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30 LATE FOR THE SKY FORMIDABILI QUEGLI ANNI (?) Qualche considerazione ed un paio di passaggi di testimone M a poi, fu vera gloria? Per chi si appresta a saltare il fosso degli anta nell’anno molto poco di grazia del 2005, ripensare al rock indipendente italiano degli anni ottanta è un po’ come camminare su carboni ancora ardenti. Soprattutto se ci si prefigge di farlo con quel minimo di obietti- vità che i capelli brizzolati o, peggio anco- ra, la classica rapata strategica, dovrebbe- ro dopotutto garantire. Già, perché ripen- sare a quel periodo significa fare i conti con una parte importante della propria adolescenza: di quella anagrafica e di quella di fruitori di musica rock, due fasi della vita che –in fondo- non sempre coin- cidono ma che, quando succede, sono davvero fuochi d’artificio… Perché, a venti e più anni di distanza, si tende a mantene- re un cantuccio nella memoria solo per i ri- cordi più belli: tutto questo tempo sarà al- meno servito per rimuovere quelli brutti… E perché, è inutile negarlo, quando un fat- to qualsiasi comincia a perdere contatto con la realtà per avviarsi verso il Viale dei Ricordi è come se indossasse improvvisa- mente un vestito nuovo, se adottasse un nuovo taglio di capelli, e tutto d’un tratto non lo si riconosce più: un’aura luminosa lo avvolge inaspettatamente e lo trastulla senza posa nel suo nuovo, importantissi- mo ruolo. Ricordate il militare? Il tempo è riuscito a farci ingoiare qualsiasi boccone amaro ed a costringerci a pensare con no- stalgia perfino a quei giorni buttati nel ces- so…: un ricordo, quando ormai è soltanto un ricordo, non può essere che un bel ri- cordo. Altrimenti, se appena possiamo, preferiamo non ricordarlo affatto. Ripensa- re a quegli anni attraverso la lente defor- mante di un entusiasmo tipicamente gio- vanile, con il trasporto emotivo di chi ritor- na a mettere il naso in una vecchia miniera d’oro, pur essendo conscio di trovarla com- pletamente defraudata dal passare degli anni e dalle continue razzie, può portare ad una visione distorta ed amplificata di una realtà che, per certi versi, è molto più povera di quanto potrebbe sembrare oggi o di quanto ci appariva all’epoca. Allo stes- so modo, però, vent’anni possono servire a tagliare molti ponti con il passato, emoti- vi e non, a ripensare con spirito critico alla luce di un inquadramento storico e artisti- co a posteriori, a cercare di rimettere in li- nea la famosa lente deformante affinché il suo riflesso sia corrispondente il più possi- bile alla realtà dei fatti. Ed è proprio per amore di questa realtà dei fatti che occorre fare una prima, doverosa considerazione. Cosa vale la pena di salvare di quegli anni? I dischi? Diciamolo chiaramente: se scor- MAP MUSIC PAGES Ma che colpa abbiamo noi... Il rock indipendente italiano negli anni ‘80 CCCP Mappa 11-10-2005 14:01 Pagina 30

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FORMIDABILI QUEGLI ANNI (?)Qualche considerazione ed unpaio di passaggi di testimone

MMa poi, fu vera gloria? Per chi siappresta a saltare il fosso deglianta nell’anno molto poco digrazia del 2005, ripensare alrock indipendente italiano degli

anni ottanta è un po’ come camminare sucarboni ancora ardenti. Soprattutto se ci siprefigge di farlo con quel minimo di obietti-vità che i capelli brizzolati o, peggio anco-ra, la classica rapata strategica, dovrebbe-ro dopotutto garantire. Già, perché ripen-sare a quel periodo significa fare i conticon una parte importante della propriaadolescenza: di quella anagrafica e diquella di fruitori di musica rock, due fasidella vita che –in fondo- non sempre coin-cidono ma che, quando succede, sonodavvero fuochi d’artificio… Perché, a ventie più anni di distanza, si tende a mantene-re un cantuccio nella memoria solo per i ri-cordi più belli: tutto questo tempo sarà al-meno servito per rimuovere quelli brutti…E perché, è inutile negarlo, quando un fat-to qualsiasi comincia a perdere contattocon la realtà per avviarsi verso il Viale deiRicordi è come se indossasse improvvisa-mente un vestito nuovo, se adottasse unnuovo taglio di capelli, e tutto d’un trattonon lo si riconosce più: un’aura luminosalo avvolge inaspettatamente e lo trastullasenza posa nel suo nuovo, importantissi-mo ruolo. Ricordate il militare? Il tempo è

riuscito a farci ingoiare qualsiasi bocconeamaro ed a costringerci a pensare con no-stalgia perfino a quei giorni buttati nel ces-so…: un ricordo, quando ormai è soltantoun ricordo, non può essere che un bel ri-cordo. Altrimenti, se appena possiamo,preferiamo non ricordarlo affatto. Ripensa-re a quegli anni attraverso la lente defor-mante di un entusiasmo tipicamente gio-vanile, con il trasporto emotivo di chi ritor-na a mettere il naso in una vecchia minierad’oro, pur essendo conscio di trovarla com-pletamente defraudata dal passare deglianni e dalle continue razzie, può portaread una visione distorta ed amplificata di

una realtà che, per certi versi, è molto piùpovera di quanto potrebbe sembrare oggio di quanto ci appariva all’epoca. Allo stes-so modo, però, vent’anni possono servirea tagliare molti ponti con il passato, emoti-vi e non, a ripensare con spirito critico allaluce di un inquadramento storico e artisti-co a posteriori, a cercare di rimettere in li-nea la famosa lente deformante affinché ilsuo riflesso sia corrispondente il più possi-bile alla realtà dei fatti. Ed è proprio peramore di questa realtà dei fatti che occorrefare una prima, doverosa considerazione.Cosa vale la pena di salvare di quegli anni?I dischi? Diciamolo chiaramente: se scor-

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riamo le centinaia di album usciti in quellastagione, fatichiamo a trovare quei dieci,quindici, venti dischi che siano davvero in-dispensabili, che siano davvero di qualitàsuperiore, che meritino davvero di esserericordati. Se poi mettiamo a confronto lemigliori pubblicazioni nostrane con ciò cheproveniva in quei giorni d’Oltremanica od’Oltreoceano, se cerchiamo qualche itali-ca pietra di paragone a quella sfilza di ca-polavori che intasano ancora i nostri cuori,se pensiamo ad un disco che valga davve-ro la pena di accostare a Closer o Psycho-candy, allora, probabilmente, l’unica cosatonda che meriti di essere salvata presentail titolo chilometrico di 1964-1985Affinità/Divergenze fra il Compagno To-gliatti e Noi (Del Conseguimento dellaMaggiore Età): l’album di debutto deiCCCP Fedeli Alla Linea del 1986, forse il piùimportante disco italiano indipendente deldecennio (e non solo). Ridimensionato unfenomeno che anche in quell’epoca ci havisti, una volta di più e con le pochissimeeccezioni del caso, provincia a scoppio ri-tardato dell’Impero, vale la pena di soffer-marsi su ciò che, a parere di chi scrive, valeveramente la pena di celebrare e traman-dare. Lo spirito, l’entusiasmo, la voglia difare, il diritto di sbagliare, il dovere di es-serci: quel misto di sentimento ed emozio-ne che, unito ad una sete incontrollata discoperta ed al giovanil furore, ha marchia-to a fuoco quegli anni e che, proprio comel’adolescenza, quando è passato non tornapiù. Gli anni ottanta cominciano in Italia nel se-gno del punk, sull’onda dei servizi da Lon-dra di un certo Michel Pergolani che, daglischermi poco nazional-popolari di una do-menica veramente Altra, ci mostra una me-tropoli ostaggio di bande di ragazzacci conborchie, vestiti di pelle e strane acconcia-ture colorate. Quando cominciamo a rime-stare nei cassetti alla ricerca di lamette edaltri ammennicoli del genere ed a portareal collo le catene con le quali, fino al giornoprima, assicuravamo la bicicletta ai cancel-li della scuola, la spinta propulsiva del mo-vimento si è già completamente esaurita e,dalle parti di Piccadilly Circus, non si trovapiù una cresta neanche a pagarla a pesod’oro. Ma nelle italiche lande è normaleche sia così. Ciò che più conta è che il punkha liberato il nostro spirito e la nostra im-maginazione, che per la prima volta ci sia-mo accorti che non esiste solo la musica diSanremo e delle grandissima maggioranzadelle radio in modulazione di frequenza,né quella dei cantautori padri della patria odi qualche eminenza grigia del tardo prog,che tutti possono imbracciare una chitarra

e provare a scimmiottare i Clash o i Ramo-nes. Il punk libera l’energia e l’etica del DoIt Yourself fa il resto: pur nella quasi asso-luta mancanza di circuiti e strumenti dipropaganda e di informazione, nascono leprime etichette indipendenti, proliferano lefanzines e si affacciano nelle edicole i primimensili specializzati, si aprono i primi ne-gozi di dischi d’importazione. E’ tanta laconfusione nell’aria, ma tutto sembra con-vergere verso un’unica direzione, e la dire-zione sembra proprio quella giusta: siaprono le porte di un nuovo mondo e pocoimporta che, da qualche altra parte, quellestesse porte si siano già dischiuse da tem-po e nuove, importanti mutazioni siano or-mai nell’aria. Di lì a poco la prima rivoluzio-ne tecnologica avrebbe fatto il resto: togliuna chitarra, metti un sintetizzatore eguarda un po’ l’effetto che fa… Coloro iquali avevano seguito in diretta l’avventodel punk erano già pronti per il grande sal-to, la new wave, proprio come i fratellimaggiori d’oltremanica… Ma non è il caso di correre troppo…Per iniziare, qualche antefatto.

