mai più MAFIA - Ciofs FP Lazio · Dimostrare amore verso la mamma, basta che non gli si risponde...

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mai più M AFI A Il 15 settembre 1993, giorno del suo 56º com- pleanno, intorno alle 22,45 venne ucciso da- vanti al portone di casa in Piaz- zale Anita Ga- ribaldi, traver- sa di Viale dei Picciotti nella zona est di Palermo. Sulla base del- Mai un Papa – prima di Karol Wojtyla - si era ri- volto con tanta forza con- tro la mafia. Il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Tem- pli è un “punto di non ritorno” della Chiesa nei confronti della mafia. Wojtyla quel giorno sa Padre Pino Puglisi Il prete che combatteva la mafia col sorriso le ricostruzioni, don Pino Puglisi era a bordo del- la sua Fiat Uno di colore bianco e, sceso dall’auto- mobile, si era avvicinato al portone della sua abitazio- ne. Qualcuno lo chiamò, lui si voltò mentre qualcun altro gli scivolò alle spalle e gli esplose uno o più col- pi alla nuca. continua a pagina 4 Strage a Capaci Falcone assassinato Uccisi Borsellino e cinque agenti Come da consuetudine, Giovanni Falcone par- te da Roma per tornare a casa. Alle 16.45 è all’a- eroporto di Ciampino, il volo atterra a Punta Raisi. Allo scalo ci sono tre au- tovetture ad attenderlo: tre Fiat Croma, una marrone, una bianca e una azzurra, del gruppo di scorta della Polizia di Stato.... continua a pagina 8 La strage di via D’Ame- lio è avvenuta domeni- ca 19 luglio del 1992. Chi posizionò il tritolo nell’auto che saltò in aria con... continua a pagina 9 Lotta alla mafia Arte e Cultura a pag. 11 Cronaca dall’estero a pag. 14 Alcune delle vittime della mafia a pag. 15 Pensieri, parole a pag. 10 Don Bosco e Padre Puglisi a pag. 6 “Convertitevi” “Cambiate vita!... Dio ha detto ‘Non Uccidere!’... e un giorno verrà il giudizio Divino!” che la folla che lo ascolta sta vivendo un’intermi- nabile Via Crucis fatta di vittime innocenti, di at- tentati... continua a pagina 7 D’Avenia nasce il 2 maggio 1977 a Palermo da Rita e Giuseppe, terzo di sei figli. Nel 1990 frequenta il liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo, dove incon- tra padre Pino Puglisi, che insegnava religione nello stesso istituto, dalla cui figura viene fortemente influenzato. Insegna lettere al Collegio San Carlo di Milano. La sua attività di scrittore inizia contemporaneamente a quella di insegnante. Il romanzo d’esordio Bianca come il latte, rossa come il sangue esce nel 2010 e diventa rapidamente un successo interna- zionale. Il secondo titolo di D’Avenia è Cose che nessuno sa, pubblicato nel novembre 2011 e tradotto in dieci lingue. Collabora come pubblicista con alcuni quotidiani italiani (Avvenire, La Stampa). continua a pagina 2

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mai piùMAFIA

Il 15 settembre 1993, giorno del suo 56º com-pleanno, intorno alle 22,45 venne ucciso da-

vanti al portone di casa in Piaz-zale Anita Ga-ribaldi, traver-sa di Viale dei Picciotti nella zona est di

Palermo. Sulla base del-

Mai un Papa – prima di Karol Wojtyla - si era ri-volto con tanta forza con-tro la mafia. Il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Tem-pli è un “punto di non ritorno” della Chiesa nei confronti della mafia. Wojtyla quel giorno sa

Padre Pino PuglisiIl prete che combatteva la mafia col sorriso

le ricostruzioni, don Pino Puglisi era a bordo del-la sua Fiat Uno di colore bianco e, sceso dall’auto-mobile, si era avvicinato al portone della sua abitazio-ne. Qualcuno lo chiamò, lui si voltò mentre qualcun altro gli scivolò alle spalle e gli esplose uno o più col-pi alla nuca.

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Strage a CapaciFalcone assassinato

UccisiBorsellinoe cinqueagenti

Come da consuetudine, Giovanni Falcone par-te da Roma per tornare a casa. Alle 16.45 è all’a-eroporto di Ciampino, il volo atterra a Punta Raisi. Allo scalo ci sono tre au-tovetture ad attenderlo: tre Fiat Croma, una marrone,

una bianca e una azzurra, del gruppo di scorta della Polizia di Stato.... continua a pagina 8 La strage di via D’Ame-

lio è avvenuta domeni-ca 19 luglio del 1992. Chi posizionò il tritolo nell’auto che saltò in aria con... continua a pagina 9

Lotta alla mafiaArte e Cultura a pag. 11

Cronaca dall’esteroa pag. 14

Alcune delle vittimedella mafia a pag. 15

Pensieri, parole a pag. 10

Don Bosco e Padre Puglisi a pag. 6

“Convertitevi”“Cambiate vita!... Dio ha detto ‘Non Uccidere!’...e un giorno verrà il giudizio Divino!”

che la folla che lo ascolta sta vivendo un’intermi-nabile Via Crucis fatta di vittime innocenti, di at-tentati... continua a pagina 7

D’Avenia nasce il 2 maggio 1977 a Palermo da Rita e Giuseppe, terzo di sei figli. Nel 1990 frequenta il liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo, dove incon-tra padre Pino Puglisi, che insegnava religione nello stesso istituto, dalla cui figura viene fortemente influenzato. Insegna lettere al Collegio San Carlo di Milano. La sua attività di scrittore inizia contemporaneamente a quella di insegnante. Il romanzo d’esordio Bianca come il latte, rossa come il sangue esce nel 2010 e diventa rapidamente un successo interna-zionale. Il secondo titolo di D’Avenia è Cose che nessuno sa, pubblicato nel novembre 2011 e tradotto in dieci lingue. Collabora come pubblicista con alcuni quotidiani italiani (Avvenire, La Stampa). continua a pagina 2

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D’Avenia nasce il 2 maggio 1977 a Palermo da Rita e Giuseppe, terzo di sei figli. Nel 1990 frequenta il liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo, dove incontra padre Pino Puglisi, che insegnava religione nello stesso istituto, dalla cui figura viene fortemen-te influenzato. Insegna lettere al Collegio San Carlo di Milano.

ALESSANDRO D’AVENIA

La sua attività di scrittore inizia contemporaneamen-te a quella di insegnante. Il romanzo d’esordio Bian-ca come il latte, rossa come il sangue esce nel 2010 e diventa rapidamente un successo internazionale. Il secondo titolo di D’Avenia è Cose che nessuno sa, pubblicato nel novembre 2011 e tradotto in dieci lingue. Collabora come pubblicista con alcuni quo-tidiani italiani (Avvenire, La Stampa). Dal gennaio 2018 tiene ogni lunedì una rubrica su Corriere della Sera chiamata “Letti da rifare” in cui indaga il mon-do dei giovani sotto diversi punti di vista.

