MANUALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO - Giappichelli

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G. Giappichelli Editore MANUALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO Seconda edizione Estratto Prova concorsuale Corte dei Conti Diritto amministrativo Vincenzo Lopilato

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MANUALE DIDIRITTO

AMMINISTRATIVOSeconda edizione

Estratto

Prova concorsuale Corte dei ContiDiritto amministrativo

Vincenzo Lopilato

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Vincenzo Lopilato

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Giustizia amministrativa

Seconda edizione

Estratto

Prova concorsuale Corte dei Contidiritto amministrativo

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Capitolo 5

Situazioni giuridiche soggettive

SOMMARIO: 1. Concetti generali. – 2. Le situazioni giuridiche soggettive nel diritto privato. Rapporto giuridico privatistico. – 3. Le forme di tutela delle situazioni giuridiche soggettive. – 3.1. Forme di esecuzione indiretta e coazione all’adempimento. – 3.2. L’abuso delle situazioni giuridiche soggetti-ve. – 4. Potere pubblico, interesse pubblico e interesse legittimo. Il rapporto giuridico di diritto pub-blico. – 4.1. Interesse procedimentale. – 4.2. L’interesse legittimo nel diritto privato. – 5. Forme di tu-tela dell’interesse legittimo e natura soggettiva del processo: cenni. – 6. Interesse pubblico e azione popolare. – 7. Interesse collettivo e azione proponibile. – 8. Interessi diffusi, criteri di selezione e sog-getti legittimati a farli valere. – 8.1. Criteri di differenziazione in presenza di azione proposta da sog-getti privati. – 8.1.1. Azione per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni: la cd. class action pubbli-ca. – 8.2. Interessi diffusi e pubbliche amministrazioni. – 8.2.1. Il riconoscimento della legittimazio-ne in capo ad Enti territoriali. – 8.2.2. Il riconoscimento della legittimazione in capo ad Autorità amministrative indipendenti. Legittimazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e dell’Autorità nazionale anticorruzione.

1. Concetti generali

Nell’analisi delle situazioni giuridiche soggettive i concetti generali che vengono in rilievo sono: norme giuridiche, interessi, soggetti, beni, situazioni giuridiche, rappor-to giuridico.

Le norme giuridiche, prodotte dalle fonti del diritto [cap. 2, par. 1], regolano inte-ressi di soggetti, privati o pubblici, nei limiti in cui li ritengono giuridicamente rilevanti.

Gli interessi si distinguono in: i) interesse privato che fa capo a soggetti privati; ii) interesse collettivo che fa capo ad associazioni o categorie di soggetti [par. 7]; iii) inte-resse diffuso che è adespota, il che impone l’individuazione di una tecnica di differen-ziazione [parr. 8-8.2.2]; iv) interesse generale che riguarda l’individuo come «membro del pubblico» 1; v) interesse pubblico che si differenzia dall’interesse generale perché esso è «incorporato» 2 in una norma giuridica che gli assegna rilevanza. L’interesse al quale la norma non assegna rilevanza giuridica viene definito “interesse di fatto”.

I beni sono le cose o il complesso di cose inteso come “porzione del mondo fisico”. Essi possono consistere anche in un bene immateriale (ad esempio, un’opera dell’in-gegno) o anche in un comportamento positivo o omissivo.

1 G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2013, 176 ss. 2 G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, cit.

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204 CAPITOLO 5

L’interesse, dunque, è un concetto diverso dal bene e può essere anche definito co-me «il valore relativo che un determinato bene ha per un certo soggetto» 3. In un’altra dif-fusa accezione l’interesse identifica il rapporto di tensione tra un soggetto e un bene 4.

Per consentire ai soggetti la realizzazione dell’interesse protetto dalla norma in re-lazione ad un determinato bene la norma stessa attribuisce ad essi la titolarità di situa-zioni giuridiche soggettive, che hanno valenza diversa a seconda del livello di prote-zione dell’interesse.

L’oggetto delle situazioni giuridiche è, come si esporrà oltre, il bene o il compor-tamento.

Nell’ambito delle situazioni soggettive valgono le seguenti classificazioni. La prima, più rilevante, è quella che differenzia: i) le situazioni di vantaggio, che

si caratterizzano per il riconoscimento in capo al soggetto di poteri o facoltà in grado di realizzare l’interesse protetto; ii) le situazioni di svantaggio, che fanno capo ai sog-getti che devono rispettare o soddisfare quel determinato interesse.

La seconda è quella che, in relazione alle posizioni di vantaggio, differenzia: i) le situazioni attive o dinamiche, che si caratterizzano per il fatto che il soggetto vuole conseguire un bene che non ha, con la conseguente necessità che venga posta in es-sere una condotta modificativa della realtà giuridica; ii) le situazioni passive o stati-che, che si caratterizzano per il fatto che il soggetto vuole conservare un bene che ha già, con la conseguente necessità che non venga posta in essere tale condotta.

L’analisi congiunta di entrambe le situazioni soggettive in relazione ad un interes-se, cui è correlato un bene, definisce il cd. rapporto giuridico, la cui natura dipende da quella delle sue componenti.

Nei successivi paragrafi [parr. 2-3.2] verranno trattate prima le situazioni giuridi-che soggettive nel diritto privato sia perché la pubblica amministrazione, quando agi-sce come un privato, può essere titolare di esse sia, e soprattutto, perché la loro ana-lisi è indispensabile per comprendere le situazioni giuridiche soggettive nel diritto pubblico.

2. Le situazioni giuridiche soggettive nel diritto privato. Rapporto giuri-dico privatistico

Nell’ambito dei rapporti privati la situazione soggettiva più rilevante, per l’in-tensità della protezione accordata dalla norma, è rappresentata dal diritto soggettivo, che è una posizione attiva o di vantaggio, a cui corrisponde un’obbligazione, che è una posizione passiva o di svantaggio.

Il diritto soggettivo può essere definito come «la fondamentale posizione di van-taggio fatta ad un soggetto dall’ordinamento in ordine ad un bene e consistente nell’at-tribuzione al medesimo soggetto di una forza concretantesi nella disposizione di stru-

3 F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, 69. 4 S. Pugliatti, Il trasferimento delle situazioni soggettive, Milano, 1964, 64 ss.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 205

menti (facoltà, pretese, poteri) atti a realizzare in modo pieno l’interesse al bene» 5. La principale distinzione è tra diritti soggettivi assoluti, diritti soggettivi relativi e

diritti personali di godimento. Essa si fonda sulla diversità dell’elemento soggettivo e oggettivo. Nei rapporti giuridici assoluti: i) l’elemento soggettivo, inteso come termine pas-

sivo del rapporto, è costituito dalla pluralità dei soggetti; ii) l’elemento oggettivo, è rap-presentato da un bene 6. Il diritto soggettivo assoluto costituisce, pertanto, una posi-zione passiva o statica e di vantaggio a cui corrisponde un obbligo generale di astensio-ne (situazione giuridica di svantaggio). Tra le parti del rapporto, in ragione della gene-ralità dei destinatari dell’obbligo, non esiste un “contatto sociale qualificato”.

Nei rapporti giuridici relativi: i) l’elemento soggettivo, inteso come termine passi-vo del rapporto, è costituito da uno o più soggetti determinati; ii) l’elemento oggetti-vo, è rappresentato da un comportamento 7. Il diritto soggettivo relativo costituisce, pertanto, una posizione di vantaggio attiva o dinamica a cui corrisponde un obbligo specifico. Tra le parti del rapporto, in ragione della particolarità del destinatario del-l’obbligo, esiste un “contatto sociale qualificato”.

Nei rapporti giuridici relativi di godimento, che presentano caratteri di entrambi i precedenti rapporti: i) l’elemento soggettivo, inteso come termine passivo del rap-porto, è costituito da uno o più soggetti determinati; ii) l’elemento oggettivo è rap-presentato da un bene, con previsione di un dovere generale di astensione.

Nell’ambito dei diritti assoluti si collocano i diritti reali e i diritti della personalità. I diritti reali sono diritti sulle cose ovvero su beni aventi consistenza materiale. Nell’ambito dei diritti reali rientrano la proprietà 8 e i cosiddetti diritti reali mino-

ri o su cosa altrui, distinti in diritti di godimento (superficie; enfiteusi; usufrutto, uso e abitazione; servitù) e diritti di garanzia (pegno e ipoteca). I principali caratteri so-no: i) l’immediatezza, che consente al titolare del diritto di esercitare i diritti e le fa-coltà che gli sono riconosciuti da sé, senza la necessità dell’intermediazione di altri soggetti; ii) l’assolutezza, che permette al titolare di pretendere da chiunque l’asten-sione da atti che pregiudicano il godimento delle utilità che possono trarsi dai beni oggetto del diritto reale o che contestino l’esercizio di tali diritti; iii) l’inerenza del di-ritto alla cosa, intesa come stabile attributo delle utilità che se ne possono trarre, con la conseguenza che esso permane a prescindere dagli spostamenti giuridici che inte-ressano la titolarità del bene (cd. diritto di seguito).

Pur in mancanza di un’espressa enunciazione, l’orientamento prevalente in dot-trina e in giurisprudenza è nel senso che per i diritti reali operi il principio del nume-ro chiuso, il quale riviene il proprio fondamento nell’esigenza di tutelare l’ordine pub-blico di direzione (cfr. art. 1343 cod. civ.). L’autonomia privata non può, pertanto, creare diritti reali atipici [cap. 9, par. 3].

5 M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 1983, 116 ss. 6 F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, cit., 79. 7 F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, cit., 79. 8 Una posizione peculiare riveste la cd. proprietà intellettuale [cap. 9, par. 3, nota 9].

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206 CAPITOLO 5

I diritti della personalità hanno ad oggetto la persona e più precisamente la sua in-tegrità psico-fisica (cd. lato passivo del diritto alla salute) ovvero la sfera relazionale o morale dell’individuo (diritto al nome, all’immagine, alla reputazione, all’identità per-sonale). Anche per essi sono presenti i caratteri dell’immediatezza e assolutezza. In que-sto ambito si collocano anche i cd. diritti sociali, che si connotano per il fatto che i loro titolari pretendono dallo Stato una determinata prestazione, come avviene, ad esem-pio, in relazione alla tutela dal lato attivo del diritto alla salute [cap. 21, par. 7].

Nell’ambito dei diritti soggettivi relativi si distinguono i diritti di credito e i diritti potestativi.

I diritti di credito sono diritti (posizioni dinamiche di vantaggio) riconosciuti ad un soggetto (il creditore) e hanno ad oggetto un comportamento (la prestazione) che deve porre in essere un altro soggetto (il debitore) cui fa capo l’obbligazione (posi-zione dinamica di svantaggio) per la realizzazione di un interesse, relativo ad un be-ne, che deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad interesse anche non patrimoniale del creditore (art. 1174 cod. civ.). Il bene dovuto è “esterno” rispetto al perimetro del diritto di credito. Si tratta, pertanto, di situazioni giuridiche strumentali che necessitano del comportamento di un altro soggetto per realizzare la pretesa.

L’art. 1173 cod. civ. prevede che le fonti delle obbligazioni «derivano da contrat-to, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle, in conformità dell’or-dinamento giuridico».

Nel linguaggio giuridico, il rapporto che si instaura tra creditore e debitore viene spesso identificato con la sola espressione diritto di credito ovvero obbligazione, a seconda che si guardi al lato attivo o passivo del rapporto. Più in particolare, il debi-tore ha un “dovere di prestazione” e, cioè, di porre in essere un comportamento fi-nalizzato a soddisfare l’interesse del creditore [cap. 15, par. 3, sulla nozione di “do-vere di prestazione”].

Il diritto potestativo è un potere (posizione dinamica di vantaggio) che la norma attribuisce ad un soggetto, per realizzare un interesse in relazione ad un bene della vita, nei confronti di un altro soggetto determinato, senza, però, necessità (come av-viene nei diritti di credito) della sua collaborazione. La situazione soggettiva di svan-taggio è rappresentata dalla soggezione. Si distinguono diritti potestativi che si realiz-zano con il semplice comportamento del titolare e diritti potestativi che richiedono necessariamente l’intermediazione di una sentenza del giudice. Esempio del primo ti-po è il diritto di recesso dal contratto (art. 1373 cod. civ.); esempio del secondo tipo è la servitù di passaggio coattivo (art. 1051 cod. civ. 9).

Nell’ambito dei diritti personali di godimento si collocano talune fattispecie con-trattuali che riprendono i modelli sopra descritti. Si pensi al contratto di locazione: il locatario è legato da un rapporto obbligatorio con il proprietario, al quale deve versare

9 Tale norma dispone che «il proprietario, il cui fondo è circondato da fondi altrui e che non ha uscita sulla via pubblica né può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio, ha diritto di ottenere il passag-gio sul fondo vicino per la coltivazione e il conveniente uso del proprio fondo». In caso di disaccordo, tale diritto di servitù di passaggio consegue all’ottenimento di una sentenza costitutiva.

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il canone e dal quale riceve un bene in godimento (interesse a conseguire), con ricono-scimento al contempo di una tutela erga omnes nel godimento del bene (interesse a conservare).

Altre situazioni giuridiche soggettive rilevanti sono: l’aspettativa, l’onere, la potestà, lo status, le situazioni di fatto, la libertà negoziale e l’interesse legittimo di diritto privato.

L’aspettativa di diritto è «la posizione di attesa del soggetto cui l’ordinamento at-tribuisce rilevanza giuridica, favorendone la conservazione e l’attitudine a trasformarsi nel diritto soggettivo» 10. Si differenzia dal diritto soggettivo in quanto ne rappresenta uno stadio anteriore, quale posizione meramente strumentale rispetto ad una situa-zione finale incerta, tutelata solo in via cautelare 11. In particolare, ciò accade quando la fattispecie produttiva di effetti attribuitivi propri di un diritto soggettivo si com-pone di vari elementi, di cui solo alcuni sono venuti ad esistenza, mentre per altri vi è l’attesa che la fattispecie si completi. In questo caso, l’ordinamento interviene al fi-ne di evitare che soggetti terzi possano impedire il verificarsi di tali ulteriori elemen-ti, necessari per il perfezionamento della fattispecie, attribuendo al soggetto che ne è titolare poteri di natura conservativa 12. Si pensi alla posizione di aspettativa di chi si è obbligato o ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva ovvero lo ha acqui-stato sotto condizione risolutiva (art. 1358 cod. civ.).

L’aspettativa di fatto è una attesa, giuridicamente non tutelata, di un risultato van-taggioso.

