Magazine aprile 2012

8
ANNO 3 - N.2 - MARZO/APRILE 2012 - PERIODICO DELLA FONDAZIONE COSTRUIAMO IL FUTURO - DIRETTORE RESPONSABILE: ANGELO FRIGERIO “Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Spesso abbiamo sentito usare e abusare di questa frase. Ma io credo che mai come oggi, essa ri- assuma in modo sintetico e mirabile la discussione attorno al tema del lavoro. Il Parlamento attende il testo che do- vrebbe dare il via all’iter legislativo del provvedimento. Eppure da settimane i quotidiani sono pieni di veti incrociati che se da un lato testimoniano lo spi- rito conservatore di alcune parti della società italiana, dall’altro non sembra- no un buon viatico per una discussione che dovrebbe affrontare il merito delle questioni e non fermarsi alla difesa ide- ologica di istituti che dopo quarant’an- ni, forse, sarebbe meglio ripensare. Insomma, nascondendosi dietro batta- glie di principio, si è completamente perso di vista l’obiettivo: il lavoro. Inteso non solo come difesa dei diritti che pure sono importanti, ma come capacità di far ripartire la crescita del Paese. Uno studio recente di Banki- talia ci dice che negli ultimi anni la ricchezza delle famiglie (il possesso di beni che hanno un valore di mercato) ha assunto un ruolo preminente nella vita degli italiani superando di gran lunga la produzione. Cioè, a fronte di una crescita dei patrimoni abbiamo assistito ad un calo del Pil. Al punto che se nel 1987 le famiglie di giovani under 34 avevano un livello accettabile di ricchezza, oggi sono precipitate. Contestualmente, invece, è cresciuta la ricchezza di nuclei familiari di pensio- nati. A fare la differenza non è più la capacità di mettersi in gioco dei cittadi- ni, di crescere, di migliorare la propria condizione, ma la fortuna o meno di nascere in una famiglia ricca, di aver accumulato risparmio, di ricevere doni o eredità, di saper “giocare” con il mer- cato azionario. Non possiamo accettare questo assunto. Anche perché coincide necessariamente con una visione dispe- rata del nostro futuro. (...) SEGUE A PAGINA 4 Editoriale Una riforma per la crescita Maurizio Lupi Siamo tutti imprenditori Il libro di Raffaello Vignali racconta la storia di una legge al servizio di chi “tiene in piedi” il Paese. Quando un amico ti chiede di recensire un suo libro sei orgoglioso e insieme timoroso, perchè temi che l’amicizia possa limitare la capacità di giudizio. La situazione si complica se poi sei stato compartecipe della vicenda raccontata: la storia di una legge, quello Statuto delle imprese che Raffaello Vignali ha voluto e ottenuto nonostan- te tutto e nonostante tutti. E’ quanto è successo a me quando Raffaello mi ha chiesto di scrivere a proposito del suo “La grandezza dei piccoli. Lo Statuto delle impre- se, una rivoluzione copernicana.”. Una storia di successo parlamentare e di un parlamentare, un bravo deputato che dice di sé quanto è stato capace, un racconto che potrebbe a prima vista sembrare autore- ferenziale. Poi ho letto il libro. La mia preoccupazione si è dissolta, perché in realtà nel testo c’è molto, molto di più. Vignali parla delle picco- le e medie imprese e degli imprenditori. Di come lo Statuto sia una speranza per loro e di come loro siano una certezza per l’Italia e la via per uscire dalla crisi. Lo fa senza tecnicismi o sofismi, lo fa andando oltre, perché in ogni pagina del libro lui parla di te, parla di me. Per- ché siamo tutti “imprendito- ri” (in Italia lo sono in senso proprio ben dieci persone su cento) di quella straordinaria impresa che ci è stata affidata alla nascita e che si chiama vita. Scrive Vignali: “Si può lasciar scorrere la vita, su- birla, come l’acqua su un sasso, impermeabili a tutto; oppure si può vivere la propria esistenza da protagonisti, in qualunque situazione ci si trovi”. La scelta è quella tra l’essere imprenditore, cioè una persona che scommette con ragionevolezza sulla positività della vita e per questo costruisce e innova, cade e si rialza, lotta e riparte instan- cabile, oppure essere “prenditore”, vale a dire uno che non ama la vita, che si colloca come un parassita nel tempo che scorre inesorabile, ricco solo del proprio cinismo e della propria indiffe- renza. Da piccolo, all’inizio della primavera, mia mam- ma mi dava sempre un ricostituente, per affron- tare il cambiamento di clima e tonificare il mio esile corpo di bimbo. Leggere il libro di Vignali è come prendere un super ricostituente contro l’inverno della crisi ed aprirsi a una primavera di speranza. Questo ricostituente fa bene a tutti: se sei un lavoratore, dipendente o imprendito- re non importa (“l’imprenditore è un lavorato- re che esercita il suo mestiere insieme con altri lavoratori come lui” dice a ragione Vignali), riacquisti consapevolezza della digni- tà di ciò che fai e di quello che sei; se sei un giornalista scopri che la “casta” è com- posta anche di persone che lavorano per il bene comu- ne; se sei uno dei soloni le cui teorie strampalate e pericolose Vignali confuta sapientemente (perché in fondo un solone è uno che è grandemente solo, perché rinchiuso tra le mura del proprio pregiudizio) hai l’occasione di “convertirti”; vale anche se sei una casa- linga, un pensionato, uno studente, persino se sei di- soccupato, perché l’infinito lavoro che è la vita ha biso- gno di sostegno continuo, di un metodo e della certezza della meta. Come ho detto all’inizio, l’origine del libro è una legge, grande e importante, e l’indicazione dei suoi frutti, presenti e futuri. Futuri perché lo Statuto delle imprese è l’approdo di tre anni di lavoro parlamentare ma soprattutto il punto di partenza per una politica al servizio di chi tiene in piedi il tessuto economico e sociale italiano, le piccole e medie imprese. Per questo è il caso di dire: fatta la legge, comin- cia il lavoro! Antonio Palmieri Antonio Palmieri presenta “La grandezza dei piccoli” Alla scoperta dell’Europa Diventare grandi rimanendo piccoli Ballarò: domande e risposte Sperimentazione e innovazione Nicola Orsi e Tiziana Colla, dello staff di Costruiamo il Futuro, incontrano i rappresentanti di alcune prestigiose istituzioni comunitarie. Intervista a Paolo Preti. Il docente della Bocconi curerà lo studio sulle reti d’impresa promosso dalla Fondazione. Il giornalista Giovanni Floris chiude il seminario con una lezione su come si realizza un talk show. Intervista a Valentina Aprea, nuovo Assessore all’Istruzione, Formazione e Cultura della Lombardia. alle pagine 6 e 7 a pagina 3 a pagina 4 a pagina 8

description

Magazine aprile 2012

Transcript of Magazine aprile 2012

Page 1: Magazine aprile 2012

ANNO 3 - N.2 - MARZO/APRILE 2012 - PERIODICO DELLA FONDAZIONE COSTRUIAMO IL FUTURO - DIRETTORE RESPONSABILE: ANGELO FRIGERIO

“Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Spesso abbiamo sentito usare e abusare di questa frase. Ma io credo che mai come oggi, essa ri-assuma in modo sintetico e mirabile la discussione attorno al tema del lavoro. Il Parlamento attende il testo che do-vrebbe dare il via all’iter legislativo del provvedimento. Eppure da settimane i quotidiani sono pieni di veti incrociati che se da un lato testimoniano lo spi-rito conservatore di alcune parti della società italiana, dall’altro non sembra-no un buon viatico per una discussione che dovrebbe affrontare il merito delle questioni e non fermarsi alla difesa ide-ologica di istituti che dopo quarant’an-ni, forse, sarebbe meglio ripensare.Insomma, nascondendosi dietro batta-glie di principio, si è completamente perso di vista l’obiettivo: il lavoro. Inteso non solo come difesa dei diritti che pure sono importanti, ma come capacità di far ripartire la crescita del Paese. Uno studio recente di Banki-talia ci dice che negli ultimi anni la ricchezza delle famiglie (il possesso di beni che hanno un valore di mercato) ha assunto un ruolo preminente nella vita degli italiani superando di gran lunga la produzione. Cioè, a fronte di una crescita dei patrimoni abbiamo assistito ad un calo del Pil. Al punto che se nel 1987 le famiglie di giovani under 34 avevano un livello accettabile di ricchezza, oggi sono precipitate. Contestualmente, invece, è cresciuta la ricchezza di nuclei familiari di pensio-nati. A fare la differenza non è più la capacità di mettersi in gioco dei cittadi-ni, di crescere, di migliorare la propria condizione, ma la fortuna o meno di nascere in una famiglia ricca, di aver accumulato risparmio, di ricevere doni o eredità, di saper “giocare” con il mer-cato azionario. Non possiamo accettare questo assunto. Anche perché coincide necessariamente con una visione dispe-rata del nostro futuro. (...)

SEGUE A PAGINA 4

Editoriale

Una riforma per la crescita

Maurizio Lupi

Siamo tuttiimprenditoriIl libro di Raffaello Vignali racconta la storia di una leggeal servizio di chi “tiene in piedi” il Paese.Quando un amico ti chiede di recensire un suo libro sei orgoglioso e insieme timoroso, perchè temi che l’amicizia possa limitare la capacità di giudizio. La situazione si complica se poi sei stato compartecipe della vicenda raccontata: la storia di una legge, quello Statuto delle imprese che Raffaello Vignali ha voluto e ottenuto nonostan-te tutto e nonostante tutti. E’ quanto è successo a me quando Raffaello mi ha chiesto di scrivere a proposito del suo “La grandezza dei piccoli. Lo Statuto delle impre-se, una rivoluzione copernicana.”. Una storia di successo parlamentare e di un parlamentare, un bravo deputato che dice di sé quanto è stato capace, un racconto che potrebbe a prima vista sembrare autore-ferenziale.Poi ho letto il libro. La mia preoccupazione si è dissolta, perché in realtà nel testo c’è molto, molto di più.Vignali parla delle picco-le e medie imprese e degli imprenditori. Di come lo Statuto sia una speranza per loro e di come loro siano una certezza per l’Italia e la via per uscire dalla crisi. Lo fa senza tecnicismi o sofismi, lo fa andando oltre, perché in ogni pagina del libro lui parla di te, parla di me. Per-ché siamo tutti “imprendito-ri” (in Italia lo sono in senso proprio ben dieci persone su cento) di quella straordinaria impresa che ci è stata affidata alla nascita e che si chiama vita. Scrive Vignali: “Si può lasciar scorrere la vita, su-birla, come l’acqua su un sasso, impermeabili a tutto; oppure si può vivere la propria esistenza da protagonisti, in qualunque situazione ci si trovi”. La scelta è quella tra l’essere imprenditore, cioè una persona che scommette con ragionevolezza sulla positività della vita e per questo costruisce e innova, cade e si rialza, lotta e riparte instan-cabile, oppure essere “prenditore”, vale a dire uno che non ama la vita, che si colloca come un

