Magazine della Direzione Regionale Capitale naturale ... · compresa tra 5,3 e 2,5 milioni di anni...
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n. 24 - 11 dicembre 2017
Parco RegionaleValle del Treja
PARCHILAZIO n. 24/2017 PARCHILAZIO n. 24/2017
Origine e natura geologicadelle forre della Valle del Treja6
Sommario
Il Treja: un fiumeche non scorre verso il mare10
Un mandato da Presidenteche va oltre gli anni di lavoro
L’antico popolo dei Falisci.“Un popolo di “mezzo”14Riscoperta un’antica stradatagliata nel banco di tufo18
Ponte sospeso:si muove ma è sicuro24
Nella mia lunga esperienza politica, devo direche gli ultimi tre anni come presidente delParco del Treja costituiscono per me un tempoche si è quasi dilatato. Ho toccato con mano aspetti che prima eranoconosciuti, certo, ma spesso non approfonditiquanto avrebbero dovuto. Parlo dellasostenibilità ambientale e della relativaconsapevolezza culturale, o dei nostri stili divita forgiati sul modello economico in cuisiamo immersi. Su questi temi abbiamo cercatoun confronto soprattutto con i cittadini.In tutte le attività del Parco si riconosce un filoconduttore, che è quello della conoscenza edella partecipazione. Perché senza questi dueelementi difficilmente ci può essere una tuteladiffusa, in termini sociali.In questo senso l’Ente può vantare l’evidenzadei numeri. Nel Parco dal 2015 si sono concluseopere per oltre un milione di euro realizzate.Si tratta per la quasi totalità di finanziamentieuropei passati attraverso la Regione Lazio.I lavori hanno riguardato la costruzione diponti e strade; la riqualificazione di sentieri;scavi e indagini archeologiche; il restauro diantiche torri; la realizzazione di percorsididattici ed escursionistici; la stampa di guidee carte dei sentieri.Tutte azioni finalizzate a valorizzare il territorio,a far conoscere le nostre bellezze, ad offrireuna panorama culturale che emozioni,coinvolga e faccia meditare i nostri visitatori.
Luciano SestliSindaco di Calcata
per 10 anni eattualmentePresidente
del Parco Valle del Treja.
Luciano Sestili
Calcata, luogo di magia.Le tante facce dell’antico borgo40
I pesci del Treja, di grandeinteresse conservazionistico32La suggestione delle cascatedi Monte Gelato, a Mazzano30Parco del Treja nel cinema.Girati più di cento film26
Il sistema di protezioneambientale della Regione Lazio50
La guida archeologicae le carte escursionistiche22
Mazzano Romanostoria di un crocevia36
Il Soratte: la nostra montagna.Una cresta che sfiora il cielo44Corindo:“La plastica non matura”46Un viaggiatoredel secolo scorso48
PARCHILAZIO n. 24/2017PARCHILAZIO n. 24/2017
L’origine el’evoluzione
geologica dellaValle del Treja
sonostrettamente
legate aifenomeni
vulcanici che, tra700.000 e 40.000
anni fa,alternarono leloro attivitàesplosive
modificandoprofondamente il paesaggio.
Foto Roberto Sinibaldi
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PARCHILAZIO n. 24/2017
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L’origine e l’evoluzione geologica della Valle delTreja sono strettamente legate ai fenomenivulcanici che, tra 700.000 e 40.000 anni fa, al-ternarono le loro attività esplosive modificandoprofondamente il paesaggio, trasformandolo inquello odierno.Le miscele di gas e fluidi si aprirono la via versola superficie fino a proiettare all’esterno, con
grande violenza e agrande distanza, enor-mi quantità di materialiche, accumulandosi ecementandosi, hannodato origine agli attualibanchi di tufo. Nell’area del Parco i tufivulcanici poggiano surocce sedimentarie plio-pleistoceniche. Alla basetroviamo argille e sabbiemarine risalenti al Plio-cene (epoca geologicacompresa tra 5,3 e 2,5milioni di anni fa, du-rante la quale il maresommergeva buonaparte dell’Italia centrale).
Origine e natura geologicadelle forre della Valle del TrejaValeria Gargini
Caratteristiche territoriali
Il “Fosso delPeccato”, così
conformatodall’erosionedell’acqua. A fronte:
Diatomite,roccia
sedimentaria.
PARCHILAZIO n. 24/2017
Poco sopra seguono le stratificazioni di con-glomerati e silt (limo) risalenti al Pleistocene(epoca geologica compresa tra 2,5 milioni dianni fa e 12.000 anni fa). Queste stratificazionitestimoniano il periodo durante il quale ungrande fiume, individuato da alcuni come il“Paleotevere”, scorreva nel territorio depositandoingenti quantità di materiali provenienti dalvicino Appennino. Al di sopra del ba-samento sedimen-tario si depongonorocce di origine vul-canica con unospessore variabiletra 60 e 100 metri.Tra queste si anno-vera il noto “Tuforosso a scorie ne-re”, utilizzato datempo immemorecome materiale dacostruzione. Nel tempo l’inces-sante erosione deicorsi d’acqua ha sca-vato le stesse coltri,generando nell’areadel Parco le tipichee spettacolari forredalle pareti scosce-se, che oggi sonoper lo più coperte dauna folta e lussureg-giante vegetazione.
