Manifesto orvieto 2014

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1 ORVIETO, 24-26 OTTOBRE 2014 MANIFESTO DELLA RIVOLUZIONE ITALIANA CONTRO LA CRISI E IL DECLINO PRIMO: L’INTERESSE NAZIONALE È IL VERO MOTORE DELLO SVILUPPO 1. USCIRE DALL’EURO PER USCIRE DALLA CRISI ITALIANA ED EUROPEA. 2. NAZIONALIZZARE LA BANCA D’ITALIA PER METTERLA AL SERVIZIO DELL’INTERESSE PUBBLICO E NON DELLE LOBBY FINANZIARIE. 3. CREARE UN PROTEZIONISMO INTELLIGENTE: DAZI SULLE IMPORTAZIONI DAI PAESI CHE NON RISPETTANO DIRITTI SOCIALI E REGOLE AMBIENTALI. 4. DIFENDERE IL VERO MADE IN ITALY CONTRO LA CONTRAFFAZIONE, LA FALSA QUALITÀ E LO SHOPPING DEI NOSTRI MARCHI. 5. BLOCCARE I FLUSSI MIGRATORI PER SALVARE IL LAVORO, IL WELFARE E LO SVILUPPO. 6. SCEGLIERE LA SICUREZZA E L’INTERESSE NAZIONALE COME OBIETTIVI DELLA POLITICA ESTERA. SECONDO: UN FORTE STATO-NAZIONE PER TAGLIARE LE TASSE, RILANCIARE GLI INVESTIMENTI PUBBLICI E GARANTIRE LA SICUREZZA DEI CITTADINI 7. RICOSTRUIRE L’ITALIA SUL PRIMATO DELLO STATO-NAZIONE E SUL FEDERALISMO DEI COMUNI, RICONOSCENDO SOLO ALLE REGIONI VIRTUOSE POTERI E STATUTI SPECIALI.

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Manifesto della rivoluzione italiana contro la crisi e il declino

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ORVIETO, 24-26 OTTOBRE 2014

MANIFESTO DELLA RIVOLUZIONE ITALIANA CONTRO LA CRISI E IL DECLINO

PRIMO: L’INTERESSE NAZIONALE È IL VERO MOTORE DELLO SVILUPPO

1. USCIRE DALL’EURO PER USCIRE DALLA CRISI ITALIANA ED EUROPEA. 2. NAZIONALIZZARE LA BANCA D’ITALIA PER METTERLA AL SERVIZIO

DELL’INTERESSE PUBBLICO E NON DELLE LOBBY FINANZIARIE. 3. CREARE UN PROTEZIONISMO INTELLIGENTE: DAZI SULLE IMPORTAZIONI

DAI PAESI CHE NON RISPETTANO DIRITTI SOCIALI E REGOLE AMBIENTALI. 4. DIFENDERE IL VERO MADE IN ITALY CONTRO LA CONTRAFFAZIONE, LA

FALSA QUALITÀ E LO SHOPPING DEI NOSTRI MARCHI. 5. BLOCCARE I FLUSSI MIGRATORI PER SALVARE IL LAVORO, IL WELFARE E

LO SVILUPPO. 6. SCEGLIERE LA SICUREZZA E L’INTERESSE NAZIONALE COME OBIETTIVI

DELLA POLITICA ESTERA.

SECONDO: UN FORTE STATO-NAZIONE PER TAGLIARE LE TAS SE, RILANCIARE GLI INVESTIMENTI PUBBLICI E GARANTIRE LA SICUREZZA DEI CITTADINI

7. RICOSTRUIRE L’ITALIA SUL PRIMATO DELLO STATO-NAZIONE E SUL FEDERALISMO DEI COMUNI, RICONOSCENDO SOLO ALLE REGIONI VIRTUOSE POTERI E STATUTI SPECIALI.

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8. TAGLIARE GLI SPRECHI NON GLI INVESTIMENTI PUBBLICI, CONCENTRANDO SUL TERRITORIO LA SPESA PER BENI E SERVIZI, LE GARE D’APPALTO E IL CONTROLLO DEI COSTI STANDARD.

9. CONFERIRE IL PATRIMONIO IMMOBILIARE PUBBLICO IN UN FONDO PER ABBATTERE IL DEBITO DELLO STATO ITALIANO.

10. CREARE ATTRAVERSO LA CASSA DEPOSITI E PRESTITI IL NUOVO POLO PUBBLICO DEL NOSTRO SISTEMA INDUSTRIALE NAZIONALE.

11. DIFENDERE LA LEGALITÀ E LA SICUREZZA DEI CITTADINI, LOTTANDO CONTRO LA CORRUZIONE, LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA, IL DEGRADO URBANO E GARANTENDO IL DIRITTO ALLA LEGITTIMA DIFESA.

TERZO: L’IMPRESA COME COMUNITÀ CHE CREA LAVORO, QUA LITÀ E INNOVAZIONE 12. LIBERARE LE IMPRESE DALL’OPPRESSIONE GIUDIZIARIA E BUROCRATICA. 13. TASSARE LE IMPRESE SOLO IN BASE AGLI UTILI EFFETTIVAMENTE

CONSEGUITI E NON REINVESTITI, CON UN’ALIQUOTA MASSIMA DEL 30%. 14. RIDURRE LA TASSAZIONE SUGLI IMMOBILI PER GARANTIRE IL DIRITTO

ALLA CASA E PER RILANCIARE L’EDILIZIA. 15. CREARE UN REGIME FISCALE FORFETTARIO PER CASSA PER I TITOLARI DI

PARTITA IVA. 16. COSTRUIRE UNA “RETE DI PROTEZIONE” PER LE PICCOLE E MEDIE

IMPRESE. 17. PROMUOVERE UNA POLITICA INDUSTRIALE PER FILIERE/RETI/DISTRETTI E

PER LO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO. 18. LIBERARE DAL TERRORISMO FISCALE I CONSUMI E IL COMMERCIO, CON

L’ABOLIZIONE DEL REDDITOMETRO E DEL LIMITE PER LE TRANSAZIONI IN CONTANTI, CREANDO IL “CONTRASTO DI INTERESSI” PER FAR EMERGERE IL SOMMERSO E DIFENDENDO I PICCOLI E MEDI NEGOZI DALLA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA.

19. CHIUDERE EQUITALIA E PROMUOVERE UNA “SANATORIA DEGLI ONESTI” PER CONSENTIRE UNA RISCOSSIONE PIÙ UMANA DEI DEBITI DA PARTE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.

20. COMBATTERE L’USURA E L’ANATOCISMO CHE SI NASCONDONO NEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO.

21. CREARE UN NUOVO “STATUTO DEI LAVORI” CHE INCENTIVI LA PARTECIPAZIONE E DISTRIBUISCA LE TUTELE TRA TUTTE LE CATEGORIE DI LAVORATORI.

22. FAVORIRE GLI INVESTIMENTI PRIVATI NEL PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE, CREANDO UN MERCATO DELLE OPERE D’ARTE E DEI BENI ARCHEOLOGICI DI LIMITATO VALORE.

23. VALORIZZARE IL TERRITORIO, L’AMBIENTE, IL PAESAGGIO, IL TURISMO E L’AGROALIMENTARE DI QUALITÀ, TROVANDO UN NUOVO EQUILIBRIO TRA VINCOLI ED INVESTIMENTI.

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QUARTO: LA CRESCITA SOCIALE ED ECONOMICA PARTE DALL E FAMIGLIE E DALLA NATALITÀ 24. INTRODURRE IL QUOZIENTE FAMILIARE E IL REDDITO MINIMO FAMILIARE

PER SOSTENERE LE FAMIGLIE E LA NATALITÀ. 25. RILANCIARE IL SISTEMA EDUCATIVO ATTRAVERSO IL MERITO, LA QUALITÀ

E LA SELEZIONE. 26. LIBERARE LA SOLIDARIETÀ SOCIALE DAL PESO DELLO STATALISMO

ATTRAVERSO UNA VERA SUSSIDIARIETÀ DELLE FAMIGLIE E DEL NON PROFIT.

27. DARE VALORE AL “TERZO VOTO” PER RILANCIARE LA PARTECIPAZIONE NEI CORPI INTERMEDI NELLA SOCIETÀ CIVILE ORGANIZZATA.

28. RIPORTARE IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE SOTTO IL CONTROLLO DELLO STATO, LIBERANDOLO DALLE INVADENZE DELLA POLITICA, DAGLI SPRECHI E DALLE SPEREQUAZIONI REGIONALI.

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Da sei anni l’Italia, come tutta l’Eurozona, si dibatte nella più grave CRISI economica del dopoguerra.

Ma sono almeno venti anni che si parla del DECLINO della nostra Nazione. Era il 1987 quando l’Italia divenne la quinta potenza economica mondiale dopo gli Stati Uniti, il Giappone, la Germania e la Francia. Ancora fino ai primi anni ’90 la crescita del nostro PIL reggeva il confronto con i paesi più sviluppati. Oggi siamo sprofondati all’ottavo o nono posto (a secondo delle classifiche), ma sappiamo di dover presto cedere altre posizioni perché non c’è nessuna prospettiva di crescita.

La prima Repubblica ci ha consegnato uno dei debiti pubblici più alti del mondo.

Nella seconda Repubblica ci siamo dibattuti tra le promesse messianiche dell’EURO, ultimo regalo del dirigismo di sinistra, e le RIFORME INCOMPIUTE di un centrodestra troppo liberista, federalista ed individualista.

All’alba della terza Repubblica il progetto liberal di Matteo Renzi promette ancora una volta di cambiare l’Italia, mescolando confusamente una parte delle vecchie riforme del centrodestra, con il dirigismo europeista e le idee radical-progressiste della sinistra.

MA L’AGENDA DELLE RIFORME È SEMPRE LA STESSA. Cambiano i Presidenti del Consiglio, si rinnovano le promesse, ma si ripetono sempre le stesse ricette, che rimangono irrealizzate o che, anche se attuate, non producono effetti. Non un solo dato dell’economia reale ha smesso di peggiorare, non una delle promesse di sviluppo è stata mantenuta. La Legge di Stabilità 2015 è l’ennesimo “gioco delle tre carte” in cui si trasformano tasse nazionali in tasse locali, si scrivono tagli di bilancio manifestamente irrealizzabili, si descrivono provvedimenti che rimarranno arenati in fase attuativa.

ANCHE MATTEO RENZI NON CE LA FA: NON SARÀ LUI A VINCERE LA CRISI E IL DECLINO DELL’ ITALIA.

Dobbiamo cambiare radicalmente le nostre prospettive: È URGENTE UNA RIVOLUZIONE ITALIANA.

La crisi e il declino della nostra Nazione hanno due radici profonde: l’INDIVIDUALISMO e il POLITICAMENTE CORRETTO.

L’individualismo è un’antica malattia italiana che tutte le ideologie del ‘900 hanno tentato di combattere. Il berlusconismo, tra le molte modernizzazioni positive che ha prodotto, ha però avuto un peccato originario: ha scatenato ed esaltato questa malattia individualista. Matteo Renzi continua su questa strada, come tutta la politica basata su leadership personalistiche.

Tutti i popoli occidentali sono colpiti dalla disgregazione e dallo sradicamento, ma nessun popolo sta divorando il proprio tessuto sociale e comunitario come il nostro. Il risultato è la “mucillagine sociale”, il tasso di natalità più basso del mondo, il rischio educativo, la rottura della solidarietà generazionale, lo sradicamento sociale e la corruzione diffusa.

Anche il “politicamente corretto” esiste in tutto il mondo occidentale, ma solo in Europa e in Italia è un dogma che imprigiona ogni cosa. I mille “lacci e lacciuoli” della burocrazia italiana, la lentezza delle nostre procedure, la mancanza di competitività e voglia di vincere, nascono dalle perversioni del politicamente corretto che uccidono lo slancio vitale e la creatività del nostro popolo.

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Certo, l’impetuoso sviluppo italiano dei decenni passati aveva molte malattie: le devastazioni ambientali e paesaggistiche sono sotto gli occhi di tutti, troppi “squali” si sono facilmente arricchiti sulle spalle degli altri, la quantità e lo spreco hanno prevalso sulla qualità e la sostenibilità, il materialismo consumista ha ucciso spiritualità, bellezza e creatività.

Ma per reagire a questo non possiamo passare alla crescita zero o alla “decrescita felice”; all’odio per ogni impresa, per ogni merito e per ogni sfida e competizione; a vivere di biciclette, di pacifismo, di buonismo obbligatorio per ogni “diverso” da noi; a sottomettere ogni identità comunitaria e ogni sovranità nazionale a tecnocrazie sovranazionali prive di legittimità democratica; a trasformare le nostre città e il nostro territorio in musei paralizzati dai vincoli; a vivere terrorizzati dall’ipocrisia, dalla cultura del sospetto, da censori ed esattori; a sommare le astruse regole europee con i cavilli italiani; a moltiplicare le norme e le pretese di un perfezionismo costoso ed impraticabile, presidiato da caste burocratiche e magistrature idiote ed intoccabili;a rinnegare il padre, la madre e la famiglia di fronte ai ricatti dell’ideologia Gender.

L’INDIVIDUALISMO CIECO SI SPOSA CON L’IPOCRISIA SOCIALE: più siamo chiusi nel nostro egoismo quotidiano, più cediamo spazio pubblico al “pensiero unico”, ai luoghi comuni del politicamente corretto.

IN QUESTE CONDIZIONI COME È POSSIBILE CREARE NUOVO SVILUPPO PER L’ITALIA E NUOVO LAVORO PER NOI E PER I NOSTRI FIGLI?

LA CRESCITA NON DIPENDE SOLO DA PROBLEMI PRATICI, VIENE ALIMENTATA INNANZITUTTO DA FATTORI NON ECONOMICI: VALORI UMANI, CULTURALI E COMUNITARI CHE SONO LE PRECONDIZIONI PER PRODURRE E DISTRIBUIRE RICCHEZZA.

LA RIVOLUZIONE ITALIANA PARTE DAL CORAGGIO DI URLARE LE VERITÀ SCOMODE, DALLA ENERGIA SOCIALE ED ECONOMICA NECESSARIA PER SFONDARE LA GABBIA DEL POLITICAMENTE CORRETTO.