parassita nel tempo che scorre inesorabile, ricco solo del proprio cinismo e della propria indiffe-renza.Da piccolo, all’inizio della primavera, mia mam-ma mi dava sempre un ricostituente, per affron-tare il cambiamento di clima e tonificare il mio esile corpo di bimbo. Leggere il libro di Vignali è come prendere un super ricostituente contro l’inverno della crisi ed aprirsi a una primavera di speranza. Questo ricostituente fa bene a tutti: se sei un lavoratore, dipendente o imprendito-re non importa (“l’imprenditore è un lavorato-re che esercita il suo mestiere insieme con altri

lavoratori come lui” dice a ragione Vignali), riacquisti consapevolezza della digni-tà di ciò che fai e di quello che sei; se sei un giornalista scopri che la “casta” è com-posta anche di persone che lavorano per il bene comu-ne; se sei uno dei soloni le cui teorie strampalate e pericolose Vignali confuta sapientemente (perché in fondo un solone è uno che è grandemente solo, perché rinchiuso tra le mura del proprio pregiudizio) hai l’occasione di “convertirti”; vale anche se sei una casa-linga, un pensionato, uno studente, persino se sei di-soccupato, perché l’infinito lavoro che è la vita ha biso-gno di sostegno continuo,

di un metodo e della certezza della meta.Come ho detto all’inizio, l’origine del libro è una legge, grande e importante, e l’indicazione dei suoi frutti, presenti e futuri. Futuri perché lo Statuto delle imprese è l’approdo di tre anni di lavoro parlamentare ma soprattutto il punto di partenza per una politica al servizio di chi tiene in piedi il tessuto economico e sociale italiano, le piccole e medie imprese. Per questo è il caso di dire: fatta la legge, comin-cia il lavoro!

Antonio Palmieri

Antonio Palmieri presenta “La grandezza dei piccoli” Alla scopertadell’Europa

Diventare grandi rimanendo piccoli

Ballarò: domande e risposte

Sperimentazione e innovazione

Nicola Orsi e Tiziana Colla, dello staff di Costruiamo il Futuro, incontrano i rappresentanti di alcune prestigiose istituzioni comunitarie.

Intervista a Paolo Preti. Il docente della Bocconi curerà lo studio sulle reti d’impresa promosso dalla Fondazione.

Il giornalista Giovanni Floris

chiude il seminario con

una lezione su come

si realizza un talk show.

Intervista a Valentina Aprea,nuovo Assessore all’Istruzione, Formazione e Cultura della Lombardia.

alle pagine 6 e 7

a pagina 3

a pagina 4

a pagina 8

Page 2: Magazine aprile 2012

2 Costruiamo il Futuro Magazine - Marzo/Aprile 2012

I soci raccontano

Con l’entusiasmo si diventa grandi

“Guardare oltrel’obiettivo”

Vincenzo e Cristina Colombo raccontano la storia di un’azienda: fatta di passione e lavoro.

Da una tesi sulle caldaie, al comando della Beretta. Giorgio Pastorino si racconta.

Fondata nel 1962 la Torneria Automatica Al-fredo Colombo srl , grazie ad una spiccata voca-zione per la precisione esecutiva, è diventata in breve tempo un vero e proprio punto di riferi-mento per affidabilità, precisione ed eccellenza qualitativa nella realizzazione della minuteria tornita di precisione.

L’innovazione, caratteristica che fa parte del Dna dell’azienda, è il fattore che da sempre imprime la spinta necessaria per potenziare e migliorare costantemente capacità produttive, efficienza e flessibilità .

Grazie a cospicui investimenti per acquisire le tecnologie più avanzate, nonché ad un pro-gramma di formazione continua che coinvolge tutti i collaboratori, è stato messo a punto un processo produttivo decisamente all’avanguar-dia. L’intero processo produttivo, dall’acquisi-zione dell’ordine alla spedizione dei pezzi finiti al cliente, è costantemente monitorato con un sistema informatico che garantisce alti stan-dard qualitativi in ogni singola fase. Il processo di tornitura è il vero e proprio cuore pulsante dell’azienda, in ogni fase del ciclo produttivo precisione e accuratezza sono standard ai quali l’azienda si attiene scrupolosamente.

Abbiamo incontrato Vincenzo e Cristina Co-lombo, figli di Alfredo, che oggi portano avanti l’azienda con passione e determinazione e ab-biamo chiesto di raccontarci quali ritengono essere i loro punti di forza.

“Ciò che caratterizza la nostra azienda e che ci ha permesso di crescere in questi anni è una forte passione per quello che ogni giorno fac-ciamo, passione per la precisione, per la qualità concreta – spiega Vincenzo Colombo - L’impe-gno quotidiano e le enormi energie dedicate all’azienda non possono essere giustificate solo da un riscontro economico. Ciò che alimenta il nostro lavoro sono le congratulazioni di un cliente , il piacere di condurre l’azienda in una crescita globale e il gusto di condividere con i collaboratori le soddisfazioni e i risultati otte-nuti. Riteniamo che il patrimonio umano sia il vero valore aziendale, proprio per questo mo-tivo è stato sviluppato in questi ultimi anni un nuovo sistema premiante e incentivante legato ai risultati.”

Aggiunge Colombo “ Per restare sul mercato è fondamentale continuare a investire in tecno-logia, in processi produttivi innovativi per for-nire al cliente un servizio completo e non più il solo pezzo tornito come avveniva anni fa per le aziende delle nostre dimensioni. E’ per que-sto che abbiamo proseguito , anche durante la crisi, nel programma di innovazione e miglio-ramento continuo, elementi fondamentali sia

per il nostro cliente che per i nostri collabora-tori. Per soddisfare maggiori volumi, la capa-cità produttiva è stata ampliata ed il personale incrementato. Per garantire migliori tempi di risposta, la progettazione e realizzazione degli utensili speciali è stata internalizzata e il servizio offerto sarà ampliato con l’introduzione di un reparto di assemblaggio automatico. Sul piano della qualità abbiamo aumentato la tecnologia di controllo automatico al 100% e l’obiettivo 2012 è operare nel rispetto della norma ISO TS 16949, nel 2013 vorremmo ottenere la certifica-zione per l’ambiente e la sicurezza.”

Visitando i reparti produttivi è evidente l’at-tenzione particolare che l’azienda pone nei confronti dei dipendenti. E’ altrettanto evi-dente il coinvolgimento che gli stessi hanno nell’azienda, tanto che abbiamo deciso di in-contrarne alcuni.

E’ Paolo a raccontarci un episodio che fa respirare il clima di un’azienda che si muove, vivace, ansiosa di creare: “Abbiamo voluto misu-rarci, un po’ per gioco, realizzando una bache-ca dove eleggiamo l’operario migliore. Ciascu-no di noi ha un avatar, Fabio ad esempio, che gestisce la bacheca, è Jack Sparrow. Alla fine del mese l’operatore vincente viene premiato. L’azienda ha messo a disposizione un riconosci-mento economico, ma noi abbiamo chiesto di poter trascorrere una pausa pranzo con Vincen-zo e Cristina. In un’azienda in crescita si rischia di perdere il contatto con i proprietari, i nostri titolari si interessano di quello che facciamo e ci sono riconoscenti, per noi questo ha un grande valore. Il riconoscimento vale più di un premio in denaro”.

Daniele, assunto nel 94, ha visto crescere l’azienda, ha visto cambiare la tecnologia ma i valori sono rimasti gli stessi: “ I problemi e le difficoltà ci sono in tutte le aziende, io sono arrivato che eravamo in due, ora siamo più di 40. Ne ho visti tanti arrivare, pochi andar via e comunque tutti col sorriso”.

Marco confessa che nonostante la sveglia sia dura e il lavoro impegnativo, il team è un grup-po giovane, dinamico e affiatato. Anche Agosti-no è d’accordo: “la possibilità di lavorare insie-me a persone con cui si condivide la passione, la grinta, l’entusiasmo porta a fare grandi cose, non solo in azienda, anche nella vita.”

Fabio, il più giovane aggiunge: “sono cresciu-to qui, mi hanno insegnato tutto, lo può dimo-strare il mio faldone degli appunti”.

Per dirla con gli operai: ce ne fossero di aziende così.

Carlotta Borghesi

I dipendenti della Torneria Automatica Alfredo Colombo Sncall’ingresso dell’azienda

Questa non è la storia di un’azienda. È mol-to di più. È la storia di un uomo: un imprendi-tore, che non doveva fare l’imprenditore e con una passione per l’insegnamento. Così ama de-finirsi Giorgio Pastorino, perché l’uomo non ha mai una sola personalità, ma ne contiene tante, ciascuna con potenzialità straordinarie, ma desti-nate a volte a rimanere inespresse. È difficile rias-sumere in poche parole l’incontro con un’espe-rienza profonda. Lascerò il compito alla voce di questo grande lavoratore, che a Lecco ha guidato un colosso come la Beretta per trent’anni, por-tandola da un fatturato di circa 1 miliardo di lire nel 1972 a quasi 500 miliardi nel 2000. “C’è un filo rosso che conduce la vita dell’uomo attraver-so eventi che appaiono casuali, ma forse così non sono”. Il racconto inizia così, a Genova, nel 1961. Pastorino, studente alla facoltà di ingegneria, decide di chiedere al professore una tesi speri-mentale su un motore: suo malgrado gli viene as-segnato lo studio di una caldaia. Incontra ciò che sarà al centro di tutta la sua vita professionale. E incontra la donna che sarà sua moglie, sorella del suo compagno di tesi.

