MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113 ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul...

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Poste Italiane Sped. in a. p. - D.L. 353/2003 (conv. L. 46/2004) art. 1, c. 1, Gipa/C/RM/23/2103 all’interno II Durante i 18 lunghissimi mesi del rapimento ci sarebbe- ro stati almeno due momenti risultati poi decisivi per la libe- razione di Silvia Romano. Il pri- mo risale allo scorso mese di lu- glio quando, stando a quanto scrivono i media keniani, a Ro- ma si svolge un vertice tra inve- stigatori italiani e provenienti da Nairobi. Ma è alla fine dell’anno scorso che ci sareb- be stato l’intervento risultato poi fondamentale. Chiamati dai colleghi italiani dell’Aise, a dicembre cominciano infatti a collaborare nelle indagini an- che i servizi turchi del Mit, una collaborazione di estrema im- portanza visto che proprio An- kara addestra gli uomini dei servizi somali. Grazie a questi contatti sarebbe stato quindi possibile capire dove era tenu- ta prigioniera Silvia e avviare la trattativa per la sua libera- zione. La presenza turca nella regione del Corno d’Africa è cresciuta esponenzialmente e con estrema rapidità: in pochi anni, grazie ad aiuti umanitari e relazioni diplomatiche, la Turchia ha spostato le rivalità mediorientali sui paesi che si affacciano sul Mar Rosso. Dove oggi estrae petrolio, costruisce basi militari e contende spazi economici ai rivali, Arabia sau- dita ed Emirati arabi. LANCARI E GIORGIO A PAGINA 2 LA COOPERANTE È TORNATA A MILANO Silvia, la fase turca della liberazione ANDREA CAPOCCI PAGINA 10 MARINELLA SALVI PAGINA 10 Culture A. CAP. PAGINA 10 GIULIANA SGRENA U na donna che torna, dopo un rapimento, non è mai la stessa che è partita. E questo vale anche per Silvia Romano. E le prime reazioni dopo la libera- zione, penso, siano ancora condizionate dallo shock. Per questo credo debbano essere prese con cautela anche le dichiarazioni «emerse» dall’interrogatorio di domeni- ca. Ci vuole tempo perché prendano forma i particolari di una vita vissuta in cattività. Particolari che forse inconscia- mente abbiamo negato a noi stesse, così come altri sono stati probabilmente solo la concretizzazione di suggestio- ni. Certo ogni rapimento è una storia a sé, ma credo che per una donna trovarsi isolata in un contesto culturale e reli- gioso così diverso da quello in cui siamo cresciute rappre- senti una difficoltà maggiore nella comprensione dei com- portamenti e delle reazioni dei sequestratori che sono sempre maschi e trucidi. — segue a pagina 3 — Media e libertà Contro di lei l’orrore inconcepibile della destra PIERLUIGI CIOCCA D i fronte alla recessio- ne innescata dalla pandemia la doman- da globale va sostenuta con robuste iniezioni di spesa pubblica, ancorché in disa- vanzo. Devono potenziarsi gli ammortizzatori sociali. Ciò vale in specie per chi senza cassa integrazione perderebbe il lavoro, per chi non lo ha ovvero era "in nero", per i poveri come pure per chi – piccoli im- prenditori e autonomi com- presi - non era povero ma ha visto il suo reddito sce- mare e dispone di poco ri- sparmio. Lo Stato può spin- gersi sino a garantire parte dei prestiti che le banche accordano, in particolare alle imprese. Le banche de- vono però pur sempre ac- quisire dati veridici sul me- rito di credito dei richieden- ti. Andrebbero inoltre tem- poraneamente sollevate dal rischio penale legato ai casi di fallimento degli affi- dati, e delle revocatorie fal- limentari. — segue a pagina 15 — Economia Con una forte spesa pubblica, il Pil tornerà a crescere ALEX ZANOTELLI L’ Italia ha una splendida Costituzione scritta in larga parte da esuli politici, fuggi- ti sotto la dittatura fascista e rientrati dopo la Guerra, che vi hanno impres- so per ben due volte il diritto all’asilo politico.È undoveredei cittadini ricor- dareaognigoverno ilsuo doveredi accoglierechifuggeda guerre, daper- secuzioni,datorture. — segue a pagina 5 — Europa e migranti Liberate quelle navi salva vita DON RENATO SACCO P ax Christi ha sollevato la questione ‘portaerei Ca- vour’ fin dal taglio della prima lamiera (con relativa be- nedizione), nel lontano luglio 2001. Fu l’allora Presidente na- zionale, il vescovo Diego Bona, a intervenire con queste paro- leesplicite: «Ne avevamo pro- prio bisogno?». — segue a pagina 18 — F35 e non solo Moratoria di un anno sulle spese militari Scontro fino all’ultimo sulla regolarizzazione di braccianti, colf e badanti. La destra grillina, capeggiata dal reggente Vito Crimi, sconfessa la linea della ministra 5 stelle Catalfo. Il pretesto di un inesistente condono per chi sfrutta il lavoro nero. Gualtieri in serata: «L’accordo c’è» pagina 4 Vito Crimi e Luigi Di Maio foto di Alessandro Di Meo/Ansa Infarti Ospedali, la strage all’ombra del coronavirus Giovedì l’ExtraTerrestre COVID «L’Amazzonia rischia un altro genocidio con la complicità del governo Bolsonaro». Intervista alla leader indigena Sonia Guajajara Le Monde diplomatique DA GIOVEDÌ 14 IN EDICOLA Dossier Covid-19, dopo la crisi... le crisi; le professioni non qualificate; il ministero delle colonie Usa Trieste La «nave lazzaretto» scricchiola ma non crolla Roberto Ciccarelli pagina 14 TEMPI PRESENTI A proposito del libro di Simone Pieranni, «Red Mirror. Il futuro si scrive in Cina» per Laterza REGIONI Riaperture per tutti dal 18 Se si chiude lo dirà Roma Covid-19 Curva in discesa, oncologici ad alto rischio II Alla fine saranno le eventuali e non auspi- cabili ri-chiusure a essere differenziate, stan- te la volontà di tutti i presidenti di Regione di riaprire il più possibile le attività ancora chiu- se (servizio ai tavoli di bar e ristoranti, spiag- ge, parrucchieri) dal 18 maggio. Dal governo è arrivato il via libera, ma se il contagio torna a salire ordinerà di tornare indietro. A PAGINA 8 MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 – ANNO L – N° 113 euro 1,50 www.ilmanifesto.it quotidiano comunista CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00

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all’interno

II Durante i 18 lunghissimi mesi del rapimento ci sarebbe-ro stati almeno due momenti risultati poi decisivi per la libe-razione di Silvia Romano. Il pri-mo risale allo scorso mese di lu-glio quando, stando a quanto scrivono i media keniani, a Ro-

ma si svolge un vertice tra inve-stigatori italiani e provenienti da Nairobi. Ma è alla fine dell’anno scorso che ci sareb-be stato l’intervento risultato poi fondamentale. Chiamati dai colleghi italiani dell’Aise, a dicembre cominciano infatti a

collaborare nelle indagini an-che i servizi turchi del Mit, una collaborazione di estrema im-portanza visto che proprio An-kara addestra gli uomini dei servizi somali. Grazie a questi contatti sarebbe stato quindi possibile capire dove era tenu-

ta prigioniera Silvia e avviare la trattativa per la sua libera-zione. La presenza turca nella regione del Corno d’Africa è cresciuta esponenzialmente e con estrema rapidità: in pochi anni, grazie ad aiuti umanitari e relazioni diplomatiche, la

Turchia ha spostato le rivalità mediorientali sui paesi che si affacciano sul Mar Rosso. Dove oggi estrae petrolio, costruisce basi militari e contende spazi economici ai rivali, Arabia sau-dita ed Emirati arabi. LANCARI E GIORGIO A PAGINA 2

LA COOPERANTE È TORNATA A MILANO

Silvia, la fase turca della liberazione

ANDREA CAPOCCI PAGINA 10

MARINELLA SALVI PAGINA 10

Culture

A. CAP. PAGINA 10

GIULIANA SGRENA

Una donna che torna, dopo un rapimento, non è mai la stessa

che è partita. E questo vale anche per Silvia Romano. E le prime reazioni dopo la libera-zione, penso, siano ancora condizionate dallo shock. Per questo credo debbano essere prese con cautela anche le dichiarazioni «emerse» dall’interrogatorio di domeni-ca. Ci vuole tempo perché prendano forma i particolari di una vita vissuta in cattività. Particolari che forse inconscia-mente abbiamo negato a noi stesse, così come altri sono stati probabilmente solo la concretizzazione di suggestio-ni. Certo ogni rapimento è una storia a sé, ma credo che per una donna trovarsi isolata in un contesto culturale e reli-gioso così diverso da quello in cui siamo cresciute rappre-senti una difficoltà maggiore nella comprensione dei com-portamenti e delle reazioni dei sequestratori che sono sempre maschi e trucidi.

— segue a pagina 3 —

Media e libertà

Contro di lei l’orrore inconcepibile

della destra

PIERLUIGI CIOCCA

Di fronte alla recessio-ne innescata dalla pandemia la doman-

da globale va sostenuta con robuste iniezioni di spesa pubblica, ancorché in disa-vanzo. Devono potenziarsi gli ammortizzatori sociali. Ciò vale in specie per chi senza cassa integrazione perderebbe il lavoro, per chi non lo ha ovvero era "in nero", per i poveri come pure per chi – piccoli im-prenditori e autonomi com-presi - non era povero ma ha visto il suo reddito sce-mare e dispone di poco ri-sparmio. Lo Stato può spin-gersi sino a garantire parte dei prestiti che le banche accordano, in particolare alle imprese. Le banche de-vono però pur sempre ac-quisire dati veridici sul me-rito di credito dei richieden-ti. Andrebbero inoltre tem-poraneamente sollevate dal rischio penale legato ai casi di fallimento degli affi-dati, e delle revocatorie fal-limentari.

— segue a pagina 15 —

Economia

Con una forte spesapubblica, il Pil

tornerà a crescere

ALEX ZANOTELLI

L’Italia ha una splendida Costituzione scritta in larga parte da esuli politici, fuggi-

ti sotto la dittatura fascista e rientrati dopo la Guerra, che vi hanno impres-so per ben due volte il diritto all’asilo politico. È un dovere dei cittadini ricor-dare a ogni governo il suo dovere di accogliere chi fugge da guerre, da per-secuzioni, da torture.

— segue a pagina 5 —

Europa e migranti

Liberate quelle navi salva vita

DON RENATO SACCO

Pax Christi ha sollevato la questione ‘portaerei Ca-vour’ fin dal taglio della

prima lamiera (con relativa be-nedizione), nel lontano luglio 2001. Fu l’allora Presidente na-zionale, il vescovo Diego Bona, a intervenire con queste paro-leesplicite: «Ne avevamo pro-prio bisogno?».

— segue a pagina 18 —

F35 e non solo

Moratoriadi un anno

sulle spese militari

Scontro fino all’ultimo sulla regolarizzazione di braccianti, colf e badanti. La destra grillina,

capeggiata dal reggente Vito Crimi, sconfessa la linea della ministra 5 stelle Catalfo. Il pretesto

di un inesistente condono per chi sfrutta il lavoro nero. Gualtieri in serata: «L’accordo c’è» pagina 4

Vito Crimi e Luigi Di Maio foto di Alessandro Di Meo/Ansa

Infarti Ospedali, la strageall’ombra del coronavirus

Giovedì l’ExtraTerrestre

COVID «L’Amazzonia rischia un altrogenocidio con la complicità delgoverno Bolsonaro». Intervista alla leader indigena Sonia Guajajara

Le Monde diplomatique

DA GIOVEDÌ 14 IN EDICOLA DossierCovid-19, dopo la crisi... le crisi;le professioni non qualificate;il ministero delle colonie Usa

Trieste La «nave lazzaretto»scricchiola ma non crolla

Roberto Ciccarelli pagina 14

TEMPI PRESENTI A proposito del librodi Simone Pieranni, «Red Mirror.Il futuro si scrive in Cina» per Laterza

REGIONI

Riaperture per tutti dal 18Se si chiude lo dirà Roma Covid-19 Curva in discesa,

oncologici ad alto rischio

II Alla fine saranno le eventuali e non auspi-cabili ri-chiusure a essere differenziate, stan-te la volontà di tutti i presidenti di Regione di riaprire il più possibile le attività ancora chiu-se (servizio ai tavoli di bar e ristoranti, spiag-ge, parrucchieri) dal 18 maggio. Dal governo è arrivato il via libera, ma se il contagio torna a salire ordinerà di tornare indietro. A PAGINA 8

MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 – ANNO L – N° 113 euro 1,50www.ilmanifesto.it

quotidianocomunista

CON LEMONDE DIPLOMATIQUE

+EURO 2,00

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LEO LANCARI

II Durante i 18 lunghissimi mesi del rapimento ci sarebbe-ro stati almeno due momenti risultati poi decisivi per la libe-razione di Silvia Romano. Il pri-mo risale allo scorso mese di lu-glio quando, stando a quanto scrivono i media keniani, a Ro-ma si svolge un vertice tra inve-stigatori italiani e provenienti da Nairobi. All’incontro avreb-bero preso parte il procuratore generale kenyano Noordin Ha-ji e quello per le indagini crimi-nali George Kinoti, insieme al procuratore capo della capita-le Giovanni Salvi e al pubblico ministero Sergio Colaiocco, ti-tolare dell’inchiesta sul seque-stro della giovane cooperante italiana. «L’incontro - scrive il Daily Nation - concordò che una squadra speciale di polizia dell’antiterrorismo da Roma doveva venire in Kenya per aiu-tare nelle indagini. E’ stata que-sta squadra che ha scoperto che Romano era stata portata in Somalia e furono avviati im-mediatamente sforzi per con-tattare i suoi rapitori». Un in-contro che sarebbe servito an-che a rimediare ai ritardi con cui, secondo i quotidiano, le au-torità di Nairobi sarebbero in-tervenute nei momenti succes-sivi al rapimento.

Ma è alla fine dell’anno scor-so che ci sarebbe stato l’inter-vento risultato poi fondamen-tale. Chiamati dai colleghi ita-liani dell’Aise, a dicembre co-minciano infatti a collaborare

nelle indagini anche i servizi turchi del Mit, una collabora-zione di estrema importanza visto che proprio Ankara adde-stra gli uomini dei servizi soma-li. Grazie a questi contatti sa-rebbe stato quindi possibile ca-pire dove era tenuta prigionie-ra Silvia e avviare la trattativa per la sua liberazione.

E proprio sulle ultime fasi del sequestro ieri si è scatena-ta una specie di guerra media-tica tra servizi italiani e tur-chi, ognuno dei quali impe-gnato a rivendicare la libera-zione della ragazza. La prima a muoversi è stata Ankara ren-dendo pubblica una fotografia scattata nei momenti imme-diatamente successivi alla libe-razione di Silvia Romano e nel-la quale la cooperante indossa un giubbotto con la mezzalu-na. Una mossa che a Roma vie-ne letta come una firma sull’e-sito positivo della vicenda e in-terpretato come una prevari-cazione. Tanto da suscitare la reazione della nostra intelli-gence che non solo rivendica la liberazione della ragazza, ma attribuisce lo stesso giub-betto della fotografia alla dota-zione militare italiana.

Restano da capire le motiva-zioni da tanto impegno, che in molti attribuiscono alla necessi-tà del presidente turco Recep Tayyip Erdogan di ottenere un riconoscimento internazionale anche in relazione al ruolo che Ankara sta svolgendo in Libia in difesa del governo Serraj.

Ieri Silvia è tornata a casa a Milano, accolta da un lungo ap-plaudo della gente del suo quar-tiere. Su quanto le è accaduto, sul riscatto che sarebbe stato pagato (si parla di tre milioni di dollari ai terroristi di al Sha-baah) e sulla sua conversione all’islam non potevano ovvia-mente mancare polemiche.

«I soldi del riscatto sarebbe-ro stati incassati da questa orga-nizzazione terroristica, Al-Sha-baab, che coi suoi attentati ha ucciso centinaia di persone», ha detto il leader della lega Mat-teo Salvini che non ha rispar-miato critiche al governo: «Io al ritorno avrei tenuto un atteg-giamento più sobrio da parte delle istituzioni, un profilo più basso. Penso che un ritorno più riservato avrebbe evitato pub-blicità gratuita a livello mon-diale a questi infami che nel no-me della religione hanno ucci-so centinaia di persone». Sulla conversione di Silvia all’islam è invece intervenuto il cardina-le Gualtiero Bassetti: «Tutti, in questo momento, la sentiamo nostra figlia» è stato il commen-to del presidente della Cei: «È una nostra figlia che ha corso dei pericoli enormi, che ha avu-to coraggio e forza d'animo».

Giuseppe Conte e Silvia Romano LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

IL RUOLO TURCO NELLA MEDIAZIONE

Petrolio, aiuti umanitari e basi militari:la Turchia si prende il Corno d’AfricaMICHELE GIORGIO

II “Yeni Osmanlicilik”, in turco “Neo-Ottomanesimo”. Questa espressione è usata in riferimento al disegno strate-gico che la Turchia di Recep Tayyip Erdogan cerca di realiz-zare nelle aree geografiche che per secoli avevano fatto parte dell’Impero Ottomano.

Qualcuno storce il naso quando si parla di Neo-Ottoma-nesimo ma non ci sono dubbi sulle ambizioni di Erdogan. E se sono ben evidenti in Siria, nei Balcani o in Nord Africa, do-ve appoggiando il Gna di Fayez el Sarraj contro il generale Haf-tar Ankara tiene a bada avver-sari come gli Emirati e l’Arabia saudita, meno note ma non meno importanti sono quelle nel Mar Rosso e nel Corno d’A-frica. Da lì Erdogan tiene d’oc-chio la porta posteriore della Penisola arabica e i traffici commerciali (e non solo) che transitano per quelle acque. La

collaborazione offerta dai ser-vizi segreti turchi di base in So-malia nelle trattative che han-no portato alla liberazione di Silvia Romano conferma quan-to sia radicata la presenza di Ankara in quel paese tormen-tato da guerre e miseria e posi-zionato lungo lo Stretto di Bab el Mandeb che collega il Mar Rosso all’Oceano indiano.

L’influenza della Turchia nel Corno d’Africa di recente è tornata sotto i riflettori dopo l’incarico dato da Mogadiscio ad Ankara di fare esplorazioni petrolifere nei suoi mari. Un annuncio preceduto dal conte-stato accordo marittimo firma-to dalla Turchia con il governo di Tripoli. Erdogan comunque in Somalia c’è da lungo tempo. NEL 2017, PER FARE un esem-pio, è stato inaugurato un enor-me centro di addestramento turco di truppe somale. Non è certo un caso che l’ambasciata turca più ampia per dimensio-ni sia stata edificata proprio in

Somalia. Negli ultimi dieci an-ni le ong islamiste turche sono state la testa di ponte di Erdo-gan per espandere la sua in-fluenza nel Mediterraneo e in altre aree. Ad aprire nel 2011 la strada verso la Somalia alle imprese, alle forze armate e ai servizi segreti della Turchia è stato proprio l’aiuto umanita-rio: generi di prima necessità, medicine, edilizia leggera, ospedali da campo. Poi è arriva-ta la partecipazione alla rico-struzione. La Turchia è stata tra i primi Stati a riprendere le relazioni diplomatiche con la Somalia dopo la fase più acuta della guerra civile. E il primo a riprendere i voli verso Mogadi-scio. Oggi, oltre all’aeroporto della capitale, imprese turche gestiscono anche il principale porto marittimo.

Lo sfruttamento delle risor-se energetiche, a partire dal pe-trolio offshore della Somalia, è uno dei pilastri della presenza di Ankara nel Corno d’Africa.

Erdogan sta mettendo le ma-ni anche sul Sudan dove ha confermato con le nuove auto-rità “rivoluzionarie” i 13 accor-di siglati a Khartoum qualche anno fa con il presidente ri-mosso Omar al Bashir che por-teranno in futuro gli inter-scambi tra le due economie a 10 miliardi di dollari all’anno e al completamento di una base militare turca sull’isola di Sua-kin. Gli interessi economici so-no prevalenti. TUTTAVIA ANKARA nel Corno d’Africa e nel Mar Rosso vuole anche contrastare gli interessi delle rivali petromonarchie del Golfo che considerano quei territori come la loro re-trovia strategica da proteggere da nemici vecchi e nuovi. Erdo-gan dall’Africa non manca di dare una mano all’amico Qa-tar impegnato da quasi tre an-ni in un duro scontro diploma-tico ed economico – e di imma-gine – con l’Arabia saudita e i suoi alleati. Per questo gli Emi-rati accusano Mogadiscio di es-sersi schierata con Doha, sotto la pressione turca.

La Somalia risponde denun-ciando le interferenze di Abu Dhabi in Somaliland che mine-rebbero la sua stabilità.

Erdogan esporta nel Corno d’Africa e nel Mar Rosso rivalità che destabilizzano un contesto già vulnerabile, caratterizzato da una crescente presenza mili-tare straniera. Riyadh intende costruire una sua postazione ar-mata a Gibuti che già ospita basi

di cinque paesi, tra cui una italia-na. Reparti sauditi sono presen-ti ad Assab in Eritrea dove già esi-ste una base emiratina. LE ESPLORAZIONI petrolifere turche nelle acque somale, inoltre, rischiano di aprire una controversia con il Kenya poi-ché i giacimenti si trovano in una zona marittima al centro di una disputa da lungo tempo sul tavolo della Corte interna-zionale di giustizia. A ciò si ag-giunge la preoccupata atten-zione che le mosse di Erdogan suscitano in Stati uniti, Gran Bretagna, Francia e Israele.

II Il migliaio di casi ufficiali di coronavirus sarebbero il mi-nimo se non ci fossero, anche qui, gli allarmi sul rischio che la situazione sia in realtà più tragica di quanto sembri. La So-malia resta per tante ragioni uno dei paesi più tormentati del mondo, reduce da una lun-ga scia di sventure innescata dalla dominazione italiana e proseguita fino ai giorni nostri con una sequela di conflitti, ca-restie, appetiti esterni, ingo-vernabilità croniche che resti-tuisce l’immagine di un luogo

comune, più che di un paese. Uno scenario che dà risalto

alla "piaga" su cui prolifera al Shabaab, "la Gioventù", orga-nizzazione armata jihadista af-filiata ad al Qaeda (salvo recen-te mini-scissione in direzione Isis), nata nel 2006 da una co-stola dell’Unione delle Corti islamiche, che all’epoca con-trollava il paese, nota per le stragi e gli attacchi suicidi più che per i rapimenti. Le cifre più prudenti parlano di oltre 4 mila morti provocati negli ulti-mi dieci anni solo tra la popola-

zione civile, ma sono stime va-riabili che non tengono conto delle vittime collaterali provo-cate, in particolare, dagli attac-chi di droni statunitensi . Do-po aver eliminato nel 2014 il capo dell’organizzazione, Ah-med Abdi Godane (alias Mukh-tar Abu Zubair), poi sostituito da Ahmed Umar, i falchi del co-mando Usa per l’Africa (Afri-com) hanno ottenuto da Trump l’ok per intensificare gli attacchi contro le postazio-ni degli al Shabaab, scacciati da Mogadiscio nel 2011 e dall’importante città-porto di Kisimayo l’anno seguente.

Dopo ogni raid, secondo una schema consolidato, un at-tentato che poteva avvenire nel cuore di Mogadiscio, come

Il presidente della Cei Bassetti: «È una nostra figlia che ha avuto coraggio»

Silvia Romano,i momenti decisividella liberazioneTra Roma e Ankara scontro mediatico sul merito della conclusione positiva del sequestro della giovane cooperante

SOMALIA

Povertà, al Shabaab, raid Usa...Schema consolidato del terrore

FINALMENTE

Un carro armato dell’esercito turco foto Ap

Nel Mar Rosso Erdogan ha via via trasferito le rivalità mediorientali con Riyadh e Abu Dhabi

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martedì 12 maggio 2020lanotizia del giorno

Ritorni e scelte

Contro Silvia l’orrore inconcepibile

della destra

CHIARA CRUCIATI

II «Le polemiche possono far male a Silvia Romano e alla fa-miglia, intossicare un clima di felicità pura. Che va assoluta-mente preservata. Non devo-no curarsi delle critiche ma proteggere il rapporto specia-le a distanza che hanno creato in questo tempo di preparazio-ne. La comunicazione, anche se non verbale, c’è stata sem-pre e non deve entrarci nessu-no. Questo è il momento di riappropriarsi di se stessa».

Susan Dabbous è giornalista freelance. Italo-siriana, segue da anni le questioni mediorien-tali. Il 3 aprile 2013 fu rapita dal Fronte al-Nusra, filiale qae-dista in Siria, con i colleghi del-la Rai Amedeo Ricucci, Elio Co-lavolpe e Andrea Vignali. Di quegli undici giorni in mano ai rapitori, in un appartamento con la sua carceriera Miriam, ha scritto nel libro Come vuoi morire? edito da Castelvecchi. Miriam era addetta alla tua educazione religiosa. Dal ri-torno di Silvia l’attenzione si è concentrata sulla conversio-ne all’Islam, dagli offensivi ti-toli di alcuni giornali alla mor-bosa analisi dei dettagli del suo corpo da parte dei media. Da cosa è dettato un interes-se che a volte sfocia nella cri-minalizzazione della vittima?Il tema della conversione è molto controverso nella storia delle religioni, dai crociati alla blasfemia islamica punita con la pena di morte. Le religioni si stratificano su una contesa di numeri. La parola stessa, “con-vertito”, ha un’implicazione lessicale molto negativa, qual-cuno che va corretto o raddriz-zato mentre la conversione va intesa come momento di in-contro e cambiamento, in sen-so positivo. È atavico parlare di conversione in termini negati-vi quando in realtà è un cam-mino spirituale. Nel caso di Sil-via io non tratterei nemmeno il tema: una persona in stato di coercizione per tanto tempo ha fatto delle scelte dettate da cose che non sappiamo e di cui non abbiamo diritto di parla-re. Possiamo solo dire che non è un comportamento inusua-

le, le conversioni degli ostaggi sono molto comuni. In un tuo post su Facebook hai parlato del significato che ha un vestito nel radicare una

sensazione di sicurezza nella vittima e l’importanza del cor-po nella difesa della mente.Partiamo dal presupposto che chiedere di cambiare d’abito a una persona che ha vissuto in quelle condizioni per tanto tempo è come chiedere a qual-cuno di uscire nudo. L’abito è il modo in cui ti guadagni il ri-spetto di persone che hanno una cultura diversa, l’abito ti protegge e ti permette di scom-parire. È come un bambino che chiude gli occhi come mec-canismo di difesa. L’abito più ti copre e più ti contiene. Quan-do sei ostaggio non pensi co-stantemente alla tua morte, pensi a come sopravvivere e a guadagnarti il rispetto di chi ti tiene in vita. È un comporta-mento remissivo, ma che in quegli abiti ci si trovi bene non

stupisce affatto. Serve tempo a normalizzare. Salire su un ae-reo non è salire su una macchi-na del tempo, tornare a una realtà precedente come se la prigionia non fosse avvenuta. Ciò che ci accade è il nostro ba-gaglio, va elaborato, accettato, può essere traumatico. Non è uno schiocco di dita o il volo di ritorno da una vacanza.Negli ultimi dodici mesi sono stati liberati altri italiani, Ser-gio Zanotti e Alessandro San-drini entrambi rapiti in Tur-chia e Luca Tacchetto in Bur-kina Faso. Quanto incide nel-la narrazione del rapimento di Silvia e del riscatto il fatto che sia una donna? Incide tantissimo. Penso che nel mio caso si sia evitato il lin-ciaggio mediatico perché so-no stata rapita con degli uomi-ni, meno presenti sui media perché su di loro si era annida-ta meno curiosità. Io sono don-na, mezza siriana, musulma-na, un elemento ibrido. E poi c’era la curiosità su come so-no stata trattata da un’altra donna. Ho avuto accesso alla vita di una jihadista, che da giornalista ho trovato estre-mamente interessante, sep-pur vivessi in una condizione psicologica di inferiorità. Quando vengono rapiti tecni-ci, ingegneri, la questione del-la negoziazione non è messa in discussione, segue un cli-ché istituzionale. Per lo Stato italiano gli ostaggi sono tutti uguali e ne dobbiamo andare fieri. Gli infiniti dibattiti se sia giusto o meno pagare è fu-tile: sugli occidentali viene operata una generalizzazio-ne, quando ti rapiscono non guardano al passaporto. L’ac-canimento mediatico verso giovani, donne, dotate di in-telletto e coraggio, è dato da misoginia e atroce invidia. Sa-rebbe utile un’analisi su chi compie le critiche e non sul loro oggetto. I rapimenti sono una fonte di finanziamento dei gruppi jiha-disti. Quanto pesa un simile business sulle loro entrate?Molti sono rapimenti a scopo politico o dimostrativo, mo-strare di avere un’arma di ricat-to. Per questo durano così tan-to: se fossero solo a scopo estor-sivo, ci si accorderebbe subito e l’ostaggio sarebbe rilasciato presto. I rapimenti molto lun-ghi hanno una componente ideologica. Ma va detto che i gruppi terroristici esistono perché hanno finanziamenti ingenti di soggetti che ottengo-no vantaggio politico dal caos. Che i rapimenti siano il princi-pale business non è vero.

GIULIANA SGRENA

INTERVISTA A SUSAN DABBOUS, GIORNALISTA RAPITA NEL 2013

«I media si accaniscono perchéè giovane, donna e coraggiosa»

Che non capiscono spes-so le esigenze di una donna, soprattutto quel-

le del ciclo mestruale, durante il quale si allontanano perché sei «sporca». Il tabù del corpo della donna ha tuttavia un aspetto positivo: nessuna don-na occidentale rapita – alme-no negli ultimi anni e a quan-to mi risulta – ha mai subito violenze fisiche se non quella estrema della morte.Questo non è poco, ma resta-no le violenze psicologiche. A volte persino più subdole e traumatizzanti.Importante è anche il conte-sto in cui si consuma la prigio-nia: isolate, con altri prigionie-ri, la possibilità di comunicare con una donna… Certo per

comunicare vi è anche il pro-blema della lingua e non pen-so che gli shabab di oggi cono-scano l’italiano come gli anzia-ni che avevano subito la colo-nizzazione e la presenza italia-na anche dopo l’indipenden-za. Oltre al somalo si è diffuso l’arabo, soprattutto attraverso le scuole coraniche che, avevo appurato l’ultima volta che sono stata in Somalia, insegna-vano la storia e la geografia dell’Arabia saudita! Scuole co-raniche che hanno formato molti jihadisti. Già allora a Mogadiscio era in vigore la sharia fatta applicare da una Corte islamica che moz-zava mani e piedi senza nem-meno l’anestesia usata, ipocri-tamente, dai sauditi. Non mi meraviglierebbe quindi che Silvia si sia trovata in un conte-sto da «stato islamico».Questo non vuol dire che non sia rimasta colpita dal suo abbigliamento quando è scesa dall’aereo che l’ha ri-portata in Italia. Le domande che subito mi sono posta pe-rò sono passate in secondo ordine rispetto alla gioia per la sua liberazione.

La libertà vale anche per le scelte che lei ha fatto. Anche se dubito che in uno stato di prigionia – per di più durata così tanto – si possa mantenere lucidità e libertà nelle scelte. Il mio rapimento – fortunatamente – è durato «solo» un mese durante il qua-le ho sempre mantenuto un atteggiamento conflittuale – e senza una lacrima – con i miei rapitori con i quali comunque comunicavo, come si può ri-manere giorni senza parlare, anche correndo il rischio di non farsi capire? E non è mancata nemmeno la suggestione di farmi converti-re all’islam facendomi recita-re una preghiera – in questo caso con la sciarpa in testa – per dimostrarmi che in fondo era facile la conversione… Ma per fortuna i miei rapitori non erano fondamentalisti e men-tre uno diceva che ero una «senza dio» l’altro – più politi-co – sosteneva che mi vedeva meglio come «combattente» che come donna sottomessa all’islam. In effetti l’unico ri-sultato ottenuto è stata la con-ferma di essere atea.

Ma 535 giorni sono lunghi, interminabili e come soppor-tarli senza cercare di adattarsi per sopravvivere? E poi i conte-sti sono diversi – l’Iraq non è la Somalia – e anche i rapitori sono diversi. Ma la canea che si è scatenata contro Silvia per-ché si è convertita all’islam non ha limiti e si scontra con il suo sorriso disarmato e disar-mante, quasi ingenuo. Parago-narla a una detenuta nei cam-pi di concentramento che tor-na vestita da nazista è un orro-re inconcepibile e dovrebbe offendere chi ha il senso della storia, ma purtroppo non è così, non c’è il minimo pudore nelle affermazioni di chi si sen-te in diritto di giudicare.Come sempre succede quando una donna torna a casa dopo un rapimento la destra si scate-na contro il pagamento del riscatto. Lecito o non lecito? Quanto vale una vita umana? I cittadini italiani devono esse-re tutti salvati o dipende dalle loro convinzioni? È lecito pa-gare un riscatto che finirà nel-le mani di jihadisti e magari anche in quelle di chi ha fatto da tramite, in questo caso i ser-

vizi segreti turchi che hanno fatto il loro spot pubblicitario con il giubbotto antiproiettile indossato da Silvia al suo rila-scio? Interrogativi che fanno passare in secondo piano una vita umana solo quando è una donna che deve essere riporta-ta casa, in questo caso si tratta di Silvia «l’ingrata», che per la sua conversione non potrà es-sere annoverata tra le «vispe Terese» o le «oche giulive», quelle «che se la sono andata a cercare» o, peggio, hanno mes-so a rischio la vita di chi le ha volute salvare. Non potrò mai dimenticare che devo la vita a Nicola Calipari e non basta una vita per elaborare questo trauma.Ho parlato di donne rapite, perché quando è tornato un fotografo convertito nessuno si è pentito di averlo liberato e in nessun caso i rapiti maschi se la sono «andata a cercare».P.S. A proposito della diatriba Conte-Di Maio, chi doveva andare a ricevere Silvia all’ae-roporto, per quel che vale, quando sono tornata io a Ciampino è venuto Berlusco-ni e non Fini!

quello che nell’ottobre del 2017 ha provocato 500 morti; o un attacco come quello alla base Usa di Baledogle, nelle stesse ore in cui lo scorso set-tembre a Mogadiscio una bom-ba esplodeva al passaggio di un convoglio militare italiani.

La resilienza di cui hanno da-to prova i miliziani somali, la mobilità di cui sono ancora ca-paci nelle aree rurali del sud e del centro del paese e la capaci-tà di rispondere in fretta ai ro-vesci militari, fanno di al Sha-baab anche una scusa utile per tutte le circostanze. L’abbatti-mento lo scorso 4 maggio nei cieli della Somalia di un volo umanitario diretto a Bardale da parte dell’esercito etiope, sarebbe un ’“errore”, come am-

messo da Addis Abeba: il veli-volo è stato scambiato per un aereo kamikaze di al Shabaab. Non stupisce che lo storico an-ti-etiopismo, inferocito dalla presenza militare etiopica nell’ambito di una missione dell’Unione africana che "pa-ce" ne ha portata proprio poca, si riveli sul piano interno una delle frecce migliori nell’arco dei jihadisti.

I rapimenti solo recente-mente sono entrati nel reper-torio del gruppo,. grazie all’in-dotto di affiliati che nelle zone costiere del Kenya avrebbe ra-pito nell’ultimo anno una deci-na di persone, tra cui due medi-ci cubani che lavoravano nella contea di Mandera.

marco boccitto

Susan Dabbous all’arrivo in Italia dopo il rilascio

— segue dalla prima —

L’abito protegge corpo

e mente, ti permette di

scomparire. Un aereo non è

una macchina del tempo,

un tornare a una realtà

precedente come se la

prigionia non fosse avvenuta

Ad accoglierla a Milano una folla di giornalisti e l’applauso di tanti abitanti del quartiere

«Un ostaggio fa scelte dettate da cose che non sappiamo e di cui non abbiamo diritto di parlare»

3martedì 12 maggio 2020 lanotizia del giorno

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LEO LANCARI

II Durante i 18 lunghissimi mesi del rapimento ci sarebbe-ro stati almeno due momenti risultati poi decisivi per la libe-razione di Silvia Romano. Il pri-mo risale allo scorso mese di lu-glio quando, stando a quanto scrivono i media keniani, a Ro-ma si svolge un vertice tra inve-stigatori italiani e provenienti da Nairobi. All’incontro avreb-bero preso parte il procuratore generale kenyano Noordin Ha-ji e quello per le indagini crimi-nali George Kinoti, insieme al procuratore capo della capita-le Giovanni Salvi e al pubblico ministero Sergio Colaiocco, ti-tolare dell’inchiesta sul seque-stro della giovane cooperante italiana. «L’incontro - scrive il Daily Nation - concordò che una squadra speciale di polizia dell’antiterrorismo da Roma doveva venire in Kenya per aiu-tare nelle indagini. E’ stata que-sta squadra che ha scoperto che Romano era stata portata in Somalia e furono avviati im-mediatamente sforzi per con-tattare i suoi rapitori». Un in-contro che sarebbe servito an-che a rimediare ai ritardi con cui, secondo i quotidiano, le au-torità di Nairobi sarebbero in-tervenute nei momenti succes-sivi al rapimento.

Ma è alla fine dell’anno scor-so che ci sarebbe stato l’inter-vento risultato poi fondamen-tale. Chiamati dai colleghi ita-liani dell’Aise, a dicembre co-minciano infatti a collaborare

nelle indagini anche i servizi turchi del Mit, una collabora-zione di estrema importanza visto che proprio Ankara adde-stra gli uomini dei servizi soma-li. Grazie a questi contatti sa-rebbe stato quindi possibile ca-pire dove era tenuta prigionie-ra Silvia e avviare la trattativa per la sua liberazione.

E proprio sulle ultime fasi del sequestro ieri si è scatena-ta una specie di guerra media-tica tra servizi italiani e tur-chi, ognuno dei quali impe-gnato a rivendicare la libera-zione della ragazza. La prima a muoversi è stata Ankara ren-dendo pubblica una fotografia scattata nei momenti imme-diatamente successivi alla libe-razione di Silvia Romano e nel-la quale la cooperante indossa un giubbotto con la mezzalu-na. Una mossa che a Roma vie-ne letta come una firma sull’e-sito positivo della vicenda e in-terpretato come una prevari-cazione. Tanto da suscitare la reazione della nostra intelli-gence che non solo rivendica la liberazione della ragazza, ma attribuisce lo stesso giub-betto della fotografia alla dota-zione militare italiana.

Restano da capire le motiva-zioni da tanto impegno, che in molti attribuiscono alla necessi-tà del presidente turco Recep Tayyip Erdogan di ottenere un riconoscimento internazionale anche in relazione al ruolo che Ankara sta svolgendo in Libia in difesa del governo Serraj.

Ieri Silvia è tornata a casa a Milano, accolta da un lungo ap-plaudo della gente del suo quar-tiere. Su quanto le è accaduto, sul riscatto che sarebbe stato pagato (si parla di tre milioni di dollari ai terroristi di al Sha-baah) e sulla sua conversione all’islam non potevano ovvia-mente mancare polemiche.

«I soldi del riscatto sarebbe-ro stati incassati da questa orga-nizzazione terroristica, Al-Sha-baab, che coi suoi attentati ha ucciso centinaia di persone», ha detto il leader della lega Mat-teo Salvini che non ha rispar-miato critiche al governo: «Io al ritorno avrei tenuto un atteg-giamento più sobrio da parte delle istituzioni, un profilo più basso. Penso che un ritorno più riservato avrebbe evitato pub-blicità gratuita a livello mon-diale a questi infami che nel no-me della religione hanno ucci-so centinaia di persone». Sulla conversione di Silvia all’islam è invece intervenuto il cardina-le Gualtiero Bassetti: «Tutti, in questo momento, la sentiamo nostra figlia» è stato il commen-to del presidente della Cei: «È una nostra figlia che ha corso dei pericoli enormi, che ha avu-to coraggio e forza d'animo».

Giuseppe Conte e Silvia Romano LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

IL RUOLO TURCO NELLA MEDIAZIONE

Petrolio, aiuti umanitari e basi militari:la Turchia si prende il Corno d’AfricaMICHELE GIORGIO

II “Yeni Osmanlicilik”, in turco “Neo-Ottomanesimo”. Questa espressione è usata in riferimento al disegno strate-gico che la Turchia di Recep Tayyip Erdogan cerca di realiz-zare nelle aree geografiche che per secoli avevano fatto parte dell’Impero Ottomano.

Qualcuno storce il naso quando si parla di Neo-Ottoma-nesimo ma non ci sono dubbi sulle ambizioni di Erdogan. E se sono ben evidenti in Siria, nei Balcani o in Nord Africa, do-ve appoggiando il Gna di Fayez el Sarraj contro il generale Haf-tar Ankara tiene a bada avver-sari come gli Emirati e l’Arabia saudita, meno note ma non meno importanti sono quelle nel Mar Rosso e nel Corno d’A-frica. Da lì Erdogan tiene d’oc-chio la porta posteriore della Penisola arabica e i traffici commerciali (e non solo) che transitano per quelle acque. La

collaborazione offerta dai ser-vizi segreti turchi di base in So-malia nelle trattative che han-no portato alla liberazione di Silvia Romano conferma quan-to sia radicata la presenza di Ankara in quel paese tormen-tato da guerre e miseria e posi-zionato lungo lo Stretto di Bab el Mandeb che collega il Mar Rosso all’Oceano indiano.

L’influenza della Turchia nel Corno d’Africa di recente è tornata sotto i riflettori dopo l’incarico dato da Mogadiscio ad Ankara di fare esplorazioni petrolifere nei suoi mari. Un annuncio preceduto dal conte-stato accordo marittimo firma-to dalla Turchia con il governo di Tripoli. Erdogan comunque in Somalia c’è da lungo tempo. NEL 2017, PER FARE un esem-pio, è stato inaugurato un enor-me centro di addestramento turco di truppe somale. Non è certo un caso che l’ambasciata turca più ampia per dimensio-ni sia stata edificata proprio in

Somalia. Negli ultimi dieci an-ni le ong islamiste turche sono state la testa di ponte di Erdo-gan per espandere la sua in-fluenza nel Mediterraneo e in altre aree. Ad aprire nel 2011 la strada verso la Somalia alle imprese, alle forze armate e ai servizi segreti della Turchia è stato proprio l’aiuto umanita-rio: generi di prima necessità, medicine, edilizia leggera, ospedali da campo. Poi è arriva-ta la partecipazione alla rico-struzione. La Turchia è stata tra i primi Stati a riprendere le relazioni diplomatiche con la Somalia dopo la fase più acuta della guerra civile. E il primo a riprendere i voli verso Mogadi-scio. Oggi, oltre all’aeroporto della capitale, imprese turche gestiscono anche il principale porto marittimo.

Lo sfruttamento delle risor-se energetiche, a partire dal pe-trolio offshore della Somalia, è uno dei pilastri della presenza di Ankara nel Corno d’Africa.

Erdogan sta mettendo le ma-ni anche sul Sudan dove ha confermato con le nuove auto-rità “rivoluzionarie” i 13 accor-di siglati a Khartoum qualche anno fa con il presidente ri-mosso Omar al Bashir che por-teranno in futuro gli inter-scambi tra le due economie a 10 miliardi di dollari all’anno e al completamento di una base militare turca sull’isola di Sua-kin. Gli interessi economici so-no prevalenti. TUTTAVIA ANKARA nel Corno d’Africa e nel Mar Rosso vuole anche contrastare gli interessi delle rivali petromonarchie del Golfo che considerano quei territori come la loro re-trovia strategica da proteggere da nemici vecchi e nuovi. Erdo-gan dall’Africa non manca di dare una mano all’amico Qa-tar impegnato da quasi tre an-ni in un duro scontro diploma-tico ed economico – e di imma-gine – con l’Arabia saudita e i suoi alleati. Per questo gli Emi-rati accusano Mogadiscio di es-sersi schierata con Doha, sotto la pressione turca.

La Somalia risponde denun-ciando le interferenze di Abu Dhabi in Somaliland che mine-rebbero la sua stabilità.

Erdogan esporta nel Corno d’Africa e nel Mar Rosso rivalità che destabilizzano un contesto già vulnerabile, caratterizzato da una crescente presenza mili-tare straniera. Riyadh intende costruire una sua postazione ar-mata a Gibuti che già ospita basi

di cinque paesi, tra cui una italia-na. Reparti sauditi sono presen-ti ad Assab in Eritrea dove già esi-ste una base emiratina. LE ESPLORAZIONI petrolifere turche nelle acque somale, inoltre, rischiano di aprire una controversia con il Kenya poi-ché i giacimenti si trovano in una zona marittima al centro di una disputa da lungo tempo sul tavolo della Corte interna-zionale di giustizia. A ciò si ag-giunge la preoccupata atten-zione che le mosse di Erdogan suscitano in Stati uniti, Gran Bretagna, Francia e Israele.

II Il migliaio di casi ufficiali di coronavirus sarebbero il mi-nimo se non ci fossero, anche qui, gli allarmi sul rischio che la situazione sia in realtà più tragica di quanto sembri. La So-malia resta per tante ragioni uno dei paesi più tormentati del mondo, reduce da una lun-ga scia di sventure innescata dalla dominazione italiana e proseguita fino ai giorni nostri con una sequela di conflitti, ca-restie, appetiti esterni, ingo-vernabilità croniche che resti-tuisce l’immagine di un luogo

comune, più che di un paese. Uno scenario che dà risalto

alla "piaga" su cui prolifera al Shabaab, "la Gioventù", orga-nizzazione armata jihadista af-filiata ad al Qaeda (salvo recen-te mini-scissione in direzione Isis), nata nel 2006 da una co-stola dell’Unione delle Corti islamiche, che all’epoca con-trollava il paese, nota per le stragi e gli attacchi suicidi più che per i rapimenti. Le cifre più prudenti parlano di oltre 4 mila morti provocati negli ulti-mi dieci anni solo tra la popola-

zione civile, ma sono stime va-riabili che non tengono conto delle vittime collaterali provo-cate, in particolare, dagli attac-chi di droni statunitensi . Do-po aver eliminato nel 2014 il capo dell’organizzazione, Ah-med Abdi Godane (alias Mukh-tar Abu Zubair), poi sostituito da Ahmed Umar, i falchi del co-mando Usa per l’Africa (Afri-com) hanno ottenuto da Trump l’ok per intensificare gli attacchi contro le postazio-ni degli al Shabaab, scacciati da Mogadiscio nel 2011 e dall’importante città-porto di Kisimayo l’anno seguente.

Dopo ogni raid, secondo una schema consolidato, un at-tentato che poteva avvenire nel cuore di Mogadiscio, come

Il presidente della Cei Bassetti: «È una nostra figlia che ha avuto coraggio»

Silvia Romano,i momenti decisividella liberazioneTra Roma e Ankara scontro mediatico sul merito della conclusione positiva del sequestro della giovane cooperante

SOMALIA

Povertà, al Shabaab, raid Usa...Schema consolidato del terrore

FINALMENTE

Un carro armato dell’esercito turco foto Ap

Nel Mar Rosso Erdogan ha via via trasferito le rivalità mediorientali con Riyadh e Abu Dhabi

2

martedì 12 maggio 2020lanotizia del giorno

Ritorni e scelte

Contro Silvia l’orrore inconcepibile

della destra

CHIARA CRUCIATI

II «Le polemiche possono far male a Silvia Romano e alla fa-miglia, intossicare un clima di felicità pura. Che va assoluta-mente preservata. Non devo-no curarsi delle critiche ma proteggere il rapporto specia-le a distanza che hanno creato in questo tempo di preparazio-ne. La comunicazione, anche se non verbale, c’è stata sem-pre e non deve entrarci nessu-no. Questo è il momento di riappropriarsi di se stessa».

Susan Dabbous è giornalista freelance. Italo-siriana, segue da anni le questioni mediorien-tali. Il 3 aprile 2013 fu rapita dal Fronte al-Nusra, filiale qae-dista in Siria, con i colleghi del-la Rai Amedeo Ricucci, Elio Co-lavolpe e Andrea Vignali. Di quegli undici giorni in mano ai rapitori, in un appartamento con la sua carceriera Miriam, ha scritto nel libro Come vuoi morire? edito da Castelvecchi. Miriam era addetta alla tua educazione religiosa. Dal ri-torno di Silvia l’attenzione si è concentrata sulla conversio-ne all’Islam, dagli offensivi ti-toli di alcuni giornali alla mor-bosa analisi dei dettagli del suo corpo da parte dei media. Da cosa è dettato un interes-se che a volte sfocia nella cri-minalizzazione della vittima?Il tema della conversione è molto controverso nella storia delle religioni, dai crociati alla blasfemia islamica punita con la pena di morte. Le religioni si stratificano su una contesa di numeri. La parola stessa, “con-vertito”, ha un’implicazione lessicale molto negativa, qual-cuno che va corretto o raddriz-zato mentre la conversione va intesa come momento di in-contro e cambiamento, in sen-so positivo. È atavico parlare di conversione in termini negati-vi quando in realtà è un cam-mino spirituale. Nel caso di Sil-via io non tratterei nemmeno il tema: una persona in stato di coercizione per tanto tempo ha fatto delle scelte dettate da cose che non sappiamo e di cui non abbiamo diritto di parla-re. Possiamo solo dire che non è un comportamento inusua-

le, le conversioni degli ostaggi sono molto comuni. In un tuo post su Facebook hai parlato del significato che ha un vestito nel radicare una

sensazione di sicurezza nella vittima e l’importanza del cor-po nella difesa della mente.Partiamo dal presupposto che chiedere di cambiare d’abito a una persona che ha vissuto in quelle condizioni per tanto tempo è come chiedere a qual-cuno di uscire nudo. L’abito è il modo in cui ti guadagni il ri-spetto di persone che hanno una cultura diversa, l’abito ti protegge e ti permette di scom-parire. È come un bambino che chiude gli occhi come mec-canismo di difesa. L’abito più ti copre e più ti contiene. Quan-do sei ostaggio non pensi co-stantemente alla tua morte, pensi a come sopravvivere e a guadagnarti il rispetto di chi ti tiene in vita. È un comporta-mento remissivo, ma che in quegli abiti ci si trovi bene non

stupisce affatto. Serve tempo a normalizzare. Salire su un ae-reo non è salire su una macchi-na del tempo, tornare a una realtà precedente come se la prigionia non fosse avvenuta. Ciò che ci accade è il nostro ba-gaglio, va elaborato, accettato, può essere traumatico. Non è uno schiocco di dita o il volo di ritorno da una vacanza.Negli ultimi dodici mesi sono stati liberati altri italiani, Ser-gio Zanotti e Alessandro San-drini entrambi rapiti in Tur-chia e Luca Tacchetto in Bur-kina Faso. Quanto incide nel-la narrazione del rapimento di Silvia e del riscatto il fatto che sia una donna? Incide tantissimo. Penso che nel mio caso si sia evitato il lin-ciaggio mediatico perché so-no stata rapita con degli uomi-ni, meno presenti sui media perché su di loro si era annida-ta meno curiosità. Io sono don-na, mezza siriana, musulma-na, un elemento ibrido. E poi c’era la curiosità su come so-no stata trattata da un’altra donna. Ho avuto accesso alla vita di una jihadista, che da giornalista ho trovato estre-mamente interessante, sep-pur vivessi in una condizione psicologica di inferiorità. Quando vengono rapiti tecni-ci, ingegneri, la questione del-la negoziazione non è messa in discussione, segue un cli-ché istituzionale. Per lo Stato italiano gli ostaggi sono tutti uguali e ne dobbiamo andare fieri. Gli infiniti dibattiti se sia giusto o meno pagare è fu-tile: sugli occidentali viene operata una generalizzazio-ne, quando ti rapiscono non guardano al passaporto. L’ac-canimento mediatico verso giovani, donne, dotate di in-telletto e coraggio, è dato da misoginia e atroce invidia. Sa-rebbe utile un’analisi su chi compie le critiche e non sul loro oggetto. I rapimenti sono una fonte di finanziamento dei gruppi jiha-disti. Quanto pesa un simile business sulle loro entrate?Molti sono rapimenti a scopo politico o dimostrativo, mo-strare di avere un’arma di ricat-to. Per questo durano così tan-to: se fossero solo a scopo estor-sivo, ci si accorderebbe subito e l’ostaggio sarebbe rilasciato presto. I rapimenti molto lun-ghi hanno una componente ideologica. Ma va detto che i gruppi terroristici esistono perché hanno finanziamenti ingenti di soggetti che ottengo-no vantaggio politico dal caos. Che i rapimenti siano il princi-pale business non è vero.

