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3DMacro® - Manuale Teorico
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3DMacro® - Manuale Teorico INDICE
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INDICE
11 .. IINNTT RR OODD UUZZIIOONNEE 44
22 .. MM OODD EE LLLLOO 55
2.1. PARETI 6
2.1.1. COMPORTA MENTO P IANO 7
2.1.2. COMPORTA MENTO TRIDIME NSIONA LE 7
2.2. INTERAZIONE TRA ELEMENTI 8
2.2.1. INTERAZIONE TRA LE PA RETI E GLI ORIZZONTA MENTI 8
2.2.2. INTERAZIONE TRA LE PA RETI IN CORRISPONDE NZA DEGLI A NGOLI 9
2.2.3. INTERAZIONE TRA LE PA RETI E D E LE MENTI A ST A GLOBA LI 10
33 .. EE LLEE MM EE NNTT II 11 11
3.1. PANNELLI MURARI 11
3.1.1. ELEMENTO PANNELLO (COMPORTA MENTO PIANO) 11
3.1.2. ELEMENTO PANNELLO (COMPORTA MENTO TRIDIMENSIONA LE ) 19
3.1.3. ELEMENTI R IG IDI 22
3.1.4. ELEMENTI INTERFACCE 23
3.2. SETTI IN C.A . 36
3.3. ASTE 37
3.3.1. ASTA L IBE RA 43
3.3.2. INTERAZIONE CON PA NNE LL I MU RA RI 43
3.3.3. CERNIE RE PLASTICHE 46
3.3.4. MODELLO DI F LESS IONE INDIPENDENTE NEI DUE PIA NI PRINC IPA L I 47
3.3.5. MODELLO DI F LESS IONE CON INTE RAZIONE PMM 48
3.4. ORIZZONTAMENTI 52
3.4.1. IMPA LCA TI R IG IDI (FLOOR) 53
3.4.2. DIA FRA MMI R IG IDI (DIAPHRAGM) 53
3.4.3. DIA FRA MMI DE FORMA BILI (PLA TE) 54
3.5. INTERAZIONE TRA PARETI ORTOGONALI 60
3.5.1. INTERAZIONE TRA PA NNE LLI (ELE MENTI D ’A NGOLO O CORNE R) 60
3.5.1. INTERAZIONE TRA CORD OLI DI P IA NO 62
3.5.2. INTERAZIONE ME DIANTE PI LA STRI D 'ANGOLO 63
3.6. NONLINEAR LINK (NLINK) 63
3.7. VINCOLI 65
3DMacro® - Manuale Teorico INDICE
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3.7.1. FONDA ZIONI 65
44 .. MM AA TT EERR IIAA LLII 66 66
4.1. MURATURA 66
4.1.1. COMPORTA MENTO FLE SS IONA LE 66
4.1.2. COMPORTA MENTO A TA GLIO PE R FE SSU RAZIONE DIA GONALE 73
4.1.3. COMPORTA MENTO A SCORRIME NTO 84
4.1.4. COMPORTA MENTO C ICL ICO 88
4.1.5. R INFORZO ME DIANTE MET ODOLOGIA CAM 91
4.1.6. R INFORZO ME DIANTE L'U TILIZZO DI COMPOSIT I F IBRORINFORZATI 100
4.2. CALCESTRUZZO 110
4.2.1. SETTI IN C .A . – PROCE DU RE DI TA RATU RA 110
4.3. ACCIAIO 117
4.4. DOMINI DI AMMISSIBILITÀ DELLE SOLLECITAZIONI 117
55 .. CCAA RR IICCHHII 11 11 99
5.1. CARICHI GRAVITAZIONALI 119
5.2. CALCOLO DELLE FORZE NODALI NELLE ASTE 119
5.3. DETERMINAZIONE DELLE DISTRIBUZIONI SISMICHE 122
66 .. AA NNAA LLIISS II 11 22 44
6.1. ANALISI STATICHE NON LINEARI 124
6.1.1. ANALISI STA T ICHE A CONTROLLO DI FORZE 125
6.1.2. ANALISI STA T ICHE A CONTROLLO DI SPOSTAME NTO 126
6.2. ANALISI DINAMICHE NON LINEARI 127
6.3. PROCEDURE DI ANALISI 128
6.3.1. DETE RMINAZIONE DE I PU NTI D I CONTROLLO 133
6.3.2. USC ITA DA LL ’A NA LIS I 133
6.3.3. EVENTI E TOLLE RANZE 134
6.3.4. R ID ISTRIBUZIONI 137
77 .. VVEE RR IIFFIICCHHEE 11 44 11
7.1. OSCILLATORE ELASTOPLASTICO EQUIVALENTE 141
7.2. DETERMINAZIONE DELLE MASSE DEI PUNTI DI CONTROLLO 144
7.3. SOLLECITAZIONI E SPOSTAMENTI DEGLI ELEMENTI 144
7.3.1. INTERFACCE 145
3DMacro® - Manuale Teorico INDICE
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7.3.2. PANNE LL I 146
7.3.3. ASTE 148
7.4. ANALISI LIMITE DI PARETI MURARIE CARICATE FUORI DAL PROPRIO
PIANO 149
7.4.1. INDIVIDUA ZIONE DELLE FA SCE MURARIE 149
88 .. BB IIBB LLIIOOGGRR AA FFIIAA 11 55 33
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE
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1. INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo manuale è descrivere i fondamenti teorici e le procedure di calcolo sulle quali si basa
il software 3DMacro®.
Il manuale ha lo scopo di fornire adeguate informazioni all’utente, in modo da chiarire i concetti
fondamentali delle procedure e fornire i riferimenti utili per informazioni più dettagliate. Pertanto, il
manuale non pretende di rappresentare un esaustivo approfondimento di tutti gli argomenti, ma solo una
panoramica delle teorie utilizzate.
Nel seguito vengono descritti gli elementi implementati nel codice di calcolo e i relativi legami costitutivi
impiegati, nonché il tipo di interazione tra elementi differenti. Il modello è costituito da un insieme di
elementi, il cui comportamento è regolato dai legami costitutivi ad essi assegnati, che interagiscono tra
loro secondo le modalità che saranno descritte nei capitoli successivi, e da tutte le impostazioni
riguardanti le analisi da eseguire.
Con riferimento alle procedure di calcolo e al comportamento meccanico degli elementi, si fa presente
che non tutte le opzioni di seguito descritte sono presenti nella versione commerciale del software. Tali
argomenti sono inseriti nel presente manuale perché riguardano opzioni che in un prossimo futuro
saranno rese disponibili.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 2 - MODELLO
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2. MODELLO
Al modello sono assegnate le seguenti proprietà generali:
il nome, sulla base del quale vengono determinati gli indirizzi delle cartelle di lavoro su cui
verranno salvati i risultati;
la direzione della gravità, fissata mediante un versore, che di default indica la direzione
negativa dell’asse z;
l’accelerazione di gravità, che di default è fissata in 980.7 cm/s2;
il comportamento delle pareti, che può essere piano se si ipotizza che la struttura abbia
comportamento scatolare, e si trascura quindi il comportamento fuori piano della muratura,
oppure può essere tridimensionale se si ritiene determinante valutare il comportamento fuori
piano delle pareti.
Il comportamento delle pareti è determinante nella valutazione del comportamento globale dell’edificio, e
la scelta di una delle due opzioni implica un approccio diverso nello studio del comportamento
dell’edificio.
Altre opzioni generali non sono strettamente legate al modello di calcolo. Pertanto esulano dalla presente
trattazione e sono descritte nel manuale utente.
Ciascun componente del modello, sia elementi che entità come le analisi, possiede una serie di dati che lo
caratterizzano, e che l’interfaccia grafica trasmetterà al motore di calcolo al fine di eseguire tutte le analisi
numeriche previste per il modello strutturale. La comunicazione tra le due componenti del software
avviene mediante un file dati. Questo è un file di testo che viene esportato dall’interfaccia grafica e
interpretato dal motore di calcolo, e contiene tutte le informazioni necessarie affinché il solutore esegua il
calcolo.
Tutti gli elementi (pannelli murari, aste, ecc.) sono organizzati in pareti. Le pareti possono interagire tra
loro in corrispondenza delle intersezioni, o mediante orizzontamenti; pertanto l’assemblaggio di pareti che
hanno comportamento esclusivamente piano, in virtù dell’accoppiamento conferito dagli elementi di
collegamento, assume globalmente comportamento tridimensionale, e consente di modellare
adeguatamente gli edifici il cui comportamento strutturale può essere considerato scatolare.
Se si assume che il comportamento sia piano ciascuna delle pareti lavorerà solo nel proprio piano. Questa
scelta comporta un notevole risparmio computazionale (dovuto al ridotto numero di gradi di libertà), ma
anche l’impossibilità di cogliere i meccanismi di collasso fuori piano delle pareti murarie. Tuttavia questa
scelta si presta bene per tutti gli edifici per i quali l’ipotesi di comportamento scatolare risulta accettabile.
Se invece si assume che il comportamento sia tridimensionale le pareti lavoreranno anche fuori dal
proprio piano. Questa scelta comporta un maggiore onere computazionale (l’arricchimento del modello
implica un maggiore impegno in termini di gradi di libertà), ma anche la possibilità di cogliere i
meccanismi di collasso fuori piano delle pareti murarie. Questa scelta risulta pertanto necessaria quando
l’ipotesi di comportamento scatolare risulta troppo restrittiva (chiese, ecc.).
In questo capitolo verranno pertanto descritte le proprietà delle pareti, e le possibili interazioni tra di
esse, o con altri elementi, che consentono complessivamente la simulazione del comportamento non
lineare di interi edifici.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 2 - MODELLO
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Gli elementi globali di collegamento possono essere:
diaframmi rigidi sia dal punto di vista membranale che da quello flessionale , o rigid floors (cfr.
3.4.1);
diaframmi rigidi solo dal punto di vista membranale, o diaphragms (cfr. 3.4.2);
diaframmi con comportamento a lastra piana, o plates (cfr. 3.4.3);
elementi asta non appartenenti a nessuna parete, o aste globali (cfr. 3.3);
elementi speciali d’angolo (cfr. 3.5.1).
Un’importante distinzione è quella tra elementi ereditati dall’interfaccia grafica, ed elementi che sono
invece creati dal motore di calcolo. Essi sono determinati in genere per cogliere l’interazione tra gli
elementi e sono definiti generati. Alla prima categoria appartengono i seguenti elementi:
pannelli murari (cfr. 3.1);
setti in c.a. (cfr. 3.2);
aste (cfr. 3.3);
orizzontamenti (cfr. 3.4);
Nonlinear Link (cfr. 3.6);
Alla seconda categoria appartengono invece i seguenti elementi:
Interfacce (cfr. 3.1.4);
elementi speciali d’angolo (cfr. 3.5.1);
vincoli esterni e fondazioni (cfr. 3.7);
vincoli interni (cfr 3.3).
2.1. PARETI
Le pareti sono contenitori di elementi che condividono il medesimo orientamento spaziale. Tale
orientamento viene determinato descrivendo le componenti dei versori del sistema locale della
parete (due versori giacenti nel piano della parete) in coordinate globali.
Le pareti rappresentano geometricamente dei piani entro cui possono essere collocati degli elementi
giacenti comunque su tale piano.
Una parete è pertanto caratterizzata dalle seguenti proprietà:
un numero progressivo, identificativo della parete;
un orientamento, rappresentato dalle componenti globali, dei versori locali x e y della parete;
le liste di elementi in esso contenuti.
A seconda che il comportamento di una parete sia tridimensionale o piano, gli elementi in essa
contenuti assumeranno automaticamente comportamento tridimensionale o piano. Le pareti possono
inoltre essere collegate tra loro mediante opportuni elementi di collegamento ricadenti nella
categoria degli elementi globali.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 2 - MODELLO
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2.1.1. COMPORTAMENTO PIANO
Il comportamento piano di una parete implica che tutti gli elementi in essa contenuti assumano
comportamento piano, e siano pertanto dotati di gradi di libertà tali da consentire che la loro
cinematica si esplichi solo nel piano della parete. Questo tipo di comportamento consente di
contenere il numero di gradi di libertà della struttura rispetto ad un analogo modello in cui anche
il comportamento fuori piano viene tenuto in conto, e si presta bene per la simulazione del
comportamento di edifici a comportamento scatolare, o in cui i meccanismi di primo modo sono
comunque inibiti.
L’interazione tra pareti adiacenti (ma non ortogonali) può avvenire mediante elementi d’angolo
(se si ritiene che gli ammorsamenti tra le pareti siano di buona qualità), creati in maniera
automatica dal software, e che trasferiscono le componenti delle forze della parete adiacente nel
piano della parete (cfr. 3.5.1).
Figura 1. Comportamento scatolare (Touliatos, 1996)
2.1.2. COMPORTAMENTO TRIDIMENSIONALE
Il comportamento fuori piano di una parete implica che gli elementi in essa contenuti siano dotati anche
dei gradi di libertà al di fuori del piano della parete, consentendo così che la loro cinematica si esplichi
anche ortogonalmente al piano della parete. Questo tipo di comportamento incrementa il numero di gradi
di libertà della struttura rispetto ad un analogo modello in cui il comportamento fuori piano viene inibito,
e si presta bene per la simulazione del comportamento di edifici per i quali non vale l’ipotesi di
comportamento scatolare, o in cui i meccanismi di primo modo possono manifestarsi (chiese, edifici in cui
i solai non sono bene ammorsati alle pareti, ecc…).
L’interazione tra pareti adiacenti (anche ortogonali) avviene mediante elementi d’angolo, creati in
maniera automatica dal software, e che trasferiscono le componenti delle forze della parete adiacente nel
piano della parete (cfr. 3.5.1).
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 2 - MODELLO
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Figura 2. Comportamento della muratura (Touliatos, 1996)
2.2. INTERAZIONE TRA ELEMENTI
Nel paragrafo precedente è stato introdotto il concetto di parete, e i suoi aspetti essenziali legati alla
descrizione del comportamento piano o fuori piano. Nel presente paragrafo verrà descritto in che modo
un insieme di pareti piane possono essere assemblate e far parte di strutture tridimensionali per la
modellazione di edifici reali. I principali tipi di interazione che verranno presi in considerazione sono:
Interazione tra le pareti e gli impalcati (cfr. 2.2.1);
Interazioni tra le pareti in corrispondenza degli angoli (cfr. 2.2.2);
Interazione tra cordoli, architravi o tiranti e i macro-elementi (cfr. 2.2.3).
Nei successi sotto-paragrafi si descrivono i criteri di modellazione adottati.
2.2.1. INTERAZIONE TRA LE PARETI E GLI ORIZZONTAMENTI
Nel modello proposto vengono considerati due diversi elementi atti a simulare la presenza di impalcati di
collegamento:
diaframmi infinitamente rigidi (cfr. 3.4.1 e 3.4.2);
diaframmi deformabili (cfr. 3.4.3).
In entrambi i casi, gli aspetti legati alla deformabilità flessionale del diaframma non vengono presi in
considerazione.
La modellazione dell’impalcato mediante un diaframma rigido in alcuni casi può risultare un’ipotesi forte
tuttavia consente una significativa riduzione dei gradi di libertà del modello. In alternativa l’utilizzo di un
diaframma deformabile nel proprio piano risulta più aderente alla realtà e consente una migliore
ripartizione dell’azione sismica sulle pareti su cui insiste.
L’interazione tra i diaframmi, siano essi rigidi o deformabili, e i pannelli delle pareti avviene mediante
interfacce opportunamente definite e appartenenti ai piani delle pareti. Tali elementi vengono creati
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 2 - MODELLO
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automaticamente dal software in corrispondenza dei pannelli che hanno un lato in comune con il
diaframma.
2.2.2. INTERAZIONE TRA LE PARETI IN CORRISPONDENZA DEGLI ANGOLI
L’interazione di una parete con altre pareti in corrispondenza delle zone d’angolo (cantonali) o più in
generale nei punti di intersezione tra due o più pareti risulta decisiva per poter adeguatamente cogliere il
reale comportamento della struttura e l’attivazione dei meccanismi di ribaltamento nel caso di modello
tridimensionale. Tale interazione, in genere, viene resa possibile dalla stessa tessitura muraria tramite
degli elementi sufficientemente ammorsati in ciascuna parete e disposti a filari alterni. Nei casi di
costruzioni più economiche, nelle quali tale pratica costruttiva è stata disattesa (o spesso riservata solo ai
cantonali), le pareti ortogonali si possono modellare come indipendenti tra loro.
Dal punto di vista meccanico, in corrispondenza di un punto di intersezione, è possibile distinguere tante
giaciture significative quante sono le pareti convergenti nell’intersezione. In corrispondenza di ognuna di
queste si avranno tensioni normali e tangenziali orientate in qualsiasi direzione (pareti con
comportamento tridimensionale). I possibili fenomeni di degrado in corrispondenza delle zone di
intersezione consistono nell’apertura di fessure, schiacciamenti della muratura o possibili scorrimenti.
Figura 3. Tensioni scambiate dalle pareti nelle zone di estremità
Per la modellazione degli ammorsamenti in corrispondenza di una intersezione tra due o più pareti
vengono inseriti degli elementi speciali detti elementi speciali d’angolo (cfr. 3.5). Nei modelli con
comportamento piano la presenza dei cantonali diviene inutile in caso di intersezione tra due pareti
ortogonali, poiché non esiste alcun possibile accoppiamento tra i gradi di libertà delle due pareti.
Viene inoltre modellata in automatico, in corrispondenza dell’intersezione tra pareti, l’interazione tra
cordoli appartenenti a pareti non convergenti in un punto, mediante vincoli di rigidità (cfr. 3.5.1).
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 2 - MODELLO
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2.2.3. INTERAZIONE TRA LE PARETI ED ELEMENTI ASTA GLOBALI
Un’ulteriore possibilità di interazione tra una parete e altri elementi ad essa non appartenenti, è
rappresentata da quella che può avvenire con elementi asta (cfr. 3.3.2).
Le aste possono assumere comportamento diverso, e pertanto interagire in maniera differente con la
parete muraria.
È possibile, ad esempio, che l’asta sia una trave aerea, che si appoggia su una parete muraria ad essa
ortogonale. In questo caso verranno tenuti in conti nel calcolo il comportamento assiale e quello
flessionale dell’asta, e potranno essere condivisi opportunamente i gradi di libertà tra l’asta e il pannello
murario con cui condivide un’estremità (attach, cfr. 3.3).
Per i soli modelli tridimensionali, risulta di grande utilità l’introduzione di incatenamenti. Il loro
inserimento comporta infatti un significativo miglioramento verso la totale inibizione dei meccanismi di
primo modo, che sono i primi a manifestarsi. In questo caso gli elementi asta assumeranno solo
comportamento assiale (non reagente a compressione), e il grado di libertà assiale della catena, in
corrispondenza del nodo di estremità del capo-chiave, verrà condiviso con un grado di libertà fuori piano
del pannello con cui condivide tale nodo.
La presenza di una catena può risultare di notevole utilità anche nel caso di comportamento piano del
modello. In questo caso essa non ha influenza nella simulazione del comportamento non lineare della
struttura, poiché la parete cui essa è vincolata, essendo perpendicolare non può condividere con la
catena alcun grado di libertà. Tuttavia è possibile effettuare le verifiche a ribaltamento delle pareti (cfr.
7.4) mediante i teoremi dell’analisi limite, verificando così la struttura anche nei confronti dei meccanismi
di primo modo.
Nel caso di parenti convergenti, con la presenza di un’asta interclusa, vengono modellati sia l’interazione
tra l’asta e le singole pareti, sia l’interazione delle pareti tra di loro (cfr. 3.5.2).
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 3 - ELEMENTI
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3. ELEMENTI
3.1. PANNELLI MURARI
Il modello di calcolo utilizzato dal software può essere collocato nell’ambito dei cosiddetti macro-modelli
essendo basato su una modellazione meccanica equivalente di una porzione finita di muratura concepita
con l’obiettivo di cogliere i meccanismi di collasso nel piano dei pannelli murari. Il modello è stato inoltre
arricchito al fine di poter cogliere anche i meccanismi fuori piano tipici dei fabbricati murari.
Nella sua definizione piana tale macromodello si colloca come miglior compromesso tra i metodi
semplificati tradizionali (modelli a telaio), e i metodi accurati (elementi finiti non lineari), coniugando i
vantaggi dell’uno e dell’altro. La validazione del modello è avvenuta tramite confronti con altre
metodologie, ed esistono numerosi lavori scientifici [1-4] a riguardo.
L’introduzione del comportamento fuori piano dell’elemento comporta un maggiore onere computazionale
associato sia al maggior numero di gradi di libertà che alla necessità di considerare ulteriori molle non
lineari per la descrizione del legame costitutivo. Tuttavia, lo svantaggio derivante dal maggiore costo
computazionale viene ampiamente compensato dalla possibilità di verificare l’eventuale instaurarsi dei
meccanismi di primo modo senza la necessità di individuare a priori i potenziali cinematismi e senza dover
ricorrere ai tradizionali metodi dell’analisi limite.
Nel seguito vengono descritti i diversi ambiti di comportamento del macro-elemento dal comportamento
statico non lineare delle murature nel proprio piano, fino agli sviluppi che hanno riguardato l’estensione
alla modellazione dinamica tridimensionale e la trasformazione dell’elemento base per la descrizione dei
meccanismi di primo modo. I procedimenti per la taratura degli elementi non-lineari e gli aspetti
computazionali legati alla modellazione numerica in campo statico e dinamico verranno dettagliatamente
descritti più avanti (cfr. 4 e 6).
3.1.1. ELEMENTO PANNELLO (COMPORTAMENTO PIANO)
Il modello concepito per la simulazione del comportamento delle murature quando sollecitate nel proprio
piano è rappresentato da un modello meccanico equivalente in cui una porzione di muratura viene
schematizzata mediante un quadrilatero articolato i cui vertici sono collegati da molle diagonali non lineari
e i cui lati rigidi interagiscono con i lati degli altri macro-elementi (o con altri elementi) mediante delle
interfacce discrete con limitata resistenza a trazione.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 3 - ELEMENTI
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Figura 4. Interazione tra un pannello e gli elementi limitrofi mediante letti di molle.
Pertanto il modello si può pensare suddiviso in due elementi principali: un elemento pannello costituito
dal quadrilatero articolato e da un elemento di interfaccia costituito da un insieme discreto di molle che
determinano l’interazione non lineare con i quadrilateri eventualmente adiacenti o con i supporti esterni.
Figura 5. Pannello
Le molle diagonali dell’elemento pannello hanno il compito di simulare la deformabilità a taglio della
muratura rappresentata. Nelle molle poste in corrispondenza delle interfacce è concentrata la
deformabilità assiale e flessionale di una porzione di muratura corrispondente a due pannelli contigui.
Figura 6. Elemento di interfaccia.
Le molle non lineari, nel loro insieme, dovranno simulare i meccanismi di collasso della muratura nel
proprio piano. Il numero delle molle in ciascuna interfaccia è arbitrario, e viene scelto in base al grado di
pannello contiguo
pan
nel
lo c
onti
guo
supporto esterno
letto di molle
lato libero
k1 k2
f
u
molle trasversali
molla a scorrimento
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 3 - ELEMENTI
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dettaglio della soluzione che si intende ottenere; è importante notare che all’aumentare del numero di
molle non corrisponde un aumento del numero di gradi di libertà necessari alla descrizione della
cinematica del sistema; tuttavia aumenta l’onere computazionale associato alla non linearità delle molle
stesse. La figura sopra riporta uno schema meccanico relativo al comportamento piano dell’interfaccia, in
esso si può osservare una fila di molle flessionali (ortogonali all’interfaccia) e la molla longitudinale per la
modellazione dello scorrimento nel piano.
È importante sottolineare che non vengono formulate ipotesi a priori né sulla dislocazione degli elementi
di interfaccia, né sui lati lungo i quali un pannello può interagire con altri pannelli. Il modello prevede la
presenza di una interfaccia ogni qualvolta un pannello abbia un lato, o una porzione di esso, in comune
con un altro pannello o con un supporto esterno.
Questo modo di procedere permette di modellare agevolmente schemi strutturali dalle geometrie anche
complesse e irregolari.
Figura 7. Esempio di individuazione degli elementi di interfaccia
Un aspetto originale del modello è rappresentato dal fatto che il pannello è interagente lungo ciascuno
dei suoi lati. Tale circostanza determina numerosi vantaggi in quanto consente una modellazione
efficiente delle fasce di piano in cui l’eventuale azione di confinamento agisce in direzione orizzontale,
rende agevole la modellazione tra la muratura ed altri elementi (ad es. cordoli di piano o pilastri) ed
inoltre consente di modellare una parete di muratura attraverso una mesh di macro-elementi.
interfacce tra un elementoe un supporto esterno
interfacce tra elementi
a lati sfalsati
interfaccia tra elementi
a lati coincidenti
supporto esterno
p 1*
p 2*
p 1*; p 2* : vertici ausiliari
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 3 - ELEMENTI
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Figura 8. Muratura modellata mediante una mesh di macro-elementi
La possibilità di suddividere l’elemento murario in una mesh di più elementi più piccoli sembrerebbe
ricalcare la filosofia tipica dei modelli agli elementi finiti, tuttavia risulta utile evidenziare alcuni aspetti.