Dovranno passare alcuni anni, prima che si chiarisca il suo destino. Dopo un periodo alla Edison, Pastorino si trova a lavorare a fianco dell’ing. Beretta, e dopo qualche anno l’azienda entra in un un periodo di crisi e trasformazio-ne. “Le opportunità nascono sempre dai grandi problemi. Ci ritrovammo un’azienda in grande difficoltà, per la perdita del cliente/socio, sul quale si era puntato per lo sviluppo e per cui io stesso ero a Lecco. Per me fu l’occasione di trovare spazio, essendo giovane andavo bene nel nuovo”. L’attività riprese con nuovi clienti: Fiat, Same e la Beretta cominciò anche a fare calda-ie a cherosene unifamiliari e a costruire una sua rete vendita: una vera innovazione. “Nell’ambito della missione nel riscaldamento unifamiliare, Io volevo realizzare le caldaie murali – prosegue Pastorino – ma Beretta non era della stessa idea. Prima di morire mi lasciò un documento bellissi-mo, dove indicava le ragioni, valide e profonde, per cui la Beretta non avrebbe dovuto fare queste caldaie. E concludeva: “però se ci credi falle”. Fu un atto di fiducia che diede vita ad una storia ar-rivata fino ad oggi.

La Beretta cominciò così a produrre caldaie murali. “Ho avuto anche fortuna: i grandi co-struttori di caldaie non avevano capito le poten-zialità del prodotto, e poi ci fu lo sviluppo del gas. Intuendo che non potevo realizzare tutto da solo per cultura e competenza, mi affidai a for-

nitori terzi di componenti per la loro esperienza nell’ambito specifico, mantenendo all’interno progettazione, montaggio e distribuzione. Que-sta decisione ci ha salvato perché ha consentito una riduzione dei mezzi finanziari necessari per lo sviluppo prodotto”. Fu una vera rivoluzione e un grande successo. E si venne a delineare quel-la che Pastorino definisce, non del tutto positi-vamente, azienda fortezza: “il termine è legato proprio al successo. Un’azienda che cresce in modo esponenziale e ottiene un risultato duratu-ro, mantenendo la stessa classe dirigente, tende a chiudersi in se stessa, rischiando di indebolirsi”. Occorre spiegare, a questo punto, come Giorgio Pastorino ha saputo guidare un team di manager verso un risultato dirompente, che nessuno po-teva immaginare. Per farlo è necessario tornare alla passione per l’insegnamento, perché, come spiega “per dirigere un’azienda con grandi po-tenziali di mercato, occorre avere più autorevo-lezza che autorità. Occorre guardare la direzione in cui il successo è probabile e duraturo. Ho di-retto la mia azienda per trent’anni secondo indi-rizzi e non secondo obiettivi. Elevandomi dalle contingenze, puntando dritto verso una visione di lungo periodo. Tale comportamento ha gene-rato attorno a me una squadra di persone, che non agivano più da semplici manager, ma come imprenditori veri e propri, capaci di darsi degli obiettivi in autonomia, anche se coordinati da me, e di seguire la mia indicazione per quanto riguardava, invece, l’indirizzo e la strategia di lun-go termine”.

Poi i problemi legati alle dimensioni di un mercato che diventava globale, portarono la Be-retta a far parte della Riello, un’azienda familiare italiana, dai molti valori condivisi, compatibile con lo sviluppo definito, ma caratterizzata da una competizione interna alla famiglia, che ne avreb-be compromesso a lungo termine la coesione.

Poi l’uscita nel 2000, una nuova avventura imprenditoriale in un settore innovativo ad alta tecnologia, la crisi, con la fine della nuova attivi-tà. “Oggi le competenze sviluppate in tutti questi anni si sono riversate su Deltacalor, l’azienda vo-luta e realizzata dai miei due figli, sostenendoli nello sviluppo attuale - conclude Pastorino - e poi ho imparato a perdere, che è, sul piano per-sonale, una esperienza altrettanto interessante dell’ avere successo”. Non si può raccontare in un pranzo una vita intera, ma bastano poche pa-role per capire quando ci si trova di fronte ad un grande uomo.

Carlotta Borghesi

L’AGENDA

Venerdì 13 aprile ore 21

Centro Sportivo Paolo VI-Barzanò

Incontro con S.E. Cardinale Carlo Caffarra

e Bruno Vespa. -Assieme all’on. Maurizio

Lupi parleranno della

“Questione educativa oggi”

13 maggio ore 11Osnago Fiera di ManifestaGiornata finale del Premio Costruiamo il FuturoPremieranno le organizzazioni meritevoli l’on. Maurizio Lupi e la cantante Anna Oxa. È possibile iscriversi al premio fino al 30 aprile. Invitiamo le organizzazioni non profit operanti in ambito socioassistenziale e sportivo a partecipare per ricevere premi in denaro e medaglie d’oro.

Sabato 26 maggio ore 10Seregno, Teatro San Rocco.Premiazione del concorso

di giornalismo in-formazione per le scuole

medie superiori. A premiare le classi vincenti il Ministro Lorenzo Ornaghi.

tienitiaggiornatosugli eventi

dellaFondazione

www.costruiamoilfuturo.it

Page 3: Magazine aprile 2012

Costruiamo il Futuro Magazine - Marzo/Aprile 2012

Presentato a Missaglia “La prima politica è vivere” L’intervista: parla Valentina Aprea

Approfondire sempre le ragioni

Sperimentazione e innovazione

Maurizio Lupi e Fausto Bertinotti si confrontano.Come lavorare per il bene del cittadino?

Sono i cardini del programma studiato dal nuovo Assessore all’Istruzione, Formazione e Cultura della Lombardia.

Non è facile parlare di politica senza scende-re in inutili scontri ideologici e lasciando spazio a contenuti importanti, esperienze di vita che possano innanzitutto raccontare una storia. È successo a Missaglia, dove più di cinquecento persone si sono riunite per assistere ad un di-battito quantomeno singolare: Maurizio Lupi e Fausto Bertinotti. Il padrone di casa era proprio Lupi che ha voluto promuovere un incontro per presentare alla Brianza il suo libro: “La prima politica è vivere”. Il convegno, organizzato dalla Fondazione Costruiamo il Futuro, è stato mode-rato dalla giornalista Elisabetta Soglio.

Nonostante la distanza politica Lupi e Berti-notti hanno interpretato, ciascuno a suo modo, una passione che nasce dalla volontà di lavorare per il bene del cittadino. Ed hanno saputo ap-profondire una crisi evidente. “Non sono cre-dente ma in politica credo molto in una resur-rezione – ha esordito Bertinotti – Io dico che la politica è morta. E quindi deve riflette sui suoi errori. Ma perché la politica è morta? Non per-ché non ci siano le persone. È morta perché si è separata dalla vita quotidiana della gente. È stata

divorata dall’economia”. A queste affermazioni il presidente di Costruiamo il Futuro ha rispo-sto partendo proprio dall’esperienza brianzola: “La politica muore quando manca la volontà di essere protagonisti, se l’uomo non è mosso dalla ricerca di una positività della realtà. Per me que-sto è uno degli incontri più importanti. Per quel-la che è stata la mia storia. Perché arrivando qui, in Brianza, la prima volta che sono stato candi-dato nel 2001, ho dovuto rimettermi in discus-sione. Capire la ragione per cui facevo politica.

L’incontro con gente che non mi appartene-va, mi ha spinto a stare di fronte a nuove storie, passioni, esperienze. Alla crisi di oggi dobbiamo rispondere con testimonianze, con la vita vera, con un esempio che si possa seguire. La politica può rinascere solo nel momento in cui si mani-festa una passione per sé stessi”. Ed ha concluso dicendo: “Noi la pensiamo diversamente, venia-mo da storie diverse, ma se partiamo dal fatto che vogliamo la stessa cosa, potremo lavorare insieme, con confronti che non possono che ar-ricchire”.

Carlo Cazzaniga

Valentina Aprea è il nuovo Assessore all’Istru-zione, Formazione e Cultura della Lombardia. Ha deciso di lasciare la capitale ed il suo incarico di pre-sidente della VII Commissione alla Camera (Cultu-ra, Scienza e Istruzione) per la Regione. L’abbiamo incontrata nel suo nuovo ufficio, arredato da ma-gnifici capolavori degli artisti di Brera.

Assessore Aprea. È appena arrivata da Roma per dirigere un Assessorato importante come quello dell’Istruzione. Quali sono le prime impressioni?

Passando dalla Camera a Città di Lombardia mi è sembrato di arrivare nel XXI secolo, lascian-do la storia ed entrando in un ufficio del futuro. Il palazzo è bello e funzionale, una sede ottimale per fare un lavoro di riflessione, progettazione e rappresentanza. Ho cominciato a conoscere le per-sone, i dirigenti. Che sono agguerritissimi, abituati a immaginare soluzioni a favore dei cittadini e di un modo sussidiario di governare i servizi. Abbiamo stabilito una giorno alla settimana di riunioni, per trovare e speri-mentare nuove risposte guardan-do alle migliori pratiche nazionali ed europee.

Parliamo di quanto state facen-do: nel disegno di legge Misure per la crescita, lo sviluppo, l’occu-pazione si legge che la Regione in-tende “rimuovere gli ostacoli che frenano lo sviluppo attuando una semplificazione” anche nell’am-bito che La riguarda. Quali sono questi ostacoli, come intendete superarli?

Si portano a regime ottime esperienze già verificate negli anni scolastici, come il raccordo tra istruzione professionale statale e istruzione e formazione professionale regionale, frutto di un accordo con il Ministro Gelmini, ed altre esperienze come la bottega scuola, i tirocini, l’apprendistato. Si tenta di migliorare la qualità del servizio scolastico, anche pubblico, intervenendo sulla possibilità per le scuole lombarde di speri-mentare, secondo accordi precisi che verranno presi con il Ministero, la possibilità di far incontrare domanda e offerta, con riferimento ai docenti che vengono chiamati a supplire per un anno i titolari.

Cosa significa?La legge prevede una sperimentazione per i sup-

plenti annuali, aventi diritto a lavorare nelle scuole lombarde, con possibilità per le scuole di bandire concorsi di istituto in modo tale da poter scegliere, tra gli aventi diritto, quei docenti che maggiormen-te condividono il progetto educativo della scuola. Insomma, non più un’assegnazione al buio fino ad esaurimento delle graduatorie, ma una scelta con-sapevole e una ricerca reciproca di condivisione del progetto educativo al fine di dare migliore qualità al sistema educativo. La strada è tutta in salita, per-ché le norme nazionali non prevedono questo uti-lizzo; stiamo trattando tenacemente con il Ministe-ro e stiamo convincendo i colleghi della conferenza degli assessori regionali perché si possa arrivare a stipulare questo accordo.

