu-ramente aveva assimilato l’arte di muo-

versi nell’agitato mare delle ambizionifamiliari, riservando il posto d’onore aipropri interessi (vedi matrimoni prece-denti).Aveva conosciuto, cosa abbastanza stra-na per quei tempi, il suo futuro sposoAlfonso, prima del matrimonio a Roma,dove le famiglie avevano concordatol’evento. Partita con un’enorme caro-vana da Roma in una giornata nevosa,precisamente il 6 Gennaio 1502, arrivòa Ferrara nei primi giorni del mese difebbraio entrando in città su di un altocavallo bardato di velluto, dono del suo-cero Ercole d’Este ed avvolta in un son-tuoso abito dalle larghe maniche fode-rate di ermellino e da un mantello di untessuto che metteva oro su oro su di unfondo d’oro in un largo disegno cin-quecentesco con una cuffia dorata chele lasciava scoperto la fronte e trattene-va vezzosamente i suoi lunghi capellibiondi.Il 2 febbraio 1502 si celebrò il sontuo-so matrimonio al quale parteciparonotutti i nobili e tutte le dame appartenen-ti ai vari ducati e principati del tempo.Nella prima notte di nozze Lucrezia fuvigilata da relatori, da donne, da prela-ti spagnoli e da parenti intimi del Papache accorsero appositamente a Ferraracon l’incarico di fornire esatte e detta-gliate informazioni sulla prima nottedegli sposi.Ferrara accolse in un tripudio di festa edi onori l’allora ventiduenne chiac-chierata duchessa eppure il suo fu un re-gno senza riserve.Visse diciassette anni senza ombre, dan-do alla luce sette figli, descritta comemoglie esemplare, nuora prudente e ri-spettosa del suocero Ercole, attenta reg-gente delle sorti del ducato Ferraresedurante le numerose assenze dello spo-so guerriero, e fervente religiosa … ep-pure Lucrezia era immersa nella solitu-dine, come la si può ammirare nell’af-fresco del Pinturicchio, avvolta nel suomantello di colore rosso, come una nu-vola protettrice ma nello stesso tempocornice di una bellissima e tristissimadonna.

Il motto di Lucrezia Borgia:se io morissi, tutto il mondo sarebbe senza amore

di Giancarlo Ugatti

Lucrezia Borgia, duchessa di Ferrara.

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Borgia hanno trasformatoquesta splendida donna inuna dispensatrice di vele-ni e di morte, quando inrealtà quest’ultima ha vis-suto un mondo a parte an-che se perennemente cir-condata da una folta edingombrante schiera dipersone.Probabilmente queste leg-gende sono nate per na-scondere verità su colpecommesse o commissio-nate da altri, forse più po-tenti della signora dagliocchi azzurro- grigio edai capelli biondi.Se ne andò da questomondo e da Ferrara in una

splendida mattinata di sole, era il 24giugno 1519, a soli 39 anni. Morì per

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Amata e corteggiata da poeti, da pitto-ri, da uomini potenti attratti dalla suabellezza, dai suoi occhi ridenti e daisuoi magnifici capelli che le ricadevanosulle spalle, amata dal popolo per la suapersona minuta e per la dolcezza cheemanava il suo luminoso viso attiratidallo splendore di quegli occhi che chie-devano al suo nuovo popolo di poter vi-vere felice e tranquilla nella sua nuovadimora anche se tanto lontana da Roma,dai suoi parenti e dai fasti del Vaticano.Lucrezia: invidiata, osannata ed odiatadalle donne della sua corte, in quei lun-ghissimi diciassette anni fece nascereleggende e detti sul suo modo di vive-re, circondata da racconti sinistri comeper esempio le scomparse misteriose dimariti o amanti.Dopo oltre 500 anni io, come altri mol-tissimi ferraresi, sono sicuro che forseLucrezia Borgia, duchessa di Ferrara,devota a S. Francesco, iscritta al terzoordine francescano, quello dei laici cheportava il cilicio sotto le vesti e si con-fessava tutti i giorni, non abbia mai uc-ciso nessuno, né tanto meno avvelena-to o dato ordine di uccidere.Nonostante ciò la leggenda e le tantedicerie sviluppatesi attorno alla impor-tante personalità e figura di Lucrezia

parto, se ne andò in punta di piedi da unmondo che non le donò mai quella tran-quillità e quella serenità che invano ave-va cercato in tutti i modi di raggiunge-re durante la sua vita travagliata e ma-trigna.Si narra ancora che nelle notti di pleni-lunio, quando la città dorme cullata dal-lo scandire delle ore, dai profumi deimolteplici giardini ferraresi e dai guiz-zi dei pesci che vivono nelle acque checircondano il castello Estense: guar-dando sulle balconate dei giardini pen-sili del maniero, a volte si intravede flut-tuare una figura femminile, coperta diuno splendido abito bianco ornato diperle e fili d’oro che passeggia con por-tamento regale, quasi a voler protegge-re la città di Ferrara ed i suoi abitanti.E’ la Duchessa Lucrezia Borgia … fe-lice di aver trovato finalmente la pace ela serenità nella lontananza siderale.

Via delle Volte a Ferrara. In alto: Castello Estense, la torre dei leoni.