Innanzitutto l’utilizzo di una mesh di macro-modelli rappresenta una possibilità e non una necessità, come
nel caso dei modelli agli elementi finiti. In questo caso un singolo macro-elemento è già concepito per
simulare la risposta del pannello murario che rappresenta, a prescindere dalla sua estensione; una mesh
più fitta consente una descrizione più dettagliata della cinematica, oltre alla possibilità di cogliere con
maggiore accuratezza il meccanismo di collasso.
Data una generica parete muraria, a partire dalla sua specifica geometria è possibile individuare un
numero di pannelli murari minimo che la compongono. Si può tuttavia decidere di schematizzare ognuno
di essi mediante un singolo macroelemento oppure suddividerli, tutti o solo alcuni, in più macroelementi.
Nella figura sottostante tale procedura viene illustrata attraverso un semplice esempio.
L’irregolarità geometrica e di disposizione delle aperture può costituire senz’altro un esempio in cui il
ricorso a una mesh più fitta rispetto a quella di base può essere auspicabile non tanto ai fini della
valutazione della curva di capacità della struttura, quanto invece al fine di una più corretta valutazione del
meccanismo di collasso.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 3 - ELEMENTI
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(a)
(b)
Figura 9. Modellazione di un prototipo di parete mediante due differenti mesh: (a) discretizzazione della parete; (b)
meccanismi di collasso ottenuti
Di seguito si mostra come il macro-elemento sia in grado di simulare i meccanismi di collasso nel piano
della muratura.
Il collasso di un elemento murario caricato verticalmente e sollecitato nel proprio piano mediante azioni
orizzontali crescenti si manifesta secondo tre possibili meccanismi come rappresentato nella figura
sottostante. Il meccanismo indicato in figura a è di natura prevalentemente flessionale, in esso la rottura
è associata alla fessurazione in corrispondenza delle fibre tese e/o allo schiacciamento in corrispondenza
delle fibre compresse. Gli altri due meccanismi di collasso rappresentati nelle figure b e c, sono
meccanismi di rottura a taglio associati rispettivamente alla fessurazione diagonale e allo scorrimento.
un macromodello per ciascun pannello murario mesh di quattro macro elementi per ciascun
pannello murario
suddivisione della parete in pannelli murari
apertura "porta"
apertura
"finestra"apertura "porta"
apertura
"finestra"
apertura "porta"
apertura
"finestra"apertura "porta"
apertura
"finestra"
parete reale
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 3 - ELEMENTI
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Figura 10. Meccanismi di rottura nel piano di un pannello murario: (a) rottura per schiacciamento/ribaltamento; (b)
rottura a taglio per fessurazione diagonale; (c) rottura a taglio per scorrimento
Figura 11. Simulazione dei meccanismi di collasso nel piano di un pannello murario: (a) rottura per
schiacciamento/ribaltamento; (b) rottura a taglio per fessurazione diagonale; (c) rottura a taglio per scorrimento
Come già noto, il meccanismo di collasso flessionale nel piano può manifestarsi secondo due molteplici
modalità: da una parte la progressiva fessurazione che porta alla parzializzazione della sezione del
pannello e quindi alla rotazione intorno ad un estremo; dall’altra il possibile schiacciamento della
muratura in prossimità del bordo compresso. Il modello riproduce tale meccanismo mediante le molle di
interfaccia disposte ortogonalmente all’interfaccia stessa; per tali molle viene previsto un legame con
limitata resistenza a compressione e comportamento elasto-fragile a trazione. Lo schiacciamento della
muratura sarà quindi associato alla progressiva plasticizzazione a compressione delle molle, mentre la
fessurazione verrà associata alla rottura per trazione delle stesse. In questo modo si tiene conto
implicitamente della dipendenza dallo sforzo normale che tale meccanismo presenta.
(a) (b)
Figura 12. (a) quadro fessurativo a flessione; (b) collasso modello discreto
Il meccanismo di collasso a taglio per fessurazione diagonale rappresenta senz’altro il più importante e
diffuso meccanismo di collasso nel piano. Esso è caratterizzato da un quadro fessurativo costituito da
fessure diagonali nella porzione centrale del pannello che si determinano lungo le isostatiche di
qq qF F F
(a) (b) (c)
qq q
F
F F
(a) (b) (c)
F
(b)
F
q
F
q
(c)
q
fessurazione schiacciamento
F
fessurazione (b)
schiacciamento
della muratura (a)
F
Fmolla
molla
a
b
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compressione a causa della limitata resistenza a trazione. Il modello è capace di simulare tale
meccanismo mediante l’attribuzione di un legame costitutivo non-lineare alle molle diagonali.
(a) (b)
Figura 13. (a) quadro fessurativo per fessurazione diagonale; (b) modello discreto
Il meccanismo di collasso per scorrimento, in realtà non riveste molta importanza nelle applicazioni e
diviene possibile solo in presenza di bassi valori di sforzi normali o a seguito di elevate parzializzazioni
delle sezioni. Consiste in mutui scorrimenti tra due pannelli lungo la direzione dei giunti di malta,
orizzontali e verticali, con la progressiva formazione di macrofratture orientate. Viene simulato attraverso
le molle longitudinali delle interfacce, alle quali, come si vedrà in seguito, verranno associate domini di
scorrimento alla Mohr-Coulomb (cfr. 4.1.2.1).
(a) (b)
Figura 14. (a) quadro fessurativo a scorrimento; (b) modello discreto
Il modello consente di cogliere anche l’instaurarsi di eventuali meccanismi combinati.
Nella rappresentazione piana il pannello possiede i tre gradi di liberta associati ai moti rigidi piani a cui
occorre aggiungere il grado di libertà che lo rende articolato. Pertanto per descrivere la cinematica di n
pannelli occorre considerare 4n parametri lagrangiani. Come parametri lagrangiani atti a descrivere la
cinematica nel piano, sono stati considerati le quattro traslazioni di ciascuno dei lati rigidi lungo la propria
direzione, ai quali è possibile associare le relative forze duali nel piano.
F
q
Fq
schiacciamentopuntone compresso
fessurazione per
trazione
F
F
superficie di contatto
tra i pannelli
Attivazione di
scorrimenti plastici
F
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Figura 15. Gradi di libertà e forze duali nel piano
Dal punto di vista geometrico un pannello è caratterizzato unicamente dai suoi quattro vertici e dallo
spessore.
Le dimensioni caratteristiche del pannello saranno pertanto date dalla base b, dall’altezza h e dallo
spessore s. In particolare le prime due grandezze vengono determinate a partire dai vertici come:
h = dist (v4, v1)
b = dist (v1, v2)
Lo spessore s risulterà determinante, insieme alle altre caratteristiche geometriche, nelle procedure di
taratura delle molle non lineari del modello meccanico equivalente al pannello murario.
L’elemento pannello, dal punto di vista meccanico, viene caratterizzato tramite l’attribuzione di tre legami
costitutivi che regolano separatamente i tre principali comportamenti della muratura:
shear material: legame costitutivo a taglio, utilizzato per la taratura delle molle diagonali (cfr.
4.1.2);
bending material: legame costituivo flessionale, utilizzato per la taratura delle molle flessionali
delle interfacce contigue all’elemento (cfr. 4.1.1);
sliding material: legame costitutivo a scorrimento, utilizzato per la taratura della molla a
scorrimento delle interfacce contigue all’elemento (cfr. 4.1.3).
Inoltre il pannello è caratterizzato da un peso specifico (w) e da una massa totale che può derivare sia
dal peso proprio che da eventuali masse aggiuntive (m). Il peso specifico viene dedotto dal materiale.
A ciascun pannello murario viene associato un sistema di riferimento relativo, solidale con esso. L’origine
di tale sistema di riferimento viene fissata in corrispondenza del primo nodo, l’asse x è il versore
corrispondente alla direzione (v2,v1), l’asse y è il versore corrispondente alla direzione (v4,v1), l’asse z è
ortogonale ai primi due dotato di verso tale da rendere la terna sinistrorsa.
Per le procedure di taratura si rimanda al par 4.1.1 e successivi.
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- Pag. 19 -
3.1.2. ELEMENTO PANNELLO (COMPORTAMENTO TRIDIMENSIONALE)
Allo scopo di disporre di un unico strumento in grado di simulare la risposta globale di un edificio
mettendo in conto sia il comportamento nel piano che fuori-piano il macro-elemento, inizialmente
pensato per la simulazione del comportamento delle pareti nel proprio piano, è stato modificato con il
preciso scopo di potere cogliere anche eventuali meccanismi di primo modo. Tale modifica ha riguardato
sia l’aspetto cinematico che quello di descrizione meccanica dell’elemento. In particolare è stato
necessario aggiungere tre gradi di libertà ad ogni elemento di base e modificare le interfacce, che da uno
sviluppo monoassiale passano ad uno bidimensionale, in maniera tale da potere descrivere la risposta
fuori-piano delle pareti. Nel seguito vengono descritte le proprietà del macro-elemento spaziale e la
strategia di assemblaggio per la modellazione del comportamento tridimensionale di un edificio. Nella
modellazione tridimensionale occorre inoltre affrontare alcuni problemi specifici riguardanti le condizioni di
vincolo tra il macro-elemento spaziale e altri elementi che devono essere tali da non escludere a priori la
possibilità che l’elemento possa subire movimenti fuori-piano. In particolare verranno considerate nel
dettaglio le seguenti interazioni:
Interazione tra le pareti e gli impalcati (cfr. 2.2.1);
Interazioni tra le pareti in corrispondenza degli angoli (cfr. 3.5.1).
Il macro-elemento spaziale rappresenta la naturale evoluzione del macro-elemento piano descritto nei
paragrafi precedenti (cfr. 3.1.1) a cui è stata aggiunta una terza dimensione in direzione trasversale.
Per la modellazione del comportamento spaziale del macro-elemento, ai 6 gradi di libertà da corpo rigido
nello spazio occorre aggiungere il grado di libertà necessario a rendere l’elemento articolato nel piano
della muratura per descriverne la deformabilità a taglio. Pertanto la cinematica di ogni macro-elemento è
controllata da 7 gradi di libertà, mentre la generica interfaccia corrispondente a pannelli contigui è
descritta dai 12 gradi di libertà che consentono di descrivere i moti rigidi nello spazio dei corrispondenti
lati rigidi piani dei pannelli. Con riferimento al sistema locale definito nella figura sottostante, come
parametri lagrangiani oltre ai 4 spostamenti lungo i lati del pannello (rappresentativi del comportamento
nel piano della muratura) sono state considerate la traslazione fuori piano e le rotazioni intorno agli assi x
e y.
Figura 16. Numerazione dei vertici e definizione del sistema locale del pannello
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Figura 17. Gradi di libertà e forze duali fuori piano
È facile osservare che la modellazione proposta permette di schematizzare agevolmente anche casi in cui
si ha flessione deviata in campo non lineare e che il criterio adottato tiene conto della dipendenza del
momento resistente dallo sforzo normale.
Inoltre tale modellazione consente di cogliere i principali meccanismi di collasso di primo modo.
Figura 18. Meccanismo di ribaltamento fuori piano in flessione retta
Facendo riferimento a una parete isolata risulta evidente che l’interposizione di un letto di molle non
lineari disposte lungo tutto lo spessore della parete si presta in modo del tutto naturale a riprodurre due
meccanismi di ribaltamento tipici: collasso a mensola e collasso per formazione di una cerniera
intermedia, corrispondenti rispettivamente a pareti libere e vincolate in testa.
uz
y
x
F z
y
x
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Figura 19. Riproduzione dei principali cinematismi di primo modo di una parete verticale: (a) ribaltamento alla base di una
parete libera in testa; (b) ribaltamento mediante cerniera intermedia di una parete vincolata
Anche in questo caso, l’apertura delle fessure corrisponderà, nel modello discreto, alla rottura per
trazione delle molle; la progressiva riduzione di rigidezza della sezione determinerà in definitiva il
ribaltamento della parete. Tuttavia tali fenomeni fessurativi possono essere colti solo in corrispondenza
degli elementi di interfaccia. Appare quindi evidente che nello studio del comportamento fuori-piano, più
che nel piano, l’efficacia della modellazione risulta condizionata dalla mesh utilizzata per discretizzare la
parete. Questo accade poiché una maggiore discretizzazione della mesh consente di ampliare il dominio
di ammissibilità cinematica dei meccanismi di primo modo potenzialmente attivabili.
Figura 20. Suddivisione ideale della sezione trasversale degli elementi in molteplici file di molle e modellazione di un
pannello soggetto contemporaneamente ad azioni nel piano e fuori piano
q q
(a)
(b)
F F
t
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3.1.3. ELEMENTI RIGIDI
Si tratta di elementi rigidi piani di forma poligonale qualsiasi. In generale tale elemento dispone di 6 gradi
di libertà nello spazio, corrispondenti alle tre traslazioni e tre rotazioni lungo le direzioni del sistema di
riferimento locale, solidale con l’elemento.
L’elemento body può essere utilizzato sia per modellare elementi non deformabili a taglio appartenenti ad
una parete, sia per modellare elementi di collegamento tra diverse pareti, che possono rappresentare ad
esempio impalcati rigidi o diaframmi rigidi. Questo genere di elementi verrà trattato in un paragrafo
dedicato (cfr. 3.4). Gli elementi rigidi appartenenti ad una parete possono essere utilizzati efficacemente
per modellare porzioni della parete a geometria non regolare, quali archi, timpani, ecc..
Figura 21. Cinematica piana di un elemento rigido
La geometria dell’elemento è caratterizzato dalle coordinate dei vertici e dallo spessore (sp). Il
programma calcola automaticamente le coordinate del baricentro (G).
L’elemento body meccanicamente viene caratterizzato tramite l’attribuzione di due materiali:
bending material: legame costituivo flessionale (cfr. 4.1.1).
sliding material: legame costitutivo a scorrimento (cfr. 4.1.3).
Il sistema di riferimento locale ha origine nel baricentro dell’elemento, mentre le direzioni degli assi di
riferimento vengono fissate in maniera tale che il primo si sviluppa lungo la direzione individuata dai primi
due vertici dell’elemento e il secondo è ortogonale al primo e giacente nel piano dell’elemento; il terzo
infine è dato dal prodotto vettoriale dei primi due.
Per ogni elemento rigido non appartenente ad una parete è possibile bloccare uno o più gradi di libertà.
Nel caso più generale, di elemento rigido dotato di sei gradi di libertà, vengono definiti due vettori (di
dimensione tre) che indicano i gradi di libertà bloccati: in particolare il vettore tran si riferisce ai gradi di
libertà traslazionali, il vettore rot si riferisce ai gradi di libertà rotazionali. I codici di vincolo sono i
seguenti :
0 : grado di libertà libero
-1 : grado di libertà vincolato con vincolo perfetto
k>0 : grado di libertà vincolato elasticamente con rigidezza k
G
X
Y
Sistema assoluto
PuGX , FX
uGY , FY
G ,
m
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Nel caso in cui uno o più gradi di libertà dell’elemento non sono considerati nel modello, essi risulteranno
vincolati. Ad esempio, nel caso di un elemento di una parete, e comportamento del modello di tipo piano
della parete, i vettori di vincolo vengono impostati automaticamente dal programma in maniera da
bloccare i gradi di libertà relativi ad una cinematica fuori piano. Si avrà infatti:
0 1
0 1
1 0
tran rot
;
3.1.4. ELEMENTI INTERFACCE
Gli elementi interfaccia servono a schematizzare i possibili collegamenti tra i diversi elementi che
compongono il modello. Nella fase di input non possono essere né visualizzati, né modificati dall’utente,
essendo infatti elementi generati dal motore di calcolo; tuttavia la comprensione del funzionamento di
questo elemento risulta decisiva per l’interpretazione dei risultati, e per lo sfruttamento del software al
massimo delle sue potenzialità.
L’elemento interfaccia deve simulare il comportamento degli elementi che afferiscono a ciascuna di essa e
l’interazione reciproca tra gli stessi concentrando le caratteristiche di deformabilità e resistenza flessionali
e a scorrimento degli elementi.
Le interfacce, dal punto di vista del loro comportamento, possono essere bi- o tri-dimensionali, a seconda
che si stia considerando il comportamento delle pareti nel proprio piano, o anche fuori dal proprio piano.
In questi due casi il modello meccanico a loro attribuito sarà semplice (comportamento piano), o
necessiterà di un arricchimento di gradi di libertà (comportamento tridimensionale).
È stato necessario definire diverse tipologie di interfacce. Il principio meccanico e il funzionamento è
analogo per tutte le tipologie, la differenza consiste principalmente nel numero e nella scelta dei gradi di
libertà necessari a seconda della tipologia di elementi che l’interfaccia deve collegare. Dal punto di vista
dell’interazione tra gli elementi si possono pertanto distinguere le seguenti tipologie di interfacce:
interfacce tra due elementi di una parete;
interfacce tra un elemento di una parete e un elemento di collegamento tra le pareti
(orizzontamenti o elementi d’angolo);
interfaccia tra un elemento e un supporto esterno;
interfaccia tra un elemento e un cordolo.
Ogni interfaccia si riferisce ad un piano ben preciso e deve concentrare in sé le caratteristiche di
resistenza e deformabilità degli elementi o del collegamento come sarà meglio descritto nei successivi
paragrafi.
Per ogni interfaccia è conveniente individuare due punti estremi (o nodi), che verranno indicati con i e j.
Nel caso di un’interfaccia che connette due elementi, a ognuno dei nodi corrispondono in realtà due nodi
distinti del modello, ciascuno appartenente a uno dei due elementi collegati dall’interfaccia. Tali nodi, pur
avendo nella configurazione iniziale le medesime coordinate, sono fisicamente distinti e subiranno
spostamenti differenti. I quattro nodi (due per ogni elemento connesso), che corrispondono ai due
estremi i e j dell’interfaccia, vengono denominati vertici dell’interfaccia. Ognuna delle due linee che
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congiungono i vertici che appartengono ad uno stesso elemento (o al vincolo) rappresenta
convenzionalmente un lato dell’interfaccia.
Figura 22. Interfaccia tra due elementi.
Nelle figure di seguito riportate, solo per comodità di rappresentazione, le interfacce sono state
rappresentate con uno spessore finito in quanto nella formulazione matematica è considerata priva di
spessore.
A ciascuna interfaccia viene associato un sistema di riferimento locale che ha origine nell’estremo i, asse
diretto verso l’estremo j, asse ruotato di 90° in senso antiorario rispetto a e giacente nel piano
dell’interfaccia, e l'asseortogonale ai primi due e diretto in modo da costituire una terna sinistrorsa.
Il comportamento meccanico dell’interfaccia è governato dalla presenza di molle non lineari.
3.1.4.1. INTERFACCE BIDIMENSIONALI
Nel seguito viene riportata una descrizione della cinematica e del comportamento meccanico delle
interfacce nel piano.
Le molle flessionali sono disposte ad interasse costante ed in modo simmetrico rispetto all’asse di
mezzeria dell’interfaccia; le molle di estremità risultano arretrate rispetto alle estremità dell’interfaccia di
metà interasse.
Interfaccia
spessore
nullo
stessa posizione nella
configurazione indeformatavertice a
vertice c
vertice d
nodo i
nodo j
Elemento 1stessa posizione nella
configurazione indeformata
Elemento 2
vertice b
vertice a
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Figura 23. Interfaccia tra due pannelli: (a) sistema di riferimento locale e individuazione dei nodi e dei pannelli; (b) molle
longitudinali e molla trasversale.
Il comportamento della molla a scorrimento è legato alle molle flessionali: essa viene considerata attiva
solo se nell’interfaccia sono presenti molle ortogonali in compressione, mentre il limite corrente di
resistenza dipende dal numero di molle ortogonali attive ovvero dall’estensione della zona di contatto tra i
due elementi e dallo sforzo di compressione corrente.
La cinematica nel piano dell’interfaccia è descritta in modo completo da sei gradi di libertà associati ai
gradi di libertà dei lati dei pannelli interconnessi. In particolare vengono considerati gli spostamenti dei
quattro vertici dell’interfaccia nella direzione ortogonale al primo asse dell’interfaccia stessa, e gli
scorrimenti delle facce, superiore e inferiore. È evidente tuttavia che, se l’interfaccia risulta collegata ad
un vincolo fisso tre gradi di libertà saranno sufficienti per definirne la cinematica.
Tutti i parametri lagrangiani si considerano positivi se concordi con gli assi del sistema di riferimento
locale dell’interfaccia, come riportato nella figura seguente nella quale viene riportata un’interfaccia
pannello-pannello.
Figura 24. Gradi di libertà nel piano dell’interfaccia inserita tra due elementi
I gradi di libertà delle interfacce non impegnano gradi di libertà indipendenti per il modello poiché
condividono i gradi di libertà degli elementi che connettono.
Interfaccia
vertice a vertice c
vertice d
nodo jnodo i
nodo jnodo i
nodo j
/2
. . .
molla longitudinale
molle ortogonali
kn
kn/2+1
kn-1
kn/2
vertice a
nodoi
kh
kn-2 . . . k1k2k3
ui,sup uj,sup
ui,inf uj,inf
usc,sup
usc,sup
nodo i nodo j
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Figura 25. Afferenza tra i gradi di libertà di un’interfaccia e quelli degli elementi che connette
3.1.4.2. INTERFACCE TRIDIMENSIONALI
L’interfaccia tridimensionale è rappresentata da un modello meccanico equivalente costituito da due piani
rigidi (inizialmente paralleli) coincidenti con le facce a contatto dei due pannelli. Tali superfici vengono
discretizzate sia nella direzione longitudinale che nella direzione trasversale e pertanto, a differenza del
caso piano, l’interfaccia risulta meccanicamente rappresentata da più file di molle non lineari ortogonali,
in analogia ai modelli a fibre utilizzati nel più generale contesto delle modellazioni agli elementi finiti non
lineari. In particolare indicando con n e nf il numero di campi in cui viene suddivisa la sezione trasversale
dell’interfaccia, rispettivamente in senso longitudinale e in senso trasversale, si avranno nf file di molle,
ciascuna composta da n molle.
Figura 26. Modello discreto tridimensionale con diverse file parallele di molle
Ogni molla è rappresentativa di una fibra di muratura, avente area della sezione trasversale pari a quella
del rettangolo unitario della griglia individuata dalla suddivisione in campi.
Le molle appartenenti alle diverse file presentano le medesime caratteristiche meccaniche, e ogni fila
risulta semplicemente traslata rispetto alle altre ortogonalmente al piano contenente gli elementi. Il
gradi di libertà del
pannello inferiore
gradi di libertà del
pannello superiore
nodi coincidenti
{spessore
nullo
Interfaccia in configurazione
deformata
Interfaccia in configurazione
iniziale
t
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- Pag. 27 -
numero di file di molle, e il numero di molle contenute in ciascuna fila devono essere scelti in modo da
ottenere un dettaglio nella risposta sufficientemente accurato. È chiaro che per poter coglier il
comportamento flessionale fuori-piano è necessario prevedere almeno due file di molle.
Figura 27. Esempio di disposizione delle file di molle per modellare il comportamento fuori piano
Le file vengono disposte ad un interasse costante (t) che viene determinato secondo il procedimento di
taratura, esposto più avanti e basato su un’equivalenza flessionale tra la parete muraria e lo schema
discreto equivalente. Seguendo tale procedimento le file di estremità risulteranno rientrate rispetto
all’effettivo spessore della muratura.
Ciascuna interfaccia è inoltre dotata di due molle destinate al controllo dei meccanismi di scorrimento
fuori piano. Esse sono contenute nel piano dell’interfaccia e dirette trasversalmente rispetto allo spessore
alla muratura. Tali molle controllano i meccanismi di scorrimento di scorrimento fuori-piano e sono state
poste ad una distanza determinata, come si vedrà meglio nella descrizione delle procedure di taratura
(cfr. 4), stabilendo un’equivalenza torsionale col modello continuo, e valutando il dominio di resistenza di
ciascuna molla considerando un meccanismo di tipo attritivo con una superficie di influenza di ciascuna di
esse pari a metà dell’area dell’interfaccia.
spessoremuratura
pia
no
in
terf
acci
a
t t t t
pia
no
in
terf
acci
a
t t t
fila
1
fila
2
fila
3
fila
4
fila
5
fila
2
fila
1
fila
3
fila
4
spessoremuratura
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Figura 28. Posizionamento delle molle a scorrimento e relative aree di influenza.
È evidente che l’inserimento di due molle a scorrimento fuori-piano consente anche la simulazione della
deformazione torsionale attorno all’asse ortogonale all’interfaccia.