L’onere è una peculiare situazione soggettiva che impone al soggetto di tenere un comportamento se intende realizzare un interesse proprio. Esso presuppone, pertanto, una condotta caratterizzata non da doverosità ma da libertà. Si pensi, a titolo esem-plificativo, all’onere della prova dei fatti giuridici 13.

La potestà è il potere che la norma o la volontà privata attribuisce ad un soggetto per realizzare un interesse di un soggetto terzo (e non come è nel caso del diritto po-testativo nell’interesse proprio). Si pensi al potere di rappresentanza dei soggetti in-capaci ovvero al potere di rappresentanza volontaria [cap. 6, par. 3, sulla nozione di rappresentanza]. Si tratta di una situazione che riassume in sé taluni connotati propri del potere e del dovere. La diversità rispetto al diritto potestativo sta, pertanto, nel fat-to che in questo caso è un potere esercitato nell’interesse altrui.

Lo status costituisce una situazione giuridica soggettiva che esprime la posizione di un soggetto nei confronti di altri soggetti nell’ambito di una collettività organizza-ta riconosciuta dall’ordinamento giuridico 14. Esso ha una rilevanza sia autonoma sia quale presupposto di altri diritti e doveri che sono a loro volta tutelati in quanto tali.

10 F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, cit., 75. 11 C.M. Bianca, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014, 57. 12 F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2019, 65. 13 L’art. 2697 cod. civ. prevede che «chi vuole fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che

ne costituiscono il fondamento». 14 F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit., 70.

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Si pensi: i) in ambito privatistico, allo status familiae, ossia alla posizione rivestita da un soggetto nei confronti di una comunità famigliare (figlio, coniuge, padre, madre); ii) in ambito pubblicistico, allo status civitatis, ossia alla posizione rivestita da un sog-getto nei confronti della collettività organizzata [cap. 11, parr. 14-14.1, sulle conces-sioni amministrative che conferiscono tale status].

La situazione di fatto più rilevante è quella afferente al possesso, che il codice ci-vile definisce come un potere di fatto sulla cosa che si manifesta in un’attività corri-spondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 cod. civ.). In-vero, la natura giuridica del possesso è stata oggetto, nell’elaborazione dottrinale, di diverse configurazioni, che lo hanno ricondotto alla categoria dell’interesse occasio-nalmente protetto, dell’aspettativa giuridica, del diritto alla conservazione del potere di fatto sulla cosa. La teoria dominante 15, e comunque preferibile, configura il posses-so come situazione di fatto giuridicamente rilevante, dotata di un proprio valore di or-ganizzazione apprezzabile sotto il profilo patrimoniale, la cui compromissione giusti-fica anche la nascita di un obbligo risarcitorio.

La libertà (o autonomia) negoziale si risolve nel potere del titolare di porre in es-sere, anche mediante schemi formativi atipici [cap. 16, par. 2], un contratto con un determinato contenuto nei limiti imposti dalla legge ovvero un contratto atipico, pur-ché diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 cod. civ.) [sul giudizio di meritevolezza si v. cap. 16, par. 8.2.2]. Tale libertà ha un fondamento indiretto in Costituzione essendo correlata, principalmente, all’ini-ziativa economica (art. 41 Cost.).

Infine, l’interesse legittimo nel diritto privato verrà analizzato oltre [par. 4.2] per-ché la sua trattazione presuppone la previa analisi dell’origine dell’interesse legittimo nel diritto pubblico.

3. Le forme di tutela delle situazioni giuridiche soggettive

La questione relativa alle modalità di tutela delle situazioni giuridiche soggettive attiene al rapporto tra “diritto” e “rimedio” e, dunque, al rapporto tra diritto sostan-ziale e diritto processuale.

La lettura in chiave sostanziale di tale rapporto è sintetizzata nel noto brocardo “ubi jus ibi remedium”.

La lettura in chiave processuale inverte il brocardo in “ubi remedium ibi jus” 16. Nel diritto civile negli ultimi anni, anche per l’influenza del diritto europeo, si sta

assistendo ad un approccio rimediale che valorizza le forme di tutela rispetto all’in-dividuazione delle posizioni soggettive.

15 S. Cassani, Azione di reintegrazione e diritto al risarcimento dei danni da lesione del possesso, in Danno e resp., 2015, 701 ss.

16 A. Di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano, 2001, 72.

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L’art. 2907 cod. civ. prevede che «alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte, e quando la legge lo dispone, anche su istan-za del pubblico ministero o d’ufficio».

Lo strumento processuale che consente di assicurare la tutela delle situazioni sog-gettive è l’azione.

Nell’ambito del processo civile, si distinguono le seguenti azioni di cognizione: i) accertamento, consistente nell’accertamento della situazione giuridica; ii) condanna, consistente nella condanna a tenere un certo comportamento (quale, ad esempio, pa-gamento di una somma di denaro); iii) costitutiva, consistente nella produzione di un effetto giuridico (quale, ad esempio, l’annullamento, la rescissione o la risoluzione di contratti).

Quelle indicate sono azioni dal contenuto neutro che si riempiono a seconda del-la tipologia di situazione giuridica che viene in rilievo.

La più rilevante distinzione è tra azioni a tutela di diritti soggettivi assoluti e azio-ni a tutela di diritti soggettivi relativi.

Nel primo caso, la tutela dei diritti reali e, in particolare, del diritto di proprietà si realizza mediante la proposizione dell’azione di rivendicazione, negatoria, di regola-mento di confini e di apposizione di termini (artt. 948-951 cod. civ.). Si tratta di una tutela che si può ottenere nei confronti della generalità dei soggetti che con proprie condotte ledono la posizione soggettiva in esame. È possibile anche agire con l’azione di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.

La tutela dei diritti della personalità si realizza mediante la proposizione di un’a-zione inibitoria e risarcitoria. L’orientamento prevalente ritiene che, al di là delle nu-merose fattispecie tipiche presenti nel codice che consentono il ricorso alla tutela ini-bitoria, sia configurabile una tutela inibitoria atipica 17.

Nel secondo caso, la tutela dei diritti soggettivi relativi e in particolare del diritto

17 A titolo esemplificativo è prevista la tutela inibitoria: i) dei diritti della personalità (artt. 7-10 cod. civ.); ii) dei diritti reali e del possesso (artt. 844, 949, 1079, 1170, 1171 cod. civ.); iii) contro gli atti di concorrenza sleale (art. 2599 cod. civ.); iv) dei consumatori (artt. 37, 139, 140 cod. cons.); v) del diritto d’autore (art. 156, legge 22 aprile 1941, n. 633); vi) dei brevetti per le invenzioni industriali (artt. 124 e 131, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30); vii) dei diritti sindacali dei lavoratori (art. 28, legge 20 maggio 1970, n. 300); viii) contro le discriminazioni (art. 44, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286); ix) contro l’abuso di dipen-denza economica (art. 9, comma 3, legge 18 giugno 1998, n. 192).

L’ammissibilità di una inibitoria atipica non può fondarsi sull’art. 2058 cod. civ., il quale prevede che il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica. Si tratta, infatti, di una norma che contempla un rimedio risarcitorio [cap. 17, par. 13.2].

Gli orientamenti più diffusi sono quelli che: i) ritengono applicabile analogicamente le norme sopra riportate, ritenendole non espressione di una eccezione ma di un principio generale (Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2015, n. 7755); ii) fanno leva sulla norma di cui all’art. 24 Cost. che, consentendo a ciascuno di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti e interessi legittimi, viene considerata una norma posta a garanzia del principio di effettività della tutela giurisdizionale e, per questo, dovrebbe consentire di ricorrere sem-pre allo strumento più idoneo a difesa della situazione soggettiva lesa o in pericolo (v. M. Libertini, Nuove riflessioni in tema di tutela civile inibitoria e di risarcimento del danno, in Riv. crit. dir. priv., 1995, 389. D.M. Frenda, Appunti per una teoria dell’inibitoria come forme di tutela preventiva, in Eur. e dir. priv., 2016, 721).

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di credito avviene mediante la proposizione dell’azione di adempimento e di risar-cimento [cap. 15, par. 3]. Se l’obbligazione nasce da un contratto a prestazioni corri-spettive sono contemplati: i) rimedi di impugnazione negoziale, volti a fare caducare il titolo; ii) rimedi risolutori, con proponibilità dell’azione di restituzione [cap. 15, par. 10, per i rapporti tra l’azione restitutoria contrattuale e l’azione di ripetizione di indebito] 18.

Una volta che si è ottenuta, all’esito del processo di cognizione, la pronuncia del giudice, potrebbe verificarsi l’esigenza di garantire l’esecuzione coattiva della pretesa qualora manchi la cooperazione del soggetto condannato.

In quest’ipotesi, per garantire l’effettività della tutela, il sistema disciplina il pro-cesso esecutivo.

L’art. 474 cod. proc. civ. dispone che l’esecuzione forzata «non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile». E tra i titoli esecutivi include, tra gli altri, «le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva».

L’esecuzione forzata si distingue in esecuzione in forma generica o per espropria-zione e in esecuzione diretta o in forma specifica [cap. 25, par. 23].

La prima comporta l’espropriazione di un bene di proprietà del debitore a fronte del suo inadempimento all’obbligo di pagamento di una somma di denaro (artt. 483 ss. cod. proc. civ.).

La seconda, invece, si ha: i) in presenza di una sentenza di condanna alla conse-gna di beni mobili o al rilascio di beni immobili (artt. 2930 cod. civ. e artt. 605-611 cod. proc. civ.) 19; ii) in presenza di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare (art. 2931 cod. civ. e artt. 612-614 cod. proc. civ.) 20.

18 Si discute se, in tal caso, sia ammissibile anche il ricorso alla tutela inibitoria. Secondo un primo orientamento (C. Rapisarda, Inibitoria, Padova, 1987, 242) il ricorso all’inibitoria al

di fuori dei casi previsti dalla legge è possibile solo in presenza di un diritto assoluto, in quanto solo la struttura dei diritti assoluti attribuisce al titolare il cd. ius excludendi alios, il quale impone ai terzi un dovere generale di non interferenza, del quale l’inibitoria costituisce la proiezione processuale.

Secondo un altro e prevalente orientamento (A. Frignani, voce Inibitoria (azione), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 565), invece, è ammesso il ricorso alla tutela inibitoria anche in caso di violazione dei diritti relativi sulla base delle seguenti argomentazioni: i) il cd. ius excludendi alios non costituisce una prero-gativa dei diritti assoluti, in quanto il dovere di astensione non sarebbe altro che un’espressione del dovere generale di alterum non laedere, posto a tutela di tutti i diritti, assoluti o relativi; ii) gli obblighi di non fare, i quali costituiscono il terreno elettivo dell’azione inibitoria, presentano una struttura simile al dovere di non ingerenza gravante sui terzi in presenza di un diritto assoluto su cosa altrui; iii) si hanno ipotesi tipiz-zate di azione inibitoria a tutela di diritti relativi (si richiamano, tra gli altri, gli artt. 37, 139, 140 cod. cons.) [cap. 23, par. 4.2.].

19 In particolare, gli artt. 605 e 606 cod. proc. civ. prevedono che il precetto per consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili deve contenere la descrizione sommaria dei beni stessi. Decorso il ter-mine indicato nel precetto provvede, in via surrogatoria, l’ufficiale giudiziario.

20 In particolare, l’art. 612 cod. proc. civ. prevede che «chi intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell’esecuzione che siano determinate le modalità dell’esecuzione».

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3.1. Forme di esecuzione indiretta e coazione all’adempimento

Accanto a tali forme di esecuzione diretta, il legislatore, con legge 18 giugno 2009, n. 69, ha introdotto misure di coercizione indiretta. L’art. 614-bis cod. proc. civ., nella sua originaria formulazione, prevedeva, con riferimento ai soli obblighi di fare infungibili e di non fare, che: i) «con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovu-ta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento»; ii) «il provvedimento di condanna costituisce tito-lo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza».

Si tratta di una forma di tutela che, nell’originaria impostazione, si poneva in rap-porto di alternatività esclusiva rispetto alla tutela esecutiva. Essa era prevista, infatti, in presenza dell’inadempimento di obblighi di fare infungibile e di non fare che, in quan-to tali, non sono suscettibili di esecuzione forzata diretta, in ossequio al principio nemo ad factum praecise cogi potest.

La norma è stata riformata dal decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2015, n. 132, il quale ha ampliato l’ambito applicativo della fattispecie, facendovi rientrare qualsiasi obbligo, ad eccezione delle obbligazioni pecuniarie e delle obbligazioni derivanti da rapporti di lavoro 21. È venuto meno, per-tanto, il postulato dell’alternatività necessaria tra esecuzione diretta e indiretta. Ne con-segue che gli strumenti di coazione indiretta possono essere utilizzati anche quando è possibile il ricorso a forme di esecuzione diretta 22.

Nel diritto amministrativo un istituto analogo è costituito dalla cd. penalità di mo-ra, disciplinata nell’ambito del giudizio di ottemperanza [cap. 27, par. 6.1 per l’analisi dei profili comuni e differenziali rispetto all’istituto civilistico].

3.2. L’abuso delle situazioni giuridiche soggettive

Nel nostro ordinamento manca un’espressa definizione di abuso del diritto. Nel progetto preliminare del codice civile era contenuta una norma che prevedeva

che nessuno poteva esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale gli era stato riconosciuto. Tuttavia, tale norma non è stata inserita nel codice civile.

Sul piano sovranazionale, la nozione di abuso del diritto è presente: i) nell’art. 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo cui «nessuna di-sposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il dirit-to di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Carta o ad imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta»; ii) nell’art. 17 della Convenzione

21 Deve segnalarsi, al riguardo, che è all’esame del Parlamento una proposta di legge volta ad elimi-nare la preclusione del ricorso all’art. 614-bis cod. proc. civ. in caso di obbligazioni pecuniarie, al pari di quanto previsto nel processo amministrativo per le penalità di mora [cap. 27, par. 6.1].

22 I. Gambioli, Le misure di coercizione indiretta ex art. 614 bis c.p.c., in Giur. it., 2016, 1264.

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212 CAPITOLO 5

europea dei diritti dell’uomo, secondo cui «nessuna disposizione della presente Con-venzione può essere interpretata nel senso di comportare il diritto di uno Stato, un grup-po o un individuo di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o di imporre a tali di-ritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione».

Da tali disposizioni si evince che costituisce abuso del diritto l’esercizio del dirit-to, da parte del suo titolare, in contrasto con lo scopo per il quale il diritto gli è stato riconosciuto. Il che significa che l’esercizio del diritto riconosciuto ad un soggetto dall’ordinamento è sottoposto a limiti, interni ed esterni.