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Il paesaggio, si sa, è so-prattutto dall’Ottocentouno dei temi preferiti dai

pittori di ogni paese e genera-zione. Già dal seicento gli ar-tisti di tutta Europa venivanoa Roma per apprezzare e quin-di descrivere nelle loro operei meravigliosi paesaggi attor-no alla città eterna, introdu-cendo il più sovente temi sto-rici, mitologici od anche im-maginari, nel bel mezzo dicampagne o di boschi, pae-saggi rurali o selve suggestive,od anche, come fece ClaudeGellée dit le Lorrain, inven-tando porti di mare inondatidalla luce solare, e dal crepu-scolo, per non parlare della ri-voluzione degli Impressioni-sti, che ancor oggi muove lefolle estasiate da descrizioniatmosferiche immortali.La seducente mostra di Pavia,senza nutrire l’illusione dicreare file enormi di visitato-ri, ci offre però un taglio di-

verso nell’approccio del pae-saggio italiano ottocentesco,di cui si dimentica troppo lamolteplicità di visioni e spaziche ne fanno sempre un og-

getto di studio ed ammirazio-ne, talvolta anche di sorpresaper gli amatori del genere. Inquesto modo, il paesaggio di-viene “pretesto” dell’anima.

A R T E

Al Castello Visconteo di Pavia fino al 3 aprile 2005

Paesaggi.Pretesti dell’anima

di Donatella Micault

Telemaco Signorini, Marina diViareggio, 1860, olio su tela.

Giuseppe Bisi, Orlando eRodomonte combattono allapresenza di Fiordiligi, 1838, oliosu tela.

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Alle diverse interpretazionidel paesaggio italiano del XIXsecolo, Pavia, nella sede delCastello Visconteo, esempiosignificativo dell’architetturadel Trecento, dedica un’origi-nale esposizione attraverso seisezioni tematiche: “sguardi”,“paesaggi del mito e della let-teratura”, “stati d’animo”,“impressioni”, “le opere e igiorni”, “la città nel paesaggioed il paesaggio nella città”. Uncentinaio di opere dei princi-pali artisti del tempo raccontaquell’evoluzione che ha por-tato il paesaggio, da genereminore nel periodo neoclassi-co, a strumento espressivo diuna forza paragonabile a quel-la della musica e della poesia.Curata da Carlo Sisi, diretto-re della Galleria d’Arte Mo-derna di Firenze, da tempo im-pegnato ad approfondire que-sto tema, la rassegna proponeun inedito viaggio nella geo-grafia del paesaggio divenutospecchio dell’umana espe-rienza.La manifestazione prende av-vio dal tema della Finestra,che fu amato dal Romantici-smo. Finestra come aperturadello sguardo sul mondo este-riore, di cui un esempio bel-lissimo è la descrizione dello“Studio del pittore a Napoli”(1827 circa), pittore e scritto-re Massimo d’Azeglio. Dellostesso tema, si ammirerà il di-pinto di Stefano Ussi rappre-sentante “Pia de’ Tolomei”(1855-60 circa) intenta a guar-dare dal balcone, o l’immagi-ne di Lord Byron, immortala-

to da Giaco-mo Trécourt(1850 circa),m e d i t a n d osulle spondedel mare el-lenico. Il na-poletano Fi-lippo Palizzidà, dal cantosuo, l’imma-gine graziosa della Fanciullaappollaiata sulla roccia di Sor-rento, ammirando il mare(1858 circa).Nel secondo tema, che trattadei “Paesaggi del mito e del-la letteratura”, Luigi Basilet-ti illustra l’incontro fra Eneae Andromaca (1811), mentreil bolognese Giovanni Barbie-ri descrive la drammatica sce-na della poetessa “Saffo che sigetta dalla rupe” (1808), sce-na resa efficacemente nellacornice di una veduta gran-diosa. Nella sezione “Statid’animo”, oltre a paesaggi no-stalgici tali “Tramonto in la-guna” o “l’ultimo sole” diLuigi Bertelli (1867-70 circa),si noterà l’immagine femmi-nile della “Malinconia”(1842-60 circa) di Andrea Ap-piani jr, direttamente ispiratada Francesco Hayez, suo mae-stro, figura emblematica nellasua candida veste di un ro-manticismo tipicamente ita-liano. Ricordiamo anche il bel

tondo di Giuseppe Pellizza daVolpedo, grande olio su telaproveniente dalla Pinacotecadi Ascoli Piceno, “Passeggia-ta amorosa” (1901 circa), do-ve gli innamorati paiono ema-nare luce dalle loro figure im-merse in un estatico isola-mento.Proseguendo il nostro percor-so, le “Impressioni” ci offronouna visione solare luminosa,di Antonino Leto, “Strada ver-so Anacapri” (1880-85), maanche la suggestiva “Costieradi Amalfi con mare in tempe-sta” (1837 circa), di GiacintoGigante, uno dei fondatoridella celebre “Scuola di Po-sillipo”, e di Teodoro Duclère“La casa del Tasso a Sorren-to”, complessa costruzione apicco sulla scogliera, che eraun punto di riferimento privi-legiato per la vista che vi sigodeva.