Come sceneggiatore, nel 2008 ha firmato alcuni epi-sodi della terza serie di Life Bites - Pillole di vita presso Disney Italia. A ottobre del 2014 esce il suo terzo romanzo, Ciò che inferno non è tradotto in tre lingue nel 2017. I suoi primi tre libri risultano es-sere tra i dieci libri più amati dai giovani italiani.

biografia

O Bianca come il latte, rossa come il sangue, Milano, Mondadori, 2011P Cose che nessuno sa, Milano, Mondadori, 2011E Ciò che inferno non è, Milano, Mondadori, 2014R L'arte di essere fragili: come Leopardi può salvarti la vita, Milano, Mondadori, 2016E Ogni storia è una storia d’amore, Milano, Mondadori, 2018

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Che cos’è l’amoreAngelo

L’amore secondo me è quando si riesce ad essere se stessi con un’altra persona senza vergognarsi per quello che si è, senza nascondersi e senza indossare maschere che ti rendono un’altra persona, quando due persone riescono a divertirsi stando insieme ed essendo chi sono veramente si chiama amore.

RiccardoDimostrare amore verso la mamma, basta che non gli si risponde male e dandogli affetto e non vergognarsi, mentre affetto verso un amico e stragli sempre vicino nei momenti tristi e non tradirlo mai. L’ amore verso la famiglia e anche andarli a trovare se si abita lonta-no o farsi sentire e tenere i rapporti con la famiglia.

Dove l’inferno non può arrivare…

IzabelaL’inferno non può ar-rivare quando ti senti amato

FlavioL’inferno non può arrivare quando rie-sco a raggiungere un obiettivo, quando mi riesce una cosa che fino a poco tempo fa non riuscivo a fare.

AnamariaL’inferno non può arri-vare quando stai con le persone che ami e che ti amano.

Le scarpe di don Pino...Erica

Le scarpe di don Pino sono sformate, prova del fatto che fosse povero. Apparentemente non gli importava che scarpe indossare all’inferno: non ce ne erano di adatte per quel posto. Don Pino sapeva bene che in quel quar-tiere, Brancaccio, si privilegiava uno dei 5 sensi: la vista, e probabilmente la condizione delle sue scarpe era di aiuto per le persone del posto; le incoraggiava ad avere fiducia in lui e ad avvicinarsi. Lui voleva, desiderava che la gente vedesse lui per le strade di quel posto, a portata di mano e con le scarpe incrostate della stessa polvere.

Quali scatole ci impediscono di vivere pienamente?

FlavioLa scatola dell’egoismo che ci porta a privare gli altri della loro libertà.

SimoneSecondo me, la società attuale che si basa sull’appa-renza, sulla “popolarità” e sull’egoismo.

Ramona

Alessandra

Alisia

L’inferno per me è la cattiveria, l’ottusità, la medio-crità, l’incapacità di amare e di vivere le passioni.

Per me inferno è non avere una famiglia, non ave-re amici, non avere un posto dove dormire, non avere dei vestiti da indossare, non avere un’amica che ti sostiene quando stai male.

Per me l’inferno è non sapere se domani ci sarai oppure no: nonostante tu abbia voglia di vivere, non puoi decidere come andrà il futuro…a me è capitato di vivere una malattia da piccola ma no-nostante questo penso che la vita è un dono stra-ordinario e comunque vale la pena viverla. Vorrei dire a tutte le persone malate: non arrendetevi!

Elisa

Gabriele

Noemi

L’inferno è stato vedere mio padre in un letto di ospedale e dovergli dire addio.

Per me l’inferno significa oscurità, la violenza sulle donne, il bullismo.

L’inferno è sentire di non avere qualcuno che ci guida per la strada giusta o che ti dà un abbraccio quando ne hai bisogno o che semplicemente ti sta accanto.

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Il 15 settembre 1993, giorno del suo 56º com-pleanno, intorno alle 22,45 venne ucciso da-vanti al portone di casa in Piazzale Anita Garibaldi, traversa di Viale dei Pic-

ciotti nella zona est di Palermo. Sulla base delle ricostruzioni, don Pino Puglisi era a bordo della sua

Fiat Uno di colore bianco e, sceso dall’automobile, si era avvicinato al porto-ne della sua abitazione. Qualcuno lo chiamò, lui si voltò mentre qualcun altro gli scivolò alle spal-le e gli esplose uno o più colpi alla nuca. Una vera e propria esecuzione ma-fiosa. I funerali si svolse-ro il 17 settembre.

Don Giuseppe Puglisi na-sce nella borgata palermi-tana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta Entra nel seminario dioce-sano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote il 2 luglio 1960.Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore, in una borgata vicino Brancaccio. Nel 1963 è nominato cap-pellano presso l’istituto per orfani “Roosevelt” e

Padre Pino PuglisiIl prete che combatteva la mafia col sorrisoNel quartiere Brancaccio di Palermo, dilaniata dalla guerra delle cosche mafiose, riuscì a coinvolgere nei gruppi parrocchiali molti ragazzi strappandoli alla strada e alla criminalità

Il 19 giugno 1997 venne arre-stato a Palermo il latitante Sal-vatore Grigoli, accusato di di-versi omicidi tra cui quello di don Pino Puglisi. Poco dopo l’arresto Grigoli cominciò a collaborare con la giustizia, confessando 46 omicidi tra cui quello di don Puglisi. Gri-goli, che era insieme a un al-tro killer, Gaspare Spatuzza, gli sparò un colpo alla nuca. Dopo l’arresto egli sembrò intraprendere un cammino di pentimento e con-versione. Lui stesso raccontò le ultime parole di don Pino prima di essere ucciso: un sorriso e poi un criptico “me lo aspettavo” Mandanti dell’omicidio furono i capimafia Filippo e Giuseppe Graviano, arrestati il 26 gennaio 1994. Giuseppe Graviano venne condannato all’ergastolo per l’uccisione di don Puglisi il 5 otto-bre 1999. Il fratello Filippo, dopo l’assoluzione in primo grado, venne condannato in appello all’ergastolo il 19 febbraio 2001. Furono condannati all’ergastolo dalla Corte d’assise di Palermo anche Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che aspettò sotto casa il prete. Sulla sua tomba, nel cimitero di Sant’Orsola a Palermo, sono scolpite le parole del Vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

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Padre Pino Puglisivicario presso la parroc-chia Maria SS. ma Assun-ta a Valdesi. Sin da questi primi anni segue in partico-lare modo i giovani e si interessa delle pro-blematiche sociali dei quartieri più emargina-ti della città, perché era ben conscio della pessi-ma situazione della città, dilaniata dall’azione del-le cosche mafiose in cui è suddivisa oltre che dalla microcriminalità.Così si mette subito ad

operare nel tessuto so-ciale, particolarmente a favore dei più disereda-ti, fronteggiando aperta-mente coloro nei quali la macchia della delinquenza è più radicata, portando ovunque buoni risultati. Riesce a coinvolgere nei gruppi parrocchiali un sempre crescente nume-ro di ragazzi togliendoli dalla strada (e quindi dal-la criminalità) e metten-doli in guardia egli stesso della reale natura maligna delle organizzazioni da cui sono manovrati, oltre che dei pericoli in cui possono

incorrere. Possiamo defi-nire tutta la sua opera una lotta aperta e dichiarata alla mafia. Il primo ottobre 1970 vie-ne nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo - segnato da una sanguinosa faida - dove rimane fino al 31 luglio 1978, riuscendo