LLAA SSCCEENNAA DDII BBOOLLOOGGNNAA1978: Dopo una cassetta autoprodotta daltitolo programmatico di Inascoltabile, laCramps pubblica Mono Tono, il primo al-bum degli Skiantos di Freak Antoni eDandy Bestia. Le prime cinquecento copiein vinile giallo, copertina apribile sotto for-ma di locandina cinematografica con i no-mi degli attori ed una scena da Godzillacon il mostro che costringe la gente a but-tarsi da un palazzo; all’interno, oltre allefoto della band, un classico pic nic italiotadomenicale con i commenti divertiti deglistralunati astanti: “Dì, hai sentito gli Skian-tos?” “Uhm…a me fanno cagare” “Eh! Eh!…a me invece mi fa vomitare…”. La tradizio-ne tutta italiana dello sberleffo più atroce,inondata dalle secchiate di vetriolo delpunk d’oltremanica, dà il via alla stagionedel cosiddetto rock demenziale che, nel M

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bene come nel male, rimarrà l’unico movi-mento originale a calcare le scene del no-stro Paese, l’unica corrente non derivativao, peggio, non scimmiottante le mode pro-venienti da Inghilterra e Stati Uniti. Il mani-festo programmatico dell’album, e dell’in-tero filone, Largo All’Avanguardia, recitatestualmente: Fate largo all’avanguardia/siete un pubblico di merda/applaudite perinerzia. Più chiaro di così… E’ l’inizio di unanuova stagione e Bologna, la città degliSkiantos, si avvia a diventare la capitaledel nostro Piccolo Mondo Antico.1979: Il due aprile al Palasport di Bolognasi tiene Bologna Rock, il festival che pre-senta il nuovo rock italiano. Sul palcoSkiantos, Gaznevada, Windopen, Confusio-nal Quartet, Luti Chroma, Bieki, Naphta,Andy Forest, Frigos e Cheaters: tutti gruppila grandissima maggioranza dei quali, allo-ra come adesso, erano completamentesconosciuti al pubblico medio. Eppure piùdi cinquemila persone si radunano sotto ilpalco a sancire ufficialmente la nascita diuno spirito nuovo, di un desiderio di sco-perta, di uno sguardo alla sostanza più cheal cartellone. Il punk sta bussando alleporte del Bel Paese e gli strascichi dellasua piccola rivoluzione trovano terreno fer-tile in certe frange del pubblico rock. I cin-quemila di Bologna Rock sono forse i primiad esserne contagiati.1980: La leggendaria Cramps Records diMilano (Area, Finardi, Camerini, Skiantos,…) si avvia a chiudere le sue pubblicazionicon una collana di sette pollici di bandpunk/new wave come Kaos Rock, Windo-pen, Kandeggina Gang, X-Rated, Take FourDoses e Dirty Actions e li raccoglie nella ce-lebre compilation Rock 80, un punk stiliz-zato che si strappa la pelle in copertina. La

Afterhours

Carnival Of Fools

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label che aveva incorniciato buona partedelle avanguardie degli anni settanta gettala spugna, lanciando un testimone chemolte etichette indipendenti cercherannoinutilmente di raccogliere. Tutte tranneuna. A Bologna, proprio in quei giorni, na-sce la Italian Records di Oderso Rubini.Con modelli quali Factory o Rough Tradenel cuore, ed un contratto di distribuzione

con Ricordi perché non si vive di soli sogni,Italian Records accentra, in pratica, l’interascena di Bologna ed, in quel momento,certo non è affare da poco. A dispetto diuna vita breve e di un catalogo piuttostostriminzito, l’importanza strategica dellalabel bolognese nel panorama convulso diquegli anni e nella storia dell’intero rockitaliano è di assoluto, primissimo piano. La

partenza è di quelle con il botto: nel 1980Italian Records pubblica Sick Soundtrackdei Gaznevada, il manifesto della new wa-ve italiana, e l’omonimo debutto a 33 giridel Confusional Quartet, più orientato ver-so le atmosfere bizzarre e scoordinate del-la no wave newyorkese. Due dischi ormaiclassici che rimarranno i pezzi da novantadi una stagione breve ma, come suol dirsi,

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GAZNEVADASick Soundtrack(Italian Records, 1980)La colonna sonora di Bologna CaputMundi, l’autentico manifesto dellanew wave nostrana, uno dei due otre dischi italiani del decennio chenon teme il confronto con la ribaltainternazionale. I ragazzi erano almassimo delle loro possibilità, i so-gni di ricchezza ancora lontani. Rit-mo, energia e sperimentazione: ilretroterra è innegabilmente punk,ma qualcosa sta cambiando. Sottouna spaventosa forza d’urto vacilla-no i confini con la new wave, il postpunk e chissà che altro ancora.

CONFUSIONAL QUARTETConfusional Quartet(Italian Records, 1980)In principio era il Confusional JazzRock Quartet, poi un bel paio di ce-soie rende il nome più appetibile al-le masse. Solo quello però, perché icontenuti non ammettono riserve.Una stralunata cover di Volare, scel-ta significativamente per il battesimoa 45 giri, tiene ben saldi i legamicon la tradizione. Ma quando scen-dono le prime luci della sera le Torridegli Asinelli diventano le TwinTowers e le acque limacciose del-l’Hudson sembrano lambire la città:la risposta italiana alla no wavenewyorkese.

DIAFRAMMASiberia(I.R.A., 1984)Firenze sostituisce Bologna sullamappa del rock italiano e i Diafram-ma, con la penna del generale Fe-derico Fiumani e la voce dell’atten-dente Miro Sassolini, si avviano adassumere il comando delle opera-zioni. Sarà una breve reggenza, per-ché i Litfiba avanzano minacciosi al-

l’orizzonte. I Joy Division nel cuore,ma anche geometrie precise, aspree taglienti che sembrano anticiparecerto suono Dischord: quei suoniovattati sotto la neve in copertinavinceranno il duello nel cuore dimolti.

GANGTribe’s Union(Autoprodotto, 1984)Prima dei fasti major di Barricada eReds e dell’avvicinamento all’italicatradizione cantautorale, c’è solo unamore sconfinato per Joe Strummere Mick Jones. Combat Rock nel sen-so stretto del termine: in copertinauna riproduzione del manifesto diDimitri Moor dal titolo Morte All’Im-perialismo Mondiale, all’interno verie propri slogan al fulmicotone di treminuti tre con lo sguardo ben rivoltoai propri numi tutelari. Forse ingenuied anacronisrici, ma sinceri fino al-l’osso.

LITFIBADesaparecido(I.R.A., 1985)All’epoca di Desaparecido erano so-lo un piccolo culto underground conle spalle già robuste: l’album di de-butto viene dopo una lunga serie ditournée sui palchi più scalcagnatidel Bel Paese e di piazzamenti ditutto rispetto nei concorsi nostrani.Piero Pelù è già un animale da pal-coscenico, ma i Litfiba sono ancorain cinque. Le influenze della newwave inglese tradiscono velateascendenze progressive e comin-ciano a respirare aromi mediterra-nei. L’originalità del Litfiba sound ègià tutta in questi solchi.

CCCP Fedeli Alla Linea1964-1985 Affinità/Divergenze fra ilCompagno Togliatti e noi. Del Con-

seguimento della Maggiore Età.(Attack Punk, 1986)“L’Oriente è affascinante perché èmisterioso, ma può la stessa ricettafar da bandiera per una realtà tuttosommato italiana, emiliana per laprecisione, pur divincolantesi trapregiati profumi d’Oriente e sanosudore di muratore reggiano? La ri-sposta potrebbe anche essere ne-gativa, ma avrebbe poi più di tantoimportanza? Se tutti si muovesseroed agissero solamente in ragionedei propri rientri, la realtà non sa-rebbe certo più interessante dellafantasia.” (dal volantino allegato).Punk emiliano filo sovietico. Il discoitaliano degli anni ’80.

FRANTIIl Giardino delle Quindici Pietre(Blu Bus, 1986)Qualcosa di più di un semplice di-sco. Anzi, qualcosa di più di ungrande disco. Un piccolo trattato fi-losofico, un’opera che sfugge aqualsiasi catalogazione, comeognuna delle quindici pietre del tito-lo a turno sfugge alle altre per impe-dire ad un mosaico di andare acompletarsi. La musica è soltantouna parte di un discorso più ampio.Qualche pulsione hardcore ma, so-prattutto, strutture aperte e libere distampo quasi jazzistico. Su tutto lasplendida voce di Lalli in un pugnodi ballate che toccano il cuore.

SICK ROSEFaces(Electric Eye, 1986)Da Torino, Luca Re e compagni sonogli alfieri del movimento garage ita-liano: gli unici a non temere con-fronti con i colleghi più blasonatiche, dalle cantine di mezzo mondo,stanno riaprendo le pagine dell’Anti-co Testamento. Un amore dichiarato

per i Rolling Stones nella citazione incopertina: all’interno dodici tracceabrasive che rispolverano i sixtiespiù torridi senza vergognarsi, nel-l’accurata ricerca di strutture e solu-zioni armoniche, di mostrare almondo che sotto quella scorza batteun cuore tenero.

UNDERGROUND LIFEFilosofia dell’Aria(Target, 1987)John Foxx, antico leader degli Ultra-vox! e, con tutta probabilità, princi-pale mentore del suono della band,ne fu talmente impressionato datentare con tutte le sue forze di pro-durre quello che sarebbe stato l’epi-sodio successivo, l’altrettanto validoGloria Mundis. Non se ne fece nulla:una delle tante battaglie perdute delnuovo rock italiano. Una strutturaromantica e decadente, atmosfererarefatte e raffinate: è una visionedel mondo in bianco e nero quellache traspare dalla penna di Gian-carlo Onorato.

PANKOWFreiheit Fuer Die Sklaven(Contempo, 1987)Attiva fin dai primi anni ottanta, laband di Maurizio Fasolo deve sospi-rare questo debutto sulla lunga di-stanza, la prima uscita dopo il sin-golo God’s Deneuve del 1984. Certo,le esibizioni assolutamente deva-stanti con le quali i Pankow hannomesso a ferro e fuoco il Bel Paesenon devono essere state un buonbiglietto di presentazione nella ricer-ca di un contratto discografico. Trop-po semplice definirli la risposta ita-liana agli Einsturzende Neubauten,ma il parallelo rende bene l’idea…

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e qualche volta a proposito, estremamenteintensa. Sempre nel 1980 escono l’e.p. de-gli Stupid Set, con una versione straluna-tissima della doorsiana Hello I Love You el’album Pordenone/The Great Complotto,in cui avanguardia e pop tentano una viacomune in un concept enigmatico cheavrebbero sottoscritto volentieri i Resi-dents. Tocca poi, a stretto giro di posta, a ILuoghi Del Potere dei bresciani Art Fleury,rock dalle geometrie sbilenche decisamen-te (e piacevolmente) fuori del contesto, ed

a Crollo Nervoso dei Magazzini Criminali,colta colonna sonora di uno dei più notispettacoli teatrali dell’ensemble. Il 1981 sifa ricordare per la seconda prova dei GazNevada, l’e.p. Dressed To Kill, che contienela cover di When The Music Is Over deiDoors, e per un altro e.p., I Fratelli Hi-Fi de-gli Hi-Fi Bros., che vede la collaborazionedi Arto Lindsay e Ikue Mori dei DNA: unprodotto molto newyorkese vicino alle at-mosfere dei Suicide. Nel 1982 è la volta deiBand Aid con l’album Due, che rielabora in

chiave quasi pop le scorribande jazzistichedei Lounge Lizards, e del leggendario boxL’Incontenibile Freak Antoni, raccolta dicinque sette pollici in cui il fresco transfugadagli Skiantos si propone in veste solistaaccompagnato dalla crema del rock bolo-gnese. Nello stesso anno anche gli e.p. didebutto di Neon e Kirlian Camera, duegruppi di cui si sentirà molto parlare neglianni successivi. Nel 1983, con l’album Psi-copatico Party ed il 45 giri I.C. Love Affair, iGaznevada decidono, in mezzo allo sgo-

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CASINO ROYALESoul Of Ska(Vox Pop, 1988)Molto prima delle trendistiche tenta-zioni londinesi che, nella primametà della decade successiva, neavrebbero ristretto gli orizzonti edappiattito il sound, lo scatenatocombo di Giuliano Palma e AlioshaBisceglia era in grado di offrire unodei live act più trascinanti e memo-rabili alle assi incredule dei palchinostrani. Era un esercito allegro escoppiettante quello che li seguivada un centro sociale all’altro. Gia-maica ed Inghilterra si danno la ma-no in uno ska/reggae al quale è im-possibile resistere.