Nella sezione “Le opere e igiorni”, Plinio Nomellini, conil “Fienaiolo” (1888), dà una

visione vigorosa ed espressivadel duro lavoro quotidiano deicampi, come Carlo Pittara nelpoderoso dipinto “L’aratura”(1869 circa), olio su tela, cm200x302, con i buoi dal bian-core immacolato, veri prota-gonisti del bellissimo quadro.Infine, il sesto tema tratta del-la “città nel paesaggio e delpaesaggio nella città”, con vi-sioni splendide, tali la “PiazzaErbe a Verona” resa con mae-stria da Carlo Ferrari nel 1839,brulicante di folla, il quadropiù famoso dell’artista vero-nese. Un’animata veduta na-poletana del 1887 di VincenzoMigliara conclude questo fan-tastico percorso con una delleaffascinanti vedute milanesi diun canale (1837) di Angelo In-ganni. Il bel catalogo Skiraevidenzia con differenti testicritici e le illustrazioni delleopere esposte la variegata e fe-lice scelta dei dipinti presen-tati, alcuni anche ingiusta-mente poco conosciuti.

Paesaggi. Pretesti dell’ani-ma. Visioni ed interpretazio-ni della natura nell’arte ita-liana dell’Ottocento.Castello Visconteo, Pavia. Finoal 3 aprile 2005.Orari: martedì-venerdì 10-18,sabato e domenica 10-19, chiu-so lunedì.Catalogo Skira, 35 euro, 30 eu-ro in mostra.Per informazioni e prenotazio-ni telefono 02 89677703.

Giovanni Fattori, La libecciata,1880-85, olio su tela.

FilippoPalizzi,Fanciulla sullaroccia aSorrento 1858,olio su tela.

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Aquattordici anni RinaldoBuzzi è a bottega dal Pedret-ti, il miglior orologiaio di

Chiavenna, che ha negozio inOltremera di fronte allaTrattoria dell’Uomo Sel-vatico, il quale nei quat-tro anni di apprendi-stato gli insegna atenere la lente d’in-g r a n d i m e n t oall’occhio, a ma-neggiare i cac-ciaviti e le pin-zette, a esplora-re la cassa di unorologio, a indi-viduare in pocotempo un guastoe a calcolare ilvalore dei singolipezzi.Lui, il RinaldoBuzzi, si era tantoappassionato a quellavoro che voleva sem-pre di più approfondirlo eperfezionarlo lavorando suimeccanismi del pendolo, sullesveglie, sull’orologio da tavolo oda tasca fino a capire che esso avevaper ultima funzione quella di indicareil tempo essendo prima di tutto un og-getto ricco di storia.Con gli orologi lì a portata di mano siappassionò ad aprirli, smontarli, rias-semblarli, sentirli battere il tempo. Oree ore di lavoro duro, chiuso in una stan-zetta, sommerso da“segnatempo”diogni tipo, spesso al posto delle serate disvago in compagnia degli amici. Vive-va di pinzette e microscopici attrezzi,chino tutto il giorno su un tavolino checonteneva ogni cosa: oltre che ferri delmestiere anche molle e rotelle dentate,quadranti, sfere e casse.Fin dai primi anni capì che doveva stardietro ai meccanismi degli orologi chemiglioravano di giorno in giorno e cam-biavano da una marca all’altra.

A meno di vent’anni d’età faceva giàparte dello staff dell’”Allegri di Me-naggio”, la più importante orologeria,ottica e oreficeria del centro lago, checontava su tre orologiai, un ottico e unorefice alle dirette dipendenze.Di ogni pendolo, sveglia od orologio,grande o piccolo che fosse, anno dietroanno, imparò le funzioni del bilancie-re, del treno motore, dello scappamen-to e del quadrante, nonchè delle minu-terie (gruppo di ingranaggi per il tra-scinamento delle lancette delle ore) e in-fine della cassa.La sua “smania” era quella di perfe-zionarsi sempre di più conoscendonuovi e diversi tipi di meccanismi, co-

sì che dopo quattro anni di duro maproficuo apprendistato riuscì ad

acquisire l’ottima specializza-zione di riparatore orolo-

giaio.Dall’Allegri il Rinaldo

trascorse sette annidella sua vita du-

rante i quali ebbemodo di affron-tare anche iproblemi dellaoreficeria edel l’ot t ica,nonostantequeste man-sioni fossero“chiuse” cioèesclusive deisingoli addet-ti.

Oltre al lavorouna passione so-

la si impossessòdi lui: il bigliardo.

Frequentò da buongiocatore, e con pieno

successo, tutte le saledella sponda occidentale del

Lago di Como, da Gravedonaa Cernobbio, giocando indifferen-

temente all’italiana, a carambola o al-la poule.Poi venne Giuseppe Vergottini, cheavendo aperto un negozio a Sondrio inCorso Italia, 7 (oggi Caffè Mokino),aveva urgente necessità di un riparato-re; se lo accaparrò offrendogli un piùalto stipendio e maggiori opportunità.Nel frattempo gli orologi da polso sviz-zeri invadevano il mercato con presti-giose marche come la Longines (di cuiil Vergottini sarà unico concessionarioin provincia), l’Omega, la Lorenz, laMontblanc, la Vacheron Costantin ... Laloro prestigiosa meccanica affascinò ilBuzzi che in quegli anni trovò il tem-po anche di specializzarsi nell’ottica enella oreficeria, settori di lavoro che ilVergottini gli affidava con piacere.