PERCHÈ LA PRIMA VERITÀ SCOMODA È QUELLA CHE DOBBIAMO TORNARE AD ESSERE UNA NAZIONE, SOVRANA E NON SUDDITA, CAPACE DI DIFENDERE VERAMENTE GLI INTERESSI DEGLI ITALIANI.

È UNA SFIDA DEL “BASSO” CONTRO L’“ALTO”, DEL POPOLO, DELLA GENTE COMUNE, DI CHI LAVORA, CONTRO IL CETO DIRIGENTE, GLI INTELLETTUALI RADICAL-PROGRESSISTI, I “SALOTTI BUONI” DEL POTERE.

L’agenda delle riforme non può essere quella, uguale per tutti i popoli e per tutti i contesti,dettata dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale Europea.

ABBIAMO BISOGNO DI UN’AGENDA DI RIFORME ITALIANE: diversa da quella di altre nazioni perché fondata su un modello di sviluppo centrato sull’interesse nazionale e sull’identità del nostro popolo.

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PRIMO: L’INTERESSE NAZIONALE È IL VERO MOTORE DELLO SVILUPPO.

L’Italia è uscita dalla sconfitta della seconda Guerra mondiale cancellando le parole Patria e Nazione dal proprio vocabolario. Ma, almeno fino agli anni novanta, il “mondo moderato” resisteva alla totale cancellazione del significato dell’interesse nazionale. Poi è arrivata l’ondata liberista, federalista ed europeista che ha convinto anche il centrodestra che l’interesse nazionale era un residuato bellico,una chiusura per gli individui e un vincolo per lo sviluppo.

Così, nonostante i discorsi ufficiali sul valore dell’Unità nazionale, nella seconda Repubblica l’idea di Italia è rimasta confinata in un ambito astratto e retorico. Come sempre siamo rimasti indietro: ovunque nel mondo, dalla Germania, agli USA, alla Russia, alle Nazioni arabe, tutti hanno riscoperto l’interesse nazionale, se non addirittura il nazionalismo, come strumento per contrastare i mali della globalizzazione.

L’INTERESSE NAZIONALE È FONDAMENTALE PER USCIRE DALLA CRISI ECONOMICA E VA DIFESO IN EUROPA COME NELL’ECONOMIA GLOBALE.

1. USCIRE DALL’EURO PER USCIRE DALLA CRISI ITALIANA ED EUROPEA.

I programmi economici di Romano Prodi e di Carlo Azeglio Ciampi ci hanno portato ad aderire ad una moneta unica che, primo caso nella storia mondiale, pretende di legare insieme aree economiche profondamente diverse, senza neppure i correttivi di un forte governo politico e di un comune sentimento di identità. La Germania non è cattiva e l’Italia non è cialtrona, in realtà è impossibile che paesi così diversi riescano a trovare un punto di equilibrio nelle maglie strette dell’unione monetaria.

L’EURO È LA PRIMA CAUSA DELLA CRISI ECONOMICA IN ITALIA E NELL’EUROZONA: PER QUESTO DOBBIAMO LIBERARE L’EUROPA DALL’EURO.

Operazione non facile ma necessaria per rimettere in moto una vera integrazione europea. Abbiamo di fronte a noi negoziati difficili per cancellare il Fiscal Compact e il Patto di stabilità, per costringere la Commissione europea a investire sullo sviluppo, per liberare il bilancio di Bruxelles da sprechi che appesantiscono i nostri conti. QUESTA TRATTATIVA NON AVRÀ MAI UN ESITO POSITIVO SE NON SI HA IL CORAGGIO DI METTERE SUL TAVOLO DEL NEGOZIATO LA DISSOLUZIONE DELL’EURO. Facciamolo noi prima che decrescita e deflazione, spread e default, troika e speculatori non ci obblighino ad uscire dall’unione monetaria nel modo più rovinoso.

Non illudiamoci: Matteo Renzi sta solo percorrendo con più baldanza e più aggressività la stessa strada che ha portato alla rovina Mario Monti ed Enrico Letta, perché, al di là delle sparate giornalistiche, permane in lui una sostanziale sudditanza rispetto ai dogmi fondamentali della tecnocrazia europea.

ABBANDONARE IL RIGORE SENZA USCIRE DALL’EURO, È UNA STRATEGIA CHE RISCHIA DI AGGRAVARE I NOSTRI PROBLEMI. Aumentare i consumi per comprare prodotti tedeschi, cinesi o americani, significa soltanto far lievitare il nostro indebitamento pubblico e privato senza creare sviluppo, significa correre più rapidi verso il default.

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2. NAZIONALIZZARE LA BANCA D’ITALIA PER METTERLA AL SERVIZIO DELL’INTERESSE PUBBLICO E NON DELLE LOBBY FINANZIAR IE.

Oggi, anche grazie all’ultima riforma della Banca d’Italia, ci troviamo in una condizione paradossale: la Banca centrale è proprietà degli stessi operatori del mercato creditizio che dovrebbero essere assoggettati al suo controllo.

A ciò si aggiunga che troppe volte negli ultimi anni le previsioni sull’economia elaborate dall’Ufficio studi di Bankitalia si sono rivelate errate, mettendo fuori strada o fornendo alibi alle politiche economiche governative che hanno contribuito a farci sprofondare nella crisi.

DOBBIAMO NAZIONALIZZARE LA BANCA D’ITALIA, ANCHE IN VISTA DEL RITORNO ALLA SOVRANITÀ MONETARIA E ALLA POSSIBILITÀ DI STAMPARE MONETA. Questa “eresia” farà sobbalzare i centri studi e i giornali finanziati dal mondo economico, ma è una necessità ovvia ed elementare per rimettere la nostra economia al servizio degli italiani.

Solo in questo modo avremo una vera sorveglianza sul sistema bancario che eviti speculazioni e abusi ai danni delle famiglie e delle imprese, autentici reati che sono sempre stati tollerati dalla Banca centrale “indipendente”.

Solo in questo modo potremo andare al “Comitato di Basilea” per cancellare le follie degli accordi di Basilea II e Basilea III, che sono completamente fuori misura per il sistema delle imprese italiane.

A chi teme che la nazionalizzazione della Banca d’Italia faccia diventare questa istituzione troppo condizionabile dalle clientele politiche, rispondiamo che tutto questo non avviene per la Ragioneria centrale dello Stato e per tutte le altre Authority che sono state create in questi anni. Come la Federal Reserve risponde al Presidente degli USA, la nuova governance della Banca d’Italia deve rispondere esclusivamente al Capo del Governo, senza per questo cancellare la responsabilità tecnica ed istituzionale del Governatore.

3. CREARE UN PROTEZIONISMO INTELLIGENTE: DAZI SULLE IMPORTAZIONI DAI PAESI CHE NON RISPETTANO DIRITTI SOCIALI E REGO LE AMBIENTALI.

Sono quasi venti anni che esiste il WTO (World Trade Organization – Organizzazione Mondiale del Commercio) e da allora ci hanno raccontato che dazi e tariffe sulle importazioni erano il male assoluto per il commercio e per lo sviluppo dell’economia.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: da quando si è cominciato a cancellare i dazi, le nostre imprese sono sottoposte ad una concorrenza insostenibile da parte delle economie dei paesi emergenti, dove non ci sono diritti sociali e regole ambientali comparabili con quelli europei. La competizione economica, proprio secondo i principi liberali, può avvenire in modo trasparente e positivo solo all’interno di mercati fondati sulle stesse regole. Altrimenti siamo di fronte a CONCORRENZA SLEALE e DUMPING COMMERCIALE.

Come possiamo competere con paesi, spesso governati da regimi autoritari, in cui i lavoratori vengono sfruttati senza diritti e con bassissimi salari e le imprese non devono sottostare ai costosi vincoli ambientali che esistono in Europa?

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Come possiamo evitare che le nostre imprese più competitive delocalizzino i loro impianti in paesi che consentono costi di produzione estremamente bassi a danno dei lavoratori e dell’ambiente?

Come possiamo impedire il “libero arbitrio” delle multinazionali, che spostano con facilità i loro stabilimenti e le loro sedi fiscali nei paesi che offrono le condizioni più competitive, anche se questo significa evasione fiscale e sfruttamento dei territori? Non servono a nulla le patetiche black list che ogni tanto vengono diffuse in Occidente contro le multinazionali che giungono a utilizzare il lavoro minorile e condizioni produttive di tipo schiavistico: dopo poco tempo le multinazionali colpevoli cancellano la causa dello scandalo, ma solo per creare una nuova forma di sfruttamento più difficile da individuare.

Scrive Fabio Galimberti del Sole 24 Ore: “Anche se, per assurdo, lo yuan si dovesse rivalutare del 100%, il costo del lavoro cinese sarebbe sempre una frazione (un decimo invece di un ventesimo) del costo del lavoro occidentale. Il vero vantaggio competitivo dei prodotti cinesi non sta in quanti yuan all'ora costa il lavoro, sta nel fatto che gli operai cinesi si contentano di un pugno di riso. Il costo del lavoro sta nei beni e servizi che si possono comperare con il compenso a un'ora di lavoro. E se chi lavora in Cina si contenta di poco, mentre chi lavora in Italia vuole (giustamente!) molto di più di un pugno di riso, il made in China costerà sempre di meno del made in Italy”.

Questa situazione è la concausa della non sopportabilità dei vincoli della moneta unica. L’Unione europea ha sempre avuto posizioni negoziali debolissime nel WTO e i paesi membri, per non essere divorati dalla concorrenza globale, sono costretti a farsi la guerra tra di loro, abbassando i salari e il Welfare per imporre, grazie all’Euro, surplus commerciali insostenibili, come quello che esiste fra Germania e Italia.

Sono pura retorica i discorsi alla Matteo Renzi secondo cui il Made in Italy può competere meglio in un mercato globale completamente liberalizzato: solo una ristretta frazione delle nostre produzioni può affrontare questa sfida senza soccombere e senza delocalizzare. È una piccola parte del nostro PIL e del nostro sistema produttivo che non può certo impedire il dilagare della deindustrializzazione e della disoccupazione in Italia.

Non basta: l’Italia e l’Europa sono le prime della classe nell’abolire ogni forma di protezione alle importazioni, ma subiscono vincoli alle proprie esportazioni da parte di altri paesi, in particolare Stati Uniti e Giappone, mascherati dietro tutele sanitarie. È nota la difficoltà di esportare prodotti agroalimentari italiani per clausole sanitarie ultra-vincolistiche. Al contrario Ue e Italia sono state messe spesso sopra il banco degli imputati per aver imposto l’etichettatura dei prodotti agroalimentari Ogm.

L’accordo TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra Europa e Stati Uniti sarà un’autentica trappola se non viene negoziato in base al nostro interesse nazionale: potremmo subire la liberalizzazione dell’importazione degli Ogm americani senza ottenere l’eliminazione delle regole sanitarie americane contro i nostri prodotti.

Anche l’Area di libero scambio euro-mediterraneo potrebbe rappresentare la morte del nostro agroalimentare mediterraneo, se non saranno messi precisi vincoli di etichettatura e di qualità rispetto alle importazioni di prodotti dei paesi del Nord-Africa.

DOBBIAMO PRETENDERE CHE L’EUROPA ROMPA LE REGOLE DEL WTO, PER IMPORRE PRECISE CLAUSOLE SOCIALI ED AMBIENTALI ALLE IMPORTAZIONI DEI PAESI EMERGENTI, E REGOLE CONDIVISE SUL VERSANTE DELLA SICUREZZA E DELLA QUALITÀ ALIMENTARE BASATE SULL’ETICHETTATURA DEI PRODOTTI.

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SE L’EUROPA NON VUOLE FARE QUESTE BATTAGLIE, È INEVITABILE CHE L’ITALIA RECUPERI PROGRESSIVAMENTE LA PROPRIA SOVRANITÀ DOGANALE, PERCHÈ OGNI SCAMBIO ECONOMICO DEVE ESSERE EQUILIBRATO, SENZA COSTRINGERE LA NOSTRA NAZIONE A RIMANERE IN PERENNE DEFICIT COMMERCIALE.

4. DIFENDERE IL VERO MADE IN ITALYCONTRO LA CONTRAF FAZIONE, LA FALSA QUALITÀ E LO SHOPPING DEI NOSTRI MARCHI.

La contraffazione e l’imitazione dei prodotti alimentari made in Italy (il cosiddetto italian sounding) fanno perdere all'Italia oltre 60 miliardi di euro di fatturato all’anno che potrebbero generare reddito e lavoro in un difficile momento di crisi. Tra i casi più eclatanti di cibi italiani contraffatti nei diversi continenti ci sono il Pandoro argentino, il Salame veneto Made in Canada, l'Asiago statunitense, il Kressecco della Germania, il kit per falsificare il Parmigiano Reggiano e quello per taroccare il Valpolicella.

Il made in Italy deve essere tutelato e valorizzato, ma solo se il prodotto è veramente realizzato in Italia (non solo disegnato o assemblato) e, in particolare nel settore agroalimentare, con materie prime agricole italiane.

La contraffazione deve essere stroncata attraverso etichette che forniscano informazioni chiare e leggibili per il consumatore (non nel modo ridicolo con cui sono state definite dai decreti attuativi della legge 4/2011).

L’apposizione di una etichettatura made in Italy può rappresentare anche un effettivo strumento di dissuasione alla delocalizzazione, soprattutto per le produzioni di qualità. È chiaro che se l’obiettivo dell’imprenditore è semplicemente quello di ridurre i costi non esiste alcuna difesa dalla delocalizzazione, ma se invece si punta, come si dovrebbe, sulla qualità italiana, solo il produrre nel nostro paese può garantire una commercializzazione di qualità.

La battaglia per il “made in” non riguarda solo l’Italia ma tutta l’Unione europea che ha sempre impedito l’etichettatura nazionale come se fosse un ostacolo alla concorrenza all’interno dell’Unione. Dopo anni di battaglie il Parlamento europeo ha approvato una Direttiva in questo senso, che non è stata ancora recepita dal Consiglio dove esistono forti resistenze che l’Italia non è ancora riuscita a superare.