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a riconciliare le famiglie con la forza del perdono. Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del seminario minore di Palermo e il 24 novembre dell’anno se-guente direttore del Cen-tro diocesano vocazioni. Nel 1983 diventa respon-sabile del Centro regio-nale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale. Agli studenti e ai giovani del Centro diocesano vo-cazioni ha dedicato con passione lunghi anni re-alizzando, attraverso una serie di “campi scuola”, un percorso formativo

esemplare dal punto di vi-sta pedagogico e cristiano. Inoltre, è stato docente di matematica e poi di reli-gione presso varie scuole. Ha insegnato al liceo clas-sico Vittorio Emanuele II a Palermo dal ‘78 al ‘93. Dal marzo del 1990 svol-ge il suo ministero sacer-dotale anche presso la “Casa Madonna dell’Ac-coglienza” dell’Opera pia Cardinale Ruffini in favo-re di giovani donne e ra-gazze-madri in difficoltà.A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra

cui: Presenza del Vange-lo, Azione cattolica, Fuci, Equipes Notre Dame. Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, e nel 1992 assume anche l’incarico di direttore spi-rituale presso il seminario arcivescovile di Palermo. Il 16 luglio 1991 inaugu-ra a Brancaccio il centro “Padre Nostro”, che di-venta il punto di riferi-mento per i giovani e le famiglie del quartiere, riaffermando una cultura della legalità illuminata dalla fede L’obiettivo di

questo centro è anche il recupero degli adolescenti già reclutati dalla crimina-lità mafiosa. Questa sua attività pa-storale - come è stato ri-costruito dalle inchieste giudiziarie - ha costituito il movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e con-dannati. Sulla sua tomba, nel cimitero di Sant’Orso-la a Palermo, sono scolpi-te le parole del Vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di que-sto: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

La beatificazione di Don Pino Puglisi è la vittoria di un certo modo di fare antimafia. Don Pino fu tra i primi a capire che per vincere la mafia non era sufficiente la pre-senza militare dello Stato sul territorio ma colpirla diret-tamente nel suo punto più forte: il consenso sociale. La sua azione era rivolta soprattutto ai ragazzi del quartie-re Brancaccio di Palermo, affinché non diventassero la manovalanza criminale della famiglia Graviano. Quan-do nel settembre del 1990 fu nominato parroco di San Gaetano a Brancaccio, Puglisi intuì che in quel luogo la salvezza delle anime coincideva con una lotta frontale, e alternativa, contro la mafia. Iniziò quindi un percorso di radicamento sul territorio che ebbe nella parrocchia, e successivamente nel centro “Padre Nostro”, un luogo propulsore di attività sociali per l’intero quartiere. Creò una sinergia tra uomini e donne di Chiesa, suoi collabo-

ratori della parrocchia, e cittadini laici riuniti nell’Asso-ciazione Intercondominiale. Un’esperienza allora inno-vativa di impegno comunitario dal basso che spaventò la mafia. Il più importante insegnamento che Puglisi ha lasciato alla Sicilia, e a tutta l’Italia, è semplice quanto rivoluzionario: la comunità può vincere la mafia. Don Pino ha creato intorno a sè una comunità è quindi un insieme di persone legate da un vincolo di riconoscen-za basato sul dono reciproco gratuito e non su logiche utilitaristiche, ben rappresentato dalle attività del centro “Padre Nostro”. La testimonianza di Puglisi ha profon-damente cambiato Palermo. La mafia ha erroneamente pensato che un colpo di pisto-la potesse fermare l’azione di Don Puglisi. Invece, dopo vent’anni, l’esperienza di Brancaccio si è estesa a tutti i quartieri di Palermo.

L’insegnamento di Don Puglisi:La comunità può vincere la mafia.

Era il 2007 quando Ficarra e Picone hanno ricevuto l’invito a partecipare al festival di Sanremo, in quell’occasione hanno fatto una scelta coraggiosa: invece di fare uno sketch “leggero” ed ironico, hanno portato all’attenzione di tutti un tema scottante ed un personaggio eccezionale: don Pino Puglisi, che essi hanno conosciuto personal-mente (Ficarra lo ha avuto come professore al liceo). Probabilmente le persone che ascoltavano lo sketch non hanno compreso subito lo spessore del tema lanciato: si inizia col nominare un certo zio che amava tutti, al quale tutti chiedevano aiuto ottenendo una mano ed un sorriso…Zio Pino amava tutti, con amore di padre e di madre, soprattutto amava se stesso che è l’amore più pericoloso perché porta a scelte coraggiose come il dono totale di sé. Poi i due comici svelano l’identità di questo zio attraverso il racconto preciso e realistico del suo omicidio, sottolineano che neanche in quell’occasione egli perse il suo sorriso e che quella non fu una morte ma un parto e lo dimostra il numero enorme delle persone presenti al suo funerale, dove nonostante tutto, c’era un clima di Speranza. Una performance da vedere per riflettere dietro al sorriso!

L’omaggio degli artisti a don Pino

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Don Bosco e Padre PuglisiDue esempi di educatori che hanno saputo parlare al cuore dei giovani e che hanno davvero molti punti in comune...

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PAPA FRANCESCO: “CHI CREDE IN DIO NON PUÒ ESSERE MAFIOSO”

Padre PuglisiDon Bosco

Povertà come scelta di vita e rinuncia al prestigio personale

L’incontro con un ragazzo in particolare...

L’allegria

Conosceva bene il sistema pre-ventivo di don Bosco, come ri-sulta dai suoi numerosi appunti. Per dare esempio di onestà pa-gava le tasse perfino sul ricavato delle lotterie organizzate per la beneficenza della parrocchia.

Don Pino era un prete senza conto in banca e aveva scaldabagno e rubinetti rotti. Ha lasciato un quaderno di riflessioni sul quale leggiamo: “Seguiamolo dunque nel distacco dalle ricchezze: il figlio dell’uomo non ha dove poggiare il capo; semplicità e povertà si addicono alla casa del sacerdote; con tanta miseria che c’è non può essere ricercato, ricco”. Gli offrirono chiese ricche, posti di prestigio e lui li ri-fiutò, dicendo: “Non sono all’altezza, rimango qui tra i poveri’.

Don Bosco narra che tutto ebbe inizio l’8 dicembre 1841 nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Torino con Bartolomeo Garelli.

Amava trascorrere la ricreazione con i ragazzi, giocare con loro, raccontare barzellette, esibirsi con giochi di prestigio o altri intrattenimenti esilaranti. La novità di don Bosco parte proprio dal ritenere che la santità consiste nello stare sempre molto allegri perché la gioia vera scaturisce dalla comunione col Risorto.

Il piccolo Giovanni, figlio di una vittima della locale faida di mafia e di una cameriera, fu sorpreso dai cara-binieri con la cassetta delle offerte rubata in chiesa. Don Pino provò invano a convincere i militari a consegnar-glielo, spiegando loro che condurlo in carcere sarebbe equivalso “ad iscriverlo all’università del crimine”. Successivamente, ottenuta la libertà provvisoria, il par-roco avvicinò il ragazzo e lo aiutò economicamente. “Per mesi e mesi non gli levò più lo sguardo di dosso”.

Dopo la morte di don Pino, a casa sua, è stata pure trovata una preghiera da lui composta e rivolta al San-to dei giovani: “O glorioso Santo, fa’ sentire anche adesso la tua opera salvifica, benedici gli educato-ri, suscita tra essi dei cuori che, infiammati dallo stesso amore di cui ardevi tu, rinnovino i tuoi pro-

digi verso la gioventù di oggi; benedici i giovani, fa’ che tutti seguendo i tuoi insegnamenti giunga-no all’esperienza del divino e quindi pongano i va-lori religiosi al di sopra di tutto; benedici le nostre famiglie, benedici tutti affinché tutti possiamo rag-giungerti nella patria divina”.