(a) (b)
Figura 29. Modelli meccanici equivalenti e parametri lagrangiani delle interfacce tridimensionali; (a)comportamento
flessionale; (b) comportamento a scorrimento
In figura sono rappresentati degli schemi meccanici relativi al comportamento tridimensionale delle
interfacce, separando per comodità il comportamento flessionale da quello a scorrimento. Nella stessa
figura sono riportati i gradi di libertà considerati nella rappresentazione numerica, che risultano
direttamente dipendenti dai gradi di libertà dei pannelli che l’interfaccia connette.
3.1.4.3. INTERFACCE DI TIPO STANDARD (CONNESSIONE TRA DUE
ELEMENTI DI UNA STESSA PARETE)
Si tratta di un elemento a sei gradi di libertà atto a modellare il collegamento tra due pannelli murari
contigui o tra un pannello e un supporto esterno.
I gradi di libertà vengono scelti come riportato sotto; in particolare il caso a rappresenta un’interfaccia tra
due elementi contigui, il caso b rappresenta un’interfaccia tra un elemento e un supporto esterno. Se il
supporto esterno risulta vincolato uno o più gradi di libertà afferenti ad esso risulteranno bloccati o
cedevoli elasticamente.
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Figura 30. Cinematica degli elementi di interfaccia
L’interfaccia contiene l’informazione dei due elementi che collega, e pertanto potrà accedere a tutti i dati
necessari per la calibrazione delle sue molle.
L’interfaccia è costituita da un letto discreto di molle flessionali e da una molla a scorrimento. Sia le molle
flessionali che a scorrimento sono di natura non lineare.
. . . kn/2kn-1 kn/2+1kn
. . . kn kn-1 kn/2+1 kn/2
Molle trasversali
Molle longitudinali
Pannello 1
Pannello 2
nodo i nodo j
Figura 31. Convenzioni sugli elementi di interfaccia
Come sarà descritto meglio nel seguito, le caratteristiche meccaniche di tali molle dipendono dalle
caratteristiche di entrambi i pannelli.
ji
u2
u3
u1
u6u4
u5
u1
u4
iu5
u6 u3
j
u2
(a)
(b)
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Figura 32. Schema meccanico dell’interfaccia di tipo standard
Dal punto di vista geometrico l’interfaccia è caratterizzata dalla sua lunghezza, dalla direzione e dallo
spessore (nel senso della profondità). Tutte queste caratteristiche vengono determinate sulla base degli
elementi che afferiscono all’interfaccia.
In particolare, la lunghezza e la direzione dell’interfaccia sono quelle comuni dei due lati degli elementi a
contatto. Lo spessore sarà il minimo tra i due elementi nel caso di interfaccia inserita tra due elementi, e
pari allo spessore dell’unico elemento nel caso di interfaccia vincolata esternamente.
3.1.4.4. INTERFACCE SLIDINTERACTION (INTERAZIONE CON GLI
ORIZZONTAMENTI)
Oltre alle tipologie di interfaccia appena descritte, possono essere gestite delle interfacce più complesse,
le quali hanno gradi di libertà aggiuntivi per tenere conto dell’interazione tra essa ed eventuali cordoli
(cfr. 3.3.2) o orizzontamenti (cfr. 3.4). Si consideri in particolare l’interfaccia di tipo SlidInteraction.
Questa tipologia di interfaccia, rispetto a quella standard, possiede un ulteriore grado di libertà a
scorrimento che serve a collegare l’interfaccia con un altro elemento che interagisce a scorrimento con gli
elementi collegati dall’interfaccia.
Il comportamento flessionale risulta inalterato rispetto alle interfacce standard, mentre la molla a
scorrimento viene sdoppiata mantenendo separati i contributi di ciascun elemento. Ciascuna delle due
molle a scorrimento collega un grado di libertà esterno u5-u6 con il grado di libertà interno u7.
nodo i
nodo jk1 k2 kn
u5
u4u6
u1
u3
u2
i ju7
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Figura 33. Schema meccanico dell’elemento di interfaccia: comportamento flessionale
Tale interfaccia serve a potere considerare l’interazione a scorrimento tra l’interfaccia e un diaframma,
rigido o deformabile, di collegamento posto in un piano differente da quello della parete.
Nel caso di interfaccia tridimensionale, rispetto alle interfacce standard, verranno introdotti dei nodi
aggiuntivi a scorrimento nel piano (come per le interfacce piane) e fuori-piano.
Tali nodi servono a modellare lo scorrimento degli elementi inseriti nella muratura quali diaframmi, travi
etc. Ogni molla a scorrimento verrà sdoppiata in due molle distinte, ciascuna delle quali simula il
comportamento a scorrimento di un solo pannello. In definitiva l’interfaccia sarà costituita da due molle a
scorrimento nel piano e quattro fuori-piano come mostrato nelle figure sottostanti.
Figura 34. Molle a scorrimento; (a) nel piano, (b) fuori piano
Figura 35. Schema tridimensionale dell’interfaccia SlidInteraction con indicati i gradi di libertà
Sia nel caso in cui l’orizzontamento sia rigido che nel caso in cui sia deformabile, in aggiunta a quanto
previsto nel caso di interfaccia piana, occorre simulare il meccanismo di scorrimento fuori piano tra il
diaframma e i pannelli. Dal punto di vista della modellazione ciò viene reso possibile dall’introduzione di
nodo i
kn
k1 k2 nodo j
ks1
ks2
nodo i nodo j
ks,2
ks,1
ks,2
ks,1
u3
wj1
nodo i
wj1
usc,sup
wjm
nodo j
usc,inf
wj2
wi2
wim
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un’interfaccia SlidInteraction come schematizzato nelle figure successive, relativamente a diaframmi rigidi
(cfr. 3.4.2) e deformabili (cfr. 3.4.3).
Figura 36. Interazione a scorrimento fuori piano tra un diaframma e due pannelli di una parete; (a) diaframma rigido, (b)
diaframma elastico
3.1.4.5. INTERFACCE FLESSINTERACTION (INTERAZIONE CON ASTE)
La seconda tipologia di interazione che può essere gestita dalla singola interfaccia è quella di tipo
FlessInteraction.
Tale interfaccia serve a potere tenere conto di una possibile interazione sia flessionale che a scorrimento.
In particolare essa consente di fare interagire due macro-elementi con un elemento asta deformabile sia
assialmente che flessionalmente.
L’asta è posta tra le due serie di molle relative a ciascuno dei due pannelli. Ciascuna coppia di molle, a
causa dell’interposizione dell’asta non potrà essere pertanto condensata in un’unica molla.
Tale interfaccia, oltre ai gradi di libertà delle interfacce standard, hanno tutti i gradi di libertà interni ed
esterni che servono a imporre la congruenza con l’asta interagente. Nella figura seguente vengono
mostrati i versi positivi dei gradi di libertà separando quelli esterni da quelli interni.
um = f (u312)
diaframma
3
u2 u1
um
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Figura 37. Gradi di libertà interni di una interfaccia FlessInteraction
Il vettore (U) dei gradi di libertà è :
nnjjiifless
mjiass
vvvvvU
uuuU
,,.......,,,,,,,,
,,
2211
Lo schema meccanico di tale interfaccia può efficacemente essere visto separando il contributo flessionale
dell’interfaccia, il contributo a scorrimento dell’interfaccia e il contributo assiale e flessionale dell’asta.
Figura 38. Schema meccanico di una interfaccia FlessInteraction
Anche la matrice di rigidezza si trova sommando il contributo dell’asta e il contributo delle molle
dell’interfaccia.
Non appena si dispone della matrice globale, i gradi di libertà interni possono essere condensati, in modo
da limitare i gradi di libertà di questa interfaccia ad un numero indipendente dal passo interno con cui
vengono disposte le molle.
Nel caso di interfaccia tridimensionale, l’interazione flessionale risulta leggermente più complessa,
mantenendo tuttavia il medesimo modello di comportamento.
u5
u4u6
u1
u3
u2
jivj
ujui
vij
um
pnp2p1
n
vnv2
21
v1
ji
nodo j
nodo iks1
ks2nodo j
nodo ik1
k1
(1)
(2)(2)
k2
k2
(1)
(2)
kn
kn
(1)
nodo i nodo j
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- Pag. 34 -
L’introduzione dei nodi intermedi distribuiti lungo tutta l’interfaccia, consentirà un’interazione flessionale
tra l’asta e la muratura lungo tutto il pannello murario e non limitatamente a punti isolati.
(a) (b)
Figura 39. Schema statico dell’interfaccia FlessInteraction; (a)comportamento nel piano; (b)comportamento fuori piano.
Il campo di spostamenti nella direzione dell’asse dei nodi intermedi è costituito da n traslazioni
indipendenti, associati ai nodi della fila centrale, e da un unico parametro di rotazione attorno a . Gli
spostamenti dei nodi delle file eccentriche non sono indipendenti ma conseguenti a un moto rigido, nel
piano , che lega tra loro tutti i nodi appartenenti a una stessa fila trasversale.
Figura 40. Gradi di libertà flessionali esterni di un’interfaccia FlessInteraction
I gradi di libertà associati ai nodi interni non costituiranno gradi di libertà globali del modello poiché
possono essere condensati. Occorre tuttavia considerare un ulteriore grado di libertà che descrive la
rotazione del moto rigido trasversale che vincola il campo degli spostamenti nel piano
È inoltre possibile considerare interfacce in cui coesistano le interazioni di tipo SlidInteraction con quella
di tipo FlessInteraction; tale tipologia di interfacce può essere applicata sia ad interfacce a
comportamento piano, che a quelle a comportamento tridimensionale.
(2)
kn
(1)
kn-1
(2)
kn-1
(1)
k2
(2)
k2
(1)
k1
(2)
k1
nodo i
(1)
kn
nodo j
t
(2)
kn
(1)
kn-1
(2)
kn-1
(1)
k2
(2)
k2
(1)
k1
(2)
k1
nodo i
(1)
kn
nodo j
t
j
ui,inf
uj,inf
uj,sup
uj,sup
inf
sup
m
nodo i v1 vn-1 vn
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3.1.4.1. INTERFACCE FLESSINTERACTION E SLIDINTERACTION
(INTERAZIONE TRA PANNELLI MURARI E ASTE E
ORIZZONTAMENTI)
Nel caso di contemporanea presenza di un elemento asta e di un orizzontamento, entrambi interagenti
con la muratura, l’interfaccia sarà contemporaneamente di tipo FlessInteraction e e SlidInteraction per
modellare l’interazione a flessione tra la muratura e l’asta e, al contempo, l’interazione a scorrimento tra
la muratura, diaframma e i gradi di libertà assiali dell’asta; la figura che segue mostra schematicamente il
caso di un’asta interagente con la muratura e un diaframma.
Figura 41. Interazione flessionale di una parete con un diaframma: inserimento di cordoli
Come per tutti gli altri tipi di interazione, anche questa è prevista sia per interfacce a comportamento
piano sia per quelle con comportamento tridimensionale.
3.1.4.2. INTERFACCE VINCOLATE
Nel caso di un’interfaccia che connette un elemento con un supporto esterno, i vertici dell’interfaccia sono
i due vertici dell’elemento a contatto con l’interfaccia stessa.
Il supporto esterno può essere schematizzato mediante un singolo nodo dotato, nel piano, di tre gradi di
libertà (nel caso di comportamento piano), due traslazioni e una rotazione, che possono essere vincolati
in modo assoluto o elasticamente in modo potere prevedere, sia pur in modo approssimato,
un’interazione terreno-struttura (cfr. 3.7).
uj,vj,j
nodo i ui,vi,i
nodo k uk,vk,k
cinematica frame
cinematica pannelli
interfaccia
flessInteraction
diaframma
3
u2 u1
nodo j
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- Pag. 36 -
Figura 42. Interfaccia tra un elemento e un vincolo.
In corrispondenza di interfacce che collegano un pannello ad un supporto esterno, nel caso in cui
vengano previsti vincoli elastici, i gradi di libertà locali dell’interfaccia relativi al lato a contatto con il
vincolo sono associati ai gradi di libertà del supporto elastico e a quelli del lato rigido del pannello
contiguo.
Figura 43. Afferenza tra i gradi di libertà locali e globali in presenza di un supporto esterno.
In alternativa l'interazione tra i pannelli murari e il suolo può essere modellata mediante l'introduzione di
aste elastoplastiche. In questo caso verrà introdotta una interfaccia di tipo FlessInteraction (cfr. 3.7.1).
Dal punto di vista cinematico i gradi di liberà corrispondenti al terreno verranno vincolati in modo
assoluto. I due strati di molle dell'interfaccia verranno tarati in modo distinto: le molle dello strato
superiore (quello a contatto col resto della struttura) verranno tarate coerentemente alle caratteristiche
della muratura, mentre le molle dello strato inferiore (quelle che devono simulare il contatto col terreno di
fondazione) verranno tarate in funzione delle caratteristiche del terreno.
3.2. SETTI IN C.A.
I setti in calcestruzzo armato vengono modellati attraverso elementi analoghi a quelli utilizzati per i
pannelli murari, almeno dal punto di vista dello schema meccanico. L’elemento è costituito da un
quadrilatero articolato, con due molle diagonali poste al suo interno. Tali molle regolano il meccanismo di
Interfaccia
spessore
nullo
vertice a
vertice c
vertice d
nodo i
nodo j
Elemento 1
vertice b
vertice a
gradi di libertà
dell'elemento collegto
gradi di libertà indipendenti
relativi al supporto elastico
k y
xk
kr
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- Pag. 37 -
rottura a taglio per fessurazione diagonale, mentre l’interazione con altri elementi (siano essi altri setti in
c.a., cordoli, diaframmi, pannelli murari) avviene mediante interfacce analoghe a quelle già descritte.
Rispetto ai pannelli murari, le procedure di taratura variano sensibilmente, per tener conto del diverso
comportamento meccanico che tali elementi strutturali presentano (cfr. 4.2.1).
Risulta particolarmente utile, ai fini dell’impiego di analisi non lineari, il fatto che tali elementi assumano
comportamento non lineare, così da rendere possibile senza limitazioni l’impiego di tali elementi per
analisi non lineari.
Il modello meccanico utilizzato consente inoltre di valutare in maniera efficace l’interazione con altri
elementi, in particolare con aste in c.a., in modo da ammettere un’efficace valutazione dell’effetto di
confinamento di telai.
3.3. ASTE
I cordoli e gli architravi vengono modellati attraverso elementi finiti non lineari di tipo beam a plasticità
concentrata; la presenza di eventuali tiranti viene invece modellata mediante elementi reagenti solo allo
sforzo assiale di trazione e non reagenti a compressione di tipo truss. L’influenza di tali elementi ha un
ruolo significativo, soprattutto nella valutazione della vulnerabilità degli edifici esistenti, tuttavia il suo
effetto risulta decisivo solo nel caso in cui il comportamento della struttura non possa essere considerato
scatolare.
Le aste possono essere distinte secondo due criteri: sulla base dei gradi di libertà che possono essere
attribuiti all’asta, e in base al tipo di interazione con altri elementi.
Dal punto di vista del comportamento un elemento asta può essere:
- 1D: Elemento asta che esplica solo il comportamento assiale (tiranti o catene);
- 2D: Elemento asta che esplica il comportamento assiale e quello flessionale nel solo piano 1-2 locale
dell’elemento (cordolo, architrave);
- 3D: Elemento asta che esplica il comportamento assiale e quello flessionale in entrambi i piani principali
(pilastri).
Dal punto di vista dell’interazione con gli altri elementi, un’asta può essere:
- MasonryInteraction, se l’asta interagisce sia flessionalmente che assialmente, con gli elementi contigui
quali pannelli murari o diaframmi. Tali elementi sono adatti a simulare cordoli di interpiano o architravi.
- FreeInteract, se si considera un’asta libera, interagente con il resto della struttura solo tramite i nodi di
estremità. Tali elementi sono adatti a modellare elementi di telai accoppiati alla muratura ma esterni ad
essa o tiranti.
- Asta con attach se l’asta è libera, e l’interazione con il resto della struttura avviene solo tramite i nodi di
estremità in maniera tale da forzare la condivisione di gradi di libertà tra l’asta e un altro elemento cui il
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- Pag. 38 -
nodo viene considerato attaccato. Tali elementi sono adatti a modellare travi libere ammorsate a pareti
ad essa ortogonali.
Sono possibili ulteriori distinzioni nel comportamento delle aste, a seconda del comportamento non
lineare che ad esse viene attribuito. Tuttavia dettagli su questa classificazione verranno forniti in un
paragrafo dedicato (cfr.3.3.3).
Un elemento asta viene individuato dai due vertici di estremità denominati i e j, che ne determinano la
configurazione geometrica. Ad esso viene associato un sistema di riferimento locale con origine in i, asse
1 diretto da i a j, asse 2 ruotato in senso antiorario di un angolo retto rispetto a 1 e appartenente a un
piano principale della sezione, asse 3 ottenuto dal prodotto vettoriale dei primi due.
Il comportamento meccanico delle aste viene caratterizzato a partire dalle caratteristiche dei materiali
componenti le sezioni. Il software genera automaticamente il dominio di ammissibilità delle sollecitazioni
per una certa sezione. Tale calcolo può essere effettuato considerando:
cerniere assiali, considerando il legame sforzo normale-allungamento specifico (N-);
cerniere flessionali, considerando il diagramma momento-curvatura (M-);
cerniere che tengano conto dell’interazione tra sollecitazioni flettenti e assiale, considerando un
vero e proprio dominio di interazione NMM.
Tali differenti comportamenti meccanici vengono determinati (ed eventualmente bilinearizzati) in
automatico dal programma a partire dalla geometria della sezione, dai parametri meccanici dei materiali e
dall’armatura disposta (nel caso di sezioni in c.a.). Per ulteriori dettagli sulle modalità di calcolo dei domini
di ammissibilità delle sollecitazioni si rimanda al par. 4.4.
Figura 44. Schema comportamento flessionale e assiale dell’asta
Dal punto di vista flessionale, per cogliere le progressive plasticizzazioni delle aste e per consentire, nel
caso di aste interagenti, l’interazione con la muratura, viene prevista la possibilità di suddividere l’asta in
2
nodo i nodo j
3
p1 pn_div1
l2l1 ln_div
L
....
....
2
nodo i nodo j
3
1
L
L/2 L/2
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- Pag. 39 -
un numero arbitrario di sottoelementi mediante l’introduzione di nodi intermedi. Anche le proprietà non
lineari dell’asta (cerniere plastiche) saranno determinate coerentemente con la suddivisione in segmenti
dell’asta.
Si indichi con ndiv il numero di sotto-elementi individuati da ndiv+1 nodi. Con pi si indichi l’i-esimo nodo
interno, con li l’i-esimo sotto-elemento tra i nodi interni pi e pi+1.
Dal punto di vista assiale l’asta si comporta come un elemento non suddiviso in segmenti, caratterizzato
quindi dai soli gradi di libertà assiali esterni. Solo nel caso di interazione con la muratura vi è la necessità
di introdurre un grado di libertà assiale intermedio, dividendo così l’asta in due sotto-elementi.
L’aspetto più importante legato all’introduzione degli elementi asta non è tanto il comportamento proprio
degli elementi quanto, invece, la modellazione dell’interazione tra questi e gli elementi murari.
In accordo con la classificazione fatta in precedenza, si hanno aste libere e aste interagenti. Le aste
libere, interagiscono con la muratura solo in corrispondenza dei nodi di estremità. Possono simulare
elementi in calcestruzzo esterni alla muratura connessi con essa solo in modo puntuale oppure elementi
quali tiranti o catene, che vengono ancorati in corrispondenza degli angoli di un edificio o in
corrispondenza delle zone della parete in muratura interessate dalla presenza dei capi-chiave.
( a) (b)
Figura 45. Esempi di aste non completamente inglobati nella muratura ma interagenti con essa: (a) inserimento di tiranti;
(b) telai in c.a. collaboranti con la struttura muraria
Come si evince dalla figura, le aste possono appartenere al piano della parete (in questo caso dal punto
di vista della modellazione saranno classificati come aste della parete) oppure essere elementi esterni di
collegamento tra le pareti.
Il collegamento tra aste e pannelli avviene attraverso le molle non lineari degli elementi di interfaccia. Per
le aste orientate nel piano della muratura il grado di ammorsamento dell’elemento dipende dalla
lunghezza di contatto dell’asta con l’elemento murario con cui interagisce (condizioni geometriche) e dalle
proprietà dei materiali degli elementi in contatto (condizioni meccaniche).
Un elemento asta può essere vincolato ai pannelli murari in corrispondenza dei vertici sia in modo
assoluto che elasticamente. Si noti che i vincoli interni vengono considerati effettivi solo nei confronti
delle traslazioni relative, mentre non sono efficaci rispetto alle rotazioni relative.
Per vincolare un’asta ad un pannello è necessario che il vertice dell’asta giaccia su uno dei lati del
pannello o coincida con uno dei suoi vertici (attach).
Tiranti
inserimento di tiranti inserimento di un telaio in c.a.
frame libero
frame
interagente
frame libero
Ancoraggio
frame nel piano della
muratura
frame orto
gonale
alla m
uratura
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- Pag. 40 -
Oltre alla possibilità di vincolare un estremo di un’asta in maniera assoluta, esiste anche quella di
interporre delle molle non lineari tra l’asta e il pannello nella direzione del grado di libertà da vincolare.
Tale configurazione può risultare molto utile per simulare fenomeni di sfilamento o di distacco dell’asta in
corrispondenza del punto di contatto, e può consentire la modellazione, ad esempio, di architravi; tali
elementi, infatti, sono spesso dotati di esigue lunghezze di ancoraggio per cui il contributo dell’asta viene
limitato fortemente dal collasso del vincolo.
Figura 46. Esempio di modellazione degli elementi architrave
Si consideri adesso il caso di un elemento strutturale inserito tra due pannelli murari e interagente con
essi. In questo caso si possono apprezzare l’interazione a flessione tra asta e muratura, e l’interazione tra
il comportamento a scorrimento della muratura e quello assiale dell’asta.
Figura 47. Interazioni possibili tra un’asta inserita nella muratura e i pannelli
L’asta deve essere suddivisa in sotto-elementi, e tale suddivisione deve necessariamente essere coerente
con la distribuzione delle molle di interfaccia.
u1
u1
u2
u2
u1
u2
u3
kv
ko
u4
interazione
e1- cordolo
interazione
e2- cordolo
e2
e1
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- Pag. 41 -
Figura 48. Modellazione di un’asta inserita all’interno della muratura
Meccanicamente l’asta viene caratterizzata tramite l’assegnazione della sezione che contiene le seguenti
informazioni:
- comportamento meccanico: comportamento della sezione dell’asta, che può essere elastico, non
lineare a flessione, o non lineare che tiene conto dell’interazione tra le sollecitazioni (cerniera PMM);
- comportamento geometrico: comportamento dell’asta, che può essere monoassiale,
bidimensionale o tridimensionale;
- EA : rigidezza elastica assiale
- EI: rigidezza flessionale elastica nei due assi principali della sezione
- Dominio PMM: nel caso di comportamento che tiene conto dell’interazione tra
sollecitazione assiale e momenti flettenti nelle due direzioni, vengono calcolati i coefficienti necessari per
calcolare il dominio di interazione della sezione; tale dominio può eventualmente essere eventualmente
semplificato fino ad annullare tale interazione.
- w : peso e massa per unità di lunghezza.
Di seguito vengono riportati versi positivi dei gradi di libertà e i vettori che li contengono nei casi di aste
1D, 2D, 3D.
Saranno indicati con Ufless e Uass rispettivamente i vettori relativi ai gradi di libertà flessionali e locali.
La cinematica flessionale degli elementi è caratterizzata da gradi di libertà esterni (4 nel caso piano e 8
nel caso tridimensionale) rappresentati dagli spostamenti e rotazioni dei vertici dell’asta, e da gradi di
libertà interni rappresentati dagli spostamenti e rotazioni dei vertici dei sottoelementi.
pannello superiore
pannello inferiore
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- Pag. 42 -
Figura 49. Cinematica a flessione delle aste
Il comportamento assiale è invece governato unicamente dai due spostamenti assiali dei vertici delle aste
e da uno spostamento interno (um) che serve per garantire l’interazione a scorrimento con i pannelli
murari eventualmente contigui.
Figura 50. Cinematica assiale delle aste
Nel caso delle aste con interazione PMM, descritte nel seguito, la cinematica assiale viene arricchita
aggiungendo gli spostamenti assiali di tutti i sottoelementi allo scopo di consentire l’accoppiamento del
comportamento flessionale.
Figura 51. Cinematica assiale nel caso di interazione MMN
Tra i gradi di libertà flessionali, i primi 4 (vi,i, vj,j) nel caso di asta piana e i primi 8 (vi, wi, i,i, vj, wj,
j,j) nel caso di asta tridimensionale, corrispondono ai gradi di libertà degli estremi mentre i restanti
gradi di libertà sono interni. Dal punto di vista assiale l’unico grado di libertà interno è um (che va inserito
solo se l’asta interagisce con la muratura).
nodo j
vj
j
nodo i
v1
1 2
v2 vn
n
p1 p2 pn
pnp2p1
vnv2v1 vj
nodo j
i
vi
vi
i
i 1 2 n j
1 2 n j
u1ui u2 un uj
2D
3D
3
21
ui
nodo i
uj
nodo jum
nodo j
uj
nodo i
ui
u1 um.... un-1....