PER DIFENDERE IL MADE IN ITALY OCCORRE ANCHE TUTELARE I MARCHI ITALIANI DALLO “SHOPPING” STRANIERO, OVVERO DALLE ACQUISIZIONI DI NOSTRE AZIENDE DA PARTE DI MULTINAZIONALI E DI FONDI D’INVESTIMENTO CHE HANNO IL LORO CENTRO DI INTERESSE ALL’ESTERO. Tra il 2008 e il 2012 ben 437 aziende italiane sono passate nelle mani di acquirenti stranieri.

Questa necessità, per il settore agroalimentare, emerge anche dagli studi della Coldiretti: “Nell’alimentare il passaggio di proprietà ha spesso significato svuotamento finanziario delle società acquisite, delocalizzazione della produzione, chiusura di stabilimenti e perdita di occupazione”.

BISOGNA DISTINGUERE TRA ATTRAZIONE DI INVESTIMENTI INTERNAZIONALI E SHOPPING INDUSTRIALE. I capitali stranieri sono positivi quando investono per creare nuove realtà produttive o per acquisire attività non delocalizzabili. Diventano invece pericolosi quando comprano imprese italiane che hanno un know-how facilmente

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esportabile, o marchi che rappresentano la qualità italiana ma che possono essere utilizzati anche per commercializzare merci prodotte all’estero.

PER CONTRASTARE QUESTA TENDENZA È NECESSARIO CREARE FONDI DI INVESTIMENTO A CONTROLLO PUBBLICO SPECIALIZZATI PER TUTELARE I DIVERSI SETTORI DEL MADE IN ITALY. Ogniqualvolta un marchio significativo del made in Italy rischia di essere svenduto sul mercato, questi fondi devono intervenire per acquisire i pacchetti di maggioranza dell’azionariato. Partnership con industrie e capitali stranieri possono essere utili, ma bisogna evitare di perdere il controllo azionario da parte dei capitali pubblici e privati italiani.

Non solo: bisogna creare UNA VASTA AZIONE LEGALE NAZIONALE E INTERNAZIONALE PER TUTELARE TUTTI I NOMI, LE IMMAGINI E I MARCHI CHE RICHIAMANO LA NOSTRA IDENTITÀ NAZIONALE. Dal disegno del Colosseo, a quello della Lupa romana, al Giglio fiorentino, al Vesuvio di Napoli, ai nomi delle città e dei territori italiani, tutti questi simboli non possono essere usati impunemente nel mondo per alimentare l’italian sounding, facendo contraffazione non solo del made in Italy ma anche dell’italian style.

LA DIFESA DEL MADE IN ITALY NON È SOLO UNA TUTELA DEL LAVORO, DELLA CREATIVITÀ E DELL’IDENTITÀ ITALIANA, È ANCHE UNA GARANZIA PER I CONSUMATORI DI TUTTO IL MONDO CHE NON DEVONO ESSERE TRATTI IN INGANNO QUANDO COMPRANO UN PRODOTTO CHE APPARE ITALIANO, MA CHE IN REALTÀ NON HA NULLA A CHE FARE CON L’AUTENTICITÀ E LA QUALITÀ DELLA NOSTRA PRODUZIONE NAZIONALE.

5. BLOCCARE I FLUSSI MIGRATORI PER SALVARE IL LAVOR O, IL WELFARE E LO SVILUPPO.

L’immigrazione di massa viene vista solo come problema umanitario, partendo dal presupposto che ogni migrante – regolare, clandestino o richiedente asilo – debba per forza essere un essere umano in difficoltà da aiutare con più premura dei cittadini italiani. Questo atteggiamento deriva da uno dei tanti prodotti del “politicamente corretto”: L’IMMIGRAZIONISMO, ovvero la visione ideologica secondo cui l’immigrazione è sempre un fatto positivo, sia per chi vive questa esperienza che per il paese ospitante. Noi pensiamo esattamente il contrario: I FENOMENI MIGRATORI SONO LA MANIFESTAZIONE DI UN DISAGIO E LA FONTE DI GRAVI PROBLEMI. Ogni essere umano deve essere libero di scegliere se rimanere nella propria patria di origine o trasferirsi in un altro territorio. Ma quando si fugge dalle proprie radici per la necessità di cercare migliori condizioni sociali, economiche o politiche, tutto questo non deriva da una libera scelta ma da una dolorosa costrizione.

NOI CREDIAMO NEL VALORE DELLE RADICI, DELLE IDENTITÀ E DELLE APPARTENENZE. PENSIAMO CHE PERSONE E COMUNITÀ SIANO INTIMAMENTE LEGATE ALLA PATRIA D’ORIGINE – LA TERRA DEI PADRI – E CHE NESSUNO DEBBA ESSERE COSTRETTO AD ALLONTANARSI DA ESSA. Per questo la nostra priorità è quella di rimuovere le cause dell’immigrazione aiutando le persone nel loro paese d’origine. Per lo stesso motivo consideriamo la migliore forma di immigrazione

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quella “rotazionale”, ovvero quella che permette ai migranti di tornare a casa dopo aver vissuto un’esperienza positiva di lavoro e di formazione nella nostra Nazione. Questo non deve impedire a una persona di un’altra nazionalità di scegliere l’Italia come sua patria elettiva, ma questa decisione deve essere effetto non di una costrizione ma di un atto d’amore convinto e profondo. PUÒ ESSERE ITALIANO SOLO CHI AMA L’ITALIA E LO DIMOSTRA IN MODO CHIARO.LA CITTADINANZA ITALIANA DEVE ESSERE CONQUISTATA DOPO UN BEN SCANDITO PERCORSO DI INTEGRAZIONE CULTURALE, SOCIALE ED ECONOMICA. PER QUESTO I DIRITTI DI CITTADINANZA DEGLI ITALIANI DEBBONO ESSERE NETTAMENTE DISTINTI DAI DIRITTI DEGLI OSPITI E DEGLI IMMIGRATI.

Questa impostazione identitaria si rivela, ancora una volta, come quella più virtuosa dal punto di vista economico. L’IMMIGRAZIONISMO INCIDE IN MODO DECISIVO SULLA CRISI ECONOMICA E SOCIALE DELLA NOSTRA NAZIONE.

Volendo abbandonare ogni comoda ipocrisia, i fatti dimostrano che il nostro paese non è più in grado di sopportare massicci flussi di immigrati, soprattutto in una congiuntura così negativa. OCCORRE RITORNARE AD UN SISTEMA REGOLATO DI IMMIGRAZIONE, CON NUMERI CONTINGENTATI. Quasi tutti gli altri paesi, europei e non, hanno adottato politiche molto rigide. Molto significativa è l’esperienza americana, sancita con la presidenza Clinton (non certamente un conservatore) che nel settembre del 1996 ha introdotto una nuova legge per regolare l’immigrazione: la IllegalI Immigration Reform and Immigrant Responsibility Act (IIRIRA). Questo testo, tuttora in vigore, si contraddistingue per l’eccezionale durezza che viene riservata a chi non ha la cittadinanza americana, i cui diritti sono stati drasticamente ridotti, anche dopo la riforma del Welfare adottata da Obama.

VOGLIAMO RIPRISTINARE IL REATO DI IMMIGRAZIONE CLANDESTINA, ESPELLERE TUTTI GLI IMMIGRATI CHE COMMETTONO REATI E GARANTIRE, ATTRAVERSO ACCORDI INTERNAZIONALI, CHE LE CONDANNE PIÙ GRAVI VENGANO SCONTATE NELLE CARCERI DEI PAESI DI ORIGINE.

IN QUESTO MOMENTO DI CRISI I FLUSSI MIGRATORI DEVONO ESSERE FERMATI FINO A QUANDO IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE IN ITALIA NON SARÀ SCESO SOTTO LA PERCENTUALE DEL 7%. Non ha senso la retorica secondo la quale gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non accettano più. La realtà è un’altra: gli immigrati lavorano in condizioni e con salari che risultanoinaccettabili per gli italiani. È una concorrenza sleale nel mercato del lavoro (un “esercito industriale di riserva” avrebbe detto Karl Marx), che aumenta la disoccupazione degli italiani, abbassa il livello di reddito medio dei lavoratori, apre autostrade verso il lavoro nero e le peggiori forme di sfruttamento.

D’altra parte è noto che molte imprese operanti in Italia e gestite da immigrati non rispettano le minime condizioni previste dal legislatore in materia di tutela dei lavoratori. Si pensi al distretto del tessile di Prato gestito da immigrati cinesi. È necessario applicare con continuità e maggiore severità i controlli sulle imprese, soprattutto nei confronti di quelle

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che con comportamenti illegali generano situazioni di concorrenza sleale sfruttando le persone. BISOGNA COMBATTERE CONTRO TUTTE LE “ZONE FRANCHE” ILLEGALI CHE L’IMMIGRAZIONE E IL NOMADISMO HANNO CREATO SUL TERRITORIO ITALIANO. Siano essi distretti industriali gestiti illegalmente da comunità immigrate, ghetti metropolitani in cui il tasso di stranieri rende impossibili i controlli di legalità e le regole di vita tipicamente italiane, fino agli accampamenti abusivi e ai campi nomadi dove si sopravvive attraverso il racket e gli atti predatori.

BISOGNA DIFENDERE I DIRITTI SOCIALI DEGLI ITALIANI CHE OGGI VEDONO IL WELFARE ASSORBITO, NELLE RISORSE COME NELLE LISTE DI ATTESA, DAGLI ULTIMI VENUTI. La percentuale di risorse della spesa sociale dedicata agli immigrati è nettamente superiore alla percentuale di questi rispetto alla popolazione totale. Bisogna distinguere tra l’assistenza di prima necessità, che non può non avere un valore universale e non deve essere negata a nessuno, dai servizi sociali a cui si accede con liste di attesa. Nelle graduatorie per alloggi popolari, asili nido, mense scolastiche, assistenze specialistiche, non può non essere privilegiata la cittadinanza italiana e la durata della permanenza nel nostro Paese.

L’UNIONE EUROPEA, DA CUI TROPPO SPESSO PARTONO CONDANNE NEI CONFRONTI DELL’ ITALIA PER ATTI DISCRIMINATORI, DEVE ASSUMERSI LA PROPRIA RESPONSABILITÀ DI FRONTE ALLE CRISI UMANITARIE E ALLA NECESSITÀ DI ACCOGLIERE RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI POLITICI. Occorre rivedere il regolamento Dublino III e potenziare l’Agenzia Frontex – che deve avere sede non a Varsavia ma sul Mediterraneo – con l’obiettivo di modificare le norme sull’asilo che non può essere gestito solo dai paesi di primo approdo. I rifugiati politici devono essere ripartiti tra i paesi europei in base al PIL, mentre UNA PROFONDA REVISIONE DEL TRATTATO DI SCHENGEN DEVE EVITARE CHE I FLUSSI MIGRATORI E IL NOMADISMO INTERNI ALL’UNIONE RIPRODUCANO GLI STESSI PROBLEMI DELL’IMMIGRAZIONE EXTRA-COMUNITARIA.

LA SOLIDARIETÀ NEI CONFRONTI DEI POTENZIALI MIGRANTI E RIFUGIATI POLITICI DEVE ESSERE SPOSTATA NEI PAESI DA CUI PARTE L’IMMIGRAZIONE. L’Europa da troppo tempo ha abbandonato l’Africa a sé stessa, dopo averla colonizzata e sfruttata per secoli. Una nuova stagione di cooperazione allo sviluppo deve essere gestita dall’Italia e dalla UE, non in chiave astrattamente umanitaria ma come effettiva strategia di crescita sociale ed economica rispettosa delle identità e dell’autodeterminazione dei Paesi in via di sviluppo. I CENTRI DI ACCOGLIENZA DEI RIFUGIATI E DEI RICHIEDENTI ASILO DEVONO ESSERE ORGANIZZATI NEI PAESI DI ORIGINE E DI TRANSITO DEI PROFUGHI, ANCHE ATTRAVERSO MISSIONI MILITARI DI PACE CHE GARANTISCANO LA SICUREZZA DI QUESTE ZONE. Tutto questo non solo richiederà un investimento infinitamente minore di quello oggi utilizzato per una impossibile integrazione in Italia, ma sarà il veicolo di una positiva internazionalizzazione delle imprese italiane e di un modello di sviluppo a dimensione Mediterranea.

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6. SCEGLIERE LA SICUREZZA E L’INTERESSE NAZIONALE C OME OBIETTIVI DELLA POLITICA ESTERA.

L’Italia ha cessato da molto tempo di avere una politica estera all’altezza delle sue potenzialità economiche e culturali. LA VICENDA DEI DUE MARÒ SEQUESTRATI IN INDIA È IL PUNTO PIÙ BASSO DELLA CREDIBILITÀ INTERNAZIONALE DELL’ ITALIA e la dimostrazione plateale della nostra ininfluenza, nonostante il costante impegno politico-militare in tutte le missioni di pace e la capillare e costosa presenza delle nostre rappresentanze istituzionali all’estero.

Anche in questo scenario, un approccio falsato dal “politicamente corretto” ha una sua negativa influenza: un astratto umanitarismo legato a pulsioni pacifiste ci impedisce di guardare le relazioni internazionali per quello che sono, innanzitutto in termini di rapporti di forza da cui dipende gran parte della sicurezza e del benessere economico dei singoli popoli. Erroneamente la difesa dell’interesse nazionale viene vista come una forma di nazionalismo che impedisce di servire i valori universali. PUNTARE SUL VALORE DELLA NAZIONE NON SIGNIFICA CADERE NEL NAZIONALISMO AGGRESSIVO, PURCHÈ SI RICONOSCA PARI DIGNITÀ ALLA SOVRANITÀ E ALLA IDENTITÀ NAZIONALE DI OGNI POPOLO. L’obiettivo di una seria e responsabile politica estera, come dell’indirizzo politico dei processi di globalizzazione, deve essere quello di avere una reciprocità di rapporti e un equilibrato scambio economico e culturale. Al contrario, OGGI L’ITALIA SUBISCE UN PESANTE DEFICIT IN TUTTE LE FORME DI INTERSCAMBIO CON IL RESTO DEL MONDO.