Però nel disegno di legge sulle semplificazioni si parla anche di attuazione dell’autonomia nell’am-

bito dell’istruzione, attraverso la definizione di un organico e la costituzione di reti territoriali scola-stiche…

Certo. Ma quando il Ministero parla di sperimen-tazioni non intende dire che le regioni possono sperimentare. Anche questo abbiamo contestato al Ministro Profumo, ma loro vogliono aprire un’inte-sa, un dibattito nella Conferenza Stato Regioni, in particolare con la Commissione IX per introdurre il concetto di rete territoriale, il concetto di orga-nico funzionale, ma su input del Ministero. E non va bene. Perché il Titolo V della Costituzione parla chiaro e quindi dovremmo avere lo stesso potere di proposta e di modifica del sistema.

I dati relativi alla dispersione scolastica sono pre-occupanti. Anche in Regione Lombardia si registra questo problema?

Noi non abbiamo un forte problema di dispersio-ne perché abbiamo posto in essere un sistema che

prevede, accanto ai percorsi statali, dei percorsi di istruzione e formazio-ne professionale di diversa durata e finalità, consentendo un immediato inserimento nel mondo del lavoro e un’articolazione più flessibile del sistema scolastico. Si tratta adesso di misurare il successo di tali percorsi.

Cosa vi preoccupa maggiormen-te?

In Lombardia siamo preoccupati di diffondere la qualità e l’eccel-lenza. La collusione del percorso di istruzione non sempre coincide con una qualifica o con una gratifi-cazione di competenze elevate. Noi

lavoriamo per superare la mediocrità, allargare le sfere e le eccellenze e creare intorno alle agenzie formative e alle scuole autonome circuiti culturali e di competenze tali da elevare sempre di più i livelli di apprendimento. Peraltro non partiamo da zero: pensiamo ai sistemi museali, a quelli delle biblio-teche, le mostre, gli eventi qui in città di Milano. Si tratta di creare un raccordo tra la scuola e tutto quello che la Regione offre.

Quali sono le altre priorità che ha potuto verifica-re in questi giorni?

L’altra priorità riguarda la digitalizzazione dei settori formativi. Abbiamo appena concluso una riunione con gli editori di Editech, che presente-ranno l’editoria del XXI secolo. È un’offerta nuova rispetto a quella che storicamente conosciamo, si tratta di tornare a preparare i docenti, accorciare il divario che c’è tra insegnanti e studenti sulla co-noscenza di tali strumenti e sollecitare la curiosità.Noi desideriamo che la formazione sia un tempo utile per sviluppare competenze nuove e non solo per acquisire le conoscenze della tradizione occi-dentale. Naturalmente mi riferisco alle lingue, al patentino informatico, che tutti i ragazzi che vanno a scuola devono poter conseguire in tempo utile, e poi l’apprendistato, l’alternanza scuola lavoro, la possibilità di fruire dei servizi culturali. Tante inizia-tive che ci vedono impegnati fino a giugno per po-ter presentare alla fine dell’anno scolastico un pro-gramma di nuove iniziative per l’anno prossimo.

Tiziana Colla

3

La tavola rotonda di ErbaIl 12 marzo il libro “La prima politica è

vivere” è stato presentato anche a Erba, presso la Biblioteca Civica. Assieme a Mau-rizio Lupi, autore del libro e vicepresiden-te della Camera, sono intervenuti Antonio Palmieri, deputato e responsabile internet e nuove tecnologie Pdl; Paolo Del Debbio, docente di Etica e Economia ed etica del-la pubblicità all’Università IULM di Milano ed editorialista de Il Giornale e TgCOM24; Marcella Tili, sindaco di Erba. A moderare l’incontro Giancarlo Ferrario, direttore del Giornale di Erba.

I relatori al termine dell’incontro. Da sinistra: Maurizio Lupi, Elisabetta Soglio e Fausto Bertinotti.

Nella foto sopra, da sinistra: Marcella Tili, Maurizio Lupi, Giancarlo Ferrario, Paolo Del Debbio e Antonio Palmieri.

PRESENTAZIONE

Valentina Aprea

“LA PRIMA POLITICA È VIVERE”30 gennaio 2012SI RINGRAZIANO

Page 4: Magazine aprile 2012

4 Costruiamo il Futuro Magazine - Marzo/Aprile 2012

La ricerca

Diventare grandi rimanendo piccoliIntervista a Paolo Preti. Il docente della Bocconi curerà lo studio sulle reti d’impresa promosso dalla Fondazione.

“Il meglio del piccolo”. È l’ultimo volume pub-blicato dal Professor Paolo Preti, docente ordinario di Organizzazione e Personale presso l’Università Bocconi di Milano. Studioso delle piccole e medie imprese, di organizzazione interna, gestione del personale, sviluppo e accordi interaziendali. Sarà lui a guidare la nuova ricerca che la Fondazione Costruiamo il Futuro pubblicherà durante l’anno 2012. Il tema è di interesse primario, in particola-re in una Brianza caratterizzata, più di altre zone d’Italia, dalla diffusione capillare di micro imprese familiari: le reti d’impresa.

Se ne parla da tanto ma nella pratica si tratta di esperienze nuove, appena avviate che mostreranno nel prossimo futuro i primi risultati. La ricerca si fo-calizzerà su alcuni casi pratici, prendendo in esame anche alcune realtà locali. L’autore de “Il meglio del piccolo” ci introduce in un mondo molto più forte di quanto si pensi, una realtà viva, capace di trainare il nostro paese e produrre ricchezza.

Nella sua pubblicazione “Il meglio del piccolo” indica le caratteristiche fondamentali delle aziende italiane: piccola media dimensione, vocazione im-prenditoriale, proprietà familiare, attività manifat-turiera. Queste sono le aziende capaci di produrre in Italia?

Partiamo da un dato statistico: all’estero, in Fran-cia, Germania, negli Stati Uniti, ci sono piccole me-die imprese. Ma esse partecipano in misura mini-ma alla creazione di ricchezza del paese. In Italia invece il contributo delle aziende che presentano le caratteristiche citate è altissimo, di molto supe-riore rispetto a qualsiasi altro grande paese a noi paragonabile. Qualunque sia la misura macroeco-nomico presa in esame: pil, export, occupazione. Poi c’è un secondo elemento. Chi viene in Italia studia le bellezze architettoniche, la predisposizio-ne al bello ed al gusto, nel tessile, nell’abbigliamen-to, nell’alimentare. È difficile che venga a studiare l’economia. I pochi che lo fanno sono interessati esclusivamente a questa peculiarità del nostro pa-ese.

Come si spiega la nascita di un tessuto produtti-vo di questo genere?

Molti critici pensano che questo modello vada

superato. Io credo invece che sarebbe interessante avviare studi di comprensione di questo fenome-no. Purtroppo un percorso simile può nascere solo nel momento in cui si riconosce l’importanza e la positività di tali aziende. La mia spiegazione par-te innanzitutto da un dato storico: il nostro è un paese frastagliato, fatto da 8.500 comuni, il 75% con meno di 10.000 abitanti. Abbiamo solo due grandi metropoli. In questo siamo molto distanti dalla Francia, per esempio, che storicamente vive intorno a Parigi. Questo fattore va unito alla for-te determinazione a mettersi in proprio creando un’impresa nel proprio comune e dando lavoro a persone che vivono nello stesso territorio. Di con-seguenza è molto facile che queste aziende nasca-no e molto difficile che crescano. L’Italia è inoltre caratterizzata dai distretti: la cui nascita mi porta ad introdurre un terzo elemento. A fronte della crisi del ’68-’73 venne istituito l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, un tema ancora oggi attualissimo, nel maggio del 1970, che non prevede il sindacato sotto i 15 dipendenti. È facile immaginare come questo articolo, spinse gli imprenditori a trasforma-re un’azienda da 90 dipendenti in 6 da 15, perché in quegli anni il sindacato era fortissimo. Si venne-ro così a creare nuove aziende, sempre nello stesso luogo e nacquero i distretti. Questo è un fenomeno di micro, parcellizzazione dell’impresa. Noi abbia-

mo parecchie leggi che, pur nascendo con un altro scopo, finiscono per favorire la nascita di piccole imprese.

Le pmi sono quindi un fenomeno positivo. Pre-sentano secondo lei anche delle criticità?

Potrei farne un’enunciazione teorica, ma repu-to che le positività siano di gran lunga superiori. Noi siamo secondi in Europa solo alla Germania. Il mercato interno si è fermato. L’Italia sta in piedi solo grazie all’export. Se in Italia abbiamo il 90% di piccole medie imprese, allora vuol dire che sono proprio queste che esportano in tutto il mondo. Non credo che la Fiat esporti le automobili, sem-mai esporta le fabbriche.

La Fondazione Costruiamo il Futuro promuo-verà una ricerca sulle reti d’impresa, che vedrà proprio Lei nel ruolo di curatore. Come nasce il progetto e cosa si aspetta da questo lavoro?

Nasce dall’idea che diventare grandi è impossibi-le. Ma allo stesso tempo necessario per raggiunge-re obiettivi più complessi. La soluzione è diventare grandi restando piccoli: facendo rete. Di accordi interaziendali, di possibilità delle imprese di unir-si se ne parla da anni, ma ad un’enunciazione di principio non sono mai seguite esperienze interes-santi. La rete ha grandi possibilità, perché permet-te all’ imprenditore di restare padrone. Condivi-dere i capitali è difficile perché l’imprenditore è molto individualista, aspetto positivo, ma allo stesso tempo fa fatica a collaborare, aspetto negativo. Con le reti l’imprenditore continua a fare le cose di pri-ma ma per un 10, 20% dell’attività collabora con altre imprese per fare ricerca, andare sui mercati esteri, acquistare assieme. Questa modalità risolve il problema di diventare grandi assecondando la volontà di autonomia. Credo che questa formula sia destinata ad avere successo. Dal 2009, quando si è data una normativa alle reti d’impresa, sono state create 214 reti, sono tutti esperimenti all’inizio, la maggior parte di pochi mesi fa. Non abbiamo an-cora i risultati. Attraverso la ricerca che pubbliche-remo intendiamo mettere a fuoco quello che sta accadendo e siamo molto curiosi di vedere come si evolveranno le cose.