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- Pag. 43 -
Indicando con Unodi il vettore dei gradi di libertà esterni dell’asta e con U1-2 e U1-3 i vettori dei gradi di
libertà interni rispettivamente nel piano 1-2 e 1-3 il vettore U complessivo dei gradi di libertà risulta:
][ 3121 ffnodi UUUU
con:
, , , , , , ,nodi i i j j i i j jU v v w w
1 2
int 1 1 2 2
1 3
int 1 1 2 2
, , , ,......, ,
, , , ,......., ,
n n
n n
U v v v
U w w w
dove n rappresenta il numero di suddivisioni dell’asta.
I nodi interni, non essendo in generale necessari per agganciare altri elementi ed essendo associati a
forze esterne nulle vengono condensati. Essi servono quando l’asta risulta interagente con la muratura in
un’interfaccia di tipo FlessInteraction o nelle aste libere per apprezzare l’eventuale apertura di cerniere
plastiche anche in campata. In questo caso la procedura di calcolo prevede che la matrice di rigidezza
completa dell’asta sia aggiunta a quella dell’interfaccia, effettuando in un secondo momento la
condensazione statica di quest’ultima.
3.3.1. ASTA LIBERA
La matrice flessionale dell’asta viene ottenuta per semplice assemblaggio delle matrici dei segmenti che la
compongono.
3.3.2. INTERAZIONE CON PANNELLI MURARI
L’interazione tra gli elementi asta e i pannelli murari viene resa possibile mediante opportune interfacce,
già descritte in precedenza, che sono dotate di gradi di libertà interni atti a garantire la congruenza con
l’asta lungo tutta la sua lunghezza.
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- Pag. 44 -
Figura 52. Scomposizione del sistema in Interfaccia FlessInteraction e asta
La cinematica completa del sistema è descritta dai gradi di libertà propri dell’interfaccia e da quelli
dell’asta con essa interagente (contenuti in Kf estesa).
Si consideri dapprima il caso di asta 2D interagente. In questo caso l’interazione avviene tra un’interfaccia
e un’asta, ed entrambi gli elementi agiscono unicamente nel piano che li contiene. Nella figura che segue
si riportano per comodità i versi positivi dei gradi di libertà del sistema.
Figura 53. Cinematica del sistema interfaccia-asta
Indicando con UI = [uI1, uI2, uI3, uI4] il vettore dei gradi di libertà esterni dell’interfaccia e ricordando il
significato di Unodi , U1-2 e U1-3 relativi all’asta, il vettore ordinato dei gradi di libertà risulta:
][ 3121 ffnodiI UUUUU
Se l’interazione riguarda un’asta 2D, la matrice completa appena calcolata può essere condensata in
favore dei soli gradi di libertà nodali dell’interfaccia e dell’asta. Se invece si tratta di un’asta 3D, questa
costituirà la base per un successivo assemblaggio che riguarderà tutti i contributi delle interfacce afferenti
alla stessa asta, come mostrato di seguito.
Si consideri pertanto il caso di interazione tra un’asta 3D connessa con molteplici interfacce. È importante
evidenzia che solo se l’asta è 3D l’interazione può coinvolgere molteplici interfacce appartenenti a piani
nodo i
nodo i(2)
kn
kn
(1)
ks2
ks1
nodo j
nodo i nodo j
(2)
k2
k2
(1)
(2)
k1
k1
(1)
nodo j
u5
uI4u6
uI1
uI3
uI2
jivj
ujui
vij
um
n
unu2
21
u1
ji
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- Pag. 45 -
differenti. Sia nI il numero di interfacce coinvolte. Sia inoltre i l’angolo (compreso tra 0° e 180°) tra
l’asse 2 dell’asta e il piano dell’i-esima interfaccia.
Figura 54. Interazione tra interfaccia e asta 3D
La matrice di rigidezza locale dell’asta è funzione dell’angolo i.
Figura 55. Piano dell’interfaccia in relazione agli assi principali della sezione dell’asta
Con riferimento alla figura si ha:
int int
int int
arccos(2 ) 2 0
2 arccos(2 ) 2 0
i asta asta
i asta asta
y se y
y se y
dove:
2asta = secondo asse del sistema di riferimento dell’asta
yint = versore dell’asse y dell’interfaccia
2
3
1
2
3
piano
interfaccia
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- Pag. 46 -
3.3.3. CERNIERE PLASTICHE
Negli elementi intelaiati soggetti a flessione il danneggiamento ossia le deformazioni plastiche si
concentrano in porzioni limitate corrispondenti ai valori massimi del momento flettente. La lunghezza
interessata dal fenomeno è in genere paragonabile con le dimensioni della sezione trasversale [11].
La modellazione per cerniere plastiche si basa sull’ipotesi di concentrare le proprietà plastiche di una
parte dell’asta in un’unica sezione nella quale, in corrispondenza del raggiungimento delle condizioni di
snervamento, viene introdotta una sconnessione a momento (appunto una cerniera). Le sezioni in cui
vengono previste le cerniere plastiche, definite automaticamente dal software, vengono dette sezioni
critiche.
Un sistema siffatto può essere visto come l’assemblaggio di elementi elastici connessi tra loro da cerniere
con comportamento non lineare.
Figura 56. modello con cerniere plastiche
Il legame da attribuire alle cerniere plastiche in genere viene determinato a partire dalle proprietà dei
materiali costituenti la sezione, considerando semplicemente il comportamento della sezione soggetta a
flessione (per elementi trave) o a presso-flessione (per elementi pilastro), considerando opportuni legami
costitutivi non lineari dei materiali costituenti.
A ciascun segmento viene associata una sezione critica posta in mezzeria del segmento stesso, la cui
attivazione viene valutata sullo stato sollecitante medio del segmento.
Figura 57. Schema meccanico di un’asta suddivisa in segmenti: attivazione di una cerniera plastica
Tale approccio consente di avere una distribuzione uniforme delle sezioni critiche senza dover ipotizzare a
priori delle posizioni per le sezioni critiche. Tale circostanza risulta decisiva nella modellazione delle aste
poiché non richiede di valutare a priori i punti di massimo nel diagramma del momento dell’asta.
elemento elastico
cerniera elastica
nodo jnodo i
cerniera plastica
Mmedio
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- Pag. 47 -
3.3.4. MODELLO DI FLESSIONE INDIPENDENTE NEI DUE PIANI PRINCIPALI
Una delle possibili opzioni nella gestione del comportamento meccanico delle aste è quella di considerare
le due flessioni indipendenti nei due piani principali della sezione. Tale obiettivo viene raggiunto
introducendo due set indipendenti di cerniere plastiche ciascuno dei quali modella la plasticità in uno dei
due piani principali.
Lo snervamento di una cerniera avviene per il raggiungimento del momento plastico nel piano
corrispondente (calcolato come massimo del diagramma momento-curvatura) e non influenza il
comportamento dell’omologa cerniera posta nel piano ortogonale. Inoltre viene trascurata l'interazione
con lo sforzo normale.
Figura 58. Schematizzazione del comportamento flessionale indipendente
Ogni cerniera viene gestita mediante una legge costitutiva monodimensionale, e viene assunto un
comportamento rigido perfettamente plastico ossia senza incrudimento.
Il modello di plasticità appena descritto, sia pur approssimato, può essere adatto per modellare il
comportamento di elementi trave scarsamente soggetti a sforzo normale e per i quali può essere
ipotizzata una scarsa sensibilità a fenomeni di flessione deviata.
21
3D
vjvj
nodo i
jiv1 , 1 v1 , 1 .... v1 , 1
nodo j
31
wjwj
nodo i
jiw1 , 1 ....w2 , 2 wn , n
M 2y(M2,M 3,N)
M 3y(M2,M 3,N)
nodo j
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- Pag. 48 -
3.3.5. MODELLO DI FLESSIONE CON INTERAZIONE PMM
Di seguito viene descritto un modello di plasticità che tiene conto della contemporanea presenza di
flessione deviata e sforzo normale. Risulta particolarmente adatto per la modellazione di elementi pilastro
interagenti o meno con la muratura.
Si consideri un'asta con comportamento 3D suddiviso, per ciascuno dei segmenti in cui risulta suddivisa
viene determinato uno stato tensionale tridimensionale medio (S) rappresentativo dello stato tensionale
di tutto il segmento.
1 2; ;S M M N
Figura 59. Asta con comportamento 3D - PMM
Il dominio tridimensionale viene costruito a partire dalle curve di interazione piane M-N con riferimento
alle direzioni principali ed entrambi i versi del momento: positivo e negativo (cfr. 4.4).
Figura 60. Vista tridimensionale e piana del dominio di interazione - PMM
Lo ‘scheletro’ del dominio di interazione è costituito dai domini MN nelle due direzioni principali, per
ciascuno dei due versi (piani principali), quindi in corrispondenza delle quattro direzioni in cui si ha
presso-flessione retta. L'interazione MN in ciascuno dei quattro piani principali è di tipo polinomiale con
grado n. I coefficienti di ciascun polinomio vengono determinati in modo da imporre il passaggio per n
punti del dominio reale:
2
0 1 2
2
0 1 2
2
0 1 2
2
0 1 2
....
....
....
....
n
x n
n
x n
n
y n
n
y n
M a a N a N a N
M b b N b N b N
M c c N c N c N
M d d N d N d N
nodo i nodo j
[ M1; M2; N ]
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Nel piano Mx, My (N costante), la curva di interazione viene assume legge di tipo ellittico per ciascuno dei
quattro quadranti; vengono cioè individuate quattro coppie di semi-assi di ellissi, e a partire da questi
vengono determinati quattro rami indipendenti di ellisse, che nel complesso consentono il passaggio per
le curve ‘scheletro’, e formano una curva di tipo continuo, evitando quindi la presenza di discontinuità nel
dominio di interazione.
Figura 61. Interazione del piano Mx-My
22
2 21
4 4
yx
k k
MM
dove con Ak e Bk vengono indicati i semi-assi dell’ellisse di riferimento:
2
0, 1, 2, , ,
0
2
0, 1, 2, , ,
0
...
...
nn i
k k k k n k i k
i
nn i
k k k k n k i k
i
N N N N
B N N N N
I parametri e si identificano con i coefficienti a, b, c, o d a seconda del quadrante in cui ricade lo
stato tensionale corrente.
Per il generico ellisse di riferimento (indicato dal pedice k), la sua equazione diviene:
2 2 2 2 2 2
2 2 2 2
2 2
, , , ,
0 0 0 0
4k x k y k k
n n n ni i i i
i k x i k y i k i k
i i i i
B M M A B
N M N M N N
yu-
y
x
yu+
xu- xu+
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Eseguendo i quadrati:
2 2
, , , , , , , ,
0 0 0 0 0 0 0 0
n n n n n n n ni j i j i j p q
i k j k x i k j k y i k j k p k q k
i j i j i j p q
N M N M N
Se n è il grado dei polinomi con cui vengono approssimati i domini 2D M-N il dominio tridimensionale
risulta di grado 4n in N:
Il comportamento elasto-plastico risulta governato dai seguenti vettori:
; ;
; ;
; ;
t
t
x y a
t
x y
e pl
u v w u
S M M N
- u vettore degli spostamenti nodali
- vettore delle deformazioni generalizzate
- S vettore degli sforzi generalizzati
Le relazioni di equilibrio e di congruenza sono esprimibili secondo le espressioni:
0 0
0 0
0 0
x
e y e
EI
S D EI
EA
2
2
2
2
0 0
0 0
0 0
x
C u ux
x
- D matrice di rigidezza locale
- C matrice di congruenza
La funzione di plasticizzazione può essere determianta a partire dall’equazione dell’ellisse come:
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- Pag. 51 -
2 2 2 2 2 2
2
, ,
0 0
2
, ,
0 0
2 2
, , , ,
0 0 0 0
4 0
:
k x k y k k
n ni j
k i k j k
i j
n ni j
k i k j k
i j
n n n ni j p q
k k i k j k p k q k
i j p q
B M M A B
con
A N
B N
A B N
a cui viene associata la seguente legge di flusso di tipo associato:
t
YX
plNMM
;;
Imponendo la stazionarietà della funzione di snervamento, si ottiene il legame elasto-plastico:
( )el pl plS S S D D
con:
jijjiijipl
t
tpl DDDDDD
D
),(
1
Considerando uno stato tensionale uniforme si passa al legame generalizzato forze spostamenti
moltiplicando per la lunghezza della zona critica (lc) che viene supposta pari alla lunghezza del segmento
stesso:
Y
X
pDD
N
M
M
)(2
1
Dove X ,Y e rappresentano le rotazioni relative e l'allungamento assiale delle sezioni di estremità del
segmento.
3.3.5.1. DISCRETIZZAZIONE DEL PROBLEMA E COSTRUZIONE DI K
Ciascun segmento viene caratterizzato da caratterizzato da 10 gdl (8 flessionali e 2 assiali) come riportato
nel seguito:
1 1 2 2 1 1 2 2 i jU v v w w u u
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- Pag. 52 -
Figura 62. Cinematica di ciascun segmento
Dal punto di vista meccanico, ciascun segmento può essere considerato come composto da due bracci
elastici connessi da una molla tridimensionale il cui legame elastoplastico è espresso dalla relazioni
ottenute prima.
Figura 63. Schema meccanico del segmento
La matrice di rigidezza del segmento viene ottenuta per assemblaggio dei contributi elastici dei segmenti
e dalla matrice totale della cerniera intermedia. Il sistema possiede nello spazio di 18 gradi di libertà: 10
gradi di libertà esterni (gradi di libertà associati ai vertici esterni dei bracci deformabili) e 8 gradi di libertà
interni (associati alla molla rotazionale intermedia). È quindi possibile costruire la matrice completa e
successivamente condensarla per escludere i gradi di libertà interni dal calcolo della matrice del frame.
In una seconda fase vengono assemblati i contributi di tutti i segmenti per ottenere la matrice
dell'elemento.
3.4. ORIZZONTAMENTI
Sono considerati orizzontamenti tutti gli elementi piani di collegamento tra le pareti. Vengono distinti sulla
base del loro comportamento meccanico, che determina il maggiore o minore grado di accoppiamento tra
le pareti. In particolare vengono distinti:
impalcati rigidi (floor), 3.4.1;
diaframmi rigidi (diaphragm), 3.4.2;
diaframmi deformabili (plate) 3.4.3;
Nei successivi sottoparagrafi vengono distinti i singoli elementi, il tipo comportamento meccanico, e il tipo
di interazione tra gli orizzontamenti e gli elementi delle pareti che vi afferiscono.
nodo i nodo j
v1 , 1 v2 , 2
w1 , 1 w2 , 2
ui uj
piano 1-3
piano 1-2
assiale
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- Pag. 53 -
3.4.1. IMPALCATI RIGIDI (FLOOR)
Sono degli elementi rigidi a sei gradi di libertà che hanno il compito di simulare impalcati rigidi. Ciascun
grado di libertà può essere vincolato esternamente in modo assoluto o elastico.
Figura 64. Interazione tra due pannelli di una parete e un elemento rigido
In figura è rappresentato un elemento di tipo floor, con l’indicazione dei gradi di libertà dell’elemento, che
sono riferiti al baricentro dell’elemento. Con riferimento ad una generica situazione in cui l’elemento rigido
risulta inserito tra due pannelli murari, la connessione con la muratura viene garantita tramite due
distinte interfacce, ciascuna delle quali ha una faccia coincidente con il piano rigido dell’impalcato e l’altra
afferente a uno dei due pannelli. Per queste interfacce, infatti, i gradi di libertà che sono interessati dagli
spostamenti nodali dell’impalcato saranno funzione dei suoi spostamenti secondo le dipendenze riportate
in figura.
Il sistema di riferimento locale dell’elemento ha origine nel baricentro geometrico dell’elemento, e assi
coincidenti con quelli del sistema di riferimento globale.
3.4.2. DIAFRAMMI RIGIDI (DIAPHRAGM)
Sono degli elementi rigidi che dispongono dei soli gradi di libertà nel proprio pano. Hanno il compito di
simulare un vincolo di indeformabilità nel piano. Ciascun grado di libertà può essere vincolato
esternamente in modo assoluto o elastico.
interfaccia superiore
interfaccia inferiore
wi=wi (u312)
wj=wj (u312)
uscorr=uscorr (u1u23)
elemento rigido
u2, 2
u3, 3
u1, 1
cinematica corpo rigido cinematica pannelli
wj
wi
uscorr
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Figura 65. Interazione tra due pannelli di una parete e un diaframma
L’elemento è dotato di tre soli gradi di libertà, che sono quelli di corpo rigido nel piano. In figura è
rappresentato un elemento di tipo diaphragm, con l’indicazione dei gradi di libertà dell’elemento, che
sono riferiti al baricentro dell’elemento. Con riferimento ad una generica situazione in cui l’elemento rigido
risulta inserito tra due pannelli murari, la connessione con la muratura viene garantita tramite
un’interfaccia di tipo SlidInteraction (cfr. 3.1.4.4). Il grado di libertà a scorrimento aggiunto all’interfaccia
risulterà associato ai gradi di libertà del diaframma.
Il sistema di riferimento locale dell’elemento ha origine nel baricentro geometrico dell’elemento, il primo
asse diretto secondo la direzione individuata dai primi due nodi dell’elemento, secondo asse ortogonale al
primo e giacente nel piano dell’elemento, e terzo asse ottenuto come prodotto vettoriale dei primi due.
3.4.3. DIAFRAMMI DEFORMABILI (PLATE)
Nel caso in cui sia necessario rimuovere l’ipotesi di indeformabilità dell’impalcato, è possibile considerare
diaframmi deformabili, o plate. In questo caso la presenza dell’impalcato viene simulata mediante
diaframmi di forma poligonale qualsiasi, deformabili elasticamente nel piano. Questi sono costituiti da una
mesh di n elementi finiti triangolari a sei nodi, dove n rappresenta il numero di lati dell’elemento.
Ciascuno di questi elementi triangolari, che hanno in comune il nodo corrispondente al baricentro
geometrico dell’elemento, oltre a due suoi nodi consecutivi, è dotato di dodici gradi di libertà (due
traslazioni nel piano per ogni nodo), come mostrato in figura.
Questi dodici gradi di libertà vengono parzialmente condensati, poiché solo alcuni di questi vengono
mantenuti come gradi di libertà dell’elemento. I gradi di libertà non condensati sono infatti:
quelli dei vertici;
quello relativo al punto medio del lato perimetrale dell’impalcato (che potrebbe interagire con un
elemento di una parente a scorrimento).
eb
ea
interfaccia tipo SlidInteraction
tra gli elementi della parete
u2
3
u1
d1 : diaframma rigido
d1
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- Pag. 55 -
I gradi di libertà condensati sono invece quelli relativi ai punti medi dei lati interni. I primi sono
indicati in blu in figura, mentre quelli condensati sono indicati colore rosso. I gradi di libertà di
ciascun elemento triangolare vengono in questo modo ridotti a 8.
Complessivamente ciascun diaframma possiede pertanto 4n+2 gradi di libertà.
Figura 66. Diaframma deformabile: gradi di libertà dell’elemento
Diversamente dagli altri elementi utilizzati per la modellazione degli orizzontamenti, l’elemento plate è
dotato di un numero di gradi di libertà considerevole, ed è pertanto consigliabile limitare il suo impiego
solo ai casi strettamente necessari per non appesantire oltremodo il calcolo. Con riferimento ad una
generica situazione in cui un lato del diaframma deformabile risulta inserito tra due pannelli murari, la
connessione con la muratura viene garantita tramite un’interfaccia di tipo SlidInteraction. Il grado di
libertà a scorrimento aggiunto all’interfaccia risulterà associato ai gradi di libertà del diaframma
deformabile; in questo caso tuttavia il grado di libertà a scorrimento dell’interfaccia aggiuntivo non è
legato da un vincolo di rigidità al baricentro dell’elemento ma sarà associato al corrispondente grado di
libertà dell’elemento triangolare piano appartenente al diaframma.
Il sistema di riferimento locale dell’elemento ha origine nel baricentro geometrico dell’elemento, primo
asse diretto secondo la direzione individuata dai primi due nodi dell’elemento, secondo asse ortogonale al
primo e giacente nel piano dell’elemento, e terzo asse ottenuto come prodotto vettoriale dei primi due.
G
v i
v j
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Figura 67. Interazione tra due pannelli di una parete e un diaframma deformabile
3.4.3.1. L’ELEMENTO FINITO LASTRA ORTOTROPA
L’elemento utilizzato per la simulazione del comportamento di solai deformabili è la lastra ortotropa
trasversalmente isotropa. Tale elemento garantisce la possibilità di simulare il comportamento di
orizzontamenti in cui è necessario distinguere il comportamento tra due direzioni principali; tale
condizione si verifica nella quasi totalità degli orizzontamenti, essendo questi in genere orditi secondo una
direzione particolare. Il software infatti considera, nel caso di solai deformabili, la direzione di orditura
come una delle due direzioni principali di ortotropia della lastra. L’ipotesi di comportamento
trasversalmente isotropo (isotropia nel piano ortogonale al piano dell’elemento), del tutto accettabile per i
casi degli orizzontamenti più comuni, consente di poter considerare solo i gradi di libertà dell’elemento nel
proprio piano, e quindi il comportamento a lastra.
In presenza di uno stato tensionale biassiale, il comportamento meccanico di una lamina ortotropa è
definito univocamente dalle quattro costanti EL, ET, GLT, νLT, (si ricordi che νTL non è un parametro
indipendente), dove L e T rappresentano le direzioni principali della lamina.
eb
ea
interfaccia tipo SlidInteraction
tra gli elementi della parete
vG
uG
G
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- Pag. 57 -
Figura 68. Schema di lamina ortotropa caricata
I legami tra tali costanti elastiche ed i termini della matrice di elasticità si ottiene considerando la lamina
soggetta ad uno stato monoassiale di tensione diretto secondo le direzioni principali e ad uno stato di
taglio puro. Per una tensione monoassiale lungo la direzione longitudinale si ha:
11 12
12 22
L L T
T L T
E E
E E
Tenendo conto della definizione di modulo di Young e di coefficiente di Poisson, dalle precedenti
equazioni si ottiene:
2
11 22 12
22
12
22
LL
L
LLT
L
E E EE
E
E
E
Considerando invece una tensione monoassiale in direzione trasversale, con analogo procedimento si
ottiene:
2
11 22 12
11
12
11
TT
T
LTL
L
E E EE
E
E
E
Considerando infine una sollecitazione di taglio puro, si ha:
33LT LTE
da cui si ottiene immediatamente:
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- Pag. 58 -
33LT
LT
LT
G E
Dalle relazioni precedenti si ha quindi:
11
22
12
33
1
1
1 1
L
LT TL
T
LT TL
LT T TL L
LT TL LT TL
LT
EE
EE
E EE
G E
Si ricordi che i due coefficienti di Poisson principali sono in pratica legati ai moduli di Young dalla
relazione:
LT L
TL T
E
E
cosicché delle cinque costanti elastiche , , , ,L T LT LT TLE E G presenti a secondo membro delle
precedenti relazioni solo quattro sono indipendenti.
Si possono infine ottenere le componenti della matrice di elasticità inversa S e della matrice di elasticità E
in funzione delle costanti elastiche. Si ha allora:
10 0
1 1
10 ; 0
1 1
0 0 10 0
L LT T LT
LT TL LT TL L L
LT T T LT
LT TL LT TL L T
LT
LT
E E
E E
E EE S
E E
G
G
Le matrici di elasticità e elasticità inversa individuate permettono di scrivere le relazioni tensioni-
deformazioni (e viceversa) nel riferimento principale L-T della lamina. Se si considera un riferimento
cartesiano arbitrario le relazioni tra tensioni e deformazioni divengono più complesse: le matrici di
elasticità sono ora matrici piene, cioè con elementi tutti diversi da zero.
Le matrici di elasticità e di elasticità inversa in un generico riferimento cartesiano formante col riferimento
principale un angolo generico θ, si possono ottenere considerando le equazioni di trasformazione dello
stato di tensione e di deformazione nell’intorno del punto, note dalla Scienza delle Costruzioni.
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- Pag. 59 -
Figura 69. Lamina ortotropa con riferimento cartesiano generico
Nota la matrice di rotazione Q, che è data da
2 2
2 2
2 2
cos sin 2sin cos
sin cos 2sin cos
sin cos sin cos cos sin
Q
è infine possibile scrivere le corrispondenti relazioni valide in un generico riferimento cartesiano.
Per la matrice di elasticità si ha:
1
2 2
x L L L x
y T T T y
xy LT LT LT xy
Q QE QE QEQ
dove E è la matrice che si ottiene dalla matrice E (riferita agli assi naturali del materiale) semplicemente
sostituendo il termine GLT con 2 GLT.