In particolare, i limiti interni sono quelli previsti dalla stessa norma che contem-pla il diritto e che definiscono le modalità attraverso le quali il diritto può essere fat-to valere, mentre i limiti esterni sono quelli che provengono da clausole generali del-l’ordinamento, quale la buona fede [cap. 1, par. 13], ovvero da principi generali, quale la funzione sociale della proprietà [cap. 9, par. 3].

Alla luce di quanto esposto è opinione consolidata 23 che gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto sono: i) la titolarità di una situazione giuridica soggettiva di van-taggio; ii) la possibilità di suo esercizio secondo una pluralità di modalità non rigi-damente predeterminate (cd. diritto ad uso discrezionale); iii) l’esercizio concreto di tale situazione giuridica in contrasto con i parametri sopra riportati.

Ciò premesso, la tematica dell’abuso del diritto e dei relativi strumenti di tutela as-sume una connotazione diversa a seconda della posizione giuridica che viene in rilievo.

In presenza di un diritto soggettivo assoluto e, in particolare, di un diritto di pro-prietà l’art. 833 cod. civ. dispone che «il proprietario non può fare atti i quali non abbia-no altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri». Si tratta di una norma che costituisce applicazione del limite della funzione sociale della proprietà posta dal-l’art. 42 Cost. 24.

In presenza di un diritto soggettivo relativo e, in particolare, di un diritto di cre-dito, l’eventuale esercizio della pretesa in contrasto con la clausola della buona fede può integrare gli estremi dell’abuso del diritto, con conseguente possibilità del sogget-to obbligato di opporre la cd. exceptio doli generalis ai fini dell’accertamento della ine-sigibilità della prestazione. In questo caso la buona fede opera come limite alle modali-tà di esercizio delle situazioni di vantaggio [cap. 1, par. 13, sul ruolo generale della buona fede].

In presenza di un diritto potestativo, valgono le considerazioni appena svolte. Si pensi all’abuso del diritto potestativo di recesso 25 [cap. 16, par. 35].

In presenza della libertà negoziale, l’abuso si può realizzare sotto diverse forme. Nell’ambito della responsabilità precontrattuale è abusivo l’esercizio della libertà

negoziale di non stipulare il contratto quando essa è stata esercitata in violazione del-

23 Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106. 24 Cass. civ., sez. II, 11 aprile 2001, n. 5421. 25 Cass. civ., sez. III, n. 20106 del 2009, cit.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 213

la buona fede, con lesione dell’affidamento dell’altra parte e senza che vi sia una giu-sta causa [cap. 17, par. 17].

Nell’ambito dei contratti tra diseguali, la parte forte ha il potere di determinare il contenuto del contratto ma, se esercita tale autonomia negoziale in contrasto con la buona fede e, ad esempio, inserisce nel contratto clausole abusive che determinano un significativo squilibrio di diritti e di obblighi, la conseguenza è la nullità parziale ne-cessaria della singola clausola (art. 36 cod. cons.) [cap. 23, par. 4.1]. Previsione ana-loga è contenuta nell’art. 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192 di disciplina del contrat-to di subfornitura nel caso in cui l’imprenditore forte abusa della propria posizione e inserisce nel suddetto contratto patti iniqui [cap. 23, parr. 8-8.2].

In presenza di un potere privato, l’esercizio abusivo in contrasto con la buona fede può giustificare la privazione di effetti mediante lo strumento dell’exceptio doli gene-ralis. Si pensi all’abuso del potere di maggioranza a danno dei soci di minoranza [par. 4.2].

Infine, deve segnalarsi come sia configurabile anche l’abuso del processo inteso come abuso nell’esercizio dell’azione che viene accertato alla luce del principio di buo-na fede e del principio del giusto processo [cap. 26, par. 3].

Nel diritto amministrativo, quando vengono in rilievo diritti soggettivi assoluti o relativi, valgono le regole sin qui esposte.

In presenza di un potere pubblico che si relaziona con l’interesse legittimo, il legi-slatore ha sanzionato l’eccesso di potere che costituisce il corrispondente pubblicisti-co dell’abuso del diritto o del potere [cap. 11, parr. 26.2-26.2.2].

4. Potere pubblico, interesse pubblico e interesse legittimo. Il rapporto giu-ridico di diritto pubblico

Nel diritto amministrativo le situazioni giuridiche soggettive che, normalmente, si confrontano sono il potere pubblico della pubblica amministrazione e l’interesse legit-timo del privato. Esse definiscono il rapporto giuridico di diritto pubblico.

Il potere pubblico unilaterale rappresenta la situazione giuridica soggettiva di vantaggio della pubblica amministrazione dinamica che la norma disciplina, configu-rando un’attività amministrativa vincolata o discrezionale [cap. 11, par. 11.1], per il perseguimento dell’interesse pubblico che, a sua volta, si correla a beni o utilità di ri-levanza pubblica.

La nozione di interesse legittimo ha conosciuto, nel corso degli anni, una comples-sa evoluzione che ha condizionato anche la valenza dello stesso potere pubblico.

Al momento della formazione del Regno d’Italia (1861) la tutela dei privati nei con-fronti dell’amministrazione aveva natura amministrativa. L’amministrazione si divide-va in amministrazione attiva e amministrazione contenziosa, cui facevano capo i Tribu-nali del contenzioso amministrativo. Per ottenere tutela non era necessario valutare la natura della situazione giuridica lesa dall’amministrazione.

La legge 20 marzo 1865, n. 2248, Allegato E di abolizione del contenzioso ammi-nistrativo ha devoluto alla giurisdizione ordinaria la cognizione delle controversie in

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214 CAPITOLO 5

cui si facesse «questione d’un diritto civile o politico» e all’autorità amministrativa gli altri «affari».

La riforma non ha dato i risultati programmati in quanto il giudice ordinario ha interpretato in modo restrittivo i suoi poteri ritenendo sussistente la sua giurisdizio-ne soltanto in presenza di atti di gestione e non anche di atti di imperio, con la con-seguenza che il privato, senza neanche la possibilità di ricorrere ai Tribunali del con-tenzioso amministrativo, rimaneva senza una tutela adeguata nei confronti della pub-blica amministrazione [cap. 25, par. 1, per più ampi riferimenti sulla questione].

Da qui l’adozione della legge 31 marzo 1889, n. 5992 che ha istituito la IV sezione del Consiglio di Stato, con il compito di decidere sui ricorsi contro i provvedimenti amministrativi aventi per oggetto «un interesse d’individui o di enti morali giuridici».

La genericità della formula «interesse» ha dato l’avvio ad un ampio dibattito dot-trinale e giurisprudenziale finalizzato a definire la nozione di interesse legittimo.

Una prima tesi riteneva che l’interesse legittimo dovesse essere «fatto valere come diritto», con implicazione sul piano del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo nel senso che esso si definiva sulla base del petitum e cioè della richiesta prospettata dal ricorrente di annullamento di un atto amministrativo, con giurisdizione del giudice amministrativo, ovvero di risarcimento dei danni, con giurisdizione del giudice ordinario 26 [cap. 25, par. 2.1].

Una seconda tesi ha qualificato l’interesse legittimo come interesse occasional-mente o indirettamente protetto da una norma che tutela in modo diretto solo l’inte-resse pubblico 27. In questa prospettiva, l’azione proposta in giudizio è volta a tutelare l’interesse pubblico e contestualmente, solo se coincidente con tale forma di prote-zione, l’interesse del privato.

Tale tesi si fonda sulla distinzione tra norme di azione e norme di relazione, che ha costituito un criterio di riparto della giurisdizione [cap. 25, par. 2.1]: le prime re-golano l’azione dell’amministrazione a tutela dell’interesse pubblico (con giurisdizio-ne del giudice amministrativo); le seconde regolano il rapporto tra amministrazione e cittadini (con giurisdizione del giudice ordinario).

Si è rilevato criticamente come detta ricostruzione presenti una contraddizione in-terna «laddove essa attribuisce rilevanza all’interesse legittimo sulla base di una norma esclusivamente rivolta alla disciplina del potere pubblico e, solo in via di riflessione, pro-tettiva dell’interesse privato» 28. Altra dottrina ha icasticamente affermato che gli in-teressi legittimi «sorgono in relazione a norme che per definizione non si occupano di essi» 29.

Una terza tesi riteneva che l’interesse legittimo dovesse essere inteso non come si-

26 V. Scialoja, Sui limiti della competenza della IV sezione del Consiglio di Stato di fronte all’autorità giudiziaria, in Giust. amm., IV, 1891, 59 ss.

27 L. Meucci, Il principio organico del contenzioso amministrativo, in Giust. amm., 1891, IV, 1 ss.; suc-cessivamente G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1954, 189 ss.; A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1980, 107 ss.

28 M. Nigro, Giustizia amministrativa, cit., 117. 29 G. Guarino, Potere giuridico e diritto soggettivo, in Rass. dir. pubb., 1949, 279.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 215

tuazione giuridica soggettiva ma come mero interesse di fatto, con conseguente irri-levanza sul piano sostanziale e rilevanza sul solo piano processuale. L’azione propo-sta era considerata un’azione a tutela di un interesse pubblico.

Questo il ragionamento posto alla base di tale ricostruzione: poiché le norme che regolano l’azione amministrativa sono poste a tutela dell’interesse pubblico e non di interessi privati, l’azione dell’amministrazione che violi tali norme lede l’interesse pub-blico e non l’interesse del privato; il giudizio amministrativo mira a ristabilire l’inte-resse pubblico leso; il privato come tale non ha alcuna pretesa giuridicamente ap-prezzabile all’esercizio legittimo dell’azione amministrativa e, pertanto, non ha titolo per dolersi della eventuale violazione di norme; tuttavia «poiché in fatto il suo inte-resse può risentire uno svantaggio dall’inosservanza di una di quelle norme, di lui l’or-dinamento giuridico si vale come strumento atto a segnalare e a promuovere la restau-razione dell’interesse pubblico leso» 30. In questa prospettiva, non vi sarebbe neanche un rapporto giuridico ma solo il potere pubblico.

Una quarta tesi ha qualificato l’interesse legittimo come «diritto alla legittimità degli atti della funzione governativa», ossia come diritto soggettivo avente per oggetto esclu-sivamente la pretesa formale a che l’azione amministrativa sia conforme alle norme che la regolano 31. In questa prospettiva, non vi sarebbe neanche un rapporto giuridico. A tale proposito si è, però, criticamente affermato che «se le situazioni soggettive si defi-niscono in ordine a beni della vita, non si intende come la legittimità di un atto (cioè la qualificazione astratta di un atto) possa essere visto come bene della vita» 32.

Il quadro è mutato con l’entrata in vigore della Costituzione la quale ha previsto che: i) tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 Cost.); ii) il giudice amministrativo ha giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie, anche dei diritti soggettivi (art. 103, comma 1); iii) contro gli atti della pubblica amministra-zione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa (art. 113, comma 1).

Le attuali ricostruzioni assegnano valenza sostanziale all’interesse legittimo, essen-do contemplato, insieme al potere pubblico e all’interesse pubblico, dalle norme di re-golazione della materia e, in quanto tale, suscettibile di essere risarcito in caso di le-sione [cap. 17, par. 8, per l’esame della risarcibilità dell’interesse legittimo].

Esso viene definito come «posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in rela-zione ad un bene della vita interessato dall’esercizio del potere pubblicistico, che si com-pendia nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione o la difesa dell’interesse al bene» 33.

La principale distinzione è tra interessi legittimi oppositivi e pretensivi.

30 E. Guicciardi, Studi di giustizia amministrativa, Torino, 1967, 13. 31 L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile. Teoria e sistema della giurisdi-

zione civile, Milano, 1899, 301-307. 32 M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano,1981, 259. 33 Cons. Stato, Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3, che riprende la definizione di M. Nigro, Giustizia am-

ministrativa, cit., 127-128.

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216 CAPITOLO 5

Nel primo caso il rapporto giuridico vede contrapporsi un potere restrittivo e un interesse che tende ad opporsi a tale potere al fine di conservare il bene della vita.

Nel secondo caso il rapporto giuridico vede contrapporsi un potere ampliativo e un interesse con cui si pretende l’ampiamento della sfera giuridica ai fini dell’acqui-sizione al proprio patrimonio di un bene della vita.

La diversità dell’interesse legittimo rispetto al diritto soggettivo attiene al grado e alle forme di tutela.

In relazione al grado di tutela, la norma che contempla un diritto soggettivo confe-risce alla parte poteri idonei a soddisfare pienamente l’interesse del singolo. La norma che contempla un interesse legittimo non garantisce questa soddisfazione piena e sicu-ra «perché se è vero che la norma, con l’attribuzione e la delimitazione del potere, tutela insieme l’interesse pubblico e gli interessi privati, da questo meccanismo discende che l’interesse pubblico, essendo tutelato attraverso l’esercizio del potere, è tutelato immedia-tamente e pienamente (necessariamente), mentre l’interesse privato, essendo tutelato an-ch’esso attraverso l’esercizio del potere, risulta tutelato mediatamente ed eventualmente: non sempre, infatti, l’esercizio del potere soddisfa l’interesse del privato essendo vero solo che la soddisfazione dell’interesse privato (...) non può avvenire che in seguito ed in rela-zione alla soddisfazione dell’interesse pubblico». Si puntualizza che «sono molti i casi in cui l’esercizio corretto del potere porta con sé necessariamente la soddisfazione dell’inte-resse privato: sono i casi in cui, o per i caratteri della situazione di fatto (fra più aspiranti ad una concessione amministrativa, uno solo possiede i requisiti stabiliti dalla legge) o per come è regolato l’esercizio del potere (dovere per l’autorità amministrativa di provve-dere e di provvedere in un certo tempo o in un certo modo), tale esercizio non può che indirizzarsi nel senso della soddisfazione dell’interesse privato» 34.

In relazione alle forme di tutela, esse si estrinsecano sia nella tutela procedimenta-le mediante la partecipazione al procedimento sia nella tutela giurisdizionale.

Nell’ambito di tali nuove e oramai consolidate concezioni, la moderna dottrina è divisa in ordine all’individuazione dell’oggetto dell’interesse legittimo tra sostenitori del carattere strumentale e sostenitori del carattere sostanziale dell’interesse legittimo.