La ricaduta più preoccupante di questo atteggiamento è quella relativa alla sicurezza: nonostante l'impegno nella Ue e nella Nato e la partecipazione al G8, L'ITALIA È SEMPRE PIÙ ESPOSTA AI PERICOLI DELL' INSTABILITÀ DEL MEDITERRANEO E DELL'EUROPA DELL'EST. Esiste inoltre un preoccupante problema di approvvigionamento energetico: l'Italia, nonostante sia in una posizione di prossimità strategica alle risorse del Nord Africa, del Medio Oriente e dell'Eurasia, resta IL PAESE PIÙ VULNERABILE DEL MONDO INDUSTRIALIZZATO SOTTO IL PROFILO DELLA SICUREZZA ENERGETICA. La gravità di questa situazione - storicamente ereditata dagli anni '70 - potrebbe diventare insostenibile in uno scenario globale ulteriormente surriscaldato.

L'ITALIA DEVE QUINDI ABBANDONARE OGNI ATTEGGIAMENTO DI SUDDITANZA NEI CONFRONTI DEI SUOI PARTNER EUROPEI E OCCIDENTALI,PER RIUSCIRE A GARANTIRE LA PROPRIA SICUREZZA E IL PROPRIO INTERESSE NAZIONALE ATTRAVERSO UNA PIENA E FRANCA RECIPROCITÀ DI RAPPORTI.

DOBBIAMO RECUPERARE LA NOSTRA CENTRALITÀ NEL MEDITERRANEO, FACENDO COMPRENDERE ALL'EUROPA COME NON SIA PIÙ POSSIBILE GUARDARE SOLO AD EST. IL NOSTRO MEZZOGIORNO DEVE ESSERE LA BASE DELLA COOPERAZIONE TRA L’ EUROPA E IL MEDITERRANEO.

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L’ITALIA DEVE ESSERE PROTAGONISTA NEL COSTRUIRE UN NUOVO RAPPORTO TRA L'UE E LA RUSSIA, PER CONQUISTARE UNA PIÙ AMPIA INDIPENDENZA ENERGETICA.

BISOGNA FERMARE OGNI PULSIONE VERSO ALLARGAMENTI INDISCRIMINATI DELL' UE, IN PARTICOLARE NEI CONFRONTI DELLA TURCHIA LA CUI ADESIONE DEVE ESSERE DEFINITIVAMENTE ARCHIVIATA. Ottanta milioni di musulmani sarebbero un condizionamento insostenibile per un'aggregazione politica che stenta a trovare una propria identità e un'effettiva integrazione.

IL PERICOLO FONDAMENTALISTA VA AFFRONTATO CON FERMEZZA DENTRO E FUORI I NOSTRI CONFINI, DOPO LA DISASTROSA LEGGEREZZA CON CUI CI SIAMO APERTI NEI CONFRONTI DELLE "PRIMAVERE ARABE". NON POSSIAMO PIÙ SOPPORTARE CHE L'ISIS CONTINUI A ESPANDERE LA SUA OMBRA SCURA DI TERRORE: SE C'È UN LUOGO DOVE È URGENTE INTERVENIRE CON TRUPPE DI TERRA QUESTO È PROPRIO IL TERRITORIO OCCUPATO DAL CALIFFATO.

SECONDO: UN FORTE STATO-NAZIONE PER TAGLIARE LE TAS SE, RILANCIARE GLI INVESTIMENTI PUBBLICI E GARANTIRE LA SICUREZZA DEI CITTADINI.

Vogliamo uscire dall’OPPRESSIONE FISCALE, GIUDIZIARIA E BUROCRATICA che uccide l’Italia. Ogni volontà di creare ricchezza, ogni appartenenza comunitaria, ogni spinta vitale, viene paralizzata da UN TIRANNO SENZA VOLTO contro cui gli italiani hanno cercato di ribellarsi in ogni forma.

QUESTE RIBELLIONI SONO RESE STERILI DALL’EQUIVOCO CHE QUESTO TIRANNO SIA RAPPRESENTATO DALLO STATO NAZIONALE. La Lega Nord, prima della svolta della leadership di Salvini, per anni ha puntato sul federalismo per smembrare lo Stato nei corpi separati delle Regioni e degli Enti locali. I liberisti hanno invocato il primato del mercato su ogni forma di regolamentazione e di indirizzo politico. La vecchia Sinistra ha cercato di sostituire la decisione politica con l’assemblearismo e l’anarchia. Il Movimento 5 Stelle ha cavalcato l’odio dell’antipolitica, pensando di sostituire i partiti con la caotica partecipazione del web. Alla fine, i produttori di ricchezza, i piccoli imprenditori, il ceto medio e i precari hanno scelto l’astensionismo e la fuga dalle istituzioni.

È vero il contrario: L’OPPRESSIONE NASCE DALL’ASSENZA DELLO STATO, sostituito da partiti personalizzati, burocrazie senza guida, lobby e poteri forti in lotta tra di loro, conflitti istituzionali tra le articolazioni centrali e periferiche della Repubblica.

Il dilagare della spesa pubblica è cominciato nel 1970 con la nascita delle Regioni ed è diventato incontenibile dopo la riforma del Titolo V. La burocrazia si moltiplica nel policentrismo dei poteri. Ogni cittadino è vittima dell’arbitrio di tutte le magistrature e della pervasiva invadenza degli esattori fiscali che non devono rispondere a nessun controllo.

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NOI VOGLIAMO RICOSTRUIRE IL POTERE DEMOCRATICO DELLO STATO-NAZIONE GUIDATO DA UN PRESIDENTE ELETTO DAL POPOLO, SUPERANDO IL BICAMERALISMO PERFETTO E RESTITUENDO AI CITTADINI IL POTERE DI SCELTA DEI DEPUTATI.

VOGLIAMO CHE TUTTE LE ISTITUZIONI CENTRALI E PERIFERICHE RISPONDANO A QUESTO VERTICE DEMOCRATICO. CREDIAMO NELLE AUTONOMIE LOCALI, MA PROPRIO IN NOME DELLA SUSSIDIARIETÀ, PUNTIAMO AD UNO STATO CHE SAPPIA VIGILARE E INTERVENIRE PRIMA DI OGNI EMERGENZA. VOGLIAMO RIDURRE IL POTERE DELLE REGIONI E TAGLIARE TUTTI I CENTRI DI SPESA FUORI CONTROLLO.

CREDIAMO CHE SOLO LO STATO, LA DEMOCRAZIA E LA POLITICA POSSANO DIFENDERE I CITTADINI, LE FAMIGLIE E LE IMPRESE DAI POTERI FORTI, DAGLI INTERESSI PARTICOLARI E DALLE LOBBY SENZA NOME E SENZA VOLTO.

NON CREDIAMO CHE LO SVILUPPO POSSA ESSERE CREATO DAUN MERCATO SENZA REGOLE E SENZA UN PROGETTO POLITICO ED ECONOMICO: SI ESCE DALLA CRISI SOLO SE LE IMPRESE POTRANNO LAVORARE INSIEME A ISTITUZIONI FORTI, SNELLE E TRASPARENTI.

SI POSSONO TAGLIARE LE TASSE RILANCIANDO GLI INVESTIMENTI PUBBLICI, SOLO SE I CENTRI DI SPESA VENGONO MESSI SOTTO IL CONTROLLO E L’AUTORITÀ DELLO STATO.

UNO STATO FORTE SI PUÒ PERMETTERE DI GARANTIRE L’EQUITÀ DELLE RETRIBUZIONI NEL SETTORE PUBBLICO, TAGLIANDO I COSTI DELLA POLITICA, E METTENDO UN TETTO AGLI STIPENDI D’ORO DEI MANAGER PUBBLICI E ALLE PENSIONI D’ORO NELLA PARTE CHE NON DERIVA DAI CONTRIBUTI VERSATI.

7. RICOSTRUIRE L’ITALIA SUL PRIMATO DELLO STATO-NAZ IONE E SUL FEDERALISMO DEI COMUNI, RICONOSCENDO SOLO ALLE REGI ONI VIRTUOSE POTERI E STATUTI SPECIALI.

L’UNICO FEDERALISMO CHE IN ITALIA HA SENSO È QUELLO DEI COMUNI, che esistono da mille anni, al contrario delle Province che sono nate con l’Unità nazionale 150 anni fa e delle Regioni che sono state istituite solo da 40 anni. I Comuni non possono essere cancellati ma devono essere spinti a unirsi nell’erogazione dei servizi ai cittadini, creando economie di scala ed efficienza delle strutture, senza perdere la capillarità della loro presenza.

LA RIFORMA COSTITUZIONALE DEVE SANCIRE DEFINITIVAMENTE L’ABOLIZIONE DEI CONSIGLI PROVINCIALI, IDENTIFICANDO LE PROVINCE CON GLI UFFICI TERRITORIALI DI GOVERNO, COLLEGATI CON LE CAMERE DI COMMERCIO E LE CENTRALI UNICHE D’ACQUISTO SUL TERRITORIO. Quest’articolazione periferica dello

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Stato e delle Camere di commercio è necessaria per evitare la desertificazione economica e civile delle aree interne.

L’AUTODETERMINAZIONE DELLE REGIONI DEVE ESSERE FORTEMENTE RIDOTTA, RICONOSCENDO SOLO A QUELLE VIRTUOSE POTERI E STATUTI SPECIALI. Bisogna cancellare la legislazione esclusiva delle Regioni, permettendo al Parlamento nazionale di legiferare su ogni materia e delegando ai Consigli regionali solo un potere legislativo derivato. Tutti i diritti essenziali dei cittadini devono essere garantiti a livello nazionale, a cominciare dal diritto alla salute.

LE REGIONI DEVONO DIVENTARE LE ISTITUZIONI POLITICHE DI PROGRAMMAZIONE E COORDINAMENTO DELLO SVILUPPO LOCALE, SENZA ESSERE DIVORATE DALLA SPESA SANITARIA. La scomparsa delle Province rafforza l’importanza di questo ruolo che è determinante per rimettere in moto l’economia nazionale. SOLO LE PUNTE DI ECCELLENZA, CHE ESISTONO SOPRATTUTTO NELLE REGIONI VIRTUOSE DEL NORD, DEVONO ESSERE VALORIZZATE, ANCHE COME ESPERIENZA GUIDA PER GLI ALTRI TERRITORI.

8. TAGLIARE GLI SPRECHI NON GLI INVESTIMENTI PUBBL ICI, CONCENTRANDO SUL TERRITORIO LA SPESA PER BENI E SER VIZI, LE GARE DI APPALTO E IL CONTROLLO DEI COSTI STANDARD.

La spesa pubblica italiana è più di 830 miliardi all’anno, articolati su 35 mila stazioni appaltanti. All’interno di questa giungla, in particolare nelle spese per consumi intermedi, si annidano gli sprechi, i costi della politica e le ruberie della corruzione. Gli studi scientifici dimostrano che se tutte le amministrazioni comprassero beni e servizi allo stesso prezzo, si potrebbe ridurre la spesa di circa il 2% del PIL, pari a circa 30 miliardi di euro.

Questo obiettivo è stato mancato con la creazione della Consip, perché, nonostante le norme obblighino a conformarsi ai prezzi fissati da questa agenzia, le amministrazioni locali e periferiche riescono a derogare nei loro acquisti, con aumenti che arrivano fino al 75% in più. PER QUESTO MOTIVO È NECESSARIO CREARE CENTRALI D’ACQUISTO A LIVELLO PROVINCIALE, CHE GESTISCANO TUTTI GLI ACQUISTI INTERMEDI DI OGNI AMMINISTRAZIONE DI DERIVAZIONE PUBBLICA.

ANALOGAMENTE TUTTI I LAVORI PUBBLICI DELLE DIVERSE AMMINISTRAZIONI DEVONO ESSERE GESTITI DA CENTRALI UNICHE DI APPALTO, CHE POTREBBERO ESSERE CREATE RIDANDO POTERE AI PROVVEDITORATI TERRITORIALI DEI LAVORI PUBBLICI.

QUESTE CENTRALI PROVINCIALI DOVRANNO METTERE IN RETE I PREZZI DA LORO DEFINITI E I COSTI STANDARD DEI SERVIZI EROGATI.

IN QUESTO MODO SARÀ PIÙ FACILE CONTROLLARE TUTTI I COSTI DEI SERVIZI PUBBLICI EROGATI DALLE SOCIETÀ MUNICIPALIZZATE, INTERVENENDO SU

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QUELLE NON VIRTUOSE, SCIOGLIENDO QUELLE NON STRATEGICHE E COINVOLGENDO IL PRIVATO OVUNQUE POSSIBILE.

Questa drastica semplificazione nasce da una necessità precisa: BISOGNA TAGLIARE GLI SPRECHI, NON TUTTA LA SPESA PUBBLICA IN MODO LINEARE. Un taglio indifferenziato della spesa pubblica ha un effetto recessivo, tanto più forte nei periodi di crisi acuta come quello che stiamo vivendo, come dimostrato dai premi Nobel Krugman e Stiglitz. Nonostante tutta la retorica dei liberisti, ogni taglio di 1 euro della spesa pubblica equivale a una perdita di PIL di 1,25 euro.

9. CONFERIRE IL PATRIMONIO IMMOBILIARE PUBBLICO IN UN FONDO PER ABBATTERE IL DEBITO DELLO STATO ITALIANO.

È INDISPENSABILE ABBATTERE IL DEBITO PUBBLICO ATTRAVERSO OPERAZIONI DI NATURA STRAORDINARIA: SI PUÒ INTERVENIRE PER UN VALORE DI ALMENO 400 MLD COMPLESSIVI (circa il 20% del debito pubblico) GRAZIE ALLA CESSIONE DI PARTE DEL PATRIMONIO DEMANIALE NON STRATEGICO, evitando frettolose e sospette operazioni di svendita. Per far questo l’ipotesi potrebbe essere quella di costituire un soggetto giuridico autonomo (lo strumento che meglio si presta è quello di un fondo immobiliare aperto), in cui conferire il patrimonio e le partecipazioni da cedere.

Questa nuova società potrebbe emettere obbligazioni a lungo termine (almeno 10 anni), garantite dal patrimonio sottostante, per un importo di 50 mld di euro l’anno per otto anni. Le somme incassate potranno essere destinate alla riduzione del debito pubblico e quindi dei relativi interessi che gravano ogni anno sul nostro bilancio.