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- Pag. 60 -
Dividendo per due i termini della terza colonna della matrice Q ed indicando con Q la matrice così
ottenuta, la relazione tra tensioni e deformazioni per un generico sistema di riferimento, si scrive in forma
compatta come:
2
x x
y y
xy xy
E
con
1
E QEQ
essendo in pratica:
4 4 2 2
11 11 22 12 33
2 2 4 4
12 11 22 33 12
4 4 2 2
22 11 22 12 33
3 3
13 11 12 33 22 12 33
3
23 11 12 33
cos sin 2 2 sin cos
4 sin cos sin cos
sin cos 2 2 sin cos
2 sin cos 2 sin cos
2 sin cos
E E E E E
E E E E E
E E E E E
E E E E E E E
E E E E
3
22 12 33
2 2 4 4
33 11 22 12 33 33
2 sin cos
2 2 sin cos sin cos
E E E
E E E E E E
3.5. INTERAZIONE TRA PARETI ORTOGONALI
Sono previste diverse modalità di interazione tra due o più pareti concorrenti in una intersezione
(cantonale). Una prima interazione, limitata alla quota degli impalcati, viene garantita dalla presenza dei
diaframmi e dei cordoli di piano. A questa si aggiunge l'interazione tra i pannelli murari, diffusa lungo
tutta la lunghezza dell'edificio; tale interazione è resa possibile dalla presenza di pilastri d'angolo o
mediante l'introdurre degli elementi speciali d'angolo, entrambi connessi agli elementi delle pareti
mediante interfacce piane.
3.5.1. INTERAZIONE TRA PANNELLI (ELEMENTI D’ANGOLO O CORNER)
Si tratta di elementi prismatici rigidi con n spigoli che possono essere orientati in maniera arbitraria nello
spazio tridimensionale, e possono essere connessi ad un numero qualsiasi di altri elementi mediante
interfacce.
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- Pag. 61 -
Figura 70. Meccanica e cinematica di un elemento corner
La geometria del corner viene individuata a partire dalla zona di intersezione tra le pareti in modo da
riprodurre i reali disassamenti tra i piani medi delle pareti concorrenti nell'intersezione. Dal punto di vista
del modello di calcolo, ciascun corner è individuati da due nodi master (nodi i e j della figura precedente)
che ne rappresentano gli estremi (e che sono direttamente afferenti ad eventuali orizzontamenti), e una o
più coppie di punti che individuano gli spigoli del corner (v1 v2 v3 in figura). Tutti i pannelli, qualunque sia
la parete di appartenenza, aventi un lato in comune con l’elemento d’angolo si riterranno interagenti con
esso.
Ad ogni elemento d’angolo viene assegnato un sistema di riferimento locale definito in modo analogo a
quanto fatto per le interfacce: asse 1 coincidente con la direzione individuata dai suoi nodi master, assi 2
e 3 ortogonali all’elemento e tali da formare una terna sinistrorsa. La cinematica, nello spazio, è
governata da sei gradi di libertà coincidenti con le due traslazioni di ciascun vertice nelle direzioni degli
assi 2 e 3 del sistema di riferimento locale dell’elemento, la traslazione lungo la direzione dell’elemento
(asse 1 del sistema di riferimento locale) ed infine la rotazione attorno allo stesso asse.
La figura riporta la modellazione di una intersezione in cui tre pannelli appartenenti a pareti differenti
vengono collegati mediante l’interposizione di un elemento d’angolo e tre interfacce. In generale
verranno inserite tante interfacce quanti sono i pannelli e ciascuna interfaccia apparterrà al piano della
parete del pannello connesso. Nel caso in cui, oltre alle pareti, sia presente un’asta lungo la zona tra esse
interclusa, possono essere modellate sia l’interazione dell’asta con le pareti, sia l’interazione delle pareti
tra di loro; tuttavia l’approccio di modellazione non fa uso di elementi speciali d’angolo (cfr. 3.5.2).
nodo i
nodo j
v1
v2
v2
v3
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- Pag. 62 -
Figura 71. Meccanica e cinematica di un elemento corner
Dalla figura si evince come ciascuna interfaccia sia in grado di modellare in modo distinto l’interazione a
flessione e a scorrimento tra la parete cui appartiene e il resto della struttura.
È evidente che nel caso in cui alcune pareti si ritenga siano disconnesse dalle altre nonostante
confluiscano nella zona d’intersezione, possono essere escluse in maniera semplice omettendo di inserire
le interfacce relative a tali pareti.
Gli elementi d’angolo non sono pensati per modellare meccanicamente la zona di muratura interclusa tra
le pareti: essi servono infatti esclusivamente per introdurre i gradi di libertà necessari alla definizione
delle interfacce atte a simulare l’interazione tra le pareti contigue, e a considerare fisicamente il volume
corrispondente alla zona di intersezione tra le pareti.
3.5.1. INTERAZIONE TRA CORDOLI DI PIANO
Ogni parete giace su un piano, che viene individuato considerando la disposizione geometrica e gli
spessori degli elementi in essa contenuti. Può verificarsi la condizione di pareti non convergenti in pianta
in uno stesso punto. Nel caso di pareti cordolate, le aste non convergeranno in generale in un unico
punto. Risulta pertanto necessario garantire nel nodo in comune un vincolo di tipo rigido tra gli estremi
delle aste concorrenti.
In particolare, per ogni incrocio viene individuato un punto, che può essere considerato il nodo master
del vincolo interno di rigidità. Tale nodo condividerà, eventualmente sia presente un diaframma
concorrente in tale punto, i gradi di libertà dell’orizzontamento. Tale nodo viene inoltre connesso,
mediante un vincolo di rigidità con ciascuno degli estremi delle aste concorrenti nel medesimo punto,
come se venisse introdotto un corpo rigido tra di loro. Uno schema meccanico dell’approccio di
modellazione è mostrato in figura.
u1
u3
u5u4
u6
u2
elemento rigido di
collegamento
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- Pag. 63 -
Figura 72. Interazione tra cordoli mediante diaframmi rigidi.
3.5.2. INTERAZIONE MEDIANTE PILASTRI D'ANGOLO
Se in corrispondenza dell'intersezione vi è un pilastro, nel modello computazionale l'interazione avviene
direttamente tra l'elemento asta e i pannelli delle pareti, tramite l'introduzione di interfacce. In questo
caso pertanto non è necessario introdurre elementi d'angolo. Dal punto di vista meccanico lo schema
utilizzato è quello riportato in figura. Nel caso di presenza di diaframmi o cordoli di piano, questi vengono
collegati ai vertici dell'asta, analogamente ai nodi master dei corner.
Figura 73. Interazione tra la muratura e un pilastro d'angolo.
3.6. NONLINEAR LINK (NLINK)
Gli elementi NLink permettono di introdurre un vincolo (rigido o che segue una legge costitutiva tra quelle
disponibili, cfr. 4) tra due nodi del modello. Sono utili per introdurre vincoli interni, modellare dispositivi di
isolamento, o simulare lo sfilamento delle travi dalle pareti cui dovrebbero essere ammorsate.
L’elemento è dotato in generale di dodici gradi di libertà (sei gradi di libertà di moto rigido per ciascuno
dei suoi nodi); vi è tuttavia la possibilità di abilitare solo alcuni di essi, mantenendo liberi i restanti.
cordolo 1 cordolo 2
cordolo 3
diaframma rigido
nodo master
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- Pag. 64 -
Figura 74. Sistema locale e gradi di libertà
dell’elemento
Figura 75. Gradi di libertà dell’elemento
Dal punto di vista meccanico può essere schematizzato come l’insieme di tre molle traslazionali e tre
molle rotazionali.
Figura 76. Schema meccanico del NLink: molle traslazionali
A ciascuna delle molle che vengono create possono essere attribuiti i seguenti tipi di leggi costitutive:
comportamento libero (la molla avrà rigidezza nulla);
comportamento rigido (i due estremi dell’elemento subiranno lo stesso spostamento in quella
direzione);
comportamento elastico lineare (la molla creata seguirà una legge lineare);
comportamento elastico perfettamente plastico (la molla seguirà una legge costitutiva di tipo
elastico perfettamente plastico;
comportamento costitutivo generico (la molla seguirà una legge costitutiva tra quelle disponibili,
cfr. 4).
Gli elementi NLink sono anche applicati per creare dei vincoli interni tra gli elementi del modello. In
particolare gli attach, che consentono di far condividere i gradi di libertà dell’estremo di un’asta con quelli
di un altro elemento (cfr. 3.3).
nodo j
u
uu
u
u
u
nodo i
u
nodo j
u
u
u
u
u
nodo i
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 3 - ELEMENTI
- Pag. 65 -
3.7. VINCOLI
Le condizioni al contorno della struttura possono essere assegnate mediante vincoli. Vengono distinti
vincoli di tipo puntuale e vincoli di tipo lineare. I primi vengono applicati ad elementi di tipo asta (cfr.
3.3), mentre i secondi possono essere applicati ad elementi di tipo pannello murario (cfr. 3.1.1), setto in
c.a. (cfr. 3.2) o elemento rigido (cfr. 3.1.3).
Ai vincoli può anche essere assegnata una cedevolezza elastica per simularne l’eventuale imperfezione.
Le pareti murarie possono essere vincolate direttamente (in questo caso si dice che sono incastrate), o
possono essere modellati esplicitamente la trave di fondazione e la deformabilità del terreno, come
descritto nel successivo paragrafo.
3.7.1. FONDAZIONI
Gli elementi di fondazione vengono modellati mediante elementi asta analoghi a quelli utilizzati per
modellare travi e pilastri. In questa circostanza l’asta è inserita all’interno di due letti di molle non lineari:
lo strato superiore simula il comportamento a flessione dell’elemento piano, mentre quello inferiore
modella il comportamento elastico o elasto-plastico del terreno.
Figura 77. Schema meccanico di una fondazione a nastro
Per il comportamento del terreno vengono previste le seguenti opzioni :
Terreno elastico;
Terreno elastico non reagente a trazione;
Terreno elasto-plastico.
Il comportamento elastico del terreno è caratterizzato dalla sola costante di Winkler (kw). La rigidezza
delle molle di interfaccia risulta pari a:
( )molle wK K B
dove B indica la larghezza della fondazione, compresa di magrone e l’interasse delle molle di
interfaccia.
deformabilitàmuratura
deformabilità terreno
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 66 -
4. MATERIALI
In questo capitolo vengono descritti i legami costitutivi utilizzati per la simulazione del comportamento
non lineare dei materiali utilizzati nel modello di calcolo. In particolare la maggiore rilevanza è riservata al
materiale muratura, ma sono trattati anche altri materiali come calcestruzzo o acciaio, utili per
l’inserimento di elementi esterni alla muratura ed interagenti con essa.
Ciascun legame costitutivo, impiegato per descrivere il comportamento di un materiale, verrà ereditato
dagli elementi resistenti (molle), che nel modello discreto equivalente rappresentano gli elementi che
concentrano in sé le proprietà meccaniche del continuo che simulano.
Verranno quindi descritte le procedure di taratura delle molle non lineari atte alla determinazione dei
parametri meccanici delle stesse, affinché il comportamento del modello discreto sia equivalente a quello
reale dei materiali pensati come continui.
4.1. MURATURA
Di seguito vengono descritti tutti i legami costitutivi presi in considerazione per la modellazione del
comportamento meccanico degli elementi murari. Tutti i legami costitutivi sono di tipo monoassiale,
poiché il modello impiega solo elementi monodimensionali per tenere in conto le non linearità. Tale
circostanza rappresenta senz’altro un enorme vantaggio sia dal punto di vista della semplicità di
modellazione che da quello numerico.
Il materiale muratura, visto come un continuo omogeneo, viene modellato utilizzando legami costitutivi
differenti per i diversi aspetti del suo comportamento: flessione (cfr. 4.1.1) taglio (cfr. 4.1.2) e
scorrimento (cfr. 4.1.3). Ciò avviene tramite i corrispondenti legami costitutivi descritti nel seguito.
Ciascuna molla del sistema discreto erediterà il legame costitutivo del corrispondente modello continuo, in
termini monoassiali, e i suoi parametri meccanici vanno determinati a partire dai parametri meccanici e
dalla geometria del modello continuo tramite le procedure di taratura.
Per ciascuno dei tre principali comportamenti della muratura verranno descritti i possibili legami costitutivi
utilizzati, e poi le procedure di taratura che, a partire dalle legge monoassiali dei materiali, consentono di
ottenere le proprietà delle corrispondenti molle non lineari.
4.1.1. COMPORTAMENTO FLESSIONALE
Nel seguito si descrivono i legami costitutivi utili per la simulazione del comportamento flessionale di
pannelli murari. In particolare vengono presi in considerazione il comportamento elastico lineare (cfr.
4.1.1.1) e quello elastico perfettamente plastico (cfr. 4.1.1.2). Successivamente vengono descritte le
procedura per ottenere le proprietà delle molle di interfaccia trasversali, tenendo conto di tali possibili
comportamenti costitutivi (cfr. 4.1.1.3).
4.1.1.1. MATERIALE ELASTICO
Modella un continuo elastico lineare ortotropo caratterizzato dai valori dei due moduli di deformazione
normale lungo i piani principali:
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 67 -
- E1 modulo di deformazione normale nel piano 1
- E2 modulo di deformazione normale nel piano 2
Non è necessario definire i moduli di contrazione () poiché il modello meccanico proposto non coglie
l’influenza della contrazione laterale, e quindi degli effetti del confinamento, sul comportamento degli
elementi.
4.1.1.2. MATERIALE ELASTOPLASTICO
Modella un continuo elastoplastico perfetto ortotropo con limiti negli spostamenti. Viene assegnato
mediante la definizione in entrambe le direzioni principali del legame monoassiale
Per ciascuna direzione principale si deve assegnare:
E modulo di deformazione normale;
ct limiti di resistenza a compressione e trazione;
ct limiti nelle deformazioni a compressione e trazione.
Figura 78. Legame costitutivo elasto-plastico
Non appena viene raggiunto un limite di deformazione si ha una rottura fragile, a seguito della quale il
materiale si scarica completamente dal carico cui risulta soggetto prima della rottura (cfr. 6.3.4).
Vengono previsti due comportamenti post-rottura differenti:
- Comportamento simmetrico: viene utilizzato per la modellazione di materiali simmetrici a trazione e
compressione. In questo caso a seguito di una rottura, sia a compressione che a trazione l’elemento,
oltre ad essere scaricato, perde ogni capacità di resistere a ulteriori carichi, e viene quindi rimosso dal
modello.
- Comportamento di tipo fessurante: nel caso in cui viene raggiunto il limite di rottura a compressione
l’elemento viene rimosso dal modello. In caso di rottura a trazione il materiale perde la possibilità di
resistere a successivi carichi a trazione (materiale fessurato), continua a potere resistere a compressione
nel momento in cui viene ripristinato il contatto tra gli elementi (modello crush and cracking).
rt
rc
c
t
E
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- Pag. 68 -
(a) (b)
Figura 79. Legame elatoplastico di tipo fratturante (a) materiale non fratturato; (b)materiale fratturato
4.1.1.3. PROCEDURA DI TARATURA
L’interfaccia deve simulare sia il comportamento assiale-flessionale dei pannelli che collega, sia lo
scorrimento che può avvenire tra due elementi contigui. In particolare, il comportamento
assiale/flessionale viene simulato mediante le diverse file in parallelo di molle trasversali mentre lo
scorrimento viene modellato mediante una molla posta in direzione dell’interfaccia (scorrimento nel
piano) e due molle che simulano il comportamento fuori dal piano.
Le caratteristiche delle molle di interfaccia dipendono dalle caratteristiche della muratura di entrambi i
pannelli a contatto.
Dal punto di vista del comportamento assiale la muratura viene modellata come un continuo ortotropo
elasto-plastico, descritto in precedenza, attribuito a ciascun pannello mediante l’assegnazione di due
curve di carico monotono relative alle due direzioni principali del materiale. Queste in genere vengono
assunte coincidenti con le direzioni degli assi del sistema di riferimento locale dell’elemento ma più in
generale possono essere orientate in modo generico. Il comportamento isteretico presenta uno scarico
orientato all’origine per il comportamento a trazione e scarico con rigidezza iniziale nel caso di
compressione. Al raggiungimento degli spostamenti ultimi, sia a trazione che a compressione,
corrisponderà la rottura dell’elemento.
Figura 80. legame utilizzato per il comportamento assiale/flessionale della muratura
Essendo la muratura modellata mediante un solido ortotropo la curva di carico monoassiale dipende dalla
direzione considerata. L’assegnazione inoltre avviene mediante la definizione delle curve relative alla
direzioni principali del materiale che sono le uniche direzioni per la quali sono note le curve di carico.
rc
c
t
Ert
rc
c
t
E
rt
rc
c
t
E
Materiale non fratturato
Materiale fratturatot=0
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- Pag. 69 -
Le interfacce possono essere orientate in modo generico rispetto alle direzioni principali, in tal caso
bisognerà estrapolare dalle curve di carico relative alle direzioni principali quella relativa alla direzione
ortogonale a quella dell’interfaccia in esame.
Indicando con l’angolo che tale direzione forma con l’asse principale 1 del materiale, i relativi parametri
sono: E, ycyt, ycyt; essi verranno determinati in funzione di quelli relativi alle direzioni principali
mediante una interpolazione non lineare, come mostrato nella figura sottostante.
Figura 81. Determinazione delle caratteristiche meccaniche della muratura lungo una generica direzione a partire da
quelle delle direzioni principali
Con riferimento a una generica caratteristica meccanica, r,si indichino con r1 e r2 le medesime
caratteristiche riferite alle direzioni principali, si ha:
1 2cos sinr r r
Le operazioni di taratura delle molle trasversali di interfaccia portano alla determinazione dei parametri
delle suddette: K, Fyc, Fyt, uc, ut, in funzione dei parametri del modello continuo: E, ycyt, ycyt. Per tali
parametri viene omesso l’apice () ma resta inteso che essi si riferiscono alla direzione ortogonale
all’interfaccia esaminata.
Dato che nelle molle trasversali è concentrata la deformabilità assiale e flessionale dei pannelli, le
proprietà meccaniche di queste dovranno essere ricavate a partire dalle caratteristiche di entrambi i
pannelli a contatto con l’interfaccia. Costituiranno eccezione i casi di interfacce che collegano i pannelli a
un supporto esterno; in questo caso infatti le molle di interfaccia faranno riferimento solo al pannello
murario.
pannello 1
pannello 2
legame direzione 1
legame direzione 2
legame pan. 1
direzione
legame pan. 2
direzione
direzione interfaccia
procedure taratura
F
u
legame molle
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- Pag. 70 -
Figura 82. legame costitutivo e parametri caratteristici delle molle flessionali di interfaccia
La procedura che si segue per trasferire le proprietà della muratura dei pannelli alle molle di interfaccia
consta di due fasi: nella prima le caratteristiche di deformabilità di ciascuna fibra di un pannello murario
vengono simulate da un’unica molla; in seguito all’accostamento di due pannelli si vengono a creare due
molle disposte in serie, ognuna delle quali si riferisce a un pannello; nella seconda fase viene determinata
la molla equivalente alle due disposte in serie che rappresenterà la molla di interfaccia, come mostrato in
figura.
Figura 83. procedura di concentrazione delle caratteristiche della muratura alle molle delle interfacce
La prima fase, in cui le caratteristiche di ogni pannello vengono concentrate in molle disposte lungo i suoi
lati (Kp), avviene imponendo l’equivalenza in termini di spostamenti tra il modello discreto soggetto a un
carico monoassiale (F) agente ortogonalmente all’interfaccia e una lastra omogenea caratterizzata dal
modulo di elasticità normale E, soggetto a una distribuzione di pressione esterna p=N/A uniforme, dove A
rappresenta l’area trasversale del pannello.
urtuyt
urc
Fc
uyc
Fc
pannello 1
pannello 2
F
uu
molla 1pannello 1
pannello 2
molla 2
molla equivalente
alle due disposte
in serie
L 1
L /21
L /22
L 2
ty1
ty1 tu1
Fcy1
cy1u cy1u
ucy2 cy2
Fty2
Fcy2
ty2 tu2uu
u
F
u
F
u
spessore
nullo
area di influenza
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- Pag. 71 -
Figura 84. Equivalenza tra il modello continuo e il modello discreto per la determinazione delle rigidezze kp
La soluzione del problema elastico associato al modello continuo prevede unicamente una distribuzione di
tensioni normali uniforme in tutto il corpo, di intensità uguale alla pressione esterna. Al fine di ricavare le
caratteristiche di una singola molla si potrà fare riferimento a una fibra di muratura, considerata isolata
dal resto, di area trasversale pari all’area di influenza di una singola molla determinata dagli interassi
longitudinale e trasversale (t) e altezza pari a metà di quella del pannello misurata in direzione
ortogonale all’interfaccia (L/2).
Uguagliando le rigidezze assiali offerte dal modello continuo e quella relativa a ciascuna delle due molle
Kp disposte in serie, si ottiene immediatamente:
2 t
p
EK
L
dove si è indicato con E il modulo della muratura relativamente alla direzione di carico considerata.
A partire dalle tensioni limite della muratura nella direzione considerata, le corrispondenti forze di
snervamento delle molle si ottengono dalla semplice considerazione di equivalenza
p
cu t c
p
tu t t
F
F
che equivale ad assumere una distribuzione uniforme di tensioni corrispondente all’area di influenza della
molla.
Immaginando di concentrare la deformabilità di metà pannello, e assumendo uno stato deformativo
uniforme lungo l’altezza, si ha :
tutu
cucu
LU
LU
2
2
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- Pag. 72 -
A questo punto sono noti tutti i parametri delle molle Kp relative ai singoli pannelli. I parametri definitivi si
ricavano considerando le due molle in serie, si ha pertanto:
1 2
1 2
p p
p p
K KK
K K
Relativamente alla forza di snervamento della molla complessiva, questa sarà ovviamente data dalla più
piccola delle forze di snervamento relative ai pannelli connessi.
Gli spostamenti ultimi a trazione e a compressione si ottengono sommando lo spostamento ultimo della
molla con resistenza minore (che si plasticizza per prima) e quello elastico dell’altra molla in serie (che
permane elastica):
2
2
min
min
max
min
min
max
cyF
cu cu F
tyF
tu tu F
FLU
K
FLU
K
dove tuFmin e cuFmin sono le deformazioni ultime a trazione e compressione relative al pannello che
possiede la molla con forza di snervamento Fy minore (Ftymin), KFmax è la rigidezza della molla di estremità
relativa al pannello che possiede la molla con forza di snervamento maggiore.
Al fine di caratterizzare la muratura devono essere quindi assegnate le grandezze (E, ycyt, ycyt)
relative a ciascuna direzione principale della muratura. Tali quantità possono essere determinate a partire
dalle caratteristiche dei componenti (malta e mattoni) tramite delle tecniche di omogeneizzazione oppure
tramite delle prove in situ (o in laboratorio). In particolare i moduli di elasticità e la resistenze a
compressione possono essere determinate con prove di compressione monoassiale, condotte con doppi
martinetti piatti, condotte parallelamente e ortogonalmente ai giunti di malta.
Più complicata risulta la problematica della determinazione della resistenza a trazione; per murature non
regolari costituite da pietrame informe (come mostrato nella prima delle figure sottostanti) o nel caso di
murature regolari di mattoni limitatamente alla direzione ortogonale ai giunti di malta (figura in basso), la
resistenza a trazione può essere paragonata alla resistenza a trazione della malta poiché le fessure
coinvolgono quasi esclusivamente i giunti di malta.
(a)
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- Pag. 73 -
(b)
Figura 85. Fessure per trazione; (a) in una muratura irregolare; (b) in una muratura regolare caricata ortogonalmente ai
ricorsi
Nel caso di muratura di mattoni e direzione di carico ortogonale ai giunti di malta la resistenza a trazione
della muratura è legata allo scorrimento lungo i giunti di malta.
Figura 86. Rottura a trazione per scorrimento lungo i giunti di malta
La muratura in questo caso presenta una resistenza e duttilità a trazione ben maggiore di qualsiasi altra
direzione, tale considerazione è quindi da tenere presente al momento dell’attribuzione dei parametri
costitutivi della muratura. Tale meccanismo di resistenza a trazione tra l’altro è quello che si verifica in
corrispondenza degli ammorsamenti tra le pareti e rappresenta probabilmente il maggiore vincolo contro
il ribaltamento delle pareti.
4.1.2. COMPORTAMENTO A TAGLIO PER FESSURAZIONE DIAGONALE
Nel seguito si descrivono i legami costitutivi utili per la simulazione del comportamento a taglio per
fessurazione diagonale di pannelli murari. In particolare vengono presi in considerazione il
comportamento alla Coulomb (cfr. 4.1.2.1) e quello alla Cacovic (cfr. 4.1.2.2). Successivamente vengono
descritte le procedura per ottenere le proprietà delle molle diagonali dei pannelli murari, tenendo conto di
tali possibili comportamenti costitutivi (cfr. 4.1.2.3).