La prima tesi ritiene che oggetto dell’interesse legittimo sia il comportamento del-l’amministrazione e, più in particolare, il provvedimento favorevole anche se non vi è la garanzia che esso venga effettivamente adottato dall’amministrazione. In questa prospettiva, «la soddisfazione del bene della vita è soltanto eventuale, perché un prov-vedimento del tutto legittimo può ben essere limitativo del bene della vita» 35. In altri termini, provvedimento favorevole e bene della vita sono due entità diverse: «il primo è, a conclusione del procedimento, la decisione di merito che soddisfa o non soddisfa l’interesse effettivo (...): il secondo, consistendo nell’acquisizione o nella conservazione di un bene della vita, si realizza (o non si realizza) soltanto come effetto del provvedi-mento» 36. L’uno è l’atto, l’altro è l’effetto.

34 M. Nigro, Giustizia amministrativa, cit., 124-126. 35 F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017, 413. 36 F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, cit., 416.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 217

Ne consegue che il bene della vita «non si colloca nei confini concettuali» dell’in-teresse legittimo ma la sua conservazione o acquisizione rappresenta l’obiettivo cui l’e-sercizio dell’interesse legittimo tende «attraverso l’influenza sul modo in cui l’ammini-strazione esercita il potere di togliere al privato o di attribuirgli il bene della vita» 37.

La seconda tesi ritiene che oggetto dell’interesse legittimo sia sempre il compor-tamento dell’amministrazione che si risolve nell’adozione di un provvedimento sati-sfattorio che in quanto tale, se l’interesse legittimo sussiste, garantisce il conseguimen-to o la conservazione del bene della vita. L’interesse legittimo è idoneo «a rappresen-tare la “spettanza” del bene della vita al relativo titolare e, come tale, è a soddisfazione necessaria» 38.

La diversità tra le due ricostruzioni, sul piano delle conseguenze applicative, si apprezza soprattutto in materia di risarcimento del danno.

Se si segue la tesi strumentale, è configurabile il risarcimento del danno anche nel caso di lesione dell’interesse legittimo a seguito dell’adozione di «comportamenti pro-cedimentali illegittimi» [par. 4.1]. Non occorre, pertanto, la prova della lesione del bene della vita che, in questa prospettiva, si colloca fuori dal perimetro della situazio-ne soggettiva. Si aggiunge che «al risarcimento dell’interesse legittimo si può accom-pagnare il risarcimento per la lesione dell’interesse finale (esterno all’interesse legitti-mo), avente ad oggetto il bene illecitamente sottratto ovvero il bene illecitamente non attribuito; interesse finale che può avere la consistenza del diritto soggettivo (in caso di interesse oppositivo) o di aspettativa tutelata (in caso di interesse pretensivo)» 39.

Se si segue la tesi sostanziale, occorre, invece, per aversi risarcimento del danno, che si dimostri la lesione del bene della vita.

Alla luce di quanto sin qui esposto, può ritenersi che, nell’attuale stadio di evolu-zione del concetto, l’interesse presupponga un meccanismo operativo che presenta ta-luni punti di contatto con il diritto di credito.

Si tratta, infatti, di una situazione giuridica di vantaggio e dinamica che necessita dell’intermediazione di un atto dell’amministrazione e che ha, in quanto tale, ad og-getto il comportamento (“la prestazione”) dell’amministrazione stessa finalizzato alla conservazione (interesse legittimo oppositivo) o acquisizione di un bene della vita (in-teresse legittimo pretensivo).

La diversità rispetto al diritto soggettivo relativo è data dal fatto che, a fronte del-l’interesse legittimo, non vi è un obbligo e cioè una situazione soggettiva di svantag-gio ma una situazione soggettiva anch’essa di vantaggio che è rappresentata dal pote-

37 F.G. Scoca, Attualità dell’interesse legittimo?, in Studi in onore di Alberto Romano, II, Napoli, 2011, 940.

38 G. Greco, Dal dilemma diritto soggettivo-interesse legittimo alla differenziazione interesse strumenta-le-interesse finale, in Dir. amm., 2014, 479 ss.

39 F.G. Scoca, Le situazioni giuridiche soggettive dei privati, in G. Scoca (a cura di), Diritto amministra-tivo, Torino, 2017, 45; Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157; nello stesso senso sembra la ricostruzione proposta da Cass. civ., sez. un., ordinanza 4 settembre 2015, n. 17586, relativa al riparto di giurisdizione in presenza di un provvedimento amministrativo illegittimo che ha creato un legittimo affidamento [cap. 25, par. 16.1].

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218 CAPITOLO 5

re pubblico, il che spiega perché la tutela dell’interesse legittimo è solo eventuale. In relazione al rapporto con il bene della vita o, utilizzando altra espressione, con

l’interesse sostanziale o finale, deve ritenersi che esso non rappresenti l’oggetto dell’in-teresse legittimo così come il bene dovuto non rappresenta l’oggetto del diritto sogget-tivo di credito. L’oggetto è rappresentato dal comportamento dell’amministrazione che può, all’esito di un giudizio che involge anche il potere pubblico e l’interesse pubbli-co, avere esito satisfattivo e non satisfattivo dell’interesse legittimo. Del resto, in tutte le situazioni giuridiche che sono state esaminate l’interesse e il bene sono “esterni” ri-spetto alla posizione soggettiva.

È bene aggiungere che quanto esposto non significa che si possa configurare il ri-sarcimento del danno, come sostiene la tesi strumentale, sopra esposta, anche nel caso in cui non vi sia lesione del bene della vita. Ai fini risarcitori, proprio in ragione della peculiarità di tale forma di tutela, è necessario che vi sia la prova di tale lesione.

In questo ambito, si colloca la ricostruzione effettuata dalla sentenza 22 luglio 1999, n. 500 della Corte di Cassazione che ha affermato che potrà «pervenirsi al risarcimento soltanto se l’attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di pro-tezione alla stregua dell’ordinamento».

In altri termini, «la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della pubblica amministra-zione, l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo» [cap. 17, par. 8, sulla diversità di giudizio in relazione agli interessi pretensivi o oppositi-vi]. È evidente come la Corte di Cassazione, nella parte in cui sottolinea che la lesio-ne dell’interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente, occorrendo an-che la lesione del bene della vita, sembra lasciare intendere che l’interesse al bene della vita è esterno rispetto all’interesse legittimo.

In definitiva, l’interesse legittimo è una situazione giuridica sostanziale di vantaggio e dinamica che si correla ad un bene della vita e che si confronta costantemente con il potere pubblico che rappresenta anch’esso una situazione giuridica dinamica finaliz-zata al perseguimento dell’interesse pubblico il quale, a sua volta, si riferisce a beni o utilità pubbliche.

Il Consiglio di Stato 40, prendendo atto dell’evoluzione della nozione di interesse legittimo, è giunto ad affermare che, avendo riguardo alla concezione soggettiva del-la tutela, «sembra ormai potersi capovolgere definitivamente l’allocazione tradizionale delle due situazioni soggettive, entrambe attive, che si muovono nel processo» (potere pubblico e interessi legittimo) «e ci si può forse spingere ad affermare che è l’interesse alla mera legittimità ad essere divenuto un interesse occasionalmente protetto, cioè pro-tetto di riflesso in sede di tutela della situazione di interesse legittimo».

40 Cons. Stato, sez, VI, 25 febbraio 2019, n. 1321.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 219

4.1. Interesse procedimentale L’interesse procedimentale è l’interesse al rispetto delle regole del procedimento 41,

quali quelle, tra le altre, relative alla durata e alla partecipazione al procedimento stesso. La questione che si è posta è se esso possa o meno configurare una autonoma situa-

zione giuridica diversa dall’interesse legittimo. Un primo orientamento, minoritario, ritiene che l’interesse procedimentale abbia

una sua autonomia e che la sua tutela prescinda dalla lesione di un bene della vita. Si tratterebbe di una «possibile terza situazione giuridica soggettiva nei confronti della pub-blica amministrazione, accanto al diritto soggettivo ed all’interesse legittimo, che assume caratteri suoi propri» 42. Più in particolare, si tratta di interessi che hanno come ogget-to i cd. fatti procedimentali, che a loro volta investono beni della vita 43. In questa pro-spettiva, tra le parti del procedimento amministrativo si realizza un “contatto sociale qualificato” che fa sorgere un obbligo di protezione da parte dell’amministrazione nei confronti del privato per tutelare il suo affidamento al rispetto delle regole procedimen-tali. Sarebbe configurabile una responsabilità contrattuale in capo alla pubblica ammi-nistrazione che prescinde dall’accertamento del bene della vita 44.

Un diverso orientamento, maggioritario, ritiene che le situazioni giuridiche, com-preso l’interesse legittimo, si definiscano sempre in relazione a beni della vita che ne rappresentano l’oggetto. Esse, pertanto, hanno valenza sostanziale.

Se si segue questa impostazione è evidente come l’interesse procedimentale non possa avere ingresso nel nostro ordinamento quale situazione giuridica. Esso viene “assorbito” dall’interesse legittimo che, come esposto, è contemplato dalla norma at-tributiva del potere pubblico e conferisce ai titolari anche facoltà di valenza procedi-mentale. In tale prospettiva, non è, dunque, possibile agire in giudizio per ottenere la tutela del mero interesse procedimentale in mancanza di un interesse legittimo, come sopra definito, e delle condizioni dell’azione rappresentate dalla attualità e concretezza della lesione che hanno come riferimento il bene della vita. La responsabilità della pubblica amministrazione, pur fondata su un “contatto sociale” tra le parti che la rende speciale, presuppone sempre la lesione del bene della vita ai fini del risarcimen-to del danno 45.

La conferma della tesi da ultimo esposta deriva anche dalla scelta legislativa di de-quotazione dei vizi formali-procedimentali mediante la previsione dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990.

41 M.C. D’Arienzo, Passato, presente e futuro degli interessi cd. procedimentali tra incertezze definitorie, problemi interpretativi e di tutela giurisdizionale, in giustamm.it, 2018, fasc. 7; M. Ippolito, Gli interessi me-ramente procedimentali alla luce degli studi del Prof. Enrico Follieri, in giustamm.it, 2018.

42 E. Follieri, La tutela risarcitoria degli interessi meramente procedimentali e il riparto di giurisdizione, conseguente alla pregiudizialità dell’azione di annullamento affermata dal Consiglio di Stato, in E. Follieri (a cura di), La responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, Milano, 2004, 240.

43 M.S. Giannini, Diritto amministrativo, II, Milano, 1993, 197 ss. 44 Cass. civ., sez. I, n. 157 del 2003, cit. 45 Tali questioni, che involgono quella generale relativa alla natura della responsabilità dell’ammini-

strazione, verranno esaminate nel capitolo dedicato a questo argomento [cap. 17].

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220 CAPITOLO 5

I due orientamenti esposti sono divisi in ordine all’interpretazione da dare alle pre-visioni legislative relative a fattispecie che sembrano implicare la rilevanza di interessi procedimentali.

La prima previsione è quella del danno da ritardo di cui all’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990, introdotto con legge 18 giugno 2009, n. 69, il quale dispone che le pub-bliche amministrazioni e i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministra-tive «sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto, cagionato in conseguenza dell’i-nosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento».

L’orientamento minoritario ritiene che tale norma, prescindendo ai fini del risarci-mento del danno dall’accertamento della lesione del bene della vita, costituisca una conferma della regola generale dell’autonomia dell’interesse procedimentale.

L’orientamento prevalente, condiviso anche dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 46, è anch’esso nel senso che si possa ottenere il risarcimento del danno a pre-scindere dalla prova della lesione del bene della vita finale, ma ritiene che tale norma costituisca una eccezione alla regola generale ed offre una particolare qualificazione della fattispecie. In particolare, si afferma che il mero ritardo può essere fonte di re-sponsabilità per lesione del «diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale» 47: il ritardo nell’adozione del provvedimento, infatti, genera «una situazione di incertezza in capo al privato e può, dunque, indurlo a scelte negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni) che non avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l’adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dell’ammi-nistrazione». Si tratta di una impostazione che attribuisce valenza all’interesse pro-cedimentale anche se in una configurazione particolare nel senso che si ritiene esi-stente un “diritto soggettivo” in relazione al quale il bene della vita che ne rappre-senta l’oggetto è costituito dalla stessa “certezza dei tempi”. In altri termini, l’inte-resse procedimentale diventa il bene della vita del diritto soggettivo [par. 2].

È evidente che se si segue l’orientamento dominante il risarcimento del danno è possibile soltanto nel caso in cui venga violata la regola procedimentale relativa alla durata del procedimento. Se si segue l’orientamento minoritario, il danno da ritardo è solo una delle possibili voci risarcitorie derivanti dalla lesione di interessi procedi-mentali.

La seconda previsione è quella che imponeva un onere di impugnazione immediata dell’altrui ammissione alla procedura di gara (art. 120 cod. proc. amm., così come mo-dificato dall’art. 204, comma 1, lett. b) del nuovo Codice dei contratti pubblici). Si trattava di una previsione che attribuiva rilevanza al mero interesse al rispetto delle re-

46 Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5. 47 In alcune decisioni il Consiglio di Stato sembra ritenere che la condotta dell’amministrazione leda

«il bene tempo» dal momento che «il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposi-zione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa conve-nienza economica» (Cons. Stato, sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739; Cons. giust. amm. Sicilia, 4 novembre 2010, n. 1368). Ma questo orientamento, contrariamente a quanto rilevato dall’Adunanza plenaria, con la sentenza n. 5 del 2018, non ha individuato quale sia la situazione giuridica cui si correla il bene della vita “tempo”.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 221

gole procedimentali. Essa poteva essere letta come conferma della rilevanza dell’inte-resse procedimentale ovvero come mera eccezione alla regola.

Questa norma è stata abrogata dal decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 del 2019 (cd. sblocca cantieri), convertito, con modificazioni, in legge 14 giugno 2019, n. 55.

4.2. L’interesse legittimo nel diritto privato

La figura dell’interesse legittimo è stata elaborata anche nel settore privatistico, in relazione agli ambiti in cui è configurabile un potere di un soggetto privato all’interno di una comunità organizzata: familiare, lavorativa, di impresa.

Il potere privato è quello che la norma attribuisce ad un soggetto per perseguire un interesse più generale che attiene al gruppo organizzato. In questa prospettiva, il soggetto che fa parte del gruppo è titolare di un interesse legittimo finalizzato a con-dizionare e limitare l’esercizio di quel potere nel proprio interesse 48.

Il principale terreno in cui tale teoria è stata applicata è quello societario median-te la configurazione, a titolo esemplificativo, di un potere dei soci di maggioranza che abusano del loro potere ai danni dei soci di minoranza.

