Magazine Premio Città di Cava

8
La Giuria L IRIDE L’IRIDE Premio Letterario “Città di Cava de’ Tirreni” di poesia e narrativa - XXIX Edizione Questa XXIX edizione del Premio letterario “Città di Cava de’ Tir- reni” si conclude in un momento in cui la nostra società è ancora attraversata dalla crisi mondiale. Al di là dei ben noti aspetti eco- nomici, ciò che più colpisce è l’al- lontanamento della collettività dai valori fondamentali e dai principi che modellano le istituzioni quali l’etica, la giustizia, la fratellanza, la solidarietà. Siamo convinti che in uno scenario così drammatico la cul- tura possa svolgere un ruolo importante. Il rischio dell’ab- brutimento e della barbarie culturale e morale è forte, specialmente se tali aspetti della crisi vengono accantonati ad esclusivo beneficio della corsa alla ripresa economica. Il nostro Premio vuole essere uno stimolo per sottolineare l’importanza di questa causa, dando voce ad idee, senti- menti, storie provenienti dall’intero Paese. Nel microcosmo culturale del nostro concorso letterario stiamo percependo l’ingresso di nuovi temi emergenti che hanno come protagonisti personaggi disadattati, emar- ginati, calati in contesti sociali di grave degrado,quali le periferie urbane o le metropoli asettiche ed indifferenti. Una maggiore attenzione alla realtà di oggi, quindi, per ri- flettere sull’attuale condizione umana. Una spinta ulteriore per contribuire significativamente al rinnovamento cultu- rale della nostra epoca, ponendo al centro la Letteratura come esperienza di maturazione e di confronto. Con il nostro Concorso letterario cerchiamo di far emer- gere tanti scrittori e poeti non abbastanza valorizzati, ma anche di dare risalto al mondo dell’editoria, cui tocca il compito di scommettere sui nomi nuovi, alla ricerca di ta- lenti che meritino di approdare al grande pubblico. In questo Magazine che accompagna la conclusione del Concorso abbiamo riportato alcune delle opere premiate e, per quelle edite, le rispettive case editrici. La XXIX edizione ha visto la collaborazione di “Ad est dell’equatore edizioni” che pubblicherà “Gli oscuri incen- di” di Lucio Fiorentino, primo classificato per la Narrativa inedita. Vogliamo condividere con voi lettori un pensiero del suo editore, Carlo Ziviello, per il quale “i libri sono la nostra scommessa: farli, oggi, è difficile, ma noi crediamo ancora che possano inventare il migliore dei mondi pos- sibili”. In futuro avvieremo nuove iniziative per coinvolgere ancor più intensamente il mondo dell’editoria. Un ringraziamento speciale va ad Alfonso Amendola, Fa- bio Dainotti, Maria Olmina D’Arienzo e Concita De Luca per il profondo impegno profuso nell’esame delle numerose opere in gara e per il rigore e la passione con cui hanno affrontato la complessa fase della valutazione. Un grazie alla Provincia di Salerno, al Comune, all’Azienda di Soggiorno e Turismo di Cava de’ Tirreni e alla Banca del- la Campania che hanno sostenuto e patrocinato il Premio letterario, nonché agli altri partner non istituzionali che hanno creduto nella nostra iniziativa. Apriamo questo Magazine con l’incipit del romanzo “Scimmie” di Alessandro Gallo che si è aggiudicato il pri- mo premio per la Narrativa Edita. *Presidente dell’Associazione Culturale L’Iride Editoriale Maria Gabriella Alfano* settembre 2012 Ero così ego- centrico che a un matrimo- nio avrei finito per strappare l’abito bianco alla sposa. Gli sguardi, gli applausi e i sorrisi a lei dedicati. Così egocentrico da finire in una bara a un funerale sfrattando il morto, rubando il dolore e il pianto dei suoi cari. Ricordo quella sera come se fosse ieri. Eravamo lì: io, Franco e Tore. Solita panchina, solita serata ad atteggiarci a grandi, a fingere di essere i padroni di quella piazza e di tutto ciò che passava da lì. Cristiani e animali. – Uagliò, che cazze tiene ‘a guarda. Saje chi co- manda quà!? E bastava che il ragazzo facesse vedere la sua pau- ra che diventava un pupazzo nelle mani di una co- mitiva di scimmie arrabbiate. – Ti staje facendo la cacca sotto. Ricchione, stai tranquillo a casa ci torni. A pezzettini ma ci torni. Ci fingevamo forti, adolescenti duri, così facevamo credere ma poi, tornati a casa, ognuno di noi dove- va starsene in silenzio ad ascoltare e a obbedire ai propri genitori. A farsi asciugare la traccia di latte sulle labbra dalla sorella maggiore a colazione, a guardare il festival di Sanremo con tutta la famiglia, ad ascoltare il discorso del papa la domenica mat- tina, a pranzare, sempre in orario e con tutti i pa- renti nei giorni delle festività: Natale, Capodanno, Pasqua, Ferragosto. A festeggiare il primo scudetto del Napoli vestiti da ciucci, a sorridere sempre nelle foto dei matrimoni e dei battesimi, a piangere finte lacrime ai funerali di chissà quale parente lontano o amico stretto di famiglia. Genitori normali, geni- tori salariati come tanti. Papà meccanico, mamma infermiera, papà operaio, mamma casalinga, papà autista, mamma commessa. Per farci belli con le ragazzine compravamo abiti taroccati. – Uanema, ‘sta maglietta addò l’hai accattate. È uguale all’origginale… Come le peggiori controfigure dei modelli del- la “Milano da bere”, ci appostavamo fuori dalle scuole a caccia di ragazzine: – Tore, guarda ci sta Carmela. Mamma mia guarda che tette. A me sembrano due prosciutti. Ora vado, ora vado, ora vado ‘a ce da’ nu muorze! Ma mai nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi. Eravamo allergici. E le nostre prede scappavano, a suon di musica dance, con i nemici delle auto sportive, quelli delle tipe in minigonna e gli alettoni color blu cobalto. Solo nel nostro recinto, come dei maiali che gio- cano con il fango, condividendo letame e scarti di cibo, avremmo potuto conquistare anche la donna del capo clan, ma una volta usciti dal rione, una volta lasciata la nostra panchina, ci trasformavamo in cani bastonati. Piccoli ‘e male ‘ncavate, ci dicevano i nonnetti del circolo che costeggiava la panchina. Il branco era unito, ma la nostra non era altro che una solida- rietà da pezzenti che si sostengono, da quindicenni che volevano sembrare come i loro coetanei, usan- do tutti i mezzi possibili. – Noi partiamo svantaggiati, questo è il nostro pro- blema. Sì, perché noi siamo figli di gente normale, di quel- la gente che la camorra ‘a sputa in faccia per gio- co, per passatempo domenicale. Noi siamo figli di padri che pagano il pizzo e che abbassano sempre lo sguardo a qualsiasi minaccia e di madri che si piangono la vetrina sfondata del proprio negozio. Però a noi questa vita da poveri cristi non ci deve Scimmie di Alessandro Gallo Navarra Editore 2011 pagine 74 euro 10,00 Primo Premio Narrativa Edita Il libro racconta una vicenda per certi aspetti simile a quella di Gomorra, ma con risvolti originali e trama differente, in un romanzo dove l’’inferno napoletano è aperto alla speranza, ad una possibile redenzione; un libro scritto bene, scorrevole, che si legge tutto d’un fiato. Racconta della vita di tre adolescenti alle prese con l’iniziazione ad una cultura camorristi- ca, tre giovani che vivono nella periferia partenopea sognando di imitare i boss della malavita, provando una improbabile gavetta di malefatte, nel tentativo di imitare modelli di violenza e di sopraffazione, come scimmie appunto. La prospettiva di una vita facile, fatta di soldi e potere, si infrange alla morte di uno dei tre. Nell’intreccio del romanzo compare la figura di Giancarlo Siani, giovane giornalista che come un Virgilio accompagna il protagonista-narratore a scoprire il vero volto dei clan, un mondo di sopraffazione estrema e di crudeltà che ha come prospettiva la morte o la schiavitù del legame camorristico. Nel finale la luce del riscatto illumina il protago- nista che sceglie una “vita normale”. Un romanzo breve ma intenso, a tratti caratterizzato da tinte forti, neorealistiche, ma senza eccessi da fiction, idoneo ad essere utilizzato anche come testo di narrativa per le scuole. Concita De Luca continua in ultima pagina