GIULIANA SGRENA

INTERVISTA A SUSAN DABBOUS, GIORNALISTA RAPITA NEL 2013

«I media si accaniscono perchéè giovane, donna e coraggiosa»

Che non capiscono spes-so le esigenze di una donna, soprattutto quel-

le del ciclo mestruale, durante il quale si allontanano perché sei «sporca». Il tabù del corpo della donna ha tuttavia un aspetto positivo: nessuna don-na occidentale rapita – alme-no negli ultimi anni e a quan-to mi risulta – ha mai subito violenze fisiche se non quella estrema della morte.Questo non è poco, ma resta-no le violenze psicologiche. A volte persino più subdole e traumatizzanti.Importante è anche il conte-sto in cui si consuma la prigio-nia: isolate, con altri prigionie-ri, la possibilità di comunicare con una donna… Certo per

comunicare vi è anche il pro-blema della lingua e non pen-so che gli shabab di oggi cono-scano l’italiano come gli anzia-ni che avevano subito la colo-nizzazione e la presenza italia-na anche dopo l’indipenden-za. Oltre al somalo si è diffuso l’arabo, soprattutto attraverso le scuole coraniche che, avevo appurato l’ultima volta che sono stata in Somalia, insegna-vano la storia e la geografia dell’Arabia saudita! Scuole co-raniche che hanno formato molti jihadisti. Già allora a Mogadiscio era in vigore la sharia fatta applicare da una Corte islamica che moz-zava mani e piedi senza nem-meno l’anestesia usata, ipocri-tamente, dai sauditi. Non mi meraviglierebbe quindi che Silvia si sia trovata in un conte-sto da «stato islamico».Questo non vuol dire che non sia rimasta colpita dal suo abbigliamento quando è scesa dall’aereo che l’ha ri-portata in Italia. Le domande che subito mi sono posta pe-rò sono passate in secondo ordine rispetto alla gioia per la sua liberazione.

La libertà vale anche per le scelte che lei ha fatto. Anche se dubito che in uno stato di prigionia – per di più durata così tanto – si possa mantenere lucidità e libertà nelle scelte. Il mio rapimento – fortunatamente – è durato «solo» un mese durante il qua-le ho sempre mantenuto un atteggiamento conflittuale – e senza una lacrima – con i miei rapitori con i quali comunque comunicavo, come si può ri-manere giorni senza parlare, anche correndo il rischio di non farsi capire? E non è mancata nemmeno la suggestione di farmi converti-re all’islam facendomi recita-re una preghiera – in questo caso con la sciarpa in testa – per dimostrarmi che in fondo era facile la conversione… Ma per fortuna i miei rapitori non erano fondamentalisti e men-tre uno diceva che ero una «senza dio» l’altro – più politi-co – sosteneva che mi vedeva meglio come «combattente» che come donna sottomessa all’islam. In effetti l’unico ri-sultato ottenuto è stata la con-ferma di essere atea.

Ma 535 giorni sono lunghi, interminabili e come soppor-tarli senza cercare di adattarsi per sopravvivere? E poi i conte-sti sono diversi – l’Iraq non è la Somalia – e anche i rapitori sono diversi. Ma la canea che si è scatenata contro Silvia per-ché si è convertita all’islam non ha limiti e si scontra con il suo sorriso disarmato e disar-mante, quasi ingenuo. Parago-narla a una detenuta nei cam-pi di concentramento che tor-na vestita da nazista è un orro-re inconcepibile e dovrebbe offendere chi ha il senso della storia, ma purtroppo non è così, non c’è il minimo pudore nelle affermazioni di chi si sen-te in diritto di giudicare.Come sempre succede quando una donna torna a casa dopo un rapimento la destra si scate-na contro il pagamento del riscatto. Lecito o non lecito? Quanto vale una vita umana? I cittadini italiani devono esse-re tutti salvati o dipende dalle loro convinzioni? È lecito pa-gare un riscatto che finirà nel-le mani di jihadisti e magari anche in quelle di chi ha fatto da tramite, in questo caso i ser-

vizi segreti turchi che hanno fatto il loro spot pubblicitario con il giubbotto antiproiettile indossato da Silvia al suo rila-scio? Interrogativi che fanno passare in secondo piano una vita umana solo quando è una donna che deve essere riporta-ta casa, in questo caso si tratta di Silvia «l’ingrata», che per la sua conversione non potrà es-sere annoverata tra le «vispe Terese» o le «oche giulive», quelle «che se la sono andata a cercare» o, peggio, hanno mes-so a rischio la vita di chi le ha volute salvare. Non potrò mai dimenticare che devo la vita a Nicola Calipari e non basta una vita per elaborare questo trauma.Ho parlato di donne rapite, perché quando è tornato un fotografo convertito nessuno si è pentito di averlo liberato e in nessun caso i rapiti maschi se la sono «andata a cercare».P.S. A proposito della diatriba Conte-Di Maio, chi doveva andare a ricevere Silvia all’ae-roporto, per quel che vale, quando sono tornata io a Ciampino è venuto Berlusco-ni e non Fini!

quello che nell’ottobre del 2017 ha provocato 500 morti; o un attacco come quello alla base Usa di Baledogle, nelle stesse ore in cui lo scorso set-tembre a Mogadiscio una bom-ba esplodeva al passaggio di un convoglio militare italiani.

La resilienza di cui hanno da-to prova i miliziani somali, la mobilità di cui sono ancora ca-paci nelle aree rurali del sud e del centro del paese e la capaci-tà di rispondere in fretta ai ro-vesci militari, fanno di al Sha-baab anche una scusa utile per tutte le circostanze. L’abbatti-mento lo scorso 4 maggio nei cieli della Somalia di un volo umanitario diretto a Bardale da parte dell’esercito etiope, sarebbe un ’“errore”, come am-

messo da Addis Abeba: il veli-volo è stato scambiato per un aereo kamikaze di al Shabaab. Non stupisce che lo storico an-ti-etiopismo, inferocito dalla presenza militare etiopica nell’ambito di una missione dell’Unione africana che "pa-ce" ne ha portata proprio poca, si riveli sul piano interno una delle frecce migliori nell’arco dei jihadisti.

I rapimenti solo recente-mente sono entrati nel reper-torio del gruppo,. grazie all’in-dotto di affiliati che nelle zone costiere del Kenya avrebbe ra-pito nell’ultimo anno una deci-na di persone, tra cui due medi-ci cubani che lavoravano nella contea di Mandera.

marco boccitto

Susan Dabbous all’arrivo in Italia dopo il rilascio

— segue dalla prima —

L’abito protegge corpo

e mente, ti permette di

scomparire. Un aereo non è

una macchina del tempo,

un tornare a una realtà

precedente come se la

prigionia non fosse avvenuta

Ad accoglierla a Milano una folla di giornalisti e l’applauso di tanti abitanti del quartiere

«Un ostaggio fa scelte dettate da cose che non sappiamo e di cui non abbiamo diritto di parlare»

3martedì 12 maggio 2020 lanotizia del giorno

Page 4: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

FABRIZIO FLORIS

II In Africa tra gli italiani an-cora sotto sequestro ci sono pa-dre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio. I due italiani erano stati rapiti in momenti diversi: il missionario il 17 settembre 2018 in Niger, mentre Nicola Chiacchio era stato rapito alcu-ni mesi fa in Mali. Entrambi so-no comparsi in un video lo scorso 6 aprile.

Nel filmato fatto arrivare in Niger alla redazione del giorna-le on-line Air Info Agadez si vedo-no i due connazionali dichiara-re il loro nome, nazionalità se-guite da: «Oggi è il 24 marzo». Le differenze rispetto al rapi-mento di Silvia Romano sono l’avere reso pubblico il filmato e un terreno forse ancora più complicato per allacciare con-tatti. Forse per questo i rapito-ri si sarebbero resi «palesi». I DUE SAREBBERO IN MANO a uno dei gruppi che si muovono nel grande Sahel, il loro Stato, non Mali, Burkina Faso, Niger. Per rendersene conto si può legge-

re l’attenta analisi che fanno i ricercatori Marco Di Liddo, Fiamma Terenghi, Andrea Ce-rasuolo e Valentina Piol nell’in-teressante rapporto sulla cri-minalità organizzata in questa regione. SI È CREATO in questa fascia ter-ritoriale, scrivono, un humus favorevole «per la nascita e la sovrapposizione tra organizza-zioni jihadiste, gruppi indipen-dentisti e organizzazioni crimi-nali: si muovono con gli stessi metodi e attingono ai mercati illeciti per finanziarsi». Per la popolazione appaiono gli uni-ci enti in grado di rispondere ai problemi e ai bisogni della gente sia come difesa da uno Stato oppressivo, sia in termi-ni di reddito: ad esempio fino a

poco tempo fa interi villaggi e città avevano sviluppato un’e-conomia centrata sul traspor-to, l’alloggiamento e la «risto-razione» dei migranti.

Lo Stato in questa regione è contemporaneamente assen-te, per quanto riguarda l’eroga-zione di servizi, e oppressivo perché chiede senza dare. Que-sto, insieme alle condizioni di povertà, alla diseguaglianza so-ciale, agli alti livelli di disoccu-pazione giovanile, a un siste-ma giudiziario debole, corru-zione, proliferazione incon-trollata di armi, conflitti socia-li e guerre civili ha favorito la nascita e la persistenza in Afri-ca occidentale di gruppi crimi-nali organizzati.UNA SITUAZIONE che deriva sia dalle criticità prodotte dalla do-minazione coloniale (mancan-za di rappresentatività politica delle popolazioni locali, sfrut-tamento predatorio delle risor-se naturali, mancata promo-zione di modelli di sviluppo economico inclusivi) sia da al-cune persistenti difficoltà a

cui gli Stati sono soggetti (co-me alti tassi di corruzione e ne-potismo).

A queste dinamiche si sono aggiunti, nel corso della secon-da metà del XX secolo, come scrivono i ricercatori, «nuovi motivi di lacerazione sociale e politica come i conflitti etnici, le guerre civili e le istanze se-cessioniste. In questo senso, l’instabilità e la distruzione del tessuto economico di regio-ni già fragili hanno contribui-to a far crescere il ventaglio di opportunità delle reti crimina-li, soprattutto per quanto ri-guarda la fornitura di beni e servizi per la popolazione (mercato nero, contrabbando, mercenariato)». Tutte carenze che hanno favorito la crescita

della criminalità comune e or-ganizzata che, a sua volta, be-neficia di condizioni di instabi-lità. La criminalità organizzata è sia un ostacolo allo sviluppo che un «attore chiave nel pro-muovere e sostenere crisi uma-nitarie nelle aree di conflitto, dal momento che trae profitto da contesti caratterizzati da in-stabilità e caos». IL SAHEL È UN CONTESTO in cui si è creata una spirale negativa dove la debolezza degli Stati e la povertà creano le basi per il proliferare della criminalità che a sua volta indebolisce le istituzioni che dovrebbero combatterla. Se lo Stato non esiste chi ti protegge è l’etnia, ma se questa viene inglobata o infiltrata da elementi crimina-

li, si crea un’identificazione pe-ricolosissima che rende que-ste organizzazioni un vero an-ti-Stato, anzi la vera istituzio-ne di un territorio. È all’inter-no di queste aree di instabilità che si è sviluppato il primo, grande business illegale del continente: il traffico d’armi, un virus che una volta uscito dalla fabbrica non sai dove e chi colpirà. Ora di fronte a que-sto controllo esterno allo Stato occorrerebbe ripartire dalle domande fondamentali.

Che cos’è uno Stato? Perché dovrei farne parte? Posso far-ne a meno? Uno Stato si basa sul consenso ed è questa la sfi-da che si trovano di fronte i paesi del Sahel: trovare il con-senso dei loro concittadini.

Un frammento del video dello scorso marzo in cui appaiono Padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiaccio

GRAZIEIn questo momento così diffi cile il giornalismo cooperativo

è vicino ai cittadini con il suo impegno per garantire

un’informazione corretta e puntuale, contro ogni tipo di fake news.

Il nostro ringraziamento più sentito va agli edicolanti che sono rimasti

aperti per fornire a tutti un servizio indispensabile.

Le testate associate a:

estense.comQuotidiano on-line d’informazione

®

laRomagnac o o p e r a t i v a

IL GIORNALE DELLA TUA CITTÀRealizzazione gra� ca a cura di Coop. Bacchilega

Diseguaglianza e povertà, traffico d’armi e governi oppressivi:un mix letale

I due italiani ancoraprigionieri in Sahel,in mano all’anti-StatoPadre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiaccio rapiti in Niger,in una regione dove jihadismo e criminalità si sovrappongono

4

martedì 12 maggio 2020lanotizia del giorno

SONIA GRIECO

II Era tutto pronto e mancava poco, una settimana, al 31 mar-zo, ma la bufera Covid-19 già spazzava l’Italia e aveva costret-to anche il Libano al lockdown. Così è arrivato lo stop e ai circa 130 siriani in attesa di imbarcar-si alla volta dell’Italia con i corri-doi umanitari è stato comunica-to di dover aspettare, e si tratta ancora di qualche mese. Parti-ranno, assicurano i promotori del progetto, Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), Tavola Valdese e Comuni-tà di Sant’Egidio. Una data non c’è ancora, dipenderà dall’evolu-zione della crisi sanitaria ed è probabile che si rimandi fino a settembre. QUESTE 130 PERSONE, in maggio-ranza famiglie, rientrano nell’ul-timo viaggio del secondo proto-collo del progetto nato del 2015, che ha portato in Italia dal Libano 1.895 persone, quasi tutti siriani. Per loro l’accoglienza è pronta: si faranno i tamponi prima della partenza e si organizzerà la qua-rantena all’arrivo, per poi prose-guire con tutte le tappe dell’inte-

grazione previste dai corridoi umanitari: corsi d’italiano, casa, scuola, assistenza legale e psicolo-gica, fino all’ottenimento dei do-cumenti (status di rifugiato) e di una prima autonomia, un lavoro o un percorso di studio. Un’attivi-tà di accompagnamento dell’in-serimento del rifugiato che dura in media un anno, con percentua-li di successo molto alte, finanzia-ta dall’8xmille della Chiesa Valde-se e dalla Comunità di Sant’Egi-dio. In Libano, però, la situazione è deteriorata negli ultimi mesi. Le proteste antigovernative ini-ziate a ottobre sono riprese, con violenza questa volta, negli ulti-mi giorni. C’è una terribile crisi economica-finanziaria sfociata nella dichiarazione di bancarot-ta, aumenti alle stelle dei prezzi dei beni di consumo e poi è arriva-to il Covid-19, con il conseguente lockdown che ha colpito i tanti la-voratori della diffusa economia informale del paese, e tra questi molti siriani. Così l’attesa del viaggio nei campi rifugiati o nel-le case in affitto, per i 130 siriani si è fatta più dura, alle prese con problemi economici e paura del contagio.

SONO SEMPRE monitorati dagli organizzatori. «Il progetto - spie-ga Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, program-ma migranti e rifugiati della Fcei - consiste in un lavoro in-tensissimo sia in Libano sia in Italia, volto a cercare le migliori associazioni tra la persona che arriva e i luoghi di accoglienza (diffusi su tutto il territorio na-zionale, ndr), in modo da valo-rizzare i profili professionali, so-ciali e culturali dei beneficiari». Usando una metafora economi-ca lo descrive come un «delicato lavoro di collegamento tra do-manda e offerta». È un modello, tutto italiano, che non si è fer-mato neanche durante la qua-rantena. Sono state attivate mo-dalità on line per le consulenze legali, psicologiche, per i corsi di italiano o di formazione. È

stato fatto un lavoro di informa-zione, in più lingue, sugli aspet-ti sanitari e legali legati alla pan-demia e il contatto, sia con chi è già in Italia sia con chi deve an-cora arrivare, è costante. «Sia-mo pronti alla ripresa dei corri-doi, siamo in grado di accoglie-re in sicurezza, nel rispetto del-le disposizioni sanitarie. Ne ab-biamo esperienza e lo stiamo fa-cendo» ribadisce Daniela Pom-pei, responsabile dei servizi per l’integrazione e l’immigrazio-ne della Comunità di Sant’Egi-dio. «Oltre ai siriani dal Libano abbiamo 80 persone in attesa di partire dall’Etiopia, e lavoria-mo ad ampliare la platea sia dei paesi di partenza sia di destina-zione». Il rinnovo del terzo pro-tocollo per il Libano, che porte-rebbe altri mille siriani in Italia e 500 in Francia, è stato sospeso dall’arrivo del Covid-19, ma non c’è ragione di pensare che non si continuerà, non ci sono segnali negativi dai ministeri degli Esteri e dell’Interno, dico-no Naso e Pompei. Intanto, si la-vora anche a estendere il proget-to ad altri paesi dove perdurano emergenze umanitarie, come la Libia. Un altro obiettivo sono cor-ridoi umanitari europei, che por-tino al sicuro le vittime di guerre e persecuzioni anche in altri sta-ti dell’Unione. Corridoi umanita-ri sono attivi anche in Francia, Belgio e Andorra e finora hanno portato oltre 3.000 persone in Europa. «Abbiamo ricevuto se-gnali di attenzione dall’Europa, che vanno nella direzione di una condivisione delle responsabili-tà. L’Italia ha bisogno del soste-gno di altri paesi» dice Naso, ag-giungendo che «sarebbe anche auspicabile che il governo italia-no valuti di dare un sostegno al progetto, magari coprendo l’ulti-mo miglio dell’accompagna-mento del rifugiato con progetti tipo Sprar. Questo modello di mi-grazione così governata è un be-neficio per l’Italia».

LUCA TANCREDI BARONE

Barcellona

II La nave di Open Arms è fer-ma nel porto da molte settima-ne. Il confinamento ha colto la ong catalana in piena fase di ri-strutturazione della sua imbar-cazione di salvataggio maritti-mo. Ma Òscar Camps e i suoi non sanno stare con le mani in mano. E già dai primi di aprile avevano contattato le istituzio-ni catalane per collaborare in quello che è diventata la loro specialità: «proteggere la vita dei più vulnerabili», come spie-gano nella loro nota stampa. «Ci mettiamo al servizio della scienza per poter aiutare a sal-vare il maggior numero di vite, le più vulnerabili, questa volta a terra, e così contribuire a fre-nare una pandemia senza pre-cedenti con effetti devastatori su un determinato settore della popolazione».

Concretamente, l’azione di una cinquantina di volontari di Open Arms si è concentrata su

due fronti: da un lato, sostene-re il governo catalano e il clini-cal trial lanciato da Oriol Mitjà e Bonaventura Clotet, due me-dici diventati star mediatiche locali e efficaci procacciatori di fondi per la ricerca, e dalla Fon-dazione lotta contro l’Aids (pre-sieduta dallo stesso Clotet); dall’altro, aiutare il comune di Barcellona.

Nel primo caso, il compito che Open Arms ha svolto è sta-to quello di aiutare nella realiz-zazione di test e tamponi e nel-la distribuzione della cura spe-rimentale che Mitjà e Clotet stanno studiando con grande appoggio istituzionale da parte del governo catalano, del cui presidente, Quim Torra, Mitjà è diventato consulente in piena pandemia e in polemica con le persone che erano già preposte alla gestione dell’emergenza sa-nitaria. Alla base del trial clini-co, i cui risultati erano stati pro-messi per il mese scorso, ma an-cora non sono stati svelati, c’è l’idea di usare un trattamento

antivirale (chiamato Daruna-vir) utilizzato come trattamen-to post esposizione per l’Hiv in tutte quelle persone che danno positivo ai test PCR – cioè che hanno in corso l’infezione da Covid-19. E di somministrare idroclorochina, un farmaco usato per trattare la malaria, ai loro contatti per cercare di fer-mare il contagio. Come spiega-vamo su queste pagine, né l’u-no né l’altro farmaco hanno fi-nora dato risultati incoraggianti in altri trial nel mondo, ma que-sto non ha impedito ai due medi-ci di riuscire a ricavare ben 2 mi-lioni e 200mila euro da una cam-pagna di raccolta fondi (con l’ha-shtag #yomecorono) a favore della ricerca. Mitjà, prima di cambiare ambito di ricerca e di convertirsi in scienziato simbo-lo degli esponenti indipendenti-sti del governo catalano, aveva lavorato con successo identifi-cando su una remota isola della Papua Nuova Guinea una cura efficace per una malattia dimen-ticata e invalidante, chiamata

yaws, che gli aveva meritato una copertina sulla rivista scien-tifica Science.

Il secondo ambito di azione di Open Arms è stato quello di appoggiare il Comune di Barcel-lona nel suo sforzo di protegge-re le residenze degli anziani del-la capitale catalana, particolar-mente colpite dal virus (e che il governo catalano, che ne de-tiene la responsabilità, ha tra-scurato per molte settimane). Il comune era intervenuto per mettere a disposizione della Generalitat una serie di infra-strutture per trasferire gli an-ziani e proteggerli dal conta-gio. I volontari della ong han-no dapprima aiutato il comu-ne a trasportare gli anziani, e nelle ultime settimane si sono dedicati a far visita, in squadre di due, alle persone in quaran-tena a casa, soprattutto le più fragili, per portar loro cibo, medicinali, mascherine e por-tar via i rifiuti, e aiutarli a man-tenere l’isolamento.

Molti dei volontari e delle volontarie che si sono imbarca-ti sull’Open Arms sono anche lavoratori sanitari: quindi in un certo senso in queste setti-mane sono stati anche in pri-ma linea negli ospedali a gesti-re l’emergenza.

Il naufragio dell’Europa

Liberate quelle navi salva vita

Libano, il coronavirus fermaanche i corridoi umanitariBloccata la partenza per l’Italia di 130 profughi costretti a restare chiusi nei campi

Gennaio 2020. GIi ultimi rifugiati siriani arrivati con il corridoio umanitario di Sant’Egidio e Valdese Ansa

— segue dalla prima —

L’IMPEGNO DELLA ONG IN SPAGNA

Assistenza agli anziani e medicinali,la sfida di Open Arms al virus

In maggioranza si tratta di famiglie. Prima della partenza saranno sottopostea tampone

ALEX ZANOTELLI

Ora l’Italia ha davanti a sé un paese come la Libia, dove l’Onu ri-

porta che vi sono almeno mezzo milione di migranti rinchiusi in lager e torturati, le donne stuprate, per di più sotto le bombe nella guerra civile fra il generale Haftar e El-Serraj, l’uomo forte di Tri-poli. È chiaro che questi pro-fughi devono scappare dalla Libia ed è un dovere per l’Ita-lia e i paesi della Ue di acco-glierli. Invece vedo in atto una politica di non acco-glienza, sia da parte del go-verno italiano , ma anche dell’Europa, sotto ricatto dei paesi di Visegrad, soprat-tutto Polonia e Ungheria. «La strage di Pasquetta» del 13 aprile ha rivelato a tutti la real-politik dell’Europa. Alarm Phone aveva avvisato Italia, Malta, Portogallo e Germania che un barcone era in avaria in acque Sar maltesi. Nessuno ha rispo-sto. Sono morti in maniera tragica ben 12 giovani e gli altri sono stati riportati in Libi nonostante il veto dell’Onu di riportarli nell’in-ferno libico Questa è oggi la vera politica dell’Italia e del-la Ue: è una politica crimina-le! La Ue ha continuato a ver-sare quei sei miliardi di euro promessi a quel dittatore della Turchia, Erdogan, per bloccare milioni di profughi siriani e afghani che fuggo-no da guerre spaventose. E i profughi lasciati marcire negli inferni delle isole gre-che come Lesbo e Kios? Ep-pure anche per l’Unione eu-ropea il diritto di asilo costi-tuisce il nucleo centrale del-la Carta Europea. È mai pos-sibile che la Ue non sia riusci-ta a risolvere il problema di ricollocamenti a causa dell’irriducibile rifiuto, mai sanzionato, di alcuni paesi dell’Est ad accogliere? E sem-pre sotto ricatto di Budape-st, Vienna e Roma, pur di non salvare i migranti, la Ue ha cancellato la missione Sophia e ha creato una nuo-va spedizione di navi milita-ri per bloccare il trasporto via mare delle armi alla Li-bia. «Una barzelletta», l’ha definita la vice-presidente dell’Onu in Libia. È anche l’Italia che vende tante armi alla Turchia (69 milioni solo nel 2018!) e agli Emirati Arabi che poi le pas-sano alla Libia! L’Europa è sempre più fortezza: ha ora rafforzato Frontex che assu-merà oltre diecimila nuovi agenti entro il 2027 per il controllo dei confini ester-ni. Negli ultimi quattro an-ni-secondo Oxfam- più di un miliardo di euro del Trust Fund per l’Africa non è stato investito in progetti di svi-luppo, bensì «per finanziare politiche nazionali di bruta-

le contenimento dei flussi migratori». Risorse usate per la guardia costiera che si è rivelata complice dei traffi-canti di esseri umani e ha operato in mare per riporta-re in tre anni circa 40.000 uomini, donne e bambini verso i lager libici sottoposti a torture e stupri. «Un’Europa sempre più chiu-sa su se stessa e un’Italia sempre meno accogliente, anche con il governo giallo-rosso. Il primo grave segnale è stato il rinnovo automati-co del criminale Memoran-dum Italia-Libia , frutto ama-ro di Minniti, allora mini-stro degli Interni (rinnovo voluto da Di Maio). Nonostante le promesse di Zingaretti, il governo giallo-rosso non ha ancora abroga-to i Decreti Sicurezza, bocco-ne avvelenato del preceden-te governo gialloverde. Il Ministero degli Interni ha continuato a bloccare per settimane le navi salva mi-granti, invece di offrire subi-to un porto sicuro. Ed ora, per decreto ministeriale, l’Italia ha di nuovo chiuso i porti fino al 31 luglio, pro-prio nella stagione in cui i profughi tentano di fuggire dalla Libia. E così siamo giunti all’ulti-mo atto di questa immensa tragedia: il blocco delle due navi salva migranti a Paler-mo, la Alan Kurdi (che batte bandiera tedesca) e la Aita Mare Ong basca Salvamento Maritimo. Il 5 maggio scorso la Guar-dia Costiera ha riscontrato diverse irregolarità di natu-ra tecnica e operativa per le due navi. È scontro con il go-verno tedesco che dice: «Non c’è nessun rischio di sicurezza per l’ Alan Kurdi». L’unica nave italiana Medi-terranea Saving Humans è inoperativa per almeno due settimane. Tutto questo è estremamente grave perché ora nel Mediterraneo non c’è più nemmeno una nave per soccorrere i naufraghi. Infatti la Open Arms e la Sea Watch 4 si trovano ancora nel porto di Burricuna (Spa-gna). E la Ocean Viking (SOS Mediterranée) è ormeggiata nel porto di Marsiglia.È la vittoria della pandemia del razzismo e dell’indiffe-renza che sta avvelenando l’Europa e l’Italia. È il trion-fo di politiche criminali che escludono e uccidono gli im-poveriti da questo sistema . Ma così naufragano non so-lo i poveri, ma anche l’Euro-pa come patria dei diritti umani. È l’egoismo la più micidiale malattia che ci sta uccidendo! «Bisogna soccor-rere e salvare- ha detto Papa Francesco- perché siamo tut-ti responsabili della vita del nostro prossimo».

5martedì 12 maggio 2020 lanotizia del giorno

Page 5: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

FABRIZIO FLORIS

II In Africa tra gli italiani an-cora sotto sequestro ci sono pa-dre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio. I due italiani erano stati rapiti in momenti diversi: il missionario il 17 settembre 2018 in Niger, mentre Nicola Chiacchio era stato rapito alcu-ni mesi fa in Mali. Entrambi so-no comparsi in un video lo scorso 6 aprile.

Nel filmato fatto arrivare in Niger alla redazione del giorna-le on-line Air Info Agadez si vedo-no i due connazionali dichiara-re il loro nome, nazionalità se-guite da: «Oggi è il 24 marzo». Le differenze rispetto al rapi-mento di Silvia Romano sono l’avere reso pubblico il filmato e un terreno forse ancora più complicato per allacciare con-tatti. Forse per questo i rapito-ri si sarebbero resi «palesi». I DUE SAREBBERO IN MANO a uno dei gruppi che si muovono nel grande Sahel, il loro Stato, non Mali, Burkina Faso, Niger. Per rendersene conto si può legge-

re l’attenta analisi che fanno i ricercatori Marco Di Liddo, Fiamma Terenghi, Andrea Ce-rasuolo e Valentina Piol nell’in-teressante rapporto sulla cri-minalità organizzata in questa regione. SI È CREATO in questa fascia ter-ritoriale, scrivono, un humus favorevole «per la nascita e la sovrapposizione tra organizza-zioni jihadiste, gruppi indipen-dentisti e organizzazioni crimi-nali: si muovono con gli stessi metodi e attingono ai mercati illeciti per finanziarsi». Per la popolazione appaiono gli uni-ci enti in grado di rispondere ai problemi e ai bisogni della gente sia come difesa da uno Stato oppressivo, sia in termi-ni di reddito: ad esempio fino a

poco tempo fa interi villaggi e città avevano sviluppato un’e-conomia centrata sul traspor-to, l’alloggiamento e la «risto-razione» dei migranti.

Lo Stato in questa regione è contemporaneamente assen-te, per quanto riguarda l’eroga-zione di servizi, e oppressivo perché chiede senza dare. Que-sto, insieme alle condizioni di povertà, alla diseguaglianza so-ciale, agli alti livelli di disoccu-pazione giovanile, a un siste-ma giudiziario debole, corru-zione, proliferazione incon-trollata di armi, conflitti socia-li e guerre civili ha favorito la nascita e la persistenza in Afri-ca occidentale di gruppi crimi-nali organizzati.UNA SITUAZIONE che deriva sia dalle criticità prodotte dalla do-minazione coloniale (mancan-za di rappresentatività politica delle popolazioni locali, sfrut-tamento predatorio delle risor-se naturali, mancata promo-zione di modelli di sviluppo economico inclusivi) sia da al-cune persistenti difficoltà a

cui gli Stati sono soggetti (co-me alti tassi di corruzione e ne-potismo).

A queste dinamiche si sono aggiunti, nel corso della secon-da metà del XX secolo, come scrivono i ricercatori, «nuovi motivi di lacerazione sociale e politica come i conflitti etnici, le guerre civili e le istanze se-cessioniste. In questo senso, l’instabilità e la distruzione del tessuto economico di regio-ni già fragili hanno contribui-to a far crescere il ventaglio di opportunità delle reti crimina-li, soprattutto per quanto ri-guarda la fornitura di beni e servizi per la popolazione (mercato nero, contrabbando, mercenariato)». Tutte carenze che hanno favorito la crescita

della criminalità comune e or-ganizzata che, a sua volta, be-neficia di condizioni di instabi-lità. La criminalità organizzata è sia un ostacolo allo sviluppo che un «attore chiave nel pro-muovere e sostenere crisi uma-nitarie nelle aree di conflitto, dal momento che trae profitto da contesti caratterizzati da in-stabilità e caos». IL SAHEL È UN CONTESTO in cui si è creata una spirale negativa dove la debolezza degli Stati e la povertà creano le basi per il proliferare della criminalità che a sua volta indebolisce le istituzioni che dovrebbero combatterla. Se lo Stato non esiste chi ti protegge è l’etnia, ma se questa viene inglobata o infiltrata da elementi crimina-

li, si crea un’identificazione pe-ricolosissima che rende que-ste organizzazioni un vero an-ti-Stato, anzi la vera istituzio-ne di un territorio. È all’inter-no di queste aree di instabilità che si è sviluppato il primo, grande business illegale del continente: il traffico d’armi, un virus che una volta uscito dalla fabbrica non sai dove e chi colpirà. Ora di fronte a que-sto controllo esterno allo Stato occorrerebbe ripartire dalle domande fondamentali.

Che cos’è uno Stato? Perché dovrei farne parte? Posso far-ne a meno? Uno Stato si basa sul consenso ed è questa la sfi-da che si trovano di fronte i paesi del Sahel: trovare il con-senso dei loro concittadini.

Un frammento del video dello scorso marzo in cui appaiono Padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiaccio

GRAZIEIn questo momento così diffi cile il giornalismo cooperativo

è vicino ai cittadini con il suo impegno per garantire

un’informazione corretta e puntuale, contro ogni tipo di fake news.

Il nostro ringraziamento più sentito va agli edicolanti che sono rimasti

aperti per fornire a tutti un servizio indispensabile.

Le testate associate a:

estense.comQuotidiano on-line d’informazione

®

laRomagnac o o p e r a t i v a

IL GIORNALE DELLA TUA CITTÀRealizzazione gra� ca a cura di Coop. Bacchilega

Diseguaglianza e povertà, traffico d’armi e governi oppressivi:un mix letale

I due italiani ancoraprigionieri in Sahel,in mano all’anti-StatoPadre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiaccio rapiti in Niger,in una regione dove jihadismo e criminalità si sovrappongono

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martedì 12 maggio 2020lanotizia del giorno

SONIA GRIECO

II Era tutto pronto e mancava poco, una settimana, al 31 mar-zo, ma la bufera Covid-19 già spazzava l’Italia e aveva costret-to anche il Libano al lockdown. Così è arrivato lo stop e ai circa 130 siriani in attesa di imbarcar-si alla volta dell’Italia con i corri-doi umanitari è stato comunica-to di dover aspettare, e si tratta ancora di qualche mese. Parti-ranno, assicurano i promotori del progetto, Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), Tavola Valdese e Comuni-tà di Sant’Egidio. Una data non c’è ancora, dipenderà dall’evolu-zione della crisi sanitaria ed è probabile che si rimandi fino a settembre. QUESTE 130 PERSONE, in maggio-ranza famiglie, rientrano nell’ul-timo viaggio del secondo proto-collo del progetto nato del 2015, che ha portato in Italia dal Libano 1.895 persone, quasi tutti siriani. Per loro l’accoglienza è pronta: si faranno i tamponi prima della partenza e si organizzerà la qua-rantena all’arrivo, per poi prose-guire con tutte le tappe dell’inte-

grazione previste dai corridoi umanitari: corsi d’italiano, casa, scuola, assistenza legale e psicolo-gica, fino all’ottenimento dei do-cumenti (status di rifugiato) e di una prima autonomia, un lavoro o un percorso di studio. Un’attivi-tà di accompagnamento dell’in-serimento del rifugiato che dura in media un anno, con percentua-li di successo molto alte, finanzia-ta dall’8xmille della Chiesa Valde-se e dalla Comunità di Sant’Egi-dio. In Libano, però, la situazione è deteriorata negli ultimi mesi. Le proteste antigovernative ini-ziate a ottobre sono riprese, con violenza questa volta, negli ulti-mi giorni. C’è una terribile crisi economica-finanziaria sfociata nella dichiarazione di bancarot-ta, aumenti alle stelle dei prezzi dei beni di consumo e poi è arriva-to il Covid-19, con il conseguente lockdown che ha colpito i tanti la-voratori della diffusa economia informale del paese, e tra questi molti siriani. Così l’attesa del viaggio nei campi rifugiati o nel-le case in affitto, per i 130 siriani si è fatta più dura, alle prese con problemi economici e paura del contagio.

SONO SEMPRE monitorati dagli organizzatori. «Il progetto - spie-ga Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, program-ma migranti e rifugiati della Fcei - consiste in un lavoro in-tensissimo sia in Libano sia in Italia, volto a cercare le migliori associazioni tra la persona che arriva e i luoghi di accoglienza (diffusi su tutto il territorio na-zionale, ndr), in modo da valo-rizzare i profili professionali, so-ciali e culturali dei beneficiari». Usando una metafora economi-ca lo descrive come un «delicato lavoro di collegamento tra do-manda e offerta». È un modello, tutto italiano, che non si è fer-mato neanche durante la qua-rantena. Sono state attivate mo-dalità on line per le consulenze legali, psicologiche, per i corsi di italiano o di formazione. È

stato fatto un lavoro di informa-zione, in più lingue, sugli aspet-ti sanitari e legali legati alla pan-demia e il contatto, sia con chi è già in Italia sia con chi deve an-cora arrivare, è costante. «Sia-mo pronti alla ripresa dei corri-doi, siamo in grado di accoglie-re in sicurezza, nel rispetto del-le disposizioni sanitarie. Ne ab-biamo esperienza e lo stiamo fa-cendo» ribadisce Daniela Pom-pei, responsabile dei servizi per l’integrazione e l’immigrazio-ne della Comunità di Sant’Egi-dio. «Oltre ai siriani dal Libano abbiamo 80 persone in attesa di partire dall’Etiopia, e lavoria-mo ad ampliare la platea sia dei paesi di partenza sia di destina-zione». Il rinnovo del terzo pro-tocollo per il Libano, che porte-rebbe altri mille siriani in Italia e 500 in Francia, è stato sospeso dall’arrivo del Covid-19, ma non c’è ragione di pensare che non si continuerà, non ci sono segnali negativi dai ministeri degli Esteri e dell’Interno, dico-no Naso e Pompei. Intanto, si la-vora anche a estendere il proget-to ad altri paesi dove perdurano emergenze umanitarie, come la Libia. Un altro obiettivo sono cor-ridoi umanitari europei, che por-tino al sicuro le vittime di guerre e persecuzioni anche in altri sta-ti dell’Unione. Corridoi umanita-ri sono attivi anche in Francia, Belgio e Andorra e finora hanno portato oltre 3.000 persone in Europa. «Abbiamo ricevuto se-gnali di attenzione dall’Europa, che vanno nella direzione di una condivisione delle responsabili-tà. L’Italia ha bisogno del soste-gno di altri paesi» dice Naso, ag-giungendo che «sarebbe anche auspicabile che il governo italia-no valuti di dare un sostegno al progetto, magari coprendo l’ulti-mo miglio dell’accompagna-mento del rifugiato con progetti tipo Sprar. Questo modello di mi-grazione così governata è un be-neficio per l’Italia».

LUCA TANCREDI BARONE

Barcellona

II La nave di Open Arms è fer-ma nel porto da molte settima-ne. Il confinamento ha colto la ong catalana in piena fase di ri-strutturazione della sua imbar-cazione di salvataggio maritti-mo. Ma Òscar Camps e i suoi non sanno stare con le mani in mano. E già dai primi di aprile avevano contattato le istituzio-ni catalane per collaborare in quello che è diventata la loro specialità: «proteggere la vita dei più vulnerabili», come spie-gano nella loro nota stampa. «Ci mettiamo al servizio della scienza per poter aiutare a sal-vare il maggior numero di vite, le più vulnerabili, questa volta a terra, e così contribuire a fre-nare una pandemia senza pre-cedenti con effetti devastatori su un determinato settore della popolazione».

Concretamente, l’azione di una cinquantina di volontari di Open Arms si è concentrata su

due fronti: da un lato, sostene-re il governo catalano e il clini-cal trial lanciato da Oriol Mitjà e Bonaventura Clotet, due me-dici diventati star mediatiche locali e efficaci procacciatori di fondi per la ricerca, e dalla Fon-dazione lotta contro l’Aids (pre-sieduta dallo stesso Clotet); dall’altro, aiutare il comune di Barcellona.

Nel primo caso, il compito che Open Arms ha svolto è sta-to quello di aiutare nella realiz-zazione di test e tamponi e nel-la distribuzione della cura spe-rimentale che Mitjà e Clotet stanno studiando con grande appoggio istituzionale da parte del governo catalano, del cui presidente, Quim Torra, Mitjà è diventato consulente in piena pandemia e in polemica con le persone che erano già preposte alla gestione dell’emergenza sa-nitaria. Alla base del trial clini-co, i cui risultati erano stati pro-messi per il mese scorso, ma an-cora non sono stati svelati, c’è l’idea di usare un trattamento

antivirale (chiamato Daruna-vir) utilizzato come trattamen-to post esposizione per l’Hiv in tutte quelle persone che danno positivo ai test PCR – cioè che hanno in corso l’infezione da Covid-19. E di somministrare idroclorochina, un farmaco usato per trattare la malaria, ai loro contatti per cercare di fer-mare il contagio. Come spiega-vamo su queste pagine, né l’u-no né l’altro farmaco hanno fi-nora dato risultati incoraggianti in altri trial nel mondo, ma que-sto non ha impedito ai due medi-ci di riuscire a ricavare ben 2 mi-lioni e 200mila euro da una cam-pagna di raccolta fondi (con l’ha-shtag #yomecorono) a favore della ricerca. Mitjà, prima di cambiare ambito di ricerca e di convertirsi in scienziato simbo-lo degli esponenti indipendenti-sti del governo catalano, aveva lavorato con successo identifi-cando su una remota isola della Papua Nuova Guinea una cura efficace per una malattia dimen-ticata e invalidante, chiamata

yaws, che gli aveva meritato una copertina sulla rivista scien-tifica Science.

Il secondo ambito di azione di Open Arms è stato quello di appoggiare il Comune di Barcel-lona nel suo sforzo di protegge-re le residenze degli anziani del-la capitale catalana, particolar-mente colpite dal virus (e che il governo catalano, che ne de-tiene la responsabilità, ha tra-scurato per molte settimane). Il comune era intervenuto per mettere a disposizione della Generalitat una serie di infra-strutture per trasferire gli an-ziani e proteggerli dal conta-gio. I volontari della ong han-no dapprima aiutato il comu-ne a trasportare gli anziani, e nelle ultime settimane si sono dedicati a far visita, in squadre di due, alle persone in quaran-tena a casa, soprattutto le più fragili, per portar loro cibo, medicinali, mascherine e por-tar via i rifiuti, e aiutarli a man-tenere l’isolamento.

Molti dei volontari e delle volontarie che si sono imbarca-ti sull’Open Arms sono anche lavoratori sanitari: quindi in un certo senso in queste setti-mane sono stati anche in pri-ma linea negli ospedali a gesti-re l’emergenza.

Il naufragio dell’Europa

Liberate quelle navi salva vita

Libano, il coronavirus fermaanche i corridoi umanitariBloccata la partenza per l’Italia di 130 profughi costretti a restare chiusi nei campi

Gennaio 2020. GIi ultimi rifugiati siriani arrivati con il corridoio umanitario di Sant’Egidio e Valdese Ansa

— segue dalla prima —

L’IMPEGNO DELLA ONG IN SPAGNA

Assistenza agli anziani e medicinali,la sfida di Open Arms al virus

In maggioranza si tratta di famiglie. Prima della partenza saranno sottopostea tampone

ALEX ZANOTELLI

Ora l’Italia ha davanti a sé un paese come la Libia, dove l’Onu ri-

porta che vi sono almeno mezzo milione di migranti rinchiusi in lager e torturati, le donne stuprate, per di più sotto le bombe nella guerra civile fra il generale Haftar e El-Serraj, l’uomo forte di Tri-poli. È chiaro che questi pro-fughi devono scappare dalla Libia ed è un dovere per l’Ita-lia e i paesi della Ue di acco-glierli. Invece vedo in atto una politica di non acco-glienza, sia da parte del go-verno italiano , ma anche dell’Europa, sotto ricatto dei paesi di Visegrad, soprat-tutto Polonia e Ungheria. «La strage di Pasquetta» del 13 aprile ha rivelato a tutti la real-politik dell’Europa. Alarm Phone aveva avvisato Italia, Malta, Portogallo e Germania che un barcone era in avaria in acque Sar maltesi. Nessuno ha rispo-sto. Sono morti in maniera tragica ben 12 giovani e gli altri sono stati riportati in Libi nonostante il veto dell’Onu di riportarli nell’in-ferno libico Questa è oggi la vera politica dell’Italia e del-la Ue: è una politica crimina-le! La Ue ha continuato a ver-sare quei sei miliardi di euro promessi a quel dittatore della Turchia, Erdogan, per bloccare milioni di profughi siriani e afghani che fuggo-no da guerre spaventose. E i profughi lasciati marcire negli inferni delle isole gre-che come Lesbo e Kios? Ep-pure anche per l’Unione eu-ropea il diritto di asilo costi-tuisce il nucleo centrale del-la Carta Europea. È mai pos-sibile che la Ue non sia riusci-ta a risolvere il problema di ricollocamenti a causa dell’irriducibile rifiuto, mai sanzionato, di alcuni paesi dell’Est ad accogliere? E sem-pre sotto ricatto di Budape-st, Vienna e Roma, pur di non salvare i migranti, la Ue ha cancellato la missione Sophia e ha creato una nuo-va spedizione di navi milita-ri per bloccare il trasporto via mare delle armi alla Li-bia. «Una barzelletta», l’ha definita la vice-presidente dell’Onu in Libia. È anche l’Italia che vende tante armi alla Turchia (69 milioni solo nel 2018!) e agli Emirati Arabi che poi le pas-sano alla Libia! L’Europa è sempre più fortezza: ha ora rafforzato Frontex che assu-merà oltre diecimila nuovi agenti entro il 2027 per il controllo dei confini ester-ni. Negli ultimi quattro an-ni-secondo Oxfam- più di un miliardo di euro del Trust Fund per l’Africa non è stato investito in progetti di svi-luppo, bensì «per finanziare politiche nazionali di bruta-

le contenimento dei flussi migratori». Risorse usate per la guardia costiera che si è rivelata complice dei traffi-canti di esseri umani e ha operato in mare per riporta-re in tre anni circa 40.000 uomini, donne e bambini verso i lager libici sottoposti a torture e stupri. «Un’Europa sempre più chiu-sa su se stessa e un’Italia sempre meno accogliente, anche con il governo giallo-rosso. Il primo grave segnale è stato il rinnovo automati-co del criminale Memoran-dum Italia-Libia , frutto ama-ro di Minniti, allora mini-stro degli Interni (rinnovo voluto da Di Maio). Nonostante le promesse di Zingaretti, il governo giallo-rosso non ha ancora abroga-to i Decreti Sicurezza, bocco-ne avvelenato del preceden-te governo gialloverde. Il Ministero degli Interni ha continuato a bloccare per settimane le navi salva mi-granti, invece di offrire subi-to un porto sicuro. Ed ora, per decreto ministeriale, l’Italia ha di nuovo chiuso i porti fino al 31 luglio, pro-prio nella stagione in cui i profughi tentano di fuggire dalla Libia. E così siamo giunti all’ulti-mo atto di questa immensa tragedia: il blocco delle due navi salva migranti a Paler-mo, la Alan Kurdi (che batte bandiera tedesca) e la Aita Mare Ong basca Salvamento Maritimo. Il 5 maggio scorso la Guar-dia Costiera ha riscontrato diverse irregolarità di natu-ra tecnica e operativa per le due navi. È scontro con il go-verno tedesco che dice: «Non c’è nessun rischio di sicurezza per l’ Alan Kurdi». L’unica nave italiana Medi-terranea Saving Humans è inoperativa per almeno due settimane. Tutto questo è estremamente grave perché ora nel Mediterraneo non c’è più nemmeno una nave per soccorrere i naufraghi. Infatti la Open Arms e la Sea Watch 4 si trovano ancora nel porto di Burricuna (Spa-gna). E la Ocean Viking (SOS Mediterranée) è ormeggiata nel porto di Marsiglia.È la vittoria della pandemia del razzismo e dell’indiffe-renza che sta avvelenando l’Europa e l’Italia. È il trion-fo di politiche criminali che escludono e uccidono gli im-poveriti da questo sistema . Ma così naufragano non so-lo i poveri, ma anche l’Euro-pa come patria dei diritti umani. È l’egoismo la più micidiale malattia che ci sta uccidendo! «Bisogna soccor-rere e salvare- ha detto Papa Francesco- perché siamo tut-ti responsabili della vita del nostro prossimo».

5martedì 12 maggio 2020 lanotizia del giorno

Page 6: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

Il caporalato è una piaga

già perseguita

quotidianamente, non

è il caso di infilare questo

dossier in un decreto urgente

che si occupa della crisi

Carlo Sibilia, M5s

Braccianti stagionali in Calabria foto LaPresse

Vito Crimi foto LaPresse

CRIMI E MISFATTI

ROBERTO CICCARELLI

II Un terzo della produzione industriale italiana è stato an-nientato a causa della crisi in-dotta dal Covid 19. Secondo la stima dell’Istat, realizzata in base all’indice destagionaliz-zato, a febbraio è diminuita del 28,4%, un dato mai regi-strato da quando esiste la rile-vazione delle serie storiche che partono dal 1990. A mar-zo ha perso il 29,3%. E ad apri-le, mese di «lockdown» totale di una parte della produzio-ne, il dato potrebbe essere peggiore. Per Anie Confindu-stria è l’industria elettrotecni-ca ed elettronica ad avere regi-strato a marzo il calo peggiore pari al 34,4%. A febbraio è sta-to del 37,9%.

Per un’economia come la nostra basata sulle esportazio-ni, e in particolare nel settore

industriale posizionato nella subfornitura globale, l’impat-to della crisi si sta rivelando de-vastante, molto di più rispetto a paesi come la Francia o la Ger-mania. I primi dati sono già peggiori di quelli dell’ultima crisi nel 2008-2009, quella da cui l’Italia non si è mai più ri-presa completamente.

La crisi è stata indotta dalla decisione di mettere «in coma» l’intero sistema capitalistico di produzione, nella speranza probabilmente vana che il suo motore riesca a ripartire come prima. Il blocco, anche mo-mentaneo, dell’accumulazio-ne e dello sfruttamento si sta invece dimostrando rovinoso in tutti i settori dell’attività economica, raggiungendo in molti casi intensità inaudite.

Nella fabbricazione di mez-zi di trasporto e nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e

accessori la caduta congiuntu-rale e tendenziale supera am-piamente il 50 per cento. I set-tori che hanno registrato una tenuta sono invece quelli delle industrie alimentari, bevande e tabacco che, considerando la media degli ultimi tre mesi mantengono una dinamica tendenziale positiva.

L’ufficio studi di Confcom-mercio ha previsto un’ondata di fallimenti nel commercio e nei servizi. Colpirebbero 270 mila imprese su 2,7 milioni se le attività non dovessero esse-re riaperte completamente en-tro ottobre a causa dell’impos-sibilità di pagare i costi fissi. Parliamo di ambulanti, negozi di abbigliamento, alberghi, bar, ristoranti e imprese legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona. An-che in questo caso i dati potreb-bero essere peggiori a causa

della desertificazione della do-manda. Lavoratori e famiglie non guadagnano o sono in cas-sa integrazione: sono fattori che distruggono la capacità di consumo.

Le sorti dell’apparato della produzione sono legate al te-muto ritorno dei contagi in au-tunno. Nel Documento di Eco-nomia e Finanza (Def) il gover-no ha previsto una perdita eventuale del 2,8% del Pil che

si andrebbe ad aggiungere al già previsto 8% per il 2020. Que-sto dato è considerato peggio-re dalla Commissione Ue: me-no 9,5%. Prevedibilmente la perdita del Pil sarà a doppia ci-fra. È anche previsto un au-mento della disoccupazione pari a mezzo milione di perso-ne. Sono gli effetti della con-traddizione a cui è soggetto il capitale: proteggere la vita dal contagio comporta la rovina

della produzione. Esporre la vi-ta alla produzione può com-portare l’aumento delle morti da virus.

In un sondaggio di Save The Children condotto su oltre mil-le famiglie sono emersi gli ef-fetti sociali di questa contrad-dizione. Quasi 1 genitore su 7 in povertà ha perso il lavoro, ol-tre la metà temporaneamente. Quasi la metà delle famiglie con bambini tra 8 e 17 anni ha ridotto le spese alimentari e il consumo di carne e pesce. La chiusura delle scuole ha priva-to i bambini del servizio men-sa che permette di mangiare. Il 21,5% delle famiglie non ha comprato medicinali. Una su cinque ha chiesto prestiti a fa-miliari o amici, il 15,5% ha chie-sto aiuti alimentari. Con l’au-mento della disoccupazione e della precarietà, l’esaurimen-to dei bonus per le partite Iva e delle casse integrazioni, l’irri-sorietà del «reddito di emer-genza» che sarà istituito dal «decreto rilancio»,questa crisi sociale si avviterà con quella economica. Una tempesta per-fetta che il governo vede arriva-re senza riuscire a reagire.