Nel frattempo la società costituita avrebbe tutto il tempo per vendere il patrimonio conferito, superando momenti di debolezza del mercato immobiliare come quello che stiamo oggi vivendo. I sottoscrittori avrebbero in mano titoli sicuri perché garantiti dal patrimonio conferito e, oltre alla cedola di interessi periodica, potrebbero ottenere un extra-rendimento se, come probabile, la vendita del patrimonio consentisse di ottenere plusvalenze significative,attraverso operazioni di valorizzazione urbanistica e immobiliare.

L’ABBATTIMENTO DEL DEBITO PUBBLICO POTREBBE AVVENIRE ANCHE ATTRAVERSO LA CONVERSIONE DI TITOLI DEL DEBITO IN QUOTE DEL FONDO, IN FORMA VOLONTARIA, SICURAMENTE PIÙ REDDITIZIE E MEGLIO GARANTITE.

10. CREARE ATTRAVERSO LA CASSA DEPOSITI E PRESTITI IL NUOVO POLO PUBBLICO DEL NOSTRO SISTEMA INDUSTRIALE NAZIONALE.

Dopo due decenni di demonizzazione dell’ intervento statale nell’economia italiana, constatiamo che le parti più competitive del nostro sistema industriale sono a controllo pubblico. Finmeccanica, Fincantieri e Ferrovie dello Stato non rappresentano aziende decotte salvate dall’assistenzialismo, ma la parte a maggiore contenuto tecnologico e

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innovativo dell’industria italiana. Attorno a questo gruppo, con la forza finanziaria della Cassa Depositi e Prestiti, bisogna ricreare un forte polo pubblico che investa non per salvare industrie prive di competitività nel mercato, ma per promuovere i campioni nazionali del nostro sistema industriale.

È questa un’operazione in parte avviata attraverso i fondi pubblici costituiti dalla CDP, ma senza una strategia industriale consapevole e coraggiosa. Come negli anni ’30 l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) è stato fondamentale per uscire dalla crisi economica del ‘29, un nuovo polo pubblico trainante per il nostro sistema industriale può aiutare l’economia italiana ad uscire dall’attuale crisi. PER EVITARE GLI ERRORI COMMESSI NELLA FASE DECLINANTE DELLE VECCHIE PARTECIPAZIONI STATALI È FONDAMENTALE RISERVARE QUESTO NUOVO INTERVENTO PUBBLICO SOLO AI SETTORI INDUSTRIALI AD ALTO VALORE AGGIUNTO E DI ELEVATO CONTENUTO TECNOLOGICO.

11. DIFENDERE LA LEGALITÀ E LA SICUREZZA DEI CITTAD INI LOTTANDO CONTRO LA CORRUZIONE, LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA, I L DEGRADO URBANO E GARANTENDO IL DIRITTO ALLA LEGITTIMA DIFES A.

La legalità e la sicurezza sono emergenze che hanno un impatto non solo sociale ma anche economico sulla crisi italiana. È in gioco non solo la vita e le relazioni sociali di tutti i cittadini, ma anche la loro possibilità di fare impresa, di lavorare senza condizionamenti e senza concorrenza sleale.

LA SICUREZZA E LA LEGALITÀ SONO I PRIMI DIRITTI SOCIALI, SENZA I QUALI OGNI ALTRA LIBERTÀ DI VITA E DI RELAZIONE DIVENTA IMPOSSIBILE.

In particolare sull’emergenza corruzione che si è manifestata nella “tangentopoli strisciante” di questi mesi è necessario dare dei segnali drastici ed innovativi. Oltre al solito aumento delle pene che si invoca in queste circostanze, proponiamo due novità: INTRODURRE LE “AZIONI DISSIMULATE” PER COMBATTERE LA CORRUZIONE DIFFUSA, ESTENDERE LE COMPETENZE DELLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA (DNA) ALLE GRANDI ASSOCIAZIONI A DELINQUERE FINALIZZATE ALLA CORRUZIONE. Con il termine “azioni dissimulate” intendiamo interventi di funzionari di pubblica sicurezza sotto mentite spoglie per combattere la corruzione diffusa, verificando l’onestà e la correttezza dei comportamenti dei responsabili della pubblica amministrazione, dai livelli più bassi fino a quelli più alti. Per quanto riguarda invece le grandi associazioni a delinquere con finalità di corruzione, come quelle degli scandali dell’Expò e del Mose, emerge un intreccio di carattere nazionale che può essere combattuto, non dalla evanescente Autorità anti-corruzione di Raffaele Cantone, ma da un’unica Direzione nazionale investigativa come la Dna, anche in considerazione dei sempre più frequenti collegamenti tra criminalità organizzata e corruzione politica, economica e burocratica.

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In questi anni abbiamo assistito ad una lotta sempre più impari tra criminalità organizzata e forze dell’ordine. A fronte del dilagare su tutto il territorio nazionale delle diverse forme di mafia, il comparto sicurezza e la magistratura hanno avuto sempre meno risorse in termini di mezzi e personale. NON SI PUÒ TAGLIARE SUL COMPARTO SICUREZZA: OGNI EURO CHE SI PENSA DI RISPARMIARE VIENE MOLTIPLICATO PER CENTO IN TERMINI DI DANNI CHE LA COLLETTIVITÀ SUBISCE PER COLPA DEL DILAGARE DEL CRIMINE.

Per combattere il degrado urbano è necessario approvare un pacchetto di leggi che introducano sanzioni penali rispetto a comportamenti che rappresentano autentiche emergenze sociali. Sappiamo di scandalizzare buonismi di sinistra ma BISOGNA FAR DIVENTARE REATI NON SOLO L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA, MA ANCHE LA PROSTITUZIONE IN STRADA, L’ACCAMPAMENTO ABUSIVO, L’ABUSIVISMO COMMERCIALE E IL VAGABONDAGGIO MOLESTO. Solo in questo modo le polizie locali e le forze dell’ordine statali potranno combattere per la sicurezza e il decoro delle nostre città senza essere travolti dalla marea montante del degrado urbano e della micro-criminalità.

INFINE BISOGNA GARANTIRE IL DIRITTO ALLA LEGITTIMA DIFESA DEI CITTADINI. In una società dove sono sempre più frequenti le aggressioni, gli atti predatori e la violenza più efferata, non si può continuare a criminalizzare le persone che sono costrette a difendersi da sole e le forze dell’ordine che reagiscono ai delinquenti. Chi viene aggredito a casa propria ha il diritto-dovere di reagire senza essere incriminato per “eccesso di legittima difesa”.

TERZO: L’IMPRESA COME COMUNITÀ CHE CREA LAVORO, QUA LITÀ E INNOVAZIONE.

Uno dei peggiori veleni che la vecchia ideologia comunista ha trasferito nella cultura dominante è il sospetto con cui viene guardata l’impresa, che viene confusa con il capitalismo finanziario.

Per uscire dalla crisi, soprattutto in un’economia come quella italiana, è necessario credere realmente nel valore dell’imprenditoria. Rovesciando una retorica “politicamente corretta” sancita perfino nella Costituzione, BISOGNA AVERE IL CORAGGIO DI DIRE CHE L’IMPRESA È IMPORTANTE ALMENO QUANTO IL LAVORO E CHE QUESTI DUE ELEMENTI DELL’ECONOMIA REALE DEVONO ESSERE ALLEATI CONTRO L’ECONOMIA SPECULATIVA E FINANZIARIA.

L’impresa crea il lavoro, permette gli investimenti produttivi, produce innovazione e ricchezza, è una comunità che nasce sull’avventura dell’intrapresa e per questo è più importante delle singole figure degli imprenditori, dei manager e dei lavoratori. Come in ogni comunità che rispetta il valore delle persone, nelle aziende si deve combattere contro ogni forma di sfruttamento, ma creando uno spirito di partecipazione e di impegno per far

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crescere il valore dell’intrapresa comune. LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI ALLA GESTIONE DELL’IMPRESA PERMETTE DI SUPERARE SIA LA CONFLITTUALITÀ PERMANENTE CHE LO SFRUTTAMENTO DEL LAVORO.

COME LA FAMIGLIA È LA CELLULA VITALE DEL TESSUTO SOCIALE, L’IMPRESA È LA CELLULA VITALE DEL TESSUTO ECONOMICO, per questo deve essere difesa da ogni forma di oppressione e da ogni attacco demagogico.

12. LIBERARE LE IMPRESE DALL’OPPRESSIONE GIUDIZIARI A E BUROCRATICA.

LA LENTEZZA E L’INCERTEZZA DELLA GIUSTIZIA CIVILE, AMMINISTRATIVA, CONTABILE E PENALE È SENZA DUBBIO UNO DEI MAGGIORI OSTACOLI PER LA CRESCITA DELLE IMPRESE E DEGLI INVESTIMENTI, SIA NAZIONALI CHE ESTERI.

Una proposta immediata e a costo zero per ridurre i tempi di conclusione dei processi civili, potrebbe essere quella di applicare, laddove possibile, gli istituti della procedura processuale del lavoro alla giustizia civile. Un’altra riforma realizzabile senza difficoltà è quella di fissare in modo perentorio un termine breve (da tre a sei mesi massimo) ai giudici di pace per emettere una sentenza, ampliandone contemporaneamente anche la competenza.

CON LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA PENALE BISOGNA REALIZZARE UNO SCAMBIO CHIARO: GARANTIRE AGLI INQUIRENTI TUTTI I PIÙ EFFICACI STRUMENTI PER CONDURRE LE INCHIESTE, OTTENENDO IN CAMBIO LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI E LA TUTELA DELLA PRIVACY DEI CITTADINI.

Per rompere l’oppressione burocratica è necessario ottenere una vera semplificazione amministrativa, con il rilascio immediato delle autorizzazioni ad ogni forma di attività e introducendo i controlli ex-post.

IL CITTADINO, LA FAMIGLIA E L’IMPRESA NON DEVONO PIÙ MENDICARE PERMESSI E AUTORIZZAZIONI MA, NELL’AMBITO DI POCHE REGOLE GENERALI, DEVONO POTER OPERARE CON AUTOCERTIFICAZIONI E SOTTO LA PROPRIA RESPONSABILITÀ. PER OGNI PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO BUROCRATICO CI DEVE ESSERE UN RESPONSABILE UNICO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE CHE DEVE DIVENTARE IL PARTNER E IL TUTOR DEL CITTADINO.

13. TASSARE LE IMPRESE SOLO IN BASE AGLI UTILI EFFE TTIVAMENTE CONSEGUITI E NON REINVESTITI, CON UN’ALIQUOTA MASSI MA DEL 30%.

In Italia nel 2013 il cuneo fiscale ammontava a 296,4 miliardi di euro, di cui 280,67 riconducibili all'Irpef, alle addizionali e ai contributi previdenziali, mentre gli altri 15,77 miliardi erano ascrivibili all'Irap. Su questa montagna si sono esercitati i due piccoli

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interventi del Governo Renzi: 9,5 miliardi di taglio sull’Irpef per i famosi 80 euro mensili e altri 4,5 miliardi con la riduzione della componente lavoro dell’Irap prevista nella Legge di Stabilità 2015.

IL VERO OBIETTIVO DEVE ESSERE QUELLO DI APPLICARE LA TASSAZIONE SOLO AGLI UTILI EFFETTIVAMENTE CONSEGUITI E PER UN’ALIQUOTA MASSIMA DEL 30%, PERCHÉ NON È ACCETTABILE CHE LE IMPRESE PAGHINO TASSE ANCHE QUANDO SONO SENZA PROFITTI. Questa ingiustizia genera il blocco degli investimenti, il taglio dei posti di lavoro e la chiusura delle imprese, con un risultato negativo per il gettito fiscale.

UN’ALTRA IMPORTANTE CONDIZIONE PER STIMOLARE LA CRESCITA È NON TASSARE GLI UTILI REINVESTITI, MA SOLO QUELLI DISTRIBUITI COME DIVIDENDI AGLI AZIONISTI. Con l’attuale tassazione, infatti, diviene più conveniente indebitarsi, considerato che gli oneri finanziari sono deducibili dal reddito, mentre i dividendi distribuiti, assimilabili al costo del capitale sociale, non sono deducibili e vengono tassati.

In questo quadro, per reperire le risorse necessarie a queste detassazioni, BISOGNA RIVEDERE IL SISTEMA DEGLI AIUTI DI STATO ALLE IMPRESE, tagliando quelle provvidenze che non hanno più una funzione di volano economico, ma sono solo rendite di posizione di settori assistiti.

14. RIDURRE LA TASSAZIONE SUGLI IMMOBILI PER GARANT IRE IL DIRITTO ALLA CASA E RILANCIARE L’EDILIZIA.

Gli immobili sono sempre stati il bene rifugio in cui le famiglie italiane hanno investito, anche in chiave di solidarietà generazionale, e uno dei principali fattori di patrimonializzazione delle imprese.

INSISTERE CON LA TASSAZIONE DEGLI IMMOBILI SIGNIFICA IMPEDIRE IL RILANCIO DELL’EDILIZIA, che in Italia è uno dei principali settori trainanti dell’economia e impoverire le famiglie e le imprese costringendole a svendere in un momento di crisi.

Peraltro, l’aumento vertiginoso della tassazione sugli immobili avviene dopo che per decenni in Italia è stata attuata una politica a favore dell’acquisto della casa, che ha portato l’80% degli italiani a diventare proprietari della propria abitazione.

"Un tempo l'acquisto di una abitazione o di un altro tipo di immobile –ha osservato il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi– costituiva un investimento. Ora, chi possiede una casa o un capannone sta vivendo un incubo. Tra l'Imu, la Tasi al 2 per mille e la Tari nel 2014 gli italiani pagheranno circa 32,5 mld di euro. Questo importo incide sul prelievo totale per il 60%. Tenendo conto di tutto il sistema fiscale che grava sul mattone, nel 2014 i proprietari di immobili dovrebbero pagare 4,6 miliardi in più rispetto al 2013”.

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PER QUESTI MOTIVI È NECESSARIO DARE UN IMMEDIATO SEGNALE DI RIDUZIONE DELLA TASSAZIONE SUGLI IMMOBILI, COMINCIANDO A SMONTARE IL MECCANISMO INFERNALE DELLA TASI.