description

Anno 2012 magazine premio Città di Cava de'Tirreni

Transcript of Magazine Premio Città di Cava

La Giuria

L’IRIDEL’IRIDEPremio Letterario “Città di Cava de’ Tirreni” di poesia e narrativa - XXIX Edizione

Questa XXIX edizione del Premio letterario “Città di Cava de’ Tir-reni” si conclude in un momento in cui la nostra società è ancora attraversata dalla crisi mondiale. Al di là dei ben noti aspetti eco-nomici, ciò che più colpisce è l’al-lontanamento della collettività dai valori fondamentali e dai principi che modellano le istituzioni quali l’etica, la giustizia, la fratellanza, la solidarietà.

Siamo convinti che in uno scenario così drammatico la cul-tura possa svolgere un ruolo importante. Il rischio dell’ab-brutimento e della barbarie culturale e morale è forte, specialmente se tali aspetti della crisi vengono accantonati ad esclusivo beneficio della corsa alla ripresa economica. Il nostro Premio vuole essere uno stimolo per sottolineare l’importanza di questa causa, dando voce ad idee, senti-menti, storie provenienti dall’intero Paese.Nel microcosmo culturale del nostro concorso letterario stiamo percependo l’ingresso di nuovi temi emergenti che hanno come protagonisti personaggi disadattati, emar-ginati, calati in contesti sociali di grave degrado,quali le periferie urbane o le metropoli asettiche ed indifferenti.Una maggiore attenzione alla realtà di oggi, quindi, per ri-flettere sull’attuale condizione umana. Una spinta ulteriore per contribuire significativamente al rinnovamento cultu-rale della nostra epoca, ponendo al centro la Letteratura come esperienza di maturazione e di confronto. Con il nostro Concorso letterario cerchiamo di far emer-gere tanti scrittori e poeti non abbastanza valorizzati, ma anche di dare risalto al mondo dell’editoria, cui tocca il compito di scommettere sui nomi nuovi, alla ricerca di ta-lenti che meritino di approdare al grande pubblico.In questo Magazine che accompagna la conclusione del Concorso abbiamo riportato alcune delle opere premiate e, per quelle edite, le rispettive case editrici.La XXIX edizione ha visto la collaborazione di “Ad est dell’equatore edizioni” che pubblicherà “Gli oscuri incen-di” di Lucio Fiorentino, primo classificato per la Narrativa inedita. Vogliamo condividere con voi lettori un pensiero del suo editore, Carlo Ziviello, per il quale “i libri sono la nostra scommessa: farli, oggi, è difficile, ma noi crediamo ancora che possano inventare il migliore dei mondi pos-sibili”.In futuro avvieremo nuove iniziative per coinvolgere ancor più intensamente il mondo dell’editoria.Un ringraziamento speciale va ad Alfonso Amendola, Fa-bio Dainotti, Maria Olmina D’Arienzo e Concita De Luca per il profondo impegno profuso nell’esame delle numerose opere in gara e per il rigore e la passione con cui hanno affrontato la complessa fase della valutazione. Un grazie alla Provincia di Salerno, al Comune, all’Azienda di Soggiorno e Turismo di Cava de’ Tirreni e alla Banca del-la Campania che hanno sostenuto e patrocinato il Premio letterario, nonché agli altri partner non istituzionali che hanno creduto nella nostra iniziativa.Apriamo questo Magazine con l’incipit del romanzo “Scimmie” di Alessandro Gallo che si è aggiudicato il pri-mo premio per la Narrativa Edita.

*Presidente dell’Associazione Culturale L’Iride

EditorialeMaria Gabriella Alfano*

settembre 2012

Ero così ego-centrico che a un matrimo-nio avrei finito per strappare l’abito bianco alla sposa. Gli

sguardi, gli applausi e i sorrisi a lei dedicati. Così egocentrico da finire in una bara a un funerale sfrattando il morto, rubando il dolore e il pianto dei suoi cari.Ricordo quella sera come se fosse ieri. Eravamo lì: io, Franco e Tore. Solita panchina, solita serata ad atteggiarci a grandi, a fingere di essere i padroni di quella piazza e di tutto ciò che passava da lì. Cristiani e animali.– Uagliò, che cazze tiene ‘a guarda. Saje chi co-manda quà!?E bastava che il ragazzo facesse vedere la sua pau-ra che diventava un pupazzo nelle mani di una co-mitiva di scimmie arrabbiate.– Ti staje facendo la cacca sotto. Ricchione, stai tranquillo a casa ci torni. A pezzettini ma ci torni.Ci fingevamo forti, adolescenti duri, così facevamo credere ma poi, tornati a casa, ognuno di noi dove-va starsene in silenzio ad ascoltare e a obbedire ai propri genitori. A farsi asciugare la traccia di latte sulle labbra dalla sorella maggiore a colazione, a guardare il festival di Sanremo con tutta la famiglia, ad ascoltare il discorso del papa la domenica mat-tina, a pranzare, sempre in orario e con tutti i pa-renti nei giorni delle festività: Natale, Capodanno, Pasqua, Ferragosto. A festeggiare il primo scudetto del Napoli vestiti da ciucci, a sorridere sempre nelle foto dei matrimoni e dei battesimi, a piangere finte lacrime ai funerali di chissà quale parente lontano o amico stretto di famiglia. Genitori normali, geni-tori salariati come tanti. Papà meccanico, mamma