Foto Archivio del Parco
Foto Archivio del Parco
PARCHILAZIO n. 24/2017PARCHILAZIO n. 24/2017
8La suggestionedelle cascate
di Monte Gelato.
Foto Adriano Savoretti
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Nella Valle del Treja, nella stretta forra lungo laquale scorre il fiume omonimo, affluente di destradel Tevere, il fiume scorre in direzione oppostaal mare, già qui si apre un interrogativo, che siaggiunge all’aura di mistero nella quale da sempresono immersi questi luoghi. Fino a 600.000 annifa erano una piana alluvionale nella quale scorrevail Tevere. In seguito all’attività degli apparati vulcaniciSabatino e Vicano (quelli che hanno dato origineai laghi di Bracciano e Vico) tutta l’area si è innalzatadi almeno un centinaio di metri. Il Tevere fu cosìdeviato dai materiali depositati dai vulcani, trovandouna nuova strada a est del Monte Soratte.Il suo antico percorso, il paleoalveo, venne incisodalle acque del Treja, che vi scorre in direzioneopposta alla originaria direzione del Tevere. Una direzione, da ovest a nord-est, che è op-posta al mare.
Una condizione assai rara, che si è realizzataper le particolarità orografiche dei luoghi.Le sorgenti del Treja sono localizzate presso ilmonte del Lagusiello, nelle vicinanze del lago diBracciano. All’inizio del suo percorso il Treja ènoto come fosso del Pavone. Qualche chilometropiù a valle, alle sue acque si uniscono quelle dinumerosi altri ruscelli. Dalle cascate di MonteGelato assume il nome di Treja.Il fiume Treja, o Tregia, o Triglia, deve il suo nomee la sua origine alla confluenza di tre fossi: ilPavone, il Maggioranae il fosso della Sarnacchiolae, dopo un percorso di circa 30 chilometri, con-fluisce nel Tevere, a nord del monte Soratte. Ilcomplesso costituito dal Treja e dai suoi affluentiera il centro meridionale dell’Ager faliscus, abitatoin epoca pre-romana da una popolazione, i Falisci,soggetti all’influenza etrusca.Il Treja e soprattutto le cascate di Monte Gelatosono state spesso utilizzati come set cinematograficiin molti film, a partire dagli anni ’60. Luoghi cheper la loro naturalità sono conosciuti e apprezzatida molti escursionisti, fotografi e appassionati.
Il Treja: un fiumeche non scorre verso il mareRoberto Sinibaldi
Il fiume Trejadeve la suaorigine alla
confluenza di trefossi e, dopo unpercorso di circa
30 chilometri,confluisce nel
Tevere.
Foto Marcello Lorenzi
PARCHILAZIO n. 24/2017
12La tutela
ambientaleesercitata da un
Parco serveanche a questo:
a mantenere il più possibile
inalterata la naturalità dei luoghi.
Proprio a questofine c’è
da sottolineare il lavoro
di monitoraggiocon il drone,
di cui si è dotatoil Parco,
portato avantianche per altreAree Protette
della Regione Lazio dal personale
del Parco stesso, che con corsi e
attestati si èqualificato per
utilizzare in tuttasicurezza questovalido strumento
innovativo, di analisi
e controllo.
PARCHILAZIO n. 24/2017
Foto Roberto Sinibaldi
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“La Terra-di-Mezzo non è una mia invenzione.È come una modernizzazione di un’antica parolache indicava il mondo abitato dagli uomini, l'oi-koumene: ‘di mezzo’ perché si pensava vaga-mente che fosse posta al centro di mari che lacircondavano e – nell'immaginazione nordica– tra i Ghiacci del Nord e i Fuochi del Sud”.Così J. R. R. Tolkien definiva nelle Lettere lasua immaginaria Terra-di-Mezzo.Questa geniale definizione consegnata allastoria dai viaggi degli hobbit, calza perfettamentea un’altra terra, questa volta disegnata nellageografia dell’Italia preromana. Quella terracompresa tra la sponda destra del Tevere anord-est e i complessi vulcanici Vicano e Sabatinoad ovest e a sud, anch’essa dunque “di mezzo”e solcata proprio nel mezzo dal corso del fiumeTreja: l’Agro falisco.
Un sistema di valli tra comparti geomorfologicidistinti e talvolta separati, che corrisponde adun popolo dell'Italia antica di mezzo tra gli Etruschie i diversi popoli italici: da Roma a tutti i Latini,i Sabini, gli Umbri.I Falisci a partire dall'inizio dell’VIII secolo a.C.si stabilirono nelle profonde valli del Trejae dei suoi affluenti, nel paesaggio delle anticheforre, occupando le alture poste nei punti stra-tegici, di controllo del territorio: Falerii (oggiCivita Castellana), la “capitale” del territorio,che ha dato il nome all'intera regione e con lei,Corchiano, Vignanello e, risalendo il corso delTreja a sud, Narce (Mazzano Romano/Calcata).Un popolo che resistette oltre un secolo allacaduta di Veio, fronteggiando l'avanzata romanafino alla capitolazione di Falerii nel 241 a.C.Unica enclave non propriamente etrusca népropriamente latina sulla sponda destra del Te-vere fu un crocevia di genti e culture, unafrontiera aperta, cesura e insieme unione, ilcuore nevralgico e pulsante del sistema deipopoli italici dell'Italia centrale.