15. CREARE UN REGIME FISCALE FORFETTARIO PER CASSA PER I TITOLARI DI PARTITA IVA.

Per il “Popolo delle partite Iva” vogliamo realizzare un regime contabile e fiscale così semplice da essere gestito direttamente dall’Agenzia delle Entrate insieme al contribuente, utilizzabile da chiunque fatturi meno di € 250.000 all’anno, ossia oltre il 90% delle partite Iva.

PROPONIAMO UN’ UNICA IMPOSTA PER I TITOLARI DI PARTITA IVA, CHE SOSTITUISCA TUTTI I PAGAMENTI(TRANNE IVA E CONTRIBUTI PREVIDENZIALI), COMPRESA TRA IL 5% ED IL 15% DEL FATTURATO, EVENTUALMENTE PROGRESSIVA ALL’INTERNO DI QUESTA FORCHETTA. L’imposta si calcola sul bilancio redatto per cassa, quindi senza rimanenze e senza ammortamenti, quindi si paga solo quando c’è l’incasso, invece che sui crediti, sulle rimanenze finali e sulle spese non ammortizzate. Se si accoppia questo sistema alla fatturazione elettronica, il contribuente e il fisco conoscono mese per mese quel che deve essere pagato. Non solo, il contribuente, impresa o professionista che sia, può onorare il debito perché ha già incassato la liquidità.

Ciò consentirebbe anche di semplificare di molto la tenuta della contabilità, con evidenti stimoli alla creazione di attività professionale.

UNA SIMILE CONDIZIONE POTREBBE ESSERE RICONOSCIUTA ANCHE AI TITOLARI DI DITTE INDIVIDUALI, APPLICANDO UNA ALIQUOTA, MAGARI DEL 20%, SUL FATTURATO A TITOLO DEFINITIVO DI IMPOSTA, SEMPLIFICANDO LA CONTABILITÀ.

16. COSTRUIRE UNA “RETE DI PROTEZIONE” PER LE PICCO LE E MEDIE IMPRESE.

Le piccole e medie imprese sono esposte ad una serie di meccanismi infernali che mettono a rischio la loro sopravvivenza nei momenti di difficoltà e ne limitano lo sviluppo nei periodi favorevoli. Per questo bisogna stendere una “rete di protezione” che salvi le troppe PMI che rischiano di scomparire pur essendo ancora competitive sul mercato.

ALLE IMPRESE CHE NON RICEVONO I PAGAMENTI DA PARTE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NON DEVE ESSERE EFFETTUATA NESSUNA SEGNALAZIONE NELLA CENTRALE RISCHI (CRIF), CHE IMPEDISCE DI RICEVERE FINANZIAMENTI DA PARTE DEL SISTEMA BANCARIO, DEVE ESSERE CONSENTITA UN’ EFFETTIVA COMPENSAZIONE CON LE TASSE E GLI ALTRI TRIBUTI E LA SOSPENSIONE DEGLI OBBLIGHI RELATIVI ALLA DICHIARAZIONE UNICA DI IDONEITÀ CONTRIBUTIVA (DURC).

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PIÙ IN GENERALE, A TUTTE LE IMPRESE IN DIFFICOLTÀ, DEVE ESSERE CONCESSA LA POSSIBILITÀ DI SOSPENDERE IL PAGAMENTO DELLA QUOTA CAPITALE DELLE RATE DEI MUTUI, CONTINUANDO A VERSARE LA SOLA QUOTA INTERESSI, ALLUNGANDO COSÌ LA DURATA DEI FINANZIAMENTI.

Inoltre, per facilitare l’accesso al credito da parte di piccole e medie imprese, è necessario PERMETTERE ALLE BANCHE DI DEDURRE LE SOFFERENZE DA SVALUTAZIONE integralmente nel medesimo anno in cui avviene la svalutazione.

PER RIDURRE LA DIPENDENZA DELLE IMPRESE DAL SISTEMA BANCARIO, È SEMPRE PIÙ NECESSARIA LA TRANSIZIONE VERSO UN SISTEMA BASATO SUL PRINCIPIO “MENO BANCA, PIÙ MERCATO”. Continuando l’opera di recenti provvedimenti normativi (i cosiddetti “Decreti Sviluppo” D.L. 22 giugno 2012 n. 83 e D.L. 18 ottobre 2012 n.179), si deve potenziare l’infrastruttura normativa, regolamentare e societaria, utile ad allargare l’accesso al mercato dei capitali a un insieme molto più ampio di imprese, in particolare alle medie imprese tipiche del tessuto economico italiano. Questa strategia permetterà di intercettare capitali di fondi sovrani ed istituzionali di moltissimi paesi, che cercano impieghi più interessanti dei titoli governativi.

UN OBIETTIVO FONDAMENTALE È QUELLO DI RAFFORZARE IL FONDO PUBBLICO DI GARANZIA PER LE PMI, FINO AD OGGI SOTTODIMENSIONATO RISPETTO ALLE NECESSITÀ, IN MODO DA AUMENTARE L’ACCESSO AL CREDITO DELLE IMPRESE SOTTOCAPITALIZZATE. Il fondo di garanzia è uno strumento molto efficace e modulabile rispetto alle esigenze di contenimento della spesa pubblica, perché può arrivare a rappresentare, in termini di valore, solo un decimo dell’esposizione bancaria e costituisce un’uscita solo nel caso di default dell’impresa garantita.

Un altro modo per favorire la creazione di nuove imprese e salvare quelle in crisi, è quello di consentire L’UTILIZZO DELLE RISORSE DELLA CASSA INTEGRAZIONE (O DI ALTRE FORME DI SOSTEGNO PER LA DISOCCUPAZIONE) IN MODO “ATTIVO”, AD ESEMPIO PER LANCIARE UNA NUOVA ATTIVITÀ ECONOMICA OPPURE PER ACQUISTARE, INSIEME AD ALTRI LAVORATORI, IL CAPITALE DELLA PROPRIA AZIENDA IN CRISI.

Infine per le imprese con volumi fino a 3 milioni di euro e segnatamente per quelle in difficoltà economiche, SI DEVE INTRODURRE IL CONCORDATO FISCALE PREVENTIVO, ovvero la possibilità per un imprenditore di concordare preventivamente con la locale Agenzia delle Entrate quanto dovrà versare di imposte, sia dirette che indirette, nel successivo triennio. Questa possibilità ha un doppio vantaggio: per l’Erario la possibilità di programmare in modo certo le nuove entrate, per l’imprenditore la possibilità di sottrarsi alla burocrazia e al terrorismo fiscale.

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17. PROMUOVERE UNA POLITICA INDUSTRIALE PER FILIERE /RETI/DISTRETTI E PER LO SVILUPPODEL MEZZOGIORNO.

PER LANCIARE UNA NUOVA POLITICA INDUSTRIALE IN ITALIA, CONTRASTANDO TUTTI I FENOMENI DI DEINDUSTRIALIZZAZIONE, OCCORRE FAVORIRE LO SVILUPPO DI FILIERE/RETI/DISTRETTI NEI DIVERSI SETTORI PRODUTTIVI DEL MADE IN ITALY, promuovendo una stretta collaborazione tra università e impresa per sviluppare la ricerca e l’innovazione, una gestione integrata dei siti produttivi e lo sviluppo di attività comuni di commercializzazione e di internazionalizzazione.

BISOGNA PERMETTERE LA CREAZIONE DI “ZONE FRANCHE” (COME GIÀ FATTO IN IRLANDA), IN CUI ALLE IMPRESE SIANO RICONOSCIUTE FACILITAZIONI FISCALI E AMMINISTRATIVE PER ATTIRARE INVESTIMENTI ESTERI, SOPRATTUTTO NEI TERRITORI A MINORE VOCAZIONE INDUSTRIALE E A PIÙ ALTO TASSO DI DEPRESSIONE ECONOMICA, con l’obiettivo di creare un indotto per lo sviluppo di tutto il territorio. Trattandosi di nuovi investimenti si riducono le necessità di copertura finanziaria.

PER FAR RIPARTIRE UN SISTEMA PRODUTTIVO COME QUELLO ITALIANO NON BASTA RIDURRE LE TASSE ALLE IMPRESE MA È NECESSARIO FAVORIRE FORTI INVESTIMENTI PUBBLICI. CONDIZIONE INDISPENSABILE È ALLENTARE I VINCOLI DEL PATTO DI STABILITÀ EUROPEO, CHE IMPEDISCONO ALLO STATO E AGLI ENTI LOCALI PERSINO DI INVESTIRE IN INFRASTRUTTURE ESSENZIALI PER GARANTIRE LA SICUREZZA DEI CITTADINI.

Il tema del Mezzogiorno è scomparso dall’agenda politica di governo, da Monti a Letta fino a Renzi, mentre TUTTI GLI INDICI MACROECONOMICI CI SEGNALANO CHE IL DIVARIO TRA IL NORD E IL SUD STA VERTIGINOSAMENTE AUMENTANDO.

Il mancato utilizzo dei fondi strutturali europei (impiegati solo per il 46,7% fino al 2013) ci sottolinea la necessità di costituire il più presto possibile l’ “AGENZIA NAZIONALE PER LA COESIONE” prevista dalla legge per coordinare ed incentivare l’utilizzo delle risorse europee e di rilanciare l’idea di una “BANCA PER IL SUD” per trovare nuove risorse per i cofinanziamenti, lo start-up di imprese e gli investimenti in opere pubbliche.

FARE IMPRESA NEL MEZZOGIORNO È PIÙ DIFFICILE CHE NEL RESTO D’ITALIA, PER QUESTO È NECESSARIO INTRODURRE UNA FISCALITÀ DI VANTAGGIO PER LE REGIONI MERIDIONALI, superando le assurde resistenze di Bruxelles rispetto all’introduzione di una fiscalità differenziata all’interno di uno Stato membro.

IL RITORNO DELL’ITALIA ALLA CRESCITA PASSA INEVITABILMENTE PER IL MEZZOGIORNO CHE HA BISOGNO DI UN RINNOVATO INTERVENTO DELLO STATO PER REALIZZARE UN PROPRIO MODELLO DI SVILUPPO NON SUBALTERNO AI POTERI ECONOMICI DEL NORD E LIBERO DAI CONDIZIONAMENTI DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA.

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18. LIBERARE DAL TERRORISMO FISCALE I CONSUMI E IL COMMERCIO, CON L’ABOLIZIONE DEL REDDITOMETRO E DEL LIMITE PER LE T RANSAZIONI IN CONTANTI, CREANDO IL “CONTRASTO DI INTERESSI” PER F AR EMERGERE IL SOMMERSO E DIFENDENDO I PICCOLI E MEDI NEGOZI DA LLA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA.

Dopo gli anni del terrorismo fiscale che hanno bloccato i consumi e fatto fuggire dall’Italia gli operatori più finanziariamente dotati, bisogna comprendere che con questi sistemi il gettito fiscale diminuisce, invece di aumentare.

BISOGNA ABOLIRE IL LIMITE PER LE TRANSAZIONI IN CONTANTI CHE HANNO PARALIZZATO I CONSUMI, O PER LO MENO PORTARE QUESTO LIMITE NELLA MEDIA EUROPEA DI CIRCA 2.500 EURO.

STESSO DISCORSO VALE PER IL REDDITOMETRO CHE DEVE ESSERE ABOLITO PER EVITARE CHE LE PERSONE RIDUCANO I LORO CONSUMI, ALMENO QUELLI DICHIARATI,PER NON ESPORSI ALL’ATTENZIONE DEL FISCO.

La lotta all’evasione fiscale va condotta con controlli mirati, senza clamorosi “blitz” nelle località turistiche emergenti, e introducendo meccanismi automatici che spingano a fare emergere il sommerso.

PER QUESTO VOGLIAMO INTRODURRE IL “CONTRASTO DI INTERESSI” CON IL MECCANISMO DELLO “SCARICA-TUTTO”, PERMETTENDO AI CONTRIBUENTI DI SCARICARE SCONTRINI E RICEVUTE FISCALI DALLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI.

PER DIFENDERE LA QUALITÀ DEI CONSUMI E I LIVELLI OCCUPAZIONALI, DOBBIAMO PROTEGGERE IL TESSUTO DEI PICCOLI E MEDI NEGOZI DALL’INVADENZA DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA. Ogni nuovo posto di lavoro creato nei centri commerciali comporta la perdita di sette occupati nei piccoli e medi negozi. Per questo è necessario porre un limite all’apertura di questi centri nelle città e ripristinare le chiusure settimanali e le chiusure festive a rotazione, perché la totale deregolamentazione degli orari è uno svantaggio competitivo insuperabile per i piccoli esercizi.

19. CHIUDERE EQUITALIA E PROMUOVERE UNA “SANATORIA DEGLI ONESTI” PER CONSENTIRE UNA RISCOSSIONE PIÙ UMANA DEI DEBITI DA PARTE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.

“Con la legge 223/66 – ha dichiarato il Presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara – a Equitalia sono stati dati poteri enormi incompatibili con una democrazia degna di questo nome. Questa agenzia può accedere a tutte le informazioni economiche sensibili di un cittadino o di un’azienda. Pur essendo Equitalia una società di diritto privato, una S.p.A.per l’esattezza, i suoi dirigenti e funzionari esercitano un potere che somma quello della Magistratura e quello della Guardia di Finanza messi assieme.”

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ANCHE SE IN TEORIA IL POTERE INVASIVO DELLE “GANASCE FISCALI” È STATO RECENTEMENTE RIDIMENSIONATO, EQUITALIA DEVE ESSERE CHIUSA PER PERMETTERE UNA RISCOSSIONE MENO NEMICA DEL CITTADINO. Come avevamo già deciso per Roma Capitale, dobbiamo riportare le pratiche di riscossione dei crediti all’interno dellenormali strutture amministrative pubbliche.

È NECESSARIO INOLTRE PROMUOVERE UNA “SANATORIA DEGLI ONESTI”, RISERVATA A TUTTI COLORO CHE HANNO DEBITI NEI CONFRONTI DELLO STATO NON DERIVANTI DA COMPORTAMENTI FRAUDOLENTI. Chi ha fatto una giusta dichiarazione dei redditi ma non è stato in grado di pagare il dovuto, chi non ha versato imposte e tariffe, chi ha subito multe dal codice della strada, deve poter accedere ad una rateizzazione lunga senza pagare soprattasse, sanzioni e interessi superiori al tasso di sconto. È evidente che, per non ricadere negli antichi mali dei condoni fiscali, è necessario escludere da questa sanatoria tutti coloro che devono pagare debiti conseguenti ad accertamenti, ispezioni e controlli.