infermiera, papà operaio, mamma casalinga, papà autista, mamma commessa.Per farci belli con le ragazzine compravamo abiti taroccati.– Uanema, ‘sta maglietta addò l’hai accattate. È uguale all’origginale…Come le peggiori controfigure dei modelli del-la “Milano da bere”, ci appostavamo fuori dalle scuole a caccia di ragazzine:– Tore, guarda ci sta Carmela. Mamma mia guarda che tette. A me sembrano due prosciutti. Ora vado, ora vado, ora vado ‘a ce da’ nu muorze!Ma mai nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi.Eravamo allergici. E le nostre prede scappavano, a suon di musica dance, con i nemici delle auto sportive, quelli delle tipe in minigonna e gli alettoni color blu cobalto. Solo nel nostro recinto, come dei maiali che gio-cano con il fango, condividendo letame e scarti di cibo, avremmo potuto conquistare anche la donna del capo clan, ma una volta usciti dal rione, una volta lasciata la nostra panchina, ci trasformavamo in cani bastonati.Piccoli ‘e male ‘ncavate, ci dicevano i nonnetti del circolo che costeggiava la panchina. Il branco era unito, ma la nostra non era altro che una solida-rietà da pezzenti che si sostengono, da quindicenni che volevano sembrare come i loro coetanei, usan-do tutti i mezzi possibili. – Noi partiamo svantaggiati, questo è il nostro pro-blema.Sì, perché noi siamo figli di gente normale, di quel-la gente che la camorra ‘a sputa in faccia per gio-co, per passatempo domenicale. Noi siamo figli di padri che pagano il pizzo e che abbassano sempre lo sguardo a qualsiasi minaccia e di madri che si piangono la vetrina sfondata del proprio negozio. Però a noi questa vita da poveri cristi non ci deve

Scimmie di Alessandro Gallo

Navarra Editore 2011 pagine 74 euro 10,00

Primo Premio Narrativa Edita

Il libro racconta una vicenda per certi aspetti simile a quella di Gomorra, ma con risvolti originali e trama differente, in un romanzo dove l’’inferno napoletano è aperto alla speranza, ad una possibile redenzione; un libro scritto bene, scorrevole, che si legge tutto d’un fiato. Racconta della vita di tre adolescenti alle prese con l’iniziazione ad una cultura camorristi-ca, tre giovani che vivono nella periferia partenopea sognando di imitare i boss della malavita, provando una improbabile gavetta di malefatte, nel tentativo di imitare modelli di violenza e di sopraffazione, come scimmie appunto. La prospettiva di una vita facile, fatta di soldi e potere, si infrange alla morte di uno dei tre. Nell’intreccio del romanzo compare la figura di Giancarlo Siani, giovane giornalista che come un Virgilio accompagna il protagonista-narratore a scoprire il vero volto dei clan, un mondo di sopraffazione estrema e di crudeltà che ha come prospettiva la morte o la schiavitù del legame camorristico. Nel finale la luce del riscatto illumina il protago-nista che sceglie una “vita normale”. Un romanzo breve ma intenso, a tratti caratterizzato da tinte forti, neorealistiche, ma senza eccessi da fiction, idoneo ad essere utilizzato anche come testo di narrativa per le scuole. Concita De Luca

continua in ultima pagina

Il libro di Cristò (nome d‘arte di uno scrittore-musicista barese, giunto al suo secondo romanzo) è una vera e propria sfi da verso il lettore. Partendo da una provocazione diretta e senza alcuna mediazione („questo libro fa schifo“), L‘orizzonte degli eventi procede spingendo verso diversi temi: l‘ironia, la malattia (centralmente il libro è una profonda rifl essione sull‘Alzhei-mer), l‘inventiva del linguaggio, lo scambio dei ruoli (autore versus personag-gio, realizzando un mirato sdoppiamento che non perde mai di ritmo e di suggestione). Il tutto immerso in una sapiente tensione metaletteraria che indica un lavoro di consapevolezza e conoscenza della materia che imprezio-sisce fortemente il romanzo (dove gli echi non possono non rimandare da un lato alle centralità metanarrative di Luigi Pirandello e dall‘altro alle tensioni post-modern e meta-fi ction di John Barth). La scrittura di Cristò entra in ma-niera chirurgica nell‘articolazione dei temi proposti, prediligendo (con cura e costanza di stile) una scrittura lucida, volutamente formale, sempre raffi nata. Riuscendo a dare, allo spazio „claustrofobico“ in cui è ambientato L‘orizzonte degli eventi, una pienezza e una visionarietà eccellente (densa di specchi, in-trecci, rimandi, snodi immaginifi ci). Alfonso Amendola

Erano stanchi e distrutti. Qualcuno sorrideva sereno per la fi ne del calvario. Molti erano stati ritrovati dai fami-liari, che ora li circondavano facendo mille domande: dove erano stati, come si sentivano, cosa gli era succes-so. Peppinella oltrepassò quei nugoli di persone senza

guardare: lì di sicuro il fi glio non c’era e non le interessava vedere chi fosse il prigioniero attorniato dai suoi.Guardò prima quelli nei lettini, ma non c’era. Poi passò a quelli feriti, stesi in corsia: non c’era. Guardò tra quelli seduti. Non era neanche lì.Cominciò a sentire le gambe che le tremavano e la testa che girava. Aveva guardato quasi tutta la corsia e lui non c’era. Le restavano quegli ultimi prigionieri seduti e appoggiati sotto la fi nestra. Se non era lì...Guardò quei ragazzi attentamente. Erano la sua ultima speranza, ma nessuno di essi era suo fi glio. Un soldatino attirò la sua attenzione, tanto la guardava e la scrutava.Era pallido e disfatto, con due fosse sulla faccia, segno di un prolungato digiuno e magro da potergli contare le ossa. Aveva il capo reclinato su di una spalla, come chi sta per essere abbandonato dalle sue ultime forze e continuava a guardare Peppinella. La donna provò tanta pietà ma passò oltre, disperata, ormai convinta che suo fi glio non era lì. Non aveva fatto neanche due passi che sentì un fi lo di voce ansimante chiamarla: «Oje ma’...». Si voltò stupita verso quel soldato che prima l’aveva guardata. Tornò indietro e si inginocchiò vicino a lui, incredula, interrogandolo.«Savino?...».II soldatino con gli occhi socchiusi accennò a un breve sorriso e annuì leggermente col capo. Finalmente Peppinella lo riconobbe e impazzì di gioia e di rimorso perché non era stata capace di riconoscerlo subito.Lo abbracciò piangendo e, in un attimo, si liberò dal macigno di una attesa che le stava schiacciando il petto, dando sfogo a tutta la sua commozione.«Figlio mio bello e caro! Che madre ingrata che hai! Ti sto aspettando da tanti anni, ho strappato il Cristo dalla Croce perché tornassi...E adesso che ho fatto?... Ti sono passata avanti senza vederti...Core mio! A puo’ perdona’ a chesta mamma infame?... Io che ti ho sognato tutte le notti, io che sentivo l’addore e chistu fi glio mio...non l’ho riconosciuto!... Luce della casa mia, ma che ti hanno fatto?Che ti hanno fatto?! Che ti hanno reso sconosciuto pure agli occhi di tua ma-dre?...» e mentre parlava i suoi baci ricoprivano tutto quel volto smagrito che, di vivo, aveva solo gli occhi, mentre le lacrime correvano giù a bagnare il viso della madre e del fi glio.