DANIELA PREZIOSI

II L’accordo sulle regolarizzazio-ni di braccianti, colf e badanti il 6 maggio era stato chiuso fra tre mi-nistre e un ministro (Bellanova dell’agricoltura, Lamorgese dell’Interno, Catalfo del Lavoro e Provenzano del Sud), salvo la dura-ta dei permessi di lavoro (sei mesi per il Pd e Iv, uno per 5s). Il giorno dopo era stato scritto nei dettagli dai tecnici degli uffici legislativi. Ie-ri ha ricominciato a ballare. E dalla certezza che fosse ormai ancorato nel «Decreto Rilancio» che oggi il consiglio dei ministri dovrebbe li-cenziare, ieri si è fatta strada l’ipo-tesi di uno stralcio per un provve-dimento successivo. Con il rischio di finire su un binario morto. Ma in serata il ministro Gualtieri an-nuncia la fumata bianca: «La rego-larizzazione ci sarà, aiuterà a far emergere il lavoro nero». IL PARADOSSO è che mentre Leu, +Europa e le associazioni già pro-fessano delusione per un inter-vento che si annuncia settoriale e troppo timido, i 5 stelle alzano i decibel e attaccano l’idea di «sana-toria». Usando la stessa parola di Lega e Fdi. UNA PAROLA POCO ADATTA al prov-vedimento. Ma di cui non ha avu-to paura Maroni quando nel 2002 «sanò» le carte di 647mila persone. Oggi la futura (speria-mo) norma sull’emersione del la-voro irregolare dispone una «re-golarizzazione» in senso stretto. Non si rivolge a tutti gli irregola-ri presenti in Italia, cosa pure au-spicabile se non altro per ragioni sanitarie. Ma di questo non si è mai parlato nelle trattativa della maggioranza.

E INFATTI C’È UNA INCONGRUENZA evi-dente fra il testo concordato dalla ministra Catalfo (M5s) e le conte-stazioni dei colleghi grillini. Do-menica al confronto fra Conte e i capidelegazione della maggioran-za il reggente Crimi aveva ripreso il timone del dossier braccianti. Ma né lui né il ministro Bonafede l’avevano bocciato. E così secon-do il Pd l’accordo è fatto.

INVECE IERI BASTAVA ASCOLTARE il sottosegretario agli interni Carlo Sibilia per capire che per una par-te dei grillini il rospo è indigeri-bile: «Non c’è nessun accordo», avverte Sibilia, «è impensabile avallare un accordo che preveda il condono penale», «La sanato-ria lancerebbe un messaggio sba-gliato persino all’imprenditore agricolo, che si vedrebbe costret-to ad usufruire di manodopera non regolare ma "regolarizzata" a posteriori». MA NELLA BOZZA ARRIVATA sui cellu-lari dei capidelegazione di mag-gioranza c’è scritto a chiare lette-re che quel rischio non si corre af-fatto, come ha già spiegato il mani-festo di sabato scorso. Il comma 7 del testo - nella versione prece-dente era il comma 8 - dettaglia la casistica in cui le richieste di rego-larizzazione saranno rigettate. E sono: «la condanna del datore di lavoro negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definiti-va» per «favoreggiamento dell’im-migrazione clandestina verso l’I-

talia e dell’immigrazione clande-stina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prosti-tuzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da im-piegare in attività illecite», e l’«in-termediazione illecita e sfrutta-mento del lavoro». INSOMMA NESSUN CONDANNATO sa-rà condonato. Sono due i canali per le regolarizzazioni: primo, la richiesta congiunta di datore e la-voratore, e cioè il canale tradizio-

nale, lo stesso che fu usato nella sanatoria Maroni. Secondo, l’i-stanza individuale, per sottrarre i braccianti ai caporali: a chi fa ri-chiesta viene concesso un per-messo temporaneo di sei mesi per ricerca di lavoro, convertibili in permesso per motivi di lavoro per la durata del contratto. In questo caso, proprio perché non diventi «una sanatoria maschera-ta», c’è un limite di tempo: biso-gnerà avere un permesso (umani-tario, turistico o una richiesta

d’asilo) scaduto al 31 ottobre 2019. La platea potenziale di que-sta tipologia è di meno di 200mi-la persone. «Il governo abbia il co-raggio di investire sulla legalità» chiede Erasmo Palazzotto (Leu). Nei giorni scorsi era filtrata la no-tizia del pressing di Conte sul provvedimento. Se pressing c’è stato, nelle ultime ore non è per-venuto.MA UNA RUMOROSA FETTA degli ex alleati della Lega subisce ancora la propaganda di Salvini e ora è

Braccianti, stallo 5S«Così non reggiamo»Poi il Mef: l’accordo c’èI grillini: niente regali ai caporali. Ma il testo esclude chi compieilleciti. Il ministro dell’economia: farà emergere il lavoro nero

Alla Caritas di Roma foto LaPresse

LA CRISI NEI DATI ISTAT, CONFCOMMERCIO E SAVE THE CHILDREN

Annientato un terzo della produzioneLa crisi sociale è già devastante

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martedì 12 maggio 2020lanotizia del giorno

ANDREA COLOMBO

II È alle 11, no alle 14, rinvia-mo alle 18, anzi slitta alle 20.30. Si parla del pre-consi-glio dei ministri, che alla fine prende in effetti le sospirate mosse all’ora di cena. Del cdm destinato a varare il decreto dai molti nomi, aprile-mag-gio-rilancio e perché non chia-marlo direttamente «quattro stagioni» ironizza il governato-re ligure Toti, non se ne parla proprio, anche se gli ottimisti inguaribili insistono fino all’ul-timo nell'auspicio di una con-vocazione alle ore piccole. Niente da fare: rinvio a oggi. La regolarizzazione degli immi-grati tiene banco, sembra il so-lo grosso scoglio. Invece è la classica punta dell’iceberg. Quali siano le secche dalle qua-li la nave del governo non rie-sce a venire fuori basta aprire le agenzie di stampa per capir-lo. Non c’è categoria che non protesti, che non si senta tra-scurata, che non accusi il go-verno di distruggerla con que-sto dl. Un plotone d’esecuzio-ne al quale non c’è modo di sot-trarsi se non accettando la du-ra realtà. Il fatto cioè che una manovra monstre, pari almeno a 3 o 4 finanziarie, composta da 257 articoli, a fronte di una situazione davvero drammati-ca per tutti, non può che scon-tentare molti, anzi quasi tutti.CI SONO NODI PIÙ aggrovigliati e il più difficile da sciogliere, do-po la regolarizzazione, è lo sconto sull’Irap. «Abboneremo il saldo e l’acconto di giugno», aveva annunciato domenica il ministro dell’Economia Gual-tieri. Non basta a Carlo Bono-mi e non basta a Italia viva. «Ap-prezziamo ma chiediamo che la misura sia il più possibile ge-neralizzata e senza condizio-ni», riapre i giochi, tra un rin-vio del pre-cdm e l’altro, il ren-ziano Marattin. Bonomi, rug-gente presidente designato di Confindustria, nei contatti di-

retti con il ministero dell’Eco-nomia è più secco e prosaico. Il governo pensa a uno sconto di 2 miliardi? Non bastano: dove-te fare di più. Gualtieri ci pro-va. Alla fine il testo del decreto viene modificato. La nuova ipo-tesi è l’abbonamento del saldo e della prima rata per tutte le aziende con fatturato dai 5 ai 250 milioni e per gli autonomi con introiti corrispettivi. Pur-ché il fatturato di questo aprile sia inferiore ai due terzi del fat-turato dell’aprile 2019. A pre-consiglio in corso arriva pe-rò il grido di vittoria di Iv: «Via Irap a tutti e senza condizioni, soddisfazione di Italia viva».POI C’È IL BONUS villeggiatura. La formula adottata dal gover-no, un credito fiscale pari a 500 euro per le famiglie meno abbienti, viene bocciata secca da Iv. «È diventato un complica-to meccanismo di credito di imposta. Non garantisce risor-se immediate alle imprese ed è limitato al alcune famiglie», lo affonda via Fb Maria Elena Bo-schi. Il governo raccoglie l’indi-cazione, alza fino a 50mila di reddito Isee la platea. Però

mantiene lo strumento, il cre-dito d’imposta.SUL FINANZIAMENTO statale alle banche che comprano piccoli istituti in via di fallimento a imbizzarrirsi sono i 5S, insod-disfatti anche dagli aiuti per il Turismo. Ma il problema di un intervento di simile porta-ta il cui varo si trascina per set-timane è che nessuna falla è mai risolta una volta per tut-te. Il capitolo stanziamenti per la Sanità, almeno quello, sembrava definito. Invece si è riaperto. Il reddito di emer-genza, essendo già stato can-cellato e ridotto a un caritate-vole obolo da regalare con par-simonia sembrava anch’esso una questione chiusa, sia pur nel modo peggiore. Macché! Finché c’è mercanteggiamen-to c’è speranza e Iv riapre il fuoco: due tranche da 400 eu-ro, 800 se la prole esorbita, non sarà un po’ troppo?

In compenso aumentano di oltre 5 miliardi il Fondo per gli ammortizzatori socia-li e di 200 milioni quello, che dire esiguo sarebbe stato po-co, del Fondo per gli affitti.

Scompare anche l’Imu per il consumo di suolo pubblico di bar e ristoranti e pure il cal-miere sulle mascherine che aveva sortito per unico effet-to quello di rendere le mede-sime introvabili. Non ci sono solo le pressioni sociali e quel-le politiche. La Ragioneria dello Stato non ci vede chia-ro. Troppe voci di spesa sono accompagnate da un’enigma-tica X: vorrebbe qualcosa di più preciso sulle coperture.PRENDERE DI MIRA il governo per lo spettacolo che sta offren-do è facile ma solo in parte giu-stificato. Le difficoltà sono rea-li. La marcia del decretone, una volta varato, non sarà agi-le né per quanto riguarda le ve-rifiche legislative né in Parla-mento. Nell’iter di conversio-ne parecchie cose dovranno cambiare per forza. Ma resta il fatto che solo Conte, assumen-dosi la responsabilità di convo-care il consiglio dei ministri e decidere pur sapendo che le critiche arriveranno a mazzi, può sbloccare la situazione. Proprio questo gli chiede di fa-re senza più indugi il Pd.

LA GERMANIA E LA CRISI

Il vicecancelliere Scholz, «falco»della Spd, propone una patrimoniale

La prima mobilitazione

sindacale della Fase 2 la Cgil

la riserva alla scuola. Domani

la Flc Cgil organizza «migliaia

di assemblee digitali in tutte

le scuole - unitarie con Cisl e

Uil - e università del paese».

«Siamo impegnati in un

confronto col ministero per

definire un protocollo

nazionale in tempi brevi, ma

siamo molto preoccupati»,

spiega il segretario generale

Francesco Sinopoli. «La

ripartenza si deve fondare

sulla sicurezza. Serve un

protocollo specifico per

avere le migliori condizioni

per tutti. Serve fare classi più

piccole, cosa che chiediamo

da tempo. Dobbiamo

trasformare l’emergenza in

occasione». «Non è persa la

battaglia per una selezione

per titoli dei docenti: c’è una

discussione parlamentare.

Non ha senso un concorso

ordinario e straordinario che

si rischia di non riuscire a

fare: lo riconoscono tutti

tranne il governo».

Angela Merkel foto Ap

Bocciato il taglio delle tasse. Presto interventi per cultura, alberghi e ristornati, energia

Scuola, domanimobilitazione Cgil

Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri foto Lapresse

sul piede di guerra: c’è chi chiede una riunione dei gruppi, chi di cancellare l’estensione della nor-ma a colf e badanti anche italiane - richiesta quest’ultima particolar-mente nefasta perché nel paese molti anziani stanno tornando a casa dalle Rsa e le famiglie hanno bisogno di canali rapidi per rego-larizzare il lavoro di chi le aiuta. I più contrari sono il ministro Ser-gio Costa, i sottosegretari Sibilia, Ferraresi, L'Abbate, la vicemini-stra Castelli.

CRIMI, DOPO AVER SOSTENUTO che la norma avrebbe favorito i caporali - argomento che ha poi dovuto ab-bandonare per manifesta infon-datezza - ieri sulla chat grillina in-sisteva sul fantomatico condono: «Far emergere il nero abbuonan-do sanzioni penali significa dire ai nostri imprenditori onesti siete dei coglioni». Altro che «abbuo-no». La realtà è quella che Crimi confida ai suoi più stretti: «L’inte-sa sulle regolarizzazioni non la reggiamo».

Scontro sull’Irap,poi l’accordo che accontenta Ive Confindustria.Restano altri nodi

SLITTA DI NUOVO IL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Un rilancio a singhiozzoSul decreto liti e rinvii

Rimandare la norma a un provvedimento successivo rischia di condannarlo ad un binario morto

Dalle banche al turismo, maggioranza divisa. Il pre-consiglio fissato per le 14 si tiene all’ora di cena

SEBASTIANO CANETTA

Berlino

II Tassare di più i ricchi. Non è la «vecchia» proposta dell’e-strema sinistra ma la nuova idea del vicecancelliere Olaf Scholz per fare quadrare i con-ti pubblici nell’era del Corona-virus. Il ministro delle finanze Spd è convinto della «necessità di chiedere un contributo più elevato ai lavoratori ad alto reddito», e ci crede al punto di volere inserire il capitolo nel prossimo programma elettora-le del partito. Lo anticipa dalle colonne del Tagesspiegel, ricor-dando che già nel 2017 la Spd aveva immaginato la patrimo-niale del 3% per i redditi oltre 250 mila euro all’anno. E spie-ga inoltre come d’ora in poi il governo si impegnerà per «im-pedire tutti i metodi per non pagare completamente le tas-se nazionali».

Si tratta di un Segnale chia-ro, e soprattutto inedito, da parte del «falco» socialdemo-cratico, ex sindaco-sceriffo di Amburgo, candidato perdente alla segreteria come leader del-la «destra» Spd. «La pandemia ha dimostrato l’importanza della solidarietà, vediamo di ri-cordarlo. Ricordo bene come dopo la crisi del 2008 chi è sta-to salvato dai soldi dei contri-buenti si è poi comportato co-me fosse il padrone dell’uni-verso» sintetizza Scholz.

Per il vicecancelliere «ora non è proprio il momento di promettere il taglio delle tasse per chi incassa centinaia di mi-gliaia di euro». Soprattutto, perché i miliardi stanziati dal governo Merkel non bastano neppure a coprire il deficit dei primi cento giorni di lockdo-wn. All’orizzonte di Berlino, in-fatti, si profila il rapporto tra debito e pil destinato a rag-

giungere il 75% a fine anno.In ogni caso, la Germania è

pronta a varare tre nuovi pac-chetti finanziari. Il primo desti-nato ad Arte e Cultura che «hanno necessità immediata di sostenere i lavoratori del set-tore», il secondo coprirà i man-cati introiti di alberghi e risto-ranti, il terzo servirà per «aiuta-re le aziende a sviluppare l’eco-nomia neutrale sotto il profilo delle emissioni entro il 2050».

Da qui la difficoltà del gover-no federale di appoggiare, pri-ma fra tutte, la pressante ri-chiesta di «bonus-rottamazio-ne» da parte della industria au-

tomobilistica, ma anche l’im-possibilità di escludere ulterio-ri sforamenti del bilancio or-mai fuori pareggio. «Anche perché se vogliamo mantene-re l’attuale livello di prosperi-tà senza utilizzare i combusti-bili fossili servirà un’incredi-bile spinta verso la moderniz-zazione del Paese» precisa il ministro Spd. Messaggio ine-quivocabile per i partner di go-verno dell’Union, decisi a ri-mettere in discussione i tar-get ambientali concordati all’epoca dei Fridays For Futu-

re pur di far ripartire a razzo il made in Germany.

Tutto nell’attesa che si ri-componga lo scontro frontale fra la Corte di Karlsruhe e la Bce. Ieri nel video-collegamen-to con il Presidium Cdu la can-celliera Angela Merkel ha defi-nito «spinosa» la condizione in-nescata dalla sentenza del tri-bunale costituzionale tedesco. Mostrando, però il solito otti-mismo e indicando la soluzio-ne: «La situazione è riparabile se la Bce spiegherà la sua proce-dura d’acquisto dei bond».

7martedì 12 maggio 2020 lanotizia del giorno

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Il caporalato è una piaga

già perseguita

quotidianamente, non

è il caso di infilare questo

dossier in un decreto urgente

che si occupa della crisi

Carlo Sibilia, M5s

Braccianti stagionali in Calabria foto LaPresse

Vito Crimi foto LaPresse

CRIMI E MISFATTI

ROBERTO CICCARELLI

II Un terzo della produzione industriale italiana è stato an-nientato a causa della crisi in-dotta dal Covid 19. Secondo la stima dell’Istat, realizzata in base all’indice destagionaliz-zato, a febbraio è diminuita del 28,4%, un dato mai regi-strato da quando esiste la rile-vazione delle serie storiche che partono dal 1990. A mar-zo ha perso il 29,3%. E ad apri-le, mese di «lockdown» totale di una parte della produzio-ne, il dato potrebbe essere peggiore. Per Anie Confindu-stria è l’industria elettrotecni-ca ed elettronica ad avere regi-strato a marzo il calo peggiore pari al 34,4%. A febbraio è sta-to del 37,9%.

Per un’economia come la nostra basata sulle esportazio-ni, e in particolare nel settore

industriale posizionato nella subfornitura globale, l’impat-to della crisi si sta rivelando de-vastante, molto di più rispetto a paesi come la Francia o la Ger-mania. I primi dati sono già peggiori di quelli dell’ultima crisi nel 2008-2009, quella da cui l’Italia non si è mai più ri-presa completamente.

La crisi è stata indotta dalla decisione di mettere «in coma» l’intero sistema capitalistico di produzione, nella speranza probabilmente vana che il suo motore riesca a ripartire come prima. Il blocco, anche mo-mentaneo, dell’accumulazio-ne e dello sfruttamento si sta invece dimostrando rovinoso in tutti i settori dell’attività economica, raggiungendo in molti casi intensità inaudite.

Nella fabbricazione di mez-zi di trasporto e nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e

accessori la caduta congiuntu-rale e tendenziale supera am-piamente il 50 per cento. I set-tori che hanno registrato una tenuta sono invece quelli delle industrie alimentari, bevande e tabacco che, considerando la media degli ultimi tre mesi mantengono una dinamica tendenziale positiva.

L’ufficio studi di Confcom-mercio ha previsto un’ondata di fallimenti nel commercio e nei servizi. Colpirebbero 270 mila imprese su 2,7 milioni se le attività non dovessero esse-re riaperte completamente en-tro ottobre a causa dell’impos-sibilità di pagare i costi fissi. Parliamo di ambulanti, negozi di abbigliamento, alberghi, bar, ristoranti e imprese legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona. An-che in questo caso i dati potreb-bero essere peggiori a causa

della desertificazione della do-manda. Lavoratori e famiglie non guadagnano o sono in cas-sa integrazione: sono fattori che distruggono la capacità di consumo.

Le sorti dell’apparato della produzione sono legate al te-muto ritorno dei contagi in au-tunno. Nel Documento di Eco-nomia e Finanza (Def) il gover-no ha previsto una perdita eventuale del 2,8% del Pil che

si andrebbe ad aggiungere al già previsto 8% per il 2020. Que-sto dato è considerato peggio-re dalla Commissione Ue: me-no 9,5%. Prevedibilmente la perdita del Pil sarà a doppia ci-fra. È anche previsto un au-mento della disoccupazione pari a mezzo milione di perso-ne. Sono gli effetti della con-traddizione a cui è soggetto il capitale: proteggere la vita dal contagio comporta la rovina

della produzione. Esporre la vi-ta alla produzione può com-portare l’aumento delle morti da virus.

In un sondaggio di Save The Children condotto su oltre mil-le famiglie sono emersi gli ef-fetti sociali di questa contrad-dizione. Quasi 1 genitore su 7 in povertà ha perso il lavoro, ol-tre la metà temporaneamente. Quasi la metà delle famiglie con bambini tra 8 e 17 anni ha ridotto le spese alimentari e il consumo di carne e pesce. La chiusura delle scuole ha priva-to i bambini del servizio men-sa che permette di mangiare. Il 21,5% delle famiglie non ha comprato medicinali. Una su cinque ha chiesto prestiti a fa-miliari o amici, il 15,5% ha chie-sto aiuti alimentari. Con l’au-mento della disoccupazione e della precarietà, l’esaurimen-to dei bonus per le partite Iva e delle casse integrazioni, l’irri-sorietà del «reddito di emer-genza» che sarà istituito dal «decreto rilancio»,questa crisi sociale si avviterà con quella economica. Una tempesta per-fetta che il governo vede arriva-re senza riuscire a reagire.

DANIELA PREZIOSI

II L’accordo sulle regolarizzazio-ni di braccianti, colf e badanti il 6 maggio era stato chiuso fra tre mi-nistre e un ministro (Bellanova dell’agricoltura, Lamorgese dell’Interno, Catalfo del Lavoro e Provenzano del Sud), salvo la dura-ta dei permessi di lavoro (sei mesi per il Pd e Iv, uno per 5s). Il giorno dopo era stato scritto nei dettagli dai tecnici degli uffici legislativi. Ie-ri ha ricominciato a ballare. E dalla certezza che fosse ormai ancorato nel «Decreto Rilancio» che oggi il consiglio dei ministri dovrebbe li-cenziare, ieri si è fatta strada l’ipo-tesi di uno stralcio per un provve-dimento successivo. Con il rischio di finire su un binario morto. Ma in serata il ministro Gualtieri an-nuncia la fumata bianca: «La rego-larizzazione ci sarà, aiuterà a far emergere il lavoro nero». IL PARADOSSO è che mentre Leu, +Europa e le associazioni già pro-fessano delusione per un inter-vento che si annuncia settoriale e troppo timido, i 5 stelle alzano i decibel e attaccano l’idea di «sana-toria». Usando la stessa parola di Lega e Fdi. UNA PAROLA POCO ADATTA al prov-vedimento. Ma di cui non ha avu-to paura Maroni quando nel 2002 «sanò» le carte di 647mila persone. Oggi la futura (speria-mo) norma sull’emersione del la-voro irregolare dispone una «re-golarizzazione» in senso stretto. Non si rivolge a tutti gli irregola-ri presenti in Italia, cosa pure au-spicabile se non altro per ragioni sanitarie. Ma di questo non si è mai parlato nelle trattativa della maggioranza.

E INFATTI C’È UNA INCONGRUENZA evi-dente fra il testo concordato dalla ministra Catalfo (M5s) e le conte-stazioni dei colleghi grillini. Do-menica al confronto fra Conte e i capidelegazione della maggioran-za il reggente Crimi aveva ripreso il timone del dossier braccianti. Ma né lui né il ministro Bonafede l’avevano bocciato. E così secon-do il Pd l’accordo è fatto.

INVECE IERI BASTAVA ASCOLTARE il sottosegretario agli interni Carlo Sibilia per capire che per una par-te dei grillini il rospo è indigeri-bile: «Non c’è nessun accordo», avverte Sibilia, «è impensabile avallare un accordo che preveda il condono penale», «La sanato-ria lancerebbe un messaggio sba-gliato persino all’imprenditore agricolo, che si vedrebbe costret-to ad usufruire di manodopera non regolare ma "regolarizzata" a posteriori». MA NELLA BOZZA ARRIVATA sui cellu-lari dei capidelegazione di mag-gioranza c’è scritto a chiare lette-re che quel rischio non si corre af-fatto, come ha già spiegato il mani-festo di sabato scorso. Il comma 7 del testo - nella versione prece-dente era il comma 8 - dettaglia la casistica in cui le richieste di rego-larizzazione saranno rigettate. E sono: «la condanna del datore di lavoro negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definiti-va» per «favoreggiamento dell’im-migrazione clandestina verso l’I-

talia e dell’immigrazione clande-stina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prosti-tuzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da im-piegare in attività illecite», e l’«in-termediazione illecita e sfrutta-mento del lavoro». INSOMMA NESSUN CONDANNATO sa-rà condonato. Sono due i canali per le regolarizzazioni: primo, la richiesta congiunta di datore e la-voratore, e cioè il canale tradizio-

nale, lo stesso che fu usato nella sanatoria Maroni. Secondo, l’i-stanza individuale, per sottrarre i braccianti ai caporali: a chi fa ri-chiesta viene concesso un per-messo temporaneo di sei mesi per ricerca di lavoro, convertibili in permesso per motivi di lavoro per la durata del contratto. In questo caso, proprio perché non diventi «una sanatoria maschera-ta», c’è un limite di tempo: biso-gnerà avere un permesso (umani-tario, turistico o una richiesta

d’asilo) scaduto al 31 ottobre 2019. La platea potenziale di que-sta tipologia è di meno di 200mi-la persone. «Il governo abbia il co-raggio di investire sulla legalità» chiede Erasmo Palazzotto (Leu). Nei giorni scorsi era filtrata la no-tizia del pressing di Conte sul provvedimento. Se pressing c’è stato, nelle ultime ore non è per-venuto.MA UNA RUMOROSA FETTA degli ex alleati della Lega subisce ancora la propaganda di Salvini e ora è

Braccianti, stallo 5S«Così non reggiamo»Poi il Mef: l’accordo c’èI grillini: niente regali ai caporali. Ma il testo esclude chi compieilleciti. Il ministro dell’economia: farà emergere il lavoro nero

Alla Caritas di Roma foto LaPresse

LA CRISI NEI DATI ISTAT, CONFCOMMERCIO E SAVE THE CHILDREN

Annientato un terzo della produzioneLa crisi sociale è già devastante

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martedì 12 maggio 2020lanotizia del giorno

ANDREA COLOMBO

II È alle 11, no alle 14, rinvia-mo alle 18, anzi slitta alle 20.30. Si parla del pre-consi-glio dei ministri, che alla fine prende in effetti le sospirate mosse all’ora di cena. Del cdm destinato a varare il decreto dai molti nomi, aprile-mag-gio-rilancio e perché non chia-marlo direttamente «quattro stagioni» ironizza il governato-re ligure Toti, non se ne parla proprio, anche se gli ottimisti inguaribili insistono fino all’ul-timo nell'auspicio di una con-vocazione alle ore piccole. Niente da fare: rinvio a oggi. La regolarizzazione degli immi-grati tiene banco, sembra il so-lo grosso scoglio. Invece è la classica punta dell’iceberg. Quali siano le secche dalle qua-li la nave del governo non rie-sce a venire fuori basta aprire le agenzie di stampa per capir-lo. Non c’è categoria che non protesti, che non si senta tra-scurata, che non accusi il go-verno di distruggerla con que-sto dl. Un plotone d’esecuzio-ne al quale non c’è modo di sot-trarsi se non accettando la du-ra realtà. Il fatto cioè che una manovra monstre, pari almeno a 3 o 4 finanziarie, composta da 257 articoli, a fronte di una situazione davvero drammati-ca per tutti, non può che scon-tentare molti, anzi quasi tutti.CI SONO NODI PIÙ aggrovigliati e il più difficile da sciogliere, do-po la regolarizzazione, è lo sconto sull’Irap. «Abboneremo il saldo e l’acconto di giugno», aveva annunciato domenica il ministro dell’Economia Gual-tieri. Non basta a Carlo Bono-mi e non basta a Italia viva. «Ap-prezziamo ma chiediamo che la misura sia il più possibile ge-neralizzata e senza condizio-ni», riapre i giochi, tra un rin-vio del pre-cdm e l’altro, il ren-ziano Marattin. Bonomi, rug-gente presidente designato di Confindustria, nei contatti di-

retti con il ministero dell’Eco-nomia è più secco e prosaico. Il governo pensa a uno sconto di 2 miliardi? Non bastano: dove-te fare di più. Gualtieri ci pro-va. Alla fine il testo del decreto viene modificato. La nuova ipo-tesi è l’abbonamento del saldo e della prima rata per tutte le aziende con fatturato dai 5 ai 250 milioni e per gli autonomi con introiti corrispettivi. Pur-ché il fatturato di questo aprile sia inferiore ai due terzi del fat-turato dell’aprile 2019. A pre-consiglio in corso arriva pe-rò il grido di vittoria di Iv: «Via Irap a tutti e senza condizioni, soddisfazione di Italia viva».POI C’È IL BONUS villeggiatura. La formula adottata dal gover-no, un credito fiscale pari a 500 euro per le famiglie meno abbienti, viene bocciata secca da Iv. «È diventato un complica-to meccanismo di credito di imposta. Non garantisce risor-se immediate alle imprese ed è limitato al alcune famiglie», lo affonda via Fb Maria Elena Bo-schi. Il governo raccoglie l’indi-cazione, alza fino a 50mila di reddito Isee la platea. Però

mantiene lo strumento, il cre-dito d’imposta.SUL FINANZIAMENTO statale alle banche che comprano piccoli istituti in via di fallimento a imbizzarrirsi sono i 5S, insod-disfatti anche dagli aiuti per il Turismo. Ma il problema di un intervento di simile porta-ta il cui varo si trascina per set-timane è che nessuna falla è mai risolta una volta per tut-te. Il capitolo stanziamenti per la Sanità, almeno quello, sembrava definito. Invece si è riaperto. Il reddito di emer-genza, essendo già stato can-cellato e ridotto a un caritate-vole obolo da regalare con par-simonia sembrava anch’esso una questione chiusa, sia pur nel modo peggiore. Macché! Finché c’è mercanteggiamen-to c’è speranza e Iv riapre il fuoco: due tranche da 400 eu-ro, 800 se la prole esorbita, non sarà un po’ troppo?

In compenso aumentano di oltre 5 miliardi il Fondo per gli ammortizzatori socia-li e di 200 milioni quello, che dire esiguo sarebbe stato po-co, del Fondo per gli affitti.

Scompare anche l’Imu per il consumo di suolo pubblico di bar e ristoranti e pure il cal-miere sulle mascherine che aveva sortito per unico effet-to quello di rendere le mede-sime introvabili. Non ci sono solo le pressioni sociali e quel-le politiche. La Ragioneria dello Stato non ci vede chia-ro. Troppe voci di spesa sono accompagnate da un’enigma-tica X: vorrebbe qualcosa di più preciso sulle coperture.PRENDERE DI MIRA il governo per lo spettacolo che sta offren-do è facile ma solo in parte giu-stificato. Le difficoltà sono rea-li. La marcia del decretone, una volta varato, non sarà agi-le né per quanto riguarda le ve-rifiche legislative né in Parla-mento. Nell’iter di conversio-ne parecchie cose dovranno cambiare per forza. Ma resta il fatto che solo Conte, assumen-dosi la responsabilità di convo-care il consiglio dei ministri e decidere pur sapendo che le critiche arriveranno a mazzi, può sbloccare la situazione. Proprio questo gli chiede di fa-re senza più indugi il Pd.

LA GERMANIA E LA CRISI

Il vicecancelliere Scholz, «falco»della Spd, propone una patrimoniale

La prima mobilitazione

sindacale della Fase 2 la Cgil

la riserva alla scuola. Domani

la Flc Cgil organizza «migliaia

di assemblee digitali in tutte

le scuole - unitarie con Cisl e

Uil - e università del paese».

«Siamo impegnati in un

confronto col ministero per

definire un protocollo

nazionale in tempi brevi, ma

siamo molto preoccupati»,

spiega il segretario generale

Francesco Sinopoli. «La

ripartenza si deve fondare

sulla sicurezza. Serve un

protocollo specifico per

avere le migliori condizioni

per tutti. Serve fare classi più

piccole, cosa che chiediamo

da tempo. Dobbiamo

trasformare l’emergenza in

occasione». «Non è persa la

battaglia per una selezione

per titoli dei docenti: c’è una

discussione parlamentare.

Non ha senso un concorso

ordinario e straordinario che

si rischia di non riuscire a

fare: lo riconoscono tutti

tranne il governo».

Angela Merkel foto Ap

Bocciato il taglio delle tasse. Presto interventi per cultura, alberghi e ristornati, energia

Scuola, domanimobilitazione Cgil

Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri foto Lapresse

sul piede di guerra: c’è chi chiede una riunione dei gruppi, chi di cancellare l’estensione della nor-ma a colf e badanti anche italiane - richiesta quest’ultima particolar-mente nefasta perché nel paese molti anziani stanno tornando a casa dalle Rsa e le famiglie hanno bisogno di canali rapidi per rego-larizzare il lavoro di chi le aiuta. I più contrari sono il ministro Ser-gio Costa, i sottosegretari Sibilia, Ferraresi, L'Abbate, la vicemini-stra Castelli.

CRIMI, DOPO AVER SOSTENUTO che la norma avrebbe favorito i caporali - argomento che ha poi dovuto ab-bandonare per manifesta infon-datezza - ieri sulla chat grillina in-sisteva sul fantomatico condono: «Far emergere il nero abbuonan-do sanzioni penali significa dire ai nostri imprenditori onesti siete dei coglioni». Altro che «abbuo-no». La realtà è quella che Crimi confida ai suoi più stretti: «L’inte-sa sulle regolarizzazioni non la reggiamo».

Scontro sull’Irap,poi l’accordo che accontenta Ive Confindustria.Restano altri nodi

SLITTA DI NUOVO IL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Un rilancio a singhiozzoSul decreto liti e rinvii

Rimandare la norma a un provvedimento successivo rischia di condannarlo ad un binario morto

Dalle banche al turismo, maggioranza divisa. Il pre-consiglio fissato per le 14 si tiene all’ora di cena

SEBASTIANO CANETTA

Berlino

II Tassare di più i ricchi. Non è la «vecchia» proposta dell’e-strema sinistra ma la nuova idea del vicecancelliere Olaf Scholz per fare quadrare i con-ti pubblici nell’era del Corona-virus. Il ministro delle finanze Spd è convinto della «necessità di chiedere un contributo più elevato ai lavoratori ad alto reddito», e ci crede al punto di volere inserire il capitolo nel prossimo programma elettora-le del partito. Lo anticipa dalle colonne del Tagesspiegel, ricor-dando che già nel 2017 la Spd aveva immaginato la patrimo-niale del 3% per i redditi oltre 250 mila euro all’anno. E spie-ga inoltre come d’ora in poi il governo si impegnerà per «im-pedire tutti i metodi per non pagare completamente le tas-se nazionali».

Si tratta di un Segnale chia-ro, e soprattutto inedito, da parte del «falco» socialdemo-cratico, ex sindaco-sceriffo di Amburgo, candidato perdente alla segreteria come leader del-la «destra» Spd. «La pandemia ha dimostrato l’importanza della solidarietà, vediamo di ri-cordarlo. Ricordo bene come dopo la crisi del 2008 chi è sta-to salvato dai soldi dei contri-buenti si è poi comportato co-me fosse il padrone dell’uni-verso» sintetizza Scholz.

Per il vicecancelliere «ora non è proprio il momento di promettere il taglio delle tasse per chi incassa centinaia di mi-gliaia di euro». Soprattutto, perché i miliardi stanziati dal governo Merkel non bastano neppure a coprire il deficit dei primi cento giorni di lockdo-wn. All’orizzonte di Berlino, in-fatti, si profila il rapporto tra debito e pil destinato a rag-

giungere il 75% a fine anno.In ogni caso, la Germania è

pronta a varare tre nuovi pac-chetti finanziari. Il primo desti-nato ad Arte e Cultura che «hanno necessità immediata di sostenere i lavoratori del set-tore», il secondo coprirà i man-cati introiti di alberghi e risto-ranti, il terzo servirà per «aiuta-re le aziende a sviluppare l’eco-nomia neutrale sotto il profilo delle emissioni entro il 2050».

Da qui la difficoltà del gover-no federale di appoggiare, pri-ma fra tutte, la pressante ri-chiesta di «bonus-rottamazio-ne» da parte della industria au-

tomobilistica, ma anche l’im-possibilità di escludere ulterio-ri sforamenti del bilancio or-mai fuori pareggio. «Anche perché se vogliamo mantene-re l’attuale livello di prosperi-tà senza utilizzare i combusti-bili fossili servirà un’incredi-bile spinta verso la moderniz-zazione del Paese» precisa il ministro Spd. Messaggio ine-quivocabile per i partner di go-verno dell’Union, decisi a ri-mettere in discussione i tar-get ambientali concordati all’epoca dei Fridays For Futu-

re pur di far ripartire a razzo il made in Germany.

Tutto nell’attesa che si ri-componga lo scontro frontale fra la Corte di Karlsruhe e la Bce. Ieri nel video-collegamen-to con il Presidium Cdu la can-celliera Angela Merkel ha defi-nito «spinosa» la condizione in-nescata dalla sentenza del tri-bunale costituzionale tedesco. Mostrando, però il solito otti-mismo e indicando la soluzio-ne: «La situazione è riparabile se la Bce spiegherà la sua proce-dura d’acquisto dei bond».

7martedì 12 maggio 2020 lanotizia del giorno

Page 8: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

Roma

II Va bene, dal 18 maggio deci-dete voi. Ma prima e dopo con-trolliamo noi. È la sostanza di quello che hanno detto ieri sera il presidente del Consiglio e i mi-nistri Boccia e Speranza ai presi-denti delle regioni, riuniti in vi-deo conferenza. Annunciato da giorni, è così arrivato il tanto at-teso (dalle regioni) via libera alle aperture differenziate sui territo-ri. Dalla prossima settimana. I «governatori» hanno da tempo fatto capire che sarà una specie di «liberi tutti», perché nessuno vorrà restare indietro. Servizio al banco a ai tavoli per bar, pasticce-rie, ristoranti; parrucchieri ed estetisti; spiagge e impianti spor-tivi all’aperto riprenderanno le attività. Ma dovranno farlo sulla base delle «linee guida» elabora-te dall’Inail e validate dal Comita-to tecnico scientifico che assiste il governo. All’ingrosso sono già note, ma saranno varate ufficial-mente entro venerdì. Prima, da oggi, le regioni dovranno far ave-re al governo una lista dettaglia-ta di tutte le attività che intendo-no riaprire. E che il governo po-trebbe richiudere.CONTE E I MINISTRI hanno tenuto a chiarire ai presidenti di regione, infatti, che il monitoraggio sull’andamento dell’epidemia sa-rà costante. E soprattutto sarà centralizzato: Speranza ha mes-so ha punto un sistema di para-metri che settimanalmente con-sentirà - se ce ne fosse bisogno - di far scattare l’allerta. Non c’è so-lo l’ormai famoso indice di tra-smissione del virus, ma anche la disponibilità di posti in terapia intensiva, la capacità di fare test

rapidi e altro ancora. Nel caso si dovessero segnalare situazioni di ripresa del pericolo, sarebbe il governo a ordinare le chiusure. Differenziate, anche queste, alle regioni.I «GOVERNATORI» che nelle prece-denti riunioni avevano avanzato la richiesta di rientrare nel pieno controllo delle decisioni, in real-tà hanno accettato di buon grado questa soluzione intermedia. Ben felici di potersi presentare da subito come coloro che riapro-no tutto. Ed eventualmente - nel caso sempre possibile di valuta-zioni discutibili o discusse sull’andamento dell’epidemia - trasferire a Roma la responsabili-tà del passo indietro. Nell’incon-tro di ieri, i ministri Boccia e Spe-ranza hanno evidenziato soprat-tutto i rischi di una ripartenza nei bar, nei ristoranti e sulle spiagge. Meno problematiche le riaperture dei cosiddetti «servizi alla persona», cioè parrucchieri, barbieri e centri estetici. «Inizia la fase della responsabilità per le Regioni», ha detto il ministro per gli affari regionali durante il vi-deo collegamento. «È una sorta di anticipazione dell'autono-mia», ha invece festeggiato il pre-sidente leghista del Vento Zaia al termine della riunione.

L’attesa è adesso per le linee guida Inail-Cts, alcune regioni hanno preso l’iniziativa di prepa-rarle in proprio e le hanno tra-smesse all’Inail sperando in una validazione. Ma le regole saran-no nazionali, del tipo di quelle che già si conoscono per i traspor-ti pubblici: protezioni individua-li, igiene, distanziamento. Que-st’ultimo rischia di essere un pa-rametro molto pesante per le pic-

cole attività, visto che nei docu-menti che già circolano si parla di almeno quattro metri tra un ta-volo e l’altro. L’obbligo di ma-scherina sarà valido all’interno del locale ma ovviamente non al tavolo durante il pasto, le stovi-glie dovrebbero essere preferibil-mente monouso. Andare al risto-rante rischia di diventare un’e-sperienza abbastanza scomoda, per la quale sarà consigliata la prenotazione. Obbligatoria inve-ce per i centri estetici e i parruc-chieri. Le linee guida dovrebbero essere conosciute ufficialmente subito dopo i primi dati sull’an-damento della pandemia nella prima settimana della fase 2, da-ti attesi per giovedì.

Intanto, di fronte all’evidente mancanza di mascherine in ven-dita nelle farmacie italiane, tan-to meno al prezzo calmierato di 50 centesimi più Iva promesso dal commissario straordinario Arcuri, ieri si è registrato uno scontro tra Federfarma e lo stes-so Arcuri. Secondo i farmacisti la colpa della mancanza delle ma-scherine è del prezzo calmiera-to, troppo basso, che rende poco appetibile il mercato italiano: i distributori non riuscirebbero più a reperire la merce in Cina. Secondo Arcuri si tratta di «bugie e strumentalizzazioni» perché «chi oggi afferma di non avere mascherine e di aver bisogno del-le forniture del commissario, fi-no a qualche settimana le aveva e le faceva pagare ben di più ai cit-tadini». La colpa sarebbe delle «due società che distribuiscono per Federfarma: avevano dichia-rato il falso sostenendo di avere 12 milioni di mascherine nei ma-gazzini». a. fab.

Sanificazione dei camerini in un negozio del centro di Roma LaPresse

ELFI REITER

Bolzano

II «Aperitivi di gruppo, bato-sta da 400 euro» titola in prima pagina uno dei due quotidiani italiani della provincia, l’Alto Adige, e continua dicendo che due bar sono stati chiusi a Bol-zano, e una trentina di perso-ne multate. I 400 euro in caso di seconda violazione salgono a 800. Un vigile interpellato per strada ci dice che non c’è stato bisogno di sciogliere as-sembramenti, gli agenti han-no fatto formazione per gesto-ri e clienti sulle nuove regole. Ad aprire sono stati soprattut-to i bar piccoli, dietro al banco c’è il gestore che non ha chia-mato dipendenti per timore delle norme sulla sicurezza sul lavoro, la stessa preoccupazio-ne che ha tenuto chiusi molti bar (circa il 40%) e tutti i risto-ranti. Troppo alto il rischio, vi-sta la decisione del governo di impugnare la legge provincia-le sulle riaperture proprio per la sicurezza sul lavoro.

I ristoratori preferiscono l’a-

sporto, e pare che funzioni piuttosto bene per chi lo offre. Siamo andati in un paio di bar, e nel primo abbiamo trovato un rigoroso vetro al banco, co-me agli sportelli della stazio-ne. E separatori mobili in ple-xi-glas sui tavoli, nel senso che si possono togliere se i clienti che si siedono sono «congiun-ti». E ci si fida delle autodichia-razioni, nessuno vuole fare il poliziotto e chiedere i docu-menti. Certo, fa impressione vedere il cameriere versare il vino con guanti e mascherina. E rimane il fatto che per berlo, il vino, ovviamente bisogna to-gliersi la mascherina. Per que-sto i tavoli sono rigorosamen-te distanti due metri, affinché la distanza minima richiesta di un metro tra le persone sia

garantita. Al secondo bar il caf-fè ce l’hanno servito al tavolo, fuori, sul terrazzo, dove i tavo-li sono ordinati a mo’ di scac-chiera, qui senza separatori che servono soltanto nei locali interni. Nessun servizio al ban-co, e appena un cliente si alza, il tavolino viene subito disin-fettato per quello successivo. Che arrivi, si spera.

L’apertura era attesa con an-sia dagli esercenti che spera-no almeno in piccoli guada-gni. A Bolzano hanno aperto soprattutto i piccoli negozi, abbigliamento, scarpe, casa-linghi, mentre non hanno ade-rito alla apertura le grandi ca-tene. Molti negozi però resta-no vuoti. Gel disinfettante all’ingresso, vale la regola di un cliente ogni dieci metri

quadri, nei piccoli quindi en-tra uno per volta, nei più gran-di è meglio se ci sono una por-ta d’entrata e una per l’uscita, altrimenti va fatta attenzione quando ci si incrocia.

I bonus di 600 euro non so-no arrivati né a tanti gestori né ai loro dipendenti. In cambio sono arrivate bollette e F24 dell’Iva da pagare. Non doveva-no essere rinviate? No, ci ri-spondono in un negozio di ab-bigliamento, così come il paga-mento dell’affitto che dipende dai singoli proprietari. C’è chi lo rinvia, altri insistono sul do-vuto mensile che per i locali nelle strade centrali può supe-rare i 20/25mila euro al mese. E anche i promessi prestiti a tasso zero stanno arrivando con il contagocce.

GLI ASSESSORI DI 14 CITTÀ

La cultura nei comunicancellata dal governoADRIANA POLLICE

II In attesa del decreto legge Ri-lancio ci sono anche gli assessori alla Cultura di 14 città italiane. All’inizio del lockdown hanno or-ganizzato un gruppo di lavoro a distanza per avviare un’interlo-cuzione con il ministro di riferi-mento, Dario Franceschini. Sul tavolo la crisi del comparto, con il conseguente impoverimento di tutta la filiera, ma anche il ruo-lo delle amministrazioni comu-nali. Gli assessori delle città inte-ressate (Roma, Milano, Napoli, Bologna, Firenze, Venezia, Ca-gliari, Palermo, Bari, Torino, Ge-nova, Matera, Parma e Ancona) a inizio marzo hanno pubblicato un appello per chiedere al mini-stero lo stato di crisi e la creazio-ne di un fondo per il reddito di ul-tima istanza a favore dei lavora-tori danneggiati.

La quasi totalità dei comuni si è trovata ad affrontare la pande-mia senza la principale leva con cui hanno sostenuto il settore in questi anni di tagli agli enti loca-li: la tassa di soggiorno, infatti, si è totalmente azzerata per effetto

del blocco del turismo. «A Napoli l’anno scorso abbiamo incassato 12 milioni di euro attraverso que-sta misura – spiega l’assessora Eleonora de Majo -. Una parte è stata destinata al mio assessora-to che l’ha impiegata per pro-grammare il Capodanno, rasse-gne come Estate a Napoli e anco-ra per sostenere istituzioni come il Teatro Stabile, l’Istituto Cam-pano per la Storia della Resisten-za, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la Società Napoletana di Storia Patria». A Franceschini gli amministratori avevano chie-sto il ristoro della parte di tassa di soggiorno che veniva destina-ta a cultura e spettacoli. Alle ras-sicurazioni iniziali sono seguiti i silenzi: nell’ultima bozza del dl Rilancio la misura non c’è.

Naturalmente l’impatto non è lo stesso per tutte le città. Ci so-no, ad esempio, centri che non hanno questo tipo di tassa. Mila-no la prevede ma, in assenza, può contare su un tessuto econo-mico solido: il fondo di Mutuo soccorso, aperto dal comune per l’emergenza Covid-19, ha raccol-to 14,5 milioni da privati. Così

Basta bugie, il prezzo

calmierato è nell’interesse

dei cittadini. Fino

a qualche settimana fa

le farmacie le avevano e le

facevano pagare ben di più

Il commissario Arcuri

Dal 18 Regioni libere di aprireMa il governo potrà richiuderePer bar, ristoranti e parrucchieri la ripartenza sarà comune. L’eventuale stop differenziato

Dopo il ricorso del governo fa paurala responsabilità per la sicurezzasui luoghi di lavoro

LA PROVINCIA APRIPISTA

A Bolzano aprono in pochiDipendenti lasciati a casa

Negozi riaperti a Bolzano foto LaPresse

Non c’è traccia dei dodici

milioni di mascherine

promesse dalla Protezione

civile. Nelle farmacie

italiane le chirurgiche sono

irreperibili o quasi

Il segretario di Federfarma

FASE COME VI PARE

8

martedì 12 maggio 2020lanotizia del giorno

GIACOMO ALBERTO VIERI

Prato

II «La scelta di ciascuno, italia-no o cinese che sia, è da rispetta-re: chi non se la sente fa bene a restare chiuso», a parlare è il sindaco di Prato, Matteo Biffo-ni, cavalcando un misurato ma orgoglioso entusiasmo al netto delle stringenti misure di lock-down della prima fase pande-mica. «La nostra città per molti era destinata ad essere il focola-io d’Italia», continua Biffoni, «Invece non è andata così, per molteplici fattori: una comuni-tà cinese da subito attenta, che si è messa in quarantena e ha chiuso ristoranti ed esercizi commerciali preventivamen-te. Una cittadinanza pratese che nella fase uno ha rispettato rigorosamente le regole, con il distanziamento sociale e talu-ne scelte anche dolorose come quella di chiudere le attività produttive. Un’organizzazione precisa dell’ospedale e del siste-ma sanitario, in una città dove forse più che altrove l’attenzio-ne è sempre stata altissima. Le imprese del settore tessile han-no riaperto dopo aver firmato un patto tra parti sociali per ri-partire mettendo in campo tut-ti i possibili accorgimenti a tu-tela dei lavoratori. Adesso è fondamentale non far salire la curva dei contagi, lavorare alle riaperture del commercio e dell’artigianato così come alla necessità di dare risposte a fa-miglie e bambini».

Camminando lungo Via Pi-stoiese, headquarter della co-munità cinese locale, l’atten-zione di cui parla il primo citta-dino Biffoni si percepisce niti-damente: un quartiere in stand-by, col volto semi-coper-to dai dispositivi sanitari, qual-che bicicletta che lo attraversa frettolosamente, un ermetico silenzio ammanta le serrande abbassate degli esercizi com-merciali.

La consueta operosità cine-se, quell’affaccendarsi instanca-bile che ha segnato intensa-mente l’ultimo trentennio del-la vita industriale locale, sem-

bra acquattarsi, ora, dietro una cauta postazione di guardia, ca-librando con discernimento ac-corgimenti e rischi da correre.

Come afferma Marco Wong, consigliere comunale italo-ci-nese: «Va detto che le misure di prolungamento della chiusura non sono una decisione condi-visa da tutti, c’è chi ha scelto di riaprire comunque, nonostan-te la perdurante preoccupazio-ne delle condizioni sanitarie. La paura maggiore è che la cur-va dei contagi possa riprende-re a salire all’allentarsi delle misure di distanziamento so-ciale e la considerazione che al momento non vi sono ordinati-vi tali da giustificare gli even-tuali rischi sanitari».

Ma il modello cinese a Prato, quel mix di collettività e buon senso che ha permesso il re-cord degli zero casi positivi, si era manifestato già da prima

dei decreti governativi di Mar-zo: «La maggior parte dei cine-si, tramite notizie e passaparo-la, aveva una forte consapevo-lezza di quello che stava succe-dendo nel paese di origine, per-ciò si è raccomandato a tutte le persone di ritorno di mettersi in auto-isolamento per almeno due settimane. Tale precauzio-ne veniva condivisa anche nel-le chat o tramite avvisi nei luo-ghi pubblici. In modo rudimen-tale e su base volontaria si è fat-ta circolare una lista delle per-sone appena rientrate dove si

inserivano i propri dati: nome, cognome, numero di telefono, estremi di rientro e luoghi visi-tati, in modo che si potesse ef-fettuare un tracciamento degli eventuali contagiati. Con un an-ticipo di due o tre settimane ri-spetto ai vari Dpcm, moltissimi genitori hanno preferito tene-re i propri figli a casa esentan-doli dall’andare a scuola. Inol-tre, cosa non da poco, nella co-munità cinese c’è già da molto tempo, e con una diffusione maggiore rispetto all’Italia, l’a-bitudine di fare uso di masche-rine o pulirsi le mani con gel di-sinfettante quando si entra in luoghi pubblici e aziende».

Un messaggio fortissimo, dunque, quello della comuni-tà cinese, anello di congiunzio-ne ormai imprescindibile del-la filiera tessile pratese: consi-derando saltate le collezioni primaverili ed estive, e nono-stante le ingenti perdite econo-miche derivate dall’assenza sul mercato per un tempo così prolungato, nell’occhio del ci-clone, adesso, resta la tutela della salute di migliaia di lavo-ratori. Buona parte della comu-nità locale, va ricordato inol-tre, è arrivata a Prato sul finire degli anni ’80 e ’90: si tratta di persone che rientrano nella fa-scia d’età per cui in Cina po-trebbero godere della pensio-ne, non è escluso che in molti stiano pensando di chiudere permanentemente le proprie attività dando avvio ad un feno-meno massiccio di rientro nel paese d’origine.

Scenari delicati, ancora ipo-tetici, dipingono l’orizzonte della città laniera che, stando ai dati, si è contraddistinta, in un momento di enorme vulne-rabilità sociale condiviso, co-me prototipo di buona pratica ed efficiente gestione.