Tutta una vita dentro un orologioI cento anni di Rinaldo Buzzi

di Costante Bertelli

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Con i clienti aveva pazienza e buonemaniere e instaurava un rapporto di fi-ducia. Così ne attirò anche dai comunivicini a Sondrio e da quelli della Val-malenco. Il lavoro aumentava e la dittaVergottini, orologeria - oreficeria, pro-sperava trasferendosi in Piazza Cam-pello, angolo Corso Italia, luogo piùcentrale e spazioso potendo contare an-che su un retrobottega.Il lavoro era tanto che il Buzzi attrezzòla sua camera da letto di un tavolino pie-no di orologi, sveglie e attrezzi di lavoroe qui fu attivo ogni sera dopo l’orario efino a tardi. Per questo abbandonò ilgioco del bigliardo (che riprenderà so-lo trent’anni dopo alla Taverna, alCaffè della Posta, al Commercio ed alGaribaldi, dove gioca da più di die-ci anni).A ricordo di vecchi sondriesi - chepassavano più volte all’anno per re-golare l’ora del proprio cipollotto datasca -si dice che dal Vergottini l’oraesatta era tenuta da una fantasticapendola di precisione, un “regolato-re” che veniva periodicamente sin-cronizzato osservando l’altezza delsole sull’orizzonte.Il termine“regolatore”ancora oggi tra iriparatori orologiai è sinonimo di oro-logio. Esso troneggiava alle spalle delBuzzi che almeno cento volte ogni gior-no si girava per consultarlo. Si distin-gueva a prima vista per la particolare di-sposizione delle lancette sul quadrante:i minuti al centro, come al solito, ma oree secondi erano sistemi in altrettantiquadratini secondari disposti lungo unaimmaginaria linea verticale che attra-versava il quadrante. Questa disposi-zione facilitava la sincronizzazione de-gli orologi procedendo per passi suc-cessivi, ore, minuti e infine secondi.Poi venne il tempo degli orologi da pol-so quindi di quelli a carica automatica,e il“regolatore”venne man mano di-menticato, soppiantato da altre appa-recchiature più sofisticate.Sue passioni furono la caccia e la pe-sca, che esercitava la domenica e du-rante le vacanze spingendosi, in bici-cletta, fin nella valle dell’Ogliolo a Cor-teno Golgi o ad Edolo. In più giorni, ar-rivava fin nel Trentino, al di là del Pas-so del Tonale.Al lago Nero d’Angeloga, in ValleSpluga, gli capitò di incontrare il Men-golli, il miglior pescatore di tutta la Val-chiavenna. Mentre quello era in attesa

dell’incresparsi del-le acque con l’alzar-si della “breva”, pre-ludio a un buon bot-tino di trote, il Ri-naldo Buzzi, sull’al-tra sponda, metten-do in atto un suoparticolare metodo,riuscì in poche ore ariempire il cesto contante trote iridee. IlMengolli se la ebbea male e lo cacciò inmalo modo: comese le acque del lagofossero di sua esclu-siva proprietà.

Un giorno a caccia sulle Orobie si im-battè in una beccaccia che acquattatadentro una pozza d’acqua, ferita e san-guinante, ne usciva pigolando per cer-care riparo negli arbusti vicini. Il Buz-zi rimase impressionato dal modo concui il volatile cercava di sopravvivere.Altra volta gli capitò di ferire grave-mente un leprotto e lo inseguì sulla sciadelle macchie di sangue che il selvati-co lasciava sul sentiero. Lo raggiunseche era esausto in una pozza di sangue,ma ancora vivo. Nei suoi occhi c’erauna tale espressione di paura e di do-lore che il Buzzi ne rimase scosso.Giunto a casa buttò lenza e fucile di-cendo a se stesso che anche i pesci, gliuccelli e le lepri avevano pure il dirit-to di vivere ... come gli uomini!Si ritirò in pensione dopo cinquant’an-ni di lavoro: da riparatore orologiaioarrivò ad essere contitolare dell’azien-da per la quale lavorava. Oggi la Ver-gottini oro-argento è uno dei più rino-mati e conosciuti negozi di Sondrio,magistralmente condotto, con capacitàe competenza, da Luciano Bosisio eAdriano Buzzi e con la preziosa col-laborazione della signora Maria Rosae dell’eccellente tecnico Bruno Mar-setti.

Rinaldo Buzzi, orologiaio, nato a Chiavenna il 26 marzo 1905, compie 100 anni.Lo si può trovare ogni mattino tra le 11 e le 12 al Caffè Garibaldi Sondrio intento a giocare al bigliardo.

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Perché proprio lì?Un gruppo di persone dell’AltaValle da quattro anni aiuta don

Luciano Capelli, un salesiano valtelli-nese di Cologna, che proprio a Guadal-canal si prodiga non solo nell’ambitodell’ospedale ma anche per insegnare aigiovani del posto una professione: fale-gnameria e motoristica.Come vi siete organizzati?Prima di partire abbiamo spedito uncontainer con viveri, materiale vario emedicinali che abbiamo poi distribuitoe lasciato all’ospedale, che aveva in do-

tazione un solo antibiotico ed è dotatodi attrezzature residuati bellici. Siamostati alloggiati nella sede della missio-ne ed i contatti erano affidati a don Lu-ciano.Quale è l’organico dell’ospedale?Vi sono solo medici del posto: gli altrinon essendo retribuiti sono tutti fuggi-ti.Resta solo un medico locale per repar-to (medicina, chirurgia, ortopedia, oste-tricia e ginecologia, radiologia e radio-terapie, pediatria) e una anestesista fi-lippina.

Uno sguardo, ed un aiuto, alla sanitàdi GuadalcanalPier Luigi ha incontrato Fernando per fare il bilancio della sua esperienza.

Due coppie di medici valtellinesi,Fernando Andreassi e la mogliePiera Pelizzatti, Fabrizio eLorena Pulliero con lainfermiera Lina, sono reduci daun periodo trascorso comevolontari sull’isola Guadalcanal,lavorando nell’ospedale locale.Una equipe valtellinese:chirurgo, medico di base,anestesista e ginecologa ….