Il romanzo, a impianto naturalistico, si rivela specchio fedele della realtà storica ( la guerra, la prigionia), ma anche della quotidiana fatica del vivere degli umili protagonisti, visti dall’occhio partecipe di un narratore onnisciente: Peppinella, madre eroica fi no all’abnegazione nell’allevare e di-fendere da sola la numerosa prole; Savino, il fi glio prediletto, paziente nel sopportare le angherie altrui, per la mitezza che ne caratterizza l’indole e ne disarma l’animo, ma pronto a ribellarsi nel lager di fronte all’inumana crudel-tà degli aguzzini tedeschi.Maria Rossi ha saputo inoltre delineare in pochi tratti il carattere e il destino di tanti personaggi secondari.Nella scrittura, attenta e sorvegliata, si alternano, sapientemente dosati, i toni patetici e quelli umoristici, e si evita così di ingenerare monotonia e stanchezza, pur in una narrazione di così ampio respiro.

Fabio Dainotti

NARRATIVA EDITAL’IRIDEL’IRIDE

Caterina si è poggiata sul letto. Non le capita spesso di poter riposare un po’. La presenza di Davide le permette di rilassarsi, di non pensare a suo padre (a quello che ne è rimasto) e di riposare. Dio, che bisogno ha di riposare.

Negli ultimi due anni è invecchiata velocemente (ingrassata, borse sotto gli occhi, rughe d’espressione triste, qualche capello bianco) ed è uscita di casa così poco che prendersi cura del proprio aspetto è diventato lentamente secondario. Che sarebbe rimasta sola lo sapeva, ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa, ma non pensava che sarebbe successo così velocemente. Quella carezza di Davide (la carezza di un uomo) ha risvegliato le sue frustrazioni. Ha amato diverse donne, spesso ricambiata, ma alla fi ne anche lei ha dedicato la vita a un uomo. Suo padre o suo marito poco im-porta. Lei ha dedicato la vita a un uomo, cioè esattamente quello che aveva giurato di non fare mai. Guardava il modo in cui invecchiava sua madre assecondando le necessità capricciose di un genio della narrativa. Ricorda perfettamente lo sguardo di quella donna che aveva passato la maggior parte della sua vita da adulta a pulire la casa, cucinare e rifare il letto nel nome di un amore che passava il suo tempo chiuso nello studio a scrivere. Lei si consolava dicendo che almeno stava a casa, che almeno non doveva aspettare che tornasse stanco da una giornata di lavoro pesan-te. Diceva che era contenta, diceva che era orgogliosa di essere sua moglie. Diceva, diceva, diceva un sacco di cose ma i suoi occhi invecchiavano più velocemente della sua pelle. Teresa, così si chiamava sua madre, diceva con orgoglio di aver sposato un uomo che riusciva a mantenere lei, la loro fi glia e una bella casa facendo lo scrittore. Non ce ne sono tanti – diceva. Ma intanto allo scrittore doveva tenere nascosto che la loro bambina era lesbica e che le sue amiche non erano semplici compagne di scuola. Perché lo scrittore si sarebbe infuriato o, come diceva Teresa, non avrebbe capito. L’aveva sempre chiamata mamma, ma da quando era morta le veniva più na-turale chiamarla per nome. Quando il medico le aveva detto “la signora Teresa non ce l’ha fatta”, il nome aveva preso il sopravvento ed era successo in un attimo. Da quel momento in poi Caterina aveva parlato di sua madre pronunciandone il nome tutte le volte che era possibile. Non è morta la mamma, è morta Teresa. Lo faceva per questo, inconsciamente.Insomma Teresa era morta e lei doveva pensare a tutto. Suo padre, Giovanni, comin-ciò a svanire pochi mesi dopo la morte di sua moglie. All’inizio erano dei buchi di memoria trascurabili, e in due anni eccolo lì sulla poltrona vinaccio a leggere il suo libro più famoso come fosse il libro di un altro. Eccolo lì a sputare sentenze sul suo libro, a criticarlo ferocemente. Eccolo lì a scambiare il suo agente per il marito di sua fi glia. Eccolo lì a struggersi e a sentirsi incompreso, a imprecare contro gli editori e sui poveri tempi in cui si era trovato a vivere. Eccolo lì scomparire lentamente tanto da non avere il tempo di cambiargli il nome, di pensare a papà come Giovanni. Gio-vanni sta scomparendo, non papà – questo, Caterina, non riesce proprio a pensarlo.

L’orizzonte degli eventi di Cristò

Il Grillo Editore 2011pagine 83 - euro 13,00

Secondo Premio ex aequoSecondo Premio ex aequo

Come il pane nero di Maria Rossi

Centro Iniziative Culturali 2009pagine 239 - euro 10,00

La GiuriaLa Giuria

NARRATIVA EDITAL’IRIDEL’IRIDE

Drest cercò per un istante di schermarsi il viso con una mano. In quel momento si pentì di aver lasciato accese le luci al piano superiore.«Devo farle una domanda, poi vado via subito. Vedo

che non ha la crema.»E poi i capelli di Drest, notoriamente sempre lisci e in ordine, presentavano in quel momento una strana arricciatura.«Ora la faccio allontanare!»Armand, con l’ausilio di quella luce che dal piano superiore imbrattava il giardino, fi ssava la star, cercando con gli occhi di penetrare il buio che l’avvolgeva. Il volto di Drest era davvero scuro; terribilmente, impressionantemente scuro!«Che mi hai combinato, Danny...?» fece Armand con un fi lo di voce.Drest respirava tremante, a bocca aperta, a occhi puntati in avanti, aggrappandosi alla porta. Ecco un uomo, un debole e mortale uomo, che cerca di avere a che fare col mondo, con le sue regole e i suoi oggetti. Drest ansimava e puntava debolmente gli occhi in avanti, cercando di aggrapparsi con lo sguardo a qualcosa, così come le sue mani si stavano aggrappando alla porta. Ecco la sua umanità, ecco la sua persona. Era un uomo, debole, un cuore che batteva. E ora si doveva scontrare con gli altri, con la realtà degli altri, con la maggioranza del mondo che gli avrebbe im-pedito di fare una cosa, che gli avrebbe impedito perfi no di essere, e contro la quale non si può andare. Ecco un uomo che sa che le cose buone e innocue che vuole allegramente e candidamente fare, così come le vuole fare un bambino, saranno brutalmente e gratuitamente frenate.«Il negretto di New York, mi è diventato un divo del cinema...» continuò Armand con quella stessa voce «Ma non si può fare... Il cinema non è tuo... Sei un ne-gretto..., lo capisci...? Il cinema è una cosa seria, per persone, non è una cosa da animali. Sei inferiore, sei un animaletto, non puoi, tu, fare queste cose... Il mondo non è tuo...»«Conosce un attore negro di nome Daniel Demski, che lavorò con Tongouch e che le somiglia?» chiese Armand a Drest, cambiando improvvisamente tono.«Vattene!» disse Drest con voce angosciata «Perché mi torturi?! Io non ti ho fatto niente! Io recito soltanto. Se non mi vuoi non mi andare a vedere!»