L’antico popolo dei Falisci.“Un popolo di mezzo”Jacopo Tabolli
Nel disegno èriprodotta una
veduta di Narce.Archivio MuseoArcheologico
Virtuale di Narce(Mavna).
PARCHILAZIO n. 24/2017PARCHILAZIO n. 24/2017
Un recenteintervento di
valorizzazione,realizzato
interamente dal Parco,
ha consentito lariapertura di tretombe a camera
e di restituirela magnifica
vista che si offriva
a coloro cheattraversavanol’antica tagliata,
con spazidedicati allo
svolgimento diattività di culto.
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Foto Archivio Parco
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L’antico popolo dei Falisci dislocava le aree di se-poltura lungo gli assi viari e intorno alle aree abitatedelle grandi città, come a voler delimitare il territoriomediante la posizione delle sepolture degli antenati.La necropoli del Cavone di Monte Li Santi, unadelle più monumentali necropoli di Narce, sicolloca proprio lungo una grande strada tagliatanel tufo, una via “cava”, da cui potrebbe esserederivato il nome di “Cavone”. La necropoli fu utilizzataprobabilmente sin dalla metà del VII secolo a.C.,come ci testimonia una tomba a fossa rinvenutanei primi scavi effettuati a fine ‘800. Il picco di usosi colloca tra il VI ed il IV secolo a.C., quando lepareti ai lati della via furono ampiamente scavatee lavorate per realizzare numerosissime tombe acamera con facciate scolpite nel tufo.
Riscoperta un’antica stradatagliata nel banco di tufoRoberto Sinibaldi
La tomba faliscadi Pizzopiede.
A fronte:alcune delle circa
300 mascherevotive venute allaluce nello scavo
del 2015 deltempio di MonteLi Santi Le Rote.
PARCHILAZIO n. 24/2017
Le tombe risultano generalmente fornite di unapiccola anticamera e di una camera principale.Questa poteva essere dotata di loculi scavati nellaparete, che venivano sigillati con tegole al momentodella deposizione del defunto, oppure di letti funebriscavati nella roccia.La dimensione ridotta della maggior parte dellecamere sepolcrali rispecchia il modello socialedella comunità narcense, che doveva essere ca-ratterizzata da piccole famiglie, costituite dai soligenitori e i loro figli. Le sepolture dovevano esserestate progettate, considerato anche il limitato numerodi loculi, per essere riaperte e riutilizzate pernuove sepolture successive. Non mancano tuttavia testimonianze di tombe mo-numentali, caratterizzate da camere di grandi di-mensioni e maggiormente elaborate.Un recente intervento di valorizzazione, rea-lizzato interamente dal Parco, ha consentitola riapertura di tre tombe a camera e, comples-sivamente, di restituire la magnifica vista che sioffriva a coloro che attraversavano l’antica tagliata,con spazi prevalentemente dedicati allo svolgi-mento di attività di culto.
Foto Archivio del Parco Foto Roberto Sinibaldi
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20I recenti scaviarcheologicicondotti nel
Santuario faliscodi Narce,
dedicato allafertilità femminile,hanno riportato
alla luce una grandequantità di
interessantissimireperti
archeologici, tra cui molte
maschere votive. Questa nella foto,appena scavata,sembra emergere
dal terreno.
PARCHILAZIO n. 24/2017
Foto Jacopo Tabolli
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Stampata recentemente la nuova guida delParco, per immergersi nella storia millenariadel territorio del Treja. È una guida archeologica,di carattere divulgativo, in un formato agilee maneggevole. Si può tenere in tasca e apriree sfogliare senza problemi, perché rilegata conuna spirale. Si può leggere come un romanzoo consultare come un ricettario. Dipende dallacuriosità e dall’interesse del lettore, che è invitato,quasi portato, a visitare i luoghi. Le schede finali descrivono percorsi, tombe,reperti e siti archeologici. Per tutti sono indicatiitinerari e tempi di percorrenza.L’autore è l’archeologo Marco Pacifici. Un giovanestudioso che ha comunque accumulato molteesperienze dirette nelle numerose attività diricerca e scavo nella valle del Treja. Uno specialista dell’antico popolo dei Falisci,
che descrive, riportandociindietro nel tempo, con lafreschezza e l’acume concui di solito si trattano temidi attualità. Vengono così tratteggiatigli usi e le tradizioni deinostri antichissimi proge-nitori che vissero nella valledel Treja, raggiungendol’apice della loro civiltà in-torno al VI secolo a.C.
La guida archeologicae le carte escursionisticheRoberto Sinibaldi
La guidaarcheologica
e le carteescursionistiche
del Parco Valle del Treja.
PARCHILAZIO n. 24/2017
Accanto alla guida archeologicae alla guida generale del Parco,i materiali documentativi di base,per organizzare una bella visitanel parco, comprendono la Cartaescursionistica e la Carta ci-cloescursionistica. La prima, oltrea una puntuale mappatura delterritorio, riporta sul retro unaserie di fotografie esemplificativedelle emergenze ambientali e ar-cheologiche della Valle del Treja,ed è corredata da una sintesi de-scrittiva dei punti più interessanti. In alcuni casi le informazioni ar-rivano anche ad aree al di fuoridel confine del Parco, ma la con-tinuità di alcuni itinerari ha con-
sigliato di estendere la cartografia,ricomprendendo luoghi posti nellevicinanze dei confini. La seconda, la Carta cicloe-scursionistica, propone la mappadi centinaia di chilometri di sentieriper andare in bici. Ovviamente sono percorsi chesi possono fare anche a cavallo,o a piedi. In particolare nellacarta sono presentati vari circuiti,uno dei quali connette il Parcodel Treja al vicino Parco diVeio. Creando una relazione traterritori attigui e mettendo a si-stema le ricchezze ambientalied archeologiche di entrambele aree protette.