NOT MOVINGFlash On You(Electric Eye, 1988)In principio (l’e.p. Strange Dolls del1982) erano gli epigoni italiani delrock’n’roll grezzo ed abrasivo diCramps, X e Gun Club. Poi, con Fla-sh On You, si apre una strada piùpersonale alla ricerca di un soundoriginale. L’omaggio esplicito algrande mancino nero nel medley APrayer For Jimy rivela una nuovaascendenza, ma anche l’ombra diPatti Smith sembra allungarsi daisolchi di questo disco. La matricegarage/punk si stempera in unrock’n’roll più dilatato che non rifug-ge qualche vena di intimismo.

STEEPLEJACKPow Wow(Electric Eye, 1988)Il mito della California della fine deglianni sessanta rivive, intatto, fra i sol-chi di Pow Wow. Dopo l’interessantemini Serena Mabose, uscito l’annoprima, i pisani Stepplejack, nati dauna costola dei Birdmen Of Alkatraz,presentano il loro biglietto da visita al

mondo dell’indie rock italiano. Psi-chedelia con la P maiuscola che cer-ca una via fra Quicksilver e GratefulDead, magari non troppo personale,siamo d’accordo, ma sincera, emo-zionale ed estremamente efficace.

AFTERHOURSAll The Good Children Go To Hell(Toast, 1989)Il salto verso il successo di massa lofaranno solo anni dopo, quando de-cideranno di risciacquare i panni inArno traducendo i propri testi nell’i-talico idioma. Gli Afterhours che de-buttano con questa mezz’oretta dimusica nel 1989 sono ancora ungruppo come tanti, aldilà delle inne-gabili potenzialità. Debitori verso iVelvet Underground fin dal nomeche si sono scelti, sciorinano con ap-parente semplicità un sound chitar-ristico di ottima fattura, molto legatoalla tradizione a stelle e strisce di fi-ne anni sessanta.

RITMO TRIBALEKriminale(Vox Pop, 1989)Dalle macerie di un Leoncavallo ap-pena raso al suolo dalle ruspe del-l’esercito della salvezza, in primopiano sulla desolante copertina, imilanesi Ritmo Tribale cercano diedificare il proprio hard core melodi-co con un occhio attento al pentolo-ne che bolle dalle parti di Seattle.Ma per il momento i punti di contat-to sono con Ramones e Stiff LittleFingers, l’incazzatura è quella giu-sta, la vena poetica nemmeno trop-po nascosta: i ragazzi convinconoper urgenza espressiva, impatto so-noro e maturità stilistica.

CARNIVAL OF FOOLSBlues Get Off My Shoulder(Vox Pop, 1989)L’esordio del progetto pre La Crus diMauro Ermanno Giovanardi, recente-mente premiato da una tardivaquanto sorprendente ristampa in di-gitale da parte della V2, che unisceal mini in questione il resto del poconutrito repertorio della band, spiazzaancora oggi per la sua catramosabellezza. Blues urbano nero comeuna tazza di caffè senza zucchero eclaustrofobico come il traffico impaz-zito nell’ora di punta, figlio di NickCave e della tradizione colta, cometestimonia l’ottima rendition di Sum-mertime. Ma il pubblico nostrano,purtroppo, non era ancora pronto.

NEGAZIONESempre In Bilico(We Bite, 1989)Da qualche parte troverete un ricor-do degli I Refuse It, la micidialehardcore punk band pisana allaquale, in fondo, anche i riconosciutipadrini del movimento devono qual-cosa. Prima delle aperture melodi-che dell’imminente album 100%, iNegazione, con questo singolo qua-si orecchiabile, dimostrano che, for-se, anche per il rock apparentemen-te più intransigente è possibile unavia alle classifiche di vendita. Unateoria che verrà confermata in pienoun paio d’anni dopo dalle parti diSeattle…

ALLISON RUNGod Was Completely Deaf(Mantra, 1989)Il debutto della formazione brindisinaguidata da Amerigo Verardi ed Um-berto Palazzo, personaggi cheavrebbero percorso in maniera tra-sversale anche la decade successivain vari progetti, paralleli e non, è, pro-

babilmente, l’esempio più convincen-te di quello psycho-pop dalle tintezuccherine, figlio tanto di Morriseyquanto di Syd Barrett, che avrebbecontagiato una breve stagione del-l’indie rock nostrano. Bello e impossi-bile, a voler parafrasare qualcunoche avrebbe avuto certo meno diffi-coltà per sbarcare il lunario.

PETER SELLERS & THE HOLLYWOOD PARTYTo Make A Romance Out Of Swiftness(Apples And Oranges, 1989)A capo di un’improbabile setta diuomini tamburino che invase la Mi-lano sotterranea dalle frequenzedella Crazy Mannequin Records conuna compilation che fece epoca,The Invasion Of The TambourineMen, i Peter Sellers di Stefano Ghit-toni centrifugano i Rolling Stones eSyd Barrett, Nikki Sudden e RobynHitchkock, in un delirio popedelico dirara efficacia ed originalità. Nel settepollici allegato al disco l’omaggio adun altro maestro: il Johnny Thundersdi Too Much Junkie Business.

VEGETABLE MENIt’s Time To Change(Toast, 1989)L’omaggio a Syd Barrett nel nomedella band è ormai molto velato, lapsichedelia degli esordi sta cedendoil passo ad un rock a 360° che, allostesso modo, sprigiona una maliache libera suoni e colori in una di-mensione affascinante e fiabesca.Visioni strane e surreali, come quel-la di apertura in cui Juri GagarinMeet An Angel In The Black SpaceSky, ci accompagnano lungo tutta ladurata dell’album, prima che l’ulti-mo verso di The Ghost In The Mirrorci avverta che “adesso è giorno/midevo svegliare”.

Marco Tagliabue

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mento dei più, cheè giunto il momen-to di passare allacassa. Un giro dibasso irresistibile,ma decisamentefuori contesto, na-to in studio quasiper caso, all’iniziolascia tutti incertisul da farsi: poiqualcuno decideche è meglio nonlasciarlo cadere nel vuoto. Si aprono leporte delle discoteche, del Festivalbar, del-la Domenica In di Pippo Baudo e poco cimanca che l’onda lunga arrivi perfino aSanremo. Ma, nello stesso momento, si innesta unmeccanismo che travolgerà Italian Recordse gli stessi Gaznevada. L’etichetta cesseràle pubblicazioni l’anno successivo con unaltro prodotto danzereccio, Don’t Be Afraid(In The Summer Of Love) degli Stupid Set,e tutto finirà nel dimenticatoio insieme agliscatoloni pieni di nastri nella cantina diOderso Rubini. Ci vorranno quasi vent’an-ni, complice la rinnovata attenzione per laBologna di quell’epoca grazie al film Paz,

dedicato ad An-drea Pazienza, edal volume Non Di-sperdetevi curato aquattro mani daOderso Rubini edAndrea Tinti, per-ché qualche menteilluminata finanzila ristampa in digi-tale dei dischi Ita-lian Records, final-mente disponibili

ovunque senza salassi economici nelle fie-re del disco. Ma prima di abbandonare Italian Recordstorniamo per un attimo nel 1982, quandol’etichetta bolognese pubblica Pioggia, ilprimo singolo degli allora sconosciutissimifiorentini Diaframma. Nessuno in quel mo-mento lo può immaginare, anche perchénessuno si accorge di quel dischetto, ma èl’occasione che sancisce un nuovo passag-gio di testimone: Bologna abdica a favoredi Firenze il suo ruolo di capoluogo giova-nile e di centro nevralgico del rock indipen-dente tricolore. E’ l’inizio di una nuova epo-ca.Marco Tagliabue

TRILOGIA DOPPIA FIORENTINALa Bologna dei primi anni Ottanta ha rap-presentato un luogo di innovazione e spe-rimentazione, una sorta di culla per tuttoun movimento culturale, non solo musica-le. Molti i gruppi, i locali, le “situazioni”che l’hanno imposta al centro del rinnova-mento sociale e stilistico dei primi anni’80. Non meno vivace e variegata era lascena di Firenze, presa tra gli avanguardi-smi artistici della computer art dei Giova-notti Mondani Meccanici e le rigidità for-mali di Pitti Uomo, una scena fatta di giovi-nastri nerovestiti e di allievi rampanti yup-pie tutti insieme a zonzo per il centro, unafauna, per usare la definizione di Pier Vitto-rio Tondelli, “che contribuisce a fare di Fi-renze la vera capitale giovanile italiana de-gli anni ‘80”. Firenze in quegli anni vive lestesse inquietudini di Bologna, della pro-vincia in generale che non è Milano; nei lo-cali alternativi la controcultura è il panequotidiano, e la musica della “no futuregeneration” (da Sid Vicious a Ian Curtis) ilriferimento stilistico più affascinante. Èuna scena fatta di gruppi - dai Neon ai Rinf,dai Dennis & The Jets ai Danseur-Boxer, da-gli Strip ai 0.55 – di locali di culto dove

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I REFUSE IT!Cronache Del Videotopo(Wide)Quando dei Fugazi e della Di-schord noi italici non avevamo an-cora notizie, quando il punk si ri-trovava già irrimediabilmente“esposto” a visioni anarchiche or-mai ripiegate su in approccio no-stalgico un po’ ridicolo (lo avrebbesalvato di lì a poco l’hardcore),quando dall’altra parte dell’Ocea-no (soprattutto costa del Pacifico)si facevano largo gruppi chiamatiSocial Distortion, Circle Jerks, DeadKennedys, Bad Religion, BlackFlag, Adolescent...lungo la nostrapenisola alzava la sua testa la vi-sione di un pensiero forte: coniu-gare musica distruttiva con la rico-struzione di un nuovo sistema so-ciale (i Centri Sociali come li cono-sciamo sono venuti dopo, Leonca-vallo a parte). E a partire dal 1982si creò un sottosistema di scenelocali che cominciarono a trafficarenuove teorie musicali e produttive