20. COMBATTERE L’USURA E L’ANATOCISMO CHE SI NASCON DONO NEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO.

TUTTI GLI ITALIANI SONO CONSAPEVOLI CHE IL NOSTRO SISTEMA CREDITIZIO FUNZIONA MALE PER LE IMPRESE E PER LE FAMIGLIE, TUTELANDO L’INTERESSE DEI PIÙ FORTI A DANNO DEI PIÙ DEBOLI.

L'USURA BANCARIA (intesa come l'applicazione di interessi ed oneri eccedenti le soglie di usura stabilite dalla legge 108/1996) RAPPRESENTA UN FENOMENO MOLTO DIFFUSO CON FORTISSIME RIPERCUSSIONI SUL TESSUTO ECONOMICO E PRODUTTIVO ITALIANO. L'elevato costo del denaro in Italia ha prosciugato progressivamente le risorse delle imprese che devono destinare gran parte del proprio margine operativo alla copertura degli oneri finanziari. Gli istituti di credito si sono progressivamente trasformati da partner nella crescita dell'impresa in cappio dal quale l'imprenditore non riesce a liberarsi.

La Banca d'Italia, alla quale la legge 108/96 delega il compito di rilevare i tassi soglia, ha deliberatamente e colpevolmente creato un algoritmo privo di qualsiasi fondamento matematico finanziario finalizzato esclusivamente “all'aggiramento della norma penale” (sentenza Corte di Cassazione n. 46669/11).

Si assiste al paradossale fenomeno per cui chi deve essere controllato (le banche) detta i parametri del controllo. In questi 17 anni il risultato è stato devastante:nel 1997, anno di entrata in vigore della legge sull'usura, il tasso soglia per uno scoperto di conto corrente era pari al 19,785% (circa tre volte il tasso ufficiale di sconto 6,75% e otto volte l'inflazione registrata), oggi lo stesso tasso soglia è pari al 16,60% (110 volte il tasso ufficiale di sconto e 28 volte l'inflazione registrata).

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L'IMPUNITÀ DI CUI HANNO GODUTO LE BANCHE HA GENERATO ALTRI PARADOSSI GIURISPRUDENZIALI PRIMO FRA TUTTI L'ANATOCISMO. Con la sentenza n. 2373/98-99 è stato stabilito un concetto che appare evidente: la banca non può calcolare gli interessi a debito per il correntista ogni tre mesi (calcolando quindi ulteriori interessi in ogni periodo successivo) e liquidare altresì gli interessi a credito ogni anno. Di fronte a questa sentenza gli istituti di credito si sono guardati bene dal restituire tale indebito guadagno, limitandosi ad adeguare la periodicità delle liquidazioni. Moltissime aziende pagano ancora oggi gli interessi sulle somme che erano state illegittimamente addebitate dalle banche.

ANCORA OGGI RISULTA LUNGO E COSTOSO IL PROCEDIMENTO GIUDIZIALE FINALIZZATO ALLA RESTITUZIONE AL CORRENTISTA DEGLI INDEBITI INTERESSI, MENTRE È NECESSARIO CREARE UNA PROCEDURA SNELLA E VELOCE, CHE GIUNGA A SENTENZA ENTRO UN MASSIMO DI SEI MESI.

INFINE,LE BANCHE DEVONO ESSERE SOTTOPOSTE AD UNA MAGGIORE TASSAZIONE QUANDO UTILIZZANO IL DENARO EROGATO DALLA BCE (A TASSO AGEVOLATO) NON PER CONCEDERE PRESTITI ALLE FAMIGLIE E ALLE IMPRESE, MA PER INVESTIRE NEI PIÙ RENUMERATIVI TITOLI DI STATO.

21. CREARE UN NUOVO “STATUTO DEI LAVORI” CHE INCENT IVI LA PARTECIPAZIONE E DISTRIBUISCA LE TUTELE TRA TUTTE L E CATEGORIE DI LAVORATORI .

PER UNIFICARE I DIVERSI MERCATI DEL LAVORO E PER OFFRIRE FORME DI TUTELA SOSTENIBILI PER TUTTA LA PLATEA DEI LAVORATORI AUTONOMI E DIPENDENTI, BISOGNA SCRIVERE UN NUOVO “STATUTO DEI LAVORI” CHE SOSTITUISCA QUELLO EMANATO NEL 1970.

NESSUN DIPENDENTE A TEMPO INDETERMINATO, SIA NELLE GRANDI IMPRESE CHE NEL PUBBLICO IMPIEGO, PUO’ CUMULARE DIRITTI E GARANZIE A DANNO DEGLI ALTRI LAVORATORI. OCCORRE TROVARE FORME DI RICOLLOCAZIONE DEGLI ESUBERI AL FINE DI NON GRAVARE IN ETERNO SUL BILANCIO DELLO STATO.

È poi necessario rivedere l’istituto della cassa Integrazione in deroga, trasformando il solo sostegno al reddito in uno strumento per incentivare la ricerca di altra occupazione.

L’EROGAZIONE DELLA CASSA INTEGRAZIONE IN DEROGA DEVE ESSERE CONDIZIONATA ALLA PARTECIPAZIONE A PERCORSI FORMATIVI E/O ALL’INIZIO DI UNA NUOVA ATTIVITÀ LAVORATIVA. IN QUESTO SECONDO CASO SI POTREBBE ANCHE PREVEDERE L’EROGAZIONE ANTICIPATA IN UN’UNICA SOLUZIONE DI UNA PARTE DELL’INDENNITÀ PREVISTA.

Il cassintegrato nel periodo di CIG a zero ore potrebbe essere egualmente utilizzato dall’impresa, o in lavori di pubblica utilità.

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OCCORRE TROVARE UNA FORMA DI TUTELA ANCHE PER I LAVORATORI AUTONOMI, PER I PRECARI E PER I LAVORATORI IN NERO DI LUNGA DURATA. L’INPS deve costituire – utilizzando i cosiddetti “fondi silenti” creati dai contributi versati che non hanno generato un’erogazione pensionistica – un fondo dedicato al sostegno di queste categorie di lavoratori in caso di completa disoccupazione, di malattia e di maternità.

Infine nel nuovo Statuto dei Lavori devono essere previste FORME DI INCENTIVAZIONE NORMATIVE E FISCALI PER TUTTE LE IMPRESE CHE CONSENTANO LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI. Avere rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di amministrazione o in quello di sorveglianza, e/o nel collegio dei revisori, permette di superare alcune rigidità del diritto del lavoro, di creare “contratti di solidarietà” e contratti integrativi con forme di partecipazione agli utili, evitando che queste previsioni rappresentino forme nascoste di sfruttamento dei dipendenti.

22. FAVORIRE GLI INVESTIMENTI PRIVATI NEL PATRIMONI O ARTISTICO E CULTURALE, CREANDO UN MERCATO DELLE OPERE D’ARTE E DEI BENI ARCHEOLOGICI DI LIMITATO VALORE.

Dobbiamo lanciare una grande sfida alla sinistra dei divieti e alle sovrintendenze dei vincoli e della burocrazia, per attrarre veramente investimenti privati – nazionali e internazionali – sul nostro enorme patrimonio culturale. NON BASTA CREARE INCENTIVI FISCALI SU QUESTI INVESTIMENTI, DOBBIAMO APPLICARE RIGOROSAMENTE IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ ALLA TUTELA E ALLA VALORIZZAZIONE DEI BENI ARTISTICI, ARCHEOLOGICI E CULTURALI. Bisogna affidare ai privati, per un numero significativo di anni, monumenti, musei o siti culturali attualmente non tutelati o protetti, perché vengano valorizzati e messi a reddito sotto la vigilanza del Ministero dei Beni Culturali.

Poiché è impensabile che lo Stato riesca a tutelare e utilizzare tutto il patrimonio archeologico proveniente dagli scavi, dobbiamo suddividere questo patrimonio in due categorie: quello di preminente interesse che deve rimanere di proprietà demaniale e quello di importanza secondaria che deve essere liberamente alienabile, sia da parte dello Stato che da parte di privati che ne sono già in possesso.

QUESTO FAREBBE DIVENTARE L’ ITALIA UN NUOVO MERCATO DI OPERE D’ARTE E DI BENI ARCHEOLOGICI MINORI, CHE POTREBBE PRODURRE INGENTI RISORSE DA UTILIZZARE PER IL RESTAURO E LA MANUTENZIONE DEI SITI PIÙ SIGNIFICATIVI.

Analogo discorso può essere fatto per i prestiti e gli affitti delle nostre opere d’arte, permettendo la creazione di esposizioni temporanee o permanenti in tutto il mondo. In un’Italia che fa crollare Pompei e che non permette neanche il trasferimento dei Bronzi di Riace da Reggio Calabria all’Expò di Milano, bisogna avere più coraggio e spirito futurista,

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non per dilapidare il nostro patrimonio storico e culturale, ma per trovare nuove risorse per conservarlo, valorizzarlo e consegnarlo alle nuove generazioni.

23. VALORIZZARE IL TERRITORIO, L’AMBIENTE, IL PAESA GGIO, IL TURISMO E L’AGROALIMENTARE DI QUALITÀ, TROVANDO UN NUOVO EQUI LIBRIO TRA VINCOLI ED INVESTIMENTI.

L’AMBIENTALISMO IDEOLOGICO È UN’ALTRA VERSIONE DEL “POLITICAMENTE CORRETTO” DA CUI BISOGNA LIBERARSI DEFINITIVAMENTE. Le devastazioni ambientali dei decenni passati non sono una giustificazione per coprire l’Italia di vincoli e di divieti, che non tutelano il territorio ma finiscono solo per moltiplicare gli abusi e le speculazioni. La sindrome “NINBY” (Not In My Back Yard – non nel mio cortile) ha impedito o ritardato la costruzione di infrastrutture fondamentali per il nostro Paese.

Proprio l’esperienza dell’agroalimentare di qualità, che ha modellato il paesaggio italiano grazie all’attività produttiva di intere generazioni, dimostra che si può e si deve trovare un punto di equilibrio tra tutela e utilizzo delle risorse naturali.

Nella gestione dei parchi e delle riserve, nella pianificazione urbanistica, territoriale e paesaggistica, nel riconoscimento del carattere tradizionale delle attività venatorie, fino alla valorizzazione turistica del patrimonio ambientale, bisogna dare spazio ad attività produttive sostenibili, creative e ispirate da forti valori culturali, così come è storicamente caratteristico della nostra identità nazionale.

AL CONTRARIO, L’IMMOBILISMO, LA PAURA DI INTERVENIRE, LA BUROCRAZIA DEI VINCOLI, NON TUTELANO NULLA MA CREANO SOLTANTO LE PREMESSE PER L’ABBANDONO E IL DEGRADO. Il territorio, insieme al patrimonio culturale è la principale ricchezza dell’Italia, non va distrutto ma non va neanche mantenuto improduttivo sotto un cumulo di vincoli e di divieti. Questo vale anche per le fonti convenzionali di approvvigionamento energetico, dove per troppe volte, per assurdi pregiudizi pseudo-ambientalisti, si è rinunciato ad un pieno sfruttamento in grado di rendere meno pesante la nostra bolletta energetica.

L’INCURIA SUL DISSESTO IDROGEOLOGICO E LA MANCANZA DI CONTROLLI SULLE DIVERSE FORME DI INQUINAMENTO, DIMOSTRANO CHE BISOGNA INCENTIVARE LA PRESENZA DI ATTIVITÀ SUL TERRITORIO E MOLTIPLICARE LA VIGILANZA, ANCHE MANTENENDO IN FUNZIONE UN CORPO DI POLIZIA SPECIALIZZATO COME LA FORESTALE.

Infine il nostro impegno per la tutela dell’ambiente deve avere due facce: NEL CONTROLLO DELLE EMISSIONI E NELLA LOTTA ALL’INQUINAMENTO BISOGNA ESSERE RIGOROSI SUL NOSTRO TERRITORIO NAZIONALE, MA NEL CONTEMPO INFLESSIBILI NEL SANZIONARE CON TARIFFE E DAZI I PAESI CHE PRODUCONO SENZA RISPETTARE LE REGOLE AMBIENTALI. Non possiamo continuare ad infliggerci

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regole ambientali durissime,mentre subiamo passivamente l’aggressione competitiva dei paesi che queste regole non le rispettano per niente.

QUARTO: LA CRESCITA SOCIALE ED ECONOMICA PARTE DALL E FAMIGLIE E DALLA NATALITÀ.

I dati CENSIS riferiti al 2012, ci collocano al penultimo posto come tasso di natalità in Europa: 8,5 bebè ogni 1000 abitanti. Peggio di noi solo i tedeschi con 8,4. Il rapporto del CENSIS segnala come primaria causa della scarsa natalità le difficili condizioni economiche e rivela che il 61% degli italiani pensa che un aiuto pubblico potrebbe aiutare le coppie nel decidere di avere un figlio. Al Sud va ancora peggio: la fecondità femminile è crollata a 1,35 figli per ogni donna contro gli 1,43 del Centro-Nord.

LA CRISI DEMOGRAFICA È LA PRIMA CAUSA DEL DECLINO E DELLA CRISI ECONOMICA. UN POPOLO CHE NON FA FIGLI NON HA SPERANZA DI FUTURO, NON È IN GRADO DI SOSTENERE IL PROPRIO SISTEMA PREVIDENZIALE, NON È SPINTO AD INVESTIRE E A LAVORARE DI PIÙ.

Questa è un’ulteriore dimostrazione che la crisi affonda le sue radici in cause extra-economiche, come l’individualismo e la mancanza di solidarietà generazionale.

MA L’UNICA PREOCCUPAZIONE DEL POLITICAMENTE CORRETTO È QUELLA DI DARE UN RICONOSCIMENTO PUBBLICO E GIURIDICO ALLE COPPIE OMOSESSUALI, DIMENTICANDO CHE ANCHE LA COSTITUZIONE TUTELA LA FAMIGLIA FORMATA DA UN UOMO E UNA DONNA PROPRIO PER LA SUA CAPACITÀ DI PROCREARE E DI EDUCARE LE NUOVE GENERAZIONI DEL POPOLO ITALIANO.