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Uno degli ultimi interventi costruttivi del Parcodel Treja è la realizzazione di un ponte tibetano,in località Le Rote, nel comune di Mazzano Ro-mano. Siamo a pochi passi dal confine di provincia,tra Roma e Viterbo, vicino ai resti del tempiofalisco dedicato alla fertilità femminile allependici di Monte Li Santi. Il ponte ricalca un antico percorso che dalla ne-cropoli della Petrina scendeva al Treja. La rea-lizzazione dell’attraversamento realizza un nuovocircuito ad anelloche dal centro storicodi Mazzano Roma-no, passando attra-verso la necropoli delCavone, recente-mente rimessa in lu-ce dal Parco, rag-giunge l’area sacradel tempio e ritornaa Mazzano.Ubicato a poco menodi due chilometri daidue centri abitati, ilponte è stato realiz-zato con cavi di ac-ciaio tesi tra gli alberiesistenti (senza ar-recare alcun dannoai tronchi).
Ponte sospeso:si muove ma è sicuroRoberto Sinibaldi
Attraversare il ponte,
che ondeggialeggermente
sull’alveo del fiume,
per alcuni dà unasensazione
di lievespaesamento,
per tutti anche di grande
entusiasmo. Foto Roberto Sinibaldi
La campata ovviamente è molto elastica e simuove sotto il peso dei passanti. Il suo attraver-samento è suggestivo, ma sicuro allo stessotempo, offrendo una prospettiva insolita sul sot-tostante alveo del fiume. Pochi e semplici norme(numero massimo di persone, divieto di transitoa cavallo ecc.) regolano il passaggio.Attraversando la provinciale e costeggiando iltorrente Rio, si arriva ad un altro ponte, anchequesto è stato realizzato da poco dal Parco. È una struttura in legno, e consente di superareil torrente e salire direttamente al centro storicodi Calcata.Il percorso è interamente segnato e riportatosulla carta escursionistica pubblicata dal parco.
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La natura diventa un set cinematografico: unluogo così affascinante, rimasto intatto, conscarse tracce della presenza dell’uomo, fu sceltogià dalla fine degli anni Cinquanta dai registidel cinema italiano. Il primo fu Roberto Rosselliniche nel 1950 usa Monte Gelato come set perle riprese di “Francesco, giullare di Dio”, am-bientandovi alcuni momenti del viaggio dei frativerso Roma. Nei decenni successivi sono piùdi cento i film che vengono girati alle cascatee lungo il fiume Treja. A Mazzano Romano viene costruito un teatrodi posa e praticamente tutti gli abitanti diventanodelle comparse soprattutto per i peplum e peri film di cowboy. Molti si riconoscono ancoraoggi sullo sfondo degli accampamenti romani,degli attacchi tra indiani e cowboy o dei film diMaciste. Dalle commedie con Franco e Ciccio,ai film dal celeberrimo Trinità; si girano scene
Parco del Treja nel cinema.Girati più di cento filmElena Sciacca
Una scena delfilm mitologico“Gli amori di
Ercole”, del 1960,girato presso
le cascate di Monte Gelato.
di “Per qualche dollaro in più” di Sergio Leone,“Storia di una capinera” di Franco Zeffirelli, finoal Don Chisciotte del grande Orson Welles. Proprio a Mazzano si svolgono le rocambolescheavventure di “Totò destinazione Piovarolo”,mentre alcune scene di “Le avventure di Pi-nocchio” di Luigi Comencini sono state riprese
nel Palazzo Baronale di Calcata, ora sede degliuffici del Parco. Dopo il periodo della coppia BudSpencer - Terence Hill e dei vari derivati da “IlDecameron” di Pasolini, negli ultimi anni laMola di Monte Gelato e le cascate sono diventateun set d’eccezione an-che per molti spot pub-blicitari e fiction televi-sive. In tutte si ricono-scono i luoghi, con lecascate come segnodistintivo, quasi spoglinegli anni Cinquanta,oggi pieni di alberi.
Nel 1950 RobertoRosselliniambienta“Francesco,giullare di Dio” aMonte Gelato.Qui èriconoscibile lamola presso lecascate.Come si vedel’area era priva divegetazione.
Sotto:una scena del film “Lo chiamavanoTrinità”.
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28Le cascateoffrono uno
scenario assaisuggestivo efascinoso,
soprattutto inalcune
particolaricondizionistagionali,quando la
nebbiolina che si alza dall’alveodel fiume ricopre
e sfuma i contorni delpaesaggio,
o quando il gelodisegna gli argini
e i profili deirami degli alberi.
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Foto Roberto Sinibaldi
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Monte Gelato, nel comune di Mazzano Romano,è una zona frequentata da epoche remotissime.Lo testimonia una lama di selce risalente alpaleolitico, circa 12.000 anni fa, rinvenutaa poca distanza.Per le loro particolarità: la ricchezza d’acqua ela protezione che potevano assicurare le forre,le strette valli fortemente incise, questi luoghifurono abitati con continuità da qualche millennioavanti Cristo fino ai giorni nostri. Passando per
la civiltà falisca pri-ma, e quella roma-na poi, e per tuttoil medioevo. Il mulino, che sfrut-tava la forza motricedell’acqua, risale allaprima metà dell’800ed è rimasto in fun-zione per oltre unsecolo. Attualmenteè uno dei centri visitadel Parco.