Scolpisce nel suo cuore il forte richiamo della madre, Margherita Occhiena: “Se per sventura diventerai ricco non metterò mai più piede a casa tua”. Nel 1858 ricevette da Pio IX la proposta di essere no-minato monsignore, dopo averlo ringraziato rispose: “Santità, che bella figura farei io quando comparissi in mezzo ai miei ragazzi vestito da monsignore! I miei fi-gli non mi riconoscerebbero più; non oserebbero avvi-cinarmi e tirarmi da una parte e dall’altra come fanno adesso […] Oh, quant’è meglio che resti sempre il povero don Bosco!”

Diceva che anche nel giovane più disgraziato c’è un punto acces-sibile al bene, bisogna cercare quella corda sensibile del cuore e farla vibrare.

Sistema preventivo per fare buoni cristiani, onesti cittadini

Don Pino amava raccontare barzellette, ironizzava sulla sua statura, sulle orecchie a sventola, sulle mani enormi, sulla calvizie e finanche sulle sue destinazioni pasto-rali. “Era sempre sereno. Avrà avuto anche lui i suoi problemi, come tutti, ma non l’ho mai visto triste”, dice Enza Maria Mortellaro, alunna del Vittorio Emanuele.

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Mai un Papa – prima di Karol Wojtyla - si era ri-volto con tanta forza contro la mafia. Il grido di Giovanni Paolo II nel-la Valle dei Templi è un “punto di non ritorno” della Chiesa nei confronti della mafia. Wojtyla quel giorno sa che la folla che lo ascolta sta vivendo un’intermi-nabile Via Crucis fatta di vittime innocenti, di at-tentati, oppressioni, cul-minate pochi mesi prima con le stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Alla fine della Messa, col volto teso, lo sguar-do fisso sulla folla che lo acclama, la mano sinistra appoggiata al bastone pa-

Giovanni Paolo II il 9 maggio 1993, a sorpresa, al termine dell’omeliadella messa celebrata nella Valle dei Templi, lanciò un grido contro la mafia.

Con voce forte e sicura, gridò ai mafiosi:

“Convertitevi”“Cambiate vita!... Dio ha detto ‘Non Uccidere!’...

e un giorno verrà il giudizio Divino!”

storale inizia a parlare con voce ferma e decisa. “Sono qui per invocare concordia senza morti! Senza assassinati, sen-za paure, senza minac-ce, senza vittime..che sia concordia![...] Dopo tanti tempi di sofferenze avete finalmente dirit-to a vivere nella pace! E quanti sono colpevoli di disturbare questa pace, quanti portano sulle loro coscienze tante vittime umane devono capire che non è permesso uccidere innocenti”. Ma questi, i malavitosi, “devono ca-pire – ammonisce il Papa – che non si permette di uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: ‘Non

uccidere’!”. “Non può qualsiasi uomo, qualsia-si agglomerazione uma-na, la mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. [...]Lo dico ai re-sponsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudi-zio di Dio!”. Quando pronunzia que-ste ultime parole il papa è visibilmente scosso e la

gente si commuove insie-me a lui. Non nasconde la sua rabbia che accentua con la mano destra alzata come monito. Quel grido è ancora vivo nella Chiesa e si fa sentire in gesti con-creti come la beatificazio-ne di don Puglisi avvenu-ta nel 2012 con Ratzinger o la scomunica di Papa Francesco rivolta a tutti i mafiosi nel 2014.

PAPA FRANCESCO: “CHI CREDE IN DIO NON PUÒ ESSERE MAFIOSO”Questo messaggio è un prolungamento di quella «sco-munica» ai mafiosi lanciata dal Papa in Calabria, a

Sibari, nel giugno 2014.Da Palermo, dove sta celebrando la Messa in occasione del 25° anniversa-rio della morte di padre Pino Pugli-si, Papa France-

sco scandisce: «Ai mafiosi dico: cambiate!». Fra gli applausi incalza gli affiliati: «Smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi, convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo. Altrimenti la vostra vita andrà persa».

La lezione di don Puglisi fa da spunto per riaffermare la netta incompatibilità fra Vangelo e cosche, come aveva fatto anche Benedetto XVI nella sua visita a Palermo nell’ottobre 2010. Sottolinea Bergoglio ancora una volta applaudito dai pellegrini: «Chi è mafioso non vive da cristiano per-ché bestemmia con la vita il nome di Dio». Da qui l’energico richiamo: «Oggi abbiamo bisogno di uomini di amore, non di uomini di onore; di ser-vizio, non di sopraffazione». Bergoglio condanna la ricerca forsennata di «soldi», «potere» e «piacere» attraverso cui «il diavolo ha le porte aperte», dice. Poi invita a difendere «sempre la vita» e ribadisce: «Non si può credere in Dio e odiare i fratelli».

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Strage a Capaci,Falcone assassinatoCinquecento chili di tritolo Come da consuetudine, Giovanni Falcone par-te da Roma per tornare a casa. Alle 16.45 è all’a-eroporto di Ciampino, il volo atterra a Punta Raisi. Allo scalo ci sono tre au-tovetture ad attenderlo: tre Fiat Croma, una marrone, una bianca e una azzurra, del gruppo di scorta del-la Polizia di Stato. Sceso

dall’aereo le auto lasciano l’aeroporto alla volta di Palermo e alcune telefo-nate avvisano i sicari, che hanno già sistemato l’e-splosivo per la strage. La situazione è tranquil-la, gli agenti non attivano nemmeno le sirene. Sono gli ultimi atti della vita delle vittime della strage. Otto minuti dopo, alle ore 17.58, al chilometro 5 della A29, una carica di cinque quintali di trito-lo, posizionata in un tun-nel scavato sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci viene azionata tramite un te-lecomando da Giovanni

Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina.Circa venti minu-ti dopo, Giovan-ni Falcone viene trasportato, sot-to stretta scorta di un corteo di vetture e di un elicottero dell’Arma dei Carabinie-ri, presso l’ospedale Ci-vico di Palermo. Gli altri agenti e i civili coinvolti vengono anch’essi tra-sportati in ospedale men-tre la Polizia Scientifica si mette al lavoro. Sul posto intervengono i vigili del fuoco che hanno il com-pito di estrarre i corpi ir-

riconoscibili della scorta. Alle 19.05, ad un’ora e sette minuti dall’attenta-to, dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione Giovanni Falcone muo-re a causa della gravità del trauma cranico e delle lesioni interne. La moglie – Francesca Morvillo – muore poche ore dopo.