(ad esempio l’autoproduzione di-scografica, l’autogestione deglispazi e la cultura delle fanzine). InToscana addirittura questa ondataaggregativa sotterranea prese ilnome di Granducato Hardcore,rappresentato da gruppi quali IRefuse It!, CCM, Traumatic, PutridFever e Juggernaut, i cui echi giun-gevano anche in Lombardia. I pi-sani I Refuse It! “emersero” per laforza sperimentale e visionariadelle loro musica e dei loro testi,ma furono determinanti (e per certiversi lo sono ancora) per la crea-zione e la concretizzazione di que-sto sistema basato sull’economia“dal basso”, che ha tenuto viva lacultura antagonista (un inciso:questa esperienza oggi vive nellaWide Records, fondata da Ales-sandro Favilli che ha militato comebassista negli I Refuse It e comeuomo in una miriade di iniziativesociali antagoniste). Proprio la Wi-de compie questa operazione, og-gi doverosa, di recupero discogra-

fico di un periodo baciato dall’one-sta ispirazione e dall’approcciorealmente alternativo. La musicadegli I Refuse It! non è oggi menointeressante di allora e non risultaper niente datata. Sopravvive all’u-sura come ai tempi si districavaelegantemente dalle infinite di-scussioni sui dogmi formali. So-prattutto si apprezzano le derivesperimentali, che ne hanno sem-pre fatto un gruppo certamentehardcore ma con molta più carneal fuoco. I testi di Stefano Bettini, inInglese, in Italiano in Russo o inuna lingua onomatopeica che po-tremmo definire (parafrasando)“pisalandic”, tirano fuori energieverbali dal potenziale di slogan,che qualcuno dei fans non di radoscriveva sui muri (Il mio senno èvietato per legge e la mia vita è at-taccata a un filo...canta nella dis-sacrante rivisitazione del classico“mariano” Mira il Tuo Popolo; epoi, citando a caso...In via degli or-ganismi c’erano gli umanoidi –

Fuggi Fuggi; Monitor accesi sugliincubi del giorno – Sogni a DoppieVie). Un chiodo nel cervello delconsumismo, un sasso appuntitonelle scarpe del perbenismo...maahimè la musica, come sappiamo,non ha prodotto nessuna rivolu-zione sociale significativa (altri-menti oggi non avremmo né algoverno né all’opposizione questomanipolo di imbecilli). In ogni ca-so, se continuiamo a comprare idischi della Dischord e della SkinGraft o se ritiriamo fuori ancora ivecchi vinili dei Black Flag o dei Mi-nor Threat, vuol dire che possiamoe dobbiamo recarci in qualche ne-gozio illuminato (o direttamentesul sito widerecords.com) e portar-ci a casa questo pezzo di storiadel nostro hardcore, una faccendamusicale molto molto seria. Primache di dimenticarci definitivamentedi associare questa parola allamusica, oltre che ai vecchi film diMoana.

Pier Angelo Cantù

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Diaframma

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suonare – il Tenax innanzitutto – di perso-naggi ed etichette attorno ai quali ruotanole ambizioni di molti aspiranti rockstar – Er-nesto De Pascale ma soprattutto AlbertoPirelli e la I.R.A., riferimento imprescindibi-le del rock made in Firenze di quegli anni.In cotanto fervore artistico, Firenze ci rega-lerà due grandi episodi che hanno contri-buito a far esplodere a livello nazionale lascena undergound. Due gruppi che unen-do la istanze provenienti d’oltremanica(centrale l’influenza new wave, Joy Divisionsu tutti) a una sensibilità (molto naïf ) tuttaitaliana, sapranno proporre pagine impor-tanti per tutto il movimento indipendenteche da li proverà a farsi strada nella secon-da metà del decennio. Se i C.C.C.P. rappre-sentano il riferimento più importante e in-discusso (ma si potrebbe dire scontato)per quanto riguarda il versante emiliano,dall’altra parte degli Appennini è necessa-rio riconoscere una doppia primogenituraai “germi” del movimento indie tricolore.Le due facce (molto diverse) della stessamedaglia: Litfiba e Diaframma. Destino perquesti due gruppi sarà l’avere inciso tre di-schi ciascuno che restano dei capisaldi delgenere, e in seguito ai quali le storie perso-nali e musicali diventeranno altra cosa.Storie nuove che si intrecceranno, fonden-dosi, nel grande progetto anni ’90 del Con-sorzio Suonatori Indipendenti. Ma questaè un’altra storia.

CUORE TRAFITTO (E TRADITO)I Liftiba sono stati il caso più “eclatante”per le cose che seppero fare dell’intero pa-norama undergound italiano, e per noi cheamiamo la musica non esattamente daclassifica anche il più “doloroso” per comepoi le cose andarono a finire. Il nucleo ori-ginale del gruppo muove i primi passi all’i-nizio della decade nel giro dei piccoli localie delle cantine del capoluogo fiorentino.Dopo una lunga gavetta fata di concerti, epe singoli, la line up si assesta sui nomi chefaranno grande il gruppo - Piero Pelù (vo-ce), Ghigo Renzulli (chitarra), Gianni Ma-roccolo (basso), Ringo De Palma (batteria)e Antonio Aiazzi (tastiere) – arrivando nel1985 alla pubblicazione del primo lavoro,Desaparecido, ovviamente via I.R.A. Sindalle prime note è evidente un suono mol-to potente, aggressivo, perennemente inbilico tra le suggestioni dark-wave dei Cureo dei Sister Of Mercy e la new wave più or-todossa di Bauhaus e Joy Division. Due itratti distintivi: da una parte, il tentativocontinuativo e reiterato di sfumare l’in-fluenza britannica con una le tinte forti del-la tradizioni musicale mediterranea, nonsolo italiana ma allargata a tutto il coacer-

vo di stili e assonanze che si affacciano sulmare nostrum; dall’altra, il carisma ierati-co, istrionico e accentratore di Pelù, il cuistile sia vocale che gestuale diventerà ilmarchio di fabbrica del gruppo e un para-gone ingombrante per tutte le band italia-ne da li a venire. Pelù saprà unire al suostraordinario carisma da frontman ancheuna personalità non comune dal punto divista sociale, infarcendo i testi della banddi temi forti e scomodi quali la guerra, el’antimilitarismo, il dramma della droga, ladenuncia del potere corrotto e mafioso, lasensibilità ambientale. Il tutto declamatopiù che cantato con una forza che tutti be-ne o male abbiamo amato (“Si può vincereuna guerra e forse anche da solo, e si puòestrarre il cuore anche al più nero assassi-no ma è più difficile cambiare un’idea”,Apapaia). Esemplari del suono Litfiba ri-marranno pezzi omai classici come il rocksanguineo di Eroi nel vento, le meticciatestilistiche arabeggianti di Istanbul o Tziga-nata, il lirismo dissonante di Lulù e Marle-ne. Con Desaparecido il fenomeno esplodeben oltre i confini fiorentini, dilaga su tuttala Penisola per poi approdare con un certosuccesso (sempre comunque di nicchia)anche in Francia. I Litfiba diventano il grup-po più interessante di tutto il panoramaitaliano e raccolgono incensature a destrae a manca sulle riviste. L’attesa per il se-condo lavoro è altissima ma il gruppo nondelude, sfornando quello che è probabil-mente il disco di rock italiano più impor-tante del decennio. 17 Re esce nel 1986: èdoppio, contiene 17 canzoni tra le più belle

mai scritte da Pelù & Co. e rimarrà nell’im-maginario collettivo anche per una coperti-na tanto bella quanto significativa. Il sacrocuore trafitto sprigiona sangue e lacrime,urla la rabbia della gioventù italiana di pro-vincia negli anni della Milano da bere, ri-versando tutto in un caleidoscopico insie-me di suoni e visioni difficilmente descrivi-bile. Ascoltare 17 Re è paragonabile a ungiro sulle montagne russe, tra le vorticosesalite di Resta, Vendetta, Febbre, Gira nelmio cerchio, Cane, e le spericolate discesedi Re del silenzio, Pierrot e la luna, Comeun dio, Apapaia, alternate secondo la piùclassica formula rock dello “stop & go”. L’apprezzamento di 17 Re è totale, da par-te sia del pubblico che fa del disco un og-getto da avere assolutamente che della cri-tica a cui no sembra vero di avere final-mente tra le mani un gruppo italiano all’al-tezza di reggere il confronto con le band diidioma anglosassone. Il pubblico ha famedi Litfiba ed è questa sicuramente la ragio-ne per cui l’anno successivo, sull’onda delsuccesso di 17 Re, esce 12/5/87 - Aprite ivostri occhi, album dal vivo che raccogliemolto del materiale più significativo delgruppo e cerca di fotografare l’immensaenergia che riescono a esprimere dal vivo.Nel 1988 esce il nuovo lavoro, 3, capitoloconclusivo della “trilogia del potere”. Il di-sco rappresenta un deciso cambio di rottarispetto alle coordinate musicali dei primidue lavori; qui il suono si fa più introspetti-vo, l’impatto meno immediato, più profon-de le incursioni nelle culture musicali alter-native. È un disco che in un certo sensospiazza e delude, dove a distanza di anni sipuò cogliere molto di quello che Maroccoloandrà a fare con in C.S.I. e capire altrettan-to delle divergenze che già in quel momen-to stanno dilaniando l’unione tra i membridel gruppo: da una parte Maroccolo sem-pre più preso dalla deriva strumentale estrutturale della composizione, dall’altraPelù ormai lanciato verso un rock semprepiù nerboruto e superficiale. Per quanto miriguarda 3 è anche il de profundis del grup-po retrospettivamente più importante –anche se non il mio preferito – di tutto ilpanorama del rock italiano fino ad oggi. DaPirata (1989) in avanti sarà tutta un’altrastoria, una storia nota ai più e quindi inuti-le da raccontare. Litfiba era un urlo di guer-riglia urbana, poi si trasformò in uno slo-gan commerciale per adolescenti in cercadi identità.

IN PERFETTA SOLITUDINEQuando sento parlare di cantautori la miamente corre non tanto ai vari Guccini, DeAndrè, De Gregori e compagnia cantante M

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MAP MUSIC PAGESLa dura vita delle rockstar nostra-ne… Negli appunti di viaggio diDaniele Denti, chitarra nei SettoreOut, uno sguardo “da protagoni-sta” su quegli anni in bilico fra fa-vola e realtà.