L’elemento più noto e frequentato della zona sonole cascate. Il fiume Treja, con un salto naturale diun paio di metri, crea un potente ventaglio d’acqua,che non ha significative variazioni stagionali.
La suggestione delle cascatedi Monte Gelato, a MazzanoRoberto Sinibaldi
Ricchezze storico-ambientali
Alcuni deinumerosi
salti d’acqualungo
il fiume Treja.
Uno scenario assai sugge-stivo e fascinoso, soprattuttoin alcune particolari condizionistagionali, quando la nebbiolinache si alza dall’alveo del fiumericopre e sfuma i contorni delpaesaggio, o quando il gelodisegna gli argini e i contornidei rami degli alberi.
In estate la frescura del sotto-bosco si somma a quella delleacque spumeggianti.Le cascate diventano così moltorilassanti, tanto da assumereuna funzione davvero terapeu-tica per l’anima.
La forra si può percorrere versovalle ancora per un bel tratto.A circa 400 metri dalle cascatec’è l’Isola dell’Orso, un altroluogo veramente incantevole.Il fiume si biforca creandoun’isoletta centrale, con deglialberi che ci crescono sopra.Aceri, pioppi, farnie, ontani,
carpini e, sulla sommità dellaforra, lecci, fanno da contornoa un paesaggio potente e quasidrammatico. Nella penombradella forra i pensieri si raccol-gono e ci si sente parte di unoscenario senza tempo.
Foto Roberto Sinibaldi
Foto Roberto Sinibaldi
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L’integrità delle sponde e l’abbondante vegetazionerendono il fiume Treja e i suoi affluenti maggioril’habitat elettivo di una ricca comunità ittica.Sono ben cinque le specie di pesci presentitutelate dalla Unione europea attraverso laDirettiva Habitat, dai più comuni Rovella, Vaironee Barbo tiberino, ai più rari, a livello regionale,Ghiozzo di ruscello e Lampredadi ruscello, che qui è ancora pos-sibile trovare con popolazioni ancheabbondanti. Questo fatto e la ridottapresenza di specie aliene, frequentiper lo più nel tratto terminale, ren-dono il Treja uno dei corsi d’ac-qua di maggiore interesse con-servazionistico del Lazio. Le strette pareti rocciose tra cuiscorre lo hanno preservato dagliinterventi antropici che hanno “ba-nalizzato” molti dei corsi d’acquadelle zone di pianura e collinari,ma anche dagli interventi di ripo-polamento a scopo alieutico chehanno immesso in tutta la regionepesci di specie proprie di altre zonee che, in molti casi, hanno sop-piantato le specie autoctone.Questo prezioso patrimonio è peròmesso fortemente a rischio dal-l’inquinamento.
I pesci del Treja, di grandeinteresse conservazionisticoValeria Gargini
Un Barbo.Barbustyberinus, notocomunementecome barbotiberino o barboetrusco, è unaspecie endemicadel distrettotosco-laziale.
Più volte in questi anni si sono verificate moriedi pesci causate dallo sversamento di ingentiquantità di reflui civili e zootecnici. L’elevata naturalità del fiume ha sempre con-sentito un recupero dell’ecosistema e i pescisono sempre tornati a ripopolare il Treja. Non è possibile però sapere con certezzaquanto il fiume sarà ancora in grado di resisterealle alterazioni.L’impegno del Parco è quello di tutelare l’am-biente, cominciando proprio dalle acque, ilsettore più minacciato.
Disegno Hardy Ritcher
PARCHILAZIO n. 24/2017PARCHILAZIO n. 24/2017
34Le prime notizie
di Mazzanorisalgono intorno
all’anno 750.
Foto Archivio Parco
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A vederlo dall’alto si capisce subito perchéMazzano Romano fu costruito proprio lì: sta suuno sperone di tufo a picco sulla valle, quasiintrovabile per chi non lo conoscesse, facilmentedifendibile, vicino al fiume, non lontano (ma adistanza di sicurezza) dalle vie di comunicazionepiù importanti.L’antico abitato conserva ancora l’impianto ur-banistico medievale, con una struttura elicoidalefatta di vicoli che seguono le pieghe della rupetagliata nella roccia vulcanica.La storia di Mazzano inizia con gli antichi inse-diamenti falisci. Della loro presenza rimangonodiverse necropoli, delle quali gli scavi archeologicihanno portato alla luce una serie di importantireperti, visibili nel Museo Nazionale dell’AgroFalisco di Civita Castellana, nel Museo NazionaleEtrusco di Villa Giulia a Roma e, più recente-mente, nel Mavna (Museo Civico Archeologico-Virtuale di Narce), di Mazzano Romano.I falisci abitarono la valle fino a quando nel 241a.C. i romani invasero tutta l’area. In questoperiodo la regione divenne parte dell’Ager Faliscus,terra di conquista che in parte venne utilizzatacome colonia penitenziaria ed in parte vennedata in uso ai veterani dell’esercito di Roma.Probabilmente Mazzano deriva da Matius (nomedi una famiglia romana) e quindi dal fondo dinome Matianum. Le prime notizie di Mazzanorisalgono intorno all’anno 750.