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Gli infermieri sono tutti locali e nonmancano … anche se sono sottopagati.Spesso anche in camera operatoria simettono seduti e leggono tranquilli ilgiornale!L’ospedale come struttura è valido?E’ stato costruito dagli americani pa-recchi anni fa … interamente in “bolo-gnini”. I grandi cameroni permettono ilricovero di 3 o 400 malati. Vi sono duerudimentali sale operatorie ed una saladi rianimazione dotata di bombola diossigeno!Attorno ai malati si raduna tutta la fa-miglia che “stanzia” in ospedale, man-gia e si accuccia vicino al letto del con-giunto in attesa degli eventi.Esiste qualcosa di simile alle nostra-ne liste di attesa?I malati ed i familiari attendono tran-quilli fuori dalla porta, seduti o sdraia-ti sul selciato. Se mancano i medici pro-cedono alle visite gli infermieri e le in-fermiere.Quali patologie avete potuto rilevare?Malaria, aids, tbc, meningite tubercola-re (oggi molto rara) … e poi appendiciti,ernie, nefrectomie, mastectomie, particesarei …. Con una tecnica particolareprocedevano alla legatura delle tube inanestesia locale e con un piccolissimotaglio in anestesia locale per limitare legravidanze dopo il terzo o il quarto fi-glio!Avete lavorato anche sul territoriofuori dalla struttura?Sì, nei villaggi per vaccinazioni e me-dicazioni di ascessi dai quali capitava divedere uscire oltre al pus perfino deivermi! Si era sempre attorniati da un

sacco di gente che si infilava nelle ca-panne per “assistere”.Torneresti?Mi è stato offerto un contratto seme-strale ..... ma … senza soldi! Non esclu-do di tornare prossimamente ma “fuoricontratto”.La gente del posto come vive, cosafa?I locali si dedicano alla pesca ed allaagricoltura spontanea (banane, noci dicocco, papaia e patate) insomma senzalavorare e con i proventi comperano ri-so e pesce …In passato è stato loro donato un tratto-re ed una barca a motore: finita la ben-zina non se ne è fatto più nulla!Una decina di famiglie dominano e han-no in mano banche e commercio: soloil piccolo commercio è oramai in manoai cinesi.E’ tuttora in auge comperare le donne incambio di un paio di maialini ...

Questo arci-pelago di

più di 900 iso-le, incontami-nati gioielli in-c a s t o n a t inell’Oceano Pa-cifico merido-nale, è statomartoriato perquattro anni dauna guerra ci-vile tra l’etniamalaita, prove-niente dall’iso-la omonima, egli abitanti

dell’isola principale di Guadalcanal,ove sorge la capitale Honiara (40 mi-la abitanti). I combattimenti sonoiniziati per le tensioni generate dal ri-sentimento contro i Malaitiani, accu-sati di controllare l’economia e di “ru-bare il lavoro” ai locali abitanti diGuadalcanal.Proprio l’isola di Guadalcanal è statoil luogo dei combattimenti più aspriche hanno costretto dal 1998 più di20.000 persone ad abbandonare leproprie case ed hanno provocato cen-tinaia di morti.Nel giugno 2000 un tentativo di gol-pe delle milizie malaitiane ha au-mentato il clima di anarchia e ad Ho-niara sono nuovamente avvenuti perparecchi mesi violenti scontri tra lefazioni in lotta.Nell’ottobre 2000 i contendenti han-no ratificato un accordo di pace cheè durato due anni.Nel 2002 la violenza è riesplosa a talpunto che anche le organizzazioninon governative presenti per assiste-re la popolazione avevano dovuto ab-bandonare l’arcipelago.Sta ritornando lentamente l’ordinenell’arcipelago delle Isole Salomonedopo l’arrivo della forza multinazio-nale (Nuova Zelanda, Papua NuovaGuinea, Fiji e Vanuatu) di peacekee-ping guidata dall’Australia: negli ulti-mi tempi l’isola era in uno stato di se-mi-anarchia e razzie e rapimenti era-no all’ordine del giorno. I soldati han-no cominciato la protezione di Ho-niara in collaborazione con le localiforze di polizia ed ora almeno la ca-pitale è sicura.

Don Luciano fa sapere che con 150euro all’anno è possibile aiutarlo afar studiare un bimbo. Per informa-zioni [email protected]

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Chi ha frequentato laValmalenco a metànovecento ha sicura-

mente conosciuto e incon-trato Tobia Nani(15.12.1902-24.9.1991) diLanzada. Autista condutto-re di corriere dell’aziendaautotrasporti Ugo Parolini diSondrio, era amabile valli-giano di Lanzada, di spon-tanea saggezza, era statoeletto primo sindacodell’immediato dopoguerranel suo paese. Tobia, il no-me biblico gli si addiceva,era uomo di piccola statura,tranquillo, contrario allamarzialità, alla violenza, pernulla primadonna, più da bi-sbigli che da concioni.Conduceva una bella corrie-ra, mi parefosse unaSPA 21, conuna ventinadi posti, li-nea arroton-data, musomotore ante-riore conampio cofa-no, targataSO 1975,adatta allap o l v e r o s estrade di Val-malenco. Eraun automez-zo bicolore: azzurro nella fascia infe-riore e blu scuro in quella superiore. Sultetto c’era il portabagagli, accessibile datre gradini a scomparsa, posti sul cas-sone copriruota di scorta posteriore ton-deggiante, e da una successiva scalettaa pioli in ferro. La curvatura del tetto,sopra il lunotto posteriore con vetro asemiluna, era protetta da liste metalli-che cromate su cui far scivolare le va-ligie dal tetto.