OTTANTA CONFUSE MEMORIE DA DENTRO UN FURGONE

Poot! Poot! Un “truck of the year1988” cerca di spingerci dentro iltraghetto dall’alto dei suoi 400quintali di peso, usando il clacsona mo’ di clava acustica. Le ruotedel furgone slittano sulla rampa diaccesso bagnata. Nello specchiet-to retrovisore interno vedo una gri-glia incombente e minacciosa chemi ricorda Cristine l’automobile in-demoniata di Stephen King, nellospecchietto esterno destro unaquantità incredibile di fari, proietto-ri, lucine e un ex voto con l’iconadella Madonna con bambino (Lui,proprio Lui) in braccio, nell’altrospecchio Ilona Staller mi sorridema non mi fido. Continuo a lavora-re, frizione – acceleratore – frenoa mano, ma non c’è verso di schio-dare lo scatolone a quattro ruote.Parola d’ordine: giù tutti a spinge-re. A questo punto la formazione delgruppo è la seguente: chitarrista alvolante, cantante, bassista, batteri-sta e fonico alla spinta del FiatDuecentotrentotto Panorama E,che quando l’abbiamo acquistatoaveva già fatto il giro del mondo.Sono le sei di mattina. Arriviamoda Catania dove abbiamo suonatoieri sera. Ci siamo messi in viaggiosubito dopo il concerto per esserequi all’imbarco il prima possibile.Stasera suoniamo con i Soundgar-den a Padova, quindi per le sei diquesto pomeriggio dobbiamo es-sere lì all’uscita dell’autostrada. Dopo vari tentativi siamo riusciti adimbastire una serie di date (tour?)al sud: Brindisi, Taranto, Bari, Lec-ce, Roccella Jonica, Palermo, Taor-mina e Catania. E’ un eventostraordinario per un gruppo comeil nostro. Cantiamo in italiano e diquesti tempi se non canti in ingle-

se, non hai un nome che ricordaBlack Edwars, non ti atteggi a rock-star di Vimodrone, non ti chiami Lit-fiba, con l’italiano non vai da nes-suna parte. Comunque in cinqueanni di attività on the road, nelsenso che con gli ammortizzatorisfondati abbiamo il culo pratica-mente sempre in strada, siamoriusciti a infilarci in un sacco di lo-cali e/o situazioni di merda, colle-zionando la bellezza di duecento-cinquanta concerti. Ci sono in girogruppi che hanno fatto la metàdella metà dei nostri concerti maogni sei mesi si beccano due pagi-ne sulle riviste specializzate. Nellefoto però sembrano dei gruppi ve-ri. Hanno tutti l’occhiale scuro chefa’ un po’ yuppies, tipo “il nostro fu-turo è talmente luminoso che dob-biamo mettere gli occhiali da sole”.A guardare le nostre foto, a partegli strumenti indossati, sembriamodegli sfollati della piena del Po nelPolesine degli anni sessanta. Nellafoto di copertina del quarantacin-quegiri con la cover di “Ragazzo distrada” dei Corvi, nessuno di noiportava le lenti scure così il graficoce le ha disegnate sopra con ilpennarello. Quando l’abbiamo vi-sta, già stampata in duemila co-pie, volevamo incendiare l’etichettadiscografica, poi ci siamo messi aridere ed abbiamo ingoiato il ro-spo. Con il prossimo disco, il nostroprimo Lp che abbiamo già regi-strato, torniamo all’autoproduzio-ne, deciso! Tra l’altro il fonico che cisegue in studio di registrazione èPaolo Mauri, già cantante e bassi-sta dei Weimar Gesang, un bravocristo con cui stiamo facendo ami-cizia. In questi anni della Milano da be-

re l’immagine è importante, manoi un po’ ce ne sbattiamo i coglio-ni, un po’ siamo fatti così. Siamolegati a cose più concrete forseprovinciali, ingenue, per fare unesempio: ci siamo trovati a suona-re con i D.H.G. quando si è presen-tato Paolo Arfini nel suo metro enovanta di altezza, con pantaloniattillati in pelle nera, stivaloni bor-chiati, giubbotto in pelle, ci siamo

guardati l’un l’altro come se fossesaltato fuori direttamente da Bla-drunner, poi la sera ci abbiamodato dentro, sia noi che loro, ed èvenuto fuori un bel concerto. E ab-biamo anche legato. Loro sono ve-ramente tosti. Di tosto a Milano cisono anche gli Wretched. Si auto-producono ed hanno una loro eti-chetta discografica che produce al-tre band. Purtroppo non li abbia-mo mai incontrati, ma meritano. Dai e dai siamo riusciti ad entrare.Il Tir a destra noi a sinistra, graziatidallo spazio disponibile sul tra-ghetto, che parte subito. L’internodel furgone sembra una vignetta diJacovitti con relativo salame. Dopodieci giorni di pasti consumati abordo è dura tenere in ordine. Sìperché la logica, a causa dei pochisoldi, è sempre la stessa: vai con ipanini all’autogrill. Nomi provincial– esotici tipo fattoria, capri, rustico,che una volta scaldati sulle piastre,non troppo pulite, hanno tutti lostesso sapore. Comunque, pas-sando per le forche caudine dellaReggio Calabria – Salerno e via,via, più su, siamo arrivati a PadovaEst puntuali come sempre. La bellanotizia ci raggiunge appena arriva-ti al palazzetto dello sport: i Sound-garden non ci saranno causaun’appendicite acuta al batterista.Primo pensiero: la “roba” tagliatamale fa’ ‘sti effetti? Totale: girare ilfurgone e puntare verso casa cosìrimediamo due spaghi senzaspendere un capitale. Tra l’altrodomani sera suoniamo a Milanocon i Gang. Per noi è sempre unonore potere esibirci con Marino,Sandro e gli altri. Nel corso deglianni siamo diventati amici. In co-mune abbiamo quell’attitudinepunk e la provincia: anche loro ar-rivano da un piccolo paese. E’ quasi estate e alla sera è bellostare fuori a chiacchierare, anchein un posto di merda come Milano.Dopo il concerto giù a chiacchiera-re con Marino e Sandro: loro sicomplimentano perché, dicono,avete suonato da Dio! Poi spacca-re la chitarra è stata una roba miti-ca: in realtà ho rotto la chitarra

perché non si sentiva un cazzo neimonitor e mi sono girati i coglioni.Questo è il rock’n’roll, baby. Tor-nando a casa, dopo la serata, sulfurgone salta fuori una roba tipo:facciamo una classifica dei migliorigruppi di rock italiano. E vai: primoposto, logicamente, I Gang. Uno dinoi scrive, poi per ogni gruppo par-te il commento: Litfiba, (Cazzo Pelu’è mitico), Franti (Insuperabili!), Kina(Potenti), Not Moving (Grandi! Do-me è gigantesco), Rebel Without ACause (Non si vedono mai in giroperò su disco sembrano i Led Zep-pelin), D.H.G. (Dal vivo mega, pec-cato su disco), Africa Unite (Mitici),Boppin’Kids (Tre pirletta che suona-no di bestia), CCCP (Qui ha ragioneGuglielmi, il disco non sai se ascol-tarlo o metterlo sullo scaffale vicinoal “Capitale”, però dal vivo ti tengo-no lì), Lino e i Mistoterital (Ti fannopisciare dal ridere), Negazione(Forti!), Pankow, Plasticost, Dia-framma, Go Flamingo. Ritmo Triba-le (Duri: grande bassista e grandecantante), Statuto (La musica ci facagare, ma loro sono giusti), Timo-ria (Simpatici). E gli altri? Gli altrichi? Sì quei gruppi lì tipo: CarnivalOf Fools, Sick Rose, Casino Royale,Afterhours, Joe Perrino & The Mel-lowtones. Ma andassero a fancu-lo!Poot! Poot! Un camion del traspor-to latte insiste per sorpassare suquesta strada di montagna dove cipassano appena due biciclette. E’ il31 dicembre 1989 stiamo raggiun-gendo un locale abbarbicato in al-ta Val Camonica dove siamo moltoapprezzati e facciamo sempre ilpieno e stasera è un sorta di festain nostro onore.Poot! Poot! Le ruote del furgoneslittano sulla neve, mi sa che toc-cherà scendere anche ‘sta volta.Meno male che tra poco sarà il1990, uscirà il nostro nuovo discoed inizieremo un altro tour, la Poly-gram ci offrirà un contratto, ci com-preremo un furgone nuovo, andre-mo in televisione e ……….Poot! Poot! Ma questa è un’altrastoria.

Daniele Denti

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(che non mi appartengono per anagrafe néper affinità) ma al ricordo di un ragazzonetoscano dal piglio deciso e dai nervi scossiche, riprendendo a piene mani look e at-teggiamento dei Joy Division riuscì a incen-diare alcune delle stagioni più felici delmio giovane cuore adolescenziale. Federi-co Fiumani, questo il suo nome, è a mio av-viso un genio incompreso della musicarock italiana. Incompreso non tanto perchésconosciuto – in realtà è un nome noto achiunque abbia un minimo di cultura musi-cale – ma perché esempio di artista in gra-do di proporre tanto dal punto di vista qua-litativo ma, nonostante i mille tentativi e leinnumerevoli ripartenze, mai baciato daquel successo che ha toccato (e distrutto) iconcittadini Litfiba. Diversamente dallaband di Pelù, la proposta musicale di Dia-framma (la sigla che accompagnerà l’av-ventura artistica di Fiumani) si nutre dellemigliori influenze post-punk, o se vogliamonew wave, inglesi e americane (ancoraBauhaus e Joy Division tanto per essere va-ri), crescendo e sviluppandosi al grandeseno della canzone d’autore italiana. Lanotevole capacità linguistica di Fiumani,poeta-musicista, sarà infatti la caratteristi-ca più evidente del progetto Diaframma,che saprà sostenere le ruvide e spigoloseliriche con un power pop tutt’altro che dimaniera. I Diaframma si formano ufficial-mente nel 1981 a Firenze attorno alle figuredi Federico Fiumani (compositore e chitar-rista) e di Nicola Tannini (voce); comple-tanto la line up Leandro e Gianni Cicchi, ri-spettivamente basso e batteria. Il primo at-to artistico è il singolo Pioggia (1982), a cuifanno seguito altri ep (Circuito chiuso, Al-trove) che accompagnano una nutrita atti-vità live. Nel 1984, con l’epocale Siberia, sichiude la fase di incubazione del percorsomusicale del gruppo, che approda alla cor-te dell’I.R.A. con una novità importante: viaNicola Vannini, alla voce subentra Miro