Mazzano Romanostoria di un croceviaRoberto Sinibaldi
Veduta aerea delborgo antico di
MazzanoRomano, conuna struttura
elicoidale fatta di vicoli che
seguono le pieghe della rupe
tagliata nellaroccia vulcanica.
Possiamo immaginarlo comeun castello posto a caposaldodi un’area agricola, che a suavolta si trovava all’interno diuna più grande azienda agricola,nota come Capracorum, chesi estendeva dall’attuale PrimaPorta fino a Nepi, che fornivagrano, olio e vino al Laterano. Mazzano diventa un punto diun certo rilievo nella rete dellevie di pellegrinaggio durantetutto il medioevo fino al rina-scimento. Nel 1526 il paesevenne acquistato dalla potentefamiglia degli Anguillara.
Nel 1599 Flaminio Anguillaravendette Mazzano al CardinaleLelio Biscia e nel 1658 il feudopassò per eredità alla nobilefamiglia dei Del Drago, che loamministrarono fino alla riformafondiaria dell’Ente Maremma.Oggi, passeggiando nel borgo,non è difficile intravedere diversielementi architettonici decorativi:bifore, capitelli, modiglioni, cor-nicioni con stemmi. Elementiche raccontano di un passatoimportante. Su tutto rimaneun’aria immota che trasmettecalma e serenità.
Foto Paolo Gherardi
PARCHILAZIO n. 24/2017PARCHILAZIO n. 24/2017
38Salendo aCalcata,
specialmente sesi arriva una
mattinad’autunno,
non è inusualetrovarsi davanti
un paesesospesonell’aria.
Si intravede uninsieme di case,in una indefinitaatmosfera in cuiCalcata sembra
galleggiare tra le nebbie
del fiume Treja.
Foto Marcello Lorenzi
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Salendo a Calcata dalla strada che proviene daMazzano Romano, specialmente se si arrivauna mattina d’autunno, non è inusuale trovarsidavanti un paese sospeso nell’aria. Si intravedeun insieme di case, con i camini fumanti, in unaindefinita atmosfera in cui Calcata sembra gal-leggiare tra le nebbie del fiume Treja. Confusi tra cielo e terra, nel baluginio di qualchetimido raggio di sole, si intuiscono il profilidei tetti, si respira l’odore di legna che fuoriescedai comignoli. In basso, sotto un velo nebbiosoancora più denso, si sente l’ansito del fiume.Sopra il fiume una mano di gigante ha trat-teggiato il corso dell’acqua, con una pen-nellata di vapore: la nebbia rispecchia sospesal’alveo del Treja.I rari abitanti dicono scherzando che per piacerti,in un posto così ci devi essere nato. Ma forsenon è vero. Devi amare il senso di mistero e unpo’ perturbante dell’ignoto, o più semplicementeti devi adattare all’imprevedibilità del futuro,di cui la nebbia è metafora. Sei ripagato dall’incanto fiabesco, fantastico, diun luogo senza tempo in cui forse tutto può ap-parire, basta non avere fretta.La magia di Calcata è questa. Il senso di misteroe quasi di spaesamento può cogliere il visitatorepiù tecnologico: siamo a mezz’ora da Roma, im-mersi in boschi millenari, i cellulari non prendono,le automobili non entrano.
Calcata, luogo di magia.Le tante facce dell’antico borgoRoberto Sinibaldi
La piazza di Calcata,
pavimentata conciottoli di fiume
da quasi unmillennio.
Nel borgo si gira solo a piedi, siparla naturalmente a bassa voce,si ammira il paesaggio, come nonsempre capita di fare. Gatti sor-nioni e ciottoli di fiume ci ricor-dano l’origine delle cose. I coloridei tufi delle case sono la clessidrache misura il tempo, grigi la mat-tina, color oro al tramonto, caldie avvolgenti la sera.Il borgo conserva intatta la suastruttura medievale. Si entra dalbasso attraverso una doppia portascavata nella roccia, che conduceall’unica piazza. Da lì si irradiano i vicoli che por-tano agli strapiombi della rupe.Durante il fascismo il borgo do-veva essere abbattuto per pro-blemi statici, fu risparmiato per
il sopravvenire degli eventi bellici.Fu consolidato e salvato, solodopo che negli anni Sessantala popolazione locale si era spo-stata a Calcata nuova. Il borgo, ormai abbandonato,per paradosso da allora ha co-minciato a rivivere, ma solo perla presenza di persone straniere.Divenne luogo d’elezione di in-tellettuali, artisti, scrittori eartigiani che, con i loro atelierricavati nelle case antiche, por-tarono una ventata anticonfor-mista e un po’ bohémien.Calcata è un luogo insolito, si-lenzioso e stimolante. Per una visita non bisogna averefretta e possibilmente venirenei giorni feriali.
Foto Marcello Lorenzi
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42Il Soratte è una
montagnaaffascinante e
misteriosa,punto di
riferimentoassoluto da granparte del Lazio. È un traguardodell’orizzonte,
tra le dolci colline
che ondeggianonella pianura.