Nasce a Palermo il 18 maggio 1939. Dopo aver frequen-tato il liceo classico Umberto I e dopo una breve espe-rienza presso l’Accademia navale di Livorno, nel 1961 si laurea in Giurisprudenza a Palermo. Nel 1964 di-venta pretore a Lentini e poi rimane per 12 anni sostituto procuratore a Trapani. Trasferitosi a Palermo nel 1978, dopo l’omicidio del giudice Cesare Terranova, lavorò all’Ufficio istruzione, sotto la guida di Rocco Chinnici, e insieme a Paolo Borsellino lavorarono su oltre 500 pro-cessi. Chinnici assegna a Falcone nel 1980 l’indagine su Rosario Spatola, collegato anche alla mafia americana, e qui cominciò un grande lavoro di indagini bancarie e patrimoniali. Dopo l’uccisione di Chinnici nel 1983, Antonino Caponnetto costituisce il pool antimafia, che includeva Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta. Nel 1984, con l’interrogatorio al pentito Tommaso Buscet-ta, si ha una svolta nelle indagini contro Cosa Nostra. Quando il pool cominciò a lavorare al grande maxipro-cesso a Cosa Nostra, i due collaboratori di Falcone, Giu-seppe Montana e Ninni Cassarà, vennero uccisi e quindi

i giudici e le loro famiglie vennero trasferiti per sicurezza al carcere dell’Asinara. Nel 1987 si concluse il Maxipro-cesso, con 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pa-gare, segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia.Nel 1991 ci fu un intenso lavoro da parte del giudice, ma il 23 maggio 1992 quando alle 17 e 56, all’altezza del paese siciliano di Capaci, cinquecento chili di tritolo fanno saltare in aria l’auto su cui viaggia il giudice , la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

Giovanni Falcone

Liburdi

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Altra strage, ucciso il giudice BorsellinoUccisi Borsellino e cinque agentiLa strage di via D’Amelio è avvenuta domenica 19 luglio del 1992. Chi posizionò il tritolo nell’auto che saltò in aria con un comando a distanza sapeva che la domenica era il giorno in cui il magistrato andava a trovare la madre, che abitava in via Mariano D’A-melio a Palermo, strada considerata pericolosa dalle scorte, ma per cui non era mai arrivata l’autorizzazio-ne al divieto di parcheggio. Di solito nel pomeriggio. E nel pomeriggio ci fu la strage.Erano le 16 e 58 quando una Fiat 126 rubata saltò in

aria. Conte-neva circa 90 chilogrammi di esplosi-vo del tipo Semtex-H, PETN, tri-tolo e T4 insieme. Il comando fu azionato a

distanza non appena Borsellino e gli agenti della scorta scesero dalle auto.Così l’ha raccontata l’agente sopravvissuto Antonino Vullo: «Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dal-le auto, io stavo facendo manovra, stavo parcheggian-do l’auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’e-

rano brandelli di carne umana sparsi dappertutto…».Antonino Vullo si risvegliò in ospedale, in condizioni molto gravi, ma vivo. Non così il ma-gistrato e altri cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Vin-cenzo Li Muli, Walter Eddie Co-sina, Claudio Traina ed Emanue-la Loi che stata la prima donna a far parte di una scorta e la prima donna della Polizia di Sta-to a cadere in servizio.

GLI ANGELI DIBORSELLINOIl film del 2003, diretto dal regista Rocco Cesareo è un racconto di Emanuela Loi, agente di polizia di scorta a Paolo Borsellino, e narra dei 57 giorni (23 maggio-19 luglio 1992) che separano i due at-tentati mortali ai due giudici siciliani.

cinema

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Consiglierei questo film agli amici, perché è un ri-cordo del passato molto importante e sarebbe bello pensare e condividere questo avvenimento.

Silvia

Il personaggio che mi ha colpito di più è Agostino Catalano perché mi è sembrato molto simpatico e di animo buono. Un uomo veramente da imitare che si è dato da fare contro la mafia guidando la propria squadra.

Angelo

EricaIl titolo del film è “Gli angeli di Paolo Borselli-no” e secondo me si chiama così perché la storia è incentrata sulla scorta di Paolo, che dedicò la sua vita a Borsellino.

MattiaIl personaggio che mi ha colpito di più è Paolo Borsellino, perché nonostante conoscesse poco i membri della scorta, gli ha affidato la sua massi-ma fiducia... Il film mi è piaciuto, ne consiglierei la visione ad un amico perché è molto interessan-te secondo me, racconta i 57 giorni dalla morte di Giovanni Falcone a quella di Paolo Borsellino (25/05/1992 - 19/07/1992).

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Pensieri, paroleLe loro idee camminano sulle nostre gambe

Giovanni Falcone “La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi citta-dini ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”

Paolo Borsellino “Non importa dove si nasce se si combatte per le stesse idee e si crede nelle stesse cose”

“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televi-sione, sui giornali. Però parlatene”

Carlo Alberto Dalla Chiesa “Certe cose non si fanno per coraggio, si fan-no solo per guardare più serenamente per guardare negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli”

Don Pino Puglisi “A questo può servire parlare di mafia, par-larne spesso, in modo capillare, a scuola: è una battaglia contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi”

“Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della di-gnità umana”

“Gli uomini passano ma gli ideali restano e continue-ranno a camminare sulle gambe di altri uomini”

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Giuseppe Impastato“La mafia uccide, il silenzio pure!”

“...Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!”

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Lotta alla mafiaArte e Cultura

cinema I CENTO PASSIIl film diretto da Marco Tullio Giordana ripercorre la storia vera di Giuseppe Impastato che, nato in una famiglia implicata con la mafia, decide di dedicare tutta la sua vita alla denuncia dei crimini mafiosi ed all’impegno civile per contrastarli. Suo padre Luigi è un mafioso al servizio del boss locale Tano Badalamenti, ma sembra quasi “incastrato” nel circolo vizioso della mafia che avvolge tutta la piccola comunità di Cinisi, paese in cui è ambientata la vi-cenda. La lotta di Peppino contro la mafia inizia già da piccolo, quando comincia a guardare con sospetto certi comportamenti del padre che aderisce alla mafia con un atteggiamento ambiguo, fatto anche di rassegnazione e di paura. Diventato ragazzo, Peppino incontra un pittore comunista che lo aiuta ad aprire gli occhi sulla realtà della mafia. Da allora inizia la sua lotta che parte da articoli di giornali in cui svela tutte le implicazioni mafiose nella politica cittadina e culmina nella fondazione di una radio locale, Radio Aut, in cui con ironia e coraggio denuncia tutti i crimini mafiosi, smuovendo le coscienze di tutti i cittadini del paese, molti dei quali vivevano nell’omertà. Intorno a lui si crea un insieme di cittadini, soprattutto giovani, che lo appoggiano e lottano al suo fianco, finchè il giovane deciderà di candidarsi alle elezioni comunali. Intanto il padre, disperato lo allontana da casa, ma gli dimostra in modo tutto suo l’amore che prova per lui, offrendogli di trasferirsi in America, invece la madre ed il fratello mostrano più apertamente il loro sostegno al ragazzo, anche se non mancano le incomprensioni dovute anche alla paura.Il film si conclude con l’assassinio del giovane nella notte tra l’8 ed il 9 maggio del 1978, giorno che coincide con il ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Ma il funerale del giovane vede la presenza di numerosissime persone che scendono in piazza contro la mafia, dimostrando che nonostante tutto, Peppino ha vinto.

Peppino ImpastatoGiuseppe Peppino Impastato nasce a Cinisi nel 1948, all’interno di una famiglia mafiosa. Già da ragaz-zo si ribella al sistema, rompen-do con il padre che lo caccia di casa, ed avvia un’attività politica e culturale anti-mafiosa. Nel 1976 fonda il gruppo Musica e cultura e nel 1976 Radio Aut, libera e auto-finanziata attraverso la quale denuncia delitti e affari mafiosi. Nel 1978 Peppino Impastato si candida nella lista di Democrazia Proletaria per le elezioni comu-

nali ma non ne conoscerà mai il risul-tato. Pochi giorni dopo gli elettori di Cinisi lo voteranno, facendolo eleg-gere simbolicamente al Consiglio Comunale.