Il romanzo di esordio del giovane Saverio Manzi (classe 1984) ha dentro di sé diverse caratteristiche che indicano una solidità di stile nella scrit-tura e una ricca originalità tematica. La scrittura in Drest, in primo luogo, si muove con un sicuro ritmo che guarda all‘immaginario cinematografi co (rie-vocando, in tal modo, il percorso di formazione e la prospettiva professionale dell‘autore). Una scrittura, quindi, veloce, molto scattante e con un senso del visivo estremamente riuscito. Il tutto si evidenzia, in particolar modo, nella briosità dei dialoghi. Altro discorso di merito riguarda l‘originalità della sto-ria. Una storia, questa di Saverio Manzi, che si sviluppa con ironia e con una buona dose di „mistero“ da avvincere il lettore. Un lettore che gradualmen-te viene coinvolto, dentro un viaggio concreto e visionario, nella Hollywood degli anni Trenta. Indicando, infi ne, una vivace sensibilità coloristica mista ad una precisa abilità di muoversi con perizia ed intelligenza letteraria in una storia che racconta, anche, un importante capitolo della “storia del cinema” nel passaggio dal bianco e nero al colore.

Alfonso Amendola

La Giuria

Terzo Premio ex aequo

Drestdi Saverio ManziNeftasia Editore 2012

pagine 123 - euro 13,00

I nostri genitori hanno cinquant’anni in due, equa-mente distribuiti, anzi no, Riccardo supera Ester di otto mesi; mesi che l’hanno sempre contraddistinto per la fretta, come se avesse un’urgenza da assolvere e non un’occasione per vivere. Quel venire al mondo prima di lei l’ha sempre portato a essere un passo

avanti, con la sensazione di non avere mai tempo a suffi cienza, di non riuscire a farci stare tutto nel recipiente della sua vita di giovane uomo: il tempo lui lo rincorre con velocità, come s’insegue un aquilone che non sai se è ancora attaccato al fi lo o se l’hai perso per sempre.Nostra madre Ester conobbe quel ragazzo dai capelli castani e lo sguardo nero e penetrante dieci mesi prima di sposarlo, a una fermata del tram avviluppata da un’in-consueta nebbia ottobrina, in una Milano che si destava per un’altra giornata di lavoro. Il traffi co di superfi cie iniziava a trasformarsi: nel giro di mezz’ora sarebbe diventata la solita bolgia infernale.«Qui per spostarsi degnamente ci vorrebbe il teletrasporto… o magari sarebbe suf-fi ciente anche una moto, di quelle maneggevoli, basse ma potenti, che ti consentono di dribblare, con assoluta sicurezza, perfi no dei pedoni in Corso Buenos Aires.»Il ragazzo non si presentò, non chiese il permesso di parlarle, non le domandò il nome, sembrò non guardarla troppo attentamente, ma si rivolse a lei come se si conoscessero da sempre e avessero interrotto il discorso il giorno prima. L’inusuale approccio, in una Milano spesso menefreghista e indifferente, colpì molto Ester. Quel ragazzo le piacque subito, e molto. (…)A noi qua, tutto arriva attutito, fi ltrato accuratamente, ma sentiamo ogni cosa. Perce-piamo il mondo lì fuori e anche quello qua dentro in un modo che è diffi cile descrive-re a chi utilizza esclusivamente i cinque sensi. Le cose noi le sappiamo e le vediamo. Osserviamo quello che è stato, le esperienze della mamma e del papà, come due radioline sintonizzate sulle loro frequenze.Saremo due femmine - i nostri genitori ancora non lo sanno - e, se tutto andrà bene, nasceremo nel vostro mondo fra quattro mesi. Viviamo in camere separate, ossia in sacche diverse, e in questo momento lo spazio non ci manca: la tana dentro la pancia della mamma è ancora comoda e spaziosa. È delizioso vivere, nuotare, crescere ed evolvere con questo senso di protezione che ci pervade e nutre in ogni istante.Nostra madre scoprì di essere incinta quattro mesi fa e pianse di paura e contentezza. Nostro padre pianse solo di gioia. Dalla mattina del loro primo incontro erano passati sei mesi, ma la loro vita aveva subito un’accelerazione che aveva portato cambia-menti radicali, fu catalizzazione di sconosciute reazioni chimiche. In quei mesi Ester provò vertigine, una specie di stordimento per la velocità della trasformazione. Dentro sentiva il nuovo che sbocciava e quando gli cercò un nome, l’unico che le venne in mente fu: felicità.

Una storia d’amore sbocciata alla fermata della metro nel gro-viglio urbano di Milano. Partendo da quello che potrebbe essere un incipit scontato, l’autore racconta di una storia vera, inserendo nell’intreccio narrativo gli aspetti imprevedibili di una vicenda realmente accaduta. Il caso, il desti-no, la provvidenza, l’incrocio di due esistenze che si incontrano per formare un’unità, come per un gioco di attrazione che porta due persone dai percorsi diversi a ritrovarsi sulla stessa strada, una congiunzione tanto più affascinante nel labirinto di percorsi che una metropoli può generare ogni giorno, ogni ora, ogni secondo. Nel 2011 il racconto ha vinto la IV edizione del Premio Letterario dedicato al giornalista Filippo Ivaldi.

Concita De Luca

Bastoni di Nuvoledi Luca Zini

Apostrofo Editore 2011pagine 71 - euro10,00

Terzo Premio ex aequo

La Giuria

L’opera, che presenta spunti interessanti, si segnala per l’incisi-vità delle movenze del discorso, la freschezza di talune notazioni e la preci-sione dei rimandi ad un periodo storico che l’autore sente ed evoca. Effi caci la scrittura e lo stile narrativo.