Tobia Nani, ad ogni fermata,saliva e scendeva paziente-mente dal tetto a caricare escaricare, salvo quando ave-va qualche passeggero vo-lontario che l’aiutava.In quegli anni, tra il 1930 e il

1950, la corriera di Tobia era l’ammi-raglia della Parolini autotrasporti, poidivenuta Perego.Noi ragazzi, privi di giocattoli costosi,per via della guerra e dell’autarchia, gio-cavamo con sassi arrotondati alla pistadelle autocorriere. La SPA di Tobia Na-ni era detta Corrierone, un’altra grandeauto decappottabile era, per via del co-lore, la corriera rossa. Nel dopoguerrala Perego acquistò un pullman a muso

piatto, moderno, anch’essoazzurro e blu, marca IsottaFraschini, guidato da un belgiovane detto “Biondo”.In quegli anni la corriera eraancora un lusso più che unanecessità. I contadini anda-vano e venivano a piedi daSondrio con le gerle carichee pesanti.L’arrivo nelle piazze dei pae-si di Valmalenco della cor-riera era un evento importan-te, uno spettacolo.Dagli automezzi scendevanouomini provenienti dalla cittào valligiani con zaino, abba-stanza distinti, perché i menoabbienti andavano a piedi ealtri usavano carro e cavallo.Sulla corriera c’erano donnecon borse, pacchi, zaini ebambini. Arrivavano e scam-biavano abbracci con chi eravenuto a riceverle. In estatequalche alpinista o escursio-nista, arrivato a Sondrio coltreno, scendeva dalla corrie-ra indossando già pedule,pantaloni alla zuava, cappel-lo di feltro e zaino.

Al termine di un lungo viaggio, assa-porava la felicità di una vacanza che sta-va per cominciare, respirando aria dimontagna.Tobia Nani con la corriera portava laposta e i giornali. La gente lo seguivacon lo sguardo mentre andava, in fret-ta, a consegnare il sacco al postino e at-tendeva fuori dall’ufficio per riceveresubito le missive e qualcosa di tanto at-teso.D’estate al pubblico della corriera si ag-giungevano villeggianti, distinti signo-ri ben vestiti, detti “sciuri”, tra i qualil’architetto Sant’Ambrogio, che schiz-zava abilmente su fogli di un bloccoscene malenche tra cui l’arrivo dellacorriera.

Tobia Nani e il corrieronedi Ermanno Sagliani

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Vacanze semplici nell’aria buona e nel-la natura: gite, passeggiate in pineta, so-ste al tavolino del caffè, tennis, chiac-chiere e a sera balli, canti e chiassate.Il corrierone di Tobia Nani fece il suoservizio per circa trent’anni. Non eradotato di tutti i dispositivi elettronici dioggi. Leva e pedaliere del cambio, del-la frizione richiedevano muscoli e bici-piti, anche per il volante enorme e pe-sante da ruotare alle numerose curve.

Tobia Nani e il suo corrierone SPA 21, conil meccanico Aldo Ternelli e il coscrittoFiorenzo Venzi.

Tutti i giorni, infinite volte.Sconosciuti air bag e cinture di sicu-rezza che sarebbero arrivati decenni do-po. Quando negli anni settanta il cor-rierone fu sostituito da moderni pullmananche Tobia Nani andò in pensione. An-cora entrambi insieme, sul viale del tra-monto.

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Associazione Ippofila

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Il purosangue è la razzapiù pregiata del mondo eintorno ad esso è sorta

una vasta industria di alleva-menti e corse di cavalli. E’stato selezionato in Inghil-terra verso la fine del 1700incrociando cavalli da corsalocali con tre stalloni arabiimportati. Cavallo elegante,con collo lungo, testa dritta,garrese ben definito a spallalunga e obliqua, narici am-pie, occhi grandi e attenti, lacirconferenza toracica ampiapermette una massimaespansione polmonare, re-quisito essenziale per un cor-ridore.La sua altezza al garrese vada 162 a 168 cm con un pe-so corporeo che non arriva aicinque quintali.Il purosangue è dotato digrande resistenza fisica epsichica, è molto coraggio-so, ma nei più dei casi i fuo-riclasse hanno un caratteremolto difficile. Tra i quattropiù grandi allevatori di puro-sangue del mondo, sicura-mente Federico Tesio è statoil migliore arrivando a risul-tati eccezionali con mezziscarsissimi contro allevatoricome l’Aga Khan che di-spongono di capitali incredi-bili. Federico Tesio, scien-ziato, astrologo e biologo,mise le sue incredibili qua-lità al servizio dell’equita-zione, visse in Patagonia e inArgentina a contatto semprecon cavalli e con gente di ca-valli facendo una grandissi-ma esperienza.Entrato in Italia, con mezziscarsissimi creò l’alleva-mento di cavalli da corsaDormello Olgiata e in pocotempo cominciò a vincere ecreare cavalli di primissimopiano. Nel 1926 nacque Ca-valiere D’Arpino, il più bel