La lettura alternativa di questi fenomeni ritiene che il soggetto da tutelare sia tito-lare di un diritto soggettivo e può contestare il potere privato, nei casi di abuso, me-diante il ricorso alla clausola generale della buona fede oggettiva [par. 3.2].

In particolare, si è affermato che la buona fede ha una funzione di integrazione, ai sensi dell’art. 1375 cod. civ., anche del contratto societario, con la conseguenza che le delibere adottate dagli organi della società devono rispettare tale principio.

La cosiddetta regola di maggioranza consente al socio di esercitare liberamente e legittimamente il diritto di voto per il perseguimento di un proprio interesse fino al limite dell’altrui potenziale danno. Si ha pertanto l’abuso della regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o eccesso di potere) «quando la delibera non trovi alcuna giu-stificazione nell’interesse della società – per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale – op-pure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spet-tanti ai soci di minoranza “uti singuli”». In questi casi, il rimedio per la violazione della regola della buona fede è costituito dalla invalidità della delibera societaria.

48 Parte della dottrina (L. Bigliazzi Geri-U. Breccia-F.D. Busnelli-U. Natoli, Diritto civile, I, Norme, soggetti e rapporto giuridico, Torino, 1987, 334) ritiene che la figura dell’interesse legittimo sia configu-rabile anche nell’ambito dei rapporti obbligatori di debito-credito. In particolare, si ritiene che la normati-va sulla mora del creditore dimostrerebbe che il debitore ha non solo l’obbligo di adempiere ma anche l’interesse legittimo a liberarsi dall’obbligazione mediante la procedura di mora prevista dagli artt. 1206 ss. Il creditore può rifiutare la prestazione soltanto se sussiste un «motivo legittimo» (art. 1207 cod. civ.).

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222 CAPITOLO 5

5. Forme di tutela dell’interesse legittimo e natura soggettiva del proces-so: cenni

L’interesse legittimo viene tutelato mediante la proposizione di azioni che sono diverse a seconda delle modalità attraverso le quali l’amministrazione pone in essere l’attività espressione di potere pubblico [cap. 26, par. 10, sul principio della pluralità delle azioni].

In particolare, l’attività si può esercitare mediante: atti e provvedimenti, silenzi si-gnificativi e non significativi, contratti e accordi (preceduti da atti amministrativi). Pos-sono poi venire in rilievo anche atti e comportamenti materiali non espressione di po-teri pubblici in relazione ai quali sono configurabili situazioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.

Le azioni si propongono nel processo amministrativo che, alla luce degli artt. 24, 103 e 113 Cost., essendo finalizzato a tutelare l’interesse del privato, ha natura sog-gettiva 49 [cap. 26, parr. 2-2.4]. Ciò non esclude, come si esporrà oltre [par. 6], che il legislatore possa prevedere regole processuali finalizzate a tutelare interessi pubblici con conseguente possibilità, in questi limiti, di configurare un processo di natura og-gettiva.

Le condizioni dell’azione sono la legittimazione ad agire e l’interesse ad agire [cap. 26, par. 5].

La legittimazione ad agire richiede che il ricorrente sia titolare di una posizione giu-ridica soggettiva qualificata – il che implica che la norma che attribuisce il potere de-ve contemplare l’interesse legittimo o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, il di-ritto soggettivo – e differenziata, per cui il ricorrente deve avere una posizione diver-sa rispetto al quisque de populo.

L’interesse ad agire postula, invece, la sussistenza di una lesione personale, attuale e concreta.

6. Interesse pubblico e azione popolare

L’interesse pubblico è tutelato dalla pubblica amministrazione mediante lo svol-gimento di un’attività espressione di potere pubblico. Se questa attività lede l’interesse legittimo (o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, anche il diritto soggettivo) del pri-vato l’azione, come esposto nel precedente paragrafo, è proposta dal privato stesso nel-l’ambito di un processo di natura soggettiva.

L’interesse pubblico, in presenza di espresse previsioni di legge, può essere tute-lato anche dal privato non mediante l’esercizio di poteri ma attraverso la proposizio-ne di azioni nel processo amministrativo che, in questo caso, assume connotati oggetti-vi. Esso viene fatto valere come se fosse diventato una situazione soggettiva.

Le azioni popolari si distinguono in correttive e suppletive.

49 Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 223

L’azione popolare suppletiva si ha quando, in presenza di un’inerzia della pubbli-ca amministrazione, la legge consente che sia il privato ad agire in giudizio a tutela dell’interesse pubblico. L’art. 9 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali) prevede che «ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al Comune e alla Provincia».

L’azione popolare correttiva viene esercitata quando la pubblica amministrazione ha posto in essere un comportamento ritenuto illegittimo. Si può agire, quindi, con l’azione popolare a correzione delle illegittimità commesse, per far valere un interes-se pubblico.

L’art. 70 del decreto legislativo n. 267 del 2000 stabilisce che «la decadenza dalla carica di Sindaco, Presidente della Provincia, consigliere comunale, provinciale o circo-scrizionale può essere promossa in prima istanza da qualsiasi cittadino elettore del co-mune, o da chiunque altro vi abbia interesse davanti al tribunale civile».

L’ipotesi più importante di azione popolare correttiva è quella contemplata dagli artt. 129 ss. cod. proc. amm., nell’ambito del giudizio elettorale.

Più in particolare, il codice del processo amministrativo disciplina due diverse ti-pologie di azioni.

L’art. 129 cod. proc. amm. consente una tutela anticipata avverso gli atti prepara-tori nel caso di elezione comunale, provinciale e regionale, immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare, nonché avverso gli atti relativi alla nomina dei mem-bri del Parlamento europeo. In questo caso si è in presenza di un’ipotesi di atto pre-paratorio che ha un’immediata efficacia lesiva e che, per espressa previsione di legge, può essere immediatamente impugnato. Non si ha, quindi, un’azione popolare perché il soggetto che si ritiene leso (ad esempio, a seguito dell’esclusione dalla lista eletto-rale) deve provare la sussistenza delle condizioni dell’azione sopra indicate.

L’art. 130 cod. proc. amm. prevede una vera e propria azione popolare, stabilen-do che, conclusa la fase preparatoria, «contro tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all’indizione dei comizi elettorali» è ammessa la proposizione del ricorso da parte di qualsiasi candidato o elettore [cap. 26, par. 32, per maggiori dettagli in or-dine a tale rito speciale].

7. Interesse collettivo e azione proponibile

L’interesse collettivo fa capo ad un gruppo organizzato. Esso è tutelato mediante la proposizione di azioni che, in ragione della natura unitaria dell’ente, non pongono un problema di differenziazione che, come si esporrà, si può porre per gli interessi dif-fusi [parr. 8-8.1]. Anche in questo caso viene fatto valere come se fosse una situazio-ne soggettiva.

Le azioni a tutela dell’interesse collettivo sono normalmente proposte dalle asso-ciazioni dei professionisti o dalle associazioni sindacali.

Nel diritto privato, vengono in rilievo le azioni che tali enti pongono in essere a

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224 CAPITOLO 5

tutela dell’interesse collettivo dei consumatori [cap. 23, par. 4.2. anche per i rapporti con la tutela pubblica].

Nel diritto amministrativo, le associazioni possono agire sia per far valere la lesio-ne di un interesse che fa capo all’associazione stessa, sia per far valere la lesione di un interesse della categoria che rappresentano.

Nel primo caso, ai fini del riconoscimento della legittimazione ad agire, non rile-va il dato formale della personalità giuridica, ma quello sostanziale dell’effettiva rap-presentatività dell’interesse di cui l’associazione è portatrice. La giurisprudenza am-ministrativa ritiene, infatti, che «è necessario accertare in concreto che la rappresenta-tività dell’ente nei confronti dei propri associati sia tale da consentirgli di intervenire a tutela di un interesse da considerarsi non come semplice sommatoria degli interessi dei singoli associati, ma come interesse proprio dell’associazione, in virtù – ad esempio – di precise disposizioni statutarie che prevedano espressamente la tutela di determinati in-teressi da considerarsi conformi a quelli del gruppo sociale di riferimento» 50.

Nel secondo caso, invece, la giurisprudenza si è posta il problema di individuare le modalità attraverso le quali questa azione peculiare può esercitarsi.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 51 ha affermato che la legittimazione attiva delle associazioni deve rispondere alle seguenti regole: i) la questione contro-versa deve attenere, in via immediata, al perimetro delle finalità statutarie dell’asso-ciazione e, cioè, la produzione degli effetti del provvedimento controverso deve risol-versi in una lesione diretta del suo scopo istituzionale e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati; ii) è indispensabile che l’interesse tutela-to con l’intervento sia comune a tutti gli associati, cosicché non devono essere tutela-te le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi, né debbono essere configura-bili conflitti interni all’associazione, che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio.

Con riferimento alla legittimazione ad agire degli ordini professionali, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 52 ne ha riconosciuto la possibilità di agire in giudizio per far valere l’interesse all’osservanza di prescrizioni a garanzia della par condicio dei partecipanti, sebbene, di fatto, dalla procedura selettiva sia stato avvantaggiato un singolo professionista. Questo perché occorre far riferimento all’“interesse istituziona-lizzato” e tra gli interessi istituzionali dell’ordine professionale vi è senza dubbio quel-lo di assicurare il pieno rispetto della par condicio nell’esercizio dell’attività profes-sionale.

50 Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2011, n. 6050. 51 Cons. Stato, Ad. plen., 2 novembre 2015, n. 9. 52 Cons. Stato, Ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 225

8. Interessi diffusi, criteri di selezione e soggetti legittimati a farli valere

L’interesse diffuso è un interesse che si trova allo stato fluido e magmatico che, dal punto di vista oggettivo, non ha come riferimento un bene suscettibile di appro-priazione individuale e, dal punto di vista soggettivo, fa capo non a soggetti determi-nati ma ai membri della collettività.

Il settore più rilevante in cui si è posta la questione della valenza dell’interesse dif-fuso è quello della tutela dell’ambiente e della concorrenza.

Per molto tempo non è stata attribuita valenza autonoma all’interesse diffuso, il quale veniva ricondotto alle posizioni giuridiche individuali dell’interesse legittimo ov-vero del diritto soggettivo.

L’orientamento oggi prevalente ritiene, invece, che l’interesse diffuso identifichi una situazione giuridica soggettiva autonoma di vantaggio, avente valenza sostanziale di-versa dalle suddette posizioni soggettive individuali 53.

La complessità di inquadramento sistematico dipende dal fatto che gli interessi dif-fusi sono situazioni giuridiche metaindividuali, le quali coinvolgono più soggetti in relazione a beni che presentano natura anch’essa peculiare.

Si pensi alla tutela dell’ambiente. Le norme di disciplina dell’ambiente lo configurano come «bene immateriale uni-

tario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamen-te e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell’insieme, sono riconducibi-li ad unità» 54. Il rapporto giuridico di rilevanza ambientale si ricostruisce in modo diverso a seconda della natura delle posizioni soggettive che si confrontano. Nel caso in esame la norma di disciplina della materia e, in particolare, l’art. 18, comma 5, della legge 8 luglio 1986, n. 349 prevede che le associazioni ambientaliste possono ricorrere al giudice amministrativo per l’annullamento di atti amministrativi illegittimi perché ri-tenuti lesivi del bene ambiente. La finalità perseguita è quella di prevedere forme di tu-tela dell’ambiente nel caso in cui a violarlo siano proprio le pubbliche amministrazio-ni anche diverse da quelle che hanno la specifica competenza di garantirne il rispetto. Il che significa che si contrappongono, quali situazioni giuridiche, interessi diffusi-poteri pubblici [cap. 20, par. 19, per le altre possibili combinazioni di situazioni giu-ridiche nel rapporto giuridico di rilevanza ambientale].

In questo ambito, le questioni più complesse e dibattute attengono, da un lato, al-le modalità attraverso le quali queste azioni a tutela degli interessi diffusi possono en-trare in un processo, retto da regole che sono state elaborate avendo riguardo alla si-tuazione giuridica individuale, e, dall’altro, all’incidenza di tali modalità sulla valenza soggettiva e oggettiva del processo stesso.

La prima questione presuppone l’individuazione di idonei criteri soggettivi di se-

53 R. Ferrara, voce Interessi diffusi e interessi collettivi (agg. 2011 a cura di F. Pavoni), in Dig. disc. pubb., 1993.

54 Corte cost. n. 641 del 1987.

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226 CAPITOLO 5

lezione, ai fini dell’individuazione dei soggetti che possono accedere alla giustizia, alla luce delle condizioni dell’azione costituite dalla legittimazione ad agire e dall’interesse ad agire [cap. 26, par. 5]. In particolare, con riferimento alla legittimazione ad agire, poiché certamente, per le ragioni esposte, l’interesse diffuso è qualificato in quanto giu-ridicamente contemplato dalla norma, si tratta essenzialmente di valutare il profilo, più complesso, della differenziazione.

La seconda questione, strettamente connessa alla prima, riguarda la compatibilità, anche costituzionale, di un processo che si connoti in senso oggettivo, al di fuori del-le ipotesi previste dalla legge.

La tematica in esame si può esaminare distinguendo i casi in cui ad agire sono sog-getti privati, da quelli in cui ad agire sono soggetti pubblici e, nell’ambito di tale di-stinzione, si possono ulteriormente distinguere i casi in cui è espressamente interve-nuto il legislatore individuando il soggetto legittimato ad agire, dai casi in cui questa predeterminazione non vi è stata, con conseguente assegnazione del relativo compito alla giurisprudenza.

Prima di analizzare tali fattispecie, è bene premettere, su un piano generale, che nel caso in cui sia stato il legislatore ad individuare il soggetto che può agire in giudi-zio, la questione può ritenersi risolta direttamente dal legislatore stesso con possibile rilevanza solo di profili interpretativi della norma.

8.1. Criteri di differenziazione in presenza di azione proposta da soggetti privati

Nell’ambito della legittimazione dei soggetti privati, fermo quanto si esporrà in se-guito in relazione alla class action pubblica [par. 8.1.1], è stata la giurisprudenza ad elaborare diversi criteri con riguardo soprattutto al settore dell’ambiente.

Il tradizionale criterio elaborato è stato il criterio della vicinitas. Si riteneva che potessero agire in giudizio soltanto coloro che si trovassero in una situazione di vici-nanza rispetto al provvedimento lesivo dell’interesse diffuso. In questa prospettiva, la relativa azione poteva essere proposta dal singolo leso (si pensi al caso di chi ha subi-to una lesione dal rilascio di un’autorizzazione all’esercizio di una determinata attivi-tà industriale in quanto proprietario di una abitazione collocata in prossimità dell’in-dustria stessa).