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- Pag. 74 -
4.1.2.1. MATERIALE ALLA COULOMB
Modella un continuo elastico-plastico isotropo soggetto a uno stato tensionale monoassiale con
comportamento simmetrico a trazione e a compressione, superficie di snervamento alla Coulomb e limite
nelle deformazioni.
Nel modello proposto tale materiale verrà utilizzato per simulare sia il comportamento a taglio che quello
a scorrimento della muratura.
Con E e u vengono indicati rispettivamente il modulo di deformazione normale che caratterizza la fase
elastica e il valore ultimo delle deformazioni oltre il quale si verifica la rottura del materiale.
Il limite della fase elastica viene fissato da uno criterio alla Coulomb di tipo degradante, della quale viene
riportata l’espressione della tensione ultima e della superficie di snervamento:
( , , ) ( )
y p
p p
c N
N sign c N
dove:
tensione agente;
N variabile di stato rappresentativa dello stato di compressione dell’elemento;
c termine di coesione;
=tg() tangente dell’angolo di attrito interno;
H parametro di incrudimento;
+p valore assoluto della deformazione plastica cumulata dello stesso segno della tensione
agente.
La superficie, nel piano N si presenta nella classica forma del dominio alla Coulomb come mostra la
figura sotto riportata.
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- Pag. 75 -
Figura 87. Dominio alla Coulomb incrudente nel piano N,
Va tuttavia puntualizzato che il legame implementato nel software fa riferimento solo a stati tensionali
piani. è infatti l’unico parametro di tensione, mentre N è una variabile di stato che da una misura della
compressione cui risulta soggetto l’elemento considerato e la cui definizione varierà di volta in volta.
Al fine di prevedere un degrado della resistenza all’aumentare dell’escursione in campo plastico è stato
introdotto un termine di incrudimento di tipo cinematico, proporzionale alle deformazioni plastiche
accumulate.
pH
Il parametro rappresenta un parametro del modello e deve essere opportunamente assegnato. Nel
caso di >0 l’incrudimento cinematico risulta essere negativo. Poiché tale incrudimento viene fatto
dipendere dalla deformazione cumulata, quantità mai decrescente, i progressivi decrementi della
resistenza possono essere di volta in volta sommati. Inoltre la plasticizzazione in un verso non condiziona
la resistenza del verso opposto.
Il generico incremento della funzione di snervamento può essere espresso nella forma:
( ) pd sign d dN d
Il legame viene considerato di tipo associato, pertanto l’incremento delle deformazioni plastiche può
essere espresso come
( )pd d sign d
;
Si ha:
( ) ( )d sign E sign d dN d
incrudimento per >0
N
u
pd E
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- Pag. 76 -
Imponendo la stazionarietà disi ottiene
La deformazione plastica risulterà quindi
( )p
E d sign dNd
E
L’espressione dell’incremento di tensione risulta
2 ( )p
E d E sign dNd E d E d E d
E E
Semplificando si ottiene:
( )E
d d sign dNE
Considerando un processo di carico monotono a N costante, al variare di si avrà un andamento della
curva di carico di tipo elasto-plastico con incrudimento variabile.
Figura 88. Legame - a N costante e variabile
Agevolmente può essere determinata la relazione che lega il parametro con la pendenza Et
;
4.1.2.2. MATERIALE ALLA CACOVIC
Tale materiale è identico come comportamento generale al materiale alla Coulomb, appena descritto,
rispetto al quale si differenzia solo per la diversa superficie di snervamento. In questo caso, tale
superficie viene determinata in accordo col noto criterio di Turnsek e Cacovic [12].
Nonostante il criterio di Cacovic sia stato formulato appositamente per le murature ed in particolare per la
resistenza nei confronti del meccanismo di collasso a taglio per fessurazione diagonale, esso fa
riferimento a pannelli murari soggetti a sforzo normale solo lungo una direzione. Nel modello proposto
( )sign E d dNd
E
Et
p=cost
E E
E
EEt
EtE
EtE
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- Pag. 77 -
invece, ciascun pannello può essere affiancato lungo ciascun lato da altri elementi e quindi ricevere sforzi
di compressione in corrispondenza di entrambe le coppie di lati paralleli. Nel seguito viene proposta
un’estensione del criterio di Cacovic che tiene conto proprio di tale circostanza.
L’ipotesi di base, analogamente a quella del criterio generale, è che la rottura per fessurazione diagonale
avvenga quando la massima tensione di trazione (lungo la direzione principale) raggiunge il valore di
resistenza convenzionale a trazione della muratura. In precedenza è stato evidenziato come tale
parametro debba intendersi a livello macroscopico. Si consideri nel seguito un pannello soggetto a due
distinti sforzi di compressione, indicati rispettivamente con P1 e P2, e a una forza tagliante V. Si indicano
inoltre con A1 e A2 le aree trasversali relative ai lati in cui sono applicati P1 e P2.
Figura 89. Schema di carico di un pannello murario
Continuando ad ammettere una distribuzione parabolica per le tensioni tangenziali e una distribuzione
uniforme per le tensioni normali, in corrispondenza del centro del pannello lungo le giaciture paralleli ai
lati si avrà uno stato tensionale caratterizzato dalle tensioni normali p1=P1/A1, p2=P2/A2 (positive se di
compressione) e da una tensione tangenziale *=1.5·T/A1.
Figura 90. Rappresentazione dello stato tensionale nel piano di Mohr
Omettendo per brevità i passaggi, l’espressione della tensione principale di trazione risulta:
P1
P1
P2 P2
T
T
p1
p2
p2p1 ptp
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- Pag. 78 -
2
21 2 1 2*2 2
t
p p p pp
Ponendo la tensione principale (pt) pari alla resistenza convenzionale a trazione (tu), si ottiene il valore
limite di *:
1 2 1 2
2* 1u tu
tu tu tu
p p p p
Ricordando che vale
e
dove con u e k vengono indicate rispettivamente la tensione media ultima in condizioni correnti e in
assenza di compressione di confinamento. Si ha:
1 21 2
11
1.5 1.5u k
k k
p pp p
che naturalmente contiene come caso particolare la classica formulazione del criterio di Turnsek e
Cacovic.
L’espressione appena ricavata viene riscritta come funzione di snervamento di un generico solido
monodimensionale utilizzando la notazione già adottata in precedenza, cioè indicando con il parametro
di tensione, con y la resistenza a snervamento, con c il termine di resistenza costante (non dipendente
dallo stato dell’elemento) e con p1 e p i due parametri di stato. Sostituendo infine al coefficiente 1.5, il
coefficiente b già descritto in precedenza per tenere conto dei pannelli tozzi, si avrà:
1 21 2
11y
p pc p p
b c b c
In alternativa per rendere più semplice la modellazione si può fare comunque riferimento al criterio
limitando ad uno solo il parametro di stato:
1y
pc
b c
eventualmente definendo questo in modo opportuno, così da tenere in conto la contemporanea presenza
di compressione su entrambe le coppie di lati del pannello come descritto nel paragrafo successivo.
* 1.5 u 1.5
tuk
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- Pag. 79 -
La superficie di snervamento e il suo incremento risultano:
1 2
1 2
11
y
p psign sign c p p
b c b c
( ) ( )
( ) pd sign d dN d
Considerando anche stavolta un legame di tipo associato, si ha
( )pd d sign d
Sostituendo:
1 1 2 2( ) ( )d sign E sign d f dP f dP d
dove con i simboli f1 e f2 vengono indicate due funzioni di carico caratterizzate dalle seguenti espressioni
21 2
1 2 1 2
12 2
1 2 1 2
2 1 ( / ) /
2 1 ( / ) /
b c Pf
b p p p p bc bc
b c Pf
b p p p p bc bc
Imponendo la stazionarietà di si ottiene:
1 1 2 2( )sign E d f dp f dpd
E
La deformazione plastica risulterà quindi:
1 1 2 2( )p
E d sign f dp f dpd
E
L’espressione dell’incremento di tensione risulta:
1 1 2 2( )E
d d sign f dp f dpE
Il vantaggio operativo di utilizzare tale legame risiede essenzialmente nel dovere assegnare un solo
parametro di resistenza meccanica. Il parametro b infatti è solitamente legato alla geometria del
pannello.
4.1.2.3. PROCEDURA DI TARATURA
Le molle diagonali dei pannelli devono simulare il comportamento a taglio della muratura, e il
meccanismo di rottura che devono riprodurre è quello di rottura per fessurazione diagonale.
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- Pag. 80 -
Al fine di semplificare il più possibile il problema, ad ognuna delle due molle diagonali viene attribuito un
opportuno legame elasto-plastico di tipo simmetrico a trazione e compressione.
I parametri necessari alla caratterizzazione della muratura sono: il modulo di deformazione tangenziale
(G), la pendenza del ramo di softening (a sforzo di compressione costante) (Gt), la resistenza media a
taglio in assenza di sforzo normale (k). Infine, limitatamente al caso di materiale alla Coulomb, deve
essere attribuito il valore all’angolo di attrito interno ().
Per quanto riguarda i criteri di snervamento possono essere utilizzati sia il criterio alla Coulomb (cfr.
4.1.2.1), che quello alla Cacovic (cfr. 4.1.2.2).
In entrambi i casi la resistenza a taglio ultima del pannello (Tu), considerando una distribuzione uniforme
di tensioni tangenziali in tutta l’area trasversale del pannello (At), si otterrà semplicemente moltiplicando
la tensione tangenziale ultima per At:
( ) ( )u u tT P p A
dove con p e P vengono indicati rispettivamente la tensione media e lo sforzodi compressione cui è
soggetto il pannello.
Figura 91. Pannello soggetto a una forza tagliante
Considerando le espressioni dei criteri di snervamento scritte in precedenza, e considerando che valgono
le espressioni:
k k t
k k t
T A
P p A
si ha:
- Criterio alla Coulomb: u t k kT A p T P ( )
- Criterio alla Cacovic: 1 2 1 2
2 2
1 11u k
k k k
P P PPT T
b T T b T
o in alternativa, utilizzando un solo parametro di stato:
T
TAt
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- Pag. 81 -
1u k
k
PT T
b T
Fino ad ora si è parlato genericamente di compressione media del pannello, tale parametro tuttavia va
opportunamente definito. Nel più generale dei casi, quello cioè di un pannello interagente lungo tutti i
quattro lati, si avranno quattro diversi sforzi di compressione.
Figura 92. Definizione del parametro di compressione media per un pannello
Nel caso si stia utilizzando un criterio di collasso caratterizzato da un unico parametro di compressione
media, questo verrà determinato come la media tra i quattro valori presenti:
1 2 3 4
1
4P P P P P
Nel caso di criterio alla Cacovic con due parametri, ciascuno di essi verrà determinato in maniera analoga
facendo la media tra i due valori che si riferiscono a ciascuna coppia di lati opposti.
In entrambi i casi, i criteri verranno utilizzati includendo un incrudimento di tipo cinematico con >0. Tale
parametro viene determinato in funzione della rigidezza di softening (Gt):
G Gt
G Gt
Per quanto riguarda lo spostamento ultimo del pannello (u), coerentemente con quanto proposto da
Magenes e Calvi [13], esso si esprime in termini di deformazione angolare ultima (u) della muratura.
Le molle diagonali ereditano tutte le caratteristiche appena descritte, e i parametri che ne caratterizzano
il legame costitutivo sono: la rigidezza iniziale (k), la rigidezza del ramo di softening a sforzo di
compressione costante (kt), la forza di snervamento in assenza di sforzo normale (Fy0), la forza di
snervamento corrente (Fy) funzione della compressione media cui risulta soggetto il pannello.
Di seguito si riportano i grafici relativi al legame costitutivo e al comportamento isteretico (cfr. 4.1.4), con
riferimento a un ciclo di carico a compressione costante.
P1P2
P3
P4
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- Pag. 82 -
(a) (b)
Figura 93. Legame attribuito alle molle diagonali; (a) legame carico spostamento;
(b) ciclo isteretco, a sforzo normale nullo
I parametri meccanici delle molle vengono determinati in relazione alle caratteristiche meccaniche della
muratura imponendo una equivalenza in termini di spostamenti tra il pannello visto come un continuo
elastico e omogeneo, e il modello discreto equivalente, composto dal quadrilatero articolato e le molle
diagonali, soggetti entrambi a una sollecitazione di puro taglio, come riportato in figura.
Figura 94. Equivalenza a taglio tra il modello continuo e il modello discreto
La soluzione del modello continuo a lastra, prevede unicamente una distribuzione di tensioni tangenziali
uniforme; è facile verificare che il drift tra le due facce opposte del solido risulta:
p
t
HAG
T
Con riferimento al modello discreto con analogo spostamento del modello continuo, l’allungamento e la
forza relativi a ciascuna molla diagonale risultano:
)cos(
)cos(
mmdiagm
m
KKF
Ku
Kr
kt
k
uruy
urc
Fy0
uy
Fy0
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- Pag. 83 -
Figura 95. Deformazioni nel sistema continuo e discreto
Nelle precedenti espressioni si è indicato con At l’area trasversale del pannello relativa alla forza tagliante
T, con p l’angolo formato tra tale superficie e la diagonale, con Hp l’altezza del pannello ossia la
dimensione ortogonale ad At.
Considerando inoltre che i due sistemi sono soggetti alla medesima forza di taglio e che nel sistema
discreto vi è la contemporanea presenza di due molle, si ha:
2 cos( )m pT F
Sostituendo quest’ultima nell’espressione dello spostamento del modello discreto, si ottiene:
mp
p
t K
TH
AG
T
)(cos2 2
da cui si ricava la rigidezza di ciascuna molla diagonale:
)(cos2 2
pp
tm
H
AGK
Analogamente la rigidezza del ramo di softening risulta:
)(cos2 2
pp
ttm
H
AGK
Tutte le formule sopra riportate naturalmente sono valide nell’ipotesi che entrambe le molle abbiano un
legame costitutivo simmetrico rispetto all’origine.
Ricavando l’espressione della forza di snervamento della molla si ha:
)cos(2
)(
)cos(2
)(
p
tu
p
uu
APPTF
Infine per quanto riguarda lo spostamento ultimo delle molle si ottiene:
)cos( ppuu H
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- Pag. 84 -
4.1.3. COMPORTAMENTO A SCORRIMENTO
Oltre alla simulazione del comportamento presso-flessionale, l’elemento interfaccia ha una seconda e
altrettanto principale funzione, che è la gestione degli scorrimenti tra pannelli a contatto tra loro. Si
distingue tra scorrimento nel piano dei pannelli e scorrimento fuori piano; tali comportamenti sono
governati complessivamente da tre molle non lineari, una posta in direzione dell’interfaccia (scorrimento
nel piano) e due in direzione ortogonale poste in corrispondenza di due opportuni punti dell’interfaccia
(scorrimento fuori piano). Lo scorrimento nel piano è presente sia dal modello piano (cfr. 3.1.1), mentre
le due molle che regolano lo scorrimento fuori piano sono inserite nel caso in cui il comportamento sia
tridimensionali (cfr. 3.1.2).
Il comportamento a scorrimento per sua natura è un comportamento ad attrito, ossia di tipo rigido
plastico, la cui forza limite corrente può essere facilmente determinata con un criterio di snervamento alla
Coulomb, le cui proprietà sono state descritte in precedenza (cfr. 4.1.2.1).
La muratura viene quindi caratterizzata da due parametri di resistenza: uno che rappresenta la coesione
(c), o resistenza in assenza di tensioni normali, e l’altro l’angolo di attrito interno ). Tale coppia di
parametri si riferisce a una determinata superficie di scorrimento. Coerentemente con quanto visto per il
comportamento a flessione, anche nel caso del comportamento a scorrimento è necessario tenere conto
del carattere ortotropo della muratura. Basti infatti pensare al diverso comportamento tra lo scorrimento
lungo i letti di malta e lungo la direzioni ad essi ortogonale. Vengono quindi attribuiti due valori differenti
di coesione e angolo di attrito interno per ciascuna direzione principale del materiale. I valori relativi alla
direzione dell’interfaccia vengono ottenuti mediante la medesima interpolazione descritta nel caso del
comportamento a flessione. Nel seguito con c e vengono indicati genericamente i valori relativi alla
superficie di scorrimento coincidente con l’interfaccia. La superficie tensione limite di scorrimento media si
esprime nella forma:
c p lim
dove p rappresenta la tensione di compressione media agente lungo la superficie dell’interfaccia.
Indicando con At l’area trasversale effettivamente a contatto tra le due superfici, la forza limite che
provoca lo scorrimento si può scrivere nella forma:
u tT c A P
Figura 96. Scorrimento lungo i giunti di malta
dove con P viene indicato lo sforzo di compressione agente in corrispondenza della superficie
dell’interfaccia.
P
P
Tu
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- Pag. 85 -
Ciò equivale ad avere supposto una distribuzione di tensioni tangenziali uniformi in tutta l’area a contatto.
Sia il valore di P che quello dell’area di contatto fra i pannelli sono variabili durante l’analisi. In particolare,
ad un’area di contatto nulla corrisponde una resistenza a scorrimento anch’essa nulla.
Il legame a scorrimento viene considerato non incrudente e non degradante. Tale comportamento viene
ottenuto come caso particolare del legame alla Coulomb descritto in precedenza ponendo =0. Viene
previsto un comportamento isteretico caratterizzato da scarico con rigidezza iniziale.
Non viene previsto uno spostamento limite oltre il quale la molla debba essere scaricata.
Le molle di interfaccia poste per simulare lo scorrimento, possono essere caratterizzate mediante un
legame elastico perfettamente plastico con limite allo snervamento alla Coulomb.
La figura sottostante riporta lo schema meccanico equivalente di una molla allo scorrimento.
Figura 97. Schema meccanico del comportamento a scorrimento dell’interfaccia, limitatamente al caso piano
La scelta di inserire due molle allo scorrimento fuori piano anziché una (come avviene nel caso piano), è
giustificata dalla volontà di cogliere il comportamento torsionale del pannello, legato allo scorrimento
nella direzione ortogonale al pannello stesso.
Figura 98. Simulazione della torsione dovuta allo scorrimento fuori piano tra due pannelli
Tali molle sono state poste a B/4 dai vertici dell’interfaccia, così da riprodurre in media la distribuzione
delle tensioni tangenziali relative a uno scorrimento torsionale.
T
TP
P
friction sliding surface
Fy
P
f 0
, f 0, A)
rigidezza elastica
F
u
Kscorr
(Kscorr)
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I parametri meccanici delle molle si ricavano direttamente dalle caratteristiche della muratura,
considerando per ciascuna la propria area di influenza (Ac), coincidente con l’intera sezione per la molla a
scorrimento nel piano, a metà sezione per le due molle a scorrimento fuori piano.
Figura 99. Aree di influenza delle molle a scorrimento: (a) nel piano; (b) fuori piano
La resistenza di ciascuna molla dipende dalla porzione reagente dell’area di influenza in quanto realmente
a contatto tra i due pannelli (Am). Tale area varia al procedere del processo di carico e viene determinata
considerando le molle trasversali attive ricadenti nell’area di influenza della molla in esame. Per molle
inattive si intendono le molle che si trovano in fase di trazione e che hanno raggiunto limite ultimo di
deformazione per cui totalmente scariche (cfr. 4.1.1.2).
Analogamente, lo sforzo di compressione Pm relativo a ciascuna molla a scorrimento viene calcolato come
somma delle forze agenti nelle molle attive ricadenti all’interno dell’area di influenza della molla,
conteggiando sia le forze di compressione che di trazione. La resistenza ultima di ciascuna molla (Tm)
sarà quindi data da:
m m mT c A P
Nel caso in cui tutte le molle trasversali dell’area di influenza di una molla a scorrimento divengono
inattive, questa viene scaricata dal carico cui risulta soggetta e il suo stato viene portato allo stato
iniziale.
Per quanto riguarda la rigidezza da attribuire alle molle a scorrimento, quella nel piano e le due fuori
piano vengono trattate diversamente.
Per quanto riguarda la rigidezza iniziale da attribuire alla molla a scorrimento nel piano, si possono
seguire due approcci. Il primo consiste nel riconoscere tale rigidezza come rappresentativa del
comportamento iniziale, di tipo elastico delle superfici di scorrimento ossia dei giunti di malta; in tal caso
definendo con Gm il modulo tangenziale relativo al giunto di malta, e con Am il valore corrente dell’area a
contatto, con hm lo spessore medio dei giunti, la rigidezza da attribuire alla molla a scorrimento risulta:
m m
m
m
G AK
h
In ogni caso la determinazione della rigidezza da attribuire alla molla a scorrimento nel piano sembra
essere quanto mai una operazione incerta, come anche l’eventuale determinazione del modulo G della
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malta o dello spessore dei giunti. Inoltre percorrendo tale approccio, la rigidezza delle molle a rigore deve
dipendere dall’area attuale di contatto e quindi dovrebbe essere variabile durante l’analisi.
L’alternativa che appare più auspicabile, almeno dal punto di vista applicativo, è quella di impostare un
valore di rigidezza sufficientemente alto rispetto alle altre rigidezze del modello in modo da ripristinare, in
modo numerico, un comportamento di tipo rigido-plastico.
È importante puntualizzare che gli elementi resistenti a scorrimento sono elementi monodimensionali e
quindi nelle interfacce gli scorrimenti plastici corrispondono alle deformazioni plastiche delle molle a
scorrimento, che non sono associate a nessuna deformazione plastica in direzione trasversale.
Figura 100. cinematica a scorrimento dell’interfaccia
Così facendo si perde inevitabilmente la possibilità di modellare qualsiasi fenomeno di dilatanza
rappresentativa di possibili fenomeni di ingranamento delle superfici soggette allo scorrimento.
Le molle a scorrimento fuori piano vengono invece modellate in modo tale da simulare anche la rigidezza
a taglio fuori piano della muratura e il comportamento torsionale dei pannelli murari. La rigidezza di
ciascuna delle due molle è calibrata sulla base della rigidezza a taglio fuori piano della porzione di
muratura cui afferisce, secondo la seguente espressione:
0
1
2
2
Nmollei
mi i
G AK
l
dove
Ai è l’area di ciascuna fibra;
li è la lunghezza di ciascuna fibra considerata;
Nmolle è il numero totale di molle di interfaccia.
La rigidezza così ottenuta è quella relativa ad uno dei due pannelli afferenti all’interfaccia. Pertanto, ove
necessario, le rigidezze relative a due pannelli afferenti all’interfaccia, vanno combinate in serie. Infine, la
distanza tra le due molle a scorrimento fuori piano viene stabilita in modo da garantire un’equivalenza col
comportamento torsionale dell’elemento. Si può vedere che tale distanza è pari a circa la metà della
lunghezza del lato corrispondente; pertanto ciascuna delle due molle a scorrimento fuori piano è posta
nel baricentro geometrico della porzione di area cui afferisce.
,p,p
scorrimento interfacciadeformazione molla
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4.1.4. COMPORTAMENTO CICLICO
Vengono presi in considerazione diverse possibili leggi di scarico al fine di adattare tale legame a più
situazioni:
- scarico orientato all’origine (cfr. 4.1.4.1);
- scarico con rigidezza iniziale (cfr. 4.1.4.1);
- legame di tipo degradante (cfr. 4.1.4.2).
4.1.4.1. LEGAMI ISTERETICI SENZA DEGRADO
In questa categoria rientrano il legame con scarico con rigidezza iniziale e quello orientato all’origine,
certamente più semplici, ma che possono essere efficacemente utilizzati per la modellazione del
comportamento assiale della muratura o eventualmente degli elementi asta non lineari. Nel primo caso
non viene previsto alcun degrado di resistenza, mentre il legame con scarico orientato all’origine prevede
un degrado della rigidezza. La figura sottostante riporta tali cicli isteretici relativamente ad una legge di
carico monotona di tipo elastoplastico.
Figura 101. cicli isteretici implementati; (a) scarico con rigidezza iniziale; (b) scarico con rigidezza orientata all’origine
È possibile prevedere leggi di scarico differenti a compressione e trazione. Tale possibilità risulta utile per
la modellazione del comportamento presso-flessionale della muratura, per il quale può essere assegnata
una legge di scarico orientato all’origine nel caso di trazione e con rigidezza iniziale nel caso di
compressione. Il raccordo tra il ciclo a scarico con rigidezza iniziale e quello a rigidezza orientata
all’origine avviene tramite un tratto di sliding a tensione nulla.
Figura 102. ciclo isteretico utilizzato per la modellazione del comportamento assiale/flessionale della muratura
a
b
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4.1.4.2. LEGAME ISTERETICO CON DEGRADO
Utilizzando il legame con rigidezza orientata all’origine si prevede già un degrado della rigidezza con il
progredire delle deformazioni plastiche e quindi del degrado del materiale. Tuttavia dalle esperienze
condotte su pannelli murari si è osservato anche un sensibile decremento della resistenza. Tale
decremento può essere pensato dipendente dall’entità delle deformazioni plastiche e dal numero di cicli di
carico.