CHIESTE MODIFICHE AL PROTOCOLLO SANITARIO: IN CASO DI POSITIVITÀ QUARANTENA DI SQUADRA

Serie A, «via libera» dal 18 agli allenamenti collettivi

Spadafora: serve un’altra settimanaRitiri no-stop, tutta la responsabilità al medico sociale

NICOLA SELLITTI

II Il calcio italiano riparte dagli allenamenti collettivi. O almeno, dovrebbe. Dal 18 maggio è previ-sto il ritorno in campo a ranghi completi per i club di Serie A, dopo oltre due mesi di stop per la furia del Covid-19. Dopo alcuni giorni di training individuale degli atleti, ora in campo tutti assieme. Ma ar-riva ancora il messaggio di estre-ma prudenza, come si evince nella dichiarazioni congiunte del mini-stro dello sport, Vincenzo Spadafo-ra, il “nemico” delle ultime setti-mane dei club, della Figc per il ri-torno del pallone (che ieri sera ha precisato: «Per sapere se il campio-nato di calcio potrà riprendere bi-sognerà aspettare almeno un’altra settimana per vedere come proce-de la curva dei contagi e poi poter decidere»), e il ministro della salu-te, Roberto Speranza. È stata quin-di, se non convincente, almeno po-sitiva la relazione al governo del Comitato Tecnico-Scientifico, in-caricato dall’esecutivo, sul proto-collo di sicurezza per gli allena-menti collettivi predisposto dalla commissione medica della feder-calcio. Un punto di partenza, ma ci

sono delle indicazioni, da parte del Cts, ritenute stringenti e vinco-lanti, come hanno espresso en-trambi i ministri, che ora saranno trasmesse alla federcalcio per l’a-deguamento del protocollo sanita-rio. Non mancano i punti critici, anzi restano sempre gli stessi: in caso di positività (decine di casi ne-gli ultimi giorni in Italia) la quaran-tena di 14 giorni sarà per tutta la squadra, diversamente dal model-lo tedesco che prevede l’isolamen-to di una sola settimana dell’atle-ta affetto dal Covid-19. Alto il ri-schio dunque di non riuscire a completare il calendario di Serie A, che conta altre 13 giornate, con chiusura obbligata, sancita dall’Uefa, il 2 agosto. Senza conta-re l’umore di club come la Spal che ha già preannunciato batta-glie legali, in caso di retrocessio-ne a tavolino (al momento sareb-

be tra le tre retrocesse), se il tor-neo non dovesse ripartire. In più si va verso un ritiro continuo fino a fine campionato («una bolla ste-rile in isolamento, come una gran-de famiglia», l’ha definita la sotto-segretaria alla Salute Sandra Zam-pa) mentre tutta la responsabilità del protocollo sarà demandata al medico sociale della squadra.

Dunque, si è all’ultimo snodo per i presidenti dei club e per la fe-dercalcio per ripartire, salvaguar-dando, almeno in parte, il tesoret-to economico in arrivo dalle tv a pagamento, necessario per ripia-nare il bilancio di tanti club della massima serie e non solo. Anche se le tifoserie organizzate da setti-mane mostrano mediaticamente il loro disappunto per il ritorno del-la serie A, mentre il paese conta an-cora centinaia di vittime quotidia-ne. In sostanza, la mossa di Spada-fora e Speranza è un moderato pas-so in avanti dopo allenamenti indi-viduali dei calciatori, tra termo-scanner e mascherine, all’entrata e uscita dai centri di allenamento. Ma anche un compromesso, in at-tesa dei primi dati sui contagi sulla fase 2. Certo, la decisione dei due ministri del governo sulla riparten-

za degli allenamenti collettivi, che dovrebbe portare al via dei campio-nati, segue anche il clima di aper-tura in Europa degli ultimi giorni. Tra quattro giorni riparte in Ger-mania la Bundesliga, con le squa-dre che si sono piazzate in isola-mento obbligatorio per una setti-mana, dopo essersi sottoposti al te-st per il Covid-19 e con l’obbligo di seguire le disposizioni di un rigido protocollo, per esempio rassettan-do da soli i letti d’albergo, senza en-trare in contatto con il personale della struttura. Soprattutto, ieri è

stata la giornata del restart della Premier League. Il torneo inglese, il più ricco del mondo, fermatosi a metà marzo, ripartirà intorno alla metà di giugno, rigorosamente a porte chiuse, con il rompete le ri-ghe deciso dal premier Boris John-son e dal governo di Sua Maestà al-lo sport professionistico dal 1° giu-gno. Certo, anche in questo caso il calendario compresso, con nove partite per club in poche settima-ne. Sebbene i casi di positività non manchino anche nella stessa Pre-mier, l’ultimo al Brighton.

l’amministrazione ha deciso di girare 2 milioni «alle piccole im-prese del settore culturale, parti-colarmente colpite dall’inattivi-tà derivante dal periodo di bloc-co». A Napoli i privati, fino alla scorsa settimana, avevano versa-to nel fondo di solidarietà del co-mune circa 90mila euro, total-mente impegnati nell’acquisto di pacchi alimentari.

«Ci è giunta voce che, tra le mi-sure destinate ai comuni all’in-terno del nuovo decreto, non sia previsto alcun ristoro della tassa di soggiorno - commenta de Ma-jo -. Se fosse vero, il nostro ruolo verrebbe esautorato definitiva-mente a favore di un ulteriore ac-centramento di capacità finan-ziare e decisorie nelle mani delle regioni e del governo». I due enti mettono in campo grandi finan-ziamenti che, spesso, tagliano fuori realtà come i teatri di peri-ferie, le associazioni e i gruppi giovani. «I comuni sono in grado di intervenire in modo più capil-lare e anche più rapido - conclu-de de Majo -. La tassa di soggior-no, che gestivamo in autonomia, ci permetteva di raggiungere an-che chi non ha accesso ai fondi europei o ai bandi ministeriali e regionali. La sua interruzione non è solo una vacatio che agisce nell’immediato ma avrà conse-guenze per la vita culturale degli enti locali».

Negozi chiusi a Prato foto di Gianmarco Rescigno

IL DISTRETTO INDUSTRIALE TOSCANO

A Prato ripartono i telaiLa comunità cinese aspetta

Molti hanno deciso di prolungare la chiusura. Marco Wong: «Si teme che la curva risalga»

A fine settimana i primi dati sull’epidemia in fase 2E le linee guida dell’Inail: quattro metri tra i tavolini

Il sindaco Biffoni: «Per molti eravamo destinatia diventare il focolaio d’Italia. Non è andata così»

9martedì 12 maggio 2020 lanotizia del giorno

Page 9: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

Roma

II Va bene, dal 18 maggio deci-dete voi. Ma prima e dopo con-trolliamo noi. È la sostanza di quello che hanno detto ieri sera il presidente del Consiglio e i mi-nistri Boccia e Speranza ai presi-denti delle regioni, riuniti in vi-deo conferenza. Annunciato da giorni, è così arrivato il tanto at-teso (dalle regioni) via libera alle aperture differenziate sui territo-ri. Dalla prossima settimana. I «governatori» hanno da tempo fatto capire che sarà una specie di «liberi tutti», perché nessuno vorrà restare indietro. Servizio al banco a ai tavoli per bar, pasticce-rie, ristoranti; parrucchieri ed estetisti; spiagge e impianti spor-tivi all’aperto riprenderanno le attività. Ma dovranno farlo sulla base delle «linee guida» elabora-te dall’Inail e validate dal Comita-to tecnico scientifico che assiste il governo. All’ingrosso sono già note, ma saranno varate ufficial-mente entro venerdì. Prima, da oggi, le regioni dovranno far ave-re al governo una lista dettaglia-ta di tutte le attività che intendo-no riaprire. E che il governo po-trebbe richiudere.CONTE E I MINISTRI hanno tenuto a chiarire ai presidenti di regione, infatti, che il monitoraggio sull’andamento dell’epidemia sa-rà costante. E soprattutto sarà centralizzato: Speranza ha mes-so ha punto un sistema di para-metri che settimanalmente con-sentirà - se ce ne fosse bisogno - di far scattare l’allerta. Non c’è so-lo l’ormai famoso indice di tra-smissione del virus, ma anche la disponibilità di posti in terapia intensiva, la capacità di fare test

rapidi e altro ancora. Nel caso si dovessero segnalare situazioni di ripresa del pericolo, sarebbe il governo a ordinare le chiusure. Differenziate, anche queste, alle regioni.I «GOVERNATORI» che nelle prece-denti riunioni avevano avanzato la richiesta di rientrare nel pieno controllo delle decisioni, in real-tà hanno accettato di buon grado questa soluzione intermedia. Ben felici di potersi presentare da subito come coloro che riapro-no tutto. Ed eventualmente - nel caso sempre possibile di valuta-zioni discutibili o discusse sull’andamento dell’epidemia - trasferire a Roma la responsabili-tà del passo indietro. Nell’incon-tro di ieri, i ministri Boccia e Spe-ranza hanno evidenziato soprat-tutto i rischi di una ripartenza nei bar, nei ristoranti e sulle spiagge. Meno problematiche le riaperture dei cosiddetti «servizi alla persona», cioè parrucchieri, barbieri e centri estetici. «Inizia la fase della responsabilità per le Regioni», ha detto il ministro per gli affari regionali durante il vi-deo collegamento. «È una sorta di anticipazione dell'autono-mia», ha invece festeggiato il pre-sidente leghista del Vento Zaia al termine della riunione.

L’attesa è adesso per le linee guida Inail-Cts, alcune regioni hanno preso l’iniziativa di prepa-rarle in proprio e le hanno tra-smesse all’Inail sperando in una validazione. Ma le regole saran-no nazionali, del tipo di quelle che già si conoscono per i traspor-ti pubblici: protezioni individua-li, igiene, distanziamento. Que-st’ultimo rischia di essere un pa-rametro molto pesante per le pic-

cole attività, visto che nei docu-menti che già circolano si parla di almeno quattro metri tra un ta-volo e l’altro. L’obbligo di ma-scherina sarà valido all’interno del locale ma ovviamente non al tavolo durante il pasto, le stovi-glie dovrebbero essere preferibil-mente monouso. Andare al risto-rante rischia di diventare un’e-sperienza abbastanza scomoda, per la quale sarà consigliata la prenotazione. Obbligatoria inve-ce per i centri estetici e i parruc-chieri. Le linee guida dovrebbero essere conosciute ufficialmente subito dopo i primi dati sull’an-damento della pandemia nella prima settimana della fase 2, da-ti attesi per giovedì.

Intanto, di fronte all’evidente mancanza di mascherine in ven-dita nelle farmacie italiane, tan-to meno al prezzo calmierato di 50 centesimi più Iva promesso dal commissario straordinario Arcuri, ieri si è registrato uno scontro tra Federfarma e lo stes-so Arcuri. Secondo i farmacisti la colpa della mancanza delle ma-scherine è del prezzo calmiera-to, troppo basso, che rende poco appetibile il mercato italiano: i distributori non riuscirebbero più a reperire la merce in Cina. Secondo Arcuri si tratta di «bugie e strumentalizzazioni» perché «chi oggi afferma di non avere mascherine e di aver bisogno del-le forniture del commissario, fi-no a qualche settimana le aveva e le faceva pagare ben di più ai cit-tadini». La colpa sarebbe delle «due società che distribuiscono per Federfarma: avevano dichia-rato il falso sostenendo di avere 12 milioni di mascherine nei ma-gazzini». a. fab.

Sanificazione dei camerini in un negozio del centro di Roma LaPresse

ELFI REITER

Bolzano

II «Aperitivi di gruppo, bato-sta da 400 euro» titola in prima pagina uno dei due quotidiani italiani della provincia, l’Alto Adige, e continua dicendo che due bar sono stati chiusi a Bol-zano, e una trentina di perso-ne multate. I 400 euro in caso di seconda violazione salgono a 800. Un vigile interpellato per strada ci dice che non c’è stato bisogno di sciogliere as-sembramenti, gli agenti han-no fatto formazione per gesto-ri e clienti sulle nuove regole. Ad aprire sono stati soprattut-to i bar piccoli, dietro al banco c’è il gestore che non ha chia-mato dipendenti per timore delle norme sulla sicurezza sul lavoro, la stessa preoccupazio-ne che ha tenuto chiusi molti bar (circa il 40%) e tutti i risto-ranti. Troppo alto il rischio, vi-sta la decisione del governo di impugnare la legge provincia-le sulle riaperture proprio per la sicurezza sul lavoro.

I ristoratori preferiscono l’a-

sporto, e pare che funzioni piuttosto bene per chi lo offre. Siamo andati in un paio di bar, e nel primo abbiamo trovato un rigoroso vetro al banco, co-me agli sportelli della stazio-ne. E separatori mobili in ple-xi-glas sui tavoli, nel senso che si possono togliere se i clienti che si siedono sono «congiun-ti». E ci si fida delle autodichia-razioni, nessuno vuole fare il poliziotto e chiedere i docu-menti. Certo, fa impressione vedere il cameriere versare il vino con guanti e mascherina. E rimane il fatto che per berlo, il vino, ovviamente bisogna to-gliersi la mascherina. Per que-sto i tavoli sono rigorosamen-te distanti due metri, affinché la distanza minima richiesta di un metro tra le persone sia

garantita. Al secondo bar il caf-fè ce l’hanno servito al tavolo, fuori, sul terrazzo, dove i tavo-li sono ordinati a mo’ di scac-chiera, qui senza separatori che servono soltanto nei locali interni. Nessun servizio al ban-co, e appena un cliente si alza, il tavolino viene subito disin-fettato per quello successivo. Che arrivi, si spera.

L’apertura era attesa con an-sia dagli esercenti che spera-no almeno in piccoli guada-gni. A Bolzano hanno aperto soprattutto i piccoli negozi, abbigliamento, scarpe, casa-linghi, mentre non hanno ade-rito alla apertura le grandi ca-tene. Molti negozi però resta-no vuoti. Gel disinfettante all’ingresso, vale la regola di un cliente ogni dieci metri

quadri, nei piccoli quindi en-tra uno per volta, nei più gran-di è meglio se ci sono una por-ta d’entrata e una per l’uscita, altrimenti va fatta attenzione quando ci si incrocia.

I bonus di 600 euro non so-no arrivati né a tanti gestori né ai loro dipendenti. In cambio sono arrivate bollette e F24 dell’Iva da pagare. Non doveva-no essere rinviate? No, ci ri-spondono in un negozio di ab-bigliamento, così come il paga-mento dell’affitto che dipende dai singoli proprietari. C’è chi lo rinvia, altri insistono sul do-vuto mensile che per i locali nelle strade centrali può supe-rare i 20/25mila euro al mese. E anche i promessi prestiti a tasso zero stanno arrivando con il contagocce.

GLI ASSESSORI DI 14 CITTÀ

La cultura nei comunicancellata dal governoADRIANA POLLICE

II In attesa del decreto legge Ri-lancio ci sono anche gli assessori alla Cultura di 14 città italiane. All’inizio del lockdown hanno or-ganizzato un gruppo di lavoro a distanza per avviare un’interlo-cuzione con il ministro di riferi-mento, Dario Franceschini. Sul tavolo la crisi del comparto, con il conseguente impoverimento di tutta la filiera, ma anche il ruo-lo delle amministrazioni comu-nali. Gli assessori delle città inte-ressate (Roma, Milano, Napoli, Bologna, Firenze, Venezia, Ca-gliari, Palermo, Bari, Torino, Ge-nova, Matera, Parma e Ancona) a inizio marzo hanno pubblicato un appello per chiedere al mini-stero lo stato di crisi e la creazio-ne di un fondo per il reddito di ul-tima istanza a favore dei lavora-tori danneggiati.

La quasi totalità dei comuni si è trovata ad affrontare la pande-mia senza la principale leva con cui hanno sostenuto il settore in questi anni di tagli agli enti loca-li: la tassa di soggiorno, infatti, si è totalmente azzerata per effetto

del blocco del turismo. «A Napoli l’anno scorso abbiamo incassato 12 milioni di euro attraverso que-sta misura – spiega l’assessora Eleonora de Majo -. Una parte è stata destinata al mio assessora-to che l’ha impiegata per pro-grammare il Capodanno, rasse-gne come Estate a Napoli e anco-ra per sostenere istituzioni come il Teatro Stabile, l’Istituto Cam-pano per la Storia della Resisten-za, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la Società Napoletana di Storia Patria». A Franceschini gli amministratori avevano chie-sto il ristoro della parte di tassa di soggiorno che veniva destina-ta a cultura e spettacoli. Alle ras-sicurazioni iniziali sono seguiti i silenzi: nell’ultima bozza del dl Rilancio la misura non c’è.

Naturalmente l’impatto non è lo stesso per tutte le città. Ci so-no, ad esempio, centri che non hanno questo tipo di tassa. Mila-no la prevede ma, in assenza, può contare su un tessuto econo-mico solido: il fondo di Mutuo soccorso, aperto dal comune per l’emergenza Covid-19, ha raccol-to 14,5 milioni da privati. Così

Basta bugie, il prezzo

calmierato è nell’interesse

dei cittadini. Fino

a qualche settimana fa

le farmacie le avevano e le

facevano pagare ben di più

Il commissario Arcuri

Dal 18 Regioni libere di aprireMa il governo potrà richiuderePer bar, ristoranti e parrucchieri la ripartenza sarà comune. L’eventuale stop differenziato

Dopo il ricorso del governo fa paurala responsabilità per la sicurezzasui luoghi di lavoro

LA PROVINCIA APRIPISTA

A Bolzano aprono in pochiDipendenti lasciati a casa

Negozi riaperti a Bolzano foto LaPresse

Non c’è traccia dei dodici

milioni di mascherine

promesse dalla Protezione

civile. Nelle farmacie

italiane le chirurgiche sono

irreperibili o quasi

Il segretario di Federfarma

FASE COME VI PARE

8

martedì 12 maggio 2020lanotizia del giorno

GIACOMO ALBERTO VIERI

Prato

II «La scelta di ciascuno, italia-no o cinese che sia, è da rispetta-re: chi non se la sente fa bene a restare chiuso», a parlare è il sindaco di Prato, Matteo Biffo-ni, cavalcando un misurato ma orgoglioso entusiasmo al netto delle stringenti misure di lock-down della prima fase pande-mica. «La nostra città per molti era destinata ad essere il focola-io d’Italia», continua Biffoni, «Invece non è andata così, per molteplici fattori: una comuni-tà cinese da subito attenta, che si è messa in quarantena e ha chiuso ristoranti ed esercizi commerciali preventivamen-te. Una cittadinanza pratese che nella fase uno ha rispettato rigorosamente le regole, con il distanziamento sociale e talu-ne scelte anche dolorose come quella di chiudere le attività produttive. Un’organizzazione precisa dell’ospedale e del siste-ma sanitario, in una città dove forse più che altrove l’attenzio-ne è sempre stata altissima. Le imprese del settore tessile han-no riaperto dopo aver firmato un patto tra parti sociali per ri-partire mettendo in campo tut-ti i possibili accorgimenti a tu-tela dei lavoratori. Adesso è fondamentale non far salire la curva dei contagi, lavorare alle riaperture del commercio e dell’artigianato così come alla necessità di dare risposte a fa-miglie e bambini».

Camminando lungo Via Pi-stoiese, headquarter della co-munità cinese locale, l’atten-zione di cui parla il primo citta-dino Biffoni si percepisce niti-damente: un quartiere in stand-by, col volto semi-coper-to dai dispositivi sanitari, qual-che bicicletta che lo attraversa frettolosamente, un ermetico silenzio ammanta le serrande abbassate degli esercizi com-merciali.

La consueta operosità cine-se, quell’affaccendarsi instanca-bile che ha segnato intensa-mente l’ultimo trentennio del-la vita industriale locale, sem-

bra acquattarsi, ora, dietro una cauta postazione di guardia, ca-librando con discernimento ac-corgimenti e rischi da correre.

Come afferma Marco Wong, consigliere comunale italo-ci-nese: «Va detto che le misure di prolungamento della chiusura non sono una decisione condi-visa da tutti, c’è chi ha scelto di riaprire comunque, nonostan-te la perdurante preoccupazio-ne delle condizioni sanitarie. La paura maggiore è che la cur-va dei contagi possa riprende-re a salire all’allentarsi delle misure di distanziamento so-ciale e la considerazione che al momento non vi sono ordinati-vi tali da giustificare gli even-tuali rischi sanitari».

Ma il modello cinese a Prato, quel mix di collettività e buon senso che ha permesso il re-cord degli zero casi positivi, si era manifestato già da prima

dei decreti governativi di Mar-zo: «La maggior parte dei cine-si, tramite notizie e passaparo-la, aveva una forte consapevo-lezza di quello che stava succe-dendo nel paese di origine, per-ciò si è raccomandato a tutte le persone di ritorno di mettersi in auto-isolamento per almeno due settimane. Tale precauzio-ne veniva condivisa anche nel-le chat o tramite avvisi nei luo-ghi pubblici. In modo rudimen-tale e su base volontaria si è fat-ta circolare una lista delle per-sone appena rientrate dove si

inserivano i propri dati: nome, cognome, numero di telefono, estremi di rientro e luoghi visi-tati, in modo che si potesse ef-fettuare un tracciamento degli eventuali contagiati. Con un an-ticipo di due o tre settimane ri-spetto ai vari Dpcm, moltissimi genitori hanno preferito tene-re i propri figli a casa esentan-doli dall’andare a scuola. Inol-tre, cosa non da poco, nella co-munità cinese c’è già da molto tempo, e con una diffusione maggiore rispetto all’Italia, l’a-bitudine di fare uso di masche-rine o pulirsi le mani con gel di-sinfettante quando si entra in luoghi pubblici e aziende».

Un messaggio fortissimo, dunque, quello della comuni-tà cinese, anello di congiunzio-ne ormai imprescindibile del-la filiera tessile pratese: consi-derando saltate le collezioni primaverili ed estive, e nono-stante le ingenti perdite econo-miche derivate dall’assenza sul mercato per un tempo così prolungato, nell’occhio del ci-clone, adesso, resta la tutela della salute di migliaia di lavo-ratori. Buona parte della comu-nità locale, va ricordato inol-tre, è arrivata a Prato sul finire degli anni ’80 e ’90: si tratta di persone che rientrano nella fa-scia d’età per cui in Cina po-trebbero godere della pensio-ne, non è escluso che in molti stiano pensando di chiudere permanentemente le proprie attività dando avvio ad un feno-meno massiccio di rientro nel paese d’origine.

Scenari delicati, ancora ipo-tetici, dipingono l’orizzonte della città laniera che, stando ai dati, si è contraddistinta, in un momento di enorme vulne-rabilità sociale condiviso, co-me prototipo di buona pratica ed efficiente gestione.

CHIESTE MODIFICHE AL PROTOCOLLO SANITARIO: IN CASO DI POSITIVITÀ QUARANTENA DI SQUADRA

Serie A, «via libera» dal 18 agli allenamenti collettivi

Spadafora: serve un’altra settimanaRitiri no-stop, tutta la responsabilità al medico sociale

NICOLA SELLITTI

II Il calcio italiano riparte dagli allenamenti collettivi. O almeno, dovrebbe. Dal 18 maggio è previ-sto il ritorno in campo a ranghi completi per i club di Serie A, dopo oltre due mesi di stop per la furia del Covid-19. Dopo alcuni giorni di training individuale degli atleti, ora in campo tutti assieme. Ma ar-riva ancora il messaggio di estre-ma prudenza, come si evince nella dichiarazioni congiunte del mini-stro dello sport, Vincenzo Spadafo-ra, il “nemico” delle ultime setti-mane dei club, della Figc per il ri-torno del pallone (che ieri sera ha precisato: «Per sapere se il campio-nato di calcio potrà riprendere bi-sognerà aspettare almeno un’altra settimana per vedere come proce-de la curva dei contagi e poi poter decidere»), e il ministro della salu-te, Roberto Speranza. È stata quin-di, se non convincente, almeno po-sitiva la relazione al governo del Comitato Tecnico-Scientifico, in-caricato dall’esecutivo, sul proto-collo di sicurezza per gli allena-menti collettivi predisposto dalla commissione medica della feder-calcio. Un punto di partenza, ma ci

sono delle indicazioni, da parte del Cts, ritenute stringenti e vinco-lanti, come hanno espresso en-trambi i ministri, che ora saranno trasmesse alla federcalcio per l’a-deguamento del protocollo sanita-rio. Non mancano i punti critici, anzi restano sempre gli stessi: in caso di positività (decine di casi ne-gli ultimi giorni in Italia) la quaran-tena di 14 giorni sarà per tutta la squadra, diversamente dal model-lo tedesco che prevede l’isolamen-to di una sola settimana dell’atle-ta affetto dal Covid-19. Alto il ri-schio dunque di non riuscire a completare il calendario di Serie A, che conta altre 13 giornate, con chiusura obbligata, sancita dall’Uefa, il 2 agosto. Senza conta-re l’umore di club come la Spal che ha già preannunciato batta-glie legali, in caso di retrocessio-ne a tavolino (al momento sareb-

be tra le tre retrocesse), se il tor-neo non dovesse ripartire. In più si va verso un ritiro continuo fino a fine campionato («una bolla ste-rile in isolamento, come una gran-de famiglia», l’ha definita la sotto-segretaria alla Salute Sandra Zam-pa) mentre tutta la responsabilità del protocollo sarà demandata al medico sociale della squadra.

Dunque, si è all’ultimo snodo per i presidenti dei club e per la fe-dercalcio per ripartire, salvaguar-dando, almeno in parte, il tesoret-to economico in arrivo dalle tv a pagamento, necessario per ripia-nare il bilancio di tanti club della massima serie e non solo. Anche se le tifoserie organizzate da setti-mane mostrano mediaticamente il loro disappunto per il ritorno del-la serie A, mentre il paese conta an-cora centinaia di vittime quotidia-ne. In sostanza, la mossa di Spada-fora e Speranza è un moderato pas-so in avanti dopo allenamenti indi-viduali dei calciatori, tra termo-scanner e mascherine, all’entrata e uscita dai centri di allenamento. Ma anche un compromesso, in at-tesa dei primi dati sui contagi sulla fase 2. Certo, la decisione dei due ministri del governo sulla riparten-

za degli allenamenti collettivi, che dovrebbe portare al via dei campio-nati, segue anche il clima di aper-tura in Europa degli ultimi giorni. Tra quattro giorni riparte in Ger-mania la Bundesliga, con le squa-dre che si sono piazzate in isola-mento obbligatorio per una setti-mana, dopo essersi sottoposti al te-st per il Covid-19 e con l’obbligo di seguire le disposizioni di un rigido protocollo, per esempio rassettan-do da soli i letti d’albergo, senza en-trare in contatto con il personale della struttura. Soprattutto, ieri è

stata la giornata del restart della Premier League. Il torneo inglese, il più ricco del mondo, fermatosi a metà marzo, ripartirà intorno alla metà di giugno, rigorosamente a porte chiuse, con il rompete le ri-ghe deciso dal premier Boris John-son e dal governo di Sua Maestà al-lo sport professionistico dal 1° giu-gno. Certo, anche in questo caso il calendario compresso, con nove partite per club in poche settima-ne. Sebbene i casi di positività non manchino anche nella stessa Pre-mier, l’ultimo al Brighton.

l’amministrazione ha deciso di girare 2 milioni «alle piccole im-prese del settore culturale, parti-colarmente colpite dall’inattivi-tà derivante dal periodo di bloc-co». A Napoli i privati, fino alla scorsa settimana, avevano versa-to nel fondo di solidarietà del co-mune circa 90mila euro, total-mente impegnati nell’acquisto di pacchi alimentari.

«Ci è giunta voce che, tra le mi-sure destinate ai comuni all’in-terno del nuovo decreto, non sia previsto alcun ristoro della tassa di soggiorno - commenta de Ma-jo -. Se fosse vero, il nostro ruolo verrebbe esautorato definitiva-mente a favore di un ulteriore ac-centramento di capacità finan-ziare e decisorie nelle mani delle regioni e del governo». I due enti mettono in campo grandi finan-ziamenti che, spesso, tagliano fuori realtà come i teatri di peri-ferie, le associazioni e i gruppi giovani. «I comuni sono in grado di intervenire in modo più capil-lare e anche più rapido - conclu-de de Majo -. La tassa di soggior-no, che gestivamo in autonomia, ci permetteva di raggiungere an-che chi non ha accesso ai fondi europei o ai bandi ministeriali e regionali. La sua interruzione non è solo una vacatio che agisce nell’immediato ma avrà conse-guenze per la vita culturale degli enti locali».

Negozi chiusi a Prato foto di Gianmarco Rescigno

IL DISTRETTO INDUSTRIALE TOSCANO

A Prato ripartono i telaiLa comunità cinese aspetta

Molti hanno deciso di prolungare la chiusura. Marco Wong: «Si teme che la curva risalga»

A fine settimana i primi dati sull’epidemia in fase 2E le linee guida dell’Inail: quattro metri tra i tavolini

Il sindaco Biffoni: «Per molti eravamo destinatia diventare il focolaio d’Italia. Non è andata così»

9martedì 12 maggio 2020 lanotizia del giorno

Page 10: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

ANDREA CAPOCCI

II L’emergenza del Covid-19 potrebbe aver relegato nell’om-bra un’altra crisi sanitaria, for-se altrettanto drammatica: quel-la dei pazienti che, durante la pandemia, non hanno ricevuto cure adeguate e spesso ci hanno rimesso la vita. Adesso che l’on-data del coronavirus si ritira, dalla risacca emergono i dati di questa strage nascosta. In uno studio di prossima pubblicazio-ne, la società italiana di cardio-logia ha esaminato la mortalità

legata all’infarto durante l’e-mergenza Covid-19 in 54 ospe-dali distribuiti su tutto il territo-rio italiano, a confronto con lo stesso periodo del 2019. Lo stu-dio sarà pubblicato a breve sul-lo «European Heart Journal». Ma per i lettori de il manifesto lo riassume Ciro Indolfi, docente universitario a Catanzaro, presi-dente della Società Italiana di Cardiologia e coordinatore del-lo studio. I RICERCATORI HANNO esaminato la settimana 12-19 marzo, quel-la in cui si è verificato il picco

massimo dei contagi in Italia. «Il numero di accessi agli ospe-dali per infarti nel periodo pre-so in considerazione si è dimez-zato tra il 2019 e il 2020», spiega Indolfi confermando statisti-che analoghe rilevate negli ospedali del nord. «La mortalità osservata nei pazienti giunti in ospedale invece è più che tripli-cata, passando dal 2,8% al 9,7%». I due dati non sono in contraddi-zione, ma suggeriscono una spiegazione: molte persone con infarto in corso non si sono reca-te in ospedale e quelle che lo

hanno fatto ci sono arrivate in ritardo, e quindi in condizioni più gravi. «Lo abbiamo verifica-to anche sulla base del tempo che trascorre tra l’inizio dei sin-tomi e l’intervento in angiopla-stica, che è aumentato di oltre il 30%» continua Indolfi. Il risulta-to è che in termini assoluti nel periodo preso in considerazio-ne i morti di infarto negli ospe-dali sono quasi raddoppiati, an-che se i pazienti da curare sono stati di meno. «LA PRIMA CAUSA del ritardo», sot-tolinea il medico, «è che molte persone hanno avuto paura di andare in ospedale per paura di contrarre il Covid-19. C’è un da-to interessante: abbiamo osser-vato lo stesso calo sia negli ospe-dali del nord, effettivamente oberati per il Covid-19, che in quelli del sud dove i posti liberi in ospedale c’erano». Alla diffi-denza dei pazienti si è sommata la scarsa tenuta della sanità. «Nel periodo dell’emergenza tutto il servizio sanitario è stato spostato sul Covid-19 e le risor-se per le altre patologie sono sta-te ridotte. Il mio reparto di car-diologia, ad esempio, è stato de-dicato al Covid-19. Le autoam-bulanze sono occupate, il medi-co di base non si trova, gli ambu-latori dei cardiologi sono chiu-si. Si è perso il contatto con il medico, che spesso è quello che consiglia di chiamare il 118 e an-dare in ospedale». IL PROBLEMA NON SI esaurisce con la fine dell’emergenza. Nel-la fase due, il governo ha pro-messo di rafforzare la sorve-glianza anti-Covid-19 per evita-re nuovi picchi epidemici come quello registrato a marzo, ma la coperta è corta: se si spostano ri-sorse nella pur giusta lotta alla pandemia, rischiano di rimane-re scoperti altri servizi sanitari, e le malattie diverse dal Co-vid-19 non stanno ad aspettare. C’è il pericolo che il sistema sa-nitario non sia più in grado di fornire un servizio all’altezza? «Serve un’iniziativa da parte della politica per rafforzare tut-to il servizio sanitario. Bisogna ripristinare i servizi di emergen-za. Riaprire gli ambulatori di cardiologia», dice Indolfi. «Da questa tragedia la politica deve trarre un insegnamento. Negli ultimi dieci anni la sanità è sta-ta abbandonata a se stessa. Me-dici e infermieri sono pagati po-

co, non si assumono nuovi me-dici e mancano i posti nelle scuole di specializzazione dove si formano». Oltre a essere po-che, le risorse vanno anche spre-cate. «Un mucchio di soldi si per-dono a causa della cosiddetta medicina difensiva: prescrivia-mo esami inutili e costosi per paura di essere accusati di iner-zia dai pazienti. Queste risorse potevano essere utilizzate per costruire ospedali migliori al sud e garantire un servizio sani-tario davvero universale». Ma la sanità è organizzata su base re-gionale. «Il sistema sanitario non può essere regionale. L’au-tonomia non è stata una buona idea: ha provocato disugua-glianze dal punto di vista della qualità dell’assistenza. Si è pola-rizzata l’attenzione sul modello sanitario lombardo, che effetti-vamente dà prestazioni di altis-simo livello ma privilegia quel-le più remunerative. Mentre le malattie più gravi devono esse-re trattate localmente. Fortuna-tamente il sud è stato meno col-pito dal Covid-19. Anche se non so se poteva andare peggio che a Bergamo».

II Ci sono state altre 179 vitti-me di Covid-19 ieri, che portano il totale a 30739. Sono stati 744 i nuovi casi positivi. Un numero così basso di decessi e nuovi ca-si non si registrava dal 6 marzo, prima che il lockdown fermas-se l’Italia.

Un’altra buona notizia provie-ne dalla ricerca: uno studio italia-no ha esaminato l’impatto del Covid-19 tra i pazienti oncologi-ci, scoprendo così una possibile strada verso lo sviluppo di una cura. A realizzare la ricerca è l’éq-uipe di Andrea Alimonti, oncolo-go che si divide tra l’Istituto di Ri-cerca Oncologica di Bellinzona, il Politecnico di Zurigo e l’Istitu-to veneto per la medicina mole-colare legato all’università di Pa-dova. Alimonti ha studiato le car-telle di circa 4500 pazienti ma-schi veneti positivi al Covid-19. Tra questi, 430 (il 9,5%, una per-centuale maggiore rispetto alla popolazione generale) presenta anche una diagnosi di cancro. Si conferma dunque che i pazienti oncologici hanno una probabili-tà quasi doppia di contrarre il co-ronavirus a causa dell’indeboli-mento delle difese immunitarie legate alla malattia e alle tera-pie. A sorpresa, chi ha il cancro alla prostata ed è in cura con te-rapie ormonali ha un rischio quattro volte inferiore.

Per spiegarlo, Alimonti e col-leghi chiamano in causa i farma-ci assunti da questi pazienti. Non è il tumore in sé a protegge-re, ma la terapia ormonale detta «di deprivazione androgenica» che seguono alcuni di loro. La te-rapia abbassa i livelli di una pro-teina detta TMPRSS2, che è coin-volta anche nel processo di pene-trazione del coronavirus nelle cellule. Un effetto collaterale del-la terapia oncologica potrebbe dunque essere una protezione contro il Covid-19. Su 5273 uomi-ni in cura, infatti se ne sono in-fettati solo 4. L’ipotesi conferma un dato già osservato dallo stes-so Alimonti in studi animali e apre una strada inedita allo svi-luppo di farmaci antivirali.

(a.cap.)

MARINELLA SALVI

Trieste

II Si sente qualche scricchiolio tra le fila dell’armata che, fino a ieri, sembrava decisissima a tra-sferire gli anziani contagiati da covid-19 dalle case di riposo alla «nave lazzaretto» mentre in città l’aria è pesantissima. La petizio-ne lanciata da un infermiere in pensione su change.org («no alla nave-ospedale» a Trieste) ha ab-bondantemente superato le due-mila firme in un paio di giorni, i commenti poco lusinghieri sul Presidente leghista della Regio-ne Massimiliano Fedriga si rin-corrono sui social mentre, in consiglio comunale come in quello regionale, le opposizioni continuano a dar battaglia: tutti i consiglieri di minoranza pre-mono perché si individuino solu-zioni diverse, tutte verificate e percorribili dichiarano, e si ri-nunci a una soluzione che appa-re un affronto al buon senso.

Il consigliere regionale M5S Andrea Ussai brandisce le plani-metrie della nave: nove metri quadrati scarsi per contenere

un letto, una poltrona un arma-dio e permettere l’intervento di infermieri e operatori. Questa la cabina dove si sarà costretti a restare chiusi, a mangiare e a e dormire. Nove metri quadrati compreso il bagno, irraggiungi-bile se si è su una sedia a rotelle, improponibile per una doccia assistita. E, poi, moquette dap-pertutto, quella stessa moquet-te che agli alberghi era stata as-solutamente vietata.

L’oncologa Simona Liguori, li-sta civica «Cittadini», nel ribadi-re in aula la necessità di istituire una rete geriatrica con presidi permanenti su tutto il territorio regionale, legge il parere del Pre-sidente nazionale della Società italiana di Geriatria che non ri-sparmia critiche: «Nelle dimen-sioni anguste delle cabine e con scarsità di luce aumenterebbero per gli anziani i rischi di depres-sione, disorientamento, delirio, peggioramento di deficit cogniti-vo». Ma anche tra le fila del cen-tro destra si sente qualche incri-natura. Apre il fuoco addirittura uno dei Camber, famiglia di im-portante peso politico a Trieste:

Piero, già consigliere regionale nonché collega di partito dell’as-sessore forzista alla salute Ric-cardi, posta sulla sua pagina fb: «Per quel che possa valere la mia voce, esprimo ora apertamente, a voce alta, la mia totale contra-rietà per questa scelta».

Le voci di protesta non si leva-no soltanto dal mondo politico. Il direttore della Scuola Superio-re di Studi Avanzati lamenta la mancanza di ascolto da parte del-la Giunta regionale: da almeno un mese il mondo scientifico sol-lecitava l'assessore alla sanità ad agire in anticipo sulla diffusione del virus, creando un serbatoio di posti sicuri per persone poten-zialmente positive con diversi gradi di autonomia. Un gruppo di ricercatori delle più prestigio-se istituzioni scientifiche regio-nali aveva lavorato da molte set-timane ad un piano di monito-raggio e diagnosi precoce ma il loro progetto non è stato nem-meno preso in considerazione.

Quella che continua a manca-re, e ha ormai dell’incredibile, è la voce del sindaco di Trieste che non ha mai espresso verbo sulla questione. Osserva Roberto Co-solini, Pd nonché ex sindaco del capoluogo giuliano: «E' possibile che non dica nulla? È possibile che non chieda conto del fatto che molti positivi al virus vengo-no ancora fatti rimanere nelle ca-se di riposo? Sulle caratteristi-

che del traghetto dove i suoi cit-tadini vedranno trasferire i loro anziani non ha nulla da dire, non ha nulla da chiedere? Chie-derà di verificarne i requisiti? Te-mo di no, ma sappia che lo fare-mo noi». Comunque l’assessore alla salute Riccardi, sabato po-meriggio in televisione ha volu-to precisare: «Non è una scelta che ho fatto io e non mi convin-ce, perché è forte, inusuale. Però non posso discutere il parere dell’Azienda sanitaria». Stesso leitmotiv per il presidente della Regione Massimiliano Fedriga: «È una scelta dell’Azienda sanita-ria. E per quanto mi riguarda ho detto fin dall’inizio che su un’ini-ziativa del genere la politica non deve intromettersi. Si tratta di una questione tecnica e devono essere i tecnici a decidere». Verti-ci regionali, dunque, come sem-plici passacarte per autodefini-zione. Carte che continuano ad essere soltanto evocate, tra l’al-tro: dov’è questa fatidica relazio-ne che li avrebbe indotti a punta-re sulla nave come unica soluzio-ne percorribile? Tutti la chiedo-no ma ancora non salta fuori.

Ospedali: «L’altra strage all’ombra del Coronavirus»«Rispetto al 2019 triplicata la mortalità per infarto». Intervista a Ciro Indolfi, presidente dei cardiologi italiani

VITTIME E CONTAGI

Curva in discesa. Malati oncologicimolto più a rischio

Quale sarà il "dopo" della

sanità uscita dal

cataclisma di Covid19? E’

il tema del Quaderno

speciale di

"Communitas", la rivista

fondata da Aldo Bonomi

ed edita da Vita.it. Un

tema cruciale che viene

affrontato da un grande

esperto di politiche

sanitarie come Benedetto

Saraceno e da Angelo

Righetti, segretario

generale del Lisbon

Institute of Global Mental

Health, psichiatra oggi in

prima linea sul "dopo" con

il progetto Budget di

Salute della regione

Campania.

Nell’editoriale introduttivo

Aldo Bonomi spiega le

ragioni di una ripresa del

progetto Communitas,

come luogo di riflessione

e di necessaria messa a

punto di una nuova

"cassetta degli attrezzi"

per chi agisce nel sociale:

"Ripartire con un

percorso come quello di

Communitas sarebbe un

grande aiuto per capire e

affrontare il "non ancora".

TRIESTE, ANCHE VOCI DELLA DESTRA CONTRO IL TRASFERIMENTO DEGLI ANZIANI MALATI DI COVID SU UN TRAGHETTO

La «nave lazzaretto» della Lega scricchiola ma non affonda

Alla Regione dura battaglia controil governatore Fedriga. Petizione: migliaia di no

Terapia intensiva dell’ospedale Bassini a Milano foto LaPresse

Ciro Indolfi

Numero specialedi Communitas

Massimiliano Fedriga

Il servizio sanitario

nazionale schiacciato

dall’emergenza ha fatto

fatica a garantire cure

adeguate anche a chi non

aveva il Covid-19. Investire

sulla sanità pubblica

10

martedì 12 maggio 2020società

SHENDI VELI

II Le strade della capitale han-no ripreso le loro sembianze abi-tuali, il traffico è diminuito men-tre sono aumentati i posti di blocco delle forze dell’ordine. Ma nelle arterie principali, che dal centro città fuggono verso il raccordo anulare, sono scom-parse le lavoratrici del sesso. Il distanziamento sociale, e la pau-ra del contagio, comprimono i rapporti fisici nel territorio cir-coscritto della coppia. Questo nuovo corso ha un impatto deva-stante sulla sopravvivenza di chi svolge il lavoro sessuale. E se per chi è in possesso di docu-menti esiste la possibilità di ac-cedere almeno ai buoni spesa de-voluti dai comuni, chi è senza re-sidenza e permesso di soggior-no, si trova da qualche settima-na nel vicolo cieco della povertà assoluta. «Mi sono tagliata tutti i capelli» dice Claudia, donna trans argentina di 52 anni, che incontriamo sotto casa sua, una stanza in affitto al secondo pia-no di un residence sul litorale la-ziale, al piano terra c'è una sala giochi chiusa. «Non so perché l’ho fatto. Dopo una settimana di lockdown ero disperata e ho ta-gliato tutto. Mi sono pentita ma è stato comunque meglio che ta-gliarmi una mano. Ho smesso di lavorare da due mesi, e non so come pagare l'affitto, le bollet-te, il cibo ». LA PROSTITUZIONE non è ricono-sciuta come attività lavorativa in Italia, ma secondo le stime del Codacons per il 2018, il mer-cato del sesso costituisce un in-dotto di 3,9 miliardi di euro l’an-no, e coinvolge oltre 90.000 lavo-ratori/lavoratrici, di cui più del-la metà sono di origine stranie-ra. Il mancato riconoscimento legale avvolge nell'ombra il set-tore, che rimane appannaggio della crimininalità organizzata o, quando svolto in autonomia, relegato all’inivisibilità. Questa situazione rende complicato per chi lavora avere accesso a do-cumenti, contratti di locazione o misure di welfare.

Inoltre pesa lo stigma culturale e la marginalizzazione sociale di queste figure lavorative. La pande-mia ha reso evidenti alcune delle contraddizioni che il tema del la-voro sessuale porta con sé. «LA LEGGE MERLIN, che all'epoca ebbe il merito di chiudere le ca-se chiuse a controllo statale, luo-ghi dove le donne venivano sfruttate e subivano una violen-za legalizzata, lascia però indefi-nita la regolamentazione del la-

voro sessuale» a parlare è Om-bretta, nome di fantasia per una sex worker organizzata nel col-lettivo Ombre Rosse. «Formal-mente non è illegale scambiare servizi sessuali per denaro, ma costituiscono reato tutte le atti-vità collegate a questo. Se divido la casa con una collega ad esem-pio, rischio la denuncia per favo-reggiamento, cosi come rischia di essere incriminato chi mi af-fitta la casa. Questo quadro legi-slativo di fatto ci costringe a muoverci sempre nell’econo-mia informale, con tutti i rischi annessi. Per questo il nostro obiettivo a livello mondiale è la decriminalizzazione. La possibi-lità di lavorare senza rischi».

TRA LE DIFFICOLTÀ per chi lavora sulla strada c’è anche l’introdu-zione delle ordinanze municipa-li a salvaguardia del «decoro ur-bano», con il Decreto legge n. 14 del 2017. Il provvedimento ha ampliato i poteri delle ammini-strazioni locali nel multare, emettere fogli di via o addirittu-ra porre in stato di fermo le lavo-ratrici del sesso, qualora la loro attività sia ritenuta contraria al decoro. L’ampiezza semantica del termine lascia spazio alla di-screzionalità, aumentando l’in-certezza e la ricattabilità di chi lavora. «SONO ARRIVATA IN ITALIA nel 2003 sognando una vita norma-le, ma non sono riuscita a evita-re la strada sulla quale sono sta-ta per più di 30 anni. Adesso mi sento vecchia, la malattia è arri-vata (ndr Hiv) ma sto bene e sono in cura allo Spallanzani. Quan-do hai fame e arriva il cliente che ti offre il doppio per non usa-re il preservativo non riesci a pensare a te e alla tua salute, pensi solo alle cose che potresti fare con quei soldi. È difficile es-sere assunta per una donna trans e senza documenti. Mi pia-cerebbe fare i lavori per cui ho studiato. Sono sarta e parruc-chiera. Ogni tanto chi mi cono-sce in zona mi chiede di fargli un orlo, o sistemare una cernie-ra. In questi giorni sto facendo

anche mascherine, ma quelle le regalo» racconta ancora Claudia di cui si intravedono gli occhi verde scuro tra il cappello e la mascherina.

Una delle iniziative pensate per sostenere le sex workers è la campagna e raccolta fondi «Nessuna da sola» promossa dall’onlus Comitato per i diritti

civili delle prostitute e dal col-lettivo Ombre Rosse, in collabo-razione con tante altre realtà territoriali, associazioni, e uni-tà di strada. I SOLDI RACCOLTI saranno desti-nati soprattutto alle lavoratri-ci che non hanno documenti in regola. Un tentativo di sop-perire dal basso all’assenza to-

tale delle strutture pubbliche nel rispondere alle esigenze di sopravvivenza di queste perso-ne. Anche a livello europeo è stato lanciato l’allarme la soffe-renza economica delle sex wor-kers durante la pandemia, e la principale rete europea, l’Icr-se, ha lanciato un appello a tut-ti i governi nazionali affinché prevedano dei canali di sosten-tamento. «I CLIENTI SONO SPARITI» dice Gi-na, ha 28 anni e viene dalla Ro-mania, «non posso muovermi per cercare lavoro perché ai con-trolli chiedono sempre la resi-denza. Sarebbe meglio per noi poter lavorare legalmente, paga-re le tasse, avere una copertura sanitaria, e la possibilità di fare i documenti. Alcune sono sfrutta-te ma io no, lavoro per me stes-sa. Ma adesso sono bloccata. Vor-rei chiedere al governo il diritto ad avere un tetto sopra la testa anche in questo momento. Un aiuto per l’affitto oppure un po-sto dove stare gratis». Naomi e Silvana invece raccontano di co-me questa situazione le abbia portate ad aiutarsi a vicenda: «Io e lei e altre ragazze abitiamo vi-cine ma prima non ci potevamo vedere» dice ridendo Naomi e ag-giunge «adesso siamo più unite. Mangiamo insieme, ci diamo una mano. Ma ci vorrebbe di più. Ci vorrebbe un’associazio-ne forte come in Francia, dove le donne trans fanno lavori di tutti i tipi. Qui è difficile a livello culturale. Vengono da noi quan-do siamo sulla strada di notte, ma alla luce del sole non venia-mo riconosciute». Parla ancora Claudia, 53 anni di San Pedro de Jujuy, Argentina: «Non cerco più di essere migliore delle al-tre, ormai ho una certa età e ho capito che nessuna è meglio del-le altre. Adesso l’unica cosa che mi resta da fare è vivere, e vo-glio farlo degnamente».

L’emergenza umanitaria del lavoro sessualeParlano le sex workers, non riconosciute come lavoratrici, spesso migranti e senza documenti, non accedono agli aiuti statali

Fabrizio Floris

Claudia, 52 anni, donna trans e sex worker nel suo appartamento dove svolge piccoli lavori di sartoria foto di Shendi Veli

Una raccolta fondi per

dare un sostegno alle sex

workers senza documenti.

Il link ancora attivo per

contribuire si trova su

Google alla voce: «Covid

19 -Nessuna da sola»

Tra gli effetti collaterali

della Legge Merlin e le

recenti ordinanze

municipali a difesa del

«decoro urbano» il lavoro

sessuale è sempre più

relegato all’invisibilitàA Mirafiori

Dalla strada alla panchina

A Mirafiori negli ultimi giorni l’aria è pulita, a tratti profumata, le persone per le strade sono poche e quando escono si mettono in fila con disciplina davanti ai negozi, in silenzio, il tram passa vuoto e i giardinetti sono inconsuetamente senza le voci dei bambini. Seduta su una panchina c’è lei, giovane, bionda, discreta, alla moda e si vede subito che non è di zona. Che cosa fa te lo spiega in un orecchio. Ha lasciato la strada per la panchina in seguito ai controlli per il virus, ma lei dice di essere in proprio e che ormai ha dei clienti fidelizzati con cui si da appuntamento al parco. La sera R.V. esce in ciabatte, la giacca sopra il pigiama, si siede, lega il cane al palo e si ferma qualche minuto con lei. Da qui si prova compassione per quei cronisti che devono esercitare il loro mestiere in sonnolenti quartieri dai nomi altisonanti perché a Mirafiori ogni giorno c’è una storia da raccontare e la realtà non finisce mai di sorprenderti. E uscire non è violare delle regole, ma un dovere: come partecipare alla vita e fingere di essere middle class.