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Il film mi è piaciuto molto per la sua storia toccante, lo consiglierei perché è molto emozionante e ti fa riflettere sulla mafia.

Ho apprezzato l’attualità del problema trattato, inol-tre molti elementi lo rendono bello da vedere: la mu-sica, l’abilità degli attori, la costruzione delle scene. Aiuta ad aprire gli occhi sul problema.

Mi ha molto colpito la scena in cui Peppino legge la poesia alla madre, dimostrandole tutto il suo amo-re, ma anche il suo desiderio di continuare a lottare contro la mafia nonostante le preoccupazioni mater-ne. Credo che in quel momento lei nel suo cuore “ha scelto da che parte stare”.. la madre non lo abbando-nerà.

Mi sono rimaste impresse le scene finali: tutta quella gente al funerale e soprattutto il discorso del suo amico alla radio dopo la sua morte, perché smuove le coscienze.

Consiglierei il film ai miei amici perché è importante sapere cos’è la mafia e come agisce, ma soprattutto è importante co-noscere la testimonianza ed il coraggio di Peppino Impastato che ha combattuto la mafia, nonostante la sua giovane età.

Alessandra

Giulia

Ylenia

Alice Martina

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musica

musica

musica IL TESTIMONE The Gang La canzone è stata scritta da questo gruppo nel ‘97 e prende ispirazione dalla parola matyr che in gre-co significa “testimone” per indicare come padre Puglisi ha reso testimonianza a Gesù fino al sacri-ficio della vita.

[…]Nella città che è sottomessacittà infetta dall’onore La vita è maschera di luttola vita non ha più valore alzò la voce il testimoneper scatenare l’innocenza alzò la voce il testimone nella città della speranzase non ora quandose non qui dovese non io se non tu chiSe non ora quandose non qui dove Se non io se non tu chi ci salverà è nostra questa vita è nostra la città non sarà cosa nostra che ci fermerà […]

PENSAFabrizio MoroPensa è un brano musicale compo-sto ed interpre-tato dal cantautore italiano Fabrizio Moro, vincitore del Festival di San-remo 2007 nella sezione Giovani. Il testo, secondo quanto ha dichiarato il cantante, è stato scritto di getto, subito dopo la visione di un film sulla vita di Paolo Borsellino. Si tratta di un invito alla rifles-sione, contro ogni forma di violenza e contro la mafia. Il singolo della canzone ha rag-giunto i vertici della classifica di vendita italiana ed ha trasci-nato anche le vendite dell’album omoni-mo. Nel video, girato dal regista Marco Risi, compare l’attore Francesco Benigno ed anche Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso dalla mafia, che ha deciso di partecipare alle riprese dopo aver letto il testo della canzone.

Ci sono stati uomini che hanno scritto pagineAppunti di una vita dal valore inestimabileInsostituibili perché hanno denunciatoIl più corrotto dei sistemi troppo spesso ignoratoUomini o angeli mandati sulla terra per combattere una guerraDi faide e di famiglie sparse come tante biglieSu un’isola di sangue che fra tante meraviglieFra limoni e fra conchiglie, massacra figli e figlieDi una generazione costretta a non guardareA parlare a bassa voce, a spegnere la luceA commentare in pace ogni pallottola nell’ariaOgni cadavere in un fossoCi sono stati uomini che passo dopo passoHanno lasciato un segno con coraggio e con impegnoCon dedizione contro un’istituzione organizzataCosa Nostra, cosa vostra, cos’è vostro?È nostra, la libertà di direChe gli occhi sono fatti per guardareLa bocca per parlare, le orecchie ascoltanoNon solo musica, non solo musicaLa testa si gira e aggiusta la mira, ragionaA volte condanna, a volte perdonaSemplicemente

Rit. Pensa prima di spararePensa prima di dire e di giudicare, prova a pensarePensa che puoi decidere tuResta un attimo soltanto, un attimo di piùCon la testa fra le mani[…]

L’ARMÉE MUETTECarmen Consoli

Comment peut-on croire que, cette villeBaignée par le soleil et la mer pourra oublierSes anciennes rancunes et ses blessures ouvertesSes faidas historique, le chagrin des mères qui jamais plus n’embrasseront leur enfantL’état très désolé qui dépose une couronne tricolore marquée < absentMais derrière les persiennes, les vieux et les enfants observentLe cortège long et ému, général, c’était là votre arméeDieu sait si le bon dieu connaît cet enferS’il y a un plan pour le racheterPaix et espérance non !Elles ne vivent pas de ce côté comment peut-on croire que cette ville,Baignée par le soleil et la mer saura oublierLes offenses gratuits, les agonie souffertsLes luttes historiques de celui qui défia le milieu a coups de musique et de poésieLes regards stupéfaits des gens qui n’ont jamais rien vu, ni rien entenduLes avons volent et les sillages comme des trames s’en-lacentCet aéroport : un massacre qui maintenant porte un nom respectableS’il y a un plan pour le racheterPaix et espérance non !Dieu sais si le bon dieu pardonnera le silence (x2) Dieu sais si le bon dieu pardonnera Palerme

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poesia

poesia

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Palermo, aprile ‘86 di Mario LuziE’ placida Palermo sotto le nuvole.rari perforano gli aereila sfioccata coltre.Nessun altro frastuono arriva, [...]neppure l’ululatodelle molte ambulanze e delle scorteora la traversa.Gli scatti e i morsi,gli stolzi ed i sussurri della sua oscura malattiaconoscono un inspiegabile letargo.[...]Palermo in questa oasise è un’oasi che si è aperta nel suo ventre, come pare,e non un’officina di crimini e morteintenta a un più subdolo lavoroche così si affina ...[...]Saprò forse domani che questo splendido torporeera fitto di crude operazioni, ed anchequesto abbaglioingannevole ci ammalia ... così è Palermo.

Mario Luzi è stato più volte a Palermo grazie ad un’as-sociazione di poeti che lo aveva invitato ad una conferen-za: da quell’evento Luzi ha imparato ad amare la città, la sua gente e i suoi problemi fino a farli diventare protagonisti delle sue opere. È uno dei maggiori poe-ti italiani, nato nel 1914, lo possiamo definire una delle voci che ha maggiormente segnato il Novecento. Attra-verso la stagione dell’Ermetismo degli anni ’30, ha fatto di Firenze un punto di riferimento della più alta cultura europea nel tempo delle grandi riviste letterarie. Mario Luzi nasce a Castello, allora frazione di Sesto Fiorentino, il 20 ottobre del 1914, da Ciro, impiegato ferroviario e Margherita Papini. La sua passione per la poesia inizia presto; scrive i suoi primi versi a otto anni: «Stavo gio-cando con dei compagni nella strada, nel giardino. Ad un certo punto lasciai la compagnia perché avevo bisogno di andare a scrivere…». Nel 1926 si trasferisce con la famiglia a Siena. Tre anni dopo è di nuovo a Firenze dove compie gli studi liceali e universitari. Per qualche anno insegna nella scuole superiori e dal 1955 al 1985 è pro-fessore di letteratura francese alla facoltà di Scienze Po-litiche di Firenze. I suoi esordi letterari risalgono a prima della guerra, quando comincia a frequentare altri poeti della scuola ermetica e collabora a riviste d’avanguardia. Da lì comincia una produzione poetica ricca, di valore e sempre originale. La visione cristiana del mondo di-venta una costante della sua poesia, non nega mai la presenza della sofferenza e dell’ingiustizia, ma rico-nosce l’eterna compresenza di bene e male nel mondo e coltiva anche un profondo impegno civile.