Il cavallopurosangue di Carlo Nobili

purosangue mai avuto nellascuderia, con mezzi straordi-nari ma che per un banaleinfortunio non poté maiesprimersi al meglio. Nel1935 nacque Nearco gran-dissimo cavallo dalle qualitàeccezionali: 14 gare vinte su14, battendo i più forti ca-valli francesi e inglesi.In difficoltà economiche Te-sio dovette vendere come ri-produttore il cavallo a un

consorzio inglese alla cifrada capogiro di 5000 sterlined’oro nel 1938. Oggi nelmondo _ dei purosangueportano il suo sangue nellevene.Dopo Nearco, Tesio ebbe an-cora diversi buon cavalli co-me Bellini, Nicolò Dell’Ar-ca, Tenerani, Botticelli; nel1952 nacque Ribot, il piùgrande cavallo del secoloscorso, figlio di Tenerani e

Romanella; vinse tutte le 16gare disputate trionfando nelKing George VI Stakes con6 lunghezze sul secondo estravincendo per due anni diseguito l’Arc de Trionphe,vero campionato del mondo.Camici, il fantino che lomontò in tutte le sue vittorie,ebbe a dire che non ebbe maibisogno di chiamarlo all’or-dine, lo lasciava andare negliultimi 200 metri e la corsa

Ribot, m.b. nato in Italia nel 1952.

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Provinciale di Sondrio

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ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONERubrica a cura di Aldo Genoni

La festa di S. AntonioDomenica 16 gennaio, Festa di S.Antonio, protettore degli ani-mali, un folto gruppo di cavalli e cavalieri si è dato appunta-mento in località Castel Grumello a Montagna per ricevere la San-ta benedizione impartita da Don Bernardo che in quell’occasio-ne ha festeggiato anche il suo cinquantesimo anniversario di sa-cerdozio.Don Bernardo si è poi intrattenuto con i numerosi cavalieri e haammirato i loro cavalli.La circostanza è stata propizia a Don Bernardo per soddisfare unsuo vecchio desiderio: provare l’emozione di montare a cavallo.

Ci ritroviamo a...Sabato 19 marzo alle ore 20.00 presso il ristorante Baffo diChiuro avrà luogo la cena sociale annuale al costo di € 25,00 apersona. Si auspica una numerosa partecipazione. E’ gradita laprenotazione telefonando anticipatamente a Carlo Nobili.tel.0342/218273 - 347/0020937.

EquiturismoA cavallo dai monti al lago-appuntamento a maggio

Una suggestiva passeggiata di due giorni: la discesa della vallecosteggiando il fiume Adda sino al Trivio di Fuentes con escur-sione al delta lacustre. Il percorso si snoda, seguendo il tracciatoche collegava i vari paesi della bassa valle, tra boschetti fluvia-li e campi erbosi, da vedere e fotografare (prima della totale oc-cupazione dei capannoni). Paesaggi stupendi lungo il fiume fa-ranno di questa passeggiata un’occasione in più per apprezzarequel poco che ancora rimane della “nostra” terra. Stiamo consi-derando anche l’opportunità di realizzare un filmato che docu-menti il percorso. E’ previsto all’arrivo: stallaggio per i cavalli,cena e pernottamento per i cavalieri ed accompagnatori.Per informazioni contattare i Sigg. Carlo Nobili tel.0342/218273- 347/0020937e Aldo Genoni 335/8261429.

Per una Associazione “forte”Rendiamo nota ai vecchi e ai “nuovi” soci l’opportunità di rin-novare o sottoscrivere l’iscrizione annuale all’Associazione.La quota associativa è di € 15,00.Solo con una Associazione “forte” potremo cercare di far valere lenostre lecite richieste di salvaguardia e tutela ambientale.

Promozione per i soli associati: € 10,00 per l’abbonamentoannuale di n. 12 numeri alla rivista Alpes, sulla quale abbia-mo ospitalità fissa con una nostra rubrica alla cui stesura sie-te tutti invitati a collaborare.

era sua.Come riproduttore ebbe trefigli vincitori dell’Arc deTrionphe con Malvedo, TomRolfe e Prince Royal. Fuvenduto in America per ci-fre da capogiro; morì nel1974.Altro grande allevatore fuCarlo Vittadini che con Or-tis, Orange Bay e Grundyvinse quasi tutte le gare piùimportanti europee. Ultimogrande cavallo italiano fu si-curamente Girlad, dell’alle-vamento Razza la Tesa, distruttura fenomenale, vinci-tore di gare dai 1200 fino ai2400 metri. Pronto per con-frontarsi con i più grandi ca-valli del momento, fu ferma-

to da un male di schiena in-guaribile, secondo i nostriveterinari; venduto frettolo-samente in America, fu cu-rato e guarì.Vinse le più importanti corsee perse solo al foto finish perpochi millimetri dal piùgrande cavallo del mondo diquel momento: Affimerd.Alla fine degli anni ottantaun allevatore italiano com-prò un puledro all’asta diDublino per la misera som-ma di sette milioni di vec-chie lire, Toni Bin a tre anniarrivò secondo a l’Arc deTrionphe per poi vincerlol’anno dopo alla grande. Fuvenduto ai giapponesi persette miliardi di lire!

Nearco, m.b. nato in Italia nel 1935

Don Bernardo in sella al cavallo “Stratus”.