Sassolini, che con Fiumani andrà a formareuna coppia d’oro indimenticabile. Il disco,di un anno antecedente a Desaparecidodei Litfiba, dimostra uno spessore del tuttosconosciuto per il panorama musicale ita-liano dell’epoca, e contribuisce a portaredefinitivamente alla ribalta tutta una scenaunderground della quale fino a quel mo-mento noi acerbi lettori di Rockstar nean-che sospettavamo l’esistenza. Ma faccia-mo presto a ritrovarci nelle liriche cupe enelle trame musicali rozze ma lucenti diFiumani, avvezzi già da qualche stagione aldecadentismo avanzante proposto dai ne-rovestiti d’Albione. L’anno successivo è lavolta di un ep, Amsterdam (1985), branodel primo disco inciso questa volta con iLitfiba a testimonianza del contatto tra ledue band emergenti del panorama fiorenti-no. A due anni di distanza esce Tre volte la-crime (1986), che segna una svolta nell’ap-proccio musicale dei Diaframma e in uncerto senso ne consolida gli elementi ca-ratterizzanti dello stile futuro: trame melo-diche e avvolgenti dipanate attorno astrutture torridamente punk, sulle quali siappoggiano liriche ferocemente e voluta-mente intimiste. In questo caso molti gliepisodi felici, dalla title track a Falsoamore, da Oceano a Madre, per finire conla meno riuscita cover della hit anni ’60 Ioho in mente te. La trilogia dei Diaframmacome Firenze li crebbe si chiude nel 1988con Boxe, che segna anche l’abbandono

da mamma I.R.A. (la line up in questo casocomprende, oltre a Fiumani e Sassolini, an-che Renzo Franchi alla batteria e LeandroBraccini al basso). Le sonorità sono moltosimili a quelle del lavoro precedente, forsecon un tocco di melodia in più e un pizzicodi rabbia punk in meno. È un disco moltobello, struggente, perfettamente in sinto-nia con il suo tempo, il crepuscolo deglianni ’80 che da una parte celebrano la finedella new wave e l’apice del rock da stadio,e dall’altra si preparano a essere investitidal ciclone giunge. Boxe è il capolinea del-la prima fase dei Diaframma, quella chepiù ci interessa nel volerla utilizzare cometraccia di lettura del rock indipendente an-ni ’80. In una recente intervista Miro Sas-solini lo ricorda così: “Boxe fu il culminedell’ultima stagione, labirintico come unafitta trama nervosa spedisce le sue ultimelettere d’amore, le fotografie, il canto evo-luto e le note disperate. È struggente enaufrago. Bellissimo”. Dopo questo disco,infatti, l’enorme ego di Fiumani ingurgiteràla sua stessa creatura, portandolo a imme-desimare se stesso (ma probabilmente eragià così da tempo) con il suo progetto mu-sicale. Via tutti, quindi, e avanti dritto perla sua strada, una carriera fatta di molti di-schi “in perfetta solitudine”, sempre moltorock e mai banali, dove i temi di sempre - lavita vissuta e l’amore – si fondono nel clas-sico binomio energia+melodia che è il mar-chio di fabbrica di Diaframma. Il mondo vi-sto attraverso una chitarra elettrica e a unciuffo nero davanti agli occhi.

Giacomo Galli

COMBAT ROCKDammi una mano,dammi una mano ad incediare il piano padano...La politica –di Sinistra- è entrata nel pano-rama musicale italiano indipendente deglianni ottanta come un vero e proprio cata-clisma, grazie alla nascita di due gruppiche oserei definire fondamentali per quel-l’eccitante –ma breve- periodo storico. IGang ed i Cccp Fedeli alla Linea sono stati iprincipali interpreti di questo pirotecnicoterremoto musical socio-politico. L’anno digrazia che i nostri lettori dovranno ricorda-re e che di conseguenza verrà marchiato aferro e fuoco per la sua immane importan-za è il 1984, 12 mesi che saranno ricordatianche per la prematura scomparsa del lea-der dell’allora Partito Comunista ItalianoEnrico Berlinguer. M

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DDAALLLLAA PPRROOVVIINNCCIIAA CCOONN FFUURROORREEAmbedue le compagini (Gang e Cccp) pro-vengono dall’ancora incontaminata provin-cia italica, dove il Sistema ed il logorio del-la vita metropolitana non hanno spossatole menti e le idee più sane e propositive.I Gang sono opera esclusiva dei fratelli (en-trambi di fede Interista, calcisticamenteparlando) Severini from Filottrano, un pic-colo paese a qualche chilometro da Mace-rata. Marino e Sandro hanno nel cuoreun’ideologia “Rossa” ed un’anima forte-mente Rock’n’Roll. Non nascondono infattiil loro sviscerato amore (condiviso dal vo-stro umile recensore) per la band anglo-sassone dei Clash. Il loro folgorante debut-to, il mini Lp Tribe’s Union è un omaggio vi-scerale e spudorato ai signori Jones-Strum-mer. Otto pezzi cantati rigorosamente in In-glese (in quanto l’italiano per le giovanicompagini nostrane risultava ancora unobsoleto tabù, anche se da lì a qualche an-no la nostra tanto vituperata lingua verràrispolverata e sdoganata per bene) dovel’amore per il sound dei Clash viene svilup-pato in tutto il suo splendido fulgore. Unaformula semplice in cui Punk e Reggae tar-gati 1977 made in Uk si uniscono in undejà vu romantico e per nulla patetico.Quelle che suonano e dicono i Gang sonoparole appartenenti alla più pura WorkingClass Italiana, formata da personaggi sem-plici che amano ritrovarsi alla “Festa del-l’Unità”, con davanti un bicchierino di vinorosso e due fette di salame del contadino.Tradizioni genuine, dunque, che però ci ri-cordano i fratelli Severini nonvanno assolutamente dimen-ticate. Condite da un’ideolo-gia “Sinistroide” per nullaanacronistica ma estrema-mente importante per sogna-re un mondo migliore edun’uguaglianza fra le classisociali che profuma tanto,ma proprio tanto, di sanautopia anarchica. Ebbene ioche sono legato fortementeai Clash ed a certi ideali, ri-scontro nei Gang un prose-guimento del lavoro dellaband anglosassone. Saporiantichi, sapori veri che vedo-no unire tramite un sottile fi-lo rosso i Clash, De André, iGang e i devastanti Cccp Fe-deli alla Linea. Rock’n’Roll“sparagnino”, tradizione can-tautorale di protesta e poe-

sia anarchica: tutto questo e molto altrohanno saputo offrire questi eletti perso-naggi della (contro)cultura Europea.I Cccp Fedeli alla Linea nascono nel 1982 inquel di Reggio Emilia grazie all’unione d’in-tenti di due menti eccelse, quelle di Gio-vanni Lindo Ferretti e del suo amico Massi-mo Zamboni. La differenza tra la formazio-ne dei fratelli Severini e quella del duo Fer-retti Zamboni apparirà subito chiara e bendefinita, in quanto, se le idee “Comuniste”sono eguali per ambedue le bands, i Cccpsvilupperanno fin dal loro provocatorioesordio un differente approccio musicale edi attitudine alla cultura di sinistra.

……EEMMIILLIIAA DDII NNOOTTTTII RRIICCOORRDDOO SSEENNZZAA CCHHEE TTOORRNNII LLAA FFEELLIICCIITTAA’’……Lo Shock Anafilattico sconvolgente e cheribalterà ogni concezione sonora delle ge-nerazioni future di bands alle prime armi,risponde al nome di Ortodossia: 45 giri invinile rosso dato alle stampe, dall’etichetta“Attack Punk Records”, per l’appunto, nel-l’Anno del Signore 1984. Tre canzoni: Livein Pankow, Spara Jury e Punk Islam doveun Punk’n’Roll tecnologizzato, con tanto didrum machine che picchia come un metro-nomo svizzero, scuote le menti ed i cuori diqualche centinaio di sparuti acquirenti cheda lì a poco decreteranno un successo in-sperato al sette pollici in questione. I Cccpsono molto di più di una semplice punkband, infatti sarebbe improprio ed alta-mente ingiusto racchiudere così tante ideeesplosive in una sola categoria. O ancora

meglio per questo grupponon ci sarebbero classifica-zioni, in quanto la PremiataDitta Zamboni-Ferretti confe-ziona un prodotto dissacran-te e provocatorio, che partetutto dal loro amore per ilmuro di Berlino e la RussiaComunista. Dove il fine ulti-mo vede l’abbattimento el’appiattimento totale di ogniclasse sociale, dove il riccoed il povero non esistono matutte le persone vivono in unperfetto grigiore filosovieticopuro ed ovattato. I testi deiloro brani sono caustici edesacerbati da una rabbia re-pressa ed incontrollata: “…aIstanbul sono a casa, ho unpassato e un futuro, ho unpresente che è Dio e fà la ca-meriera…” direttamente da

Punk Islam, marcetta “Punkettona” che sàtanto di fiera di paese, dove un vecchiettoun po’ brillo ciondola con il suo bicchieremezzo vuoto di vino rosso. Ma per discer-nere appieno la “cosidetta” filosofia Sovie-tica dei Cccp non bastano i loro dischi, bi-sogna –per apprezzarli e capirli fino in fon-do- assistere ad un loro spettacolo dal vi-vo. Ove il carrozzone cabarettistico dei ra-gazzi Emiliani prende forma e struttura edogni molecola sonora si trasforma in qual-cosa di vivo ed eccitante. Musica per ilcuore e per la mente. Una teatralità genui-na dove travestitismo e genialità artisticacompongono una performance perfetta,che lascerà lo spettatore attonito e sbigot-tito. Dal vivo, dunque, il carisma di Giovan-ni Lindo Ferretti e la straordinaria mimicadi Antonella Giudici e Danilo Fatur arricchi-scono la già veemente dose creativa ed ori-ginale dei Cccp Fedeli alla Linea. Un Grup-po che già di per sé definire gruppo appareriduttivo e poco corretto. I Cccp Fedeli allaLinea hanno rappresentato per il “Nuovocosidetto Rock alternativo Italiano” unponte di passaggio obbligato, al quale chipiù o chi meno ha dovuto pagare dazio ne-gli anni a venire. Potremmo considerareGiovanni Lindo Ferretti il proto-cantautoredel nuovo millennio, in quanto i Cccp sonostati i primi -o fra i primi- a cantare in italia-no in un’epoca in cui, come scrivevo pocosopra, il nostro idioma era bandito dalle li-riche. Un nostrano e genuino concetto diPunk cantautorale dove il Ferretti, conl’aiuto del fedele Zamboni, ha saputo sa-pientemente tessere passato e presente;in cui la tradizione contadina delle feste dipaese s’intreccia con il caustico concettodi Rock’n’Roll politicizzato. La pubblicazio-ne del loro primo straordinario Album(1986 – Attack Punk Records) 1964 1985 Af-finità/Divergenze fra il Compagno Togliattie Noi. Del Conseguimento della MaggioreEtà. sancirà, se così vogliamo scrivere, la fi-ne di “un bel gioco, di un bel periodo stori-co” e l’inizio di un altro capitolo che vedràsempre i Cccp Fedeli alla Linea precursori

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Fasten Belt

Peter Sellers and the Hollywood Party

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di novità originali per il nostro panoramamusicale, seppur mancando ovviamentequello shock all’idrogeno che aveva provo-cato il singolo Ortodossia. D’altronde iltempo scorre inesorabile e s’invecchia cheè un “dispiacere”…