Il problema della presenza del male nel mondo Luzi lo af-fronta anche nel dramma che scrive sull’omicidio di don Puglisi, Il fiore del dolore. Sul finire degli anni Novanta, prima di comporre il suo testo, Luzi svolse a Palermo un lavoro accurato di ricerca: parlò con religiosi e collaboratori laici del sacerdote assassinato, lesse quanto è stato scritto su padre Puglisi. Meditò infine sulle reazioni della città davan-ti a un delitto orrendo e diverso. In un’intervista (Giornale di Sicilia, 7 marzo 2003) lo stesso Luzi rievocò così questa fase preliminare: “Ero informato vagamente della vicenda. I miei amici palermitani mi parlavano con passione della storia, che non si inquadrava in nulla di preesistente. Un’ag-gressione mafiosa al clero non aveva precedenti. Feci una visita accurata e pietosa a Brancaccio, “invaghito” emotiva-mente di un personaggio che si portava dietro ogni interpre-tazione possibile… A Brancaccio ho scoperto che don Pino era ancora lì, l’ho trovato lì, tra i suoi fedeli orfani di lui”. Qua e là, nel testo, riaffiorano citazioni dagli scritti originali di don Puglisi. L’opera è stata messa in scena nella primave-ra del 2003, al teatro Biondo (il testo definitivo è pubblicato dalla casa editrice fiorentina La Meridiana). Sul palcosceni-co don Puglisi non è rappresentato ma solo evocato: si ode la sua voce nel prologo iniziale, quasi una preghiera:“Cos’è una vitauna vita nella vitaimmensa e incommensurabileLa mia ha preso senso dal non essere piùdall’essermi stata tolta…Signore, la mia vita in te,presso di te è misteriosamente tua e mia”.

Una mentalità di Valentino ZeichenA ‘monte’ risiede il viziodella mentalità mafiosa.La mafia non sta solonegli odiosi crimini,mafia è anche sottinteso,sotterfugio che s’insinuanelle abitudini linguistichedi inconsapevoli onesti.[...]Mafia è trascurare i muriprivi d’intonaco,lasciare che le cartacce volinoe che la loro ombraimbratti la terra;abbandonare i ‘vuoti a perdere’e le deformate plastichequale ritratto del degrado.[...] Raccogli le cartaccee ogni altra varietà di rifiuti;di tua iniziativaspazza la strada, intonacae non sarà del tutto vano.

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Cronaca dall’estero

My first inkling that my family was different came when I was six and found a gun hidden un-der my dad’s bed. I knew he had served in Vietnam and assumed it was from then. I even told friends how proud I felt: my fa-ther, the brave soldier. A teacher overheard me talking about the gun and quietly mentioned it to my parents. Dad told me, “What goes on in our family stays behind the-se walls. We don’t ever talk about it to anyone else.” I remember won-dering why it was such a big secret, but it didn’t feel strange; it was just the way we did things. We were a very tradi-tional Italian-American family. My father, Salva-tore Gravano, worked in con-struction, while my mother was a hou-sewife and looked after my brother Gerard and me. Home was in Sta-ten Island, surrounded by friends and family. Everyone knew my dad, and even as a young child

I could sense he was im-portant. When he entered a room, the energy chan-ged. People would rush over to shake his hand and kiss his cheek. He made time for them all, lending money and buying them groceries if they were struggling. One day, when I was about 10, dad sat me down in the kitchen. He told me I would probably start hearing some things about his life and he wan-ted to explain in the best way he knew how. He told me some men in Italy had formed a secret group and vowed always to protect each other and theirs fa-milies – even if it meant stealing or hurting other people. Then he told me he was part of that same group here in America. It didn’t sound scary to me – it was nice to know we were being looked after. My mother was a shy, quiet woman who’d mar-ri¬ed Dad just before her 18th birthday. She was old-fashioned and loyal, steadfastly standing by her man never asking que-stions – the perfect mafia wife. As the years passed, Dad’s business grew. We moved to a bigger house in an expensive suburb and I went to a private school. Mostly it was children of wealthy lawyers, doctors and businessmen. That’s

when I began to realize how different we were. For a start, dad didn’t look like the other fathers. He had tattoos on his arms, wore flashy jewelry and swore a lot. But I didn’t find it awkward . I thought he was cool. I knew the mafia were accused of crimes, from murder to racketeering, but I was too young to understand what it me-ant and I couldn’t recon-cile that gangster image with my father. What I know now is he was living two lives: at home he was the doting husband and fa-ther, but he also rising up the ranks of the Gambino organized crime family – and being closely watched by the FBI. Over the years I heard the stories of vio-lent mob crime, especially after the mafia boss Paul Castellano was murdered in 1985. I wasn’t totally naïve and part of me su-spected Dad had been in-volved. I knew he’d been there when Paul was kil-led, and he disappeared for two weeks after. Sometimes I’d come downstairs and find Dad sitting by himself in the dark. I’d make a joke, then dad would start chat-ting away as if nothing was wrong, though we both knew it thought he was protecting us – what we didn’t know couldn’t

hurt us – or maybe he just didn’t want us to know about theside of his cha-racter. When I was 19, everything changed. The FBI were closing in on Dad and he’d agreed to te-stify against high-ranking mob members in return for a shorter sentence for his own crimes. I was horrified. We’d always had it drummed into us never to “grass” on people: when my brother and I fought as children, we’d both be punished – one for fighting, the other for telling. Now I felt Dad had betrayed us all and I refused to move with my family when they joined the witness protection programme. In return for his coope-ration, Dad received a reduced prison sentence of five years. It look me all that time to forgive him, but now, with a dau-ghter of my own, I under-stand how he was trying to protect us, using the only power he had left. People ask if I being a mob daughter. A few ye-ars ago, I might have said yes, but I’ve now come to terms with everything that has happened. I don’t condone the violence Dad was involved in, but I can’t change his past, or what he did, and I don’t see the point of wondering what if.

Experience: I was thedaughter of a mafia boss

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Anni 1970

• Mauro De Mauro (16/09/70), giornalista. Se-questrato da un gruppo di ma-fiosi a causa dei suoi articoli giornalistici, il suo corpo non è mai stato ritrovato.• Pietro Scaglione (5/05/71), procuratore capo di Palermo.• Giuseppe Russo (20/08/77), tenente colonnello dei cara-binieri. Insieme a lui viene ucciso l’insegnante Filippo Costa, 57 anni, che stava passeggiando con lui.• Filadelfio Aparo (11/01/79), vice Brigadiere della squadra mobile di Palermo.• Michele Reina (9/03/79), segretario provinciale della Democrazia Cristiana.• Giorgio Ambrosoli (12/07/79), avvocato mila-nese liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona.• Boris Giuliano (21/07/79), capo della squadra mobile di Palermo.• Calogero Di Bona (28/08/79), maresciallo ordinario in servizio presso il Carcere dell’Ucciardone di Palermo• Cesare Terranova (25/09/79), magistrato.• Lenin Mancuso (25/09/79), maresciallo morto insieme a Cesare Terranova.