Tiziana Colla

Una riforma per la crescita(...) La forza dell’Italia, al contrario, è ed è stata proprio la capacità dei suoi cittadini di rischiare il proprio, di non rassegnarsi anche quando la realtà sembrava contraddire questo slancio positivo. Non a caso possiamo contare su una fitta rete di piccole e medie im-prese che in alcuni settori rappresenta-no dei veri e propri punti di eccellenza. Imprenditori che in questo momento, al contrario di ciò che dicono e pensano in molti, non desiderano licenziare i propri dipendenti, ma avere la possibi-lità di ripartire garantendo a loro e ai loro operai un futuro migliore. Lo dimostrano le priorità che questo mondo ha sempre posto nel dibattito pubblico: non finanziamenti a pioggia dalle istituzioni, ma meno burocrazia. Perché se gli iter sono più veloci, se i tempi sono certi, un’attività può pro-grammare e crescere.Certo, poi c’è il nodo delle risorse. Nes-sun imprenditore può accontentarsi di sapere che le banche hanno problemi, che i soldi presi a condizioni favorevoli dalla Bce servono per attività che nulla hanno a che vedere con il credito. Per-ché non ci chiediamo una volta quali sono i problemi reali? Le nostre impre-se hanno bisogno di essere sostenute, di qualcuno che dia loro credito. Non solo sottoforma di prestiti, ma anzitutto come sinonimo di fiducia.Ed è a questo punto che si innesta un dibattito serio sul tema del lavoro. Dia-mo fiducia a chi, con enormi sacrifici, ha costruito la propria intesa. Perché dobbiamo necessariamente trattarlo come qualcuno che non vede l’ora di cacciare tutti e chiudere la propria azienda. Personalmente sono convinto che l’idea che una maggiore libertà in uscita porterà automaticamente ad una impennata delle assunzioni, sia pura utopia. Questo non significa che l’articolo 18 debba rimanere così come è. Dopo 40 anni, forse, è giusto pensare a formu-le di tutela che siano più rispondenti all’attuale natura del mercato del lavoro. In tal senso occorre sicuramente ragionare sugli inasprimenti che la rifor-ma, così come enunciata dal governo, sembra introdurre in entrata. Smontare molti degli istituti previsti dalla legge Biagi significa peggiorare considere-volmente il sistema. La flessibilità non è e non può essere sempre considerata come un sinonimo di precarietà. Per questo, più che al posto fisso, pensiamo e siamo favorevoli ad percorso continuo prima.Due ultime considerazioni che mi sembrano importanti. I canali di finan-ziamento e di agevolazioni fiscali sono tutti improntati sul modello della media e grande impresa, vanno rimodulati (si pensi ai fondi disponibili a Cassa Depo-siti e Prestiti, inaccessibili oggi nei fatti dai piccoli). Non possiamo dimenticarci che il no-stro tessuto imprenditoriale è per oltre il 90% costituito da Pmi. E non dimenti-chiamoci nemmeno che l’imprenditore è spesso anche un padre di famiglia. Per questo ragionare, accanto al tema del giusto inserimento delle donne nel mercato del lavoro, su incentivi e age-volazioni fiscali per la famiglia significa aiutare anche l’imprenditore.

Maurizio Lupi

SEGUE DALLA PRIMA

Morti bianche e tutela del credito. Ma non basta…

Morti bianche: le chiamano così ma non hanno nulla di candido. Sono quelle che avvengono nei cantieri e nelle fabbriche. Operai e manovali che - per mille motivi, fra cui l’incuria e la mancanza di prevenzione - perdono la vita sul posto di lavoro. Li ricordano e li commemorano tutti: dal Presidente della Repubblica ai sindacati, fino ad arrivare al sindaco e al sacerdote.

Tutto bene, tutto giusto. Ma chi ricorda le altri morti bianche? Quelle degli imprenditori, per la stragrande maggioranza piccoli, che si uccidono perché non riescono a far fronte ai debiti? Chi aiuta le loro famiglie? E quelle dei loro dipendenti?

Certo, qualche rigo in cronaca. Parole di circostanza che non asciugano le lacrime. Ma soprattutto non vanno alla radice del problema. Perché? Perché suicidarsi a 47 anni, come Vincenzo Di Tinco di Taranto? O a 45, come Paolo Trivellin di Vicenza? Oppure ancora a 60, come Ivano Polita di Noventa del Piave?

L’elenco potrebbe continuare a lungo. La crisi è un ciclone che investe tutto e tutti. E i più deboli soccombono. La storia di Vincenzo Di Tinco è em-blematica. Di mestiere faceva il commerciante: le bancarelle del mercato prima, un piccolo negozio di abbigliamento dopo. Aveva un problema con la banca e una tratta da 1.300 euro da pagare a fine mese. Il colloquio con un funzionario, il no al prestito, il suicidio. Una corda e un albero nella sua casa di campagna. Tutto in poche ore. Viene alla mente il titolo di un film: “Non si uccidono così anche i cavalli?”

Ivano Polita invece faceva il falegname. Una piccola azienda che, nei tem-pi d’oro, lavorava con i Benetton per la posa dei pavimenti in legno dei loro negozi. Poi arriva la crisi. Il lavoro non manca. Ma un conto è consegnare i prodotti, un altro farsi pagare. E così il “castelletto” piange, la liquidità

manca, la banca non anticipa più. Ma gli stipendi degli operai, gli affitti, il materiale bisogna continuare a pagarlo. “Mi sento solo”, scrive Ivano. “Così non posso più vivere”. Lo trovano nel suo ufficio, dove lavorava sino a sera tardi, impiccato a una trave. Amaro il commento di Luca Zaia, il governatore del Veneto: “Scandaloso. Una volta il fallito era chi aveva debiti. Oggi chi ha crediti”.

Certo, si tratta di casi estremi. Ma sono la punta di un iceberg. Di quella piccola e media impresa, ovvero l’ossatura produttiva del nostro Paese, che non ce la fa più. Fra banche che hanno stretto i cordoni della borsa, clienti che non pagano, pratiche burocratiche sempre più lunghe, inutili e avvilenti. Ma è mai possibile che tre aziende venete convochino i giornalisti perché Equitalia non rimborsa loro 14 milioni di euro (avete capito bene, 28 miliardi di vecchie lire) di Iva?

In tutto questo la bagarre sull’articolo 18 e sui provvedimenti sul lavoro fa sorridere. I problemi sono altri. E il primo, e più importante da affrontare, è la tutela del credito. Parliamoci chiaro: in Italia chi non vuole pagare, non paga. Non veniteci a raccontare storie. E’ ora che la politica attivi al più presto quei meccanismi in grado di tutelare chi lavora bene e con professionalità. Bisogna farlo in fretta. Le notizie sulle “morti bianche” non le vogliamo più sentire. Ma non basta.

La politica può aiutare ma non risolve il problema della solitudine. Ecco allora l’esigenza di un gruppo di amici che si mettono insieme per aiutarsi a fare impresa. Passione, amicizia: e se Vincenzo, Paolo, Ivano avessero incontrato un luogo così? Chissà…

Angelo Frigerio

Paolo Preti

Page 5: Magazine aprile 2012

Costruiamo il Futuro Magazine - Marzo/Aprile 2012

Case history

L’unione fa la forza. Un esempio concretoTecnoelettrica Brianza, F.lli Spreafico, 3C Catene, Cremonini, Machiavelli, OMB, Officina Colombo. Sette aziende insieme per un progetto innovativo.

Nel 2009 viene istituita una normativa che re-gola l’aggregazione tra imprese, permettendo loro di aggredire il mercato con una forza contrattuale maggiore. Si tratta di una pratica sempre più diffu-sa, capace di sostenere il mondo delle piccole me-die imprese che costituiscono l’ossatura del nostro paese, portando l’85% del pil nazionale.

Una di queste esperienze è nata proprio in Brianza, nel lecchese, dall’unione di sette aziende che hanno deciso di mettersi assieme per diventa-re più forti: Tecnoelettrica Brianza, F.lli Spreafico, 3C Catene, Cremonini, Machiavelli, OMB, Offici-na Colombo.

Sono sette aziende prevalentemente impegna-te sul mercato come terzisti, che hanno deciso di unirsi, ed affrontare nuovi obiettivi. Abbiamo in-contrato il manager di rete, Maurizio Ammanna-to, per farci raccontare questa esperienza.

Come è nato questo progetto?Tutto è nato 6 anni fa, in ambito Confartigiana-

to Imprese, con un gruppo di imprese tutte pro-duttrici, non della stessa filiera, che avevano inten-zione di unirsi con un slogan: piccolo non è bello, ma piccolo insieme è bello. E quindi PIB: Progetto Innovazione Business. Il nome è nato proprio per dire che l’unione fa la forza. Abbiamo comincia-to a mettere in piedi un’attività di aggregazione , considerando che i tempi necessari sono lunghi. Mettersi insieme, fare rete, non è una moda, ma la strada per uscire dalle crisi.

Nella pratica come inizia un percorso di questo genere?

Si inizia con piccoli progetti, come gli acquisti o i trasporti, per vedere dei risultati positivi fin da subito. È un modo di capire come insieme si pos-sono raggiungere degli obiettivi. Comincia così a crearsi un rapporto di fiducia che nella rete è fon-damentale. Dopo qualche anno abbiamo deciso di sviluppare l’interazione tra le aziende, realizzando un prodotto da portare direttamente sul mercato. Abbiamo raccolto le idee, classificandole secondo tre categorie: innovatività, ritorno a breve, legame con l’attività delle aziende partecipanti. I primi due prodotti sono stati presentati ad un bando re-gionale e uno dei due ha vinto: il lampione a led.

Così avete iniziato a cercare finanziamenti?Siamo arrivati nel periodo giusto: nel 2008 l’Eu-

ropa ha elaborato una normativa lo Small Business Act, con l’intento di indicare ai paesi europei una maggiore attenzione verso le pmi. In Italia è segui-to il contratto di rete, una forma giuridica definita per le associazioni di imprese. La Regione Lom-bardia, in particolare, si sta impegnando a soste-nere queste pratiche, attivando numerosi bandi, perché senza l’aiuto dei finanziamenti pubblici si fa fatica a sostenere grandi progetti. Mentre con i soldi si può fare innovazione.

Quanto conta l’innovazione per un’azienda?L’innovazione non è un discorso una tantum.

Ma un processo continuativo. Altrimenti prima o poi arrivano i cinesi che fanno tutto a metà prez-zo. E l’innovazione può essere fatta a 360°. Non riguarda solo il prodotti, ma anche i processi, ad esempio si può andare insieme verso i mercati esteri, o l’organizzazione interna.

Voi avete presentato al bando regionale un pro-dotto innovativo: il limulux. Come funziona, quali sono le qualità, le caratteristiche peculiari?