Tale criterio, tuttavia, è stato criticato in quanto privava di dignità autonoma la figura dell’interesse diffuso, finendo per farlo coincidere con la posizione giuridica individuale (diritto soggettivo o interesse legittimo) del soggetto leso. Non è un ca-so, infatti, che tale criterio è utilizzato in presenza della violazione di una posizione giuridica soggettiva individuale come elemento di differenziazione della posizione stessa.

Un altro criterio elaborato è stato quello della partecipazione procedimentale. L’art. 9 della legge n. 241 del 1990 prevede che «qualunque soggetto, portatore di

interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associa-zioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento».

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 227

 

Si ritiene che il soggetto che ai sensi di tale disposizione può partecipare al proce-dimento amministrativo possa parimenti agire in giudizio [cap. 10, par. 8, per l’esame di tale disposizione].

Tale criterio di selezione è stato anch’esso oggetto di critiche per le seguenti ragioni. In primo luogo, esso postula una correlazione tra procedimento e processo che,

in questo ambito, non ha fondamento. La mera partecipazione procedimentale non può di per sé sola giustificare la sussistenza della condizione dell’azione nel processo.

In secondo luogo, il citato art. 9 riduce esso stesso gli interessi diffusi agli interes-si collettivi nella misura in cui fa riferimento ai «portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati».

In definitiva, la mera partecipazione procedimentale non può rappresentare un elemento in grado di differenziare la posizione di chi agisce in giudizio.

L’orientamento oggi costante, risultato dell’elaborazione della giurisprudenza am-ministrativa e dei riferimenti che si trovano nelle leggi di settore, è nel senso che la dif-ferenziazione viene effettuata ritenendo che possano agire le associazioni che hanno la finalità di tutelare l’interesse diffuso. In questa prospettiva la relativa azione può es-sere proposta soltanto dagli enti collettivi 55.

La questione, pertanto, si è spostata sulle caratteristiche che devono avere tali en-ti per potere agire in giudizio.

Se si consentisse l’accesso soltanto ad enti collettivi ben individuati e con deter-minate caratteristiche, l’interesse diffuso verrebbe trattato come un interesse collet-tivo, con la conseguenza che il processo manterrebbe una connotazione soggettiva modulata su una posizione soggettiva individuale. Se, invece, si allargassero le maglie degli enti collettivi, individuandoli alla luce di criteri meno rigidi, si realizzerebbe una più netta distinzione tra interesse diffuso e interesse collettivo, con la conseguenza che il processo assumerebbe una connotazione più marcatamente oggettiva.

Su tale questione esiste un contrasto interpretativo che ha portato il Consiglio di Stato, con una recente ordinanza 56, a rimettere la questione all’esame dell’Adunanza plenaria.

Secondo un primo orientamento 57, più restrittivo e più favorevole ad un’imposta-zione soggettiva del processo che tende a limitare le maglie di accesso alla giustizia amministrativa, la legittimazione si fonda sul principio di tassatività, per cui la legitti-mazione degli enti esponenziali è eccezionale e sussiste nei soli casi espressamente previsti dalla legge. Si sarebbe, pertanto, verificata una progressiva “istituzionalizza-zione” della tutela mediante specifici interventi legislativi che, in mancanza di una norma generale, conferiscono, di volta in volta, la legittimazione ad impugnare, con contestuale tassativa indicazione delle azioni esperibili. Si pensi: i) all’art. 13 della legge n. 349 del 1986, il quale prevede che possono agire soltanto le associazioni am-

55 Cons. Stato, sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4928. 56 Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2019, n. 7208. 57 Cons. Stato, sez. VI, 21 luglio 2016, n. 3303; Trib. amm. reg., Lombardia, Milano, sez. II, 27 feb-

braio 2015, n. 576.

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228 CAPITOLO 5

 

bientaliste che sono iscritte in appositi elenchi individuati con decreto del Ministro dell’ambiente, con la conseguenza che l’azione di annullamento degli atti amministra-tivi lesivi del bene ambiente di cui all’art. 18, comma 5, della predetta legge può essere proposta soltanto da tali associazioni; ii) agli artt. 137, 139 e 140 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, che consentono alle sole associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentativi a livello nazionale iscritte in un elenco presso il Ministero dello sviluppo economico di agire con l’azione inibitoria, di adottare le misure idonee a cor-reggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate, di ordinare la pubbli-cazione del provvedimento secondo idonee modalità [cap. 23, par. 4.2].

Secondo un diverso orientamento, ritenuto preferibile dall’ordinanza di rimessione, la legittimazione «sussisterebbe in capo a tutte le associazioni, anche se sprovviste di le-gittimazione legale, che rispondano a determinati criteri, costituiti all’effettivo e non oc-casionale impegno a favore della tutela di determinati interessi diffusi o superindividuali, dall’esistenza di una previsione statutaria che qualifichi detta protezione come compito istituzionale dell’associazione, e dalla rispondenza del paventato pregiudizio agli interessi giuridici protetti posti al centro principale dell’attività dell’associazione» 58. In questa di-versa prospettiva, nel settore dell’ambiente si è affermato che l’elenco di cui al citato art. 13 della legge n. 349 del 1986 non è tassativo, potendo agire in giudizio anche altre associazioni, purché: i) le stesse tutelino l’ambiente in modo non occasionale; ii) vi sia un’espressa previsione nello statuto; iii) sussista un adeguato grado di rappresentatività e stabilità «in un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizio-ne collettiva che si assume leso» 59.

Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza di rimessione in esame, ha ritenuto preferi-bile questo secondo orientamento, in quanto: i) sarebbe più aderente ai principi co-stituzionali che tutelano la libertà di associazione di cui all’art. 18 Cost., con la con-seguenza che deve essere preferita l’interpretazione «ampia e non quella che restrin-ge la possibilità di azione dell’associazione stessa»; ii) si eviterebbe il rischio «di ri-mettere alla discrezionalità del legislatore ordinario la tutela in giudizio di interessi di notevole peso e valore sociale, con evidente limitazione dell’effettività della tutela ga-rantita dall’art. 24 Cost.».

Tale ultima opzione interpretativa ha indotto parte della dottrina 60, in ragione dell’ampliamento delle maglie della legittimazione ad agire, a ritenere che si sia in pre-senza di azioni popolari atipiche [par. 6]. L’interesse diffuso diventa maggiormente assimilabile all’interesse pubblico.

Sul piano oggettivo relativo alle finalità di tutela per le quali detti enti possono ri-correre, il Consiglio di Stato, in linea con la suddetta impostazione restrittiva, ha af-fermato, in alcune decisioni, che le associazioni ambientaliste possono agire solo a tu-tela dell’ambiente in senso strettamente inteso 61, con esclusione, tra l’altro, della legit-

58 Cons. Stato, sez. VI, n. 7208, cit., che richiama Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 2019, n. 1640. 59 Cons. Stato, sez. IV, 8 novembre 2010, n. 7907. 60 R. Lombardi, Azioni popolari “atipiche” e tutela degli interessi diffusi, in www.giustamm.it, 2008. 61 Cons. Stato, sez. IV, 16 dicembre 2003, n. 8234.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 229

 

timazione ad impugnare atti a mero contenuto urbanistico 62 [cap. 18, par. 1, sulla no-zione di urbanistica].

Lo stesso Consiglio di Stato, in altre decisioni, ha affermato che la legittimazione si estende anche all’impugnazione di atti aventi valenza non strettamente ambientale, purché si accerti che il loro annullamento è strumentale alla tutela ambientale 63.

In particolare, si è affermato che nella materia ambiente, nella sua dimensione di valore costituzionale ricomprendente diversi beni, quali il paesaggio, l’acqua, l’aria e il suolo, deve essere collocata anche la disciplina urbanistica ed edilizia 64.

Tale maggiore ampiezza di legittimazione attiva determina anche una diversa consi-derazione dell’interesse ad agire, che deve essere valutato «non già in relazione al pre-giudizio del singolo interesse legittimo quanto in relazione alla emersione della compro-missione del “bene o valore comune” oggetto di tutela» 65.

Ne consegue che l’adozione di un singolo atto può non concretizzare (o meglio, non concretizzare ancora) di per sé una lesione del bene ambiente che può, invece, essere percepita «tanto in momenti anteriori a quando sorgerebbe l’interesse ad agire del singolo» (si pensi ad un regolamento che ben può ledere ex se interessi collettivi e/o diffusi e non ancora singoli interessi legittimi, invece colpiti dall’atto che di esso fa applicazione) «quanto in momenti successivi, posto che la lesione del bene ambien-te, non percepibile a livello di singolo atto adottato, emerge dal collegamento procedi-mentale e, soprattutto, funzionale di una pluralità di atti, complessivamente partecipi di un intervento che si propone come lesivo di quel bene» 66 [cap. 20, parr. 21-21.2, per l’esame delle forme di tutela in caso di lesione del bene ambiente].

8.1.1. Azione per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni: la cd. class action pub-blica

In questo ambito si colloca anche la class action disciplinata dal decreto legislati-

62 Cons. Stato, sez. IV, 30 settembre 2005, n. 5202. 63 Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2007, n. 5560; Cons. Stato, sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5760. 64 Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710 ha affermato che «il potere di pianificazione urbani-

stica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di in-teressi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti». L’ambiente, dunque, costituisce inevitabilmente «l’oggetto (anche) dell’esercizio di poteri di pianificazione urbanisti-ca e di autorizzazione edilizia; così come, specularmente, l’esercizio dei predetti poteri di pianificazione non può non tener conto del “valore ambiente”, al fine di preservarlo e renderne compatibile la conserva-zione con le modalità di esistenza e di attività dei singoli individui, delle comunità, delle attività anche econo-miche dei medesimi». Ne consegue che «gli atti che costituiscono esercizio di pianificazione urbanistica, la localizzazione di opere pubbliche, gli atti autorizzatori di interventi edilizi, nella misura in cui possano com-portare danno per l’ambiente ben possono essere oggetto di impugnazione da parte delle associazioni ambien-taliste, in quanto atti latamente rientranti nella materia ‘ambiente’, in relazione alla quale si definisce (e perimetra) la legittimazione delle predette associazioni».

65 Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36. 66 Cons. Stato, sez. IV, n. 36 del 2014, cit.

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230 CAPITOLO 5

 

vo 20 dicembre 2009, n. 198 (Attuazione dell’articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15 in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici), la quale, come si esporrà, viene da alcuni qualificata come azione a tutela di interessi diffusi.

Si tratta di un ricorso che si fonda sulla concezione dell’amministrazione di risultato, che costituisce espressione sia del principio costituzionale di buon andamento ex art. 97 Cost., sia del diritto ad una buona amministrazione sancito dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il ricorso in esame, infatti, oltre a tutelare le singole posizioni soggettive dei cittadini mira ad eliminare le “patologie” strutturali dell’apparato amministrativo in modo da garantirne una maggiore efficienza.

In relazione all’oggetto, l’art. 1, comma 1, individua quattro ipotesi tassative nelle quali è possibile promuovere il ricorso in esame.

In primo luogo, l’azione è proponibile in caso di «violazione di termini». Il riferi-mento è alle ipotesi di violazione dei termini di durata del procedimento previsti dal-l’art. 2 della legge n. 241 del 1990 [cap. 10, par. 6] e, per i procedimenti di rilevanza economica, dal decreto del Presidente della Repubblica 12 settembre 2016, n. 194 [cap. 10, par. 6.1].

In secondo luogo, essa è proponibile in caso di «mancata emanazione di atti am-ministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbli-gatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento» [cap. 3, par. 10, sui caratteri identificativi degli atti amministrativi generali]. A titolo esemplificativo, vi rientrano gli atti di pianificazione e programmazione.

In terzo luogo, l’azione è proponibile in caso di «violazione degli obblighi conte-nuti nelle carte di servizi». Essi sono atti di autoregolamentazione emanati dai sogget-ti erogatori dei servizi pubblici, con i quali i gestori si impegnano, nei confronti degli utenti, al rispetto di regole e parametri qualitativi e quantitativi [cap. 3, par. 18].

Infine, l’azione può essere proposta in caso di «violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle Autorità preposte al-la regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel de-creto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150». Gli standard sono gli elementi che indivi-duano le caratteristiche quantitative, qualitative, temporali ed economiche che le pre-stazioni devono possedere per essere valutate positivamente in termini di risultato.

In queste due ultime ipotesi, quindi, l’azione in esame mira ad assicurare un con-trollo giurisdizionale sul rispetto, da parte delle amministrazioni, delle carte dei ser-vizi e degli atti che definiscono gli standard prestazionali.

Ai sensi dell’art. 7, l’operatività dell’istituto in esame risulta subordinata all’ema-nazione di futuri decreti del Presidente del Consiglio 67. Nell’attesa dell’emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, la direttiva 25 febbraio 2010, n. 4, del

67 Tali decreti devono adottarsi su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (e di concerto, per quanto di competenza, con gli altri Mini-stri interessati, ovvero, nel caso di Regioni ed Enti locali, su conforme parere della Conferenza unificata).

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 231

 

Dipartimento della funzione pubblica ha precisato che il ricorso per l’efficienza risulta immediatamente esperibile nelle prime due ipotesi previste dall’art. 1, comma 1, del de-creto legislativo n. 198 del 2009, vale a dire la violazione di termini e la mancata emana-zione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo.

In ogni caso l’art. 1, comma 6, esclude espressamente che con tale azione si possa ottenere il risarcimento dei danni 68.

In relazione alla legittimazione attiva, essa spetta, ai sensi dell’art. 1, comma 1, ai «titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori», i quali, a fronte dei comportamenti sopraesposti, ricevono una «lesio-ne diretta, concreta ed attuale dei propri interessi». Nel giudizio di sussistenza di tale lesione «il giudice tiene conto delle risorse strumentali, finanziarie, e umane concreta-mente a disposizione delle parti intimate» (art. 1, comma 1-bis). Il ricorso può essere proposto anche da associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati (art. 1, comma 4).

In relazione alla legittimazione passiva, essa spetta agli enti i cui organi sono com-petenti ad esercitare le funzioni o a gestire i servizi cui sono riferite le violazioni o le omissioni di cui al comma 1. Questi «informano immediatamente della proposizione del ricorso il dirigente responsabile di ciascun ufficio coinvolto, il quale può intervenire nel giudizio» (art. 1, comma 5).