Si è pertanto introdotto un legame di tipo degradante, simmetrico rispetto all’origine, in cui il
danneggiamento viene fatto dipendere sia dalle deformazioni plastiche sia dall’energia dissipata [14,15].
Tale tipologia di legami è stata ampiamente studiata nel passato, soprattutto nell’ambito degli elementi in
c.a. [16].
Un legame costitutivo isteretico con degrado è caratterizzato da due distinti moduli di deformazione
normale: quello di scarico (Eu) e quello di ricarico (Er), oltre al modulo iniziale (E).
Il modulo di scarico viene utilizzato ogni qualvolta il sistema passa dalla fase plastica a quella elastica. Il
modulo di ricarico invece viene utilizzato tutte le volte che si verifica una inversione di segno della
tensione. Entrambi i moduli sono funzione del modulo di deformabilità iniziale secondo le formule:
01u IE K K con 10 ;
max
( )(1 )
y p
r
r
E Du
con 10 ; 10 D ;
dove:
y è la tensione di snervamento,
r- è la deformazione plastica di segno attuale,
r+ è la deformazione residua registrata a scarico ultimato,
E0 è il modulo di deformabilità iniziale,
EI è il modulo orientato all’origine.
Nella figura che segue viene riportato un ciclo isteretico caratterizzato da N costante e >0 =0).
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Figura 103. ciclo di isteresi legame con degrado
Dall’espressione di Eu si nota che per =0 si ottiene uno scarico con rigidezza iniziale mentre ponendo
=1 si ottiene uno scarico orientato all’origine. Quindi tale legame può comprendere come casi particolari
i due legami isteretici visti in precedenza.
Con il termine D si indica una funzione di danno da definire in modo opportuno mentre il parametro
determina l’incidenza del danno sulla riduzione della rigidezza di ricarico. Proprio l’introduzione della
funzione di danno consente di avere un progressivo degrado della rigidezza e della resistenza anche per
cicli di carico con ampiezza costante di deformazione, come illustrato nella figura sottostante in cui si
assume: N=cost.; =0;>0; >0.
Figura 104. degrado della resistenza all’aumentare dell’energia dissipata.
Si osservi che il legame isteretico caratterizzato da scarico e ricarico orientato all’origine, descritto prima,
si riottiene come caso particolare ponendo =0; =0.
Il legame appena descritto può essere quindi visto come una evoluzione del legame con scarico orientato
all’origine che già prevede una prima forma di degrado. Rispetto a questo, però, presenta il vantaggio
che l’ampiezza del ciclo di isteresi può essere opportunamente tarata, oltre alla disponibilità di una
funzione di danno che evolve anche per cicli di carico di ampiezza costante.
Eu
E
ErEu
0
12=7
3=8
4
5
6
9
Et
Er
Er
Er
0
Er
E
Et
Eu
ErEu
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4.1.5. RINFORZO MEDIANTE METODOLOGIA CAM
L’adozione di sistemi di tirantature diffuse nelle tre direzioni ortogonali, in particolare anche nella
direzione trasversale, migliorano la monoliticità ed il comportamento meccanico del corpo murario,
incrementandone la resistenza a taglio e a flessione nel piano e fuori del piano, come previsto nella
Circolare NTC2008 pag. 425 par. C8A.5.6 Interventi volti ad incrementare la resistenza nei maschi murari.
I nastri sono pretesi e quindi viene applicato un benefico stato di precompressione agli elementi in
muratura su cui sono posti in opera.
Figura 105. Elementi base per l’applicazione del metodo CAM: piastra diffusore di carico, elemento d’angolo, nastri in
acciaio inox
Attraverso gli speciali elementi di connessione, i nastri di acciaio inox consentono di realizzare un sistema
continuo di tirantature, in grado di ripercorrere tutte le irregolarità della muratura, sia in orizzontale che
in verticale, così da migliorare la resistenza a taglio e quella flessionale dei maschi murari.
Ogni nastro viene utilizzato per cucire la muratura attraverso due fori a distanza compresa tra i 100 ed i
200 cm e viene chiuso ad anello mediante una macchina capace di imprimere al nastro una pretensione
regolabile e, dunque, una precompressione nella muratura, sia trasversale che complanare alla parete
trattata.
Il sistema prevede, inoltre, l’utilizzo di elementi intermedi diffusori di carico e di continuità meccanica:
sono i piatti imbutiti (piastre di acciaio inox di dimensioni 125x125 mm, dotate di foro ad imbuto. Tali
piastre svolgono la funzione di distribuzione delle forze di contatto tra nastro e muratura e di
assorbimento delle tensioni di trazione prodotte dalla muratura intorno al foro da due avvolgimenti
contigui. A completamento del sistema sono previsti degli elementi d’angolo diffusori di carico, sempre in
acciaio inox, da utilizzare per l’avvolgimento dei nastri in corrispondenza delle aperture o delle zone
terminali delle pareti, al fine di ripartire il carico della risultante che agisce a 45° su una superficie
d’appoggio sufficientemente ampia.
Il sistema può essere posto in opera secondo maglie quadrate, rettangolari o triangolari, anche irregolari;
normalmente si adotta una disposizione dei fori a quinconce.
I vantaggi conseguibili con il sistema CAM sono i seguenti:
il sistema è intrinsecamente modulabile ed aperto: modulabile sta a significare la possibilità di
ottimizzarne l’uso aumentando o diminuendo il numero delle legature in funzione delle richieste
locali; aperto nel senso che la disposizione delle maglie, gli interassi di reticolo ed il percorso
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stesso delle legature può essere definito e specializzato a piacere in funzione delle particolari
esigenze puntuali;
ne discende la possibilità di seguire lo sviluppo delle pareti anche quando questo non fosse
rettilineo, pur conseguendo la stessa efficacia di incatenamento/consolidamento;
i nastri di acciaio inox svolgono un ruolo attivo, imprimendo alla muratura un benefico stato di
precompressione, sia nel piano della parete, orizzontalmente e verticalmente, sia in direzione
trasversale, collegando efficacemente i paramenti dell’apparecchio murario; questo stato di
precompressione ritarda la formazione di lesioni e fessure e rende le armature immediatamente
attive e capaci di impedire o limitare significativamente la formazione di grandi lesioni e di
sconnessioni;
la resistenza delle murature viene sfruttata integralmente, non essendo il loro coinvolgimento
legato all’aderenza tra la muratura e l’intonaco cementizio, ma, al contrario, ad un collegamento
meccanico totalmente controllabile;
lo stato di presollecitazione del nastro di acciaio fa si che il contributo della resistenza a trazione
di questo sia subito attivo fin dai valori più bassi di incremento di sollecitazione nella muratura (in
presenza di armatura ‘scarica’, invece, ulteriori cedimenti/spostamenti sono necessari per
chiamarne in causa il contributo resistente significativo);
la tecnologia è poco invasiva (la rimozione dei nastri richiede solo l’asportazione dell’intonaco non
più necessariamente cementizio);
l’acciaio inox garantisce la totale affidabilità nel tempo del sistema;
l’efficacia delle legature trasversali, garantita dai collegamenti meccanici e dalla pretensione dei
nastri di acciaio, permette di ridurre il loro numero, e, conseguentemente, il numero di
perforazioni da effettuare sulla muratura, riducendo l’invasività dell’intervento (il numero delle
forature è limitato ad interassi che possono variare solitamente da 100 a 200 cm
convenientemente posti a quinconce (maglia conseguente 50100 cm));
non vi è incremento di peso e, quindi, di massa sismica;
Figura 106. Cordolo CAM in sommità (Sostituisce il cordolo in C.A.) e cordolo di piano (Sostituisce le spillature)
l’apparecchio murario conserva inalterata la sua ‘natura’: il rinforzo agisce in modo discreto;
non contiene-nasconde l’apparecchio murario; concorre con esso, senza sostituirsi a questo; ne
conserva completamente le sue peculiarità (ruolo portante, traspirabilità, accessibilità,
testimonianza costruttiva);a meno delle forature, il sistema è completamente reversibile;
la messa in opera dei nastri di acciaio può essere, eventualmente, completata con l’iniezione della
muratura attraverso i fori praticati per il passaggio dei nastri stessi, iniezione che, grazie
all’inossidabilità dell’acciaio, può essere effettuata anche con miscele leganti non cementizie. Si
ottiene in tal modo la possibilità di reintegrare la continuità muraria specialmente in quelle
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- Pag. 93 -
situazioni in cui appaia particolarmente evidente la presenza di vuoti; l’effetto di imbibizione è
inoltre reso particolarmente efficace dal numero dei fori, dalla loro dimensione ( 35 mm) e dal
fatto che sono a tutto spessore, assicurando così una ottimale permeazione del legante;
i collegamenti tra avvolgimenti adiacenti è assicurato meccanicamente in maniera totalmente
controllabile ed affidabile;
i collegamenti in verticale tra le pareti di piani successivi sono facili da realizzare;
il piccolo spessore dei nastri permette l’adozione di intonaci tradizionali, negli spessori usuali, così
da non alterare i pesi strutturali;
il sistema di cucitura risolve automaticamente anche il problema delle connessioni, spesso
carenti, tra pareti ortogonali; per contrastare il ribaltamento dei paramenti murari, infatti, è stata
tenuta in conto l’azione di collegamento espletata dalle cuciture attive, secondo i criteri meglio
evidenziati nella relazione di calcolo allegata alla presente. Tale azione di collegamento integra
quella espletata dai cordoli e dai tiranti;
la conservazione degli intonaci tradizionali elimina le problematiche create dall’uso degli intonaci
cementizi, indispensabili nelle applicazioni delle reti elettrosaldate;
l’utilizzazione dell’acciaio inox garantisce una buona duttilità d’insieme.
Dal punto di vista del miglioramento strutturale, infine, sono da sottolineare ulteriormente i seguenti
aspetti:
il sistema di cucitura risolve efficacemente, in termini di forza di collegamento e di distribuzione
dell’azione, anche il problema delle connessioni, spesso carenti, tra pareti ortogonali;
l’azione di collegamento diffusa nell’estensione del reticolo scongiura forti concentrazioni di carico
e quindi l’esigenza di vistosi elementi di trasferimento/ripartizione di questo;
nel suo complesso il sistema consente quindi di perseguire un reale comportamento a scatola, nel
collegamento delle pareti tra di loro, delle pareti agli orizzontamenti, e del profilo di colmo al
cordolo quando presente, realizzando nella sostanza un corpo unico ideale;
l’utilizzazione dell’acciaio inox garantisce, oltre che un incremento del carico ultimo, una buona
duttilità d’insieme, il che consente di attivare tutte le riserve resistenti nelle condizioni limite di
lavoro della struttura;
l’adozione dell’acciaio inox garantisce la piena affidabilità nel tempo.
La posa in opera presenta, a sua volta, vari aspetti positivi, quali:
non è richiesta nessuna preparazione delle superfici, in quanto l’azione di rinforzo - come già
detto - non interviene per aderenza, ma è conseguente ad un collegamento meccanico;
non vanno rimossi gli impianti ed, anzi, essi rimangono pienamente accessibili, interferendo il
passaggio delle legature solo puntualmente, senza che ci debba essere, peraltro, alcun contatto;
l’asportazione dell’intonaco, qualora in buono stato, può essere limitato alla sola realizzazione
delle tracce lungo il percorso delle legature;
il piccolo spessore dei nastri e la loro qualità (inox) permette l’adozione di intonaci tradizionali,
negli spessori usuali, così da non alterare i pesi strutturali;
i collegamenti in verticale tra le pareti di piani successivi sono facili da realizzare (anche senza la
demolizione del solaio, in quanto è sufficiente praticare fori di diametro di circa 30 mm in
adiacenza alla parete) e sicuri nel risultato; come già detto, si realizza così un sensibile
miglioramento delle caratteristiche di resistenza a flessione sia nel piano dei maschi murari che
nel piano ortogonale;
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la correttezza dell’esecuzione è intrinsecamente garantita: stabilito il reticolo, e ferme restando le
competenze degli esecutori, non vi è economia potenziale tra una cattiva posa in opera ed una a
regola d’arte e lo stato di pretensionamento è facilmente verificabile anche da un non esperto.
Ulteriori dettagli sulla metodologia di rinforzo CAM possono essere trovate in [17].
4.1.5.1. PROCEDURE DI TARATURA
Il sistema delle cuciture attive consente di migliorare il comportamento delle pareti murarie cui viene
applicato. Il miglioramento avviene per ciascuno dei principali meccanismi di collasso nel piano
caratteristici dei pannelli murari.
Vengono considerate tre principali direzioni di applicazione delle cuciture nei pannelli murari: quella
orizzontale, quella verticale, e quella inclinata orientata secondo la diagonale della maglia individuata
dalla direzioni orizzontale e verticale. Nella figura sottostante è riportato lo schema di intervento su una
parete.
Figura 107. Schema di rinforzo di un pannello murario
Per il generico pannello murario rinforzato con il sistema CAM si considerano le seguenti posizioni:
s spessore della muratura
b base del pannello
h altezza del pannello
hp passo dei nastri disposti orizzontalmente
vp passo dei nastri disposti verticalmente
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- Pag. 95 -
2 2
d h vp p p passo dei nastri disposti diagonalmente
hN numero dei nastri disposti orizzontalmente
vN numero dei nastri disposti verticalmente
dN numero dei nastri disposti diagonalmente
hn numero di avvolgimenti dei nastri disposti orizzontalmente
vn numero di avvolgimenti dei nastri disposti verticalmente
dn numero di avvolgimenti dei nastri disposti diagonalmente
phF forza di pretensione di un singolo nastro in direzione orizzontale
pvF forza di pretensione di un singolo nastro in direzione verticale
pdF forza di pretensione di un singolo nastro in direzione diagonale
ph tensione di precompressione dei nastri disposti orizzontalmente
pv tensione di precompressione dei nastri disposti verticalmente
pd tensione di precompressione dei nastri disposti verticalmente
yF forza di snervamento di un singolo nastro
nA area della sezione di un singolo nastro
nK rigidezza elastica di un singolo nastro
0 tensione tangenziale limite della muratura in assenza di tensione normale ed in assenza di
rinforzo
o tensione tangenziale limite della muratura in assenza di tensione normale ed in presenza di
rinforzo CAM
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ˆk tensione tangenziale limite della muratura in presenza di tensione normale ed in presenza di
rinforzo CAM
T tensione di trazione limite della muratura in assenza di rinforzo CAM
T tensione di trazione limite della muratura in presenza di rinforzo CAM
angolo formato tra la direzione dei nastri disposti diagonalmente e quella orizzontale
Figura 108. Schema geometrico di una maglia tipo
Dettagli di modellazione sulla taratura di pannelli non rinforzati sono riportati al par. 4.1.
4.1.5.2. INCREMENTO DELLA RESISTENZA A TRAZIONE NELLE
DIREZIONI ORIZZONTALE E VERTICALE
A seguito dell’inserimento dei nastri CAM si produce un incremento di resistenza e un incremento di
duttilità a trazione.
4.1.5.2.1. INCREMENTO DI RESISTENZA
L’incremento di resistenza può essere facilmente valutato considerando la resistenza a trazione dei nastri
nell’unità di superficie della sezione corrispondente del pannello. Viene distinto l’incremento di resistenza
lungo la direzione verticale e quella orizzontale, per tenere conto di un possibile differente passo dei
nastri nelle due direzioni. In particolare si ha:
in direzione verticale (interfacce orizzontali):
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- Pag. 97 -
ˆ sinv y d y
th
v d
n F n F
p s p s
in direzione orizzontale (interfacce verticali):
ˆ cosh y d y
tv
h d
n F n F
p s p s
4.1.5.2.1. INCREMENTO DI DUTTILITÀ
L’incremento di duttilità è associato al raggiungimento della deformazione limite del nastro soggetto a
maggiore deformazione nel pannello. Tale deformazione può essere determinata considerando la
rotazione del pannello. Con riferimento alla figura _ si ha che a vantaggio di sicurezza tale deformazione
può essere associata a quella della molla soggetta alla massima deformazione di allungamento nel macro-
elemento. Al raggiungimento della deformazione limite il pannello si considera rotto soltanto se
globalmente la rotazione del pannello murario supera il 0.8% (limite imposto dalla norma la paragrafo
7.8.2.2 per pannelli non rinforzati).
Il legame costitutivo delle molle di interfaccia in presenza del rinforzo CAM considera, a vantaggio di
sicurezza, la rigidezza della sola muratura e la resistenza dei soli nastri. In tale ipotesi il legame costituivo
risulta elasto-plastico a deformazione limitata.
La modifica della resistenza a trazione e della corrispondente duttilità produce un incremento di
resistenza nei confronti del meccanismo di collasso di rocking per presso o tenso-flessione.
4.1.5.3. INCREMENTO DELLA RESISTENZA A TAGLIO PER FESSURAZIONE
DIAGONALE
A seguito dell’inserimento dei nastri CAM si produce un incremento di resistenza e un incremento di
duttilità nei confronti della rottura a taglio per fessurazione diagonale.
4.1.5.3.1. INCREMENTO DI RESISTENZA
L’incremento di resistenza nei confronti del meccanismo di taglio con fessurazione diagonale è associato a
due effetti dovuti al rinforzo con i nastri CAM. Da un lato la pretensione nei nastri produce un aumento
generalizzato negli sforzi di compressione sia in direzione orizzontale che in direzione verticale; dall’altro
la presenza dei nastri produce, come evidenziato nel paragrafo precedente, un aumento della resistenza
a trazione del complesso murario rinforzato. Il contributo di ciascuno di questi due effetti, in un approccio
semplificato, può essere valutato separatamente.
Incremento di resistenza dovuto alla pretensione:
Se si adotta il criterio di Mohr-Coulomb l’incremento di resistenza dovuto alla pretensione è associato
all’aumento della tensione della direzione ortogonale all’azione tagliante. Senza perdita di generalità si
considera il taglio agente in direzione orizzontale, considerando che lo sforzo di pretensione del singolo
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- Pag. 98 -
nastro verticale sia pari a pvF
(analogamente può essere valutato l’incremento relativo alle altre
direzioni) l’incremento di tensione normale nv (in direzione verticale) risulta dato da
cosv pv d pd
nv
v d
n F n F
s p s p
cui corrisponde in incremento della tensione tangenziale limite
k nv
essendo l’angolo di attrito associato alla rottura per fessurazione diagonale.
Incremento di resistenza associato all’incremento generalizzato della resistenza a trazione del complesso
muratura-CAM:
Con riferimento ad un meccanismo di rottura di puro taglio (in assenza di sforzo normale) la crisi per
fessurazione diagonale può essere associata al raggiungimento della tensione limite di trazione.
Assumendo, in via semplificativa, un comportamento elastico-lineare fino a rottura l’incremento di
tensione tangenziale limite può essere posto, con riferimento al cerchio di Mohr in uno stato tensionale di
puro taglio, pari all’incremento di resistenza a trazione come mostrato nella successiva figura. Pertanto
l’incremento della tensione tangenziale in assenza di sforzo normale per effetto della presenza dei nastri
CAM si può porre pari a:
ˆ ˆˆ
2
th tvo
ovvero
sin cos
ˆ2
v y h y d y
v h do
n F n F n F
p s p s p s
Per quanto detto la resistenza a taglio associata alla muratura rinforzata con il sistema CAM risulta data
da
ˆ ˆk o o nv pv
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- Pag. 99 -
Figura 109. Incremento della resistenza a taglio nel piano delle tensioni
4.1.5.3.1. INCREMENTO DI DUTTILITÀ
Le prove sperimentali hanno mostrato un notevole incremento di duttilità nella muratura rinforzata con i
nastri CAM, in via cautelativa si considera un aumento di duttilità nel meccanismo di fessurazione
diagonale pari al 50%.
4.1.5.4. CRITERIO DI ROTTURA PER TAGLIO-SCORRIMENTO
Al criterio di rottura per taglio scorrimento si associa classicamente il criterio di resistenza di Mohr-
Coulomb. Per il generico pannello murario rinforzato con il sistema CAM si considerano le posizioni
descritte precedentemente.
4.1.5.4.1. INCREMENTO DI RESISTENZA
L’incremento di resistenza nei confronti del meccanismo di taglio per scorrimento è associato alla
pretensione nei nastri produce un aumento generalizzato negli sforzi di compressione nell’interfaccia.
Se si adotta il criterio di Mohr-Coulomb l’incremento di resistenza dovuto alla pretensione è associato
all’aumento della tensione della direzione ortogonale all’azione tagliante. Senza perdita di generalità si
considera un’interfaccia disposta lungo la direzione orizzontale, considerando che lo sforzo di pretensione
del singolo nastro verticale sia pari a pvF
(analogamente può essere valutato l’incremento relativo alle
altre direzioni) l’incremento di tensione normale nv (in direzione verticale) risulta dato da
cosv pv d pd
nv
v d
n F n F
s p s p
cui corrisponde in incremento della tensione tangenziale limite
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k nv
essendo l’angolo di attrito associato alla rottura per fessurazione diagonale.
Per quanto detto la resistenza a taglio per scorrimento associata alla muratura rinforzata con il sistema
CAM risulta data da
k o nv nv
4.1.6. RINFORZO MEDIANTE L'UTILIZZO DI COMPOSITI FIBRORINFORZATI
Si tratta di materiali composti da due fasi distinte: una matrice polimerica di natura organica e da fibre di
rinforzo. La matrice può, in genere, essere assimilata a un continuo isotropo mentre le fibre hanno un
comportamento marcatamente anisotropo, caratterizzato dalle seguenti proprietà:
geometria : forma, dimensioni e distribuzione delle dimensioni;
disposizione : orientamento rispetto agli assi di simmetria del corpo, se l'orientamento delle
fibre è casuale il comportamento complessivo del composito è pressoché isotropo, viceversa si ha
un comportamento anisotropo.
concentrazione : frazione di volume, distribuzione della concentrazione (dispersione).
I materiali fibrorinforzati si suddividono in:
monostrato: (lamina);
multistrato: (laminati);
I laminati sono costituiti da più strati sovrapposti di spessore pari a qualche decimo di millimetro (detti
lamine); in genere le fibre sono contenute nel piano delle lamine, sono quindi assenti fibre disposte
ortogonalmente al piano delle lamine.
I compositi fibrorinforzati garantiscono valori di rigidezza e resistenza. Nel caso di laminati unidirezionali,
le proprietà sono fortemente dipendenti dalla direzione di carico (comportamento anisotropo), si
riportano a titolo di esempio i valori dei coefficienti di anisotropia, definiti come rapporto tra le
caratteristiche meccaniche nelle diverse direzioni (dati contenuti nella CNR 200/2004).
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 101 -
(Tabella 2-3 CNR 200/2004)
Le fibre più utilizzate nella produzione dei materiali compositi sono:
fibre di vetro (GFRP);
fibre di carbonio (CFRP);
fibre aramidiche (AFRP);
Le fibre di carbonio offrono una rigidezza e resistenza maggiore rispetto alle altre tipologie di fibre, inoltre
sono le meno sensibili a fenomeni di degrado per agenti atmosferici, deformazioni viscose o rottura per
fatica. Le fibre sono costituite da "filamenti" continui con diametro pari a circa 10 m. I filamenti vengono
raggruppati in fasci per formare i "fili". Questi sono composti da un gran numero di filamenti, con o senza
torsione dei fili.
(Confronto tra le tipologie di fibre: comportamento a trazione monoassiale Fig. 2-6–CNR 200/2004)
I prodotti di materiale composito più frequentemente impiegati per il rinforzo strutturale sono:
Lamine e profilati: Si tratta di elementi mono-dimensionali realizzati con strutture fibre
continue impregnati da una matrice resinosa. Tali elementi si presentano rigidi e non possono
essere pertanto deformati per aderire alla forma del supporto, il loro utilizzo è indicato in
presenza di superfici regolari.
La tecnica di produzione più diffusa è la "pultrusione": le fibre sono prelevate da un gruppo di
rocchetti e convogliate, attraverso rastrelliere che ne uniformano la disposizione, verso un bagno
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 102 -
di resina, dove avviene l'impregnazione. Il fascio di fibre impregnate entra quindi in uno stampo
riscaldato, che consolida il materiale sotto pressione. Durante questa fase i vuoti presenti tra le
fibre sono eliminati, garantendo così la continuità del materiale in direzione trasversale. La figura
che segue illustra schematicamente il processo di produzione per pultrusione (CNR 200/2004).
Tessuti: Vengono ottenuti per tessitura dei filamenti disposti lungo una sola direzione (tessuti
mono-dimensionali) o in più direzioni (tessuti bi o tridimensionali). Nel caso di tessuti bi-
dimensionali la concentrazione di filamenti nelle due direzioni può essere uguale o differente. Di
recente si stanno sviluppando tessuti con più di due direzioni di tessitura: ad esempio tessuti tri-
dimensionali. In genere i tessuti sono sagomabili garantendo quindi una buona lavorabilità.