Claudio Baroni

FARE DELLA VELOCITÀ UNA STORIA D’AMOREAl giro di boa: qualcheconsiderazione, il panoramadal finestrino e un (ultimo)passaggio di testimoneSe i primi anni ottanta sono caratterizzatidal passaggio di consegne fra due sceneimportantissime come quelle di Bologna eFirenze, che catalizzano completamentel’attenzione di pubblico ed addetti ai lavorie, sull’onda di una molteplicità di avveni-menti, non solo musicali, si avviano a di-ventare vere e proprie icone della culturagiovanile di quegli anni, molta è la confu-sione che regna sopra e sotto i ponti al fati-dico giro di boa del decennio. Il rock indi-pendente italiano si avvia a diventare adul-to, a vivere la sua piena maturità, cercandodi affrancarsi dai vecchi modelli ormai indeclino: quando il sole sta per tramontaredefinitivamente sul Lungarno, l’orizzonteottico è completamente piatto. Non c’èuna nuova capitale a candidarsi alla suc-cessione: gli argini stanno per tremare an-cora, a distanza di molti anni dall’ultima,rovinosa inondazione, e l’energia che peranni ha covato fra quelle sponde sta per li-berare decine di rivoli in ogni direzione. Ilsottobosco del rock italiano pullula di fan-zines, nastri autoprodotti, etichette indi-pendenti, vinili più o meno ufficiali: regi-strare un demo e trovare uno sbocco sulmercato discografico non è più così difficilee costoso come un tempo ed a tutti, o qua-si, è data una possibilità, gli innegabili cin-que minuti di gloria a trentatre giri. L’Italiadel dopo Firenze è una storia di scene, eti-chette, gruppi e fatti molto poco allineatied è questo coacervo che, senza alcunapretesa di completezza, cercheremo di rac-contare. Quando, sul finire della decade, inmolti riapriranno i propri pugni trovandolicompletamente vuoti; quando ci si accor-gerà che il rullo compressore ha travoltotutto e tutti senza fare troppe distinzioni ri-sparmiando soltanto i soliti noti; quando cisi troverà a fare i conti di gruppi ed etichet-te spariti nel nulla, si cercherà, con senti-mento tutto italiano, il solito capro espia-

torio. Sarà la stampa specializzata la prin-cipale accusata, ovvero quelle due o trepubblicazioni mensili che, insieme, rag-giungeranno a fatica una tiratura di unpaio di migliaia di copie, rea di non averprestato abbastanza attenzione al fenome-no, perduta dietro ai soliti miti d’oltre con-fine. Mi sono divertito, in questi giorni, a ri-spolverare dagli scatoloni vecchie pubbli-cazioni di quegli anni e, precisamente,quello che era il mensile che probabilmen-te più di tutti era dedito all’esplorazione diquei sotterranei molto poco illuminati, unancora degnissimo Rockerilla. Più o menoin ogni numero una o due interviste agruppi italiani del sottobosco, copertine aLitfiba e CCCP, molte recensioni seppurghettizzate in un frustrante “Speciale Ita-lia”. Ebbene, rileggendo a casaccio quegliscritti, non si trova una stroncatura nean-che a pagarla a peso d’oro, eppure, nellagrandissima maggioranza dei casi, si parladi dischi che, riletti a posteriori, lascianocompletamente il tempo che trovano. Chise li ricorda oggi i Polvere di Pinguino o gliIncontrollabili Serpenti? Eppure io, mossoda chissà quale calorosa recensione, miportai a casa i loro dischi. Che, per inciso,non erano poi peggiori di tanto altro mate-riale semi clandestino giunto d’oltrecortina

fra gli Osanna generali: ma è una conside-razione che andrebbe inserita in un discor-so più ampio che, in questo contesto, nonè certo il caso di affrontare. E lo stesso feciper una miriade di altri gruppi in relazioneai quali, sinceramente, mi riesce oggi mol-to difficile pensare di essermi potuto entu-siasmare. In definitiva, se c’è una critica damuovere alla stampa italiana dell’epoca èquella di non avere avuto sufficiente spiri-to critico, di essere stata mossa da una–per carità, comprensibilissima- sorta dipartigianeria nella mancata o comunque ri-dotta selettività operata su tutto quantoarrivava in redazione. E, ce lo ha insegnatoun certo Darwin, è la selezione “naturale”che permette di conservare una specie. Inquanti, dopo aver acquistato un disco sul-l’onda di una recensione positiva ed averlotrovato completamente inconcludente,avranno detto “tu non mi freghi più” al re-censore di turno? E, di conseguenza, quan-ti gruppi e dischi meritevoli saranno stati

penalizzati da questo –legittimo- compor-tamento? Ma, bando alle ciance, torniamoalla musica…Che il rock indipendente sia diventato unlimone da spremere o, a voler essere piùdelicati, un argomento intorno al quale ag-glomerare la maggior quantità possibile dipubblico (pagante) é ormai cosa nota an-che ai classici piani alti. In mezzo ad unamiriade di avvenimenti, festival ed iniziati-ve di più o meno bassa lega, tre sono glieventi di interesse nazionale destinati adessere ricordati negli anni a venire. In stret-to ordine cronologico, la prima mostramercato delle etichette indipendenti, tenu-tasi a Firenze dal 16 al 22 luglio 1984 sottol’esotica effigie di Independent Music Mee-ting e destinata ad essere replicata nelleedizioni successive in Emilia Romagna conil marchio M.E.I.; poi, nel 1986, il primoRock Targato Italia all’Odissea 2001 di Mi-lano con Litfiba, Diaframma, Neon, Moda eDenovo; infine Arezzo Wave, che nasce co-me festival dedicato alle band nostranesenza contratto o esperienze discografichepregresse al Palasport di Arezzo nel marzodel 1987 e si trasforma, nel corso degli an-ni, nella vetrina più importante offerta dalsuolo patrio alla musica più o meno rock epiù o meno alternativa.Intorno alla Electric Eye di Claudio Sorge,gloriosa label pavesina che fa del recuperodelle più rozze sonorità sixties il proprioinossidabile Credo, si sviluppa quella che èforse la scena più importante alla metà de-gli anni ottanta. Tutto comincia e finiscecon due raccolte, Eighties Colours del 1985e Neolitic Sounds From South Europe del1988. In mezzo un gran numero di band de-dite alla riscoperta del garage rock piùabrasivo o del Detroit sound di Stooges eMC5, fra le quali è d’obbligo ricordare iSSiicckk RRoossee (Faces, 1986) ed i NNoott MMoovviinngg(Sinnerman, 1986), poi BBoooohhooooss (The Sun,The Snake And The Hoo, 1987), FFuunnhhoouussee(The Way Things Will Be, 1989) e LLiiaarrss Opti-cal Sound, 1988). A far da corollario all’in-tero movimento una fanzine indimenticabi-le, Lost Trails, vera e propria Bibbia per gliadepti al laico culto.Il revival neopsichedelico che spopola ol-treoceano con le camicie damascate ed i fi-ni intarsi chitarristici del Paisley Under-ground non manca di contagiare le italichelande. Non esistono etichette o scene cit-tadine di riferimento, anche se di prim’or-dine rimane il ruolo svolto da Electric Eye edalla torinese Toast Records, e differentisono le ramificazioni del movimento. In undiscorso che, per forza di cose, deve esse-re semplificato al massimo, possiamo riu-nire sotto l’insegna di uno psycho-pop che M

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Ritmo Tribale

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reca bene in vista il santino di Syd Barrett ibrindisini AAlllliissoonn RRuunn (God Was CompletelyDeaf, 1989), i milanesi PPeetteerr SSeelllleerrss AAnnddTThhee HHoollllyywwoooodd PPaarrttyy (To Make A RomanceOut Of Swiftness, 1989), che si meritano lapalma per il titolo più bello (ed il contenutonon è da meno!), i pescaresi VVeeggeettaabblleeMMeenn (It’s Time To Change, 1989) ed i capi-tolini TTeecchhnniiccoolloouurr DDrreeaamm (Pretty Tomor-row, 1985). Aumenta il tasso allucinogenocon gli EEffffeerrvveesscceenntt EElleepphhaannttss (SomethingTo Say, 1987) ma, come non si preoccupadi tradire il nome del gruppo, non cambia ilnume tutelare. Più votati alle soffici liser-gie westcoastiane i pisani SStteeeepplleejjaacckk (Se-rena Mabose, 1987; Pow Wow, 1989), natida una costola dei più elettrici BBiirrddmmeenn OOffAAllkkaattrraazz (Glidin’ Off, 1986). Sfuggono ad

ogni tentativo di catalogazione i NNoo SSttrraann--ggee del carismatico Ursus (No Strange,1985), alfieri di una psichedelia lenta e par-ticolarmente visionaria, dal gusto vaga-mente retrò, che meritano di essere ricor-dati anche per le curatissime ed artigianaliconfezioni che avviluppavano i propri di-schi, spesso in vinile colorato o trasparen-te. Un ultimo cenno, prima di abbandonareil versante, per i veneti DDeeffiinniittiivvee GGaazzee (Pri-mitive Works, 1987) e per la loro psichede-lia “progressiva”. Figlio del rinnovato interesse per il verbopsichedelico è anche il ritorno alle originiin chiave beat. Fondamentale in questoambito rimane l’opera svolta dalla ToastRecords di Giulio Tedeschi, etichetta co-munque fondamentale nell’intero panora-

ma degli eighties, con la pubblicazionedella doppia compilazione Oracolo (1989),che tenta un suggestivo collegamento fraventicinque anni di underground nostranocon il ripescaggio di oscure formazioni delbeat italiano dei primi anni sessanta ac-canto ai nomi più “in” del momento. Unesperimento decisamente fortunato chebissa l’interesse suscitato dalle raccolte Ri-corda Con Rabbia e Fiori e Colori, editesempre da Toast, che esplorano il medesi-mo sottobosco beat. Intorno alla Contem-po di Firenze si riuniscono invece i duegruppi che tentano di perpetrare il verbobeat originale ad un tiro di schioppo dalterzo millennio: gli AAvvvvoollttooii (Il Nostro è So-lo un Mondo Beat, 1988) ed i RRaaggaazzzzii DDaaiiCCaappeellllii VVeerrddii, ripescati direttamente dalla

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PIER VITTORIO TONDELLIUn weekend lungo dieci anni