Ormai solo e senza nulla della vita passata a ricordarmi chi ero, libero di dedicarmi alla mia opera e agli studi, dopo essermi creato il vuoto attorno e scavato il vuoto dentro, mi abbando-nai con dedizione assoluta al mare della cono-scenza. E come se la verità che inseguivo avesse bisogno di spazio, senza più argini a frenarlo, quel mare invase tutto. Tutta l’energia che un uomo sente dentro di sè

e che confusamente disperde nei giorni della sua esistenza, la percepivo adesso unita e compatta. Una forza diretta alla distruzione di quello che ero stato e che in pochi mesi aveva corroso dal di dentro, fi no a farla crollare, la mia vita così come si era consolidata negli anni. Quella presenza voleva l’assenza di ogni altra cosa. Voleva il vuoto assoluto. Ma per accogliere cosa? La vertigine che mi possedeva non consentiva risposte. Nè vie di ritorno. Potevo solo avanzare. E avanzai. Dopo la prima folgorante visione attendevo il momento in cui mi sarei sentito pronto a sostenere quello sguardo, quegli occhi enormi e puri che avevano cercato in me la stessa purezza. Ma quel momento non venne mai.Mai più rividi quell’accecante bagliore che forse voleva rivelare me a me stesso, a patto che fossi disposto a perdermi. Ben presto mi rispecchiai in altri occhi sconosciuti. Fu il giorno in cui, proprio guardandomi allo specchio, vidi i miei. Ma molto più grandi sul viso terribilmente smagrito. Capii che la vita completamente stravolta aveva cambiato anche il mio corpo e fu spaventoso percepire nel mio sguardo la luce oscura di un pazzo dedito ostinatamente alla contemplazione della propria follia.Coprii lo specchio e ripresi a lavorare. E mentre il passato si allontanava da me, ricominciai l’instancabile corsa. Lo sforzo sovrumano a cui avevo sottoposto i miei sensi, le notti di veglia e le lunghe giornate senza riposo, tutte le pagine lette e quelle scritte, mi avevano precocemente invecchiato e logorato irreversibilmente la vista tanto che le ultime settimane lavorai con grande lentezza. Il sapere raccolto in quell’anno non intendeva lasciare al corpo e allo spirito la possibilità di andare oltre mentre la traduzione che lo racchiudeva s’imponeva a mia insaputa come il mio testamento.Eppure continuai. Continuai fi nchè non arrivò il giorno magnifi co in cui terminai la mia opera.

Il lavoro è caratterizzato da una scrittura matura ed omogenea, scorrevole e non priva di ricercatezza formale, il che lascia trasparire un ap-proccio alla parola non dilettantesco. Si tratta di un’antologia di racconti in-trospettivi, fortemente simbolici e ben congegnati, non privi di originalità e spesso collegati tra loro, il che rende l’opera fruibile per il lettore.Sia la tematica sia lo stile narrativo rispondono pienamente alla linea editoria-le di “Ad est dell’equatore”. Suggestivo e poetico il titolo.

NARRATIVA INEDITAL’IRIDEL’IRIDE

Mia nipote Sofi a mi ha chiesto a bruciapelo per-ché i vecchi siano tanto aggrappati alla vita. La domanda mi ha lasciato senza parole. L’ho guar-data con apprensione, mentre alzava lo sguardo da Gi. Ha tredici anni ed è una ragazzina troppo sveglia per non capire che stavolta suo nonno non se la caverà con una battuta di alleggeri-mento. Ho preso fi ato e mi sono detto: niente paura, stiamo solo parlando di una gatta moren-te. Gi, per l’appunto, è una gatta di quasi diciotto anni che sta dando gli ultimi. Di certo Sofi a non intendeva parlare di me o di mia madre, ma solo

di gatti. Per di più, per ciò che riguarda questa gatta la sua domanda calza a pennel-lo. Da quando l’ho vista nascere da una gatta similmente sbadata in fatto di maschi, ha fi gliato ogni anno. Nei suoi anni d’oro scodellava una covata a stagione, tre mici a botta: una follia maltusiana. Mia madre trovava una famiglia anche ai malaticci che poi smentivano le previsioni e diventavano leoni. Come avrai fatto, gatta, a non capire il fastidio che ci procuravi? Potevi tenertela stretta, invece eri sempre in giro a strusciarti con qualche maschio. Non sai quante volte io abbia raccomandato a mia madre di farti sterilizzare! Lei rispondeva che sarebbe stato contro natura. In campagna, di gatti non ce n’è mai abbastanza, visto i topi che bazzicano questa terra. In più, Gi è anche strafottente. Basta fi ssarla un po’ a lungo perché tenti di azzannarti, arcuando la schiena e soffi ando a più non posso. Sempre così, diffi cile da accarezzare, fi gurarsi portarla da un veterinario!«E’ una domanda diffi cile», rispondo a Sofi a dopo aver ponderato la domanda. «Ci penserò su e ti farò sapere». Lei sogghigna per avermi scoperto impreparato. Non è la prima volta né sarà l’ultima.«Non te la caverai con poco», dice, accettando la transazione. Sarà una trattativa dif-fi cile. Mi allontano dal capezzale della gatta moribonda. Non mangia da due giorni, ma l’istinto che guata sotto l’ultima vita minaccia ancora sfracelli se solo una mano osasse avventurarsi sul suo pelo. Sofi a ha il permesso di provarci. La gatta brontola il suo apprezzamento con l’ultimo tentativo di fusa che le resta nei polmoni. Raggiungo mia madre seduta in giardino. È primavera, un caldo aprile che invoglia a vivere, invece di porsi domande tanto profonde. Mi vede e sorride. Il suo sorriso è lo stesso di Sofi a. Femmine, cosa posso capirne? Eppure, ho il dovere di trovare una risposta a Sofi a prima di smentire il mio enciclopedismo illuminato.

Primo Premio

Gli oscuri incendidi Lucio Fiorentino

La Giuria

La Giuria

Secondo Premio

Le ragioni dei vecchidi Roberto Vaccari

L’IRIDEL’IRIDEVia Martelli Castaldi, 2A - 84013 Cava de’ Tirreni (SA)

www.irideartecultura.it [email protected]

Associazione Culturale

foto di Emilio SergioCava de’ Tirreni: Centro Storico (foto di Emilio Sergio)

NARRATIVA INEDITAL’IRIDEL’IRIDE

La rinascitaLuca doveva andare. Il nostro ragazzo doveva andare, anche se la fattoria senza di lui non sarà più la stes-sa. Mi ero preparata a salutarlo con il linguaggio dei segni ma non ho fatto altro che piangere.