Foto Marcello Lorenzi
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«Vedi, che il gelido Soratte è candido di neverigida…». Nel 1809, Giacomo Leopardi, all’epocaun bambino undicenne, traduce così un passodelle Odi di Orazio.Il Soratte è una montagna affascinante e mi-steriosa, punto di riferimento assoluto da granparte del Lazio. È un traguardo dell’orizzonte,tra le dolci colline che ondeggiano nellapiana che tutto intorno, e per chilometri, carat-terizza il paesaggio modellato dall’antico vulcanoSabatino. Un luogo incantevole e spesso inde-cifrabile che da sempre ha stimolato negli uo-mini fantasia e spiritualità, anche grazie aiMeri, un notevole esempio di carsismo ipogeo,che si presentano come gigantesche voraginia cielo aperto. Queste spaventose fenditure,che compaiono d'improvviso in mezzo ad unbosco ricchissimo, sono a lungo state credutela porta del regno degli inferi.L’unicità e la configurazione puntiforme delMonte Soratte lo hanno reso da sempre incon-fondibile, facilmente distinguibile anche danotevoli distanze. Questa sua particolarità hacontribuito sicuramente a farlo diventare unluogo di culto fin dalle più lontane epoche pre-romane, da parte delle popolazioni dei Sabini,Capenati, Falisci ed Etruschi. Tale caratteristicarappresentò un richiamo irrinunciabile per i tantieremiti che nei secoli vi si rifugiarono incerca di quiete e raccoglimento.
Il Soratte: la nostra montagna.Una cresta che sfiora il cieloRoberto Sinibaldi
L’unicità e la configurazionepuntiforme delMonte Soratte lo hanno reso
da sempreinconfondibile,
facilmentedistinguibile
anche da notevolidistanze.
Il Soratte rappresenta un fulcro per lo sguardoche indugia sulla campagna intorno al Parcodella Valle del Treja, è una specie di bussolapermanente che orienta l’osservatore, fornisceun punto di riferimento. Questa montagna, oggiprotetta dalla riserva naturale del Soratte, neltempo ha assunto un significato che va oltre lesue prerogative geografiche.
In remote epoche geologiche ha influenzato ilcorso dei fiumi (anticamente il Tevere scorrevaa ovest del Soratte, attualmente scende ad est);nei secoli è entrata a far parte dei riferimentiletterari di questi luoghi; ancora oggi dà un im-mediato bollettino meteo a seconda della visibilitàdei suoi versanti.Insomma, nel panorama di chi vive o frequentala Tuscia, il Soratte è un simbolo che seppureha perso qualcosa della più misterica anticasacralità, ha assunto un valore culturale e co-noscitivo insostituibile, che unito al fascino dicerti tramonti o di certe mattinate nebbiose,lo rende così familiare da poterlo considerareparte dei nostri beni affettivi.
Foto Archivio Parco
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Una vita passata in campagna. Oggi, a quasinovant’anni, continua a fare l’orto e ad accudiregli animali: è Corindo Gasperini, di Calcata;per tutti semplicemente Corindo. Racconta, parla, ricorda, con il piacere didivertirsi, rievocando fatti antichi e cose accaduteappena ieri, tutte permeate della stessa, semplice,continuità di vita.Corindo ha fatto le scuole dell’obbligo, dicecon un filo di nostalgia per gli anni della fan-ciullezza, ma senza rammarico. Anzi, con l’ariascanzonata di chi sa, di chi ha appreso diret-tamente dalla natura, di chi giorno per giornoha imparato a conoscere ogni albero, ognipianta, ogni animale della sua campagna. “La plastica non matura”, dice, parlando senzaalcuna enfasi. Una frase che in sintesi racchiudeuna filosofia di vita, una straordinaria concezionedelle cose, dell’ambiente e della sostenibilità. È certo che, in una percezione di naturalità,tutto nasce, cresce, matura e muore. Ecco, la plastica no. Per questo Corindo laguarda con un po’ di sospetto. La usa, ma nonsa bene, proprio come noi, come potrà fare atornare alla natura. Un problema che lui si ponee molti cittadini no.Parlando all’ombra degli ulivi dell’orto di casa,Corindo ricorda i nomi di qualcuno dei suoi in-numerevoli somari, il carattere di ciascuno,qualche fatto che descrive con ironia.
Corindo:“La plastica non matura”Roberto Sinibaldi
“La plastica nonmatura”, dice,parlando senzaalcuna enfasi.
Una frase che insintesi racchiude
una filosofia di vita,
una straordinariaconcezione delle cose,
dell’ambiente e della
sostenibilità.
“I somari ti salvano” e spiega che l’animalepercepisce prima dell’uomo alcuni pericoli,si frappone tra i cani, o i lupi di una volta,conosce la strada e i suoi rischi. Insomma, nonè solo una bestia da soma, ma un compagnodi lavoro, con i suoi tempi, le sue inclinazionie le sue preferenze.Racconti di spostamenti a piedi, tutti a piedi,quando andava a lavorare la terra. Una giornatada bracciante, a volte, richiedeva un’ora o duedi cammino per raggiungere il posto di lavoro.
Ma negli occhi di Corindo non c’è nessunaretorica, nessun senso epico, nessun autocom-piacimento. Vive così da sempre e non si è maicomprato neanche un furgoncino o un trattoree ancora oggi lavora l’orto.