Vincendo questo bando ci è stato possibile ap-procciare l’Università, in particolare l’Istituto di Chimica di Milano e lavorando assieme abbiamo dato vita ad un prodotto estremamente innovati-vo. Non solo infatti il lampione è a led, ma è au-topulente. La calotta infatti è strutturata in modo tale che, con i raggi ultravioletti del sole, si attiva un film capace di sgretolare lo sporco ed eliminar-lo grazie alla pioggia che viene prima raccolta e poi eliminata. Ad oggi neanche Enel ha un pro-dotto simile.

Lei ha potuto osservare il lavoro svolto da queste imprese che si sono unite, dando vita ad un’aggregazione che vuole competere con aziende

molto più grandi. Ci sono dei vantaggi ad essere una rete?

Si attivano scambi che producono idee migliori. Accade come in un formicaio: se si osserva un for-micaio realizzato da una formica è estremamente semplice, quello fatto da due è più complesso, ma non semplicemente moltiplicato per due. L’ef-

fetto moltiplicativo delle idee subisce un proces-so esponenziale. Tante idee brillanti emergono dall’unione di più persone. Inoltre la rete pre-senta una flessibilità capace di affrontare le crisi in modo dinamico: le grandi aziende fanno fatica a trasformarsi. Le piccole mettono insieme sei o sette imprenditori; se decidono di fare una cosa il

giorno dopo è implementata. L’unico svantaggio del piccolo consiste nell’aspetto finanziario. Ag-gregandosi però le pmi ottengono la forza finan-ziaria delle grosse aziende, mantenendo l’agilità delle piccole, l’accesso diretto al mercato, la cono-scenza del cliente e la propria autonomia.

Carlotta Borghesi

5

Da sinistra: Stefano Machiavelli, Machiavelli; Riccardo Bongiovanni, O.M.B. ; Innocente Colombo, Officina Colombo; Maurizio Ammannato, direttore di rete; Paola Spreafico, F.lli Spreafico; Walter Cortiana, 3C Catene; Daniele Riva, Cremonini; Gaetano Riva, Tecnoelettrica Brianza.

Page 6: Magazine aprile 2012

6 Costruiamo il Futuro Magazine - Marzo/Aprile 2012

Visita al Parlamento di Bruxelles

Alla scopertadell’EuropaNicola Orsi e Tiziana Colla, dello staff di Costruiamo il Futuro, incontrano i rappresentanti di alcune prestigiose istituzioni comunitarie.

Ore 8 partenza, obiettivo Bruxelles. La permanenza sarà breve ma intensa, con un’agenda fitta di appuntamenti con le varie istituzioni europee. Atterriamo all’aeroporto Charleroi, più economico ma a 1 ora dalla città, e dopo vari cambi di mezzi giungiamo al Parlamento Eu-ropeo, palazzo all’avanguardia e smisu-rato. Incontriamo subito Mario Mauro -presidente della delegazione del PDL al gruppo PPE - e Gianni Pittella - vicepresi-dente vicario del parlamento - entrambi presidenti di Meseuro. Il loro ufficio del centro studi non ha niente a che fare con gli uffici italiani, pomposi e ricchi di anti-chità. Qui si respira un’aria di modernità, di burocrazia e di interculturalità.

Passiamo un po’ di tempo con loro che ci illustrano Meseuro e cosa significa essere parlamentari europei italiani. Fini-to il colloquio la segreteria di Mario Mau-ro ci fa visitare il parlamento, passiamo corridoi e scorciatoie che solo i segretari conoscono per ritrovarci proprio lì nella sala plenaria. Dopo un pranzo fugace è già ora di andare al secondo appunta-mento a le Berlaymont ci sta aspettando Antonio Tajani. Il commissario europeo per l’industria ci accoglie entusiasta del-la nostra visita e ci spiega il suo ruolo e la distanza che l’Italia ha nei confronti dell’Europa. La mentalità a Bruxelles è differente da quella italiana, forse perché devono far convivere 27 paesi di culture e tradizioni differenti. Usciamo dal Berlay-mont piove, eh si perché il clima in Bel-gio è così piove poi è sereno e poi ripiove. Ci prodighiamo in metropolitana e arri-viamo a Place de Champ de Mars, dove ha la sede la Regione Lombardia, palaz-zo rinascimentale e gonfalone verde che sventola, un po’ ci sentiamo a casa. Ci presentiamo un po’ inzuppati a Gianlo-renzo Martini, capo delegazione che ci accoglie offrendoci un caffè – espresso italiano! Ci travolge con la sua voglia di far conoscere in Italia il loro operato e l’occasione rappresentata da Casa Lom-bardia. Girando per la città scorgiamo le Petit Sablon, le Gran Sablon. Prendiamo un aperitivo con alcuni funzionari della commissione - qui il clima informale ti permette di incontrare tutti con estrema facilità.

L’Europa, burocratica ma trasparente, forse poco ironica. Abbiamo da imparare ma anche da insegnare.

Prossima missione tornare a Bruxelles con i soci, visitare con loro le istituzioni ma anche occasione per stare insieme. Quindi preparatevi a partire!

Tiziana Colla

Meseuro: per un dialogo sociale culturale e umano

Cosa significa Meseuro?Mauro: Meseuro è un vento che

soffia nel Mediterraneo da sud-est tra lo Scirocco e il Levante. Il fatto che non sia conosciuto ai più non deve farlo sembrare indifferente e la sua brezza discreta non va con-fusa con debolezza. Meseuro può rappresentare quell’aria gentile che rischiara l’orizzonte permettendo di vedere più lucidamente le sfide del presente e che avvicina le coste mediterranee verso un futuro carat-terizzato da interessi comuni.

Perché avete deciso di dare vita al Centro Studi Meseuro?

Pittella: Poiché unire le nostre forze rappresenta l’impostazione migliore per affrontare le sfide del-la area europea e mediterranea. La nostra storia, sia italiana che euro-pea, rimanda all’incontro di popoli e civiltà che sono nate e si sono sviluppate sulle sponde del mare di Ulisse. Il Mediterraneo è la culla delle grandi civiltà, da quella fenicia a quella greca; da quella romana a quella cristiana, senza dimenticare la civiltà arabo-musulmana e la storia del popolo ebraico. Questo incontro ha prodotto moltissimi esempi di fusione da cui si sono generati irripetibili risultati sotto il profilo artistico e culturale.

Mauro: L’area del Mediterraneo rappresenta uno snodo cruciale per la crescita economica dell’Unio-ne europea. Anche se il Mediterraneo ad un’ana-lisi politica ed economica si presenta oggi come un’area marginale rispetto ai grandi centri decisio-nali del mondo, esso, tuttavia, rappresenta un’area ritenuta strategica rispetto ai destini mondiali. Qui si trovano infatti alcune grandi questioni dalla cui risoluzione dipende, in parte, la pace mondiale. Con l’età moderna la centralità politica e culturale del bacino del Mediterraneo si è eclissata, così come la sua ricca tradizione culturale fortemente impre-gnata dell’esperienza religiosa è passata in secondo piano.

Quali sono i vostri obiettivi?Mauro: Attraverso il Centro Studi Meseuro inten-

diamo instaurare innanzitutto un dialogo sociale, culturale e umano, che abbia come presupposto la comprensione reciproca e la promozione di valori fondanti delle nostre civiltà. A questo fattore im-prescindibile è legata la buona riuscita della coo-perazione sul piano innanzitutto politico, attraverso la ricerca incessante di un dialogo riguardante la politica di sicurezza per sviluppare relazioni sem-pre più incisive tra i paesi interessati. Il secondo, ma non meno importante livello di cooperazione è quello economico. Siamo convinti che il moltiplicarsi degli accordi e degli scambi ha favorito e continuerà a favorire l’estensione di relazioni economiche e so-ciali equilibrate tra le parti.

Pittella: Meseuro sarà inoltre un luogo di incon-tro tra organizzazioni euro-mediterranee, tra rap-presentanti delle istituzioni e tra i protagonisti del mondo dell’impresa. Parallelamente si offrirà come centro di elaborazione per chi, condividendo il no-stro spirito, saprà elaborare proposte innovative per le sfide dell’area mediterranea.

Di che cosa si occupa nel concreto il centro e

quali sono gli ambiti di intervento?Pittella: Le aree principali di interesse del Centro

Studi Meseuro, che da ottobre 2011 è una associa-zione internazionale senza scopo di lucro di diritto belga, sono l’energia, l’istruzione e la formazione, il dialogo interculturale, l’immigrazione, l’agroalimen-tare, le reti di infrastrutture e logistica, la ricerca, le micro e piccole medie imprese. Meseuro si occuperà di promuovere le iniziative che fondazioni, associa-zioni e i singoli aderenti si prefiggono di realizzare negli ambiti sopra citati, ponendo particolare atten-zione al soddisfacimento dei bisogni socio-econo-mico e culturali della popolazione europea con par-ticolare riferimento all’area sud del Mediterraneo, nonché a promuovere e divulgare studi e ricerche per la tutela e la valorizzazione delle giovani profes-sionalità in ambito globale.

Mauro: Contribuiremo altresì a creare nei giovani la formazione di un’identità e di una cultura medi-terranea all’interno di una più ampia cultura euro-pea e, soprattutto, a costruire un’area di sviluppo comune della zona euro mediterranea. Infine desi-deriamo promuovere lo sviluppo della cultura tecni-ca, la ricerca scientifica e industriale, l’innovazione tecnologica e l’applicazione delle regole e norme tecniche nei settori della scienza e delle tecnologie riguardanti l’ambiente, con particolare riferimento al settore energetico ed ai problemi inerenti, dif-fondendone la conoscenza e mettendone in rilievo l’importanza economica, ambientale e sociale.

Quali sono le opportunità che offre all’Europa una collaborazione politico-economica con i paesi Mediterranei?

Mauro: La storia di cooperazione effettiva tra Unione Europea e paesi del Mediterraneo è abba-stanza recente, ma dal 1995 sono stati fatti molti progressi in questo senso. Nel 1995 con il processo di Barcellona è stato avviato il partenariato euro-mediterraneo tra l’Unione europea e i paesi del Me-diterraneo del sud che, all’insegna della reciprocità e della solidarietà, è finalizzato alla creazione di una cooperazione di natura politica, economica e socia-le. Tra il 1998 e il 2005 l’Unione europea ha stipulato sette accordi euro-mediterranei di associazione con la Repubblica Araba d’Egitto, lo Stato d’Israele, il Re-gno Hashemita di Giordania, la Repubblica Libanese, il Regno del Marocco, la Repubblica Tunisina e la Repubblica Algerina Democratica e Popolare. Questi

accordi conferiscono un’adeguata disciplina al dialogo politico tra nord e sud, fungono da base alla progressiva liberalizzazione degli scambi nello spazio Mediterraneo e stabili-scono infine le condizioni della cooperazione in ambito economico, sociale e culturale tra l’Unione europea e i paesi partner.