11martedì 12 maggio 2020 società

Page 11: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

ANDREA CAPOCCI

II L’emergenza del Covid-19 potrebbe aver relegato nell’om-bra un’altra crisi sanitaria, for-se altrettanto drammatica: quel-la dei pazienti che, durante la pandemia, non hanno ricevuto cure adeguate e spesso ci hanno rimesso la vita. Adesso che l’on-data del coronavirus si ritira, dalla risacca emergono i dati di questa strage nascosta. In uno studio di prossima pubblicazio-ne, la società italiana di cardio-logia ha esaminato la mortalità

legata all’infarto durante l’e-mergenza Covid-19 in 54 ospe-dali distribuiti su tutto il territo-rio italiano, a confronto con lo stesso periodo del 2019. Lo stu-dio sarà pubblicato a breve sul-lo «European Heart Journal». Ma per i lettori de il manifesto lo riassume Ciro Indolfi, docente universitario a Catanzaro, presi-dente della Società Italiana di Cardiologia e coordinatore del-lo studio. I RICERCATORI HANNO esaminato la settimana 12-19 marzo, quel-la in cui si è verificato il picco

massimo dei contagi in Italia. «Il numero di accessi agli ospe-dali per infarti nel periodo pre-so in considerazione si è dimez-zato tra il 2019 e il 2020», spiega Indolfi confermando statisti-che analoghe rilevate negli ospedali del nord. «La mortalità osservata nei pazienti giunti in ospedale invece è più che tripli-cata, passando dal 2,8% al 9,7%». I due dati non sono in contraddi-zione, ma suggeriscono una spiegazione: molte persone con infarto in corso non si sono reca-te in ospedale e quelle che lo

hanno fatto ci sono arrivate in ritardo, e quindi in condizioni più gravi. «Lo abbiamo verifica-to anche sulla base del tempo che trascorre tra l’inizio dei sin-tomi e l’intervento in angiopla-stica, che è aumentato di oltre il 30%» continua Indolfi. Il risulta-to è che in termini assoluti nel periodo preso in considerazio-ne i morti di infarto negli ospe-dali sono quasi raddoppiati, an-che se i pazienti da curare sono stati di meno. «LA PRIMA CAUSA del ritardo», sot-tolinea il medico, «è che molte persone hanno avuto paura di andare in ospedale per paura di contrarre il Covid-19. C’è un da-to interessante: abbiamo osser-vato lo stesso calo sia negli ospe-dali del nord, effettivamente oberati per il Covid-19, che in quelli del sud dove i posti liberi in ospedale c’erano». Alla diffi-denza dei pazienti si è sommata la scarsa tenuta della sanità. «Nel periodo dell’emergenza tutto il servizio sanitario è stato spostato sul Covid-19 e le risor-se per le altre patologie sono sta-te ridotte. Il mio reparto di car-diologia, ad esempio, è stato de-dicato al Covid-19. Le autoam-bulanze sono occupate, il medi-co di base non si trova, gli ambu-latori dei cardiologi sono chiu-si. Si è perso il contatto con il medico, che spesso è quello che consiglia di chiamare il 118 e an-dare in ospedale». IL PROBLEMA NON SI esaurisce con la fine dell’emergenza. Nel-la fase due, il governo ha pro-messo di rafforzare la sorve-glianza anti-Covid-19 per evita-re nuovi picchi epidemici come quello registrato a marzo, ma la coperta è corta: se si spostano ri-sorse nella pur giusta lotta alla pandemia, rischiano di rimane-re scoperti altri servizi sanitari, e le malattie diverse dal Co-vid-19 non stanno ad aspettare. C’è il pericolo che il sistema sa-nitario non sia più in grado di fornire un servizio all’altezza? «Serve un’iniziativa da parte della politica per rafforzare tut-to il servizio sanitario. Bisogna ripristinare i servizi di emergen-za. Riaprire gli ambulatori di cardiologia», dice Indolfi. «Da questa tragedia la politica deve trarre un insegnamento. Negli ultimi dieci anni la sanità è sta-ta abbandonata a se stessa. Me-dici e infermieri sono pagati po-

co, non si assumono nuovi me-dici e mancano i posti nelle scuole di specializzazione dove si formano». Oltre a essere po-che, le risorse vanno anche spre-cate. «Un mucchio di soldi si per-dono a causa della cosiddetta medicina difensiva: prescrivia-mo esami inutili e costosi per paura di essere accusati di iner-zia dai pazienti. Queste risorse potevano essere utilizzate per costruire ospedali migliori al sud e garantire un servizio sani-tario davvero universale». Ma la sanità è organizzata su base re-gionale. «Il sistema sanitario non può essere regionale. L’au-tonomia non è stata una buona idea: ha provocato disugua-glianze dal punto di vista della qualità dell’assistenza. Si è pola-rizzata l’attenzione sul modello sanitario lombardo, che effetti-vamente dà prestazioni di altis-simo livello ma privilegia quel-le più remunerative. Mentre le malattie più gravi devono esse-re trattate localmente. Fortuna-tamente il sud è stato meno col-pito dal Covid-19. Anche se non so se poteva andare peggio che a Bergamo».

II Ci sono state altre 179 vitti-me di Covid-19 ieri, che portano il totale a 30739. Sono stati 744 i nuovi casi positivi. Un numero così basso di decessi e nuovi ca-si non si registrava dal 6 marzo, prima che il lockdown fermas-se l’Italia.

Un’altra buona notizia provie-ne dalla ricerca: uno studio italia-no ha esaminato l’impatto del Covid-19 tra i pazienti oncologi-ci, scoprendo così una possibile strada verso lo sviluppo di una cura. A realizzare la ricerca è l’éq-uipe di Andrea Alimonti, oncolo-go che si divide tra l’Istituto di Ri-cerca Oncologica di Bellinzona, il Politecnico di Zurigo e l’Istitu-to veneto per la medicina mole-colare legato all’università di Pa-dova. Alimonti ha studiato le car-telle di circa 4500 pazienti ma-schi veneti positivi al Covid-19. Tra questi, 430 (il 9,5%, una per-centuale maggiore rispetto alla popolazione generale) presenta anche una diagnosi di cancro. Si conferma dunque che i pazienti oncologici hanno una probabili-tà quasi doppia di contrarre il co-ronavirus a causa dell’indeboli-mento delle difese immunitarie legate alla malattia e alle tera-pie. A sorpresa, chi ha il cancro alla prostata ed è in cura con te-rapie ormonali ha un rischio quattro volte inferiore.

Per spiegarlo, Alimonti e col-leghi chiamano in causa i farma-ci assunti da questi pazienti. Non è il tumore in sé a protegge-re, ma la terapia ormonale detta «di deprivazione androgenica» che seguono alcuni di loro. La te-rapia abbassa i livelli di una pro-teina detta TMPRSS2, che è coin-volta anche nel processo di pene-trazione del coronavirus nelle cellule. Un effetto collaterale del-la terapia oncologica potrebbe dunque essere una protezione contro il Covid-19. Su 5273 uomi-ni in cura, infatti se ne sono in-fettati solo 4. L’ipotesi conferma un dato già osservato dallo stes-so Alimonti in studi animali e apre una strada inedita allo svi-luppo di farmaci antivirali.

(a.cap.)

MARINELLA SALVI

Trieste

II Si sente qualche scricchiolio tra le fila dell’armata che, fino a ieri, sembrava decisissima a tra-sferire gli anziani contagiati da covid-19 dalle case di riposo alla «nave lazzaretto» mentre in città l’aria è pesantissima. La petizio-ne lanciata da un infermiere in pensione su change.org («no alla nave-ospedale» a Trieste) ha ab-bondantemente superato le due-mila firme in un paio di giorni, i commenti poco lusinghieri sul Presidente leghista della Regio-ne Massimiliano Fedriga si rin-corrono sui social mentre, in consiglio comunale come in quello regionale, le opposizioni continuano a dar battaglia: tutti i consiglieri di minoranza pre-mono perché si individuino solu-zioni diverse, tutte verificate e percorribili dichiarano, e si ri-nunci a una soluzione che appa-re un affronto al buon senso.

Il consigliere regionale M5S Andrea Ussai brandisce le plani-metrie della nave: nove metri quadrati scarsi per contenere

un letto, una poltrona un arma-dio e permettere l’intervento di infermieri e operatori. Questa la cabina dove si sarà costretti a restare chiusi, a mangiare e a e dormire. Nove metri quadrati compreso il bagno, irraggiungi-bile se si è su una sedia a rotelle, improponibile per una doccia assistita. E, poi, moquette dap-pertutto, quella stessa moquet-te che agli alberghi era stata as-solutamente vietata.

L’oncologa Simona Liguori, li-sta civica «Cittadini», nel ribadi-re in aula la necessità di istituire una rete geriatrica con presidi permanenti su tutto il territorio regionale, legge il parere del Pre-sidente nazionale della Società italiana di Geriatria che non ri-sparmia critiche: «Nelle dimen-sioni anguste delle cabine e con scarsità di luce aumenterebbero per gli anziani i rischi di depres-sione, disorientamento, delirio, peggioramento di deficit cogniti-vo». Ma anche tra le fila del cen-tro destra si sente qualche incri-natura. Apre il fuoco addirittura uno dei Camber, famiglia di im-portante peso politico a Trieste:

Piero, già consigliere regionale nonché collega di partito dell’as-sessore forzista alla salute Ric-cardi, posta sulla sua pagina fb: «Per quel che possa valere la mia voce, esprimo ora apertamente, a voce alta, la mia totale contra-rietà per questa scelta».

Le voci di protesta non si leva-no soltanto dal mondo politico. Il direttore della Scuola Superio-re di Studi Avanzati lamenta la mancanza di ascolto da parte del-la Giunta regionale: da almeno un mese il mondo scientifico sol-lecitava l'assessore alla sanità ad agire in anticipo sulla diffusione del virus, creando un serbatoio di posti sicuri per persone poten-zialmente positive con diversi gradi di autonomia. Un gruppo di ricercatori delle più prestigio-se istituzioni scientifiche regio-nali aveva lavorato da molte set-timane ad un piano di monito-raggio e diagnosi precoce ma il loro progetto non è stato nem-meno preso in considerazione.

Quella che continua a manca-re, e ha ormai dell’incredibile, è la voce del sindaco di Trieste che non ha mai espresso verbo sulla questione. Osserva Roberto Co-solini, Pd nonché ex sindaco del capoluogo giuliano: «E' possibile che non dica nulla? È possibile che non chieda conto del fatto che molti positivi al virus vengo-no ancora fatti rimanere nelle ca-se di riposo? Sulle caratteristi-

che del traghetto dove i suoi cit-tadini vedranno trasferire i loro anziani non ha nulla da dire, non ha nulla da chiedere? Chie-derà di verificarne i requisiti? Te-mo di no, ma sappia che lo fare-mo noi». Comunque l’assessore alla salute Riccardi, sabato po-meriggio in televisione ha volu-to precisare: «Non è una scelta che ho fatto io e non mi convin-ce, perché è forte, inusuale. Però non posso discutere il parere dell’Azienda sanitaria». Stesso leitmotiv per il presidente della Regione Massimiliano Fedriga: «È una scelta dell’Azienda sanita-ria. E per quanto mi riguarda ho detto fin dall’inizio che su un’ini-ziativa del genere la politica non deve intromettersi. Si tratta di una questione tecnica e devono essere i tecnici a decidere». Verti-ci regionali, dunque, come sem-plici passacarte per autodefini-zione. Carte che continuano ad essere soltanto evocate, tra l’al-tro: dov’è questa fatidica relazio-ne che li avrebbe indotti a punta-re sulla nave come unica soluzio-ne percorribile? Tutti la chiedo-no ma ancora non salta fuori.

Ospedali: «L’altra strage all’ombra del Coronavirus»«Rispetto al 2019 triplicata la mortalità per infarto». Intervista a Ciro Indolfi, presidente dei cardiologi italiani

VITTIME E CONTAGI

Curva in discesa. Malati oncologicimolto più a rischio

Quale sarà il "dopo" della

sanità uscita dal

cataclisma di Covid19? E’

il tema del Quaderno

speciale di

"Communitas", la rivista

fondata da Aldo Bonomi

ed edita da Vita.it. Un

tema cruciale che viene

affrontato da un grande

esperto di politiche

sanitarie come Benedetto

Saraceno e da Angelo

Righetti, segretario

generale del Lisbon

Institute of Global Mental

Health, psichiatra oggi in

prima linea sul "dopo" con

il progetto Budget di

Salute della regione

Campania.

Nell’editoriale introduttivo

Aldo Bonomi spiega le

ragioni di una ripresa del

progetto Communitas,

come luogo di riflessione

e di necessaria messa a

punto di una nuova

"cassetta degli attrezzi"

per chi agisce nel sociale:

"Ripartire con un

percorso come quello di

Communitas sarebbe un

grande aiuto per capire e

affrontare il "non ancora".

TRIESTE, ANCHE VOCI DELLA DESTRA CONTRO IL TRASFERIMENTO DEGLI ANZIANI MALATI DI COVID SU UN TRAGHETTO

La «nave lazzaretto» della Lega scricchiola ma non affonda

Alla Regione dura battaglia controil governatore Fedriga. Petizione: migliaia di no

Terapia intensiva dell’ospedale Bassini a Milano foto LaPresse

Ciro Indolfi

Numero specialedi Communitas

Massimiliano Fedriga

Il servizio sanitario

nazionale schiacciato

dall’emergenza ha fatto

fatica a garantire cure

adeguate anche a chi non

aveva il Covid-19. Investire

sulla sanità pubblica

10

martedì 12 maggio 2020società

SHENDI VELI

II Le strade della capitale han-no ripreso le loro sembianze abi-tuali, il traffico è diminuito men-tre sono aumentati i posti di blocco delle forze dell’ordine. Ma nelle arterie principali, che dal centro città fuggono verso il raccordo anulare, sono scom-parse le lavoratrici del sesso. Il distanziamento sociale, e la pau-ra del contagio, comprimono i rapporti fisici nel territorio cir-coscritto della coppia. Questo nuovo corso ha un impatto deva-stante sulla sopravvivenza di chi svolge il lavoro sessuale. E se per chi è in possesso di docu-menti esiste la possibilità di ac-cedere almeno ai buoni spesa de-voluti dai comuni, chi è senza re-sidenza e permesso di soggior-no, si trova da qualche settima-na nel vicolo cieco della povertà assoluta. «Mi sono tagliata tutti i capelli» dice Claudia, donna trans argentina di 52 anni, che incontriamo sotto casa sua, una stanza in affitto al secondo pia-no di un residence sul litorale la-ziale, al piano terra c'è una sala giochi chiusa. «Non so perché l’ho fatto. Dopo una settimana di lockdown ero disperata e ho ta-gliato tutto. Mi sono pentita ma è stato comunque meglio che ta-gliarmi una mano. Ho smesso di lavorare da due mesi, e non so come pagare l'affitto, le bollet-te, il cibo ». LA PROSTITUZIONE non è ricono-sciuta come attività lavorativa in Italia, ma secondo le stime del Codacons per il 2018, il mer-cato del sesso costituisce un in-dotto di 3,9 miliardi di euro l’an-no, e coinvolge oltre 90.000 lavo-ratori/lavoratrici, di cui più del-la metà sono di origine stranie-ra. Il mancato riconoscimento legale avvolge nell'ombra il set-tore, che rimane appannaggio della crimininalità organizzata o, quando svolto in autonomia, relegato all’inivisibilità. Questa situazione rende complicato per chi lavora avere accesso a do-cumenti, contratti di locazione o misure di welfare.

Inoltre pesa lo stigma culturale e la marginalizzazione sociale di queste figure lavorative. La pande-mia ha reso evidenti alcune delle contraddizioni che il tema del la-voro sessuale porta con sé. «LA LEGGE MERLIN, che all'epoca ebbe il merito di chiudere le ca-se chiuse a controllo statale, luo-ghi dove le donne venivano sfruttate e subivano una violen-za legalizzata, lascia però indefi-nita la regolamentazione del la-

voro sessuale» a parlare è Om-bretta, nome di fantasia per una sex worker organizzata nel col-lettivo Ombre Rosse. «Formal-mente non è illegale scambiare servizi sessuali per denaro, ma costituiscono reato tutte le atti-vità collegate a questo. Se divido la casa con una collega ad esem-pio, rischio la denuncia per favo-reggiamento, cosi come rischia di essere incriminato chi mi af-fitta la casa. Questo quadro legi-slativo di fatto ci costringe a muoverci sempre nell’econo-mia informale, con tutti i rischi annessi. Per questo il nostro obiettivo a livello mondiale è la decriminalizzazione. La possibi-lità di lavorare senza rischi».

TRA LE DIFFICOLTÀ per chi lavora sulla strada c’è anche l’introdu-zione delle ordinanze municipa-li a salvaguardia del «decoro ur-bano», con il Decreto legge n. 14 del 2017. Il provvedimento ha ampliato i poteri delle ammini-strazioni locali nel multare, emettere fogli di via o addirittu-ra porre in stato di fermo le lavo-ratrici del sesso, qualora la loro attività sia ritenuta contraria al decoro. L’ampiezza semantica del termine lascia spazio alla di-screzionalità, aumentando l’in-certezza e la ricattabilità di chi lavora. «SONO ARRIVATA IN ITALIA nel 2003 sognando una vita norma-le, ma non sono riuscita a evita-re la strada sulla quale sono sta-ta per più di 30 anni. Adesso mi sento vecchia, la malattia è arri-vata (ndr Hiv) ma sto bene e sono in cura allo Spallanzani. Quan-do hai fame e arriva il cliente che ti offre il doppio per non usa-re il preservativo non riesci a pensare a te e alla tua salute, pensi solo alle cose che potresti fare con quei soldi. È difficile es-sere assunta per una donna trans e senza documenti. Mi pia-cerebbe fare i lavori per cui ho studiato. Sono sarta e parruc-chiera. Ogni tanto chi mi cono-sce in zona mi chiede di fargli un orlo, o sistemare una cernie-ra. In questi giorni sto facendo

anche mascherine, ma quelle le regalo» racconta ancora Claudia di cui si intravedono gli occhi verde scuro tra il cappello e la mascherina.

Una delle iniziative pensate per sostenere le sex workers è la campagna e raccolta fondi «Nessuna da sola» promossa dall’onlus Comitato per i diritti

civili delle prostitute e dal col-lettivo Ombre Rosse, in collabo-razione con tante altre realtà territoriali, associazioni, e uni-tà di strada. I SOLDI RACCOLTI saranno desti-nati soprattutto alle lavoratri-ci che non hanno documenti in regola. Un tentativo di sop-perire dal basso all’assenza to-

tale delle strutture pubbliche nel rispondere alle esigenze di sopravvivenza di queste perso-ne. Anche a livello europeo è stato lanciato l’allarme la soffe-renza economica delle sex wor-kers durante la pandemia, e la principale rete europea, l’Icr-se, ha lanciato un appello a tut-ti i governi nazionali affinché prevedano dei canali di sosten-tamento. «I CLIENTI SONO SPARITI» dice Gi-na, ha 28 anni e viene dalla Ro-mania, «non posso muovermi per cercare lavoro perché ai con-trolli chiedono sempre la resi-denza. Sarebbe meglio per noi poter lavorare legalmente, paga-re le tasse, avere una copertura sanitaria, e la possibilità di fare i documenti. Alcune sono sfrutta-te ma io no, lavoro per me stes-sa. Ma adesso sono bloccata. Vor-rei chiedere al governo il diritto ad avere un tetto sopra la testa anche in questo momento. Un aiuto per l’affitto oppure un po-sto dove stare gratis». Naomi e Silvana invece raccontano di co-me questa situazione le abbia portate ad aiutarsi a vicenda: «Io e lei e altre ragazze abitiamo vi-cine ma prima non ci potevamo vedere» dice ridendo Naomi e ag-giunge «adesso siamo più unite. Mangiamo insieme, ci diamo una mano. Ma ci vorrebbe di più. Ci vorrebbe un’associazio-ne forte come in Francia, dove le donne trans fanno lavori di tutti i tipi. Qui è difficile a livello culturale. Vengono da noi quan-do siamo sulla strada di notte, ma alla luce del sole non venia-mo riconosciute». Parla ancora Claudia, 53 anni di San Pedro de Jujuy, Argentina: «Non cerco più di essere migliore delle al-tre, ormai ho una certa età e ho capito che nessuna è meglio del-le altre. Adesso l’unica cosa che mi resta da fare è vivere, e vo-glio farlo degnamente».

L’emergenza umanitaria del lavoro sessualeParlano le sex workers, non riconosciute come lavoratrici, spesso migranti e senza documenti, non accedono agli aiuti statali

Fabrizio Floris

Claudia, 52 anni, donna trans e sex worker nel suo appartamento dove svolge piccoli lavori di sartoria foto di Shendi Veli

Una raccolta fondi per

dare un sostegno alle sex

workers senza documenti.

Il link ancora attivo per

contribuire si trova su

Google alla voce: «Covid

19 -Nessuna da sola»

Tra gli effetti collaterali

della Legge Merlin e le

recenti ordinanze

municipali a difesa del

«decoro urbano» il lavoro

sessuale è sempre più

relegato all’invisibilitàA Mirafiori

Dalla strada alla panchina

A Mirafiori negli ultimi giorni l’aria è pulita, a tratti profumata, le persone per le strade sono poche e quando escono si mettono in fila con disciplina davanti ai negozi, in silenzio, il tram passa vuoto e i giardinetti sono inconsuetamente senza le voci dei bambini. Seduta su una panchina c’è lei, giovane, bionda, discreta, alla moda e si vede subito che non è di zona. Che cosa fa te lo spiega in un orecchio. Ha lasciato la strada per la panchina in seguito ai controlli per il virus, ma lei dice di essere in proprio e che ormai ha dei clienti fidelizzati con cui si da appuntamento al parco. La sera R.V. esce in ciabatte, la giacca sopra il pigiama, si siede, lega il cane al palo e si ferma qualche minuto con lei. Da qui si prova compassione per quei cronisti che devono esercitare il loro mestiere in sonnolenti quartieri dai nomi altisonanti perché a Mirafiori ogni giorno c’è una storia da raccontare e la realtà non finisce mai di sorprenderti. E uscire non è violare delle regole, ma un dovere: come partecipare alla vita e fingere di essere middle class.

11martedì 12 maggio 2020 società

Page 12: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

CLAUDIA FANTI

II Aveva avuto enorme riper-cussione l’appello rivolto da Sebastião Salgado al governo, al Congresso e alla Corte supre-ma del Brasile per scongiurare il propagarsi dei contagi tra le comunità indigene a opera di minatori, taglialegna, allevato-ri di bestiame e ora anche lea-der evangelici. «Se ciò avvenis-se, sarebbe un genocidio», ave-va denunciato il fotografo nel suo manifesto, firmato da atto-ri, artisti, politici e scienziati di tutto il pianeta.QUELLO CHE SALGADO non pote-va immaginare è che la Funai (Fondazione nazionale dell’In-dio), l’organo del governo inca-ricato della protezione dei po-poli indigeni, per vendetta po-tesse staccare dalle pareti della sua sede i 15 quadri donati dal fotografo e proporre di metter-li all’asta. Con un preciso mes-saggio: Salgado si lamenta che non stanno arrivando fondi agli indigeni? Allora venda questi quadri – foto che ritrag-gono l’etnia Korubo do Coari, nella Vale do Javari – e mandi loro il ricavato.

«Trovo tutto ciò di un’enor-me mediocrità e tristezza», ha commentato il fotografo:

«Questa è la maggiore dimo-strazione dello smantellamen-to di grandi istituzioni» come la Funai e l’Ibama, la cui crea-zione «ha richiesto decenni».CHE SOTTO IL GOVERNO Bolsona-ro dell’antica Funai non resti più traccia, lo dimostra il suo recente scontro con il Cimi, il Consiglio indigenista missio-nario legato alla Conferenza dei vescovi. Al centro del con-flitto, l’ultimo di una serie in-terminabile di affondi contro i popoli originari: l’Istruzione normativa n.9 del 16 aprile che autorizza di fatto la conces-sione dei titoli di proprietà agli invasori di terre indigene, per-sino quelle la cui demarcazio-ne è in fase avanzata.

È «inaccettabile», aveva rea-gito il Cimi, che in piena pan-demia, nel momento in cui le comunità originarie – con 214 casi confermati e 16 decessi – prendono l’iniziativa di chiu-

dere e proteggere i propri terri-tori, la Funai adotti un provve-dimento «in direzione opposta al suo dovere istituzionale di proteggere i loro diritti».

Contro l’Istruzione normati-va, come contro la famigerata Misura provvisoria n. 910, di-retta a legalizzare l’accaparra-mento di 65 milioni di ettari di terre pubbliche in Amazzonia da parte dell’agribusiness, del settore minerario e delle im-prese di costruzioni, si erano già scagliati gli stessi popoli in-digeni nel loro tradizionale Acampamento Terra Livre, quest’anno in versione virtua-le, svoltosi dal 27 al 30 aprile.PER TUTTA RISPOSTA la Funai ha emesso una nota in cui attacca a testa bassa il Cimi, i governi del Pt, le ong e «i gruppi religio-si legati alla Teologia della libe-razione di matrice marxista», esaltando la rottura rappresen-tata dalla vittoria di Bolsonaro nei confronti di «20 anni di am-ministrazione socialista del go-verno federale» e soprattutto di una politica indigenista nel segno di un «assistenzialismo servile» e di «paternalismo esplicito». Una politica a cui, prosegue la nota, si ricondur-rebbe la situazione di povertà, dipendenza e esclusione at-

tualmente sofferta dai popoli originari.

Durissima la risposta delle organizzazioni indigene, am-bientaliste e di difesa dei dirit-ti umani che denunciano gli at-tacchi sferrati dal «governo fa-scista» di Bolsonaro a tutto l’impianto della Costituzione in materia indigena e la stru-mentalizzazione politica sof-ferta dalla Funai attraverso la nomina di un presidente, Mar-celo Xavier, «che ha operato a

fianco e al servizio» della lobby ruralista, trasformando l’orga-nismo governativo «in mera succursale degli interessi del latifondo, dell’agribusiness e delle imprese minerarie».INTERESSI A CUI SI DEVE anche l’incessante aumento della de-forestazione, che, nei primi quattro mesi del 2020, registra una crescita del 59%, rispetto allo stesso periodo del 2019, un totale di altri 1.202 km qua-drati di foresta andati perduti.

OLTRE 221MILA CASI, 12MILA SOLO IERI

Terza per contagi, la Russia riparteA Putin la crisi fa più paura del Covid

YURII COLOMBO

Mosca

II In una giornata segnata da brutte notizie dal fronte coro-navirus, Vladimir Putin ieri è tornato a rivolgersi ai russi in televisione per annunciare la fine del lockdown nazionale, già da oggi. Una decisione a sor-presa e certamente sofferta ma dettata soprattutto da mo-tivi economici: «Per troppi rus-si la qualità della vita di sé e dei propri cari dipende dal lavoro e così con oggi la quarantena è terminata, pur nel rispetto del-le misure di sicurezza», ha di-chiarato il presidente russo. Il capo del Cremlino centellina i

dati ma teme che il sistema economico possa cedere in au-tunno: «Il numero di disoccu-pati è raddoppiato nel giro di un mese», ha ricordato Putin. PERFORMANCE DA PAESE ultrali-berista in cui la libertà di licen-ziamento è totale e senza am-mortizzatori sociali che non siano un modesto sussidio di 150 euro mensili.

Resta fuori solo Mosca che terrà chiuso fino a fine mese ma solo per il settore commer-ciale: il 18 i cantieri edili ripar-tiranno. Putin sente profumo di ripartenza in tutta Europa e vuole restare in scia, malgrado i numeri non gli diano ragio-ne. Ieri i casi di infezione nel

paese hanno superato i 221mi-la mettendo la Russia davanti alla Gran Bretagna e all’Italia e ponendosi così al terzo posto di questa tragica classifica, al-le spalle solo della Spagna e degli Stati uniti. Numeri pe-santi se si pensa che il nume-ro di contagiati di giornata era stato di circa 12mila. Ieri sera girava insistentemente la voce che a Mosca, per mancan-za di posti negli ospedali citta-dini, sarebbero stati aperti pa-diglioni mobili per Covid-19 presso il gigantesco centro espositivo Vdnk alla periferia della città e vicino allo stadio di calcio della Dinamo.

Ma i numeri che convinco-no davvero poco sono quelli dei decessi. Ieri Moscow Times ha pubblicato in anteprima i dati assoluti dei morti a Mosca registrati ufficialmente dal Municipio della capitale per il

mese di aprile. Ne risulta che ri-spetto all’anno scorso il nume-ro dei morti è stato superiore di 1.855 persone, cioè circa il triplo dei morti registrati uffi-cialmente per coronavirus nel-lo stesso mese (658). IL DATO UFFICIALE complessivo per tutta la Russia parla di po-co più di 2mila morti che ne fa-rebbe il paese con la percentua-le più bassa di deceduti al mon-do, lo 0,9%, tra i paesi con più di 40mila casi accertati.

Gli esperti insistono però a dire che il tasso di mortalità per coronavirus in Russia sem-bra non plausibile. E non solo per le difficoltà che si presenta-no nel conteggiare corretta-mente la mortalità di una pato-logia tanto nuova. Novaya Gaze-ta ritiene che il bilancio delle vittime potrebbe essere assai più alto in quanto in Russia le autorità distorcono spesso le statistiche sulla mortalità.

Un ex dipendente di Ros-stat, l’istituto di statistica dello Stato, ha dichiarato al giornale che in cui scriveva Anna Polito-kvaskaya che i dati conteggiati sarebbero manipolati dopo i decreti presidenziali di mag-gio e a seguito dei quali le re-gioni sono state obbligate a ga-

rantire la riduzione della mor-talità. «A causa dei decreti di maggio, le statistiche sulle cause della morte in Russia hanno smesso di riflettere la realtà. Il presidente ha annun-ciato obiettivi di guarigione impossibili, pertanto i ministe-ri regionali della sanità hanno iniziato a distorcere le cifre», afferma l’anonimo testimone interrogato da Novaya Gazeta. SECONDO MOSCOW TIMES del re-sto, il numero di morti sareb-be molto più alto di quello uffi-ciale non solo nella capitale ma in diverse regioni: a Sverd-lovsk del 233%, a Saratov del 200% e a Ryazan del 60%.

Chiede di proteggeregli indigeni, Salgadomesso all’asta da BolsoLa Fondazione brasiliana che dovrebbe tutelare i diritti dei popolioriginari si disfà dei lavori del fotografo, colpevole di «appello»

brevi&brevissime

Deforestazione nell’Amazzonia brasiliana, nello Stato settentrionale di Para foto Ap

PANDEMONIO

Cina-Usa, «fase 1» da rinegoziare

Il Global Times, quotidiano affiliato al Partito

comunista cinese, ha scritto

che Pechino potrebbe

rinegoziare la «fase uno»

dell’accordo tra Cina e Usa

sui dazi. Secondo il

quotidiano, le fonti vicine ai

colloqui commerciali

suggeriscono che i

funzionari cinesi aprono alla

possibilità di invalidare

l'accordo attualmente in

vigore e - come riporta

Agenzia Nova - di

negoziarne uno nuovo per

favorire gli interessi della

Repubblica Popolare.

L'accordo di «Fase uno» era

stato firmato lo scorso 15

gennaio a Washington dal

vicepremier cinese Liu He e

dai rappresentanti del

dipartimento del

Commercio degli Stati Uniti

e aveva sancito il termine di

lunghi mesi di trattative.

Iran, oggi riaprono le moschee

Mentre il numero dei casi diagnosticati

raggiunge quota 109.286,

Teheran ha deciso da oggi

di riaprire tutte le moschee

del paese, compiendo così

un ulteriore passo, dopo

quelli della settimana

scorsa, verso

l'allentamento delle misure

messe in atto per contenere

la diffusione dell'epidemia

da Covid-19. Una decisione

presa nonostante i decessi

siano ormai oltre 6mila.

Secondo quanto riferisce

l’emittente «Irib», la

decisione di riaprire le

moschee è stata presa in

consultazione con il

ministero della Salute.

Personale medico dell’ospedale Spasokukotskogo di Mosca Ap

Ma i conti non tornano: mortalità ufficiale dell’0,9%.I giornali parlanodi manipolazione

La Funai attacca Pt , religiosi e ong. Poi si sceglie il presidente deforestatore

12

martedì 12 maggio 2020internazionale

MARINA CATUCCI

New York

II Alessandro Vespignani, fisi-co di formazione, da quasi vent’anni vive e lavora in Ame-rica; alla fine degli anni '90 è passato dallo studio dei virus informatici a quelli biologici. Ha lottato contro Ebola in Con-go, Zika in Sudamerica, la pan-demia influenzale del 2009 e la Sars. Ora fa parte del team del-la Casa Bianca che si occupa del coronavirus. Oltre a esse-re uno scienziato è un bravis-simo comunicatore: ciò che continua a ripetere è che chiu-dere ha fatto bene; anche ria-prire farebbe bene ma solo se c'è un'infrastruttura di con-trollo dell'epidemia. «Se ria-priamo e siamo esattamente come eravamo a marzo - dice - allora l'epidemia ricomincia a galoppare. Bisogna testare, tracciare e trattare. Isolare i pa-zienti anche con sintomi lievi, creare ospedali covid separa-ti».Questo schema non lo vedo implementato da nessuna par-te, però mezzo mondo sta par-lando di riapertura.Negli ultimi tempi ogni volta che parlo dello schema di ria-pertura fa un certo scalpore, ep-pure a me sembra di ripetere sempre le solite cose, così co-me altri miei colleghi epide-miologi. Mi sento un disco rot-to. Se tu hai un'epidemia con questo tasso di trasmissibilità e di asintomaticità, è normale chiudere le città per abbassare il numero di casi, però allo stes-so momento dovresti porti il problema di come riaprire. Lo sai che non puoi tenere la gen-te in eterno chiusa in casa, ma se riapri e non hai creato le in-frastrutture attorno in tre setti-mane sei a capo a dodici.Non lo vedo nemmeno nelle si-tuazione più virtuose, in Usa.Qualcuno lo dice, hanno detto che vogliono fare più test, assu-mere più tracciatori, fanno più tamponi, più seriologia, stan-no lavorando in qualche modo a questo piano, ma non hanno capito l’entità della crisi. Io cre-do che noi epidemiologi non siamo riusciti a spiegare che il fatto che questa prima ondata se sia scesa è perché ci siamo chiusi in casa. Appena ricomin-ceremo a uscire l’epidemia ri-crescerà. C’è bisogno di un ap-proccio bellico e questo concet-to non passa. C’è un aspetto in-genuo che fa dire "Riapriamo e vediamo che succede". Succe-de che l’epidemia ricresce.A New York vedo fare test, tracciare i contatti ma non, ad esempio, avere ospedali dedi-cati ai pazienti Covid. La nave

che avrebbe dovuto provve-dervi è andata via.La nave è andata via perché al-la fine non è stata usata: a New York si aspettavano l’invasio-ne di morti. I morti sono stati tantissimi ma non quanti si pensava inizialmente ed è acca-duto perché a New York sono stati bravi a gestire l’emergen-za. Questo è il problema con le epidemie: se si gestisce bene l’emergenza e si evita la cata-strofe, la percezione è che ini-zialmente si sia esagerato e la situazione non era così grave. Se la nave non è servita è per-ché abbiamo cambiato le cose. Quello che stiamo ripetendo ora è che se si torna piano pia-no, non dico alla normalità, ma alla metà della normalità, questa epidemia ricomincia. L’immagine della nave che la-

scia New York è il simbolo di questo approccio senza pro-spettiva. C’è bisogno di creare ospedali-Covid, a New York ne servirebbe almeno uno. Le per-sone con sintomi lievi non van-no rimandate a casa a infettare il resto del nucleo familiare. Si spendono miliardi al giorno, e non si possono prendere due al-berghi per isolarli e assumere 400 persone per monitorarle?C’è qualche Paese dove stan-no applicando queste norme?Si, Hong Kong, Corea, anche in Cina hanno fatto le degenze non domiciliari. Fa parte an-che della dignità del paziente. Parliamo di una malattia che solo nominarla fa venire l’an-goscia e tu lasci le persone in-sieme in un appartamento? Queste cose non si potevano fa-re nel momento del picco con migliaia di casi al giorno, ma neanche ora si può fare. In que-sti momenti, poi, con un tasso di disoccupazione al 15% assu-mere dei tracciatori avrebbe anche un senso economico. Io sono pieno di curriculum di persone che lavoravano per le compagnie high tech e che so-no rimaste senza lavoro e che sarebbero in grado di fare il la-voro di tracciatori.Ma la riapertura a macchia di leopardo di cui parla ad esem-pio il governatore dello Stato di New York Cuomo, nel riapri-re gradualmente dove la situa-zione è sotto controllo?Approfondirei il concetto di

"sotto controllo", se si basa sui casi che si trovano con i tampo-ni, allora voglio ricordare che il primo marzo a New York c’era un solo caso accertato, in real-tà i casi erano 28mila. Sotto controllo è quando tracci tutti i casi e tutti quelli accertati sono isolati e monitorati, un nume-ro di tamponi enormi. Tutte queste metriche non le vedo. Quotidianamente parlo con go-vernatori, sindaci, politici, so-no nella task force e si discute, anche nella parte politica ci so-no soggetti molto bravi nella gestione emergenziale, ma quando si parla di pianificazio-ne invece è come se si parlasse di qualcosa di intangibile e po-co credibile. A febbraio aveva-mo già detto che negli Usa i ca-si identificati erano migliaia e non i pochi di cui si parlava, lo sapevano tutti, ma nessuno si prendeva la responsabilità di chiudere l’economia per qual-cosa che non si vedeva. Noi spiegavano che il disastro sa-rebbe arrivato dopo tre setti-

mane ma ha prevalso l’approc-cio dello "stiamo a vedere", così come sta prevalendo ora. Politi-camente è impossibile prende-re decisioni che hanno un co-sto sociale enorme se non c’è l’emergenza, ma per evitare l’e-mergenza. Ci viene detto che guardiamo solo un lato del pro-blema ignorando l’economia. Non diciamo questo. Bisogna affrontare questa guerra con un’economia di guerra. Dopo Pearl Harbor gli Usa costruiva-no un aereo ogni sei minuti, al-lora perché non costruire labo-ratori, assumere tracciatori, co-struire un’economia che tenga conto della pandemia? Questo non passa. È l’incapacità di vede-re l’invisibile. Ma non è un di-scorso americano, in Italia sta accadendo la stessa cosa, come in tutto l’Occidente. Non è acca-duto in Asia per ragioni cultura-li e per il trauma pregresso del-la Sars. A marzo avevo spiegato al resto d’Europa che il proble-ma sarebbe diventato loro in dieci giorni: ma tutti hanno ri-

petuto gli stessi errori. Una ri-sposta che mi sono dato è che questo virus a livello di numeri colpisce gli anziani e noi come società siamo pronti a sacrificar-li, se colpisse i bambini dopo i primi 4/5.000 morti ci sarebbe-ro già le infrastrutture pronte.Riguardo il tracciamento, lei che ha una formazione da in-gegnere informatico. Quanto bisognerebbe concedere a li-vello di privacy alle app di trac-ciamento?Bisogna che i dati vengano ag-gregati per rintracciare i foco-lai, quindi un po’ bisognerà concedere ma si può fare traccia-mento del virus con le app in mo-do non troppo invasivo. Bisogna però accompagnare la app a un esercito di esseri umani, perché se la app ti dice che sei stato in contatto con il virus hai bisogno di qualcuno che si occupi di te, che ti porti la spesa, che mandi un certificato al tuo datore di la-voro, che venga a farti i test se svi-luppi dei sintomi. Inoltre que-ste app servono ora, se le fanno tra 2 mesi sono inutili. C’è una sottovalutazione generale del-la velocità di questo virus che non lascia pause di riflessione.Ma se la situazione è questa cosa possiamo fare?Come cittadino se mi dicono che riapriamo in queste condi-zioni io mi chiudo in casa. Biso-gna fare pressione sui politici perché affrontino questo virus per quello che è: una guerra mondiale.

Test effettuati a Milwaukee foto Ap a destra Alessandro Vespignani

LO STATO DI NEW YORK AMMORBIDISCE IL LOCKDOWN, MA LA CITTÀ RESTA CHIUSA

Il virus arriva tra lo staff di Trump, anche Fauci in quarantenaII Il coronavirus ha raggiun-to gli uffici della Casa bianca: due membri dello staff in qua-rantena perché positivi al test per il Covid-19. Questo ha por-tato in quarantena anche tre funzionari sanitari, tra cui An-thony Fauci, che ha avuto con-tatti con un membro dello staff infetto. Oltre a Fauci sono in isolamento Robert Redfield, capo del Centro per il control-

lo e la prevenzione delle malat-tie (Cdc), e Stephen Hahn, di-rettore della Food and Drug ad-ministration (Fda). Il vice presi-dente Mike Pence è in auto iso-lamento ma, ci tiene a precisa-re, non è una quarantena ed è negativo al tampone.VISTE LE VASTE RISORSE a dispo-sizione della Casa bianca, in-cluso l’accesso illimitato ai te-st rapidi, altri luoghi di lavoro

molto meno protetti e monito-rati potrebbero avere difficol-tà a impedire la trasmissione del virus quando l’economia inizierà a riaprire.

Di riapertura se ne parla in tutti gli Stati, anche in quelli più colpiti e cauti come New York dove il governatore An-drew Cuomo ha annunciato il piano per la seconda fase che comincerà il 15 maggio. Non ri-

guarda tutto lo Stato ma solo le zone dove non si registrano nuovi casi da due settimane e gli ospedali hanno il reparto di terapia intensiva sotto control-lo. Si parla di riautorizzare le attività economiche non di pri-ma necessità seguendo le stes-se modalità di quelle già aper-te, come i ristoranti tramite asporto e consegna a domici-lio. New York city non è nella li-

sta delle città che riapriranno. Il sindaco De Blasio ha confer-mato che resterà in lockdown: non ci sono le basi per ipotizza-re una ripresa delle attività.AL CONTRARIO di ciò che accade nel resto dello Stato De Blasio organizza la risposta alla pan-demia in modo diverso, isolan-do i positivi con sintomi lievi in alberghi, al di fuori dei loro nuclei familiari, dove vengono

monitorati quotidianamente da personale addestrato e as-sunto dalla municipalità.

«Vi ho sempre detto la cruda verità – ha detto De Blasio – Questo virus ha mostrato e esa-cerbato le disparità economi-che e sociali. È cruciale ripensa-re al sistemo sanitario. Questa città si deve convertire al medi-care for all, la sanità pubblica. Un sistema sanitario che inclu-de anche chi non è assicurato. Questa è una missione a cui mi dedicherò con la devozione che vedo negli ospedali. Una missione a cui ci dedicheremo tutti insieme». (m.cat)

ATAF S.P.A.

Bando di gara - CIG 82917600D1

Si pubblica bando di gara aperta telematica

per l’affidamento della polizza assicurativa

RCAUTO della flotta aziendale per un pe-

riodo di 12 mesi presumibilmente dal

01/07/2020 al 30/06/2021. Importo comples-

sivo dei servizi: € 350.000,00. Criterio di ag-

giudicazione: prezzo più basso. Scadenza

gara: 15/06/2020 ore 14:00. Termine rice-

zione offerte: 16/06/2020 ore 14:00. Apertura:

17/06/2020 ore 10:00. Atti di gara sui siti:

https://ataffg.traspare.com/ e www.ataf.fg.it

Il presidente del C.d.A.

avv. Giandonato La Salandra

«Senza infrastrutture l’epidemia ripartirà»Intervista a Alessandro Vespignani, fisico di formazione da vent’anni negli Usa, ora membro della task force della Casa Bianca

C'è bisogno di un

approccio bellico, e questo

concetto non passa, c'è un

aspetto ingenuo che fa dire

'Riapriamo e vediamo che

succede'. Succede che

l'epidemia ricresce

Dopo Pearl Harbor gli Usa

costruivano un aereo ogni 6

minuti, allora perché non

costruire laboratori,

assumere tracciatori,

costruire un'economia che

tenga conto della pandemia?

13martedì 12 maggio 2020 internazionale

Page 13: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

CLAUDIA FANTI

II Aveva avuto enorme riper-cussione l’appello rivolto da Sebastião Salgado al governo, al Congresso e alla Corte supre-ma del Brasile per scongiurare il propagarsi dei contagi tra le comunità indigene a opera di minatori, taglialegna, allevato-ri di bestiame e ora anche lea-der evangelici. «Se ciò avvenis-se, sarebbe un genocidio», ave-va denunciato il fotografo nel suo manifesto, firmato da atto-ri, artisti, politici e scienziati di tutto il pianeta.QUELLO CHE SALGADO non pote-va immaginare è che la Funai (Fondazione nazionale dell’In-dio), l’organo del governo inca-ricato della protezione dei po-poli indigeni, per vendetta po-tesse staccare dalle pareti della sua sede i 15 quadri donati dal fotografo e proporre di metter-li all’asta. Con un preciso mes-saggio: Salgado si lamenta che non stanno arrivando fondi agli indigeni? Allora venda questi quadri – foto che ritrag-gono l’etnia Korubo do Coari, nella Vale do Javari – e mandi loro il ricavato.

«Trovo tutto ciò di un’enor-me mediocrità e tristezza», ha commentato il fotografo:

«Questa è la maggiore dimo-strazione dello smantellamen-to di grandi istituzioni» come la Funai e l’Ibama, la cui crea-zione «ha richiesto decenni».CHE SOTTO IL GOVERNO Bolsona-ro dell’antica Funai non resti più traccia, lo dimostra il suo recente scontro con il Cimi, il Consiglio indigenista missio-nario legato alla Conferenza dei vescovi. Al centro del con-flitto, l’ultimo di una serie in-terminabile di affondi contro i popoli originari: l’Istruzione normativa n.9 del 16 aprile che autorizza di fatto la conces-sione dei titoli di proprietà agli invasori di terre indigene, per-sino quelle la cui demarcazio-ne è in fase avanzata.

È «inaccettabile», aveva rea-gito il Cimi, che in piena pan-demia, nel momento in cui le comunità originarie – con 214 casi confermati e 16 decessi – prendono l’iniziativa di chiu-

dere e proteggere i propri terri-tori, la Funai adotti un provve-dimento «in direzione opposta al suo dovere istituzionale di proteggere i loro diritti».

Contro l’Istruzione normati-va, come contro la famigerata Misura provvisoria n. 910, di-retta a legalizzare l’accaparra-mento di 65 milioni di ettari di terre pubbliche in Amazzonia da parte dell’agribusiness, del settore minerario e delle im-prese di costruzioni, si erano già scagliati gli stessi popoli in-digeni nel loro tradizionale Acampamento Terra Livre, quest’anno in versione virtua-le, svoltosi dal 27 al 30 aprile.PER TUTTA RISPOSTA la Funai ha emesso una nota in cui attacca a testa bassa il Cimi, i governi del Pt, le ong e «i gruppi religio-si legati alla Teologia della libe-razione di matrice marxista», esaltando la rottura rappresen-tata dalla vittoria di Bolsonaro nei confronti di «20 anni di am-ministrazione socialista del go-verno federale» e soprattutto di una politica indigenista nel segno di un «assistenzialismo servile» e di «paternalismo esplicito». Una politica a cui, prosegue la nota, si ricondur-rebbe la situazione di povertà, dipendenza e esclusione at-

tualmente sofferta dai popoli originari.

Durissima la risposta delle organizzazioni indigene, am-bientaliste e di difesa dei dirit-ti umani che denunciano gli at-tacchi sferrati dal «governo fa-scista» di Bolsonaro a tutto l’impianto della Costituzione in materia indigena e la stru-mentalizzazione politica sof-ferta dalla Funai attraverso la nomina di un presidente, Mar-celo Xavier, «che ha operato a

fianco e al servizio» della lobby ruralista, trasformando l’orga-nismo governativo «in mera succursale degli interessi del latifondo, dell’agribusiness e delle imprese minerarie».INTERESSI A CUI SI DEVE anche l’incessante aumento della de-forestazione, che, nei primi quattro mesi del 2020, registra una crescita del 59%, rispetto allo stesso periodo del 2019, un totale di altri 1.202 km qua-drati di foresta andati perduti.

OLTRE 221MILA CASI, 12MILA SOLO IERI

Terza per contagi, la Russia riparteA Putin la crisi fa più paura del Covid

YURII COLOMBO

Mosca

II In una giornata segnata da brutte notizie dal fronte coro-navirus, Vladimir Putin ieri è tornato a rivolgersi ai russi in televisione per annunciare la fine del lockdown nazionale, già da oggi. Una decisione a sor-presa e certamente sofferta ma dettata soprattutto da mo-tivi economici: «Per troppi rus-si la qualità della vita di sé e dei propri cari dipende dal lavoro e così con oggi la quarantena è terminata, pur nel rispetto del-le misure di sicurezza», ha di-chiarato il presidente russo. Il capo del Cremlino centellina i

dati ma teme che il sistema economico possa cedere in au-tunno: «Il numero di disoccu-pati è raddoppiato nel giro di un mese», ha ricordato Putin. PERFORMANCE DA PAESE ultrali-berista in cui la libertà di licen-ziamento è totale e senza am-mortizzatori sociali che non siano un modesto sussidio di 150 euro mensili.

Resta fuori solo Mosca che terrà chiuso fino a fine mese ma solo per il settore commer-ciale: il 18 i cantieri edili ripar-tiranno. Putin sente profumo di ripartenza in tutta Europa e vuole restare in scia, malgrado i numeri non gli diano ragio-ne. Ieri i casi di infezione nel

paese hanno superato i 221mi-la mettendo la Russia davanti alla Gran Bretagna e all’Italia e ponendosi così al terzo posto di questa tragica classifica, al-le spalle solo della Spagna e degli Stati uniti. Numeri pe-santi se si pensa che il nume-ro di contagiati di giornata era stato di circa 12mila. Ieri sera girava insistentemente la voce che a Mosca, per mancan-za di posti negli ospedali citta-dini, sarebbero stati aperti pa-diglioni mobili per Covid-19 presso il gigantesco centro espositivo Vdnk alla periferia della città e vicino allo stadio di calcio della Dinamo.

Ma i numeri che convinco-no davvero poco sono quelli dei decessi. Ieri Moscow Times ha pubblicato in anteprima i dati assoluti dei morti a Mosca registrati ufficialmente dal Municipio della capitale per il

mese di aprile. Ne risulta che ri-spetto all’anno scorso il nume-ro dei morti è stato superiore di 1.855 persone, cioè circa il triplo dei morti registrati uffi-cialmente per coronavirus nel-lo stesso mese (658). IL DATO UFFICIALE complessivo per tutta la Russia parla di po-co più di 2mila morti che ne fa-rebbe il paese con la percentua-le più bassa di deceduti al mon-do, lo 0,9%, tra i paesi con più di 40mila casi accertati.

Gli esperti insistono però a dire che il tasso di mortalità per coronavirus in Russia sem-bra non plausibile. E non solo per le difficoltà che si presenta-no nel conteggiare corretta-mente la mortalità di una pato-logia tanto nuova. Novaya Gaze-ta ritiene che il bilancio delle vittime potrebbe essere assai più alto in quanto in Russia le autorità distorcono spesso le statistiche sulla mortalità.

Un ex dipendente di Ros-stat, l’istituto di statistica dello Stato, ha dichiarato al giornale che in cui scriveva Anna Polito-kvaskaya che i dati conteggiati sarebbero manipolati dopo i decreti presidenziali di mag-gio e a seguito dei quali le re-gioni sono state obbligate a ga-

rantire la riduzione della mor-talità. «A causa dei decreti di maggio, le statistiche sulle cause della morte in Russia hanno smesso di riflettere la realtà. Il presidente ha annun-ciato obiettivi di guarigione impossibili, pertanto i ministe-ri regionali della sanità hanno iniziato a distorcere le cifre», afferma l’anonimo testimone interrogato da Novaya Gazeta. SECONDO MOSCOW TIMES del re-sto, il numero di morti sareb-be molto più alto di quello uffi-ciale non solo nella capitale ma in diverse regioni: a Sverd-lovsk del 233%, a Saratov del 200% e a Ryazan del 60%.

Chiede di proteggeregli indigeni, Salgadomesso all’asta da BolsoLa Fondazione brasiliana che dovrebbe tutelare i diritti dei popolioriginari si disfà dei lavori del fotografo, colpevole di «appello»

brevi&brevissime

Deforestazione nell’Amazzonia brasiliana, nello Stato settentrionale di Para foto Ap

PANDEMONIO

Cina-Usa, «fase 1» da rinegoziare

Il Global Times, quotidiano affiliato al Partito

comunista cinese, ha scritto

che Pechino potrebbe

rinegoziare la «fase uno»

dell’accordo tra Cina e Usa

sui dazi. Secondo il

quotidiano, le fonti vicine ai

colloqui commerciali

suggeriscono che i

funzionari cinesi aprono alla

possibilità di invalidare

l'accordo attualmente in

vigore e - come riporta

Agenzia Nova - di

negoziarne uno nuovo per

favorire gli interessi della

Repubblica Popolare.

L'accordo di «Fase uno» era

stato firmato lo scorso 15

gennaio a Washington dal

vicepremier cinese Liu He e

dai rappresentanti del

dipartimento del

Commercio degli Stati Uniti

e aveva sancito il termine di

lunghi mesi di trattative.

Iran, oggi riaprono le moschee

Mentre il numero dei casi diagnosticati

raggiunge quota 109.286,

Teheran ha deciso da oggi

di riaprire tutte le moschee

del paese, compiendo così

un ulteriore passo, dopo

quelli della settimana

scorsa, verso

l'allentamento delle misure

messe in atto per contenere

la diffusione dell'epidemia

da Covid-19. Una decisione

presa nonostante i decessi

siano ormai oltre 6mila.

Secondo quanto riferisce

l’emittente «Irib», la

decisione di riaprire le

moschee è stata presa in

consultazione con il

ministero della Salute.