[In relazione al procedimento, si v. cap. 26, par. 33]. In relazione alla giurisdizione, essa spetta in via esclusiva al giudice amministrati-

vo (art. 1, comma 7) [cap. 25, par. 8]. Alla luce della riportata disciplina dell’azione in esame occorre valutare quale sia

la sua esatta qualificazione giuridica. Una prima tesi ritiene che sia un’azione assimilabile all’azione popolare, posta a

tutela di interessi pubblici afferenti al settore amministrativo inciso dagli atti sopra indicati 69. Si afferma che l’azione si correla ad un bene pubblico rappresentato dall’in-teresse all’esatta erogazione di un servizio o al corretto svolgimento di una funzione pubblica 70.

Una seconda tesi ritiene che sia un’azione a tutela di una posizione giuridica sog-gettiva individuale, come dimostrerebbe il riferimento, contenuto nel decreto, alla sus-sistenza di una lesione diretta e concreta 71. In particolare, secondo alcuni autori si è in

68 L’azione risarcitoria si propone davanti al giudice amministrativo ex art. 30 cod. proc. amm. in caso di lesione di un interesse legittimo e davanti al giudice ordinario qualora in capo al singolo sia con-figurabile un diritto soggettivo e non si tratti di materia rientrante nella giurisdizione esclusiva del giu-dice amministrativo.

69 Cfr. R. Lombardi, Le azioni collettive, in F.G. Scoca, Giustizia amministrativa, Torino, 2017, 227; F. Martines, L’azione di classe del d.lgs. n. 198/2009: un’opportunità per la pubblica amministrazione, in www.giustamm.it, 2010.

70 Cfr. R. Lombardi, Le azioni collettive, cit., 228. 71 I sostenitori della prima tesi osservano che il riferimento alla lesione diretta, concreta e attuale degli

interessi del singolo è fatto «più per salvare l’apparenza della conformità dell’azione in questione al mo-dello costituzionale del processo amministrativo come processo di parti (art. 24 Cost.)» ed abbia «la semplice

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232 CAPITOLO 5

 

presenza di interessi semplici o di fatto che, in virtù della legge, diventano «ammini-strativamente» o «occasionalmente» protetti e, quindi, giuridicamente rilevanti 72.

Secondo altri, invece, si è in presenza di un interesse legittimo individuale dai confi-ni più ampi di quelli tradizionali, nel senso che tale figura non concerne solo una «pre-tesa egoistica e privata», ma si presta a contenere «dimensioni rilevanti di interesse pub-blico», sì da abbracciare anche «ciò che normalmente denominiamo interesse diffuso» 73.

Secondo altri, infine, si è in presenza di un diritto soggettivo o un interesse legit-timo omogeneo e comune ad una pluralità di utenti e consumatori 74.

Si è obiettato che così si restringe l’ambito applicativo della norma e si svilisce la sua portata innovativa.

L’orientamento prevalente ritiene che sia un’azione a tutela dell’interesse diffuso 75. Rimane indefinito, però, quale sia il bene o l’interesse cui esso si correla, che po-

trebbero attenere, valorizzando il profilo oggettivo, allo specifico settore di rilevanza pubblica che viene in rilievo, ovvero, valorizzando il profilo soggettivo, alla stessa tu-tela del consumatore.

In questo caso, diversamente dalle altre fattispecie esposte, il soggetto che può agi-re in giudizio è stato individuato direttamente dal legislatore nel singolo o nell’ente, con un chiaro allargamento delle maglie di accesso alla giustizia [cap. 23, par. 7, per l’esame dei rapporti tra la class action pubblica e la class action risarcitoria].

8.2. Interessi diffusi e pubbliche amministrazioni

Accanto a quelli esposti, il sistema contempla fattispecie in relazione alle quali il legislatore, in modo espresso, ovvero, con l’ausilio interpretativo della giurisprudenza, ha individuato una pubblica amministrazione quale soggetto che può accedere alla giustizia a tutela di un interesse diffuso.

Si possono distinguere due differenti fattispecie. La prima è quella in cui il legislatore “trasforma” un interesse diffuso in un inte-

resse pubblico, attribuendo ad un soggetto pubblico il compito di tutelarlo mediante l’attività amministrativa.

La seconda è quella in cui il legislatore non effettua tale trasformazione ma prevede che una pubblica amministrazione possa agire in un giudizio per tutelare tale interesse.

In questa sede interessa tale seconda evenienza. È bene chiarire che in questi casi, la selezione è definita direttamente dal legislatore

funzione di impedire che il ricorso possa essere intentato da un soggetto che non appartiene alla “classe” tito-lare del bene collettivo di cui si chiede tutela in giudizio» (R. Lombardi, Le azioni collettive, cit., 230).

72 F. Mataluni, Sulla azione per l’efficienza amministrativa introdotta con il d.lgs. 198/2009 con rife-rimento ai primi orientamenti giurisprudenziali, in Rass. Avv. Stato, 2013, 256.

73 A. Clini-L. Perfetti, Class action, interessi diffusi, legittimazione a ricorrere degli enti territoriali nella prospettiva dello statuto costituzionale del cittadino e delle autonomie locali, in Dir. proc. amm., 2011, 1443 ss.

74 F. Cintioli, Note sulla cosiddetta class action amministrativa, in www.giustamm.it., 2010. 75 Trib. amm. reg., Lazio, Roma, sez. I, 13 febbraio 2012, n. 1416; Cass. civ., sez. un., 30 settembre

2015, n. 19453.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 233

 

e non occorre che la giurisprudenza concorra nella definizione dei criteri soggettivi di selezione mediante una modulazione delle condizioni dell’azione guidata dalla conce-zione più o meno soggettiva del processo. La questione diventa allora quella generale relativa alla prospettazione del processo in chiave oggettiva o soggettiva. È evidente, infatti, che se si ritiene che sia un soggetto pubblico a potere agire in giudizio, la linea di confine tra interesse diffuso e interesse pubblico diventa meno netta.

8.2.1. Il riconoscimento della legittimazione in capo ad Enti territoriali

In questo ambito si può far rientrare il caso in cui ad agire è un ente territoriale ritenuto esponenziale degli interessi (diffusi) della collettività di riferimento.

Pur in mancanza di espresse previsioni legislative, la giurisprudenza ha desunto questa regola dalla peculiare natura di tali enti costituzionalmente necessari.

In particolare, il Consiglio di Stato 76 ha riconosciuto la legittimazione di una Pro-vincia ad impugnare alcuni atti dell’Anas s.p.a., che aveva aumentato i pedaggi auto-stradali, con incidenza negativa sulla posizione dei residenti. In ogni caso, deve sussi-stere la lesione delle posizioni giuridiche dei soggetti che stanziano nel territorio am-ministrato dall’ente (e nella fattispecie oggetto di esame da parte del Consiglio di Stato tale lesione era rappresentata proprio dall’aumento del costo dell’uso dell’autostrada).

8.2.2. Il riconoscimento della legittimazione in capo ad Autorità amministrative in-dipendenti. Legittimazione dell’Autorità garante della concorrenza e del merca-to e dell’Autorità nazionale anticorruzione

In altri casi il legislatore ha chiaramente individuato una specifica pubblica am-ministrazione quale soggetto legittimato ad agire.

In particolare, l’art. 21-bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287, introdotto dall’art. 35, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazio-ni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevede che «l’Autorità garante della concor-renza e del mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi ge-nerali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che vio-lino le norme a tutela della concorrenza e del mercato».

In relazione alla natura di detta azione sono state proposte le seguenti ricostruzioni. Una prima tesi ritiene che, qualora l’Autorità impugni gli atti che ledono la concor-

renza, sussista una giurisdizione di tipo oggettivo, in quanto l’autorità pubblica esercita l’azione a tutela dell’interesse pubblico, ossia mira a far accertare la violazione dell’inte-resse pubblico alla concorrenza 77. Tale tesi sembra essere stata seguita, sia pure in mo-do incidentale, dal Consiglio di Stato che, in sede consultiva, ha messo in rilievo come

76 Cfr., tra gli altri, Cons. Stato, sez. IV, 9 dicembre 2010, n. 8683; si v. anche Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2014, n. 1611.

77 Trib. amm. reg., Lazio, Roma, sez. III, 15 marzo 2013, n. 2720; Trib. amm. reg., Lazio, Roma, sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451, secondo cui si sarebbe in presenza di un’«azione senza posizione soggettiva».

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234 CAPITOLO 5

 

la norma in esame contempli una «forma di vigilanza collaborativa ai fini della tutela del-l’interesse pubblico alla legittimità ed alla legalità dell’azione amministrativa in materia di procedure relative all’affidamento di contratti pubblici, che si ritiene violata» 78.

Una seconda tesi ritiene che l’azione in esame sia un’azione costruita dal legisla-tore sulla falsariga delle azioni che vengono proposte da autorità pubbliche nei con-fronti di altre autorità pubbliche, le quali rivendicano i rispettivi ambiti di competenza (come avviene, a titolo esemplificativo, se un Comune propone un’azione contro la Provincia ritenendo che questa abbia leso le proprie competenze). Si tratterebbe, cioè, secondo detta tesi, di controversie tra autorità pubbliche, nelle quali ognuna riven-dica la propria competenza, con possibile conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale se la questione assume tono costituzionale [cap. 2, par. 11].

Tale tesi è stata criticata in quanto l’Autorità non propone l’azione perché un al-tro soggetto pubblico ha invaso proprie competenze ma perché ha ritenuto violate le regole della concorrenza.

Una terza tesi 79, che sembra prevalere, ritiene che la norma contempli un’azione a tutela di un interesse diffuso. In particolare, si afferma che «l’interesse sostanziale, alla cui tutela l’azione prevista dall’art. 21-bis in capo all’Autorità Antitrust è finalizza-ta, assume i connotati dell’interesse ad un bene della vita: il corretto funzionamento del mercato, come luogo nel quale trova esplicazione la libertà di iniziativa economica privata, intesa come “pretesa di autoaffermazione economica della persona attraverso l’esercizio della impresa”, tutelato a livello comunitario e costituzionale, costituisce il riferimento oggettivo di una pretesa, giuridicamente rilevante e meritevole di salva-guardia, ad un bene sostanziale». In quest’ottica, l’Autorità «per la sua stessa caratte-rizzazione normativa, diventa soggetto primario della salvaguardia dell’interesse al cor-retto funzionamento del mercato: essa è per legge l’affidataria dell’interesse alla concor-renza, in quanto effettivamente portatrice di un interesse sostanziale protetto dall’ordi-namento (nella specie, nella forma dell’interesse legittimo), che si soggettivizza in capo ad essa come posizione differenziata rispetto a quella degli altri attori del libero merca-to». L’interesse di cui tale Autorità è portatrice è un «interesse diffuso», appartenen-te in maniera indistinta alla collettività.

In questa prospettiva, quindi, l’art. 21-bis contempla un’azione a tutela della con-correnza, che viene qualificata come interesse diffuso, con la conseguenza che, rispetto alla normale modalità di tutela degli interessi diffusi (affidata ad enti o ad associazio-ni), in questo caso la sua tutela è affidata ad un’Autorità amministrativa indipendente.

Invero, non è agevole rinvenire una differenza tra la concorrenza intesa come in-teresse pubblico e la concorrenza intesa come interesse diffuso. Ciò che rileva è che il legislatore, in presenza di particolari interessi pubblici, che sono valori di valenza

78 Cons. Stato, comm. spec., parere 26 aprile 2018, n. 1119, che aveva, invero, ad oggetto una questio-ne relativa al potere dell’Anac, cui sui si v. oltre nel testo; si v. oltre anche quanto affermato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 26 aprile 2018, n. 4 in relazione all’analogo potere dell’Anac.

79 Trib. amm. reg., Lazio, Roma, sez. III, n. 2720 del 2013, cit.; in questo senso anche Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 2016, n. 1164.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 235

 

trasversale (come anche l’ambiente), ha voluto rafforzare le forme di tutela preveden-do modalità ulteriori di accesso alla giustizia amministrativa.

In relazione al campo di applicazione oggettivo della norma, la giurisprudenza 80 ha inteso in senso ampio la nozione di concorrenza lesa da un atto di un’autorità pub-blica facendovi rientrare la concorrenza nel mercato, per il mercato e antitrust [cap. 1, parr. 12-12.3, per l’esame delle declinazioni de principio di concorrenza].

Nel caso in cui si tratti di atti regolamentari e amministrativi regionali, si è posta la questione relativa alla conformità a Costituzione della norma in esame che, nella pro-spettiva della Regione ricorrente, si risolverebbe in un generalizzato controllo di le-gittimità, su iniziativa di un’autorità statale, per certi aspetti analogo al controllo che era previsto dal previgente art. 125, comma 1, Cost., norma poi abrogata con la legge costi-tuzionale n. 3 del 2001 81. La Corte Costituzionale, pur dichiarando la questione inam-missibile perché non erano state prospettate, nell’ambito di un giudizio in via principale, questioni afferenti al riparto di competenze, ha sottolineato come non si tratti di una nuova forma di controllo ma di un potere circoscritto alla tutela della concorrenza 82.

In relazione al campo di applicazione soggettivo della norma, la giurisprudenza 83 ha inteso in senso ampio anche la nozione di pubblica amministrazione, ricompren-dendovi gli organismi di diritto pubblico e i privati che esercitano pubbliche funzio-ni [cap. 6, parr. 17-18.4, sulla nozione di pubblica amministrazione].

In relazione alle modalità di proposizione di tale azione il comma 2 prevede che: i) «l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica am-ministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concor-renza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate»; ii) «se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni».

Tale norma ha fatto sorgere i seguenti dubbi interpretativi. In primo luogo, si è posta la questione relativa alla possibilità di ammettere un ri-

corso diretto non preceduto dal parere. L’orientamento interpretativo prevalente 84 è nel senso che tale parere motivato costituisce una vera e propria condizione di am-missibilità o di procedibilità del ricorso, la quale svolge una duplice funzione: i) sol-lecitare la pubblica amministrazione a rivedere le proprie determinazioni e a con-formarsi agli indirizzi dell’Autorità, attraverso uno speciale esercizio del potere di au-

80 Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246; Corte cost. n. 200 del 2012. 81 Tale norma prevedeva che: i) «il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è

esercitato, in forma decentrata, da un organo dello Stato, nei modi e nei limiti stabiliti da leggi della Re-pubblica; ii) «la legge può in determinati casi ammettere il controllo di merito, al solo effetto di promuovere, con richiesta motivata, il riesame della deliberazione da parte del Consiglio regionale».