Pittella: Il progetto dell’Unione per il Me-diterraneo potrà giocare un ruolo importante per la pace e potrà contribuire allo sviluppo dell’area euro-mediterranea e dell’Euro-pa intera, se in futuro saprà esercitare con concretezza e visibilità il proprio ruolo. Esso potrà rappresentare un utile strumento sia per l’integrazione economica e regionale che per la cooperazione ambientale tra i paesi mediterranei.

Quali sono i problemi che incontra-te in questo lavoro di costruzione di una collaborazione con paesi spesso distanti dall’Europa sul piano sociale, culturale e

politico economico?Pittella: Oggi non vi è alcun dubbio che il futuro

dell’Europa dipende in grande misura dal modo in cui riusciremo a far convivere le culture e le religioni nell’Unione europea e riusciremo a convivere con i nostri vicini. Uno dei grandi obiettivi della Centro Studi Meseuro è quello di essere un punto d’incon-tro e di dialogo permanente, attraverso una trama di rapporti ed un collegamento organico con personali-tà, gruppi, associazioni di diversi paesi mediterranei.

Mauro: Il dialogo con ebrei e musulmani non può essere un dialogo astratto né deve dare per scontato che l’esperienza religiosa sia vissuta nella sua veri-tà e nella globalità delle sue dimensioni. Per questo anche nei rapporti con i paesi del Mediterraneo il nostro metodo sarà certamente quello dei padri fon-datori dell’Europa unita: ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide. Questo dialogo deve fondarsi sul rispetto e sulla verità.

L’Europa spesso è vista come un’entità lontana e priva di opportunità. Come secondo lei la colla-borazione, l’unità e la sinergia tra paesi europei possono incidere nelle relazioni internazionali?

Mauro: Nel corso degli ultimi dieci anni, la nostra attività di parlamentari europei ci ha dato la possibi-lità di comprendere, da una prospettiva più ampia ri-spetto a quella locale e nazionale, la portata epocale delle sfide che le nostre comunità sono chiamate ad affrontare. Siamo convinti che il ruolo della politi-ca, a livello internazionale ma n on solo, sia proprio quello di promuovere i valori della comprensione e del rispetto reciproco nel pieno riconoscimento dell’altro. Promozione che non deve però limitarsi alla retorica degli ideali, ma che deve fondarsi su iniziative concrete che permettano ai più diversi set-tori nel campo dell’attività’ umana di interagire gli uni con gli altri.

Pittella: Abbiamo deciso di dar vita al Centro Stu-di Meseuro per l’Europa del Mediterraneo proprio perché la nostra intenzione é quella di creare uno spazio condiviso in cui i rappresentanti della società civile, delle istituzioni e del mondo imprenditoria-le provenienti dalle due sponde del Mediterraneo possano confrontarsi e incontrarsi. Questo spazio condiviso potrà essere luogo reale di relazione e via concreta e fattuale per incidere anche nelle relazioni internazionali.

Nicola Orsi e Tiziana Colla al Parlamento Europeo

Mario Mauro Gianni Pittella

Intervista a Mario Mauro e Gianni Pittella, del Centro Studi per l’Europa del Mediterraneo.

Page 7: Magazine aprile 2012

Costruiamo il Futuro Magazine - Marzo/Aprile 2012 7

Casa Lombardia: uno strumento indispensabile

Durante la visita alla delegazione del-la Regione Lombardia a Bruxelles siamo rimasti sorpresi nello scoprire l’efficacia di questo strumento tecnico, operativo e amministrativo che funge da coordina-mento tra le strutture regionali e gli uffici europei. Volevamo approfondire con Lei come sia nata questa realtà e quali siano i compiti che svolge.

Partiamo un po’ dall’inizio. La sede di Regione Lombardia è nata alla fine de-gli anni ’90. L’esigenza concreta di avere degli spazi, che porta alla necessità di un investimento, ci ha fatto fare un salto qua-litativo nel 2005. In quegli anni si sviluppa in modo importante Casa Lombardia, un insieme di uffici a disposizione del sistema regionale lombardo: un sistema economi-co, sociale, culturale che ha bisogno di un appoggio, per approfondire le tematiche o confrontarsi su progetti, o capire come ci si può attrezzare per diventare soggetti che normalmente rispondono a bandi comu-nitari. Nasce allora l’esigenza, da parte di

enti pubblici, ma anche privati, l’esempio di Assolombarda è eclatante, di avere uno spazio fisso da condividere con gli altri. Tale condivisione crea uno scambio di informa-zione continuo, ed una collaborazione con chi lavora per la giunta della regione su os-servazioni, valutazioni e sviluppo di attività. Casa Lombardia è un continuo ricambio di soggetti. È un dinamismo molto interes-sante e molto utile.

Come si rapporta la Regione Lom-bardia con gli enti che vivono all’interno della Casa?

Questi enti lavorano in autonomia. All’esterno noi usciamo con un marchio di sistema Lombardia di relazioni anche po-litiche, che però devono in qualche modo anche essere garantite dalla presenza della struttura della giunta che fa da cappello e da garante.

A Bruxelles ci sono le delegazioni di numerose regioni. L’iniziativa di Casa Lombardia è un esempio unico?

Per quanto riguarda le regioni italiane la

Lombardia offre un esempio unico di svi-luppo del ruolo della delegazione. Da un punto di vista europeo invece non siamo arrivati per primi. Quando abbiamo aperto alla fine degli anni ’90 tutte le altre regio-ni europee avevano già una loro presen-za stabilizzata e sviluppata. Noi abbiamo cercato di prendere spunto anche dalle iniziative degli altri. I catalani e gli scozze-si, ad esempio, hanno al loro interno una struttura simile a Casa Lombardia. Oggi ci possiamo paragonare con le prime regioni in Europa.

Chi può entrare in Casa Lombadia, in che modo?

Ci sono alcune regole fondamentali. La regione privilegia l’ente pubblico o para-pubblico e il privato viene garantito dalla presenza di associazioni come Assolom-barda o il sistema di Unioncamere di Re-gione Lombardia.

Un privato potrebbe entrare?Non possiamo accontentare tutti i priva-

ti. Tuttavia cerchiamo di soddisfare le esi-genze delle imprese dialogando con gli enti rappresentativi.

Ci potrebbe fare qualche esempio concreto dei progetti che state portando avanti?

Le faccio un esempio di poche settima-ne fa. Per poter partecipare ad una gara europea, abbiamo messo insieme una di-rezione generale della giunta, una fonda-zione pubblica che si occupa di energia, la Energy Lab, che ha sede da noi, e l’Enea, che è l’ente nazionale per l’energia. È un bel lavoro perché questi soggetti non si conoscevano. Ce ne sono tanti altri: oggi ad esempio siamo stati invitati, assieme al Politecnico di Milano, dal governo della Re-pubblica Serba perché volevano avere da noi informazioni su come lavorare e sug-gerimenti pratici. Inoltre ci hanno proposto di collaborare, raccogliendo le nostre espe-rienze mantovane e quelle di alcune loro regioni, su progetti legati alla navigazione dei fiumi interni. Sulla qualità dell’aria: co-ordiniamo un gruppo di regioni europee, le più industrializzate, nella presentazione di proposte utili a garantire il rispetto della salute dei cittadini e, allo stesso tempo, lo sviluppo economico.

In definitiva siete in grado di fornire supporto a chi deve rapportarsi con l’Eu-ropa.

Certamente. Noi appoggiamo in con-creto, dando consigli a chi ci chiama, so-prattutto alle Università, li accompagniamo presso gli uffici, dai funzionari che cono-sciamo, cerchiamo di condividere i sug-gerimenti che ci vengono dati per cercare di predisporre al meglio la proposta. C’è un lavoro di formazione, informazione e supporto, un sistema pratico per chi vuole avere successo e condividere qualcosa di nuovo.

Semplificazione, accesso al credito, green economy

Quali sono le opportunità offerte dall’Euro-pa?

Cittadini e imprese devono guardare all’Euro-pa come a una opportunità di crescita e di svilup-po. L’Unione è un grande spazio di libertà dove viaggiare, lavorare, avviare un’attività imprendi-toriale senza più barriere. Le nuove generazioni possono studiare, specializzarsi, imparare a fare impresa in altri Stati Ue grazie a programmi quali Erasmus per giovani imprenditori o per studenti universitari.

Gli strumenti di comunicazione utilizzati dall’Europa sono sufficienti?

Vi sono margini di miglioramento, per quanto siano già operativi numerosi strumenti. Vi faccio l’esempio di Enterprise Europe Network, una rete d’informazione il cui obiettivo è quello di avvicinare gli strumenti europei alle imprese sul territorio aiutandole a sfruttare pienamente le oppor-tunità del Mercato interno. Stiamo lavorando per migliorarne il funzionamento e, in particolare, vorremmo che fosse in grado di raggiungere le imprese in modo molto più capillare.

Le PMI svolgono un ruolo decisivo nello sviluppo del capita-le industriale. Con quali pratiche intendete sostenere le azien-de, anche quelle piccole?

La politica europea in favore delle PMI é riassunta nello Small Business Act. Tre temi sono al centro di questa importante strate-gia: semplificazione, accesso al credito, accesso ai mercati. Sono personalmente impegnato per diminuire gli oneri amministrativi esistenti e per fare in modo che la disciplina futura sia proporzio-nale alle effettive possibilità delle imprese. Altro fronte essenziale

è l’accesso al credito: senza capitali non vi può essere innovazione. E’ per questa ragione che la Commissione ha proposto che con Horizon 2020 e COSME siano stanziati 83 miliardi per misure dirette a sostenere le imprese europee. Non basta. Nel dicembre del 2011 ho presentato una strate-gia complessiva per l’accesso al credito fatta di misure volte a favorire l’utilizzo di strumenti come il venture capital o i mercati borsistici che spesso non sono conosciuti dalle PMI. Infine vorrei sotto-lineare l’importanza della green economy: il futuro dipende sempre di più da una maggiore efficien-za nell’uso delle risorse, puntando sulle energie rinnovabili o sulle tecnologie chiave abilitanti. Ab-biamo bisogno di una terza rivoluzione industriale

che renda più efficiente e più adeguato alle sfide future il nostro attuale modello economico.

