Marcinelle

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MARCINELLE

La guerra era finita e con sé aveva portato via milioni di storie e di certezze. Tra le storie rubate

c’era anche la mia…Quando mio padre partì per la Russia, il suo freddo “ci rivediamo poi” già

suonava come un addio. Anche mia madre, sempre presente, forse era partita con lui ed era morta

con lui. Io, adolescente, ero diventato già grande. Io, adolescente, ero già un altro. I miei pensieri e

chi mi circondava, i miei pensieri e cosa mi circondava erano diventati una cosa sola. Soffrivo e

bruciavo insieme alla mia terra e a volte volevo raggiungere mio padre e l’anima di mia madre. Ma

la vita, quando si va giù, non ha più paura di niente.

“Federazione carbonifera Belga-Bruxelles- sede di Milano Piazza S. Ambrogio, 3”. La speranza che

mi restituiva quell’annuncio era enorme…

I salari erano straordinari e viaggiare significava trovare nuovi orizzonti e nuove certezze.

Marcinelle è un borgo della città di Charleroi, il suo paesaggio è così diverso da quello milanese. Le

case sono tutte uguali con alti tetti a punta e mattoni rossi. Non sapevo quale sarebbe stato il mio

compito, ma sapevo di dover dare il massimo perché il lavoro ci rende uomini ed io dovevo

tornare ad essere uomo. Dal primo giorno di lavoro fu subito chiaro che il mio compito non era

semplice e che la strada sarebbe stata dura. Ci recavamo a lavoro con un sacchetto contenente

una sostanziosa colazione: due fette di pane con burro e marmellata. Vivevamo con il terrore che

tutto ci crollasse addosso ed eravamo sempre accompagnati da un’aria irrespirabile infestata di

Grisù, un terribile miscuglio di gas metano, anidride carbonica, ossigeno ed azoto. Dovevamo

estrarre il carbone con un martello pneumatico e con una pala portarlo nei carrelli che avrebbero

condotto il materiale in superficie attraverso gli ascensori. Tutti eravamo provvisti di una pila

elettrica e di un elmetto per difenderci dalla caduta dei sassi. Ogni squadra di operai era munita di

una lampada speciale che misurava la quantità di grisù presente. Quando la luce iniziava a

lampeggiare l’aria diveniva pericolosa ed in caso di estremo pericolo eravamo autorizzati ad

abbandonare la postazione. La miniera doveva essere bonificata attraverso l’introduzione di una

forte corrente d'aria necessaria per espellere il gas in eccesso. Non avevamo in dotazione le

maschera antigas.

Poiché l'altezza delle vene carbonifere raggiungeva i 60 cm sino a 120 cm, dovevamo lavorare in

ginocchio e, sommersi dalla polvere del carbone, ci riconoscevamo solo dalla voce. Era l’8 Agosto

1956 ed ero in Belgio da tre mesi. Facevo un mestiere rischioso, ma, scendendo a 1000 metri sotto

il suolo, mi sentivo un eroe e le faticose giornate in miniera distruggevano il fisico ma ricostruivano

l’ anima. Lavorare significava avere di nuovo un posto nel mondo e pensavo che anche grazie a me

la vita di tutti era migliore perché, seppur non in sicurezza, prestavo le mie braccia, le mie gambe

e la mia schiena alla società. Le otto erano passate da poco ed il mio turno stava per finire ma,

all’improvviso, un tonfo tremendo richiamò l’attenzione di tutti. C’era stato un guasto ai due

ascensori ed era scoppiato un incendio. Ero, eravamo topi in trappola e non c’erano vie d’uscita.

L’odore del grisù a cui mi ero abituato prepotentemente ritornava a nauseare le mie narici. Avevo

bisogno di dormire, mi sentivo stanco e mi accasciai senza volerlo…

Ora mi sento leggero ed è come vedere il mondo dal finestrino di un aereo. I deserti e gli oceani

non sono grandi come si crede. Sono una cosa sola con il vento e niente mi trattiene. Si alternano

momenti di luce a momenti di buio. Non riesco a fermarmi e soffio sempre più forte. Sento che mi

sto fermando e mentre mi fermo il buio si spegne. Ora solo luce, non è forte, sembra un tramonto

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e più la guardo e più mi sento libero. Finalmente ho ritrovato la mia anima ed un signore mi offre

dell’acqua…