82 Corte cost. n. 20 del 2013. 83 Trib. amm. reg., Lazio, Roma, sez. I, 1 luglio 2015, n. 8778. 84 Cons. Stato, sez. V, n. 2246 del 2004, cit.; in questo senso anche Cons. Stato, sez., sez. IV, 28 gen-

naio 2016, n. 323; Trib. amm. reg., Lazio, sez. III, n. 2720 del 2013, cit.

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236 CAPITOLO 5

 

totutela giustificato proprio dalla particolare rilevanza dell’interesse pubblico in gio-co, «in tal modo auspicando che la tutela di quest’ultimo sia assicurata innanzitutto al-l’interno della stessa pubblica amministrazione e restando pertanto il ricorso all’auto-rità giudiziaria amministrativa l’extrema ratio»; ii) fungere da significativo strumento di deflazione del contenzioso, «potendo ammettersi che il legislatore guardi con disfa-vore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente (ed esclusiva-mente) al giudice per la tutela di un interesse pubblico» 85.

In secondo luogo, si è posta la questione relativa alla possibile immediata impu-gnazione del parere. La risposta è negativa trattandosi di un atto presupposto che di-venta lesivo solo quando viene adottato l’atto consequenziale 86 [cap. 3, par. 12].

In terzo luogo, si è posta la questione relativa al rapporto tra il parere e la succes-siva attività di conformazione da parte dell’Autorità.

L’orientamento giurisprudenziale prevalente 87 ritiene che non si sia in presenza di un potere di annullamento in autotutela, in quanto, diversamente opinando, do-vrebbe sostenersi che l’amministrazione potrebbe addurre, per non rimuovere l’atto lesivo della concorrenza, motivi connessi all’esigenza di tutela dell’affidamento dei soggetti interessati al mantenimento dell’atto stesso [cap. 11, Parte Quarta].

In quarto luogo, si è posta la questione relativa all’oggetto dell’impugnazione e cioè se si debba impugnare il rifiuto espresso dell’amministrazione di conformarsi o il silenzio ovvero il provvedimento originario. L’orientamento giurisprudenziale preva-lente 88, muovendo dal dato letterale della norma, è in quest’ultimo senso.

Infine, si è posta la questione dei termini. Con riferimento al termine di sessanta giorni per l’adozione del parere, esso de-

corre dal giorno della piena conoscenza da parte dell’Autorità dello specifico atto an-ticoncorrenziale e non dalla conoscenza di generiche criticità concorrenziali 89.

Secondo un primo orientamento tale termine ha natura ordinatoria 90. Secondo un diverso e preferibile orientamento il termine, per assicurare il principio

di certezza dei rapporti giuridici, è perentorio 91. Con riferimento al termine di sessanta giorni riconosciuto all’amministrazione per

conformarsi, un primo orientamento 92 ritiene che esso abbia natura ordinatoria nel

85 Chiunque vi abbia interesse può sollecitare l’adozione del parere da parte dell’Autorità (Trib. amm. reg., Lazio, Roma, n. 4451 del 2013, cit.) ma la decisione finale in ordine alla sussistenza dei presupposti spetta esclusivamente all’Autorità stessa (B. Mattarella, I ricorsi dell’Autorità antitrust al giudice ammi-nistrativo, in Giorn. dir. amm., 2016, 291).

86 G. Dimitrio-M. Filice, I poteri di competition advocacy dell’Agcom ex art. 21-bis n. 287 del 1990, in Giorn. dir. amm., 2017, 262 ss.

87 Tra gli altri, Trib. amm. reg., Lazio, sez. III, n. 2720 del 2013, cit. 88 Cons. Stato, sez. VI, n. 323 del 2016, cit. 89 Trib. amm. reg., Lazio, Roma, sez. III, n. 2720 del 2013, cit. 90 Trib. amm. reg., Lazio, Roma, sez. III, n. 2720 del 2013, cit. 91 Trib. amm. reg., Calabria, Catanzaro, sez. I, 29 giugno 2016, n. 1373; in questo senso anche B.

Mattarella, I ricorsi dell’Autorità antitrust al giudice amministrativo, cit. 92 Trib. amm. reg., Sicilia, Catania, sez. IV, 3 marzo 2014, n. 676.

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 237

 

senso che i successivi trenta giorni decorrono dal momento in cui sono spirati i ses-santa giorni.

Un secondo orientamento 93 sostiene, invece, che se l’amministrazione, prima dei ses-santa giorni, ha adottato un atto negativo, da lì inizia a decorrere il termine per l’Au-torità per proporre ricorso.

Con riferimento al termine di trenta giorni per proporre ricorso giurisdizionale esso ha natura perentoria 94.

In questo contesto si inseriscono anche i nuovi commi 1-bis-1-ter-1-quater del-l’art. 211 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nel testo aggiunto dall’art. 52-ter, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, in legge 21 giugno 2017, n. 96, il quale prevede che: i) «L’Anac è legittimata ad agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e for-niture» (comma 1-bis); ii) «l’Anac, se ritiene che una stazione appaltante abbia adotta-to un provvedimento viziato da gravi violazioni del Codice, emette, entro sessanta gior-ni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati»; «il parere è trasmesso alla stazione appaltante; se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall’Anac, comunque non supe-riore a sessanta giorni dalla trasmissione, l’Anac può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo»; «si applica l’articolo 120 del codice del processo amministrativo (...)» (comma 1-ter); iii) «l’Anac, con proprio regolamen-to, può individuare i casi e le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter» (comma 1-quater) 95.

93 Cons. Stato, sez. IV, n. 323 del 2016, cit. 94 Trib. amm. reg., Sicilia, Catania, n. 676 del 2014, cit. 95 L’Autorità ha adottato il regolamento con delibera 13 giugno 2018 (sullo schema del regolamento

il Consiglio di Stato, comm. spec., ha reso il parere 1119 del 2018, cit., in cui si è messo in rilievo che la finalità della previsione del potere regolamentare è di limitare l’ampia discrezionalità dell’Autorità anti-corruzione «affinché la stessa non si trasformi in arbitrio o irragionevolezza»).

L’art. 3 del regolamento prevede che si intendono di rilevante impatto contratti: a) che riguardino, anche potenzialmente, un ampio numero di operatori; b) relativi ad interventi in occasione di grandi eventi di carattere sportivo, religioso, culturale o a contenuto economico, ad interventi disposti a segui-to di calamità naturali, di interventi di realizzazione di grandi infrastrutture strategiche; c) riconducibili a fattispecie criminose, situazioni anomale o sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni ap-paltanti; d) relativi ad opere, servizi o forniture aventi particolare impatto sull’ambiente, il paesaggio, i beni culturali, il territorio, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale; e) aventi ad oggetto la-vori di importo pari o superiore a quindici milioni di euro o superiori a venticinque milioni di euro.

L’art. 6 del regolamento prevede che sono considerate gravi violazioni delle norme in materia di contratti pubblici le seguenti: a) affidamento di contratti pubblici senza rispetto delle regole di pubblicità; b) affidamento mediante procedura diversa da quella aperta o ristretta fuori dai casi consentiti [cap. 16, par. 14]; c) atto afferente a rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture; d) modifiche sostanziali del contratto che avrebbe richiesto una nuova procedura di gara [cap. 16, par. 36.2]; e) manca-ta o illegittima esclusione di un concorrente nei casi previsti dall’art. 80 (che indica i requisiti generali di ammissione) e 83, comma 1, (che indica i requisiti speciali di ammissione) del Codice dei contratti pubbli-ci [cap. 16, par. 12]; f) contratto affidato in presenza di una grave violazione del diritto europeo; g) man-

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238 CAPITOLO 5

 

La versione precedente la modifica prevedeva quanto segue: i) «qualora l’Anac, nell’esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione ap-paltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegit-timi, entro un termine non superiore a sessanta giorni»; ii) «il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termi-ne fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria» 96; iii) «la sanzione inci-de altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti»; iv) «la raccomandazione è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi del-l’articolo 120 del codice del processo amministrativo» 97.

cata risoluzione del contratto nei casi di cui all’art. 108, comma 2, del Codice dei contratti pubblici [cap. 16, par. 38]; h) bando o altro atto di indizione di procedure ad evidenza pubblica che contenga clau-sole o misure ingiustificatamente restrittive della partecipazione e, più in generale, della concorrenza.

L’art. 7 indicati i seguenti atti impugnabili: a) regolamenti e atti amministrativi generali, quali ban-di, avvisi, sistemi di qualificazione degli operatori economici istituiti dagli enti aggiudicatori nei settori speciali [cap. 16, par. 41], capitolati speciali di appalto, bandi-tipo adottati dalle stazioni appaltanti, atti di indirizzo e direttive che stabiliscono modalità partecipative alle procedura di gara e condizioni con-trattuali; b) provvedimenti relativi a procedure disciplinate dal Codice dei contratti pubblici, quali de-libere a contrarre [cap. 16, par. 13], ammissioni ed esclusioni dell’operatore economico dalla gara [cap. 16, par. 10], aggiudicazioni [cap. 16, par. 18.2], validazioni ed approvazioni della progettazione [cap. 16, par. 13], nomine del responsabile unico del procedimento, nomine della commissioni aggiudicatrice [cap. 16, par. 9.1.1.], atti afferenti a rinnovo tacito, provvedimenti applicativi della clausola revisione prezzi [cap. 16, par. 36.2].

96 Tale sanzione – prevedeva la norma in esame – non poteva essere inferiore ad euro 250 né supe-riore ad euro 25.000.

97 Il Consiglio di Stato, nei pareri resi sullo schema di codice (1 aprile 2016, n. 855) e sullo schema di decreto correttivo (30 marzo 2017, n. 782), aveva espresso le seguenti criticità sul testo nella sua ori-ginaria formulazione:

«(...) – mancanza di copertura nella legge delega 28 gennaio 2016, n. 11 che non sembra avere concepi-to il potere di raccomandazione come una forma, anche indiretta, di annullamento d’ufficio;

– possibile non compatibilità con il riparto delle competenze riconosciute alle singole amministrazioni e con il sistema delle autonomie;

– creazione di una responsabilità oggettiva avulsa dalla gravità (e dalla stessa esistenza) della violazione che inficia l’atto di gara censurato dall’Autorità;

– possibile contrasto del meccanismo con il principio di responsabilità personale dell’illecito ammini-strativo, sancito dall’art. 3, comma 1, della legge 24 novembre 1981, n. 689;

– la sanzione amministrativa pecuniaria prevista a carico del solo dirigente sembra recidere il rapporto di immedesimazione organica tra la stazione appaltante e il dirigente, deresponsabilizzando, anche agli effetti contabili, la stazione appaltante, forse anche con profili che potrebbero essere considerati di dubbia compa-tibilità con l’art. 28 Cost.;

– efficacia ‘in concreto’ del meccanismo, il quale non esclude che la stazione appaltante possa sottrarsi alla raccomandazione, restando inerte o confermando espressamente l’aggiudicazione ritenuta illegittima, pre-ferendo andare incontro alle sanzioni suddette, ovvero impugnando la raccomandazione vincolante, e ciò an-che in considerazione della incerta efficacia dissuasiva sia della sanzione pecuniaria (che appare di modesto importo, se rapportata ad appalti e concessioni di grande valore), sia della sanzione reputazionale (...);

– distonia tra il termine massimo per adempiere alla raccomandazione (fissato in sessanta giorni) e quello per impugnarla (che è soltanto di trenta giorni, ai sensi del rinvio all’art. 120 cod. proc. amm.), con la conse-guenza che, trascorso tale secondo termine – ed eccettuate, ovviamente, le ipotesi di impugnative proposte da terzi o di richiesta di riesame – la raccomandazione si consoliderebbe definitivamente per la stazione appaltan-

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SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 239

 

Si può ritenere che anche in questo caso venga in rilievo un’azione posta a tutela della concorrenza (nella specie, concorrenza per il mercato) intesa come interesse diffuso.

Anche l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 98, sia pure ancora una volta in via incidentale nell’ambito del giudizio relativo all’impugnazione dei bandi gara, ha affermato che il legislatore ha previsto una legittimazione straordinaria dell’Anac che agisce a tutela dell’interesse pubblico alla concorrenza e dunque nell’interesse della leg-ge. Il che, si è aggiunto, non va ad incidere sulla valenza individuale della posizione del singolo operatore che agisce «nel proprio ed esclusivo interesse».  

te, che negli ulteriori trenta giorni, indipendentemente dalle sue ragioni, non potrebbe dissentire dall’Anac; – possibile rischio di goldplating, ove si dovesse in ipotesi ritenere che il potere di raccomandazione

vincolante introduca una disciplina della vigilanza/controllo più severa di quella minima prescritta dalle direttive in materia di governance, prevedendo esse solo che, in caso di violazioni specifiche o di problemi sistemici, le Autorità preposte ad assicurare la corretta applicazione del diritto europeo degli appalti abbia-no il potere di segnalare i problemi ad autorità nazionali di controllo, organi giurisdizionali e altre autorità o strutture idonee;

– eventualità che al già consistente contenzioso tra stazioni appaltanti e operatori economici si possa ag-giungere quello, tutto interno alla sfera dei pubblici poteri, tra l’Anac e le stazioni appaltanti, sia in ordine alla legittimità dei rispettivi contrastanti atti sia, e non da ultimo, in ordine alle eventuali (e reciproche) conseguenze risarcitorie».

98 Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4, in materia di impugnazione dei bandi di gara [cap. 3, par. 11.1], sottolinea come vi siano le seguenti altre fattispecie normative, oltre l’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990, che contemplano un sistema di impugnazione analogo: gli artt. 14, comma 7, 62, 110, com-ma 1, 121, comma 6 e 157, comma 2, decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, con cui la Banca d’Italia e la Consob sono state legittimate ad impugnare le deliberazioni delle società vigilate adottate in violazione di alcune disposizioni sul diritto di voto in materia di intermediazione finanziaria; l’art. 52, comma 4 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che ha riconosciuto al Ministero delle Finanze il potere di impugnare per qualsiasi vizio di legittimità i regolamenti comunali in materia di entrate tributarie; l’art. 6 comma 10 della legge 9 maggio 1989, n. 168, che ha attribuito al Ministro dell’istruzione dell’Univer-sità e della ricerca il potere di diretta impugnazione degli Statuti dei singoli Atenei che non si adeguino ai rilievi di legittimità dallo stesso formulati; l’art. 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, in tema di poteri attribuiti all’Autorità di regolazione dei trasporti; l’art. 70 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che attribuisce al Prefetto la legittimazione a far valere, in via giurisdizionale, la decadenza dalla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale.

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