Come favorire aziende e imprese nella competizione a li-vello globale?

Oggi solo il 13% delle imprese europee esporta fuori dai confi-ni della UE. È un risultato modesto che va migliorato se vogliamo beneficiare della crescita che, debole in Europa, è invece molto forte in altre aree del mondo come la Cina, l’India, la Russia o il Brasile. Per la prima volta, abbiamo una vera strategia per l’inter-nazionalizzazione delle PMI. L’ho presentata lo scorso novembre. Migliore comunicazione, una vera diplomazia europea al servizio delle imprese, maggiore coordinamento e migliori sinergie tra i diversi operatori attivi in questo settore, più forza a strumenti come le reti d’impresa, anche trasfrontaliere: ecco alcuni stru-menti per aiutare le imprese ad affrontare i mercati globali.

Antonio Tajani, commissario europeo per l’industria e l’imprenditoria, spiega come aiutare le imprese ad affrontare le sfide globali.

Antonio Tajani

Parla Gianlorenzo Martini, responsabile della Delegazione di Regione Lombardia presso l’Unione europea.

Gianlorenzo Martini

Page 8: Magazine aprile 2012

8 Costruiamo il Futuro Magazine - Marzo/Aprile 2012

Il corso in-formazione

Ballarò: domande e risposteIl giornalista Giovanni Floris chiude il seminario con una lezione su come si realizza un talk show. Il tema della settimana, gli ospiti, i servizi e i sondaggi.

“Ballarò è un mercato di Palermo. Abbia-mo scelto questo nome perché volevamo creare un posto che fosse popolare e libero: dove chiunque può fare domande e propor-re risposte, esattamente come al mercato. Chi arriva cerca qualcosa”. Così ha esordito Gio-vanni Floris, conduttore di Ballarò, al corso concorso in-formazione, promosso dalla Fon-dazione Costruiamo il Futuro. Davanti ad una platea composta da 800 studenti delle scuole medie superiori, il giornalista ha tenuto l’ulti-ma lezione del seminario dedicato al giorna-lismo che vedrà la conclusione il 26 maggio, con la premiazione degli elaborati migliori per mano del Ministro Lorenzo Ornaghi. Le classi vincitrici si aggiudicheranno premi in denaro, destinati alla scuola di provenienza, e forniture di materiale, come lavagne mul-timediali.

L’ultima lezione si è svolta il 24 marzo al teatro San Rocco di Seregno. Tema: il talk-show. Floris ha cominciato raccontando la sua storia: “Fin da piccolo volevo fare il gior-nalista. Alle medie facevo il giornalino di classe, al liceo mi occupavo di tematiche di attualità. Poi all’Università mi sono convinto che non ce l’avrei mai fatta. Perché il mondo

del giornalismo era un mondo chiuso, legato alla politica. Ho fatto alcuni colloqui e sono stato preso a lavorare al Banco di Roma. La notte prima di firmare il contratto non ho chiuso occhio”. E così Floris ha deciso di co-municare al padre, che lavorava in banca, che avrebbe rifiutato il posto, per inseguire le sue ambizioni di ragazzo. La risposta è stata “Bra-vo. Salvati almeno tu”.

Erano gli anni di Tangentopoli ed un siste-ma politico stava crollando, una situazione simile a quella di oggi. “Voi vivrete un’epoca come la mia. - afferma Floris - I periodi di crisi sono un vantaggio per i giovani, perché trova-no spazio per inserirsi”.

La fortuna ha contribuito ad aiutare il gior-nalista. Fu inviato a New York per sostituire un collega in ferie: era l’estate del 2001. A settembre Floris si ritrovò da solo a seguire tutta la vicenda delle Torri Gemelle. Poi è arrivato Ballarò. La lezione è proseguita ana-lizzando nello specifico come si realizza una trasmissione: la scelta del tema della settima-na, degli ospiti, come si realizzano servizi e sondaggi, come vengono distribuiti i compiti. Non sono mancati riferimenti alle tematiche di attualità, come la discussione sull’articolo

18. “Il centro sinistra ha paura che si masche-rino licenziamenti discriminatori sottoforma di licenziamenti economici. La Fornero non è d’accordo – spiega il conduttore -. Ma noi non abbocchiamo al dibattito politico. Andia-mo fin dentro al dibattito sociale. C’è un vero tema: il paese ha paura del licenziamento e basta. L’hanno subito per molto tempo i pre-cari. Adesso si scopre che diventa una legge. Questa è la grande paura dell’Italia”.

Ma il primo elemento da mettere a fuoco, per realizzare una trasmissione è quello che si vuole realizzare. “Con Ballarò – afferma il giornalista – noi cerchiamo di proporre, ogni settimana, un posto dove si discute, si cerca, si scopre la verità. È una trasmissione aperta, nessuno sa come finirà, si può sapere solo alla fine”. La lezione si è chiusa con un invito ai ragazzi: “Ognuno dovrebbe fare il lavoro per cui è nato. Ma è difficile che questo accada. Tuttavia non c’è altra fase nella vita in cui uno può sperare di riuscirci. Solo a vent’anni si può tentare. E ci sono due strade: la prima è avere il coraggio di provarci, la seconda stu-diare, moltissimo. Questi sono gli unici stru-menti che avete”.

Carlo Cazzaniga

Russia: un’opportunità da cogliere con attenzione

L’idea di invitare l’amico on. Valentino Valentini insieme al console onorario Pier Paolo Lodigiani per parlarci della Russia si è rivelata vincente. I nostri ospiti sono infatti tra i massimi esperti delle relazioni economiche tra il nostro paese e la Russia e delle opportunità commerciali e di intrapresa che quella grande e ricca terra rappresenta.

Ne è scaturita una serata ben riuscita e di gran-de interesse per tutti i numerosi soci presenti.

Dopo uno scambio di saluti accompagnati da un aperitivo di benvenuto, la serata è iniziata con una panoramica di carattere generale sull’argomen-to fatta dal console Lodigiani, che da più di venti anni vive in Russia ed è diventato un importante operatore economico nella regione del Krasnodar. I nostri ospiti si sono prestati volentieri a un dialogo informale e molto concreto sulle tematiche poste dai nostri soci, che sono intervenuti con domande e richieste di chiarimenti ciascuno secondo il pro-prio ambito d’interesse. La Russia viene vista come opportunità, ma al tempo stesso spaventa per la grandezza e la poca conoscenza, questa l’idea dif-fusa degli intervenuti.

Si è quindi parlato del delicato argomento dell’in-dividuazione e delle modalità di collaborazione con un eventuale partner russo; del quadro normativo all’interno del quale un’impresa che decida di en-trare nel mercato russo si trova, con una partico-lare attenzione al diritto societario e alle diverse e minori tutele che esso offre rispetto a quello italia-no; delle modalità attraverso cui interfacciarsi con la pubblica amministrazione e le regole che sotten-

dono la partecipazione a gare e appalti. Il console ha ribadito il concetto che per intraprendere una nuova attività in Russia, la conoscenza del territorio e dei suoi usi e costumi è fondamentale. Un primo approccio lo si può avere contattando la Camera di Commercio e l’ICE, che possono dipanare le prime problematiche, ma fondamentale è essere lì in prima persona, senza delegare. Si è parlato di energia, agricoltura, costruzioni, turismo. Si è ovviamente parlato della grande richiesta che la Russia esprime in tutti i settori riguardo al Made in Italy, ma anche della scarsa capacità delle nostre aziende di essere presenti in modo sistematico ed efficace a causa della poca propensione dei nostri imprenditori a concepire la loro presenza, anche fi-sica, all’estero e a creare aggregati di imprese che abbiano la massa critica sufficiente per competere su quei mercati dove è indispensabile fare sistema. Tra il buffet di prodotti tipici valtellinesi e un risotti-no aromatizzato al limone sono inoltre state fornite informazioni sulla fiscalità russa e sul sistema do-ganale vigente.

In estrema sintesi si può dire che i nostri ospiti ci hanno descritto la Russia come una terra di enormi risorse e grandissime potenzialità, ma che richiede grande prudenza e una indispensabile capacità di presenza costante e continuativa “sul campo” a diretto contatto con i propri clienti e stakeholders. Una serata piacevole che ha arricchito tutti i parte-cipanti nella conoscenza del gigante Russia e della cucina valtellinese.

Lino Iemi, Francesco Sangiorgio

Maurizio Lupi e Giovanni Floris

Visita all’istituto In-presa: studiare il Medioevo cucinando

È un’idea proposta dagli insegnanti di In-presa, la scuola professionale di Carate Brianza, fre-quentata dai ragazzi che di studiare non hanno tanta voglia. E così, per fare imparare il Medio-evo i docenti si sono inventati un nuovo metodo: farlo cucinando. I camerieri accolgono gli ospiti in costumi tradizionali e invitano gli imprenditori di Costruiamo il Futuro e l’ospite d’onore, Paolo Liguori, a sedersi in una bellissima sala apparec-chiata secondo le usanze dell’epoca. È un’occa-sione per presentare le attività di questa scuola che accoglie studenti in difficoltà, prevenendo l’abbandono scolastico e aiutandoli ad inserirsi nel mondo del lavoro. Prima di cominciare il pran-zo i ragazzi del corso di aiuto cuoco ci guidano in un mondo lontano, dove non si usavano le posate, dove servi e padroni ancora mangiavano assie-me e ciascun tavolo doveva essere occupato da

12 persone. Sotto la guida degli insegnati hanno imparato come storia, comportamenti, tradizioni, usanze si sono evolute per poter servire al me-glio i commensali. Il banchetto inizia degustando un vino speziato e assaggiando pescecane con bianca agliata e mostarda di uvetta. Si prosegue con i tortelli da infermi con seppia e crema di mi-glio. Ogni piatto è accompagnato dalla spiegazio-ne dei ragazzi mentre si aggirano indaffarati tra i tavoli. Si conclude con dariolla all’acqua di rosa. C’è anche il tempo di ascoltare un intervento del direttore editoriale di TgCOM24 che ci parla del mondo dei giovani e della multimedialità.

“La vita si può capire solo all’indietro, ma si vive solo in avanti” recita il menù. È stata davvero una bella lezione. Quando si insegna con passio-ne si ottengono grandi risultati.

Carlotta Borghesi

Paolo Liguori assieme ai cuochi di In-Presa

INCONTRO“LA QUESTIONE EDUCATIVA OGGI”13 aprile 2012SI RINGRAZIANO