Mi piace starmene seduta a guardare le colline con le mie compagne mentre cia-scuna si perde nei suoi pensieri. Maria starà pensando a suo fi glio e al suo destino. Norma sarà la narratrice silenziosa delle nostre storie ed io penserò a quelle che siamo ora. Tre donne che vivono un’altra vita. Una vita che non doveva essere la loro. Chi saremmo oggi se non avessimo avuto quel destino? Maria oggi sarebbe una donna sposata con fi gli normali. Norma sarebbe un avvocato di grido o anche un politico di prestigio. Io sarei tornata alla mia terra e avrei imparato a suonare il pia-no come mia nonna che mi faceva sognare da bambina sulle note avvolgenti delle danze slave o quelle inquietanti di Cajkovskij. Siamo qui a vivere questa nuova vita che se anche sembra non essere la nostra, è la vita che ci è stata data come possibilità di cambiamento e rinascita. La nostra rinascita è il lavoro a quale ci dedichiamo, le storie che ci uniscono e l’amore per un ragazzo che ha bisogno di noi. Chi siamo ora? Maria è una donna ancor giovane che nasconde il suo corpo per amore del fi glio e che si dedica a preparare miscele sempre più aromatiche. Norma è una donna che ci ha dato tutta se stessa senza conservare nulla per sè e tiene insieme le fi la delle nostre vite. Ed io sono una donna di mezza età, grassa e con i capelli da porcospino alla quale piace mangiare e si diverte, ogni tanto, a parlare in russo come in questo momento mentre siamo sedute con le mani nelle mani. E in questo momento potremmo dissolverci per amore come Sneugurocka, la fan-ciulla di neve di una favola russa, che, fi glia insensibile della Primavera e del gelido Inverno, sentì mutare dentro di sé qualcosa quando si innamorò, anche se un raggio di sole, simbolo dell’amore stesso, la colpì facendola scomparire per sempre e solo allora il sole potè ritornare a risplendere…

Linguaggio e stile appaiono attuali e, nel complesso, incisivi. In-trigante il titolo; interessante ed originale la scelta dell’elemento –il caffè- che tiene uniti i fi li della narrazione. Le storie risultano piacevoli e fruibili alla lettura.

La Giuria

Terzo Premio

Il caffè cambia il colore dell’acquadi Silvana Aurilia

altri Autori premiati

Premiati con Targa

Premiati con Medaglia

PREMIAZIONE XXVIII EDIZIONE

Auditorium Mediateca MARTE

La Giuria

Giuseppe Basta

Valentina Anacoreti, Matteo Cosimato, Gerardo Giordanelli, Sandro Mano-ni, Mariano Mastuccino, Adriano Poncellini.

Mirtide Bonfanti, Alfredo Citro, Carmelo Greco, Rita Iacomino, Antonella Manzo, Giovanni Orlando, Simone Turri e Daniela Mecca.

Gladiatori Lavoratori della PoliziaFronteggianoLavoratori dei Cantieri .Che minacciano chiudere.

Forze uguali e contrarieSi annullano.Sulla linea Dello spartiacque.

Linea di stallo.

MetaforaDi un Paese immobile.Lento.

Uomini in divisa.Uomini in maglietta. Gli UniDi fronteAgli Altri. Come ad un serio impegno. Ognuno col suo compito.

Mantenersi l’occupazione.Mantenersi la vita.Chi in un modo. Chi nell’altro.

Gladiatori.Nell’Arena.

Fino a quandoSi accorgonoChe è sulle TribuneChe bisognaImpegnarsi.

Nulla è lasciato al caso in questa lirica di forte impegno sociale e politico; tutto è sapientemente calibrato e scelto con una attenzione ed una cura meticolose. La struttura e la suddivisione dei versi sono indicative della precisa e convinta volontà dell’autore di rappresentare una situazione certamente non facile per un approccio poetico, ma egli ci riesce perfetta-mente, dimostrando di essere in possesso di una non comune perizia nell’u-so di accorgimenti retorici e stilistici (l’anafora, la contrapposizione, la frase nominale), che diventano stilemi personali di grande effi cacia ed incisività. Anche il titolo, certamente studiato e suggestivo, ha una valenza allusiva e provocatoria. Maria Olmina D’Arienzo

POESIAL’IRIDEL’IRIDE

Primo Premio

Gladiatoridi Guglielmo Wurzburger

La Giuria

Io ti offro un fi co maturoappena staccato dall’alberoe tu pensi alla dieta.I miei occhi fanno i gocciolonie i tuoi gli girano attornocoi moscerini.

Io ti offro il tempo libero che mi sono ritagliatae tu guardi la partita.I miei occhi fanno i lucciconie i tu oi girano attorno ai pal-loni.

Io ti offro le mie manimentre andiamo a passeggiaree tu le offri al ventocome se sbucciassi fagiolinimentre parli al cellulare.

Io sogno di volarein mezzo al mareaggrappata a un aquilonee tu mi svegli per dirmiche si è rotto lo sciacquone.

Il componimento si segnala per la maniera personale e originale di trattare un tema topico e per la novità dell’impianto poetico. Si tratta di una sorta di divertissement, costruito su un gioco di contrapposizioni ironiche, ma anche terribilmente amare, che rappresentano un rapporto d’amore con-cepito in maniera assolutamente diversa nei sistemi di riferimento femminile/ maschile. L’uso di un lessico leggero ed essenziale conferisce alla lirica quella trasfi gurazione necessaria e peculiare di un autentico prodotto poetico, che nulla toglie, però, alla intensità emozionale del contenuto.

Maria Olmina D’Arienzo

Secondo Premio

Cincischiaredi Ivana Brigliadori

La Giuria

Cava de’ Tirreni: Borgo Scacciaventi (foto di Emilio Sergio)

POESIAL’IRIDEL’IRIDE

In una commossa rievocazione, l’io lirico ci presenta l’ultima not-te di vita del padre come la prima e ultima occasione di superamento di un muro di distacco e incomprensione che la vita e una naturale ritrosia hanno innalzato tra due esponenti di generazioni diverse.In una continua alternanza di ombra e di luce, l’agonia del genitore si con-fi gura come un transito attraverso la notte e l’attraversamento di una linea invisibile; passaggio confortato però e illuminato dalla presenza sollecita e partecipe del fi glio; mentre l’atto fi nale del morire resta un fatto privato, da affrontare, secondo i dettami e il pudore di una psicologia elementare, in una solitudine fasciata di silenzio.L’autore ha saputo istituire un parallelo tra il sonno e la morte , binomio inscindibile nella poesia sepolcrale di tutti i luoghi e di tutti i tempi, che ac-comuna, ai capi estremi dell’arcobaleno, chi parte per sempre e chi invece è destinato a rimanere e ricordare. Il ritmo asseconda mirabilmente la cadenza del parlato dialettale, mentre il reticolo fonosimbolico ben rappresenta e imi-ta il dolore e lo strazio del distacco e dell’ ultimo addio.

Fabio Dainotti

Terzo Premio

A li dójë capë d l’arcobalénëdi Sergio Cappiello

A LI DÓJË CAPË D L’ARCOBALÉNË

T tënéjë la manë quera nott, papà, quann purë l’uótëma spëranzë,ç’avéjë gëratë r spadd e s n’érë scéutë.Non m scord quór’affann, e la mana méjë ind la tójë,p fëné quera cors, ca non erm statë majë capaçë d’accumënzàe ca invéçë ç stacéjë facenn attravërsà la nott.Jè statë la préma vótë ca ‘ngë sémë pëgljatë p ‘mmanë,fors p non ‘ngë perd ind a la ascuréjë, fors p pëglià curagg prémë d zumbà lu fuss, o fors p send lu calórë d quóru bbénë,ca non ‘ng’avemm majë détt.