La situazione è talmente grave che anche il Governo Renzi ha dovuto finanziare un “bonus bebè”, nonostante le pesantissime critiche della sinistra quando queste misure venivano adottate dagli esecutivi di centrodestra. In ogni caso queste sono misure troppo estemporanee e superficiali per far invertire il trend delle nascite: l’intervento deve esseremolto più radicale e strutturale.

LA SOSTENIBILITÀ FINANZIARIA DEL NOSTRO STATO SOCIALE SI REALIZZA DIFENDENDO LA SPESA SOCIALE (che a differenza della spesa pubblica nel suo complesso è, in percentuale del PIL, inferiore alla media europea), TAGLIANDO GLI SPRECHI DELLA SANITÀ E MIGLIORANDO LA QUALITÀ DELL’ ASSISTENZA GRAZIE AL PROTAGONISMO DEL TERZO SETTORE.

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24. INTRODURRE IL QUOZIENTE FAMILIARE E IL REDDITO MINIMO FAMILIARE PER SOSTENERE LE FAMIGLIE E LA NATALITÀ.

Sono almeno 20 anni che sia i Governi di centrodestra che quelli di centrosinistra rinviano l’introduzione del quoziente familiare, usando la mancanza di risorse come alibi di questo rinvio.

IN REALTÀ IL QUOZIENTE FAMILIARE – introdotto da Charles de Gaulle nella Francia devastata del dopoguerra – PUÒ ESSERE APPLICATO A COSTO ZERO SE VIENE VISTO COME UN MODO DIVERSO DI CALCOLARE IL REDDITO. PER FAR PAGARE MENO TASSE ALLE FAMIGLIE NUMEROSE È GIUSTO CHE PAGHINO DI PIÙ I SINGLE E I CONTRIBUENTI CON MAGGIORE REDDITO.

La povertà e la ricchezza di un individuo non si formano in astratto ma nel concreto della sua appartenenza familiare, computando il numero di redditi che vi entrano e il numero di persone che sono a carico.

Secondo uno studio della Cgia di Mestre, che tiene conto anche degli 80 euro di Matteo Renzi, col Quoziente familiare alla francese le famiglie italiane con redditi medio-bassi arriverebbero a risparmiare fino a 14.500 euro all’anno.

IL QUOZIENTE FAMILIARE RAPPRESENTA LA VERA RIFORMA FISCALE NECESSARIA ALL’ITALIA PER FAR RIPARTIRE LA NATALITÀ, I CONSUMI E LA CRESCITA. Lo stesso principio può essere applicato a tutte le tariffe e a tutte le imposte locali che riguardano direttamente il nucleo familiare, così come abbiamo fatto a Roma Capitale con la tassa sui rifiuti.

ALTRE FORME DI AIUTO STRUTTURALE ALLA FAMIGLIA E ALLA NATALITÀ SONO L’ABBATTIMENTO DELL’IVA SUI PRODOTTI ALL’INFANZIA, L’ESENZIONE DALLE TARIFFE PER I SERVIZI A PARTIRE DAL TERZO FIGLIO, UN VERO PIANO DI EDILIZIA SOCIALE E DI APERTURA DI NUOVI ASILI NIDO PUBBLICI O CONVENZIONATI.

Bisogna però intervenire anche per le famiglie che sono sotto il reddito di sopravvivenza e per le quali sgravi fiscali e tariffari non hanno alcuna incidenza. PER QUESTO PROPONIAMO L’INTRODUZIONE DI UN REDDITO MINIMO FAMILIARE PER L’INFANZIA – come da una recente proposta di legge al Consiglio regionale della Campania – CHE GARANTISCA ALLE FAMIGLIE IL MINIMO ESSENZIALE PER ALLEVARE I FIGLI. Non si tratta dell’assistenzialismo del “reddito minimo di cittadinanza” ma del riconoscimento dell’importanza sociale di tutte le famiglie con figli.

Ogni volta che si è tentato di aprire un dibattito politico su questi argomenti, la Sinistra ha deviato il discorso sul riconoscimento delle Unioni civili, dimenticando che la nostra Costituzione tutela la famiglia come matrimonio tra uomo e donna volto alla procreazione e all’educazione dei figli. Tutto questo produce un danno non solo etico ma sociale ed economico: per inseguire la parificazione dei diritti di situazioni marginali si preferisce dimenticare la situazione drammatica di centinaia di migliaia di famiglie che non arrivano

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alla fine del mese, di giovani coppie che rinunciano a sposarsi, di aborti causati da stati di necessità economica. AGLI INTELLETTUALI DEL POLITICAMENTE CORRETTO NON INTERESSANO I DRAMMI DELLE PERSONE E DELLE FAMIGLIE NORMALI, SI PREOCCUPANO SOLO DELLE SITUAZIONI LIMITE DEI “DIVERSI”.

25. RILANCIARE IL SISTEMA EDUCATIVO ATTRAVERSO IL M ERITO, LA QUALITÀ E LA SELEZIONE.

L’Italia è l’unico paese al mondo in cui si fa sentire ancora il retaggio delle utopie egualitarie e radicaleggianti sessantottine. Soprattutto la scuola e le Università hanno pagato un prezzo devastante all’esito radical-progressista di quella contestazione. L’Italia non supererà il rischio educativo e non ricostruirà la continuità generazionale se non sarà in grado di realizzare UNA CONTRO-RIVOLUZIONE DEL SISTEMA EDUCATIVO DI CUI DEVONO ESSERE PROTAGONISTE PROPRIO LE GIOVANI GENERAZIONI.

NELLA SCUOLA E NELL’UNIVERSITÀ DEVE TORNARE IL MERITO, LA SELEZIONE E LA RESPONSABILITÀ. UN SISTEMA EDUCATIVO MERITOCRATICO È IL PRINCIPALE “ASCENSORE SOCIALE” CHE PUÒ PERMETTERE DI EMERGERE AI GIOVANI DELLE FAMIGLIE MENO ABBIENTI. IL NOSTRO SISTEMA PRODUTTIVO PUÒ TORNARE AD ESSERE COMPETITIVO SULLA QUALITÀ E SULL’INNOVAZIONE SOLO SE EMERGONO NUOVE GENERAZIONI REALMENTE FORMATE E PROTESE VERSO L’ECCELLENZA.

Non si tratta di tornare al vecchio paternalismo della scuola italiana degli anni ’50 e ’60. LA RESPONSABILITÀ SI PUÒ E SI DEVE UNIRE ALLA PARTECIPAZIONE DEGLI STUDENTI AI PROCESSI DECISIONALI DELL’AUTONOMIA SCOLASTICA E UNIVERSITARIA.

Dobbiamo ricordarci che la prima Università della storia è stata istituita proprio in Italia più di mille anni fa, per questo non possiamo più accettare che i nostri atenei non siano presenti ai vertici delle classifiche internazionali. BISOGNA RIDURRE IL NUMERO DELLE UNIVERSITÀ, PUNTANDO SULL’ECCELLENZA E SULL’INTEGRAZIONE TRA FORMAZIONE, RICERCA E IMPRESA.

26. LIBERARE LA SOLIDARIETÀ SOCIALE DAL PESO DELLO STATALISMO ATTRAVERSO UNA VERA SUSSIDIARIETÀ DELLE FAMIGLIE E DEL NON PROFIT.

Nonostante tutte le forme di sradicamento, in Italia l’istituzione familiare rimane il principale ammortizzatore sociale,mentre il mondo del volontariato e dell’associazionismo è tra i più importanti d’Europa. Ma l’applicazione del principio di Sussidiarietà è sempre rimasto paralizzato dalla pretesa dello Stato e degli Enti locali di controllare e gestire l’erogazione dei servizi sociali.

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FAMIGLIE E ASSOCIAZIONI SONO I VERI PROTAGONISTI DELLA SOLIDARIETÀ SOCIALE, DI FRONTE A CUI STATO E MERCATO DEVONO FARE UN PASSO INDIETRO. SUSSIDIARIETÀ, AUTONOMIA E PARTECIPAZIONE DEVONO LIBERARE L’ENERGIA DI QUESTI MONDI VITALI.

LE FAMIGLIE DEVONO POTER SCEGLIERE GLI EROGATORI DI SERVIZI, SENZA I CONDIZIONAMENTI DEGLI APPARATI DELLA BUROCRAZIA PUBBLICA.

LA CRISI ECONOMICA DEVE IMPORRE, IN ITALIA COME IN EUROPA, IL DEFINITIVO PASSAGGIO DAL “WELFARE STATE” ALLA “WELFARE COMMUNITY”, DALLO STATO SOCIALE ALLA COMUNITÀ SOLIDALE.

LA SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE È UN PRINCIPIO AFFERMATO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA: NESSUN APPARATO STATALE E NESSUN ENTE LOCALE SI DEVE PERMETTERE DI IGNORARE QUESTO PRINCIPIO, A COSTO DI PROMUOVERE VERE “CLASS ACTION” DELLE FAMIGLIE E DELLE ASSOCIAZIONI CONTRO LE AMMINISTRAZIONI INADEMPIENTI.

27. DARE VALORE AL “TERZO VOTO” PER RILANCIARE LA P ARTECIPAZIONE DEI CORPI INTERMEDI NELLA SOCIETÀ CIVILE ORGANIZZAT A.

I “corpi intermedi” sono le rappresentanze e le autonomie funzionali che organizzano la società civile,inserendosi tra il ruolo pubblico delle istituzioni e la vita privata degli individui e delle famiglie. Associazioni sociali, comunità di vicinato, ordini professionali, camere di commercio, organizzazioni di categoria, consentono alle persone di partecipare da protagoniste negli ambiti sociali in cui vivono e lavorano.

LA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA COINVOLGE LE PERSONE IN MODO PIÙ DIRETTO DELLO STESSO IMPEGNO POLITICO. IL “TERZO VOTO” È QUELLO CHE SI AGGIUNGE ALLE ELEZIONI PER GLI ENTI LOCALI E PER IL PARLAMENTO NAZIONALE, PER ELEGGERE IN MODO TRASPARENTE I RAPPRESENTANTI DEI CORPI INTERMEDI.

Scegliere il presidente di un comitato di quartiere o di un centro anziani, la dirigenza di un’associazione sindacale, di una camera di commercio o di un’università, non può più essere lasciato al caso o all’arbitrio delle singole situazioni. Garantire, attraverso un vero e proprio “statuto delle autonomie”, il pluralismo e la rappresentanza di questi mondi è fondamentale per evitare meccanismi distorsivi che provocano incrostazioni burocratiche e falsi riferimenti nelle diverse articolazioni della società civile organizzata.

COME L’INDIVIDUALISMO PORTA ALLO SRADICAMENTO E ALLA DISGREGAZIONE, LA PARTECIPAZIONE È UN’ENERGIA SOCIALE, COMUNITARIA E PRODUTTIVA IN GRADO DI MOLTIPLICARE LE RISORSE DI UN INTERO POPOLO.

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28. RIPORTARE IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE SOTTO IL CONTROLLO DELLO STATO,LIBERANDOLO DALLE INVADENZE DELLA POLIT ICA, DAGLI SPRECHI E DALLE SPEREQUAZIONI REGIONALI.

La Sanità presidia il più fondamentale dei diritti della persona umana, quello della Vita e della Salute, per questo deve tornare ad essere il punto di riferimento per la difesa di tutti i diritti sociali dei cittadini. L’integrazione socio-sanitaria non può essere solo un espediente per ottenere qualche risparmio marginale, ma – abbattendo il muro che separa l’assistenza sociale, di competenza dei comuni, da quella sanitaria, di competenza delle regioni – il modo di riorganizzare i servizi di cura mettendo al centro il rispetto della dignità della persona umana. La grande vergogna dei servizi sociali e sanitari del nostro paese è il mancato sostegno ai non autosufficienti e alle loro famiglie.

SOLO RIORGANIZZANDO UNITARIAMENTE I SERVIZI SOCIALI E SANITARI SUL TERRITORIO, PUNTANDO SULLA PREVENZIONE, SULL’ASSISTENZA DOMICILIARE E SUL SOSTEGNO ALLE FAMIGLIE, RIUSCIREMO A GARANTIRE IL DIRITTO ALLA VITA PER TUTTE LE PERSONE ANCHE IN UN TEMPO DI CRISI ECONOMICA COME QUELLO ATTUALE.

Studi statistici ci dicono che con un’unica centrale d’acquisto nazionale per beni sanitari si può raggiungere un risparmio tra i 15 e i 18 miliardi di euro, senza ridurre gli standard qualitativi delle cure mediche. La sanità di quasi tutte le Regioni è diventata una delle principali fonti di spreco nella spesa pubblica, con il rapporto diverso tra costi e qualità dei servizi erogati.

PER QUESTO VOGLIAMO RIPORTARE ALLO STATO IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, SOTTO IL CONTROLLO DI UN’UNICA AGENZIA TECNICA, CHE DIFENDA LA SANITÀ DALLE INGERENZE DELLA POLITICA, DAGLI SPRECHI E DALLE DISCRIMINAZIONI TERRITORIALI.

Le Regioni possono decidere come distribuire i presidi sanitari sul territorio, ma l’amministrazione di queste strutture, nonché la selezione del personale medico e para-medico, devono essere gestite secondo criteri professionali e meritocratici che possono essere garantiti solo da una Agenzia Nazionale.

D’altra parte è inaccettabile che continui a esistere la “migrazione sanitaria” che obbliga ogni anno 800 mila cittadini a spostarsi da una regione all’altra per trovare le cure migliori. È una sperequazione territoriale che aumenta il divario qualitativo e finanziario tra le diverse sanità regionali.

NON VOGLIAMO LIVELLARE L’ ECCELLENZA IN CAMPO SANITARIO DI ALCUNE REGIONI, SOPRATTUTTO DEL NORD, CHE POSSONO E DEVONO MANTENERE LA PROPRIA AUTONOMIA, MA PUNTARE SU QUESTA ECCELLENZA PER TRASFERIRLA SU TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE.

(Versione del 31 Ottobre si prega di inviare eventuali osservazioni o emendamenti alla seguente mail: [email protected])