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nee guida elaborate dagli storici DanieleJalla e Alain Monferrand; quella del nuo-vo progetto “Il futuro nelle Alpi”, presen-tato recentemente dalla Commissione In-ternazionale per la Protezione delle Alpi(CIPRA), volto alla promozione di unosviluppo alpino capace di futuro e in lineacon i principi della Convenzione delle Al-pi, della durata di tre anni e mezzo e coin-volgente tutto l’arco alpino, dal Nizzardoalla Slovenia.Un cenno particolare merita uno scritto diAugusto Rollandin, Presidente del Grup-po interparlamentare “Amici della Mon-tagna”, su “Montagna e cultura: un bino-mio inscindibile”; in esso l’autore ricordache la vita in montagna, legata a un siste-ma agricolo e pastorizio particolare, haforgiato nei secoli quella cultura tradizio-nale che ci è stata tramandata senza aversubito, per molto tempo, cambiamenti si-gnificativi; aggiunge che “tale sistema divita non va dimenticato, ma va traguarda-to con nuovi mezzi e nuove strategie, sem-pre con l’intento di mantenere l’uomo inmontagna per garantire quella vivacità cul-turale che costituisce un’importante ga-ranzia di futuro per le nostre comunitàmontane”.

pine di scrittori della Svizzera romanda, lafigura autorevole di Mario Rigoni Stern(intervista), la metafora - Cervino dell’al-pinista scrittore Guido Rey, il romanzo diJoseph Zoderer e la montagna in poesia.Nella seconda parte del numero trovanoposto le interessantissime “Rubriche deL’Alpe” che permettono al lettore di esse-re messo al corrente di quanto avviene di

significativo sul piano tu-ristico-culturale a livellodi arco alpino.Tra le notizie più inte-ressanti e di attualità visono: quella di un Ma-ster per le Alpi pressol’Università di Torino,Facoltà di Lettere, che hacome obiettivo la forma-zione di operatori spe-cializzati nella cono-scenza, salvaguardia, va-lorizzazione e gestionedel patrimonio culturalealpino; quella della rea-

lizzazione in Valle d’Aosta, nel Forte diBard, di tre Musei, dedicati al Parco delleAlpi e delle Montagne, al tema del Fortee al tema delle Frontiere, utilizzando le li-

Bartolomeo LibrinelliIl Beàt Curadì di Sacca e la sua epo-ca (1755-1817)Autore Giacomo Sebastiano Peder-soliEdizioni TorosellePagine 432 - euro 24,00.Tipografia la Cittadina - Gianico (BS)

Il volume su Bartolomeo Librinelli è iltredicesimo di una Collana di scritti diautori camuni, sebini e scalvini, direttada Giacomo Sebastiano Pedersoli, autoredel volume medesimo, nativo di Sacca diEsine (BS), la località dove si svolse la vi-ta di don Bartolomeo Librinelli, tutta alservizio della piccola comunità, in un pe-riodo drammatico della storia della ValCamonica, influenzata e sconvolta dagliinflussi della Rivoluzione Francese (1789)e dalle alterne vicende che caratterizza-rono la vita e le iniziative di NapoleoneBonaparte.Attraverso la biografia del Beàt Curadì di

Sacca di Esine il lettore vede infatti scor-rere davanti a sé, come in un film, la vitadel santo uomo nel contesto delle vicen-de più ampie della Valledel fiume Oglio, di Bre-scia e più in generaledell’Italia.Scopo dichiarato dellostudio e della documen-tazione della vita di donBartolomeo Librinelli(1755-1817) è però quel-lo di recuperarne la me-moria e la fama di mortein odore di santità; il re-ligioso vox populi è con-siderato santo, alla stre-gua del più famoso Cu-rato d’Ars, in Francia,ma anche numerosi ve-scovi, dal suo contempo-raneo Gabrio Maria Nava fino al vescovodi Brescia Luigi Mirstabinini, ne hannosottolineato la santità, testimoniata peral-tro dai numerosi ex voto che si trovano

sulla sua tomba, nella Cappella del cimi-tero di Sacca di Esine, dove il suo corpofu tumulato in modo definitivo il 22 di-

cembre 1828.E’ qui il caso di ricor-dare che l’insigne uo-mo religioso era mortodi peste il 29 giugno1817, assistito da donPellegrini Spandri, cap-pellano di Plemo, il suopaese natale.Il libro, di ben 430 pa-gine, si apre con unapresentazione da partedell’attuale parroco diSacca di Esine, che dilui dice: “ E’ Beato perelezione popolare”, econ una ampia prefa-zione dello stesso Pe-

dersoli, nella quale egli cita e riproduceparte dei documenti su cui si è basato perla ricostruzione della vita e della figura didon Bartolomeo Librinelli.

L’Alpe edizione italianaNumero 11 - dicembre 2004Priuli & Verlucca, editoriDirettore responsabileEnrico Camanni

Questo numero dell’ottima Rivista L’Alpe,diretta da Enrico Camanni, affronta un dif-ficile tema: scrivere la montagna. Nell’Edi-toriale ci si chiede in-nanzitutto se esista una“letteratura della monta-gna”; la risposta è nega-tiva. Esiste piuttosto la“montagna in letteratu-ra”, affrontata da varipunti di vista, con esitidiversificati. La rifles-sione si sposta dunquedall’“oggetto monta-gna” al “soggetto scrit-tore”. Da qui una rosa diarticoli che si interroga-no sui numerosi e diver-si incontri tra letteraturae montagna, partendodai problemi storici e metodologici peresemplificare casi particolari, quali il DinoBuzzati romanziere, le frequentazioni al-

pagina a cura di Giuseppe Brivio

R E C E N S I O N I