Foto Roberto Sinibaldi
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Bertarelli ai primi del Novecento percorre inbicicletta il territorio dei Falisci:Attraversare questa contrada è assai interes-sante pel turista, sebbene essa sia priva dirisorse, quasi impervia e assai faticosa. Faleria,Calcata, Mazzano, Magliano Pecorareccio, sonopoverissimi siti dell’alta Valle del Treia o dei suoiaffluenti, paesucoli sparsi su un terreno ondulato,tormentato da quei profondi burroni di cui intornoa Civita vi sono gli esempi più noti e ammirati.Con queste parole il geografo, speleologo eviaggiatore Luigi Vittorio Bertarelli descrivei territori, oggi in gran parte interessati dal Parcodel Treja, in un resoconto molto dettagliato,
che lascia intravedere pas-sione e curiosità, interessee quasi sconcerto per le ca-ratteristiche di questi luoghi:i resti archeologici, la povertàdel tempo, la tormentatamorfologia collinare incisada forre scoscese. Era l’estate del 1908 e Ber-tarelli intraprende un av-venturoso viaggio in bici-cletta da Civita a Mazzanoe oltre. Nell’articolo pubblicatosul numero di dicembre dellostesso anno della rivista men-sile del Touring Club d’Italia
Un viaggiatore del secolo scorsoRoberto Sinibaldi
Calcata ai primidel ’900.
(di cui fu fondatore e primo presidente) è ma-gnificata la civiltà falisca e il sito archeologico diNarce. La descrizione è molto colorita, e si capiscecosì che la strada da Faleria a Calcata, ai primidel Novecento era poco più di un tratturo!Bertarelli prosegue nella descrizione di Calcata: Una grande roccia tagliata a picco da ogniparte si estolle nel cielo, coronata dal cupo vil-laggio (600 abitanti circa). Soltanto una stretta lama di scoglio congiungeil gran torrione al fianco della valle da cui sigiunge. Su questa lama trova appena posto lastrada angusta che conduce all’unica entratadel paese. Questa è scavata nella roc-cia ad un livello più bassodelle prime abitazioni, po-nendo in vista dei grandivani che furono o magazzinidegli etruschi, sottostantialle loro case, o fors’ancoloro tombe. La straducola conduce su,come un budello oscuro trale case, alla chiesa ed allapiazzetta senza vista, tuttaserrata tra le casette am-mucchiate sulla cima del col-le. Così è Calcata.Il reportage di Bertarelli èuna testimonianza preziosae suggestiva, che indagandoil presente di allora ci proiettanel nostro tempo e sulle at-tuali esigenze di tutela.
La copertinadella rivista delTouring Club deldicembre 1908.
Foto Archivio Parco
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50Il sistema di protezioneambientale della Regione Lazio
Parchi e Aree Protette
PARCHILAZIO n. 24/2017
Il Lazio è interessato da 3 Parchi Nazionali e87 altre aree protette, istituite conprovvedimenti legislativi o amministrativi,regionali o statali. Sono suddivise per tipologiain monumenti naturali, parchi regionali eriserve naturali, compresa un’area marina, perun totale di superficie protetta pari a circa250mila ettari, corrispondente a oltre il 13%del territorio regionale.
I Parchi Regionali naturali propriamente dettisono 14, tutelano un ricco patrimonio storico eculturale e favoriscono la permanenza delleattività agricole, forestali e artigianalitradizionali.
Un patrimonio ambientale, quindi, fatto dipaesaggi, archeologia e biodiversità. Si tratta di territori di grandi tradizioni storiche,che presentano un complesso intreccio con imiti, le leggende e il folclore locale.
Retaggi antichi, densi di stratificazioni, in cui lastoria è la somma delle storie dei luoghi edegli uomini che per millenni li hanno popolati.
È qui che si devono sperimentare politiche perla qualità e l’inclusività della natura in tuttii processi sociali.
La tutela dell’ambiente e delle connessioniecologiche può essere una preziosaopportunità di sviluppo sostenibile, oltre adavere evidenti scopi educativi, rigenerativi ecompensativi soprattutto per gli abitanti dellegrandi città.
La fauna italiana ècostituita da circa58.616 specie dicui circa 57.258Invertebrati e1.358Vertebrati.
La flora italianacomprende 6.711specie di piantevascolari(Pteridofite,Gimnosperme eAngiosperme),1.097 specie diBriofite (Muschied Epatiche) e2.145 specie diLicheni.
Nel panoramadelle regioni dellapenisola, il Lazioè una delle regionicon la maggiorebiodiversità in Italia.Ospita infatti oltreil 50% delpatrimonionazionale concirca 30.000specie animali e3.500 specievegetali censite.
PARCHILAZIO n. 24/2017
Direzione Capitale naturale, parchi e aree protettevia del Pescaccio n. 96/98, 00166 Roma
[email protected]. 06 51687334 - 06 51687312
Magazine della DirezioneCapitale naturale, parchi e aree protettedella Regione Lazio
Coordinamento editoriale e realizzazioneRoberto Sinibaldi
ScrittiValeria Gargini, Elena Sciacca, Luciano Sestili,Roberto Sinibaldi, Jacopo Tabolli
Foto di copertinaIl fiume Treja - Roberto Sinibaldi
Altre foto e disegniPaolo Gherardi, Marcello Lorenzi, Hardy Ritcher, Adriano Savoretti, Roberto Sinibaldi, Jacopo Tabolli,Archivio del Parco, Archivio Museo Archeologico Virtuale di Narce
Supporto cartograficoCristiano Fattori
Progetto graficoEnrico Bianchi
È consentitala riproduzione totale
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