Li prémë ragg d sólë calmavënë la nott: ”Vatt a rëpusà fégljë méjë, e grazjë p’avermë accumbagnatë, ormajë ‘ndravédë na spérë d léuçë ‘dda bbascë, jè statë bbell corr manë a manë ch te, la préma e uótëma corsa ‘nzimë”.

E po’ t n së scéutë papà, e non t’hajë vuléutë fà vëdè, cómë quann a la staziónë,non z aspett lu trénë ca part, p non vëdè allundanarsë nu pizz d nójë stess.

Acchëssé fënéjë la storjë fra mévë e tévë, amm chiéusë l’ucchjë ind lu stess mumendë p ‘ngë svëglià a li dójë capë d l’arcobalénë.

’’

’’

’ ’

’ ’

altri Autori premiati

Premiati con Targa

Premiati con Medaglia

AI DUE ESTREMI DELL’ARCOBALENOTi tenevo la mano quella notte, papà,/quando anche l’ultima speranza,/ci ave-va girato le spalle e se n’era andata./Non mi scordo quell’affanno, e la mano mia dentro la tua,/per fi nire quella corsa,/che non eravamo mai stati capaci di cominciare,/e che invece ci stava facendo attraversare la notte./È stata la prima volta che ci siamo presi per mano,/ forse per non perderci nell’oscurità, forse per prendere coraggio,/ prima di saltare il fosso, o forse per sentire il calore di quel bene,/che non ci siamo mai detti./ I primi raggi del sole calmavano la notte:/”Vatti a riposare fi glio mio,/ e grazie per avermi accompagnato,/ ormai intravedo un raggio di luce laggiù,/ è stato bello correre mano nella mano con te,/ la nostra prima e ultima corsa insieme”./E poi te ne sei andato papà,/ e non hai voluto farti vedere,/ come quando alla stazione/ non si aspetta il treno che parte, /per non vedere allontanarsi un pezzo di noi stessi./ Così fi niva la storia fra me e te,/ abbiamo chiuso gli occhi nello stesso momento /per svegliarci ai due estremi dell’arcobaleno.

La Giuria

Luigi Abbro, Mina Antonelli, Sergio Arfé, Pasquale Balestriere, Anna Ma-ria Cardillo, Antonio Covino, Umberto Druschovic, Monica Fiorentino, Gerardo Marino.

Vincenza Armino, Giuseppe Attanasio, Lucia Bisotti, Paolo Borsoni, Vincen-zo Calce, Giuseppe Capone, Giuseppe Cardella, Giulio Rocco Castello, Car-mine (Nino) Cesarano, Palma Civello, Carmine Crisci, Massimo De Mellis, Giuseppe Faraci, Franco Fiorini, Claudia Grendene, Rita Iacomino, Giancarlo Interlandi, Domenico Luiso, Elena Malta, Fulvia Marconi, Federica Marino, Roberto Mestrone, Iolanda Miranda, Elena Mossuto, Alessandro Obino, Ma-rio Lucio Pitardi, Marisa Provenzano, Giuseppe Romano, Anna Santarelli, Mariarosaria Senatore, Ersilia Serretiello.

Cava de’ Tirreni: Chiesa dell’Annunziata (foto di Emilio Sergio)

altri Autori premiati

Premiati con TargaGiulio Calò Carducci, Anna Capozzo, Marco Caputi, Toni Ciaramella, Pao-lo Cioffi , Claudio Fiorentini, Gabriella Franceschini, Brunello Gentile, Katia Brentani e Silvia Aquilini, Orazio Martorana, Giampaolo Merciai, Rosario Molina, Mario Pettoello, Mariella Plumeri Caterini, Roberto Re, Marco Rodi, Michele Scaranello, Martino Sgobba, Stefano Zeppilli.

Premiati con Medaglia

NARRATIVA EDITAL’IRIDEL’IRIDE

Nicola Amato, Aurora Auteri, Valentino Aymar, Maria Luisa Barbini Ciof-fari, Anita Battaglia, Francesco Billeci, Vittoria Caiazza, Pietro Caporos-si, Mariadonata Ciceri, Emidio Dappino, Lucia Dini, Edoardo Donnini, Gianluca Ellena, Anna Ferrari, Maurizia Fiscella, Adalgisa Licastro, Wal-ter Lipartiti, Rossella Lucchetti, Lorenza Lucchi, Umberto Mapelli, Giu-seppe Mariano, Vincenzo Massa, Iolanda Miranda, Gianmarco Munaò, Franco Neti, Cristina Nicolosi, Giovanni Orlando, Nuccio Pepe, Giovanna Pesapane, Srdjdan Radivojevic, Giulia Scarlett, Huguette Senia Badeau, Stefania Tinessa, Carlo Todisco, Alfredo Torreggiani, Giuseppe Tufano, Luca Veneziano, Matilde Ventura.

Cava de’ Tirreni: Torre Longobarda (foto di Emilio Sergio) Cava de’ Tirreni:

appartenere. Noi dobbiamo fare una scelta, e in questa città di merda la scelta migliore è stare con il più forte: ‘a camorra! Quella è gente che tiene padri camor-risti, fratelli camorristi, fi gli camorristi, per questo dobbiamo farci vedere spesso, dobbiamo stargli dietro, far capire a tutti che possiamo buttare il sangue per il clan. Dobbiamo fargli capire che anche se siamo diversi si possono fi dare di noi.Volevamo avvicinarci alla famiglia Perrella del clan Puccinelli, padroni di ogni singo-la pietra, ogni angolo di marciapiede del nostro quartiere, e poterci divertire anche noi con il guadagno del contrabbando, dello spaccio, ma soprattutto della ricostru-zione del dopoterremoto e dello smaltimento dei rifi uti che già in quegli anni era il pallino fi sso di Nunzio Perrella, uno degli esponenti del clan. Lui aveva capito prima di tutti che ancor prima di alzare palazzi che sarebbero serviti per ospitare universi-tà, ospedali o semplicemente case popolari, bisognava sventrare la terra e affogarla di veleni, soffocarla di monnezza. Volevamo anche noi poterci difendere senza armi, come quelli che avevano una donna con una Calibro 38 che gli proteggeva le spalle, volevamo anche noi che la gente ci baciasse le mani, volevamo anche noi che i bambini ci guardassero con am-mirazione, la stessa che avevamo noi per loro. Volevamo tutto questo, ma sapevamo che il primo passo doveva essere quello di abbattere la nostra ansia da prestazione e quindi decidemmo di metterci alla prova, di mettere alla prova le nostre emozio-ni. In comitiva, quella sera, con mani e gambe sudate, iniziammo da quello che ci sembrava essere il nostro battesimo per entrare nel mondo dei grandi: ci recammo da Annarella ‘a puttana.