Anni 1980• Piersanti Mattarella (6/01/80), presidente della Regione Siciliana.• Carmelo Iannì (28/08/80), imprenditore. Ucciso come rappresaglia per aver per-messo ad alcuni poliziotti di infiltrarsi nel suo albergo ed arrestare il boss Gerlando Alberti.• Giuseppe Inzerillo (12/06/81), figlio diciassetten-ne del boss Salvatore Inzerillo mutilato e ucciso.• Alfredo Agosta (18/03/82), maresciallo dei carabinieri di Catania del Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri del Tribunale di Catania. Molto noto nella città dove operava per essere un investigatore scrupoloso e preparato.• Antonino Burrafato (29/06/82), Vice Brigadiere di

ALCUNE DELLE VITTIME DELLA MAFIAPolizia, si stava apprestando ad andare al lavoro. Giunto a piazza Sant’Antonio alle ore 15.30 a poche decine di metri dal carcere, un commando di quattro uomini lo uccise usando esclusivamente armi corte.• Vincenzo Spinelli (30/08/82), imprenditore tes-sile ucciso per essersi rifiutato di pagare il pizzo.• Strage di via Carini (3/09/82): Carlo Alberto dalla Chiesa, generale dei Carabi-nieri e prefetto del capoluogo siciliano; Emanuela Setti Car-raro, moglie di dalla Chiesa, e Domenico Russo, agente di polizia, uccisi brutalmente mentre andavano a cena a Mondello.• Benedetto Buscetta e Anto-nio Buscetta (11/09/82), figli del pentito Tommaso Buscetta di 34 e 32 anni. I due giovani vennero rapiti poi torturati e strangolati da Pippo Calò, Salvatore Cancemi e altri mafiosi che volevano scoprire dove si fosse rifugiato il boss; i cadaveri furono poi bruciati e mai più ritrovati.• Giuseppe Genova e Orazio D’Amico (26/12/82), cognato e nipote di Buscetta.• Vincenzo Buscetta (29/12/82), fratello del pentito Tommaso.• Strage di via Pipitone Federico (29/07/83): Rocco Chinnici, capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, Mario Trapassi, maresciallo dei carabinieri; Salvatore Bartolotta, carabi-niere; Stefano Li Sacchi, por-tinaio di casa Chinnici, uccisi dallo scoppio di un’autobom-ba, che provocò anche gravi danni alla facciata del palazzo adiacente.• Roberto Parisi (23/02/85), imprenditore e presidente del Palermo calcio, assieme al suo autista Giuseppe Man-gano.• Strage di Pizzolungo (2/04/85): Barbara Rizzo in Asta, signora morta nell’at-tentato con autobomba contro il sostituto procuratore Carlo Palermo, salvatosi miracolo-samente; morti anche Giusep-pe e Salvatore Asta, i due figli gemelli di 6 anni della donna.

• Ninni Cassarà (6/08/85), dirigente della squadra mobile di Palermo, e il suo collega Roberto Antiochia, agente di polizia.• Giuseppe Insalaco (12/01/88), ex sindaco di Paler-mo.• Natale Mon-do, (14/01/88), agente di polizia scampato all’at-tentato in cui persero la vita Ninni Cassarà e Roberto An-tiochia, venne ucciso perché si era infiltrato nelle cosche mafiose.• Antonino Saetta (25/09/88), giudice ucciso con il figlio Stefano Saetta.• Mauro Rostagno (26/09/88), leader della comunità Saman per il recu-pero dei tossicodipendenti e giornalista, dai microfoni di una televisione locale faceva i nomi di capi mafia e di politi-ci corrotti. Venne assassinato a Valderice (TP).

Anni 1990• Vincenzo Miceli (23/01/90), geometra e imprenditore di Monreale, ucciso per non aver voluto pagare il pizzo.• Gaetano Genova (30/03/90), vigile del fuoco sequestrato e ucciso perché ritenuto un confidente della polizia. Il suo corpo verrà ri-trovato 8 anni dopo in seguito alle dichiarazioni del pentito Enzo Salvatore Brusca.• Giovanni Bonsignore, (9/05/90), funzionario della Regione Siciliana.• Nicolò Di Marco (21/02/91), geometra del co-mune di Misterbianco (CT).• Sergio Compagnini (5/03/91), imprenditore.• Libero Grassi (29/08/1991), imprenditore attivo nella lotta contro le tangenti alle cosche e il racket.• Salvo Lima (12/03/92), uomo politico democristiano, eurodeputato ed ex sindaco di Palermo strettamente legato alla mafia, sebbene non di-rettamente affiliato a nessuna famiglia, costituisce il trait-d-union tra Cosa Nostra e i

livelli alti dello Stato.• Rita Atria (27/07/92), figlia di un mafioso, muore suici-da dopo la morte di Paolo Borsellino, con il quale aveva iniziato a collaborare.• Ignazio Salvo (17/09/92), esattore, condannato per associazione mafiosa e ucciso su ordine di Totò Riina per non aver saputo modificare in Cassazione la sentenza del maxiprocesso che condannò Riina all’ergastolo.• Liliana Caruso (10/07/94), moglie di Riccardo Messina, pentito.• Agata Zucchero (10/07/94), suocera di Riccardo Messina, pentito.• Domenico Buscetta (6/03/95), nipote del pentito Tommaso Buscetta, ucciso da Leoluca Bagarella.• Gaetano Buscemi (28/04/95), pregiudicato di 29 anni, nipote del boss Pietro Aglieri.• Giuseppe Montalto (23/12/95) Poliziotto Peniten-ziario in servizio all’Ucciar-done di Palermo, ucciso per ordine del boss Vincenzo Virga.• Giuseppe Di Matteo (11/01/96), figlio del collabo-ratore di giustizia Santino Di Matteo, ucciso e disciolto in una vasca di acido nitrico.• Luigi Ilardo (10 maggio 1996), cugino del boss Giu-seppe Madonia, ucciso poco prima di divenire un collabo-ratore di giustizia.• Giuseppe La Franca (4 gennaio 1997), avvocato, assassinato perché non voleva cedere le sue terre ai fratelli Vitale.

Carlo Alberto Dalla Chiesa

Piersanti Mattarella

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Page 16: mai più MAFIA - Ciofs FP Lazio · Dimostrare amore verso la mamma, basta che non gli si risponde male e dandogli affetto e non vergognarsi, mentre affetto verso un amico e stragli

Questo giornale è stato realizzato dagli allievi dei corsi del Ciofs fp Lazio di Ladispoli che hanno approfondito e studiato l’operato di molte donne e uomini dediti alla lotta contro la mafia analiz-zando fatti di cronaca, articoli di giornale, canzo-ni, poesie, film e il libro di Alessandro D’Avenia “Ciò che inferno non è”.É stato un importante momento di crescita e di consapevolezza vissuto profondamente da tutti gli allievi.Un grazie sentito alla responsabile dell’ente Suor Novella Gigli e il direttore del centro Suor Stefania Lazzara e tutti i formatori del centro di Ladispoli per l’opportunità di conoscere e appro-fondire un difficile periodo storico italiano che purtroppo è ancora oggi più attuale che mai.

Realizzazione grafica a cura degli allievi del corso Operatore Grafico 1° - 2° - 3° anno

Testi rielaborati da siti internet da tutti gli allievi dei corsi del Ciofs fp Lazio - Ladispoli

Solo per utilizzo didattico

Sede di LadispoliA.F. 2018/19