Personale medico dell’ospedale Spasokukotskogo di Mosca Ap

Ma i conti non tornano: mortalità ufficiale dell’0,9%.I giornali parlanodi manipolazione

La Funai attacca Pt , religiosi e ong. Poi si sceglie il presidente deforestatore

12

martedì 12 maggio 2020internazionale

MARINA CATUCCI

New York

II Alessandro Vespignani, fisi-co di formazione, da quasi vent’anni vive e lavora in Ame-rica; alla fine degli anni '90 è passato dallo studio dei virus informatici a quelli biologici. Ha lottato contro Ebola in Con-go, Zika in Sudamerica, la pan-demia influenzale del 2009 e la Sars. Ora fa parte del team del-la Casa Bianca che si occupa del coronavirus. Oltre a esse-re uno scienziato è un bravis-simo comunicatore: ciò che continua a ripetere è che chiu-dere ha fatto bene; anche ria-prire farebbe bene ma solo se c'è un'infrastruttura di con-trollo dell'epidemia. «Se ria-priamo e siamo esattamente come eravamo a marzo - dice - allora l'epidemia ricomincia a galoppare. Bisogna testare, tracciare e trattare. Isolare i pa-zienti anche con sintomi lievi, creare ospedali covid separa-ti».Questo schema non lo vedo implementato da nessuna par-te, però mezzo mondo sta par-lando di riapertura.Negli ultimi tempi ogni volta che parlo dello schema di ria-pertura fa un certo scalpore, ep-pure a me sembra di ripetere sempre le solite cose, così co-me altri miei colleghi epide-miologi. Mi sento un disco rot-to. Se tu hai un'epidemia con questo tasso di trasmissibilità e di asintomaticità, è normale chiudere le città per abbassare il numero di casi, però allo stes-so momento dovresti porti il problema di come riaprire. Lo sai che non puoi tenere la gen-te in eterno chiusa in casa, ma se riapri e non hai creato le in-frastrutture attorno in tre setti-mane sei a capo a dodici.Non lo vedo nemmeno nelle si-tuazione più virtuose, in Usa.Qualcuno lo dice, hanno detto che vogliono fare più test, assu-mere più tracciatori, fanno più tamponi, più seriologia, stan-no lavorando in qualche modo a questo piano, ma non hanno capito l’entità della crisi. Io cre-do che noi epidemiologi non siamo riusciti a spiegare che il fatto che questa prima ondata se sia scesa è perché ci siamo chiusi in casa. Appena ricomin-ceremo a uscire l’epidemia ri-crescerà. C’è bisogno di un ap-proccio bellico e questo concet-to non passa. C’è un aspetto in-genuo che fa dire "Riapriamo e vediamo che succede". Succe-de che l’epidemia ricresce.A New York vedo fare test, tracciare i contatti ma non, ad esempio, avere ospedali dedi-cati ai pazienti Covid. La nave

che avrebbe dovuto provve-dervi è andata via.La nave è andata via perché al-la fine non è stata usata: a New York si aspettavano l’invasio-ne di morti. I morti sono stati tantissimi ma non quanti si pensava inizialmente ed è acca-duto perché a New York sono stati bravi a gestire l’emergen-za. Questo è il problema con le epidemie: se si gestisce bene l’emergenza e si evita la cata-strofe, la percezione è che ini-zialmente si sia esagerato e la situazione non era così grave. Se la nave non è servita è per-ché abbiamo cambiato le cose. Quello che stiamo ripetendo ora è che se si torna piano pia-no, non dico alla normalità, ma alla metà della normalità, questa epidemia ricomincia. L’immagine della nave che la-

scia New York è il simbolo di questo approccio senza pro-spettiva. C’è bisogno di creare ospedali-Covid, a New York ne servirebbe almeno uno. Le per-sone con sintomi lievi non van-no rimandate a casa a infettare il resto del nucleo familiare. Si spendono miliardi al giorno, e non si possono prendere due al-berghi per isolarli e assumere 400 persone per monitorarle?C’è qualche Paese dove stan-no applicando queste norme?Si, Hong Kong, Corea, anche in Cina hanno fatto le degenze non domiciliari. Fa parte an-che della dignità del paziente. Parliamo di una malattia che solo nominarla fa venire l’an-goscia e tu lasci le persone in-sieme in un appartamento? Queste cose non si potevano fa-re nel momento del picco con migliaia di casi al giorno, ma neanche ora si può fare. In que-sti momenti, poi, con un tasso di disoccupazione al 15% assu-mere dei tracciatori avrebbe anche un senso economico. Io sono pieno di curriculum di persone che lavoravano per le compagnie high tech e che so-no rimaste senza lavoro e che sarebbero in grado di fare il la-voro di tracciatori.Ma la riapertura a macchia di leopardo di cui parla ad esem-pio il governatore dello Stato di New York Cuomo, nel riapri-re gradualmente dove la situa-zione è sotto controllo?Approfondirei il concetto di

"sotto controllo", se si basa sui casi che si trovano con i tampo-ni, allora voglio ricordare che il primo marzo a New York c’era un solo caso accertato, in real-tà i casi erano 28mila. Sotto controllo è quando tracci tutti i casi e tutti quelli accertati sono isolati e monitorati, un nume-ro di tamponi enormi. Tutte queste metriche non le vedo. Quotidianamente parlo con go-vernatori, sindaci, politici, so-no nella task force e si discute, anche nella parte politica ci so-no soggetti molto bravi nella gestione emergenziale, ma quando si parla di pianificazio-ne invece è come se si parlasse di qualcosa di intangibile e po-co credibile. A febbraio aveva-mo già detto che negli Usa i ca-si identificati erano migliaia e non i pochi di cui si parlava, lo sapevano tutti, ma nessuno si prendeva la responsabilità di chiudere l’economia per qual-cosa che non si vedeva. Noi spiegavano che il disastro sa-rebbe arrivato dopo tre setti-

mane ma ha prevalso l’approc-cio dello "stiamo a vedere", così come sta prevalendo ora. Politi-camente è impossibile prende-re decisioni che hanno un co-sto sociale enorme se non c’è l’emergenza, ma per evitare l’e-mergenza. Ci viene detto che guardiamo solo un lato del pro-blema ignorando l’economia. Non diciamo questo. Bisogna affrontare questa guerra con un’economia di guerra. Dopo Pearl Harbor gli Usa costruiva-no un aereo ogni sei minuti, al-lora perché non costruire labo-ratori, assumere tracciatori, co-struire un’economia che tenga conto della pandemia? Questo non passa. È l’incapacità di vede-re l’invisibile. Ma non è un di-scorso americano, in Italia sta accadendo la stessa cosa, come in tutto l’Occidente. Non è acca-duto in Asia per ragioni cultura-li e per il trauma pregresso del-la Sars. A marzo avevo spiegato al resto d’Europa che il proble-ma sarebbe diventato loro in dieci giorni: ma tutti hanno ri-

petuto gli stessi errori. Una ri-sposta che mi sono dato è che questo virus a livello di numeri colpisce gli anziani e noi come società siamo pronti a sacrificar-li, se colpisse i bambini dopo i primi 4/5.000 morti ci sarebbe-ro già le infrastrutture pronte.Riguardo il tracciamento, lei che ha una formazione da in-gegnere informatico. Quanto bisognerebbe concedere a li-vello di privacy alle app di trac-ciamento?Bisogna che i dati vengano ag-gregati per rintracciare i foco-lai, quindi un po’ bisognerà concedere ma si può fare traccia-mento del virus con le app in mo-do non troppo invasivo. Bisogna però accompagnare la app a un esercito di esseri umani, perché se la app ti dice che sei stato in contatto con il virus hai bisogno di qualcuno che si occupi di te, che ti porti la spesa, che mandi un certificato al tuo datore di la-voro, che venga a farti i test se svi-luppi dei sintomi. Inoltre que-ste app servono ora, se le fanno tra 2 mesi sono inutili. C’è una sottovalutazione generale del-la velocità di questo virus che non lascia pause di riflessione.Ma se la situazione è questa cosa possiamo fare?Come cittadino se mi dicono che riapriamo in queste condi-zioni io mi chiudo in casa. Biso-gna fare pressione sui politici perché affrontino questo virus per quello che è: una guerra mondiale.

Test effettuati a Milwaukee foto Ap a destra Alessandro Vespignani

LO STATO DI NEW YORK AMMORBIDISCE IL LOCKDOWN, MA LA CITTÀ RESTA CHIUSA

Il virus arriva tra lo staff di Trump, anche Fauci in quarantenaII Il coronavirus ha raggiun-to gli uffici della Casa bianca: due membri dello staff in qua-rantena perché positivi al test per il Covid-19. Questo ha por-tato in quarantena anche tre funzionari sanitari, tra cui An-thony Fauci, che ha avuto con-tatti con un membro dello staff infetto. Oltre a Fauci sono in isolamento Robert Redfield, capo del Centro per il control-

lo e la prevenzione delle malat-tie (Cdc), e Stephen Hahn, di-rettore della Food and Drug ad-ministration (Fda). Il vice presi-dente Mike Pence è in auto iso-lamento ma, ci tiene a precisa-re, non è una quarantena ed è negativo al tampone.VISTE LE VASTE RISORSE a dispo-sizione della Casa bianca, in-cluso l’accesso illimitato ai te-st rapidi, altri luoghi di lavoro

molto meno protetti e monito-rati potrebbero avere difficol-tà a impedire la trasmissione del virus quando l’economia inizierà a riaprire.

Di riapertura se ne parla in tutti gli Stati, anche in quelli più colpiti e cauti come New York dove il governatore An-drew Cuomo ha annunciato il piano per la seconda fase che comincerà il 15 maggio. Non ri-

guarda tutto lo Stato ma solo le zone dove non si registrano nuovi casi da due settimane e gli ospedali hanno il reparto di terapia intensiva sotto control-lo. Si parla di riautorizzare le attività economiche non di pri-ma necessità seguendo le stes-se modalità di quelle già aper-te, come i ristoranti tramite asporto e consegna a domici-lio. New York city non è nella li-

sta delle città che riapriranno. Il sindaco De Blasio ha confer-mato che resterà in lockdown: non ci sono le basi per ipotizza-re una ripresa delle attività.AL CONTRARIO di ciò che accade nel resto dello Stato De Blasio organizza la risposta alla pan-demia in modo diverso, isolan-do i positivi con sintomi lievi in alberghi, al di fuori dei loro nuclei familiari, dove vengono

monitorati quotidianamente da personale addestrato e as-sunto dalla municipalità.

«Vi ho sempre detto la cruda verità – ha detto De Blasio – Questo virus ha mostrato e esa-cerbato le disparità economi-che e sociali. È cruciale ripensa-re al sistemo sanitario. Questa città si deve convertire al medi-care for all, la sanità pubblica. Un sistema sanitario che inclu-de anche chi non è assicurato. Questa è una missione a cui mi dedicherò con la devozione che vedo negli ospedali. Una missione a cui ci dedicheremo tutti insieme». (m.cat)

ATAF S.P.A.

Bando di gara - CIG 82917600D1

Si pubblica bando di gara aperta telematica

per l’affidamento della polizza assicurativa

RCAUTO della flotta aziendale per un pe-

riodo di 12 mesi presumibilmente dal

01/07/2020 al 30/06/2021. Importo comples-

sivo dei servizi: € 350.000,00. Criterio di ag-

giudicazione: prezzo più basso. Scadenza

gara: 15/06/2020 ore 14:00. Termine rice-

zione offerte: 16/06/2020 ore 14:00. Apertura:

17/06/2020 ore 10:00. Atti di gara sui siti:

https://ataffg.traspare.com/ e www.ataf.fg.it

Il presidente del C.d.A.

avv. Giandonato La Salandra

«Senza infrastrutture l’epidemia ripartirà»Intervista a Alessandro Vespignani, fisico di formazione da vent’anni negli Usa, ora membro della task force della Casa Bianca

C'è bisogno di un

approccio bellico, e questo

concetto non passa, c'è un

aspetto ingenuo che fa dire

'Riapriamo e vediamo che

succede'. Succede che

l'epidemia ricresce

Dopo Pearl Harbor gli Usa

costruivano un aereo ogni 6

minuti, allora perché non

costruire laboratori,

assumere tracciatori,

costruire un'economia che

tenga conto della pandemia?

13martedì 12 maggio 2020 internazionale

Page 14: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

ROBERTO CICCARELLI

II Nello specchio rosso della Cina, Simone Pieranni osserva l’immagine speculare del capi-talismo occidentale. Quello au-toritario del partito comunista cinese è raccontato in Red Mir-ror. Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, pp. 168, euro 14), bat-tente reportage saggistico che spiega le origini della pianifica-zione statale di uno sconfinato dinamismo produttivo che ha trasformato il continente-stato «rosso» da fabbrica del mondo a hub tecnologico del capitali-smo della sorveglianza. Questo è il racconto dell’adattamento graduale dello Stato-imprendito-re socialista alla strategia finaliz-zata alla conquista di una posi-zione dominante sul mercato mondiale in concorrenza con quella degli Stati Uniti. SE MARX nel Capitale scrisse che il capitalismo occidentale è gui-dato da quattro valori - «Liber-tà, Eguaglianza, Proprietà e Bentham», ora sappiamo che quello cinese è ispirato al con-trollo, alla disciplina e alla mo-rale neo-confuciana. «Arricchir-si è glorioso»: è la sintesi di que-sta realtà. È lo slogan lanciato da Deng Xiaoping negli anni Ot-tanta del XX secolo e capace di delimitare un perimetro ideo-logico, e antropologico, conti-guo a quello dell’homo oeconomi-cus o self made man occidentale. All’interno di questo perime-tro ideale è avvenuta la trasfor-mazione di un popolo di conta-dini e operai in capitalisti per-sonali e di Stato.

Il rapporto speculare usato per descrivere la Cina, e parla-

re agli occidentali, è l’applica-zione del metodo usato da Gio-vanni Arrighi nel memorabile Adam Smith a Pechino (Feltrinel-li). Da quarant’anni la Cina rie-sce ad applicare quello che i neoliberisti occidentali vorreb-bero fare, ma non possono, per le contraddizioni create dalla crisi del modo di produ-zione e dal suo rapporto con il neoliberalismo. La democra-zia liberale formale è stata svuotata, mentre il patto «so-cialdemocratico» che ha distri-buito in maniera diseguale la ricchezza per un trentennio è stato cancellato. E tuttavia, og-gi più che mai, i nostri eroi non riescono a garantirsi una continuità dei profitti. L’OPPOSTO è accaduto in Cina, almeno prima del coronavirus, in un paese dove lo Stato è il ga-rante di un patto capitalistico che ha trasformato la società in un laboratorio della produ-

zione e la produzione in un ideale storico ritenuto necessa-rio per realizzare un «sociali-smo con i tratti cinesi», un’eco-nomia di mercato «socialista», in-somma un comunismo immagi-nario che giustifica l’ideologia ufficiale attraverso l’istituzione di un capitalismo assoluto.SI SPIEGA COSÌ L’INVIDIA di Mike Moritz, un venture capitalist di Sequoia Capital che ha fi-nanziato il fiore all’occhiello dell’industria tecnologica ame-ricana come Apple, Cisco, Pay-pal, YouTube. In un editoriale sul Financial Times scrisse nel 2018 che la Silicon Valley sareb-be ossessionata dalle discussio-ni sulle disuguaglianze. In com-penso Moritz sosteneva di am-mirare la Cina perché i dipen-denti lavorano per 14 ore sei o sette giorni alla settimana. Ec-co il punto: il sogno dell’auto-ritarismo sociale, o della ditta-tura, per annientare il conflit-to di classe che tuttavia resi-ste, il dialogo ermeneutico plu-ralistico sulla scienza, l’auto-nomia non imprenditoriale dell’esistenza.IL SOGNO DELL’EFFICIENZA, e del decisionismo sullo stato di ec-cezione, ha attraversato il cam-po della gestione della pande-mia indotta dal coronavirus Co-vid 19: è più efficiente la gestio-ne «totalitaria» cinese o quella «democratica» occidentale? In una pandemia, le cui dinami-che erano all’inizio per di più sconosciute, esiste una grada-zione nell’applicazione di uno stato di emergenza continuo. Anche qui è spuntato il fanta-sma del potere assoluto, identi-ficato con una presunta effi-

cienza che, in fondo, non è al-tro che quella di un mercato og-gi devastato dalla recessione globale.

Per comprendere il rappor-to speculare, dialetticamente rovesciato, tra Cina e Occiden-te Pieranni invita a osservare come il «capitalismo di sorve-glianza» abbia avvicinato le due principali potenze. Cina e Usa stanno indicando una stra-da che sarà bene o male seguita dal resto dei paesi. La differen-za tra il modello cinese e quel-lo americano/occidentale è la seguente: nel nostro mondo i dati sono gestiti da aziende che li utilizzano per fini privati, mentre in Cina è lo Stato a di-sporre delle informazioni. Que-sta opposizione risponde in realtà a due modelli di organiz-zazione del capitalismo, in cul-ture e società classiste diverse. LE MINUZIOSE descrizioni dei progetti infrastrutturali, o del-le smart city, come quelle di ap-plicazioni sconosciute, ma on-nipresenti ed efficienti in Cina, potrebbero delineare un futu-ro da Grande Fratello. L’imma-ginario capitalista è pieno di ca-tastrofi, collassi e distopie che possono essere usate per descri-vere l’applicazione di massa di videocamere, sistema di credi-ti sociali, controlli a distanza di-spiegati in Cina. Pieranni avver-te però che questa non è una di-stopia, ma il concreto funziona-mento di un capitalismo che usa gli stessi strumenti, anche se in una gradazione diversa che dipende dal contesti politi-ci e dai rapporti di potere.

È un’osservazione cruciale per liberarsi dalla paccottiglia

ideologica che circonda i di-scorsi sull’innovazione, mo-strando invece che i sistemi di valutazione, classificazione e di comparazione che vediamo nella serie Black Mirror e sono applicati in maniera sperimen-tale in Cina, come negli Stati Uniti. Questa, poi, è la realtà quotidiana di chi usa uno smartphone. L’ACCREDITAMENTO sociale è l’altro volto dell’ideologia del-la meritocrazia, letteralmente il potere di dare un prezzo a ogni aspetto dell’esistenza tra-sformata in un capitale uma-no. Anche in questo caso, scri-ve Pieranni, è necessario cono-scere l’uso statale della merito-crazia fatta in Cina per capire come le nuove tecnologie per-mettono di prendere strade ri-schiose anche nell'economia reputazionale dall’altra parte del mondo. E come il mercato già pratichi queste strade

espropriando la privacy e il plu-svalore della nostra forza lavo-ro sulle piattaforme pubblicita-rie di uso più comune. Per com-prendere gli intrecci tra Stato e mercato nel nuovo capitali-smo è consigliabile abbandona-re le vecchie contrapposizioni ideal-tipiche e adottare la sotti-le dialettica usata da Pieranni nel suo metodo «speculare».

Questo punto di vista mate-rialistico, questo metodo, può essere applicato all’analisi dei settori di punta della nuova «Via della Seta» cinese: la geo-economia dell’intelligen-za artificiale, la competizione sull’innovazione tecnologica e di prodotto, il dominio sulle in-frastrutture e sugli investimen-ti nella ricerca. CIÒ CHE RIVELA questo libro è che viviamo in un mondo in formazione, profondamente contraddittorio, fondato su rapporti di forza, non su un po-tere assoluto unilaterale. Deci-siva è l’osservazione per cui nel sistema cinese il sogno del soluzionismo digitale è accom-pagnato da un’economia della corruzione. Di solito l’efficien-za tecnologica, o la meritocra-zia, sono salutate tra i capitali-sti come una liberazione dalla corruzione e dalla burocrazia. È l’opposto: sono straordinari moltiplicatori di vincoli e pro-blemi. «In Cina - scrive Pieran-ni - convivono molti sistemi, di-versi approcci, anche in appa-renza l’uno il contrario dell’al-tro». Se oggi torniamo a parlare di potere, partiamo allora dal suo essere un ibrido relaziona-le attraversato da conflitti reali e potenziali.

Il sogno dell’efficienza

e del decisionismo sullo

stato di eccezione: di fronte

all’epidemia è più

risolutiva la gestione

«totalitaria» cinese o quella

«democratica» occidentale?

Un’immagine dell’artista cinese Cao Fei

Il «capitalismo di sorveglianza» ha avvicinato Cina e Usa, una strada che sarà seguita dal resto del mondo

Molti i collegamenti con il presente: dai dati alla meritocrazia, fino ad arrivare alla pandemia

TRA ORIENTE E OCCIDENTE

Il metodo speculare del potere «Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina» di Simone Pieranni, in libreria dal 14 maggio per Laterza

L’immaginario capitalista

è pieno di catastrofi,

collassi e distopie usate per

descrivere l’applicazione

di massa di videocamere,

sistema di crediti sociali,

controlli a distanza

14

martedì 12 maggio 2020culture

«IL RISCALDAMENTO CLIMATICO» DI ANGELO TARTAGLIA

Se un fisico scrive alla politica indicando con garbo ciò che c’è da farePIERO BEVILACQUA

II Per chi segue la letteratura sul riscaldamento climatico, è difficile trarre interesse da qual-che nuovo testo che non riveli clamorose novità. Tuttavia, pur essendo privo di notizie eclatan-ti, il saggio di Angelo Tartaglia, Il riscaldamento climatico. Lettera di un fisico alla politica, (Edizioni Gruppo Abele. pp. 97, euro 7,99) si legge d’un fiato. E per più ra-gioni. A cominciare dalla tonali-tà media, cordiale, del ragionare - il saggio ha la forma di una mis-siva al presidente del Consiglio - per continuare con la nitidezza della scrittura, che non indulge nel tecnicismo o nell’ostentazio-ne di oscure formule matemati-che, per finire con la sua finalità politica di fondo: mostrare, smontando una a una tutte le re-toriche correnti, che oggi nulla si sta facendo in Italia e nel mon-do per contrastare l’avanzare del riscaldamento globale.

Tartaglia, non disdegna di spiegare al lettore anche le cose

all’apparenza ovvie, ma che tali non sono, e che vanno chiarite, altrimenti non si comprende la gravità dei fenomeni. Il «proble-ma - ricorda - non è il cambia-mento in sé, ma la rapidità con cui avviene e di conseguenza la frequenza dei fenomeni “ano-mali” che lo accompagnano». E infatti l’opinione corrente si fer-ma all’innalzamento della tem-peratura media - che peraltro si svolge in modo disuguale nelle varie aree del pianeta - mentre minacciosi sono gli effetti collate-rali: scioglimento dei ghiacciai, incremento imprevedibile della temperatura dei mari, loro innal-zamento e sommersione delle aree costiere, alternanza caotica di siccità e inondazioni, shock im-prevedibili ad animali e piante. L’AUTORE CHIARISCE SUBITO, in modo lapidario quale sia la cau-sa di tutto: «Tutti noi siamo par-te di un sistema socioeconomico globale che per funzionare ha un grande bisogno di energia. Oggi, l’81% di quell’energia (ag-giungendo le biomasse arrivia-

mo al 91%) è ottenuto mediante processi di combustione». Dun-que non è questo o quell’eccesso di sfruttamento o di economia estrattiva a generare il muta-mento in atto, ma l’intero asset-to mondiale della produzione e del consumo. E questo è necessa-rio stabilirlo, perché l’opinione pubblica non venga ingannata dal ceto politico con i soliti pan-nicelli caldi di qualche pannello solare in più.

Per non lasciare alcuno scam-po ai minimalisti, Tartaglia ricor-da anche quello che avviene in settori in cui all’apparenza sono meno rilevanti i processi di combu-stione, ad esempio in un ambito vi-tale dell’economia planetaria, l’a-gricoltura: «la nostra agricoltura impostata su un sistematico uso di fertilizzanti chimici porta a una progressiva riduzione del contenu-to organico nel suolo e il carbonio che non resta nel terreno si ritrova nell’atmosfera. Nelle grandi pianu-re americane lo spessore dello stra-to organico nel terreno si misura-va, nell’800, in metri, oggi in centi-

metri. E qualcosa di simile avviene anche nella pianura padana». L’e-conomia capitalistica brucia il pa-trimonio di biomasse accumulato in milioni di anni nel sottosuolo, al-tera il clima, ma libera anche CO2 dal suolo isterilendo lo strato da cui inizia la vita.UN PREGIO DI QUESTO SAGGIO è l’in-telligenza politica che sorregge ogni sua pagina e che lo rende particolarmente efficace. Non è

solito trovare negli scritti degli scienziati (se è per questo anche degli storici, soprattutto italia-ni) il garbo, l’ironia, la costante attenzione alla comunicabilità del messaggio. Il tutto indirizza-to a demolire uno dopo l’altro i pregiudizi e le menzogne con cui i poteri dominanti continua-no a condurre l’economia globa-le. Tartaglia fa giustizia, con ar-gomentazioni scientifiche, della

superstizione secondo cui l’inno-vazione ci salverà. I limiti invali-cabili della natura non consento-no facili scorciatoie. Allo stesso tempo chiede al presidente del Consiglio, per esempio, di fron-te alla imponente campagna mondiale di trivellazioni da par-te dell’ Eni, industria di stato, che contributo si dia al conteni-mento dei gas serra. Quando se-condo gli scienziati occorrereb-be che l’80% dei carburanti fossi-li rimanesse nel sottosuolo per conseguire gli obiettivi. Ma dal-la critica di Tartaglia esce a pez-zi uno dei miti della nostra clas-se dirigente, priva di ogni visio-ne e creatività: le grandi opere, che appaiono, dati alla mano, grandi divoratori di energia. Senza dire che il consumo di suolo continua in Italia al ritmo di 2metri quadrati al secondo (51 km2 nel 2108).IN VERITÀ, tutto continua come prima. Eppure molte cose po-trebbero essere realizzate per in-vertire la tendenza. Tartaglia non è avaro di consigli. Ma la lo-gica dominante è riparare, quel che si rompe, non prevenire. Co-sì, se non li fermiamo, la festa continuerà, salvo parentesi pan-demiche, fino alla catastrofe.

ALFONSO M. IACONO

II Nelle Annunciazioni, men-tre Gabriele comunica a Maria quel che sarebbe accaduto, quest’ultima, da una certa epo-ca in poi, viene quasi sempre colta con un libro che stava leg-gendo, interrotto proprio per l’arrivo dell’angelo. Cosa era quel libro? Cosa leggeva Ma-ria? Michele Feo si è messo ad analizzare una gran parte dell’enorme quantità di qua-dri che rappresentano questo evento così fondamentale nel-la storia del Cristianesimo e, aggiungeremmo, nella storia della comunicazione.

Si tratta di un lavoro appas-sionato, Cosa leggeva la Madon-na. Quasi un romanzo per immagi-ni (Polistampa, pp. 299. euro 19) è uno straordinario coacer-vo di sapienza filologica e su-spence narrativa. Michele Feo constata che vi è stata grande attenzione, naturalmente, per le immagini che rappre-sentano un simile evento, ma quasi niente per ciò che era scritto nel libro. L’ANNUNCIAZIONE rappresenta un rapporto difficile e com-plesso tra il mondo divino e quello umano, che coinvolge il tempo nella sua dialettica tra passato, presente e futuro. Una grande forma di comuni-cazione tra divino e umano è, come è noto, la profezia. Ma al-lora cosa leggeva la Madonna? Non tutte le annunciazioni la rappresentano con il libro in mano. In alcune lei attinge ac-qua con una brocca alla fonte, in altre sta filando o tessendo, ma poi ci troviamo di fronte all’innovazione iconografica. Eppure l’incontro con Gabrie-le non fu facile. Anzi fu scon-volgente. Il libro, forse più del-la brocca o del telaio, dà la sen-sazione di una donna in solitu-dine assorta nella lettura, tra-volta da un annuncio choc. Non è certo lo choc che Benja-min contrappone, nella mo-dernità, all’aura. Qui lo choc somiglia semmai alla Jetztzeit, all’adesso che sconvolge il

tempo e lo fa precipitare por-tandosi dietro futuro e passa-to. All’improvviso tutto cam-bia. Rappresentata nella tran-quillità, Maria è una ragazza che si trova di fronte a un cam-biamento catastrofico, radica-le: resterà incinta e il padre non sarà il suo futuro sposo Giuseppe, bensì Dio.

Tra Gabriele e Maria vi è un drammatico scontro. Luca (I, 35) parla di un’ombra, tema su cui si è soffermato Massimo

Cacciari in Generare Dio (Il Muli-no 2017). Di che ombra si trat-ta? L’ombra dell’Altissimo. Un’ombra che, come sapeva-no Origene e Alberto Magno,

non è l’oscurità, ma l’imma-gine di chi guarda riflessa nello specchio. Si tratta del-le iniziali delle prime parole del profeta Isaia (VII, 14): «Ec-co: la vergine concepirà e partorirà un figlio che chia-merà Emmanuele». DUNQUE, MARIA sta leggendo sull’Antico Testamento la pro-fezia di ciò che le stava acca-dendo. Infatti, «la profezia di Isaia è anello di collegamento fra le attese dell’Antico Testa-

mento e il compimento del Nuovo». Michele Feo osserva che non si sottolineerà mai ab-bastanza il fondamentale ruo-lo del libro nella cultura anti-ca e medievale e il suo identifi-carsi con la civiltà stessa.

E oggi, nell’epoca del digita-le, che rapporto c’è fra libro e tempo? Il problema non è il li-bro ma il tempo che non trova più sé stesso per il libro e non perché si afferma il digitale, ma perché passato e futuro

tendono a scomparire in un inarrestabile flusso di presen-te che, a differenza di ciò che pensava Baudelaire, non diventa affatto eterno. È come una fulgida danna-zione infernale.

Nella Madonna che legge la profezia di Isaia troviamo qualcosa in cui futuro e passa-to si intrecciano nel senso di Benjamin e, per un altro ver-so, in quello di Auerbach e della sua interpretazione fi-gurale a proposito di Dante: «il fatto terreno è profezia o ‘figura’ di una parte della realtà immediatamente e completamente divina che si attuerà in futuro». Ciò che è scritto nel libro, le parole di Isaia, è come una mise en abîme, un quadro nel quadro. INFINE, non potendo qui dare conto della complessità filolo-gica e storica del lavoro di Mi-chele Feo, ci si può soffermare soltanto sulla Madonna di An-tonello da Messina che si trova a Palazzo Abatellis di Palermo. «È la più bella di tutte le An-nunciate che furono che sono e che saranno, e a mio gusto è l’opera più grande di tutta la pittura europea - scrive l’auto-re. Lei sola merita nella vita un viaggio a Palermo».

Ma, continua Feo in questa sua affascinante interpretazio-ne, oltre a essere la più bella, è anche la più misteriosa. Infat-ti nel quadro di Antonello, l’angelo non c’è. Il gesto della mano esprime uno scatto emo-tivo interiore di Maria, la qua-le sta leggendo la profezia di Isaia e all’improvviso si chie-de: «non è che sono io colei di cui parla il profeta?» e respin-ge una simile ipotesi che inve-ce, di lì a poco, sarà conferma-ta dall’angelo. «Questa che ve-diamo di Palermo, afferma Mi-chele Feo, non è l’annunciazio-ne, ma dell’annunciazione so-lo la premonizione». Il futuro incombe sul presente. E il ge-sto della Madonna trasforma l’immagine in movimento, il movimento in emozione e l’e-mozione in poesia.

Maria, nell’imprevisto incontrocon cui ha rivoltato il tempo«Cosa leggeva la Madonna. Quasi un romanzo per immagini»

Meister von Seitenstetten, 1490

Nella storia delle rappresentazioni artistiche si trova il fascino delle Annunciazioni

ASSANGE IN ARTE È in corso da ieri una mostra ospitata nella Sala Fontana di Palazzo delle Esposizioni, costituita da una serie di circa quaranta ritratti di Julian Assange eseguiti da Miltos Manetas tra febbraio e aprile di quest’anno e vuole rappresentare

un particolare, forse paradossale, contributo di riflessione sulla condizione della reclusione, dell’isolamento, dell’impossibilità dell’incontro. Inaugurando la settimana precedente alla prevista riapertura dei musei italiani, la mostra non si potrà visitare, e

manterrà questa condizione anche quando le sale espositive dovessero riaprire le porte al pubblico. L’unica modalità per conoscerla ed esplorarla rimarranno la sua comunicazione e documentazione sui canali social e digitali di Palaexpo e il profilo

instagram.com/condizioneassange creato dall’artista per essere riempito di contenuti.«Condizione Assange» vuole essere un’operazione che coglie, nella coincidenza fra la lunga storia di reclusione e isolamento – prima da rifugiato nell’ambasciata

dell’Ecuador a Londra, poi, dopo il sequestro», nelle prigioni inglesi – di sovraesposizione mediatica e, allo stesso tempo, di riduzione al silenzio di Julian Assange, molte analogie con la condizione vissuta da miliardi di abitanti del pianeta, in queste settimane.

15martedì 12 maggio 2020 culture

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ROBERTO CICCARELLI

II Nello specchio rosso della Cina, Simone Pieranni osserva l’immagine speculare del capi-talismo occidentale. Quello au-toritario del partito comunista cinese è raccontato in Red Mir-ror. Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, pp. 168, euro 14), bat-tente reportage saggistico che spiega le origini della pianifica-zione statale di uno sconfinato dinamismo produttivo che ha trasformato il continente-stato «rosso» da fabbrica del mondo a hub tecnologico del capitali-smo della sorveglianza. Questo è il racconto dell’adattamento graduale dello Stato-imprendito-re socialista alla strategia finaliz-zata alla conquista di una posi-zione dominante sul mercato mondiale in concorrenza con quella degli Stati Uniti. SE MARX nel Capitale scrisse che il capitalismo occidentale è gui-dato da quattro valori - «Liber-tà, Eguaglianza, Proprietà e Bentham», ora sappiamo che quello cinese è ispirato al con-trollo, alla disciplina e alla mo-rale neo-confuciana. «Arricchir-si è glorioso»: è la sintesi di que-sta realtà. È lo slogan lanciato da Deng Xiaoping negli anni Ot-tanta del XX secolo e capace di delimitare un perimetro ideo-logico, e antropologico, conti-guo a quello dell’homo oeconomi-cus o self made man occidentale. All’interno di questo perime-tro ideale è avvenuta la trasfor-mazione di un popolo di conta-dini e operai in capitalisti per-sonali e di Stato.

Il rapporto speculare usato per descrivere la Cina, e parla-

re agli occidentali, è l’applica-zione del metodo usato da Gio-vanni Arrighi nel memorabile Adam Smith a Pechino (Feltrinel-li). Da quarant’anni la Cina rie-sce ad applicare quello che i neoliberisti occidentali vorreb-bero fare, ma non possono, per le contraddizioni create dalla crisi del modo di produ-zione e dal suo rapporto con il neoliberalismo. La democra-zia liberale formale è stata svuotata, mentre il patto «so-cialdemocratico» che ha distri-buito in maniera diseguale la ricchezza per un trentennio è stato cancellato. E tuttavia, og-gi più che mai, i nostri eroi non riescono a garantirsi una continuità dei profitti. L’OPPOSTO è accaduto in Cina, almeno prima del coronavirus, in un paese dove lo Stato è il ga-rante di un patto capitalistico che ha trasformato la società in un laboratorio della produ-

zione e la produzione in un ideale storico ritenuto necessa-rio per realizzare un «sociali-smo con i tratti cinesi», un’eco-nomia di mercato «socialista», in-somma un comunismo immagi-nario che giustifica l’ideologia ufficiale attraverso l’istituzione di un capitalismo assoluto.SI SPIEGA COSÌ L’INVIDIA di Mike Moritz, un venture capitalist di Sequoia Capital che ha fi-nanziato il fiore all’occhiello dell’industria tecnologica ame-ricana come Apple, Cisco, Pay-pal, YouTube. In un editoriale sul Financial Times scrisse nel 2018 che la Silicon Valley sareb-be ossessionata dalle discussio-ni sulle disuguaglianze. In com-penso Moritz sosteneva di am-mirare la Cina perché i dipen-denti lavorano per 14 ore sei o sette giorni alla settimana. Ec-co il punto: il sogno dell’auto-ritarismo sociale, o della ditta-tura, per annientare il conflit-to di classe che tuttavia resi-ste, il dialogo ermeneutico plu-ralistico sulla scienza, l’auto-nomia non imprenditoriale dell’esistenza.IL SOGNO DELL’EFFICIENZA, e del decisionismo sullo stato di ec-cezione, ha attraversato il cam-po della gestione della pande-mia indotta dal coronavirus Co-vid 19: è più efficiente la gestio-ne «totalitaria» cinese o quella «democratica» occidentale? In una pandemia, le cui dinami-che erano all’inizio per di più sconosciute, esiste una grada-zione nell’applicazione di uno stato di emergenza continuo. Anche qui è spuntato il fanta-sma del potere assoluto, identi-ficato con una presunta effi-

cienza che, in fondo, non è al-tro che quella di un mercato og-gi devastato dalla recessione globale.

Per comprendere il rappor-to speculare, dialetticamente rovesciato, tra Cina e Occiden-te Pieranni invita a osservare come il «capitalismo di sorve-glianza» abbia avvicinato le due principali potenze. Cina e Usa stanno indicando una stra-da che sarà bene o male seguita dal resto dei paesi. La differen-za tra il modello cinese e quel-lo americano/occidentale è la seguente: nel nostro mondo i dati sono gestiti da aziende che li utilizzano per fini privati, mentre in Cina è lo Stato a di-sporre delle informazioni. Que-sta opposizione risponde in realtà a due modelli di organiz-zazione del capitalismo, in cul-ture e società classiste diverse. LE MINUZIOSE descrizioni dei progetti infrastrutturali, o del-le smart city, come quelle di ap-plicazioni sconosciute, ma on-nipresenti ed efficienti in Cina, potrebbero delineare un futu-ro da Grande Fratello. L’imma-ginario capitalista è pieno di ca-tastrofi, collassi e distopie che possono essere usate per descri-vere l’applicazione di massa di videocamere, sistema di credi-ti sociali, controlli a distanza di-spiegati in Cina. Pieranni avver-te però che questa non è una di-stopia, ma il concreto funziona-mento di un capitalismo che usa gli stessi strumenti, anche se in una gradazione diversa che dipende dal contesti politi-ci e dai rapporti di potere.

È un’osservazione cruciale per liberarsi dalla paccottiglia

ideologica che circonda i di-scorsi sull’innovazione, mo-strando invece che i sistemi di valutazione, classificazione e di comparazione che vediamo nella serie Black Mirror e sono applicati in maniera sperimen-tale in Cina, come negli Stati Uniti. Questa, poi, è la realtà quotidiana di chi usa uno smartphone. L’ACCREDITAMENTO sociale è l’altro volto dell’ideologia del-la meritocrazia, letteralmente il potere di dare un prezzo a ogni aspetto dell’esistenza tra-sformata in un capitale uma-no. Anche in questo caso, scri-ve Pieranni, è necessario cono-scere l’uso statale della merito-crazia fatta in Cina per capire come le nuove tecnologie per-mettono di prendere strade ri-schiose anche nell'economia reputazionale dall’altra parte del mondo. E come il mercato già pratichi queste strade

espropriando la privacy e il plu-svalore della nostra forza lavo-ro sulle piattaforme pubblicita-rie di uso più comune. Per com-prendere gli intrecci tra Stato e mercato nel nuovo capitali-smo è consigliabile abbandona-re le vecchie contrapposizioni ideal-tipiche e adottare la sotti-le dialettica usata da Pieranni nel suo metodo «speculare».

Questo punto di vista mate-rialistico, questo metodo, può essere applicato all’analisi dei settori di punta della nuova «Via della Seta» cinese: la geo-economia dell’intelligen-za artificiale, la competizione sull’innovazione tecnologica e di prodotto, il dominio sulle in-frastrutture e sugli investimen-ti nella ricerca. CIÒ CHE RIVELA questo libro è che viviamo in un mondo in formazione, profondamente contraddittorio, fondato su rapporti di forza, non su un po-tere assoluto unilaterale. Deci-siva è l’osservazione per cui nel sistema cinese il sogno del soluzionismo digitale è accom-pagnato da un’economia della corruzione. Di solito l’efficien-za tecnologica, o la meritocra-zia, sono salutate tra i capitali-sti come una liberazione dalla corruzione e dalla burocrazia. È l’opposto: sono straordinari moltiplicatori di vincoli e pro-blemi. «In Cina - scrive Pieran-ni - convivono molti sistemi, di-versi approcci, anche in appa-renza l’uno il contrario dell’al-tro». Se oggi torniamo a parlare di potere, partiamo allora dal suo essere un ibrido relaziona-le attraversato da conflitti reali e potenziali.

Il sogno dell’efficienza

e del decisionismo sullo

stato di eccezione: di fronte

all’epidemia è più

risolutiva la gestione

«totalitaria» cinese o quella

«democratica» occidentale?

Un’immagine dell’artista cinese Cao Fei

Il «capitalismo di sorveglianza» ha avvicinato Cina e Usa, una strada che sarà seguita dal resto del mondo

Molti i collegamenti con il presente: dai dati alla meritocrazia, fino ad arrivare alla pandemia

TRA ORIENTE E OCCIDENTE

Il metodo speculare del potere «Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina» di Simone Pieranni, in libreria dal 14 maggio per Laterza

L’immaginario capitalista

è pieno di catastrofi,

collassi e distopie usate per

descrivere l’applicazione

di massa di videocamere,

sistema di crediti sociali,

controlli a distanza

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martedì 12 maggio 2020culture

«IL RISCALDAMENTO CLIMATICO» DI ANGELO TARTAGLIA

Se un fisico scrive alla politica indicando con garbo ciò che c’è da farePIERO BEVILACQUA

II Per chi segue la letteratura sul riscaldamento climatico, è difficile trarre interesse da qual-che nuovo testo che non riveli clamorose novità. Tuttavia, pur essendo privo di notizie eclatan-ti, il saggio di Angelo Tartaglia, Il riscaldamento climatico. Lettera di un fisico alla politica, (Edizioni Gruppo Abele. pp. 97, euro 7,99) si legge d’un fiato. E per più ra-gioni. A cominciare dalla tonali-tà media, cordiale, del ragionare - il saggio ha la forma di una mis-siva al presidente del Consiglio - per continuare con la nitidezza della scrittura, che non indulge nel tecnicismo o nell’ostentazio-ne di oscure formule matemati-che, per finire con la sua finalità politica di fondo: mostrare, smontando una a una tutte le re-toriche correnti, che oggi nulla si sta facendo in Italia e nel mon-do per contrastare l’avanzare del riscaldamento globale.

Tartaglia, non disdegna di spiegare al lettore anche le cose

all’apparenza ovvie, ma che tali non sono, e che vanno chiarite, altrimenti non si comprende la gravità dei fenomeni. Il «proble-ma - ricorda - non è il cambia-mento in sé, ma la rapidità con cui avviene e di conseguenza la frequenza dei fenomeni “ano-mali” che lo accompagnano». E infatti l’opinione corrente si fer-ma all’innalzamento della tem-peratura media - che peraltro si svolge in modo disuguale nelle varie aree del pianeta - mentre minacciosi sono gli effetti collate-rali: scioglimento dei ghiacciai, incremento imprevedibile della temperatura dei mari, loro innal-zamento e sommersione delle aree costiere, alternanza caotica di siccità e inondazioni, shock im-prevedibili ad animali e piante. L’AUTORE CHIARISCE SUBITO, in modo lapidario quale sia la cau-sa di tutto: «Tutti noi siamo par-te di un sistema socioeconomico globale che per funzionare ha un grande bisogno di energia. Oggi, l’81% di quell’energia (ag-giungendo le biomasse arrivia-

mo al 91%) è ottenuto mediante processi di combustione». Dun-que non è questo o quell’eccesso di sfruttamento o di economia estrattiva a generare il muta-mento in atto, ma l’intero asset-to mondiale della produzione e del consumo. E questo è necessa-rio stabilirlo, perché l’opinione pubblica non venga ingannata dal ceto politico con i soliti pan-nicelli caldi di qualche pannello solare in più.

Per non lasciare alcuno scam-po ai minimalisti, Tartaglia ricor-da anche quello che avviene in settori in cui all’apparenza sono meno rilevanti i processi di combu-stione, ad esempio in un ambito vi-tale dell’economia planetaria, l’a-gricoltura: «la nostra agricoltura impostata su un sistematico uso di fertilizzanti chimici porta a una progressiva riduzione del contenu-to organico nel suolo e il carbonio che non resta nel terreno si ritrova nell’atmosfera. Nelle grandi pianu-re americane lo spessore dello stra-to organico nel terreno si misura-va, nell’800, in metri, oggi in centi-

metri. E qualcosa di simile avviene anche nella pianura padana». L’e-conomia capitalistica brucia il pa-trimonio di biomasse accumulato in milioni di anni nel sottosuolo, al-tera il clima, ma libera anche CO2 dal suolo isterilendo lo strato da cui inizia la vita.UN PREGIO DI QUESTO SAGGIO è l’in-telligenza politica che sorregge ogni sua pagina e che lo rende particolarmente efficace. Non è

solito trovare negli scritti degli scienziati (se è per questo anche degli storici, soprattutto italia-ni) il garbo, l’ironia, la costante attenzione alla comunicabilità del messaggio. Il tutto indirizza-to a demolire uno dopo l’altro i pregiudizi e le menzogne con cui i poteri dominanti continua-no a condurre l’economia globa-le. Tartaglia fa giustizia, con ar-gomentazioni scientifiche, della

superstizione secondo cui l’inno-vazione ci salverà. I limiti invali-cabili della natura non consento-no facili scorciatoie. Allo stesso tempo chiede al presidente del Consiglio, per esempio, di fron-te alla imponente campagna mondiale di trivellazioni da par-te dell’ Eni, industria di stato, che contributo si dia al conteni-mento dei gas serra. Quando se-condo gli scienziati occorrereb-be che l’80% dei carburanti fossi-li rimanesse nel sottosuolo per conseguire gli obiettivi. Ma dal-la critica di Tartaglia esce a pez-zi uno dei miti della nostra clas-se dirigente, priva di ogni visio-ne e creatività: le grandi opere, che appaiono, dati alla mano, grandi divoratori di energia. Senza dire che il consumo di suolo continua in Italia al ritmo di 2metri quadrati al secondo (51 km2 nel 2108).IN VERITÀ, tutto continua come prima. Eppure molte cose po-trebbero essere realizzate per in-vertire la tendenza. Tartaglia non è avaro di consigli. Ma la lo-gica dominante è riparare, quel che si rompe, non prevenire. Co-sì, se non li fermiamo, la festa continuerà, salvo parentesi pan-demiche, fino alla catastrofe.

ALFONSO M. IACONO

II Nelle Annunciazioni, men-tre Gabriele comunica a Maria quel che sarebbe accaduto, quest’ultima, da una certa epo-ca in poi, viene quasi sempre colta con un libro che stava leg-gendo, interrotto proprio per l’arrivo dell’angelo. Cosa era quel libro? Cosa leggeva Ma-ria? Michele Feo si è messo ad analizzare una gran parte dell’enorme quantità di qua-dri che rappresentano questo evento così fondamentale nel-la storia del Cristianesimo e, aggiungeremmo, nella storia della comunicazione.

Si tratta di un lavoro appas-sionato, Cosa leggeva la Madon-na. Quasi un romanzo per immagi-ni (Polistampa, pp. 299. euro 19) è uno straordinario coacer-vo di sapienza filologica e su-spence narrativa. Michele Feo constata che vi è stata grande attenzione, naturalmente, per le immagini che rappre-sentano un simile evento, ma quasi niente per ciò che era scritto nel libro. L’ANNUNCIAZIONE rappresenta un rapporto difficile e com-plesso tra il mondo divino e quello umano, che coinvolge il tempo nella sua dialettica tra passato, presente e futuro. Una grande forma di comuni-cazione tra divino e umano è, come è noto, la profezia. Ma al-lora cosa leggeva la Madonna? Non tutte le annunciazioni la rappresentano con il libro in mano. In alcune lei attinge ac-qua con una brocca alla fonte, in altre sta filando o tessendo, ma poi ci troviamo di fronte all’innovazione iconografica. Eppure l’incontro con Gabrie-le non fu facile. Anzi fu scon-volgente. Il libro, forse più del-la brocca o del telaio, dà la sen-sazione di una donna in solitu-dine assorta nella lettura, tra-volta da un annuncio choc. Non è certo lo choc che Benja-min contrappone, nella mo-dernità, all’aura. Qui lo choc somiglia semmai alla Jetztzeit, all’adesso che sconvolge il

tempo e lo fa precipitare por-tandosi dietro futuro e passa-to. All’improvviso tutto cam-bia. Rappresentata nella tran-quillità, Maria è una ragazza che si trova di fronte a un cam-biamento catastrofico, radica-le: resterà incinta e il padre non sarà il suo futuro sposo Giuseppe, bensì Dio.

Tra Gabriele e Maria vi è un drammatico scontro. Luca (I, 35) parla di un’ombra, tema su cui si è soffermato Massimo

Cacciari in Generare Dio (Il Muli-no 2017). Di che ombra si trat-ta? L’ombra dell’Altissimo. Un’ombra che, come sapeva-no Origene e Alberto Magno,

non è l’oscurità, ma l’imma-gine di chi guarda riflessa nello specchio. Si tratta del-le iniziali delle prime parole del profeta Isaia (VII, 14): «Ec-co: la vergine concepirà e partorirà un figlio che chia-merà Emmanuele». DUNQUE, MARIA sta leggendo sull’Antico Testamento la pro-fezia di ciò che le stava acca-dendo. Infatti, «la profezia di Isaia è anello di collegamento fra le attese dell’Antico Testa-

mento e il compimento del Nuovo». Michele Feo osserva che non si sottolineerà mai ab-bastanza il fondamentale ruo-lo del libro nella cultura anti-ca e medievale e il suo identifi-carsi con la civiltà stessa.

E oggi, nell’epoca del digita-le, che rapporto c’è fra libro e tempo? Il problema non è il li-bro ma il tempo che non trova più sé stesso per il libro e non perché si afferma il digitale, ma perché passato e futuro

tendono a scomparire in un inarrestabile flusso di presen-te che, a differenza di ciò che pensava Baudelaire, non diventa affatto eterno. È come una fulgida danna-zione infernale.

Nella Madonna che legge la profezia di Isaia troviamo qualcosa in cui futuro e passa-to si intrecciano nel senso di Benjamin e, per un altro ver-so, in quello di Auerbach e della sua interpretazione fi-gurale a proposito di Dante: «il fatto terreno è profezia o ‘figura’ di una parte della realtà immediatamente e completamente divina che si attuerà in futuro». Ciò che è scritto nel libro, le parole di Isaia, è come una mise en abîme, un quadro nel quadro. INFINE, non potendo qui dare conto della complessità filolo-gica e storica del lavoro di Mi-chele Feo, ci si può soffermare soltanto sulla Madonna di An-tonello da Messina che si trova a Palazzo Abatellis di Palermo. «È la più bella di tutte le An-nunciate che furono che sono e che saranno, e a mio gusto è l’opera più grande di tutta la pittura europea - scrive l’auto-re. Lei sola merita nella vita un viaggio a Palermo».

Ma, continua Feo in questa sua affascinante interpretazio-ne, oltre a essere la più bella, è anche la più misteriosa. Infat-ti nel quadro di Antonello, l’angelo non c’è. Il gesto della mano esprime uno scatto emo-tivo interiore di Maria, la qua-le sta leggendo la profezia di Isaia e all’improvviso si chie-de: «non è che sono io colei di cui parla il profeta?» e respin-ge una simile ipotesi che inve-ce, di lì a poco, sarà conferma-ta dall’angelo. «Questa che ve-diamo di Palermo, afferma Mi-chele Feo, non è l’annunciazio-ne, ma dell’annunciazione so-lo la premonizione». Il futuro incombe sul presente. E il ge-sto della Madonna trasforma l’immagine in movimento, il movimento in emozione e l’e-mozione in poesia.

Maria, nell’imprevisto incontrocon cui ha rivoltato il tempo«Cosa leggeva la Madonna. Quasi un romanzo per immagini»

Meister von Seitenstetten, 1490

Nella storia delle rappresentazioni artistiche si trova il fascino delle Annunciazioni

ASSANGE IN ARTE È in corso da ieri una mostra ospitata nella Sala Fontana di Palazzo delle Esposizioni, costituita da una serie di circa quaranta ritratti di Julian Assange eseguiti da Miltos Manetas tra febbraio e aprile di quest’anno e vuole rappresentare

un particolare, forse paradossale, contributo di riflessione sulla condizione della reclusione, dell’isolamento, dell’impossibilità dell’incontro. Inaugurando la settimana precedente alla prevista riapertura dei musei italiani, la mostra non si potrà visitare, e

manterrà questa condizione anche quando le sale espositive dovessero riaprire le porte al pubblico. L’unica modalità per conoscerla ed esplorarla rimarranno la sua comunicazione e documentazione sui canali social e digitali di Palaexpo e il profilo

instagram.com/condizioneassange creato dall’artista per essere riempito di contenuti.«Condizione Assange» vuole essere un’operazione che coglie, nella coincidenza fra la lunga storia di reclusione e isolamento – prima da rifugiato nell’ambasciata

dell’Ecuador a Londra, poi, dopo il sequestro», nelle prigioni inglesi – di sovraesposizione mediatica e, allo stesso tempo, di riduzione al silenzio di Julian Assange, molte analogie con la condizione vissuta da miliardi di abitanti del pianeta, in queste settimane.