“Ci sono periodi buoni e altri menobuoni. Quello che è importante èsaper trarre, anche dai cattivi mo-menti che si attraversano, uno sti-molo nuovo, una elaborazione chepermetta di superarli traendoneun qualche insegnamento”: erauna frase di Pier Vittorio Tondelliche, idealmente (la scrisse nel giu-gno 1989) chiude l’ambigua, colo-rita e non del tutto risolta epopeadei cosiddetti anni Ottanta. Il suotempo, visto che si aprì con Altri li-bertini (tra l’altro ripubblicato pro-prio in questo periodo nella versio-ne originale per il cinquantesimodella Feltrinelli) e si concluse con laprematura scomparsa, nel 1991.Una decina d’anni contraddittori econtroversi, che Pier Vittorio Ton-delli seppe interpretare come nes-sun altro. Scivolò con grazia sullepatine caleidoscopiche e plastifi-cate senza aderirvi, raccontò il gla-mour minimalista con uno sguar-do disincantato e lucidissimo, nonsi lasciò travolgere dall’ideologia odai pregiudizi e svelò con una luci-dissima ironia tutta l’effervescen-za, in gran parte gratuita, di queglianni. Ovviamente il libro di riferi-mento è Un weekend postmoder-no (visto anche il sottotitolo, Cro-nache dagli anni Ottanta): seicentopagine che sono un compendio

completo di quell’era. In realtà percomprenderne lo spirito è suffi-ciente un suo calembour dedicatoal volto ufficiale dei Culture Club,Boy George: “Ogni generazione hala Liz Taylor che si merita” dissePier Vittorio Tondelli e la battuta èuna mirabile sintesi dell’aria che sirespirava negli anni Ottanta. Sonostati i suoi anni e quello che di piùimportante ci ha lasciato è statauna visione culturale che non di-stingueva tra gli Smiths e WilliamBurroughs, tra Jack Kerouac e Ni-na Simone, tra John Fante e PierPaolo Pasolini. Viaggiò e sepperaccontare i paesaggi che attra-versava in particolare l’Americacon cui ebbe un rapporto profon-

do: “Se io amo moltissimo di que-sto paese il senso di libertà e dipienezza che vi respiro, le auto-strade, l’architettura, il paesaggio,i profumi, la grandezza della mise-ria e del lusso, le sue birre che so-lo qualche anno fa avrei detto pi-sciatissime, certe abitudini paesa-ne e campagnole che mi fannosorridere, l’ingenuità, la mancanzadi formalismi e anche se odio diquesto paese una certa grettezza,la mancanza assai diffusa di sen-so della bellezza, il culto assoluta-mente immorale del denaro e deldollaro, culto che produce distin-zioni di classe abnormi, separa-tezze sociali e culturali degne diuna rivoluzione francese, ebbenedi questo grande paese amo so-prattutto la sua letteratura che perme è la Beat Generation, la suamusica che è per me soprattuttojazz e blues e la sua arte che èprincipalmente la Pop Art”. In mo-do irriverente, questo sì molto nellospirito dell’epoca, Pier Vittorio Ton-delli vedeva e sentiva la culturacon uno spirito entusiasta e conun’energia vitale assecondava tuttii suoi appetiti in ordine di cinema,musica, letteratura, poesia, tutto.Una ricerca spiritata della bellezzache in un paese piccolo, antico,clericale e lentissimo nel recepirele trasformazioni come l’Italia fuuna vera e propria sorpresa, e unaboccata d’aria. Non a caso, i gio-

vani che seguirono lo elessero (egiustamente) a modello di riferi-mento anche se poi la vita fu dav-vero inclemente con lui e se loportò via nel 1991. Troppo e troppopresto avrebbero detto le NewYork Dolls, ma è difficile, se nonimpossibile, immaginarsi Pier Vit-torio Tondelli negli anni Novantache poi sono stati esattamente gliOttanta senza il rossetto così comei nostri anni sono come il decennioscorso, ma senza speranza per-ché nel frattempo il nuovo secolo èarrivato ed è peggio di quello pri-ma. Quel pericoloso virus che è ilgenere umano sta per arrivare alpunto di non ritorno e un osserva-tore sensibilissimo come Pier Vitto-rio Tondelli se n’era accorto già al-lora, tra i lustrini e il trucco pesan-te. Con il suo punto di vista, natu-ralmente, personalissimo, puntua-le e pungente nello stesso tempo,aveva capito dov’è che il meccani-smo s’inceppa e alla vita si so-vrappone una lenta decadenza.Diceva, infatti, uno dei personaggidi Altri libertini: “Ci si dimenticapiano piano di tutto perché la vitaè davvero vita cioè una porcheriadietro l’altra e allora è come sbat-tere giù merda ogni giorno che poiti dimentichi che fa schifo, e ne di-venti magari goloso”. Riletta oggi,sembra quasi una profezia.

Marco Denti

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metà degli anni sessanta da intraprendentie disinteressati discografici moderni. Untentativo di rinnovare i fasti di Skiantos &Co., pur attraverso una scrittura più matu-ra ed articolata che, a ben vedere, ha pro-prio poco di demenziale, è quello operatoda LLiinnoo ee ii MMiissttootteerriittaall (Bravi Ma Basta,1988).Brucia dai profondi anni sessanta anche lamiccia che ci costringe a rispolverare levecchie lambrette nel segno del mod di UUnn--ddeerrggrroouunndd AArrrroowwss (Alive Today, 1988), FFoouurrBByy AArrtt (Four By Art, 1985), PPaarrttyy KKiiddss(Shock Treatment, 1986), SSttaattuuttoo (Vacan-ze, 1988) e dei milanesi PPooww; mentre i CCaassii--nnoo RRooyyaallee (Soul Of Ska, 1988) si preoccu-pano di farci muovere le gambe al ritmoesasperato dei nostri vecchi ricordi scola-stici di Madness, Specials, Beat & Co.Sono suggestioni decisamente meno colo-rate, ispirate alla new wave più tenebrosadi Ultravox!, Tuxedomoon, Roxy Music &Co., quelle che animano i lavori di UUnnddeerr--ggrroouunndd LLiiffee (Filosofia dell’Aria, 1987; GloriaMundis, 1988) e MMiinnooxx (Lazare, 1986),ideali continuatori di un discorso iniziatoqualche anno prima da FFaauusstt’’OO (J’accu-se…Amore Mio, 1980) e proseguito con FFrrii--ggiiddaaiirree TTaannggoo (Russian Dolls, 1983), CCeenn--ttrraall UUnniitt (Central Unit, 1984) e CCaarriilllloonn DDeellDDoolloorree (Trasfigurazione, 1984), su un ver-sante ancora più dark.Non attecchisce completamente nel BelPaese il battito sintetico di una new wavecompletamente elettronica: se si voglionoescludere i fiorentini NNeeoonn (Rituals, 1985),artefici di un electro-rock più votato alletentazioni dei dance-floor, l’intera scena ri-mane praticamente di completo appannag-gio dei PPaannkkooww (Freiheit Fuer Die Sklaven,1987; Gisela, 1989), alfieri di un sound cu-po e martellante dal respiro mitteleuropeoche, in più di un’occasione, cerca un puntodi contatto con i paladini dell’intero movi-mento, gli Einsturzende Neubauten diBlixa Bargeld.Nell’ambito di un suono ancora più distan-te dai binari dell’ordinarietà, in merito alquale non deve spaventare il termine diavanguardia, si fanno ricordare i romaniGGrroonnggee (Fase di Rigetto, 1987), che esclu-dono completamente le chitarre dalla lorostrumentazione in direzione di un sound

completamente governato da basso, batte-ria e sintetizzatore e, in particolar modo, leOOffffiicciinnee SScchhwwaarrttzz (Remanium Dentaurum,1988) di Reggio Emilia, forse gli unici rap-presentanti dell’Industrial Sound di casanostra, italico punto di crocevia fra le sug-gestioni targate Einsturzende Neubauten,Test Dept, Laibach. Più “tradizionale”, in-vece, ed in questo caso le virgolette sonod’obbligo, il debutto degli SSttaarrffuucckkeerrss (Me-tal Disease, 1989), nel segno di un soundchitarristico figlio del noise newyorkesedei Sonic Youth, che abbandonerà progres-sivamente negli anni a venire ogni facilepietra di paragone in una lunga cavalcatanei territori, sempre più accidentati, dell’a-vanguardia più pura.Sfugge ad ogni catalogazione la scena chesi sviluppa intorno alla milanese Vox Pop,label nata dalle ceneri del glorioso periodi-co di Stampa Alternativa Vinile, a mezzastrada fra libro e fanzine, che fa della scel-ta di non concentrarsi su un unico filonemusicale il proprio punto di forza. L’eti-chetta, che assumerà un ruolo centrale nelrock indipendente italiano nella primametà degli anni novanta, inaugura il pro-prio catalogo nel 1987 con l’omonimo e.p.degli Allison Run e piazza subito un pokerd’assi con i RRiittmmoo TTrriibbaallee (Kriminale,1989), efficacissimo pop-punk barricaderoin lingua italiana, i CCaarrnniivvaall OOff FFoooollss (BluesGet Off My Shoulder, 1989), straordinarialettura dal Vangelo secondo Nick Cave, gliAAfftteerrhhoouurrss,, che, dopo un ep di debutto suToast a mezza strada fra Stooges e VelvetUndreground passato quasi inosservato(All The Good Children Go To Hell, 1989),affinano il proprio sound in direzione psi-chedelica con lo splendido During Christi-ne’s Sleep (1990), ed i già citati CCaassiinnooRRooyyaallee. Da ricordare anche l’ottimo tributoai Joy Division Something About Joy (1990),compilation che fa arrabbiare tantissimo igiornali inglesi quando, con malcelato or-goglio patriottico, si accorgono che un ma-

nipolo di sconosciuti gruppi italiani ha osa-to quello che nessuno in madre patria ave-va ancora avuto il coraggio (o l’idea) diosare.In ambito punk/hardcore è naturalmented’obbligo la citazione per i NNeeggaazziioonnee(Sempre In Bilico, 1989), che non hannocerto bisogno di presentazioni, mentre, fragli alfieri di un rock stradaiolo di stampopiù tradizionale, semplice ed efficace, unpensiero va a SSlleeeevveess, FFaasstteenn BBeelltt, OOvveerr--lloorrdd e RReebbeellss WWiitthhoouutt AA CCaauussee.Per finire tre gruppi decisamente fuori da-gli schemi. I FFrraannttii (Il Giardino delle Quindi-ci Pietre, 1986) ed i KKiinnaa (Cercando, 1986),nel segno di una musica in totale libertàche definire rock è riduttivo, a mezza stra-da fra poesia e militanza politica, ed i SSeett--ttoorree OOuutt (Un’Altra Volta, 1990), che aggior-nano la tradizione della canzone d’autorein chiave rock sotto un velo palpabile dimalinconia e disillusione, al pari dellosguardo che il bimbo rannicchiato a terrain copertina lancia verso il futuro che lo at-tende e che sembra non rassicurarlo affat-to.

EEPPIILLOOGGOORoma. Quartiere San Lorenzo. Dagli edificiche un tempo erano stati teatro di grandilotte operaie la voce libera di Radio OndaRossa cerca, con tutte le sue forze, di man-tenere vivo quell’antico fuoco. Alcuni vec-chi punk, decisi a dare un taglio al passato,hanno cominciato a gridare la propria rab-bia su basi ritmiche velocissime ma lonta-ne anni luce dal rock. Nel 1990 un mini album intitolato Batti IlTuo Tempo a nome del combo OOnnddaa RRoossssaaPPoossssee introduce un termine inedito nel vo-cabolario giovanile e da il via alla fortuna-tissima stagione del rap italiano. E’ il mo-mento di un nuovo passaggio di testimo-ne, l’ultimo: per le chitarre è tempo di an-dare in soffitta…

Marco Tagliabue MA

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Steeplejack

Underground Life Vegetable Men

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