15martedì 12 maggio 2020 culture

Page 16: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

SILVIA NUGARA

II Che ne sarà della nostra ca-pacità di librarci oltre le tenta-zioni disciplinari, di vibrare tra gli interstizi dei comparti-menti stagni, di veleggiare sempre avanti e oltre ogni ca-tegoria se ci lasciano anche gli «anti-maestri» che hanno fat-to la rivoluzione creativa del ’77 come Giacomo Verde, spentosi a 64 anni nella notte tra il 1° e il 2 maggio? Il suo mantra degli ultimi mesi era «la vita è un formaggio» per-ché spesso basta un assaggio ed è buono anche se è fuso. MALATO da tempo, senza ri-nunciare neppure per un istante a creare e sostenere progetti e battaglie proprie e altrui, Verde è stato davvero quel che si dice un «pioniere» del video e delle multiformi applicazioni artistiche del di-gitale che sapeva plasmare tra-mutandolo in arte come in poesia; e usare al contempo come mezzo di espressione ci-vile e persino di contro-infor-mazione. Si pensi ad alcune delle tappe più significative del suo lungo sodalizio col poeta e «fratello» Lello Voce, per le cui performance creava video-fondali dal vivo, e che a Genova nel 2001 era con lui nei giorni delle manifestazio-ni del movimento anti-G8. Giacomo con la videocamera, Lello con un piccolo registra-tore: sottrarre immagini, suo-ni e pensieri all’oblio, per da-re un contributo al movimen-to e per cercare di capire cosa stava accadendo anche se «sembrava di assistere a qual-cosa di comunque già visto». Ne nacque Solo limoni film lega-to alla tradizione del cinema e del video militante tanto nella forma, capace di docu-mentare alcuni momenti di quelle giornate smarcandosi dalla comunicazione-spetta-colo, quanto nelle modalità distributive con cui girò l’Ita-lia nell’immediato indomani di quelle giornate. Oggi il film è disponibile in rete; all’epoca, quando veniva pre-sentato con l’omonima anto-logia poetica di testi raccolti da Lello Voce in librerie, uni-versità, circoli, associazioni, centri sociali, Solo limoni era un oggetto relazionale che of-friva la possibilità di discute-re e condividere con sguardo critico e poetico l’esperienza di un trauma collettivo.

Verde era nato a Cimitile in provincia di Napoli e cresciuto a Empoli. Ispirato dalle speri-

mentazioni di Giuliano Scabia e folgorato dal Living Theatre, dagli anni Settanta si occupa-va di teatro e arti visive ma, in-sofferente a ogni mistica, ma-niera e mania di protagoni-smo dei teatranti, aveva svilup-pato una pratica per fornire ri-sposte collettive e linguistica-mente ibride alla necessità an-tropologica di rappresentazio-ne. Aveva finito per chiamarla «arte ultrascenica» e la concepi-va come possibilità creativa di superamento del teatro a parti-re dal teatro stesso. TRA I PRIMI a coniugare perfor-mance, video, computer grafi-ca, televisione e net-art, fece del video uno strumento di guerrilla creativa e s’inventò il «tele-racconto», ovvero una

forma d’arte che intrecciava narrazione, disegni e immagi-ni realizzate dal vivo o no con una videocamera a mano e poi proiettate su uno o più schermi in spazi ogni volta di-versi, dai borghi medioevali al-le sale da spettacolo.

IN UN’INTERVISTA sul blog dialo-ghiresistenti chiariva: «Il vi-deo non è la televisione. E lo spazio teatrale può mostrare come il video possa essere al-tro dalla televisione. Nel tea-tro si possono svelare gli in-ganni e i giochi percettivi del-

la macchina-video. Di-mo-strando che quello che passa attraverso le antenne è solo una parte (e non sempre la mi-gliore) di quello che si potreb-be fare con gli schermi e le vi-deocamere. Per questo ho ini-ziato ad utilizzare il video in teatro. Pensando prima di tut-to ai bambini. Che sono nella fase di sperimentazione e creazione dei codici di ricono-scimento del mondo in cui vi-vono». «Techno artista cyber-punk» dalle mille incarnazio-ni e collaborazioni, ha opera-to tutta la vita per creare con-nessioni tra persone, forme e linguaggi convinto che nes-sun medium potesse essere cattivo di per sé ma anzi ispira-to da uno spirito ludico e cu-

rioso alla scoperta del nuovo e del possibile.

Aveva coniato i termini «ar-tivista» e «tecnoartivista» e nel 2007 aveva raccolto interven-ti e riflessioni in un volume in-titolato Artivismo tecnologico. Scritti e interviste su arte, politica, teatro e tecnologia (BFS – Biblio-teca Franco Serantini, con pre-fazione di Antonio Caronia). Nel 2018, invece, Silvana Vas-sallo gli aveva dedicato la pri-ma monografia: Giacomo Ver-de – videoartivista (ETS).

Nel 2003 aveva realizzato i video-fondali-live per Elettra di e con Nanni Balestrini ed era tornato a collaborare nel 2012 con il poeta per il proget-to Tristanoil esposto a Kassel per dOCUMENTA 13 e poi cir-colato in diversi spazi. Il film traduceva in video il principio combinatorio del romanzo Tri-stano di Balestrini con un’ope-ra generata automaticamente dall’assemblamento aleatorio via computer di 120 clip da 10 minuti per una durata poten-zialmente infinita. Un magma audiovisivo di stralci di testo e sequenze di distruzione plane-taria bagnate nella viscosità del petrolio come principio di unitarietà visiva. VERDE è stato anche docente all’Accademia di Torino, alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Roma Tre e all’Accademia di Carrara che sul suo sito sta rac-cogliendo una cyberbibliogra-fia di omaggi. Sono ricordi e narrazioni tutte diverse, nes-suno che ripeta le stesse tappe e le stesse imprese perché so-no state tantissime in «una vi-ta dedicata alla ricerca del bel-lo e del giusto attraverso l’im-pegno nella cultura e nell’ar-te», come hanno scritto i compagni dell’Officina d’ar-te fotografica e contempora-nea Dada Boom. Nel suo ulti-mo tele-racconto, Piccolo dia-rio dei malanni, Giac ripercor-reva con ironia e vis polemi-ca le pagine di un taccuino da lui scritto e illustrato a partire dal 2012 a cavallo tra personale e collettivo. Un percorso poetico attraverso talent show, proteste No Tav e viaggi di lavoro in cui l’e-sperienza del cancro irrom-peva in tutta la sua tragica semplicità. Alla fine, il silen-zio del diario lasciava posto a una danza techno-trance marocchina. Senza la sua im-maginazione e capacità poe-tica sarà più difficile inventa-re da soli quel futuro di cui, come ripeteva nei suoi tweet, abbiamo bisogno.

SHANGHAI

Riapre il parco Disney, nuove regolee percorsi per rispondere alla crisi

II Disney ha riaperto il suo parco a Shangai dopo più di tre mesi di chiusura a causa della pandemia. I visitatori saranno ammessi secondo le regole del distanziamento so-ciale, dovrano indossare le mascherine a al momento dell’entrata gli sarà misura-ta la temperatura. A ciascu-no verranno assegnati slot di orari precisi in un percorso molto diverso da quello pre-cedente. I biglietti messi in vendita lo scorso venerdì so-no andati esauriti dopo po-chissimo tempo, anche per-ché con le nuove disposizio-ni la capacità di accoglienza dei visitatori è ridotta al 30%

rispetto agli abituali 80mila giornalieri. Le aree giochi per i bambini e i teatro ri-mangono per ora chiusi co-me sono ancora vietati gli eventi serali, le sfilate o gli spettacoli e le foto ricordo coi «personaggi» live del par-co. Chi arriva dalla Cina sarà ammesso solo esibendo un codice QR verde che attesta il buono stato di salute.

Il parco di Shangai è stato chiuso lo scorso 21 febbraio, come molti altri nel mondo, ma la multinazionale ameri-cana preme per riaprire al più presto visto che lo stop causato dalla pandemia ha fatto crollare gli utili del 91%

rispetto allostesso periodo dello scorso anno. La Disney ha subito infatti le ripecus-sioni del lockdown su mol-ti settori, cancellate le cro-ciere, le sale chiuse hanno bloccato l’uscita dei block-buster anche se con il lan-cio della piatatforma strea-ming Disney+ in parte sono riusciti a attutire le perdite.IL GRUPPO è stato anche mol-to criticato da Bernie Sanders e dall’erede di Disney, Abi-gail Disney, perché nonostan-te abbia incassato i dividendi ha tagliato moltissimi dipen-denti. Bob Iger, presidente esecutivo, ha rinunciato al suo stipendio per il 2020.

II In Corea del Sud, dove i ci-nema hanno già riaperto, e in alcuni casi non hanno mai chiuso, la principale catena di multiplex del paese (CJ-CG) ha sviluppato - nella catena di Yoido, un quartiere di Seul - una nuova tecnologia per evi-tare qualsiasi contatto con il personale che lavora nelle sa-le: rimpiazzando le persone – al botteghino, nei chioschi che vendono snack – con in-telligenze artificiali e applica-zioni che rimpiazzano ogni contatto umano.

«Abbiamo previsto che la ri-chiesta di servizi ’un-tact’ (il termine con cui viene indicata la tecnologia, ndr) da parte de-gli spettatori crescerà», ha det-

to a «Variety» Oh Sae-sik, a ca-po del dipartimento innova-zione di CJ CGV. «Analizzere-mo il feedback degli spettatori e considereremo se espandere il servizio un-tact, che renderà i nostri servizi più convenien-ti per i clienti, e aumenterà l’efficienza delle operazioni delle sale cinematografiche». LO SCIVOLAMENTO verso il digi-tale, e la perdita di posti lavo-ro legata alla pandemia di Co-ronavirus diventa quindi sem-pre più una realtà nell’«esperi-mento» coreano, condiviso an-che da un’altra catena: Lotte Cinema, che ha applicato la tecnologia un-tact, dalla fine di aprile, in 22 delle sue 130 multisale. Nel paese asiatico il

box office, in caduta libera da febbraio, ha cominciato a risa-lire - secondo i dati del Korean Film Council - dal mese di apri-le. Ma i risultati del box office sono comunque minimi - il 5% - rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. In testa al botteghino c’è Un giorno di pioggia a New York di Woody Al-len, che in cinque giorni ha in-cassato 344.000 dollari, e al se-condo posto il film d’anima-zione Trolls World Tour. Ma le nuove uscite della maggior parte di film coreani e interna-zionali sono state rimandate a tempi migliori, e per il mo-mento la maggior parte dell’offerta è rappresentata da vecchi titoli.

Per motivi di spazio,

la rubrica di Mariangela

Mianiti slitta a domani

UNA NUOVA TECNOLOGIA NEI CINEMA IN COREA DEL SUD

«Untact», rimpiazzare le persone con i robot

Nato nel 1956, Giacomo Verde inizia a realizzare videotape

negli anni Ottanta, nel 1986 fonda il gruppo di teatro-musica

Bandamagnetica e nel 1989 inventa il tele-racconto,

performance teatrale che coniuga narrazione, micro-teatro e

macro ripresa in diretta. Nel 1993 realizza per il festival di

Santarcangelo la «oper’azione ultrascenica» «Saldi», e tre anni

dopo crea, con il gruppo Quinta Parete di Empoli, la Minimal tv.

Del 1998 è il tecno-racconto «Storie mandaliche», seguito nel

2003 da «Storie mandaliche 2.0». Realizza nel 2002 «S’era tutti

sovversivi - dedicato a Franco Serantini» sull’uccisione del

giovane anarchico . Il trittico «Ritratto collettivo» è del 2019.

Giacomo Verde

Addio all’«artivista», tra i primi a coniugare video, performance, computer grafica, televisione e net-art GIACOMO VERDE

Habemus corpus

Dalla Minimal tv a «Storie Mandaliche»

Le molteplici incarnazionidi un «techno artista cyberpunk»«Solo limoni» sul G8 di Genova, Nanni Balestrini, il «tele-racconto»

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martedì 12 maggio 2020visioni

SU RAI3 «CHE CI FACCIO QUI»

Da Rosarno a Corviale, tra vitedisperate e voglia di riscatto

Agostino Ferrente,un premio per i ragazzidimenticati di NapoliParla il regista di «Selfie», ambientato a Rione Traiano,miglior documentario ai David di Donatello 2020

Agostino Ferrente

ZalAbb, una piattaforma indipendente

GIOVANNA BRANCA

II «Se avessi avuto la possibili-tà di ringraziare avrei mandato un pensiero ai ragazzi protago-nisti del mio film, che sono quel-li più penalizzati da questa situa-zione»: dall’emergenza sanita-ria, e dal conseguente confina-mento in cui ci troviamo ormai da mesi. Agostino Ferrente, vin-citore con Selfie del premio al mi-glior documentario ai David di Donatello di domenica scorsa - la prima edizione senza pubbli-co ai tempi del lockdown - pen-sa a Pietro e Alessandro, i due ra-gazzi di Rione Traiano a Napoli protagonisti del film. «SELFIE» lo hanno girato loro stes-si, con degli smartphone con cui riprendono la loro vita quoti-diana in un quartiere dove gli adolescenti come Pietro e Ales-sandro hanno pochissime pro-spettive oltre a diventare mano-valanza per la camorra. «Si parla

tanto della didattica a distanza - aggiunge Ferrente - ma questi ra-gazzi neanche hanno un compu-ter, hanno passato il lockdown in seminterrati umidi dove in-ternet non arriva». PIETRO, come sognava nel film, ha trovato lavoro come parruc-chiere - e come tutti i suoi colle-ghi riprenderà a lavorare dal pri-mo giugno - mentre Alessandro, che fa il barista, non ha risposto al telefono quando il regista lo ha chiamato per annunciargli la vittoria: «Stava dormendo: lui al-le cinque si alza per andare ad aprire il bar ora che c’è la possi-bilità di preparare le cose da asporto. Ha saputo del premio la mattina dopo, ed è scoppiato a piangere».

Oltre a loro, Ferrente voleva dedicare un pensiero anche all’amico di Pietro e Alessandro scomparso nel 2014: Davide Bi-folco, ucciso dal proiettile di un carabiniere che gli ha sparato

mentre andava in motorino con gli amici. «Avrei ricordato ai mi-lioni di telespettatori che questo premio si chiama come il ragazzi-no di 16 anni a cui il nostro picco-lo film è stato dedicato, Davide, dimenticato e poi ucciso da uno Stato che non sa crescere e pro-teggere i suoi figli più deboli».

Felice del premio ma amareg-giato quindi dal fatto che alla ca-tegoria documentario non sia stato dedicato neanche il tempo per dei ringraziamenti, Ferren-te si interroga sulla penalizza-zione del racconto della realtà nel nostro paese. «In Italia pur-troppo il documentario resta una cenerentola nel sistema ci-nema, all’interno del quale io credo che rappresenti il terreno più vivo di ricerca e innovazio-ne dei linguaggi e delle tecni-che, oltre che di esplorazione dei sentimenti che si manifesta-no più in profondità nelle no-stre società. Un ambito in cui più che altrove ci si pone doman-de, si fa ricerca, si sperimenta. Ma che è sempre più difficile riu-scire a fare». E, aggiunge: «Non parlo solo del mio film: in quel-lo di Franco Maresco viene af-frontato il problema della ma-fia, nel documentario su Caliga-ri (Se c’è un aldilà sono fottuto, ndr) si racconta la tossicodipenden-za, la Ostia di Amore tossico. E an-che il documentario su France-sco Rosi (Citizen Rosi, ndr) raccon-ta la storia d’Italia, lo stragi-smo, il via libera alla mafia nel dopoguerra purché fermasse il comunismo». E POI CI SONO i ragazzi dimentica-ti dallo Stato come i protagoni-sti di Selfie: «Quelli che abbando-nano la scuola perché è la scuola che li abbandona a se stessi, quelli che non hanno genitori laureati che li possono aiutare a fare i compiti a casa e che non possono permettersi di pagare per loro le ripetizioni private. Quelli che a 13 anni sognano di diventare calciatori, ma poi uno ci riesce e 1000 finiscono dall’u-nico datore di lavoro interessa-to a dargli una mano: la crimina-lità. Dire queste cose in diretta sarebbe stato un richiamo alla realtà dura, vera». All’indomani della vittoria ai David, Ferrente rivolge quindi un appello al sin-daco di Napoli, Luigi De Magi-stris: «Spero che il sindaco, che ha espresso giudizi lusinghieri sulle opere premiate, realizzate a Napoli o da artisti napoletani, ac-colga la mia proposta di conferi-re le chiavi della città ad Alessan-dro, Pietro e i tanti ragazzi delle periferie, che amano Napoli ma spesso non si sentono amati. Le chiavi di solito vengono assegna-te alle celebrità per farle sentire ’a casa’. Ecco, bisognerebbe far sentire anche questi ragazzi un po’ di più a casa loro».

Zalab arriva online con la

piattaforma straming ZalAbb

(https://partecipa.zalab.org/) il

cui intento è creare una

comunità di spettatori vicina a

quella che nei dieci anni di lavoro

ha cercato di costruire con la

distribuzione di cinema

indipendente e attento alle

contraddizioni del proprio

tempo. La visione del film sarà

accompagnata da dibattiti, dirette, discussioni con gli autori - sulla

pagina facebook: di Zalab: https://www.facebook.com/zaLab/ e

sul canale youtube Zalab tv,

https://www.youtube.com/user/zalabTV). Per abbonarsi 10

euro ogni 2 mesi con cui si ha accesso alla visione in

streaming delle opere in piattaforma. Tra titoli « Libre» di

Michael Tosca, la storia di Cédric Herrou, il contadino della Val

Roja che aiuta i migranti a passare dall’Italia alla Francia.

«Castro» di Paolo Civati, il racconto dell’occupazione abitativa

romana - si discuterà poi dell’emergenza abitativa col regista

e con Paolo Berdini. «Il sangue verde» (21/05) di Andrea Segre,

le manifestazioni degli immigrati a Rosarno, con un incontro

live su agricoltura, braccianti e regolarizzazioni (il 25).

C’è qualcosa di vagamen-te surreale nell’ostina-zione di Thierry Frém-

aux - e più in generale dell’in-tera macchina decisionale che lo sostiene - a non voler am-mettere che l’edizione 2020 del Festival di Cannes non ci sarà. O meglio, a non dirlo esplicitamente come hanno fatto le altre sezioni - Quinzai-ne, Acid, Semaine de la criti-que - rassegnandosi a qualcosa che non gli si può imputare visto che la pandemia ha an-nullato eventi assai più impor-tanti su scala mondiale, uno per tutti le Olimpiadi in Giap-pone posticipate all’anno pros-simo. Lui no, non ce la fa e così glissa, allude, ci gira intorno parlando di eventi «congiunti» con festival compreso quello di Venezia - anche se poi come abbiamo capito nulla di con-creto è stato mai stabilito. Lo stesso è riuscito a fare in un’intervista rilasciata a «Screen» alla vigilia dell’aper-tura di Cannes prevista origi-nariamente per oggi - e fino al 23 maggio. Frémaux parla dei suoi sentimenti, «nostalgia e malinconia», e del fatto che fermarsi può essere «un’occa-sione per riflettere sul futuro». E poi: «Sarà difficile ipotizzare per quest’anno un’edizione ’fisica’ del festival». Insomma nonostante la duplice cancella-zione - in un primo tempo si era parlato di posticiparlo a luglio ma il divieto di grandi eventi è stato esteso in Francia fino alla metà di quel mese - la frase netta: «Cannes 2020 non ci sarà» proprio non rie-sce a pronunciarla. Tabù da contat-to come direbbe la psicanalisi, rimpianto comprensibile visto il lavoro o presunzione?In compenso però annuncia che sarebbe tornata Netflix sulla Croisette con 5 Bloods (fuo-ri concorso), il nuovo film di Spike Lee - su Netflix dal 12 luglio - questa edizione presi-dente della giuria.Cannes ha rifiutato da subito l’ipotesi di un’ edizione online - probabilmente complicata anche dai diritti e dagli accor-di con le distribuzioni - poi

messa in atto per il mercato, e Frémaux lo ripete ancora oggi che non avrebbe avuto senso vista la sua natura. Al di là dell’evento sulla Croi-sette, e delle questioni perso-nali, la cancellazione di una grande manifestazione cine-matografica come Cannes rap-presenta l’ennesimo colpo economico all’intero settore cinematografico che si trova schiacciato da sale chiuse, di-stribuzioni ferme, piattafor-me che nascono in continuo, professioni - compresa la no-stra - da ripensare. Tutto questo però sembra inte-ressarlo poco, ciò che conta è mantenere una supremazia: dunque in giugno annunce-ranno la loro selezione, i film che avevano «visto e amato» per promuoverli nel mondo. La «Cannes label» - il marchio Cannes come assicurazione per il loro lancio - dove se sulla riapertura delle sale si sa nulla? - pensando pure a una sorta di «Cannes fuori le mura» ospita-ta in quei festival che riusciran-no a avere luogo. E se qualche titolo viene ritirato? Nessuno lo ha fatto - assicura Frémaux - tranne un distributore che ha sottoposto il suo film a Vene-zia: «Noi però non lo avevamo selezionato». Che dire? La gara francamente è poco interessante e non esprime quell’amore per il cinema che Frémaux ci dice vuole sostenere e che non mo-rirà mai. Lo dimostrerebbe molto di più tenere conto dell’incertezza del presente (e del futuro) per tanti, visto che poi a chi ne critica la mancan-za di chiarezza di questi mesi risponde proprio che è legata a una «situazione indefinita». Molto meno lo sono i meccani-smi che rapidamente si vanno affermando e la mancanza di tutele che li accelerano, e sa-rebbe bello parlare di questo, specie da parte di istituzioni influenti come il festival di Cannes invece che della pro-pria grandeur, talmente poco interessante oggi da suonare fuori tempo.

II L’inevitabile quotidianità a cui ci costringe la pandemia, get-ta anche i palinsesti televisivi in appiattimenti obbligati e un po’ omologati. Domenico Iannaco-ne prova a muoversi su differen-ti coordinate, in parte perché vincolato da materiale girato pri-ma che il Covid-19 entrasse nel-le nostre vite, ma non solo. Per-ché nelle sei puntate del secon-do ciclo di Che ci faccio qui partito domenica su Rai3 alle 20.30 (ma disponibile on demand su Rai-play) si/ci sottopone ad alcuni scottanti interrogativi: prima che la pandemia ci travolgesse chi eravamo veramente? Quale era la nostra visione del mondo? Ci siamo mai curati di quello che

succedeva attorno a noi e agli al-tri? Come in una istantanea, il giornalista molisano racconta quella esistenza «prima» che il dramma irrompesse nelle no-stre vite, quasi uno specchio do-ve guardarci - in maniera impie-tosa - per comprendere cosa abbia-mo fatto, ma più spesso cosa «non» abbiamo fatto per noi e per gli altri. UNO SGUARDO dolente sulle vite emarginate, ma anche su mo-menti di riscatto. Il nuovo viag-gio è partito sulle strade di Rosar-no in un’inchiesta divisa in due parti, la prossima la vedremo do-menica 17 maggio, nell’inferno degli accampamenti dei brac-cianti, tra lavoro nero, caporala-to e esistenze ridotte in schiavi-

tù. «Avevamo terminato le ripre-se a pochi giorni dalla chiusura delle prime zone rosse - spiega Iannacone all’Ansa - cui sono se-guiti gli altri decreti di lockdo-wn per tutto il paese. Ma ho pen-sato che quanto avevamo girato, era tutto collegato con l'attuali-tà immediata». La ricostruzione, appunto, degli ultimi tratti di un'umanità che subito dopo non sarebbe più stata la stessa. La scelta di Rosarno, ovviamen-te non è casuale: «Quel pezzo di Italia è diventato l'epicentro del-lo sfruttamento di esseri umani costretti a lavorare senza diritti e senza tutele. In quelle stesse terre dilaga la povertà per mol-tissimi italiani, anche loro ab-bandonati a se stessi e privati di ogni forma di sussistenza». Ad ac-compagnarlo in questo viaggio fra gli ultimi Barolo Mercuri, un negoziante di mobili che da più di 20 anni, dedica la propria vita alle

persone più fragili e povere del suo territorio. Nella terza punta-ta si passa a una storia sul diritto all’ esistenza degli animali, quel-la di un allevatore che ha creato un luogo nel quale accoglie e cura ani-mali che erano destinati al macello. LA QUARTA e la quinta si concen-trano sulla realtà di Corviale, il serpentone di cemento della pe-riferia romana dove vivono qua-si cinquemila persone e dove un ex calciatore ha creato il ’Campo dei miracoli’: un nuovo modello di integrazione attraverso il cal-cio sociale. Con l’ultimo appun-tamento, la troupe del program-ma prodotto da Hangar Tv di Gre-gorio Paolini - si sposta a Torino, all’interno di un’azienda che a un certo punto ha deciso di dedi-care una parte della sua attività al recupero e alla rigenerazio-ne degli elettrodomestici usati e buttati. Nuovo sostenibilità ambientali. S.Cr.

Umbria JazzLa pandemia costringe allo stop forzato tutte le grandi manifestazioni internazionali. Anche Umbria jazz getta la spugna e - in un comunicato - annuncia l’annullamento dell’edizione 2020 che doveva svolgersi a Perugia dal

10 al 19 luglio. «Questa dolorosa decisione - spiegano gli organizzatori - è stata presa dalla Fondazione di partecipazione Umbria Jazz: l’emergenza Covid-19 rende impossibile al momento la presenza dei tanti artisti internazionali».

Festival di Cannes

Grandeur e tabù

CRISTINA PICCINO

Il premio si chiama come

il 16enne a cui il film è

dedicato, Davide, scordato

e poi ucciso da uno Stato

che non sa proteggere

i suoi figli più deboli

Agostino Ferrente

17martedì 12 maggio 2020 visioni

Page 17: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

SILVIA NUGARA

II Che ne sarà della nostra ca-pacità di librarci oltre le tenta-zioni disciplinari, di vibrare tra gli interstizi dei comparti-menti stagni, di veleggiare sempre avanti e oltre ogni ca-tegoria se ci lasciano anche gli «anti-maestri» che hanno fat-to la rivoluzione creativa del ’77 come Giacomo Verde, spentosi a 64 anni nella notte tra il 1° e il 2 maggio? Il suo mantra degli ultimi mesi era «la vita è un formaggio» per-ché spesso basta un assaggio ed è buono anche se è fuso. MALATO da tempo, senza ri-nunciare neppure per un istante a creare e sostenere progetti e battaglie proprie e altrui, Verde è stato davvero quel che si dice un «pioniere» del video e delle multiformi applicazioni artistiche del di-gitale che sapeva plasmare tra-mutandolo in arte come in poesia; e usare al contempo come mezzo di espressione ci-vile e persino di contro-infor-mazione. Si pensi ad alcune delle tappe più significative del suo lungo sodalizio col poeta e «fratello» Lello Voce, per le cui performance creava video-fondali dal vivo, e che a Genova nel 2001 era con lui nei giorni delle manifestazio-ni del movimento anti-G8. Giacomo con la videocamera, Lello con un piccolo registra-tore: sottrarre immagini, suo-ni e pensieri all’oblio, per da-re un contributo al movimen-to e per cercare di capire cosa stava accadendo anche se «sembrava di assistere a qual-cosa di comunque già visto». Ne nacque Solo limoni film lega-to alla tradizione del cinema e del video militante tanto nella forma, capace di docu-mentare alcuni momenti di quelle giornate smarcandosi dalla comunicazione-spetta-colo, quanto nelle modalità distributive con cui girò l’Ita-lia nell’immediato indomani di quelle giornate. Oggi il film è disponibile in rete; all’epoca, quando veniva pre-sentato con l’omonima anto-logia poetica di testi raccolti da Lello Voce in librerie, uni-versità, circoli, associazioni, centri sociali, Solo limoni era un oggetto relazionale che of-friva la possibilità di discute-re e condividere con sguardo critico e poetico l’esperienza di un trauma collettivo.

Verde era nato a Cimitile in provincia di Napoli e cresciuto a Empoli. Ispirato dalle speri-

mentazioni di Giuliano Scabia e folgorato dal Living Theatre, dagli anni Settanta si occupa-va di teatro e arti visive ma, in-sofferente a ogni mistica, ma-niera e mania di protagoni-smo dei teatranti, aveva svilup-pato una pratica per fornire ri-sposte collettive e linguistica-mente ibride alla necessità an-tropologica di rappresentazio-ne. Aveva finito per chiamarla «arte ultrascenica» e la concepi-va come possibilità creativa di superamento del teatro a parti-re dal teatro stesso. TRA I PRIMI a coniugare perfor-mance, video, computer grafi-ca, televisione e net-art, fece del video uno strumento di guerrilla creativa e s’inventò il «tele-racconto», ovvero una

forma d’arte che intrecciava narrazione, disegni e immagi-ni realizzate dal vivo o no con una videocamera a mano e poi proiettate su uno o più schermi in spazi ogni volta di-versi, dai borghi medioevali al-le sale da spettacolo.

IN UN’INTERVISTA sul blog dialo-ghiresistenti chiariva: «Il vi-deo non è la televisione. E lo spazio teatrale può mostrare come il video possa essere al-tro dalla televisione. Nel tea-tro si possono svelare gli in-ganni e i giochi percettivi del-

la macchina-video. Di-mo-strando che quello che passa attraverso le antenne è solo una parte (e non sempre la mi-gliore) di quello che si potreb-be fare con gli schermi e le vi-deocamere. Per questo ho ini-ziato ad utilizzare il video in teatro. Pensando prima di tut-to ai bambini. Che sono nella fase di sperimentazione e creazione dei codici di ricono-scimento del mondo in cui vi-vono». «Techno artista cyber-punk» dalle mille incarnazio-ni e collaborazioni, ha opera-to tutta la vita per creare con-nessioni tra persone, forme e linguaggi convinto che nes-sun medium potesse essere cattivo di per sé ma anzi ispira-to da uno spirito ludico e cu-

rioso alla scoperta del nuovo e del possibile.

Aveva coniato i termini «ar-tivista» e «tecnoartivista» e nel 2007 aveva raccolto interven-ti e riflessioni in un volume in-titolato Artivismo tecnologico. Scritti e interviste su arte, politica, teatro e tecnologia (BFS – Biblio-teca Franco Serantini, con pre-fazione di Antonio Caronia). Nel 2018, invece, Silvana Vas-sallo gli aveva dedicato la pri-ma monografia: Giacomo Ver-de – videoartivista (ETS).

Nel 2003 aveva realizzato i video-fondali-live per Elettra di e con Nanni Balestrini ed era tornato a collaborare nel 2012 con il poeta per il proget-to Tristanoil esposto a Kassel per dOCUMENTA 13 e poi cir-colato in diversi spazi. Il film traduceva in video il principio combinatorio del romanzo Tri-stano di Balestrini con un’ope-ra generata automaticamente dall’assemblamento aleatorio via computer di 120 clip da 10 minuti per una durata poten-zialmente infinita. Un magma audiovisivo di stralci di testo e sequenze di distruzione plane-taria bagnate nella viscosità del petrolio come principio di unitarietà visiva. VERDE è stato anche docente all’Accademia di Torino, alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Roma Tre e all’Accademia di Carrara che sul suo sito sta rac-cogliendo una cyberbibliogra-fia di omaggi. Sono ricordi e narrazioni tutte diverse, nes-suno che ripeta le stesse tappe e le stesse imprese perché so-no state tantissime in «una vi-ta dedicata alla ricerca del bel-lo e del giusto attraverso l’im-pegno nella cultura e nell’ar-te», come hanno scritto i compagni dell’Officina d’ar-te fotografica e contempora-nea Dada Boom. Nel suo ulti-mo tele-racconto, Piccolo dia-rio dei malanni, Giac ripercor-reva con ironia e vis polemi-ca le pagine di un taccuino da lui scritto e illustrato a partire dal 2012 a cavallo tra personale e collettivo. Un percorso poetico attraverso talent show, proteste No Tav e viaggi di lavoro in cui l’e-sperienza del cancro irrom-peva in tutta la sua tragica semplicità. Alla fine, il silen-zio del diario lasciava posto a una danza techno-trance marocchina. Senza la sua im-maginazione e capacità poe-tica sarà più difficile inventa-re da soli quel futuro di cui, come ripeteva nei suoi tweet, abbiamo bisogno.

SHANGHAI

Riapre il parco Disney, nuove regolee percorsi per rispondere alla crisi

II Disney ha riaperto il suo parco a Shangai dopo più di tre mesi di chiusura a causa della pandemia. I visitatori saranno ammessi secondo le regole del distanziamento so-ciale, dovrano indossare le mascherine a al momento dell’entrata gli sarà misura-ta la temperatura. A ciascu-no verranno assegnati slot di orari precisi in un percorso molto diverso da quello pre-cedente. I biglietti messi in vendita lo scorso venerdì so-no andati esauriti dopo po-chissimo tempo, anche per-ché con le nuove disposizio-ni la capacità di accoglienza dei visitatori è ridotta al 30%

rispetto agli abituali 80mila giornalieri. Le aree giochi per i bambini e i teatro ri-mangono per ora chiusi co-me sono ancora vietati gli eventi serali, le sfilate o gli spettacoli e le foto ricordo coi «personaggi» live del par-co. Chi arriva dalla Cina sarà ammesso solo esibendo un codice QR verde che attesta il buono stato di salute.

Il parco di Shangai è stato chiuso lo scorso 21 febbraio, come molti altri nel mondo, ma la multinazionale ameri-cana preme per riaprire al più presto visto che lo stop causato dalla pandemia ha fatto crollare gli utili del 91%

rispetto allostesso periodo dello scorso anno. La Disney ha subito infatti le ripecus-sioni del lockdown su mol-ti settori, cancellate le cro-ciere, le sale chiuse hanno bloccato l’uscita dei block-buster anche se con il lan-cio della piatatforma strea-ming Disney+ in parte sono riusciti a attutire le perdite.IL GRUPPO è stato anche mol-to criticato da Bernie Sanders e dall’erede di Disney, Abi-gail Disney, perché nonostan-te abbia incassato i dividendi ha tagliato moltissimi dipen-denti. Bob Iger, presidente esecutivo, ha rinunciato al suo stipendio per il 2020.

II In Corea del Sud, dove i ci-nema hanno già riaperto, e in alcuni casi non hanno mai chiuso, la principale catena di multiplex del paese (CJ-CG) ha sviluppato - nella catena di Yoido, un quartiere di Seul - una nuova tecnologia per evi-tare qualsiasi contatto con il personale che lavora nelle sa-le: rimpiazzando le persone – al botteghino, nei chioschi che vendono snack – con in-telligenze artificiali e applica-zioni che rimpiazzano ogni contatto umano.

«Abbiamo previsto che la ri-chiesta di servizi ’un-tact’ (il termine con cui viene indicata la tecnologia, ndr) da parte de-gli spettatori crescerà», ha det-

to a «Variety» Oh Sae-sik, a ca-po del dipartimento innova-zione di CJ CGV. «Analizzere-mo il feedback degli spettatori e considereremo se espandere il servizio un-tact, che renderà i nostri servizi più convenien-ti per i clienti, e aumenterà l’efficienza delle operazioni delle sale cinematografiche». LO SCIVOLAMENTO verso il digi-tale, e la perdita di posti lavo-ro legata alla pandemia di Co-ronavirus diventa quindi sem-pre più una realtà nell’«esperi-mento» coreano, condiviso an-che da un’altra catena: Lotte Cinema, che ha applicato la tecnologia un-tact, dalla fine di aprile, in 22 delle sue 130 multisale. Nel paese asiatico il

box office, in caduta libera da febbraio, ha cominciato a risa-lire - secondo i dati del Korean Film Council - dal mese di apri-le. Ma i risultati del box office sono comunque minimi - il 5% - rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. In testa al botteghino c’è Un giorno di pioggia a New York di Woody Al-len, che in cinque giorni ha in-cassato 344.000 dollari, e al se-condo posto il film d’anima-zione Trolls World Tour. Ma le nuove uscite della maggior parte di film coreani e interna-zionali sono state rimandate a tempi migliori, e per il mo-mento la maggior parte dell’offerta è rappresentata da vecchi titoli.

Per motivi di spazio,

la rubrica di Mariangela

Mianiti slitta a domani

UNA NUOVA TECNOLOGIA NEI CINEMA IN COREA DEL SUD

«Untact», rimpiazzare le persone con i robot

Nato nel 1956, Giacomo Verde inizia a realizzare videotape

negli anni Ottanta, nel 1986 fonda il gruppo di teatro-musica

Bandamagnetica e nel 1989 inventa il tele-racconto,

performance teatrale che coniuga narrazione, micro-teatro e

macro ripresa in diretta. Nel 1993 realizza per il festival di

Santarcangelo la «oper’azione ultrascenica» «Saldi», e tre anni

dopo crea, con il gruppo Quinta Parete di Empoli, la Minimal tv.

Del 1998 è il tecno-racconto «Storie mandaliche», seguito nel

2003 da «Storie mandaliche 2.0». Realizza nel 2002 «S’era tutti

sovversivi - dedicato a Franco Serantini» sull’uccisione del

giovane anarchico . Il trittico «Ritratto collettivo» è del 2019.

Giacomo Verde

Addio all’«artivista», tra i primi a coniugare video, performance, computer grafica, televisione e net-art GIACOMO VERDE

Habemus corpus

Dalla Minimal tv a «Storie Mandaliche»

Le molteplici incarnazionidi un «techno artista cyberpunk»«Solo limoni» sul G8 di Genova, Nanni Balestrini, il «tele-racconto»

16

martedì 12 maggio 2020visioni

SU RAI3 «CHE CI FACCIO QUI»

Da Rosarno a Corviale, tra vitedisperate e voglia di riscatto

Agostino Ferrente,un premio per i ragazzidimenticati di NapoliParla il regista di «Selfie», ambientato a Rione Traiano,miglior documentario ai David di Donatello 2020

Agostino Ferrente

ZalAbb, una piattaforma indipendente

GIOVANNA BRANCA

II «Se avessi avuto la possibili-tà di ringraziare avrei mandato un pensiero ai ragazzi protago-nisti del mio film, che sono quel-li più penalizzati da questa situa-zione»: dall’emergenza sanita-ria, e dal conseguente confina-mento in cui ci troviamo ormai da mesi. Agostino Ferrente, vin-citore con Selfie del premio al mi-glior documentario ai David di Donatello di domenica scorsa - la prima edizione senza pubbli-co ai tempi del lockdown - pen-sa a Pietro e Alessandro, i due ra-gazzi di Rione Traiano a Napoli protagonisti del film. «SELFIE» lo hanno girato loro stes-si, con degli smartphone con cui riprendono la loro vita quoti-diana in un quartiere dove gli adolescenti come Pietro e Ales-sandro hanno pochissime pro-spettive oltre a diventare mano-valanza per la camorra. «Si parla

tanto della didattica a distanza - aggiunge Ferrente - ma questi ra-gazzi neanche hanno un compu-ter, hanno passato il lockdown in seminterrati umidi dove in-ternet non arriva». PIETRO, come sognava nel film, ha trovato lavoro come parruc-chiere - e come tutti i suoi colle-ghi riprenderà a lavorare dal pri-mo giugno - mentre Alessandro, che fa il barista, non ha risposto al telefono quando il regista lo ha chiamato per annunciargli la vittoria: «Stava dormendo: lui al-le cinque si alza per andare ad aprire il bar ora che c’è la possi-bilità di preparare le cose da asporto. Ha saputo del premio la mattina dopo, ed è scoppiato a piangere».

Oltre a loro, Ferrente voleva dedicare un pensiero anche all’amico di Pietro e Alessandro scomparso nel 2014: Davide Bi-folco, ucciso dal proiettile di un carabiniere che gli ha sparato

mentre andava in motorino con gli amici. «Avrei ricordato ai mi-lioni di telespettatori che questo premio si chiama come il ragazzi-no di 16 anni a cui il nostro picco-lo film è stato dedicato, Davide, dimenticato e poi ucciso da uno Stato che non sa crescere e pro-teggere i suoi figli più deboli».

Felice del premio ma amareg-giato quindi dal fatto che alla ca-tegoria documentario non sia stato dedicato neanche il tempo per dei ringraziamenti, Ferren-te si interroga sulla penalizza-zione del racconto della realtà nel nostro paese. «In Italia pur-troppo il documentario resta una cenerentola nel sistema ci-nema, all’interno del quale io credo che rappresenti il terreno più vivo di ricerca e innovazio-ne dei linguaggi e delle tecni-che, oltre che di esplorazione dei sentimenti che si manifesta-no più in profondità nelle no-stre società. Un ambito in cui più che altrove ci si pone doman-de, si fa ricerca, si sperimenta. Ma che è sempre più difficile riu-scire a fare». E, aggiunge: «Non parlo solo del mio film: in quel-lo di Franco Maresco viene af-frontato il problema della ma-fia, nel documentario su Caliga-ri (Se c’è un aldilà sono fottuto, ndr) si racconta la tossicodipenden-za, la Ostia di Amore tossico. E an-che il documentario su France-sco Rosi (Citizen Rosi, ndr) raccon-ta la storia d’Italia, lo stragi-smo, il via libera alla mafia nel dopoguerra purché fermasse il comunismo». E POI CI SONO i ragazzi dimentica-ti dallo Stato come i protagoni-sti di Selfie: «Quelli che abbando-nano la scuola perché è la scuola che li abbandona a se stessi, quelli che non hanno genitori laureati che li possono aiutare a fare i compiti a casa e che non possono permettersi di pagare per loro le ripetizioni private. Quelli che a 13 anni sognano di diventare calciatori, ma poi uno ci riesce e 1000 finiscono dall’u-nico datore di lavoro interessa-to a dargli una mano: la crimina-lità. Dire queste cose in diretta sarebbe stato un richiamo alla realtà dura, vera». All’indomani della vittoria ai David, Ferrente rivolge quindi un appello al sin-daco di Napoli, Luigi De Magi-stris: «Spero che il sindaco, che ha espresso giudizi lusinghieri sulle opere premiate, realizzate a Napoli o da artisti napoletani, ac-colga la mia proposta di conferi-re le chiavi della città ad Alessan-dro, Pietro e i tanti ragazzi delle periferie, che amano Napoli ma spesso non si sentono amati. Le chiavi di solito vengono assegna-te alle celebrità per farle sentire ’a casa’. Ecco, bisognerebbe far sentire anche questi ragazzi un po’ di più a casa loro».

Zalab arriva online con la

piattaforma straming ZalAbb

(https://partecipa.zalab.org/) il

cui intento è creare una

comunità di spettatori vicina a

quella che nei dieci anni di lavoro

ha cercato di costruire con la

distribuzione di cinema

indipendente e attento alle

contraddizioni del proprio

tempo. La visione del film sarà

accompagnata da dibattiti, dirette, discussioni con gli autori - sulla

pagina facebook: di Zalab: https://www.facebook.com/zaLab/ e

sul canale youtube Zalab tv,

https://www.youtube.com/user/zalabTV). Per abbonarsi 10

euro ogni 2 mesi con cui si ha accesso alla visione in

streaming delle opere in piattaforma. Tra titoli « Libre» di

Michael Tosca, la storia di Cédric Herrou, il contadino della Val

Roja che aiuta i migranti a passare dall’Italia alla Francia.

«Castro» di Paolo Civati, il racconto dell’occupazione abitativa

romana - si discuterà poi dell’emergenza abitativa col regista

e con Paolo Berdini. «Il sangue verde» (21/05) di Andrea Segre,

le manifestazioni degli immigrati a Rosarno, con un incontro

live su agricoltura, braccianti e regolarizzazioni (il 25).

C’è qualcosa di vagamen-te surreale nell’ostina-zione di Thierry Frém-

aux - e più in generale dell’in-tera macchina decisionale che lo sostiene - a non voler am-mettere che l’edizione 2020 del Festival di Cannes non ci sarà. O meglio, a non dirlo esplicitamente come hanno fatto le altre sezioni - Quinzai-ne, Acid, Semaine de la criti-que - rassegnandosi a qualcosa che non gli si può imputare visto che la pandemia ha an-nullato eventi assai più impor-tanti su scala mondiale, uno per tutti le Olimpiadi in Giap-pone posticipate all’anno pros-simo. Lui no, non ce la fa e così glissa, allude, ci gira intorno parlando di eventi «congiunti» con festival compreso quello di Venezia - anche se poi come abbiamo capito nulla di con-creto è stato mai stabilito. Lo stesso è riuscito a fare in un’intervista rilasciata a «Screen» alla vigilia dell’aper-tura di Cannes prevista origi-nariamente per oggi - e fino al 23 maggio. Frémaux parla dei suoi sentimenti, «nostalgia e malinconia», e del fatto che fermarsi può essere «un’occa-sione per riflettere sul futuro». E poi: «Sarà difficile ipotizzare per quest’anno un’edizione ’fisica’ del festival». Insomma nonostante la duplice cancella-zione - in un primo tempo si era parlato di posticiparlo a luglio ma il divieto di grandi eventi è stato esteso in Francia fino alla metà di quel mese - la frase netta: «Cannes 2020 non ci sarà» proprio non rie-sce a pronunciarla. Tabù da contat-to come direbbe la psicanalisi, rimpianto comprensibile visto il lavoro o presunzione?In compenso però annuncia che sarebbe tornata Netflix sulla Croisette con 5 Bloods (fuo-ri concorso), il nuovo film di Spike Lee - su Netflix dal 12 luglio - questa edizione presi-dente della giuria.Cannes ha rifiutato da subito l’ipotesi di un’ edizione online - probabilmente complicata anche dai diritti e dagli accor-di con le distribuzioni - poi

messa in atto per il mercato, e Frémaux lo ripete ancora oggi che non avrebbe avuto senso vista la sua natura. Al di là dell’evento sulla Croi-sette, e delle questioni perso-nali, la cancellazione di una grande manifestazione cine-matografica come Cannes rap-presenta l’ennesimo colpo economico all’intero settore cinematografico che si trova schiacciato da sale chiuse, di-stribuzioni ferme, piattafor-me che nascono in continuo, professioni - compresa la no-stra - da ripensare. Tutto questo però sembra inte-ressarlo poco, ciò che conta è mantenere una supremazia: dunque in giugno annunce-ranno la loro selezione, i film che avevano «visto e amato» per promuoverli nel mondo. La «Cannes label» - il marchio Cannes come assicurazione per il loro lancio - dove se sulla riapertura delle sale si sa nulla? - pensando pure a una sorta di «Cannes fuori le mura» ospita-ta in quei festival che riusciran-no a avere luogo. E se qualche titolo viene ritirato? Nessuno lo ha fatto - assicura Frémaux - tranne un distributore che ha sottoposto il suo film a Vene-zia: «Noi però non lo avevamo selezionato». Che dire? La gara francamente è poco interessante e non esprime quell’amore per il cinema che Frémaux ci dice vuole sostenere e che non mo-rirà mai. Lo dimostrerebbe molto di più tenere conto dell’incertezza del presente (e del futuro) per tanti, visto che poi a chi ne critica la mancan-za di chiarezza di questi mesi risponde proprio che è legata a una «situazione indefinita». Molto meno lo sono i meccani-smi che rapidamente si vanno affermando e la mancanza di tutele che li accelerano, e sa-rebbe bello parlare di questo, specie da parte di istituzioni influenti come il festival di Cannes invece che della pro-pria grandeur, talmente poco interessante oggi da suonare fuori tempo.

II L’inevitabile quotidianità a cui ci costringe la pandemia, get-ta anche i palinsesti televisivi in appiattimenti obbligati e un po’ omologati. Domenico Iannaco-ne prova a muoversi su differen-ti coordinate, in parte perché vincolato da materiale girato pri-ma che il Covid-19 entrasse nel-le nostre vite, ma non solo. Per-ché nelle sei puntate del secon-do ciclo di Che ci faccio qui partito domenica su Rai3 alle 20.30 (ma disponibile on demand su Rai-play) si/ci sottopone ad alcuni scottanti interrogativi: prima che la pandemia ci travolgesse chi eravamo veramente? Quale era la nostra visione del mondo? Ci siamo mai curati di quello che

succedeva attorno a noi e agli al-tri? Come in una istantanea, il giornalista molisano racconta quella esistenza «prima» che il dramma irrompesse nelle no-stre vite, quasi uno specchio do-ve guardarci - in maniera impie-tosa - per comprendere cosa abbia-mo fatto, ma più spesso cosa «non» abbiamo fatto per noi e per gli altri. UNO SGUARDO dolente sulle vite emarginate, ma anche su mo-menti di riscatto. Il nuovo viag-gio è partito sulle strade di Rosar-no in un’inchiesta divisa in due parti, la prossima la vedremo do-menica 17 maggio, nell’inferno degli accampamenti dei brac-cianti, tra lavoro nero, caporala-to e esistenze ridotte in schiavi-

tù. «Avevamo terminato le ripre-se a pochi giorni dalla chiusura delle prime zone rosse - spiega Iannacone all’Ansa - cui sono se-guiti gli altri decreti di lockdo-wn per tutto il paese. Ma ho pen-sato che quanto avevamo girato, era tutto collegato con l'attuali-tà immediata». La ricostruzione, appunto, degli ultimi tratti di un'umanità che subito dopo non sarebbe più stata la stessa. La scelta di Rosarno, ovviamen-te non è casuale: «Quel pezzo di Italia è diventato l'epicentro del-lo sfruttamento di esseri umani costretti a lavorare senza diritti e senza tutele. In quelle stesse terre dilaga la povertà per mol-tissimi italiani, anche loro ab-bandonati a se stessi e privati di ogni forma di sussistenza». Ad ac-compagnarlo in questo viaggio fra gli ultimi Barolo Mercuri, un negoziante di mobili che da più di 20 anni, dedica la propria vita alle

persone più fragili e povere del suo territorio. Nella terza punta-ta si passa a una storia sul diritto all’ esistenza degli animali, quel-la di un allevatore che ha creato un luogo nel quale accoglie e cura ani-mali che erano destinati al macello. LA QUARTA e la quinta si concen-trano sulla realtà di Corviale, il serpentone di cemento della pe-riferia romana dove vivono qua-si cinquemila persone e dove un ex calciatore ha creato il ’Campo dei miracoli’: un nuovo modello di integrazione attraverso il cal-cio sociale. Con l’ultimo appun-tamento, la troupe del program-ma prodotto da Hangar Tv di Gre-gorio Paolini - si sposta a Torino, all’interno di un’azienda che a un certo punto ha deciso di dedi-care una parte della sua attività al recupero e alla rigenerazio-ne degli elettrodomestici usati e buttati. Nuovo sostenibilità ambientali. S.Cr.

Umbria JazzLa pandemia costringe allo stop forzato tutte le grandi manifestazioni internazionali. Anche Umbria jazz getta la spugna e - in un comunicato - annuncia l’annullamento dell’edizione 2020 che doveva svolgersi a Perugia dal

10 al 19 luglio. «Questa dolorosa decisione - spiegano gli organizzatori - è stata presa dalla Fondazione di partecipazione Umbria Jazz: l’emergenza Covid-19 rende impossibile al momento la presenza dei tanti artisti internazionali».

Festival di Cannes

Grandeur e tabù

CRISTINA PICCINO

Il premio si chiama come

il 16enne a cui il film è

dedicato, Davide, scordato

e poi ucciso da uno Stato

che non sa proteggere

i suoi figli più deboli

Agostino Ferrente

17martedì 12 maggio 2020 visioni

Page 20: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

Care matite, ci siamo. Avete risposto finora con passione e impegno al no-stro appello, regalandoci generose

valanghe di vignette. Avete acceso una forte corrente di commenti disegnati che ci aiuta-no a riflettere sui fatti del giorno. A volte con dialoghi tra coppie di personaggi, goffi o stilizzati, oppure con soggetti ogni volta diversi, colori e voci, riflessioni amare o di-vertite perché non bisogna rassegnarsi alla tristezza del presente e la satira ha mille frecce al suo arco. Sono arrivate in questo ultimo periodo perfino straordinarie vignet-te sul Coronavirus. Molto gettonate le sardi-ne, Trump, Salvini, Conte, Di Maio e Zinga-retti. Gli immigrati, il clima, il lavoro, la tra-ballante situazione politica. Avete inviato decine di vignette ogni giorno e scegliere non è facile: meriterebbero tutte (o quasi) di essere pubblicate sul manifesto.

Né il nostro compito sarà semplice, quan-do - e stiamo per farlo in questi giorni - dovre-mo decidere la vincitrice o il vincitore del concorso per trovare l’erede di Biani. (Care ragazze, avete inviato meno vignette dei col-leghi maschi, quindi per la finalissima, ac-corciate in qualche modo le distanze).

Approfittate degli ultimi giorni-ore e sca-tenatevi. La satira, strumento indispensabi-le nel commento quotidiano, è un'arma di combattimento dell’intelligenza che va affi-lata ogni giorno, per rendere il piatto dell'in-formazione croccante e più ricco di sapori diversi.

Alla finalissima del nostro concorso

Una nuova matita s’avvicina

DON RENATO SACCO *

F35 e non solo

Moratoria di un anno

sulle spese militari

Lele Corvi

«Nessuno», parola di Roberto VecchioniRoberto Vecchioni su Repubblica del 10 maggio scrive: "In questi giorni nessuno, dico nessuno, ha pensato di segnalare che tre ragazzi,tre musicisti, in un paese non lontano, stavano morendo volontariamente uno alla volta in un terrificante sciopero della fame" (…) Mi dispiace molto che Vecchioni non legga o non tenga in considerazione Il Manifesto, altrimenti avrebbe almeno riconosciuto che tra i "nessuno" non può mettercelo, perché è stato il solo a riportare tutte le notizie riguardo quella terribile tragedia.Gianni Zanella, Milano

Accendiamo l’attenzioneNon so quanti giornali dell’otto maggio, oltre al Manifesto, abbiano riportato la notizia della morte di Ibrahim Gokcek dopo 323 giorni di sciopero della fame in una carcere turco. Sicuramente solo il Manifesto

l’ha messo in prima pagina.È un assassinio a tutti gli effetti. Ibrahim, e poco prima di lui Helin Bolek e Mustafa Kocak, sono le vittime di un dittatore criminale, che risolve i conflitti con oppositori, intellettuali, avvocati, attivisti ambientali e con la popolazione curda a colpi di massacri. E a questo dittatore e al suo enturage di gangster noi italiani, noi europei, noi "occidentali”, continuiamo non solo a confermare la nostra "alleanza", ma lo continuiamo a tenere nel conto di prezioso cliente del nostro export di armi, e a fornirgli fior di miliardi di euro perché ci tenga lontani gli immigrati che provengono da quella rotta. Non si può continuare così. Bisogna che si sollevi la voce di chiunque si senta indignato su questa vicenda. Intanto, come primo gesto di piccola, sicuramente ininfluente nell’immediato, ma importante mobilitazione delle coscienze, propongo che tutti rivolgiamo un pensiero alla lotta

di Helin, Mustafa e Ibrahim accendendo Youtube e andando a cercare la loro versione di "Bella Ciao".Pippo Tadolini, Ravenna

Salvini e gli animali di EsopoAll’assurda, illogica demagogia di bloccare una nave Ong con persone salvate dal mare "per difendere i confini della Patria", Salvini su supera con la denuncia per l’offesa che si arrecherebbe, regolarizzando i clandestini, " a chi rispetta la legge".Sarebbe come se, legalizzando la droga, si offenderebbero tutti quelli che non si drogano. Queste infantili distorsioni logiche del demagogo di turno andrebbero, facendo ricorso all’ironia, diffuse a iosa, raffigurando l’autore del continuo apparire con gicche militari. Che avrà solo dismesso per portarle in lavanderia. Forse un merito potremmo riconoscere al sergente leghista, quello di aver ampliato i comportamenti degli animali, descritti da Esopo,

il classico quello tra il lupo e l’agnello che gli inquinava l’acqua. Vignettisti all’opera.Giacomo Grippa, Massafra (Taranto)

Virus o F35?A proposito di finanziamenti per la lotta ai virus e a quelli per la difesa, come da mia lettera che cortesemente avete pubblicato, mi riferisco a due articoli del Manifesto. Il primo di Alberto Negri (5/5/2020) riporta che nel 2019 gli Usa hanno finanziato, per un progetto sui virus, i laboratori di ricerca cinesi di Wuhan con 3,7 milioni di dollari (ai quali ne vanno aggiunti 7,4 versati in anni precedenti). Il secondo, di Tommaso Di Francesco (8/5/2020), riporta che “la spesa militare complessiva dell’Italia ha superato i 70 milioni di Euro al giorno”. Se l’1% di questo bilancio fosse destinato, per i prossimi 10 anni, alla ricerca sulla terapia delle infezioni virali, forse, con la disponibilità di 2,5 miliardi di euro, qualcosa si troverebbe:

questo senza esporre ad un aumentato rischio bellico l’Italia. Franco Ajmar, Ovada

Se vogliamo dichiarare guerra alla pandemia...Caro Manifesto, non cambiamo il mondo con una sola mossa, ma, se davvero vogliamo dichiarare “guerra”al Covid-19 propongo: che il 5% del bilancio destinato alle spese militari del G20 circa 90 miliardi l’anno e aperto ad altri paesi se lo vogliono, venga destinato alla costituzione di un centro ricerche mondiale per lo studio e la prevenzione di epidemie. A garanzia di questo Istituto di ricerca, un comitato composto da 11 premi Nobel. Credo che le multinazionali del farmaco non siano favorevoli, ma anche alcuni paesi del G20. Il mondo è stato colto di “sorpresa” dal Covid-19, se davvero vogliamo per il futuro un cambio di direzione, la Salute è tale e universale se esce dal profitto.Peppe Amato

Ecosì continuava: «Certa-mente i tecnici della lob-by industrial-militare

adducono tante ragioni per giustificare l’opportunità, se non la necessità, di dotare le nostre Forze Armate di un si-mile aggeggio… (nave Cavour ndr) Quella che verrà costrui-ta, infatti, resta un’arma da guerra (e di quella fatta alla grande, da superpotenza), uno strumento di morte...».Passano gli anni e di nuovo, il

20 gennaio 2010, come Pax Christi interveniamo denun-ciando che davanti alla trage-dia del terremoto ad Haiti, l’I-talia gioca la carta della por-taerei Cavour: «Haiti non ha bisogno di portaerei ma di ri-conversione delle spese mili-tari e di reale cooperazione. Questa grande portaerei lun-ga 235 metri è costata oltre 1200 milioni di euro pari alla somma raccolta nel mondo dopo la prima settimana dal terremoto di Haiti. Ci chiedia-mo: quante sale operatorie od ospedali da campo si poteva-no e si possono realizzare con una spesa così folle?».Sono passati altri 10 anni e di nuova siamo qui davanti al Cavour (sì, al maschile, così si usa per le navi militari) che è di nuovo in partenza. Questa volta però si toglie la masche-ra. Mentre tutti siamo obbliga-

ti a usare la mascherina, il Ca-vour se la toglie orgogliosa-mente, mostrando il suo vero volto: una portaerei in parten-za per gli Usa per ospitare i famigerati e discussi F35.Ora le cose sono, tragicamen-te più chiare. E si capisce, for-se, perché l’attuale direttore de la Repubblica Maurizio Moli-nari, quando era ancora a La Stampa scrisse un editoriale il 10 novembre 2019: «Da Came-ri a Candiolo. Sulle Strade dell’Italia che innova». Gli scrissi una lettera ma non ho mai risposto. Dicevo: «Le con-fesso che sono rimasto senza parole… Mi stupisco che un autorevole Direttore come lei non abbia colto la differenza sostanziale dei due centri. A Candiolo la ricerca oncologi-ca è a servizio della vita. A Ca-meri, la tecnologia degli F-35 è a servizio della morte. E di

questo posso solo vergognar-mi!». Per questi caccia F35 c’è un investimento di almeno 14 miliardi, Il costo di ognuno supera abbondantemente i 100 milioni di €. Quasi 150 milioni l’uno con gli aggiorna-menti necessari di armamen-ti e tecnologia. Siamo in tem-po di pandemia, abbiamo vi-sto morire, solo in Italia, più di 30.000 persone a causa del Covid-19. Quanti posti letto ci sarebbero anche con un solo F35? Quanti respiratori? E an-che quante mascherine? In Italia c’è una sola ditta che produce respiratori polmona-ri, mentre sono ben 231 le fab-briche d’armi! Da qui si capi-scono le priorità di un paese. Da chi ci dobbiamo difende-re? In questi ultimi anno sono stati tagliati circa 37 miliardi alla sanità, ma le spese milita-ri sono in aumento. «L’Italia

spende per la Difesa circa 68-70 milioni al giorno - ha dichiarato lo scorso mese di marzo l’attuale Presidente di Pax Christi, il Vescovo Giovan-ni Ricchiuti - ma stando alle richieste degli Usa e della Na-to noi dovremmo spendere ancora di più, per arrivare for-se a 100 milioni al giorno?». No. Non è questo il mondo che vogliamo. E non possia-mo tacere! Bene ha fattoil manifesto ad intervenire in passato e anche ripetutamen-te in questi giorni. I grandi interessi imbavagliano e met-tono a tacere molti mass me-dia. Dobbiamo far sì che quel-la macchina da guerra che è la nave Cavour non parta. Per-ché si blocchi la produzione degli F35. Perché ci sia alme-no una moratoria di un anno sulle spese militari, come chiediamo insieme con Rete

Disarmo, Sbilanciamoci e co-me chiede anche una Mozio-ne del M5S presentata in Parla-mento che va sostenuta, per-ché è uno spiraglio che lascia entrare una luce nuova, di spe-ranza, di vita, di pace.Lo dobbiamo fare insieme, come abbiamo denunciato anche con il Movimento dei Focolari Italia, Banca Etica, Scuola di Economia civile, Commissione della pastorale sociale del Piemonte. Non cada nel vuota la denun-cia chiara e forte di papa Fran-cesco, lo scorso 23 febbraio a Bari: «Tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che sono in guerra. Que-sto si chiama la grande ipocri-sia». E quanto ha detto la not-te di Pasqua: «Di pane e non di fucili abbiamo bisogno».* Coordinatore Nazionale di Pax Christi

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Fabio Fina Danilo Maramotti

Giorgio Giacomo Mariani

— segue dalla prima —

18

martedì 12 maggio 2020community

Naturalmente «nulla sarà come prima», nel senso di qualcosa

che vada un po’ meglio, può essere una pia illusione. Mi sembra altrettanto possibi-le che le cose vadano peg-gio. E non solo perché af-fronteremo una dura crisi economica, occupazionale ecc. Anzi, la stiamo già vi-vendo.

I primi sintomi del peggio-

ramento non mancano. Un breve elenco: gara di tweet e reazioni piccate nel gover-no intorno a una faccenda seria e complessa come la liberazione di Silvia Roma-no. Gara di nefandezze sulla stampa di destra (ma non solo) sempre a proposito di Silvia. Aumento esponenzia-le delle baggianate tra i co-siddetti «governatori» in vi-sta di vacanze difficili per tutti (cito l’idea del «braccia-letto vibrante» promesso dal ligure Toti, per garantire il metro di sicurezza sulle spiagge…).

Indecorosa polemica re-trospettiva tra un magistra-to e un ministro su una que-stione altrettanto delicata e fondamentale come i diritti dei carcerati, il ruolo delle mafie e l’indipendenza del-

la magistratura, ora affron-tata col solito decreto propa-gandistico, con ben scarso (per fortuna?) effetto norma-tivo. E tutto ciò solo per ri-manere nel nostro orticello. Se appena allunghiamo lo sguardo intorno a noi (Tur-chia, Libia, Siria, Egitto ecc.) vediamo purtroppo molto di peggio e di tragico.

Rischio di ripetermi, ma non riesco a non far caso al fatto che in tutto ciò hanno un ruolo determinante per-sone di sesso maschile, che mettono in scena una so-stanziale miseria, culturale, politica, comportamentale. Ingigantita nelle situazioni dove si imprigionano e tor-turano i dissidenti, si fa la guerra, persino mobilitan-do bambini-soldato.

Nessun «essenzialismo»

per carità. Ma credo che dav-vero il problema dei proble-mi sia la pervasiva crisi dell’autorità maschile che ci accompagna ormai da tempo. Molte donne e mol-te parole del femminismo ce lo ricordano quasi tutti i giorni. Ma la nostra resisten-za a trarne conseguenze non effimere resta molto forte. Né si tratta di rimpian-gere i «veri uomini di una volta».

Ma non mancano eccezio-ni che direi incoraggianti.

Proprio un magistrato, famoso per il ruolo che ha svolto nel «pool» milanese di «mani pulite», Gherardo Colombo, ha dato una inte-ressante intervista nei gior-ni scorsi all’Huffington Po-st, in cui, partendo da pro-fondi sentimenti personali,

ha teorizzato l’insostenibili-tà del carcere come pena e correttivo del crimine: «L’i-dea di mandare in galera una persona mi tormenta-va, mettendomi davanti a interrogativi insolubili e an-gosciosi. Ho cominciato a pensare che il carcere non fosse più compatibile con il mio senso della giustizia, la mia concezione della digni-tà umana, la mia interpreta-zione della Costituzione. Più che pensare, in realtà sentivo: sentivo tutta l’ingiu-stizia della prigione. Era or-mai intollerabile. Perciò, dopo anni passati a pensar-ci, ne ho tratto tutte le con-seguenze».

Altro che gli scambi con rilevanza penale tra Di Mat-teo e Buonafede...

Molto toccante poi il rac-

conto che Pietro Ichino ha fatto sul suo blog della lun-ga malattia e della morte della moglie Costanza: «Ri-guardando indietro a questi ultimi due anni - ha scritto tra l’altro - nei quali la malat-tia ha infierito più duramen-te su Costanza, e di riflesso su chi la assisteva, non ho solo una memoria di soffe-renza: è stato forse il perio-do più ricco e intenso di tut-to il nostro matrimonio, che pure, nell’arco dei quasi cinquant’anni della sua du-rata, è stato straordinaria-mente ricco di vita e di lavo-ro comune». Non so se e che cosa pensino Colombo e Ichino sul punto che cerco di sollevare. Ma credo che le loro parole e azioni potreb-bero aiutarci a comprender-lo meglio.

II Vi è, tuttavia, un limite da non superare. E’ quello di tra-sferire alle imprese private me-dio-grandi risorse pubbliche addirittura a fondo perduto e/o nella forma di capitale di ri-schio – le perdite sono pratica-mente certe! – fra l’altro la-sciando il controllo e la gestio-ne in mano agli attuali azioni-sti e amministratori. Una nuo-va IRI è irrealizzabile. Lo Stato deve sostenere la domanda, co-prire la Cassa integrazione, aiutare chi ha bisogno. Il capi-tale compete ai proprietari del-le imprese.

Non è solo questione di mo-ral hazard. Eletto a sistema, il ca-deau che il mondo degli affari addirittura pretende dallo Sta-to collide col paradigma alloca-tivo su cui si fonda un’econo-mia di mercato capitalistica. In media, lungo un quarto di secolo gli azionisti e gli ammi-nistratori privati italiani han-no realizzato profitti e utili, an-che lauti. Le imprese hanno po-tuto ridurre i debiti al disotto del 40% delle passività di bilan-cio. Si sono avvalse di bassi sa-lari, di una spesa pubblica in-controllata nelle forniture, ne-gli appalti, nei contributi, dell’evasione ed elusione delle imposte. Hanno esportato ca-pitali, persino illegalmente.

Soprattutto, lungo un quar-to di secolo la più gran parte de-gli azionisti e amministratori ha investito poco e male nelle proprie imprese. Sia pure con meritevoli eccezioni e a diffe-renza di altre fasi storiche, le imprese non hanno innovato, hanno lasciato che la produtti-vità – del lavoro e totale dei fat-tori - ristagnasse, hanno conti-nuato a confidare in qualche deus-ex-machina.

Oggi i capitalisti italiani so-no chiamati a far leva, più che sui trasferimenti statali, sui lo-ro patrimoni, che sono cospi-cui e per superare le attuali dif-ficoltà andrebbero investiti nell’azienda. La categoria "fa-

miglie" dei conti finanziari – che comprende gli averi dei proprietari dei 4,4 milioni di imprese nostrane (in media con meno di quattro addetti, il bar all’angolo) - possedeva alla fine del 2017 un patrimonio netto di 9,7 trilioni di euro (per il 54% "reale", per il 46% "finan-ziario"), pari a quasi quattro volte il debito pubblico e oltre-modo concentrato (l’indice di Gini nel 2016 era stimato in 0,61). Nonostante il ventenna-le ristagno dell’economia, in rapporto al reddito disponibi-le (8:1) una tale ricchezza re-sta la più elevata fra i paesi del Gruppo dei 7. La parte facente capo al 10% più agiato delle fa-miglie italiane è pari al 44% del totale (4,3 trilioni), quella detenuta dall’ulteriore 10% più agiato al 18% (altri 1,7 tri-lioni). Il 20% più ricco detiene quindi un patrimonio netto di sei trilioni di euro (due terzi del totale). E’ ragionevole rite-nere che in tale novero rientri-no gli averi dei proprietari del-le imprese e di chi le ammini-stra (i 4,4 milioni di imprese

corrispondono a poco meno del 20% dei 27 milioni di fami-glie del Paese, un terzo delle quali unipersonali).

Lo Stato, opportunamente e prudentemente, non percuote questi averi con una vera impo-sta patrimoniale. Dovrebbe tuttavia quantomeno astener-si dal contribuirvi ulteriormen-te profondendo nelle imprese trasferimenti a fondo perduto e capitale con risorse, che ri-schierebbero di dissolversi, da ultimo prelevate dal reddito dei contribuenti, soprattutto lavoratori e pensionati.

È invece fondamentale che gli scarsi mezzi finanziari di cui la Repubblica dispone vada-no ad alimentare investimenti pubblici, in specie nel Mezzo-giorno. Devono con urgenza predisporsi, annunciarsi, at-tuarsi piani pluriennali di vali-di investimenti pubblici in in-frastrutture materiali e imma-teriali, scanditi secondo priori-tà a cominciare dalle strutture sanitarie, dalla cura dell’am-biente, dalla messa in sicurez-za del territorio, dall’istruzio-

ne, la ricerca, l’ordine pubbli-co. Dal 2009 gli investimenti della PA sono stati colpevol-mente tagliati – dai governi sia di destra sia di sinistra - di un terzo, quelli nella sanità quasi di due terzi. Non a caso l’Italia è incappata nell’epidemia vira-le con soli 3,2 posti-letto ospe-dalieri – terapia intensiva in-clusa - per mille abitanti, ri-spetto ai 5 della media euro-pea, accusando un più alto nu-mero di vittime.

L’investimento pubblico va rilanciato, posto al centro del-la politica economica che s’im-pone. E’ l’unico strumento di bilancio capace di sostenere tanto la domanda quanto pro-duttività e produzione, quindi l’offerta, oggi in parte blocca-ta. Essendo produttivo e non inflazionistico, è apprezzato dai mercati finanziari, dai cre-ditori dello Stato.

In un contesto di pesante re-cessione e di bassi tassi dell’in-teresse l’effetto moltiplicativo di investimenti pubblici, ben attuati, può arrivare a 3: si spende un punto di Pil e il Pil

aumenta, in un biennio o trien-nio, del 3%. Si attivano non so-lo i consumi, ma gli stessi inve-stimenti privati. L’effetto sul Pil di un aumento della spesa corrente o di una detassazione di analogo importo non rag-giunge, invece, l’1%. La spesa per investimenti pubblici pro-duttivi, moltiplicando reddito e gettito fiscale, al di là del bre-ve periodo si autofinanzia, ab-batte il rapporto fra il debito pubblico e il Pil.

Lo shock pandemico è "sim-metrico", colpisce ogni paese, sia pure in misura diversa. E’ essenziale che in aggiunta a quanto ha già deciso – ben più che in passato – l’Europa dia un fortissimo segnale di coesio-ne e di coordinamento. La poli-tica monetaria espansiva non può bastare, come non è basta-ta dopo il 2008, anche per la la-titanza della politica di bilan-cio oltre che per i suoi errori. Le ipotesi sul tappeto – Mes per la sanità, senza iugulatorie condizioni; Recovery-bonds, Corona-bonds, Euro-bonds (ti-toli al di là dei nominalismi ac-

comunati dall’essere emessi dall’Unione); Sure; Bei; bilan-cio comunitario – sono nell’in-teresse di tutti gli europei.

L’aumento complessivo di spesa pubblica di cui si discute è molto rilevante. Ma l’Europa è in grado di collocare suoi tito-li a tassi dell’interesse e scaden-ze più favorevoli di quanto non possa fare la maggioranza dei suoi membri, a cominciare dall’Italia. Le risorse così rac-colte verrebbero quindi trasfe-rite ai singoli paesi sotto forma di crediti meno costosi e volati-li di quelli ottenibili con le emissioni nazionali nel merca-to obbligazionario, a cui gli Sta-ti dovranno comunque far ri-corso perché non tutta la nuo-va spesa è finanziabile attraver-so la Ue.

Il rinnovo del debito e la sua discesa in rapporto al Pil sarebbero poi in prima istan-za affidati alla ripresa dell’e-conomia europea dalla reces-sione e al suo ritorno su un sentiero di crescita ben più sostenuto di quello (deluden-te, poco più dell’1% l’anno) sperimentato nel primo ven-tennio dell’euro.

Nel caso italiano la reces-sione è più profonda che nel resto dell’Euroarea. La pande-mia ha colpito prima e più se-veramente rispetto ad altri paesi. L’economia italiana già versava nell’ennesima fa-se di flessione ciclica. Soprat-tutto, un ventennio di produt-tività ristagnante l’aveva mi-nata nelle fondamenta. Quin-di il sostegno per la ripresa dev’essere maggiore che al-trove. Ma è cruciale che la spinta della domanda sia col-legata a un programma di me-dio periodo volto a sanare le debolezze strutturali eredita-te dal passato, causate anche dal fatto che quell’azione, da tanti e da gran tempo auspica-ta, è mancata. Ai fini del rac-cordo fra la politica anticicli-ca e quella strutturale è pre-ziosa la continuità di gover-no dell’economia.

Gli scarsi mezzi di cui

dispone la Repubblica

vanno indirizzati

alla spesa pubblica,

soprattutto al Sud.

Con un forte effetto

moltiplicatore del Pil

PIERLUIGI CIOCCA

— segue dalla prima —

In una parola

Mancanogli «uomini

di una volta»?

ALBERTO LEISS

Le imprese detengono

un patrimonio tra i più

elevati del Gruppo dei 7.

Il 20% più ricco delle

famiglie possiede 6 trilioni

di euro, pur nel il ristagno

della nostra economia

Basta trasferimenti alle imprese, servono investimenti pubblici

Illustrazione di Pedro Scassa

19martedì 12 maggio 2020 community

Page 21: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

Care matite, ci siamo. Avete risposto finora con passione e impegno al no-stro appello, regalandoci generose

valanghe di vignette. Avete acceso una forte corrente di commenti disegnati che ci aiuta-no a riflettere sui fatti del giorno. A volte con dialoghi tra coppie di personaggi, goffi o stilizzati, oppure con soggetti ogni volta diversi, colori e voci, riflessioni amare o di-vertite perché non bisogna rassegnarsi alla tristezza del presente e la satira ha mille frecce al suo arco. Sono arrivate in questo ultimo periodo perfino straordinarie vignet-te sul Coronavirus. Molto gettonate le sardi-ne, Trump, Salvini, Conte, Di Maio e Zinga-retti. Gli immigrati, il clima, il lavoro, la tra-ballante situazione politica. Avete inviato decine di vignette ogni giorno e scegliere non è facile: meriterebbero tutte (o quasi) di essere pubblicate sul manifesto.

Né il nostro compito sarà semplice, quan-do - e stiamo per farlo in questi giorni - dovre-mo decidere la vincitrice o il vincitore del concorso per trovare l’erede di Biani. (Care ragazze, avete inviato meno vignette dei col-leghi maschi, quindi per la finalissima, ac-corciate in qualche modo le distanze).

Approfittate degli ultimi giorni-ore e sca-tenatevi. La satira, strumento indispensabi-le nel commento quotidiano, è un'arma di combattimento dell’intelligenza che va affi-lata ogni giorno, per rendere il piatto dell'in-formazione croccante e più ricco di sapori diversi.

Alla finalissima del nostro concorso

Una nuova matita s’avvicina

DON RENATO SACCO *

F35 e non solo

Moratoria di un anno

sulle spese militari

Lele Corvi

«Nessuno», parola di Roberto VecchioniRoberto Vecchioni su Repubblica del 10 maggio scrive: "In questi giorni nessuno, dico nessuno, ha pensato di segnalare che tre ragazzi,tre musicisti, in un paese non lontano, stavano morendo volontariamente uno alla volta in un terrificante sciopero della fame" (…) Mi dispiace molto che Vecchioni non legga o non tenga in considerazione Il Manifesto, altrimenti avrebbe almeno riconosciuto che tra i "nessuno" non può mettercelo, perché è stato il solo a riportare tutte le notizie riguardo quella terribile tragedia.Gianni Zanella, Milano

Accendiamo l’attenzioneNon so quanti giornali dell’otto maggio, oltre al Manifesto, abbiano riportato la notizia della morte di Ibrahim Gokcek dopo 323 giorni di sciopero della fame in una carcere turco. Sicuramente solo il Manifesto

l’ha messo in prima pagina.È un assassinio a tutti gli effetti. Ibrahim, e poco prima di lui Helin Bolek e Mustafa Kocak, sono le vittime di un dittatore criminale, che risolve i conflitti con oppositori, intellettuali, avvocati, attivisti ambientali e con la popolazione curda a colpi di massacri. E a questo dittatore e al suo enturage di gangster noi italiani, noi europei, noi "occidentali”, continuiamo non solo a confermare la nostra "alleanza", ma lo continuiamo a tenere nel conto di prezioso cliente del nostro export di armi, e a fornirgli fior di miliardi di euro perché ci tenga lontani gli immigrati che provengono da quella rotta. Non si può continuare così. Bisogna che si sollevi la voce di chiunque si senta indignato su questa vicenda. Intanto, come primo gesto di piccola, sicuramente ininfluente nell’immediato, ma importante mobilitazione delle coscienze, propongo che tutti rivolgiamo un pensiero alla lotta

di Helin, Mustafa e Ibrahim accendendo Youtube e andando a cercare la loro versione di "Bella Ciao".Pippo Tadolini, Ravenna

Salvini e gli animali di EsopoAll’assurda, illogica demagogia di bloccare una nave Ong con persone salvate dal mare "per difendere i confini della Patria", Salvini su supera con la denuncia per l’offesa che si arrecherebbe, regolarizzando i clandestini, " a chi rispetta la legge".Sarebbe come se, legalizzando la droga, si offenderebbero tutti quelli che non si drogano. Queste infantili distorsioni logiche del demagogo di turno andrebbero, facendo ricorso all’ironia, diffuse a iosa, raffigurando l’autore del continuo apparire con gicche militari. Che avrà solo dismesso per portarle in lavanderia. Forse un merito potremmo riconoscere al sergente leghista, quello di aver ampliato i comportamenti degli animali, descritti da Esopo,

il classico quello tra il lupo e l’agnello che gli inquinava l’acqua. Vignettisti all’opera.Giacomo Grippa, Massafra (Taranto)

Virus o F35?A proposito di finanziamenti per la lotta ai virus e a quelli per la difesa, come da mia lettera che cortesemente avete pubblicato, mi riferisco a due articoli del Manifesto. Il primo di Alberto Negri (5/5/2020) riporta che nel 2019 gli Usa hanno finanziato, per un progetto sui virus, i laboratori di ricerca cinesi di Wuhan con 3,7 milioni di dollari (ai quali ne vanno aggiunti 7,4 versati in anni precedenti). Il secondo, di Tommaso Di Francesco (8/5/2020), riporta che “la spesa militare complessiva dell’Italia ha superato i 70 milioni di Euro al giorno”. Se l’1% di questo bilancio fosse destinato, per i prossimi 10 anni, alla ricerca sulla terapia delle infezioni virali, forse, con la disponibilità di 2,5 miliardi di euro, qualcosa si troverebbe:

questo senza esporre ad un aumentato rischio bellico l’Italia. Franco Ajmar, Ovada

Se vogliamo dichiarare guerra alla pandemia...Caro Manifesto, non cambiamo il mondo con una sola mossa, ma, se davvero vogliamo dichiarare “guerra”al Covid-19 propongo: che il 5% del bilancio destinato alle spese militari del G20 circa 90 miliardi l’anno e aperto ad altri paesi se lo vogliono, venga destinato alla costituzione di un centro ricerche mondiale per lo studio e la prevenzione di epidemie. A garanzia di questo Istituto di ricerca, un comitato composto da 11 premi Nobel. Credo che le multinazionali del farmaco non siano favorevoli, ma anche alcuni paesi del G20. Il mondo è stato colto di “sorpresa” dal Covid-19, se davvero vogliamo per il futuro un cambio di direzione, la Salute è tale e universale se esce dal profitto.Peppe Amato

Ecosì continuava: «Certa-mente i tecnici della lob-by industrial-militare

adducono tante ragioni per giustificare l’opportunità, se non la necessità, di dotare le nostre Forze Armate di un si-mile aggeggio… (nave Cavour ndr) Quella che verrà costrui-ta, infatti, resta un’arma da guerra (e di quella fatta alla grande, da superpotenza), uno strumento di morte...».Passano gli anni e di nuovo, il

20 gennaio 2010, come Pax Christi interveniamo denun-ciando che davanti alla trage-dia del terremoto ad Haiti, l’I-talia gioca la carta della por-taerei Cavour: «Haiti non ha bisogno di portaerei ma di ri-conversione delle spese mili-tari e di reale cooperazione. Questa grande portaerei lun-ga 235 metri è costata oltre 1200 milioni di euro pari alla somma raccolta nel mondo dopo la prima settimana dal terremoto di Haiti. Ci chiedia-mo: quante sale operatorie od ospedali da campo si poteva-no e si possono realizzare con una spesa così folle?».Sono passati altri 10 anni e di nuova siamo qui davanti al Cavour (sì, al maschile, così si usa per le navi militari) che è di nuovo in partenza. Questa volta però si toglie la masche-ra. Mentre tutti siamo obbliga-

ti a usare la mascherina, il Ca-vour se la toglie orgogliosa-mente, mostrando il suo vero volto: una portaerei in parten-za per gli Usa per ospitare i famigerati e discussi F35.Ora le cose sono, tragicamen-te più chiare. E si capisce, for-se, perché l’attuale direttore de la Repubblica Maurizio Moli-nari, quando era ancora a La Stampa scrisse un editoriale il 10 novembre 2019: «Da Came-ri a Candiolo. Sulle Strade dell’Italia che innova». Gli scrissi una lettera ma non ho mai risposto. Dicevo: «Le con-fesso che sono rimasto senza parole… Mi stupisco che un autorevole Direttore come lei non abbia colto la differenza sostanziale dei due centri. A Candiolo la ricerca oncologi-ca è a servizio della vita. A Ca-meri, la tecnologia degli F-35 è a servizio della morte. E di

questo posso solo vergognar-mi!». Per questi caccia F35 c’è un investimento di almeno 14 miliardi, Il costo di ognuno supera abbondantemente i 100 milioni di €. Quasi 150 milioni l’uno con gli aggiorna-menti necessari di armamen-ti e tecnologia. Siamo in tem-po di pandemia, abbiamo vi-sto morire, solo in Italia, più di 30.000 persone a causa del Covid-19. Quanti posti letto ci sarebbero anche con un solo F35? Quanti respiratori? E an-che quante mascherine? In Italia c’è una sola ditta che produce respiratori polmona-ri, mentre sono ben 231 le fab-briche d’armi! Da qui si capi-scono le priorità di un paese. Da chi ci dobbiamo difende-re? In questi ultimi anno sono stati tagliati circa 37 miliardi alla sanità, ma le spese milita-ri sono in aumento. «L’Italia

spende per la Difesa circa 68-70 milioni al giorno - ha dichiarato lo scorso mese di marzo l’attuale Presidente di Pax Christi, il Vescovo Giovan-ni Ricchiuti - ma stando alle richieste degli Usa e della Na-to noi dovremmo spendere ancora di più, per arrivare for-se a 100 milioni al giorno?». No. Non è questo il mondo che vogliamo. E non possia-mo tacere! Bene ha fattoil manifesto ad intervenire in passato e anche ripetutamen-te in questi giorni. I grandi interessi imbavagliano e met-tono a tacere molti mass me-dia. Dobbiamo far sì che quel-la macchina da guerra che è la nave Cavour non parta. Per-ché si blocchi la produzione degli F35. Perché ci sia alme-no una moratoria di un anno sulle spese militari, come chiediamo insieme con Rete

Disarmo, Sbilanciamoci e co-me chiede anche una Mozio-ne del M5S presentata in Parla-mento che va sostenuta, per-ché è uno spiraglio che lascia entrare una luce nuova, di spe-ranza, di vita, di pace.Lo dobbiamo fare insieme, come abbiamo denunciato anche con il Movimento dei Focolari Italia, Banca Etica, Scuola di Economia civile, Commissione della pastorale sociale del Piemonte. Non cada nel vuota la denun-cia chiara e forte di papa Fran-cesco, lo scorso 23 febbraio a Bari: «Tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che sono in guerra. Que-sto si chiama la grande ipocri-sia». E quanto ha detto la not-te di Pasqua: «Di pane e non di fucili abbiamo bisogno».* Coordinatore Nazionale di Pax Christi

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Fabio Fina Danilo Maramotti

Giorgio Giacomo Mariani

— segue dalla prima —

18

martedì 12 maggio 2020community

Naturalmente «nulla sarà come prima», nel senso di qualcosa

che vada un po’ meglio, può essere una pia illusione. Mi sembra altrettanto possibi-le che le cose vadano peg-gio. E non solo perché af-fronteremo una dura crisi economica, occupazionale ecc. Anzi, la stiamo già vi-vendo.

I primi sintomi del peggio-

ramento non mancano. Un breve elenco: gara di tweet e reazioni piccate nel gover-no intorno a una faccenda seria e complessa come la liberazione di Silvia Roma-no. Gara di nefandezze sulla stampa di destra (ma non solo) sempre a proposito di Silvia. Aumento esponenzia-le delle baggianate tra i co-siddetti «governatori» in vi-sta di vacanze difficili per tutti (cito l’idea del «braccia-letto vibrante» promesso dal ligure Toti, per garantire il metro di sicurezza sulle spiagge…).

Indecorosa polemica re-trospettiva tra un magistra-to e un ministro su una que-stione altrettanto delicata e fondamentale come i diritti dei carcerati, il ruolo delle mafie e l’indipendenza del-

la magistratura, ora affron-tata col solito decreto propa-gandistico, con ben scarso (per fortuna?) effetto norma-tivo. E tutto ciò solo per ri-manere nel nostro orticello. Se appena allunghiamo lo sguardo intorno a noi (Tur-chia, Libia, Siria, Egitto ecc.) vediamo purtroppo molto di peggio e di tragico.

Rischio di ripetermi, ma non riesco a non far caso al fatto che in tutto ciò hanno un ruolo determinante per-sone di sesso maschile, che mettono in scena una so-stanziale miseria, culturale, politica, comportamentale. Ingigantita nelle situazioni dove si imprigionano e tor-turano i dissidenti, si fa la guerra, persino mobilitan-do bambini-soldato.

Nessun «essenzialismo»

per carità. Ma credo che dav-vero il problema dei proble-mi sia la pervasiva crisi dell’autorità maschile che ci accompagna ormai da tempo. Molte donne e mol-te parole del femminismo ce lo ricordano quasi tutti i giorni. Ma la nostra resisten-za a trarne conseguenze non effimere resta molto forte. Né si tratta di rimpian-gere i «veri uomini di una volta».

Ma non mancano eccezio-ni che direi incoraggianti.

Proprio un magistrato, famoso per il ruolo che ha svolto nel «pool» milanese di «mani pulite», Gherardo Colombo, ha dato una inte-ressante intervista nei gior-ni scorsi all’Huffington Po-st, in cui, partendo da pro-fondi sentimenti personali,

ha teorizzato l’insostenibili-tà del carcere come pena e correttivo del crimine: «L’i-dea di mandare in galera una persona mi tormenta-va, mettendomi davanti a interrogativi insolubili e an-gosciosi. Ho cominciato a pensare che il carcere non fosse più compatibile con il mio senso della giustizia, la mia concezione della digni-tà umana, la mia interpreta-zione della Costituzione. Più che pensare, in realtà sentivo: sentivo tutta l’ingiu-stizia della prigione. Era or-mai intollerabile. Perciò, dopo anni passati a pensar-ci, ne ho tratto tutte le con-seguenze».

Altro che gli scambi con rilevanza penale tra Di Mat-teo e Buonafede...

Molto toccante poi il rac-

conto che Pietro Ichino ha fatto sul suo blog della lun-ga malattia e della morte della moglie Costanza: «Ri-guardando indietro a questi ultimi due anni - ha scritto tra l’altro - nei quali la malat-tia ha infierito più duramen-te su Costanza, e di riflesso su chi la assisteva, non ho solo una memoria di soffe-renza: è stato forse il perio-do più ricco e intenso di tut-to il nostro matrimonio, che pure, nell’arco dei quasi cinquant’anni della sua du-rata, è stato straordinaria-mente ricco di vita e di lavo-ro comune». Non so se e che cosa pensino Colombo e Ichino sul punto che cerco di sollevare. Ma credo che le loro parole e azioni potreb-bero aiutarci a comprender-lo meglio.

II Vi è, tuttavia, un limite da non superare. E’ quello di tra-sferire alle imprese private me-dio-grandi risorse pubbliche addirittura a fondo perduto e/o nella forma di capitale di ri-schio – le perdite sono pratica-mente certe! – fra l’altro la-sciando il controllo e la gestio-ne in mano agli attuali azioni-sti e amministratori. Una nuo-va IRI è irrealizzabile. Lo Stato deve sostenere la domanda, co-prire la Cassa integrazione, aiutare chi ha bisogno. Il capi-tale compete ai proprietari del-le imprese.

Non è solo questione di mo-ral hazard. Eletto a sistema, il ca-deau che il mondo degli affari addirittura pretende dallo Sta-to collide col paradigma alloca-tivo su cui si fonda un’econo-mia di mercato capitalistica. In media, lungo un quarto di secolo gli azionisti e gli ammi-nistratori privati italiani han-no realizzato profitti e utili, an-che lauti. Le imprese hanno po-tuto ridurre i debiti al disotto del 40% delle passività di bilan-cio. Si sono avvalse di bassi sa-lari, di una spesa pubblica in-controllata nelle forniture, ne-gli appalti, nei contributi, dell’evasione ed elusione delle imposte. Hanno esportato ca-pitali, persino illegalmente.

Soprattutto, lungo un quar-to di secolo la più gran parte de-gli azionisti e amministratori ha investito poco e male nelle proprie imprese. Sia pure con meritevoli eccezioni e a diffe-renza di altre fasi storiche, le imprese non hanno innovato, hanno lasciato che la produtti-vità – del lavoro e totale dei fat-tori - ristagnasse, hanno conti-nuato a confidare in qualche deus-ex-machina.

Oggi i capitalisti italiani so-no chiamati a far leva, più che sui trasferimenti statali, sui lo-ro patrimoni, che sono cospi-cui e per superare le attuali dif-ficoltà andrebbero investiti nell’azienda. La categoria "fa-

miglie" dei conti finanziari – che comprende gli averi dei proprietari dei 4,4 milioni di imprese nostrane (in media con meno di quattro addetti, il bar all’angolo) - possedeva alla fine del 2017 un patrimonio netto di 9,7 trilioni di euro (per il 54% "reale", per il 46% "finan-ziario"), pari a quasi quattro volte il debito pubblico e oltre-modo concentrato (l’indice di Gini nel 2016 era stimato in 0,61). Nonostante il ventenna-le ristagno dell’economia, in rapporto al reddito disponibi-le (8:1) una tale ricchezza re-sta la più elevata fra i paesi del Gruppo dei 7. La parte facente capo al 10% più agiato delle fa-miglie italiane è pari al 44% del totale (4,3 trilioni), quella detenuta dall’ulteriore 10% più agiato al 18% (altri 1,7 tri-lioni). Il 20% più ricco detiene quindi un patrimonio netto di sei trilioni di euro (due terzi del totale). E’ ragionevole rite-nere che in tale novero rientri-no gli averi dei proprietari del-le imprese e di chi le ammini-stra (i 4,4 milioni di imprese

corrispondono a poco meno del 20% dei 27 milioni di fami-glie del Paese, un terzo delle quali unipersonali).

Lo Stato, opportunamente e prudentemente, non percuote questi averi con una vera impo-sta patrimoniale. Dovrebbe tuttavia quantomeno astener-si dal contribuirvi ulteriormen-te profondendo nelle imprese trasferimenti a fondo perduto e capitale con risorse, che ri-schierebbero di dissolversi, da ultimo prelevate dal reddito dei contribuenti, soprattutto lavoratori e pensionati.

È invece fondamentale che gli scarsi mezzi finanziari di cui la Repubblica dispone vada-no ad alimentare investimenti pubblici, in specie nel Mezzo-giorno. Devono con urgenza predisporsi, annunciarsi, at-tuarsi piani pluriennali di vali-di investimenti pubblici in in-frastrutture materiali e imma-teriali, scanditi secondo priori-tà a cominciare dalle strutture sanitarie, dalla cura dell’am-biente, dalla messa in sicurez-za del territorio, dall’istruzio-

ne, la ricerca, l’ordine pubbli-co. Dal 2009 gli investimenti della PA sono stati colpevol-mente tagliati – dai governi sia di destra sia di sinistra - di un terzo, quelli nella sanità quasi di due terzi. Non a caso l’Italia è incappata nell’epidemia vira-le con soli 3,2 posti-letto ospe-dalieri – terapia intensiva in-clusa - per mille abitanti, ri-spetto ai 5 della media euro-pea, accusando un più alto nu-mero di vittime.

L’investimento pubblico va rilanciato, posto al centro del-la politica economica che s’im-pone. E’ l’unico strumento di bilancio capace di sostenere tanto la domanda quanto pro-duttività e produzione, quindi l’offerta, oggi in parte blocca-ta. Essendo produttivo e non inflazionistico, è apprezzato dai mercati finanziari, dai cre-ditori dello Stato.

In un contesto di pesante re-cessione e di bassi tassi dell’in-teresse l’effetto moltiplicativo di investimenti pubblici, ben attuati, può arrivare a 3: si spende un punto di Pil e il Pil

aumenta, in un biennio o trien-nio, del 3%. Si attivano non so-lo i consumi, ma gli stessi inve-stimenti privati. L’effetto sul Pil di un aumento della spesa corrente o di una detassazione di analogo importo non rag-giunge, invece, l’1%. La spesa per investimenti pubblici pro-duttivi, moltiplicando reddito e gettito fiscale, al di là del bre-ve periodo si autofinanzia, ab-batte il rapporto fra il debito pubblico e il Pil.

Lo shock pandemico è "sim-metrico", colpisce ogni paese, sia pure in misura diversa. E’ essenziale che in aggiunta a quanto ha già deciso – ben più che in passato – l’Europa dia un fortissimo segnale di coesio-ne e di coordinamento. La poli-tica monetaria espansiva non può bastare, come non è basta-ta dopo il 2008, anche per la la-titanza della politica di bilan-cio oltre che per i suoi errori. Le ipotesi sul tappeto – Mes per la sanità, senza iugulatorie condizioni; Recovery-bonds, Corona-bonds, Euro-bonds (ti-toli al di là dei nominalismi ac-

comunati dall’essere emessi dall’Unione); Sure; Bei; bilan-cio comunitario – sono nell’in-teresse di tutti gli europei.

L’aumento complessivo di spesa pubblica di cui si discute è molto rilevante. Ma l’Europa è in grado di collocare suoi tito-li a tassi dell’interesse e scaden-ze più favorevoli di quanto non possa fare la maggioranza dei suoi membri, a cominciare dall’Italia. Le risorse così rac-colte verrebbero quindi trasfe-rite ai singoli paesi sotto forma di crediti meno costosi e volati-li di quelli ottenibili con le emissioni nazionali nel merca-to obbligazionario, a cui gli Sta-ti dovranno comunque far ri-corso perché non tutta la nuo-va spesa è finanziabile attraver-so la Ue.

Il rinnovo del debito e la sua discesa in rapporto al Pil sarebbero poi in prima istan-za affidati alla ripresa dell’e-conomia europea dalla reces-sione e al suo ritorno su un sentiero di crescita ben più sostenuto di quello (deluden-te, poco più dell’1% l’anno) sperimentato nel primo ven-tennio dell’euro.

Nel caso italiano la reces-sione è più profonda che nel resto dell’Euroarea. La pande-mia ha colpito prima e più se-veramente rispetto ad altri paesi. L’economia italiana già versava nell’ennesima fa-se di flessione ciclica. Soprat-tutto, un ventennio di produt-tività ristagnante l’aveva mi-nata nelle fondamenta. Quin-di il sostegno per la ripresa dev’essere maggiore che al-trove. Ma è cruciale che la spinta della domanda sia col-legata a un programma di me-dio periodo volto a sanare le debolezze strutturali eredita-te dal passato, causate anche dal fatto che quell’azione, da tanti e da gran tempo auspica-ta, è mancata. Ai fini del rac-cordo fra la politica anticicli-ca e quella strutturale è pre-ziosa la continuità di gover-no dell’economia.

Gli scarsi mezzi di cui

dispone la Repubblica

vanno indirizzati

alla spesa pubblica,

soprattutto al Sud.

Con un forte effetto

moltiplicatore del Pil

PIERLUIGI CIOCCA

— segue dalla prima —

In una parola

Mancanogli «uomini

di una volta»?

ALBERTO LEISS

Le imprese detengono

un patrimonio tra i più

elevati del Gruppo dei 7.

Il 20% più ricco delle

famiglie possiede 6 trilioni

di euro, pur nel il ristagno

della nostra economia

Basta trasferimenti alle imprese, servono investimenti pubblici

Illustrazione di Pedro Scassa

19martedì 12 maggio 2020 community

Page 22: MARTEDÌ 12 MAGGIO 2020 ANNO L N° 113  ... · F35 e non solo ... Un rilancio a singhiozzo Sul decreto liti e rinvii

KARIM METREF

IITi prego, apri la porta / o pa-dre Inuva, o padre Inuva / fai senti-re il tintinnio dei tuoi braccialetti / o Ghriba figlia mia / Temo l'orco della foresta / o padre Inuva, o pa-dre Inuva / Lo temo tanto anch’io / o Ghriba figlia mia. (A Vava Inou-va: testo Ben Mohamed, musica e canto Idir. Ed. Oasis, Algeri, Pathé Parigi. 1976). QUANDO LA CANZONE A Vava Inouva passò per le prime volte alla radio algerina avevo 6 an-ni. Da quel giorno, per me co-me per milioni di nordafrica-ni, è sufficiente sentire le 11 note iniziali della canzone per avere la pelle d'oca e ripiomba-re nel mondo dei ricordi e del-la nostalgia. A Vava Inouva dive-nuta in seguito un successo in-ternazionale, era di un giova-ne algerino, Hamid Cheriet. Uno studente, laureando in geologia, che in attesa di finire gli studi e andare a lavorare nel Grande Sud algerino in cer-ca di petrolio, frequentava gli ambienti artistici di Algeri, suonando la chitarra e scriven-do canzoni. TUTTO COMINCIÒ perché una se-ra, Nouara. una diva della can-zone amazigh dell’epoca, ma-lata, non si presentò al teatro della radio nazionale. In una serata trasmessa in diretta do-veva cantare che doveva canta-re Rsed ay ides (Vieni sonno), una ninna nanna tradizionale che il giovane Hamid aveva adattato per lei con un arran-giamento moderno.

Per coprire il buco nella pro-grammazione, Hamid salì sul palco e la cantò al posto suo,

presentandosi con un nome d'arte, Idir, inventato sul mo-mento. Nei giorni successivi il canale in lingua amazigh della radio nazionale algerina fu tempestato di telefonate. Gli ascoltatori volevano risentire la canzone e chiedevano chi fosse questo misterioso giova-ne dalla voce così suave. Da quel giorno e per l’eternità, Ha-mid Cheriet diventò Idir, la leg-genda della musica amazigh. IDIR È MANCATO A 71 ANNI, il 2 maggio scorso, in un ospedale di Parigi. La sua morte non ha niente a che fare con l’epide-mia attuale di Sars-Cov2. Un enfisema polmonare lo stava consumando ed era giunto al-la fase terminale dopo anni di lotta coraggiosa. Subito dopo l’annuncio della sua morte un’onda emotiva ha attraversa-to tutto il Nord Africa e la dia-spora in tutto il mondo.

Gli omaggi continuano ad arrivare da ogni parte. Sempli-ci cittadini, intellettuali, arti-sti di fama internazionale… Chi non lo conosceva, veden-do il flusso continuo di omaggi sui social network, si chiede:

ma chi era questo qua, cosa avrà fatto questo uomo dall’a-spetto cosi banale per meritar-si tutto questo? PER CAPIRE LA DIMENSIONE cul-turale e, se vogliamo, anche po-litica di Idir, bisogna tornare nell’Algeria e nel Nord Africa degli anni 60. I paesi della re-gione erano indipendenti da poco ed erano tutti guidati dall’ideologia del panarabi-smo, sotto la guida dell’Egitto di Nasser. Per cancellare le trac-ce della dominazione occiden-tale, dicevano, bisognava im-porre (anche con la forza) la cultura araba. I popoli del co-siddetto Mondo Arabo erano ufficialmente «arabi». Ma sicco-me non lo erano, lo dovevano diventare, punto.

Quando Idir prese vecchie ninna nanne e ritornelli tradi-zionali per farne dei successi internazionali, per le strade di Tripoli, Tunisi, Algeri e Casa-blanca, il tamazight, il berbe-ro, lingua originaria del Magh-reb, era politicamente e social-mente inaccettabile. Si doveva parlare in arabo o stare zitti.

Idir che non si è mai conside-

rato un attivista, con la sua chi-tarra e la sua voce flebile ha commesso un atto altamente rivoluzionario. Ha fatto rialza-re la testa a milioni di oppressi dal negazionismo culturale pa-narabista. Noi ci siamo, esistia-mo. Non dobbiamo nasconder-ci né travestirci. SE LA CULTURA AMAZIGH uscì dalla sfera privata e dai musei antropologici per entrare a far parte della vita vera, non era tutto merito suo, ovviamente, decine di intellettuali, artisti e migliaia di attivisti hanno lavo-rato e lottato per questoe conti-

nuano a farlo perché il giusto riconoscimento non è mai arri-vato, nonostante le tante vitto-rie. Ma musicalmente non c’è dubbio che la generazione na-ta dopo A Vava Inouva ha impa-rato ad accettare la propria ori-gine come valore e non più co-me macchia da nascondere.

La musica maghrebina rin-chiusa fino ad allora tra le tra-dizioni locali pure e dure e i tentativi di scimmiottare quel-la egiziana, onnipresente sui mezzi di comunicazione, da quel momento si presenta al mondo valorizzando le pro-

prie tradizioni ma anche con la voglia di partecipare all’uni-versale. Da lì escono, tra gli al-tri, lo stile moghrabi dei Nass El Ghiwan del Marocco, il raï di Khaled e Mami di Orano, il banlieue-rock degli Zebda a To-losa. Tutto questo si portava sulle spalle, il discreto e timi-do Hamid Cheriet. FINO ALLA FINE lui ha ripetuto di non aver fatto niente di straordinario, che era solo un giovane appassionato di musi-ca e di poesia che si era trovato «al posto giusto, al momento giusto, con la canzone giusta». Di lui, Pierre Bourdieu dirà che per gli amazigh, «Idir non è un cantante. Fa parte di ogni fami-glia». Ecco spiegata quindi que-sta onda emotiva. Mentre i me-dia internazionali salutano so-lo la scomparsa di un’artista di fama mondiale, milioni di nor-dafricani elaborano il lutto per quello che per loro era un pa-rente vicino, al pari di un fratel-lo maggiore o uno zio. Con la convinzione però, che se Ha-mid Cheriet è mancato, Idir ri-marrà per sempre vivo nei lo-ro cuori e nella loro mente.

IDIR, CANTOIN BERBEROQUINDI SONO

Tra «A Vava Inouva», primo successo nordafricano globale

e «Ici et ailleurs», ultimo titolo di una discografia tutto

sommato succinta - appena sette album in studio in oltre

40 anni - per una «leggenda della musica della Kabylia»

come lui, Idir si è concesso tra l’altro collaborazioni

avventurose con Alan Stivell, Tiken Jah Fakoly e Yannick

Noah, una sensazionale versione berbera di «Scarborough

Fair», una lunga pausa di riflessione all’inizio degli anni ’80

irritato dallo showbiz, l’omaggio alla Francia repubblicana

che gli ha dato asilo («La France des couleurs»). Ha cantato

inoltre per la pace nell’Algeria dilaniata dalla guerra civile

insieme al suo amico Khaled e in memoria del cantautore

kabyle Lounès Matoub, assassinato nel 1998.

La scomparsa a Parigi della voce algerina

che con un canzone divenuta famosa per caso

"liberò" l’identità amazigh. L’onda emotiva

ora saluta uno di famiglia, prima che l’artista

«A Vava Inouva» e altre storie

Idir in Svizzera nel 2007 e la bandiera amazigh durante le proteste del movimento Hirak foto Ap

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martedì 12 maggio 2020l'ultima