Matrici: Costituiscono il materiale all'interno del quale vengono disperse le fibre e al contempo vengono
utilizzate per l'incollaggio del materiale al supporto da rinforzare (acciaio, calcestruzzo, muratura). A tal
scopo vengono utilizzate delle resine generalmente termoindurenti. La resine più utilizzate sono quelle
epossidiche, mono o bi-componente. Dal punto di vista del processo di produzione e messa in opera, i
sistemi di rinforzo posso essere suddivisi in:
sistemi preformati: le fibre (lamine o tessuti) vengono disperse nella matrice in stabilimento,
successivamente in cantiere vengono applicate al supporto mediante incollaggio;
sistemi impregnati in situ: sono dei fogli di fibre (uni o bi-direzionali o tessuti), nella fase di
applicazione viene applicata la resina che funge contemporaneamente da matrice e incollaggio.
sistemi preimpregnati: in questo caso le fibre vengono impregnate con resine parzialmente
polimerizzate. In genere dopo essere stati pre-impregnati costituiscono un foglio sottile e
flessibile che viene avvolto in rotoli.
Il collegamento tra il materiale fibro-rinforzato e il supporto può essere affidato esclusivamente
all'incollaggio o, piuttosto, a sistemi meccanici. Nel primo caso bisogna considerare un limite di resistenza
per perdita di aderenza del rinforzo (delaminazione) secondo quanto previsto dalle norme. Nel secondo
caso invece bisogna basarsi su dati sperimentali, relativi alla tipologia di ancoraggio utilizzata.
Ulteriori dettagli sui materiali fibro-rinforzati sono contenuti in:
NCNR-DT 200/2004: "Istruzioni per la Progettazione, l'Esecuzione ed il Controllo di Interventi di
Consolidamento Statico mediante l'utilizzo di Compositi Fibrorinforzati". CONSIGLIO NAZIONALE DELLE
RICERCHE, 13 Luglio 2004.
Per le procedure di taratura e verifica degli elementi rinforzati, di seguito esposte, si è fatto uso di:
"Linee guida per la Progettazione, l'Esecuzione ed il Collaudo di Interventi di Rinforzo di strutture di c.a.,
c.a.p. e murarie mediante FRP". Documento approvato il 24 luglio 2009 dall' Assemblea Generale
Consiglio Superiore LL PP.
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- Pag. 103 -
Il rinforzo mediante fibre consente di migliorare le caratteristiche della muratura cui viene applicato. Il
miglioramento avviene sia da un punto di vista flessionale che a taglio. Nel seguito verranno illustrate le
procedure seguite per determinare l'incremento di resistenza e duttilità a seguito dell'applicazione del
rinforzo.
4.1.6.1. PROCEDURE DI TARATURA
Si considera la possibilità di disporre fibre lungo due direzioni principali: orizzontale e verticale, con
quantità di area differente. Tale situazione può derivare dall'applicazione di nastri monodimensionali
disposti a passi regolari, oppure dall'applicazione di tessuti bi-dimensionali. L'intervento si suppone
applicato in entrambi i paramenti.
Il rinforzo sarà caratterizzato dalle seguenti grandezze:
,h vA A Area di rinforzo disposta nella direzione orizzontale e verticale nell'unità di lunghezza;
,h vp p passo dei nastri orizzontali e verticali;
Per le fibre si considera un legame costitutivo elastico, perfettamente plastico con limite nelle
deformazioni. Oltre al punto di snervamento del composito si considera il limite di forza che può essere
scambiato considerando il fenomeno della delaminazione (perdita di aderenza tra il rinforzo e il
sottostante supporto). In particolare si indica con:
fE modulo di deformazione normale delle fibre;
fyf forza ultima del rinforzo;
fdf forza ultima trasferibile per delaminazione;
u deformazione ultima del rinforzo;
fd deformazione ultima per delaminazione;
Nel caso viene garantito un ancoraggio pari alla lunghezza ottimale (le) la resistenza ultima per
delaminazione ( fdf ) viene determinata come:
,
0.17 f c tm
fd
ff d M
Ef
t
con : 2e f f tml E t
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 104 -
Nel caso in cui la lunghezza di ancoraggio lb risulta inferiore di le, la resistenza alla delaminazione risulta:
, 2b bfd rid fd
e e
l lf f
l l
4.1.6.2. COMPORTAMENTO A FLESSIONE
L'applicazione del rinforzo mediante materiali fibro-rinforzato produce un incremento della resistenza e
duttilità a trazione. L’incremento di resistenza a trazione può essere facilmente valutato considerando la
resistenza ultima del rinforzo (ffR) data dal minimo tra la resistenza di calcolo delle fibre e la resistenza di
delaminazione, e nell’unità di superficie. Indicando con s lo spessore del pannello l'incremento di
resistenza a trazione lungo una giacitura verticale ( ,t v ) e orizzontale ( ,t h ) risultano:
,
h fR
t v
h
A f
p s
,
v fR
t h
v
A f
p s
La deformazione ultima a trazione della muratura rinforzata ( u ) è data dal minimo tra la deformazione
ultima della muratura ( mu ), la deformazione ultima del rinforzo ( fu ), e la deformazione in
corrispondenza della delaminazione ( ffd ):
min , ,u mu fu ffd
Il legame costitutivo delle molle viene mantenuto elasto plasstico, la rigidezza sia a trazione che a
compressione e la resistenza a compressione a seguito dell'applicazione del rinforzo non vengono
modificate.
4.1.6.3. COMPORTAMENTO A TAGLIO
A seguito dell’inserimento del rinforzo si produce un incremento di resistenza e un incremento di duttilità
nei confronti della rottura a taglio per fessurazione diagonale.
La resistenza a taglio della muratura rinforzata viene determinata come somma tra la resistenza del
pannello non rinforzato (VRm) e la resistenza a taglio conferita dalle fibre (V Rf). Tale formulazione,
coerente con un modello a traliccio equivalente, prevede un limite nelle sollecitazioni delle bielle
compresse. Indicando con b e h rispettivamente base e altezza del pannello e con (c) la resistenza a
compressione della muratura, la resistenza ultima a taglio del pannello rinforzato risulta:
,maxR Rm Rf RV V V V
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- Pag. 105 -
Dove RmV rappresenta la resistenza a taglio della muratura senza rinforzo, RfV la resistenza del rinforzo.
Indicando con d la lunghezza efficace a taglio del pannello posta pari a 2/3b, si ha:
10.6
2
h vRf fR
h v
A AV d f
p p
,max 0.3R CV s b
A questo punto è possibile esprimere l'incremento di resistenza in termini di tensione tangenziale ( )
0
10.6 0.3
3
fRh vRC
h v
fA AV
b s p p s
A seguito dell'applicazione del rinforzo, in via cautelativa, si considera un incremento di duttilità a taglio
nel meccanismo di fessurazione diagonale pari al 50%.
Infine si suppone che l'intervento non alteri la rigidezza elastica ne la dipendenza del taglio ultimo dalla
precompressione media del pannello (criterio di rottura alla Coulomb o Tarnsec-Cacovic). Infine viene
trascurato il contributo del rinforzo in termini di meccanismo a taglio per scorrimento.
4.1.6.4. RINFORZO DI UNA PARETE MEDIANTE FIBRE
Nel seguito si riporta un esempio di rinforzo mediante l'applicazione di un tessuto in CFRP su una parete
di due elevazioni. Le figure sotto riportate mostrano il modello geometrico della parete rinforzata e non
rinforzata, mentre la tabella che segue riporta i parametri caratteristici.
base 500 cm spessore muratura 30 cm
altezza piano 300 cm trave di piano 30x50 cm
altezza totale 600 cm armatura cordolo 420
larghezza maschi 195 cm tipo calcestruzzo C20/25
vano porta 195x190 cm tipo acciaio B 450 C
vano finestra 195x125 cm carico di piano 15 KN/m
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schemi geometrici e parametri caratteristici della parete rinforzata.
Sono state considerate due differenti tipologie di muratura: tipologia M1 coincidente con una muratura di
mattoni di laterizio e malta di calce; tipologia M2 coincidente con una muratura di pietrame disordinato.
La tabella seguente riporta i parametri meccanici delle murature.
Il rinforzo consiste in un tessuto bidirezionale in FRP applicato in ambo i paramenti, la tabella che segue
riporta le caratteristiche del rinforzo con riferimento a un singolo strato.
Le principali caratteristiche del tessuto sono riportate nella tabella seguente:
gram. = grammatura del tessuto in ciascuna direzione;
A = area di fibre lungo ciascuna direzione per unità di lunghezza;
Fy = resistenza massima del tessuto per unità di lunghezza;
Il calcolo dell'incremento di resistenza conferito dai rinforzi è stato effettuato con riferimento ai valori
caratteristici dei materiali (non verranno applicati quindi i coefficienti parziali di sicurezza).
t = spessore del rinforzo considerato ai fini della delaminazione;
MuraturaE
(Mpa)
G
(Mpa)
c
(Mpa)
t
(Mpa)
k
(Mpa)
Vu
(KN)
M1 1500 500 3,20 0,32 0,075 22,5
M2 870 290 1,40 0,14 0,026 7,8
flessione taglio
fibre E (Mpa)fd
(Mpa)
y
(%)
u
(%)
r
(g/cm3)
fibre carbonio (C) 280000 4100 1,46 1,665 1,75
fibre vetro (G) 80000 3445 4,31 4,8 2,5
fibre aramidiche (A) 180000 3600 2,00 3,7 1,45
Matrice polimerica 3600 40 1,11 1,5 1,15
Rinforzo fibregramm.
(g/mq)
A
(mq/m)
Fy
(KN/m)
t
(mm)
R1 C 80 0,000046 187,43 5
R2 C 150 0,000086 351,43 5
TestG
(Mpa)
Ef
(Mpa)
c
(Mpa)
k
(Mpa)
A
(mmq/
mm)
t
(mm)
s
(mm)
M1-R1 500 280000 3,20 0,075 0,0457 0,1 300
M1-R2 500 280000 3,20 0,075 0,0857 0,1 300
M2-R1 290 280000 1,40 0,026 0,0457 0,1 300
M2-R2 290 280000 1,40 0,026 0,0857 0,1 300
Provino lb
(mm)
ffd
(Mpa)
Fy_d
(KN/m)
t
(Mpa)
k
(Mpa)
k
(%)
u
(%)
M1-R1 209,17 286,16 13,0814 0,0436 0,0174 23,2559 0,00349
M1-R2 209,17 286,16 24,5277 0,0818 0,0327 43,6047 0,00654
M2-R1 316,23 189,27 8,6525 0,0288 0,0115 44,372 0,00398
M2-R2 316,23 189,27 16,2235 0,0541 0,0216 83,1976 0,00746
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- Pag. 107 -
I grafici che seguono riportano l'andamento delle curve di capacità (in termini di spostamento massimo e
taglio alla base) dei sistemi rinforzati e non rinforzati a seguito dell'applicazione di una distribuzione di
forze complanari al piano della parete e proporzionali alle masse.
curve di capacità della parete M1 e M2: confronto tra sistema rinforzato e non rinforzato.
Le immagini sotto riportate illustrano il quadro di danneggiamento, dei sistemi rinforzati e non rinforzati,
in corrispondenza dell'ultimo passo dell'analisi.
meccanismi di collasso della parete rinforzata e non rinforzata.
4.1.6.5. SIMULAZIONE DI PROVE SPERIMENTALI SU PANNELLI
Nel seguito viene riportato il confronto tra i risultati ottenuti in 3DMAcro e delle prove sperimentali
condotte su pannelli in muratura di blocchi(1,2) rinforzati mediante nastri orizzontali di fibre in CFRP. I
pannelli hanno dimensioni pressoché quadrati con lato pari a circa 200 cm e spessore pari a 14 cm. Le
0
50
100
150
200
250
300
0 0,5 1 1,5 2
Vb
[KN
]
u top [cm]
M1 M1R1 M1R2
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
0 0,5 1 1,5 2
Vb
[KN
]
u top [cm]
M2 M2R1 M2R2
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 108 -
prove sono state condotte imponendo uno spostamento orizzontale ciclico in testa al pannello. La
condizione di vincolo è quella di doppio incastro, garantita dalla presenza di due travi in c.a. poste alla
base e in testa e collegate da barre metalliche verticali, collocate agli estremi.
(1) Alcaino P., Santa Maria H., Experimental response of externally retrofitted masonry walls subjected to shear loading, ASCE Journal of Composites for Construction, Vol. 12, n. 5, 2008, 489-498.
(2) R. Cuzzilla, G.P. Lignola, A. Prota, G. Manfredi, Simulazioni numeriche di pannelli murari soggetti ad azioni nel piano e rinforzati con compositi, 3° Convegno Nazionale Meccanica delle Strutture in Muratura Rinforzate con Compositi.
meccanismi di collasso osservati durante le prove.
Si riportano nelle tabelle seguenti i valori caratteristici della muratura e delle fibre. In particolare le
caratteristiche della muratura sono state dedotte a partire dalla resistenza dei blocchi (fb=15Mpa) e dalla
malta (considerata come M10), in accordo a quanto previsto nel Testo Unico 2008 per le murature nuove.
Dove: E/G rappresentano i moduli di deformabilità normale e tangenziale della muratura, c/t rispettivamente la
resistenza a compressione e trazione della muratura, k la resistenza a taglio in assenza di sforzo normale, N il
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 109 -
sovraccarico posto in testa al pannello, V0/VU rispettivamente il taglio limite del pannello in assenza di sforzo normale
e considerato il sovraccarico (N).
Le tabelle di seguito riportate contengono il calcolo della resistenza limite del tessuto per delaminazione e
la resistenza del sistema rinforzato, calcolato in accordo alle Linee Guida 2009 e considerando i valori
caratteristici dei materiali. Dato che il nastro è incollato direttamente sui blocchi, si è considerata la
resistenza a compressione e trazione degli elementi lapidei in sostituzione dei parametri generalizzati
della muratura. Per quanto riguarda lo spessore del rinforzo, questi è stato posto pari allo spessore
equivalente, pari allo spessore di un materiale continuo della stessa area e densità delle fibre.
Dove: bf rappresenta la larghezza del nastro, pf il passo dei nastri, t lo spessore efficace ai fini della delaminazione,
c/t rispettivamente la resistenza a compressione e trazione del supporto, A l'area di fibre disposte lungo un metro
di pannello.
Il confronto tra le resistenze sopra calcolate e i risultati sperimentali e di elaborazioni agli elementi finiti,
contenute in (1) e (2). E' facile osservare che le formulazioni contenute nella norma portano a valori
cautelativi del taglio resistente.
Di seguito si riporta il confronto delle curve di capacità ottenute in 3DMacro del pannello non rinforzato,
del pannello rinforzato con passo dei nastri pari a 10cm (H100) e del pannello rinforzato con passo 15cm
(H150).
curve di capacità ottenute in 3DMacro dei pannelli con e senza rinforzo.
0
50
100
150
200
0 0,25 0,5 0,75 1 1,25
Vb
[KN
]
u top [cm]
N.R.
H100
H150
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- Pag. 110 -
Dal confronto tra le resistenze ottenute in 3DMacro (il cui taglio massimo viene dedotto dalle formule di
normativa) e i risultati dei test e di elaborazioni agli elementi finiti(1)(2), si osserva che le resistenze di
progetto ottenute utilizzando le norma sono cautelative rispetto ai valori sperimentali e sufficientemente
in accordo con questi.
confronto delle curve di capacità dei pannelli rinforzati .
4.2. CALCESTRUZZO
Il materiale calcestruzzo viene impiegato nel software nella definizione di sezioni composite, e in quella di
setti in calcestruzzo armato. In particolare il suo legame costitutivo risulta determinante per la
generazione di legami momento-curvatura, ed eventuali domini di interazione delle sezioni in c.a. (cfr.
4.4).
Il legame costitutivo cui si farà riferimento è di tipo parabola-rettangolo con limite di deformabilità a
compressione e non reagenza a trazione, come mostrato nella figura sottostante.
Figura 110. Legame costitutivo del calcestruzzo (parabola-rettangolo)
4.2.1. SETTI IN C.A. – PROCEDURE DI TARATURA
Per la tarature di setti in c.a. si farà riferimento ad un legame elastico perfettamente plastico sia a
trazione che compressione per l’acciaio delle armature, mentre per il calcestruzzo il legame è elastico
perfettamente plastico a compressione e con resistenza nulla a trazione. La trattazione proposta è
riportata in [18].
0
50
100
150
200
250
0,00 0,25 0,50 0,75 1,00 1,25
Vb
[KN
]
u top [cm]
3DMacro
FEM
EXP.
0
50
100
150
200
250
0 0,25 0,5 0,75 1 1,25
Vb
[KN
]
u top [cm]
3DMacro
FEM
EXP.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 111 -
Siano allora per il generico setto
h altezza del setto;
L larghezza del setto;
b spessore dell’elemento di bordo;
a larghezza dell’elemento di bordo;
t spessore della parte centrale;
l larghezza della parte centrale;
G modulo di elasticità tangenziale.
Figura 111. Sezione trasversale della parete considerata: (a) geometria; (b) sezione rettangolare equivalente; (c) area
interessata dal taglio.
4.2.1.1. CRITERIO DI ROTTURA PER TAGLIO-FESSURAZIONE
Per le due molle diagonali, che simulano il comportamento tagliante, Kabeyasawa et al. [19] propongono
un legame forza/spostamento simmetrico con inviluppo trilineare e scarico orientato all’origine. Con
riferimento alla figura sottostante, i punti C e Y corrispondono rispettivamente alla prima fessurazione del
calcestruzzo e allo snervamento delle barre di acciaio.
b
a
Elemento di bordo Elemento di bordoPannello centrale
L
a
l= L
t= b
L
L/2(1+ )
t= b
be
Aw
(a)
(b)
(c)
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 112 -
Figura 112. Legame forza/spostamento trilineare di una molla diagonale
Le rigidezze delle tre fasi lineari )1(
hK , )2(
hK e )3(
hK possono essere calcolate mediante le relazioni proposte
dagli stessi autori
)1()3(
)1(
'
)2(
)1(
001.0
46.014.0
hh
h
c
whwhh
wh
KK
Kf
fK
h
GAK
r
nelle quali
è il fattore di taglio, dato dall’espressione
114
1113
3
2
rwh è il rapporto geometrico di armatura orizzontale del pannello centrale calcolato con riferimento ad
una sezione verticale hbe ;
whf è la tensione di snervamento dell’armatura orizzontale;
cf è la resistenza cilindrica a compressione del calcestruzzo;
e sono parametri geometrici individuabili nella figura 1: Ll / , bt / .
Il valore del taglio di prima fessurazione Vc può essere ricavato utilizzando la relazione empirica
C
YV
K h(1)
(2)hK
K h(3)
C'
Y'
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 113 -
'438.0 cwc fAV
nella quale
Vc è espresso in newton;
l’area Aw è espressa in millimetri quadrati;
cf è espresso in mega-pascal;
Lo sforzo di taglio a cui corrisponde lo snervamento delle barre di armatura Vy si può ritenere prossimo al
taglio ultimo Vu che si può calcolare mediante la seguente espressione empirica dovuta a Hirosawa [20]
0
23.0'
1.0845.012.0
)6.17(0679.0
28
7r
rwhwh
tceu f
faLbV
nella quale
Vu è espresso in newton;
2e
a b l tb
L
;
L, be, sono parametri geometrici già definiti che devono essere espressi in millimetri;
cf e whf sono espressi in mega-pascal;
tr è il rapporto percentuale tra l’area di armatura longitudinale nell’elemento di bordo in trazione As e
l’area efficace della sezione ebaL )2/(
100)2/(
e
st
baL
Ar
0 è la tensione media di compressione, espressa in mega-pascal, riferita alla sezione di base della
parete;
è il rapporto tra l’altezza del punto di applicazione della forza orizzontale risultante attesa sulla parete e
la larghezza della parete.
Si supponga adesso di semplificare ulteriormente il legame trilineare. Viene considerato un legame di tipo
elastico perfettamente plastico in cui il limite di resistenza è dato da uV , mentre la rigidezza elastica può
essere ottenuta mediante la formula
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 114 -
1 2
ueq
c u c
h h
VK
V V V
K K
Eurocodice 8 (par. 2.11.2)
Collasso per compressione diagonale dell’anima
Zone critiche
2 0.4 0.7200
ckRd cd wo
fV f b z
Zone non critiche
2 0.5 0.7200
ckRd cd wo
fV f b z
dove
0.8 wz l è il braccio della coppia interna;
wob è lo spessore dell’anima della parete;
40ckf in MPa
Collasso per trazione diagonale dell’anima
3Rd cd wdV V V
L’espressione del taglio resistente dipende dal parametro
2sw
hl
Si distinguono tre casi:
2.0s , si applicano le disposizioni relative alle colonne;
2.0 1.3s
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
- Pag. 115 -
,wd h yd h woV f b zr
con
hh
wo h
Ab s
r
è il rapporto di armatura delle barre d’anima orizzontali;
,yd hf valore di progetto della tensione di snervamento dell’armatura d’anima orizzontale;
1.3 0.3s
, ,0.3 1.3wd h yd h s v yd v s woV f f b zr r
Inoltre si ha:
1.2 40cd Rd woV b z r
dove
Rd è il valore di progetto base della resistenza a taglio;
s
wo
Ab z
r
rapporto di armatura in zona tesa.
Infine si ha:
2 3min ,u Rd RdV V V
Dal taglio ultimo e dalla rigidezza elastica del setto, è possibile risalire alle caratteristiche equivalenti da
attribuire ai materiali. In particolare si ha:
' 0.23
0,
0.0679( 17.6)7
8 2 0.12
c te
eq
sez
fab L
A
r
70.1
8 2e
eq
sez
ab L
A
con
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
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2sezA a b l t
4.2.1.2. CRITERIO DI ROTTURA PER TAGLIO-SCORRIMENTO
In questo caso si ritiene che non possano insorgere meccanismi di rottura per taglio a scorrimento,
pertanto queste molle verranno impostate come elastiche con rigidezza sufficientemente grande per
simulare un comportamento di tipo rigido.
4.2.1.3. CRITERIO DI ROTTURA PER PRESSO FLESSIONE
La rottura per presso-flessione, generalmente, si manifesta mediante il rocking, ossia il ribaltamento
dell’intero setto, ed è comune solo per elementi notevolmente snelli.
Per determinare il legame costitutivo delle molle flessionali si farà riferimento al comportamento
monoassiale di una fibra. A compressione le caratteristiche elastiche e di resistenza sono influenzate solo
dal calcestruzzo, mentre a trazione il legame costitutivo viene determinato sulla base delle armature
disposte.
Si ha allora
c clsE E
l at
A EE
L b
con
clsE modulo elastico del calcestruzzo
aE modulo elastico dell’acciaio delle armature
lA area totale delle barre disposte longitudinalmente
A trazione si assume che il comportamento della fibra sia elastico fino al raggiungimento dello
snervamento delle armature. La tensione massima di trazione ultima equivalente sarà data da
,
,
l y a
t eq
A
L b
mentre quella a compressione sarà pari a quella del calcestruzzo
'
,c eq cf
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
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4.3. ACCIAIO
Il materiale acciaio viene impiegato per la definizione di sezioni composite, di sezioni non lineari
omogenee e in quella di setti in calcestruzzo armato. In particolare il suo legame costitutivo risulta
determinante per la generazione di legami momento-curvatura, ed eventuali domini di interazione delle
sezioni in c.a. (cfr. 4.4).
Il legame costitutivo cui si farà riferimento è di tipo elastico perfettamente plastico con deformabilità
limitata e comportamento simmetrico a trazione e compressione, come mostrato nella figura sottostante.
Figura 113. Legame costitutivo dell’acciaio (elastico perfettamente plastico)
4.4. DOMINI DI AMMISSIBILITÀ DELLE SOLLECITAZIONI
Al fine di indicare al solutore, per ciascuna sezione di asta, il dominio di ammissibilità delle sollecitazioni,
viene preventivamente effettuato un calcolo di dettaglio. Sulla base di tale calcolo verrà definito il
comportamento delle cerniere plastiche del modello. La tipologia di dominio da definire dipende dal
comportamento da attribuire alle corrispondenti asta, coerentemente con quanto visto in precedenza (cfr.
3.3).
In particolare, si distinguono le seguenti tipologie di comportamento:
Comportamento esclusivamente assiale;
Comportamento flessionale nel piano;
Comportamento flessionale tridimensionale indipendente nelle due direzioni principali;
Interazione tra sollecitazione flettente e quella assiale.
In corrispondenza di ciascuno di tali comportamenti, le cerniere plastiche erediteranno differenti
proprietà:
Per la cerniera assiale basta valutare due valori dell’azione normale limite (uno in compressione e
uno in trazione);
Per la cerniera flessionale nel piano viene determinato un diagramma momento curvatura, in
assenza di sforzo normale, nel piano della sollecitazione;
Per la cerniera flessionale con comportamento indipendente nelle due direzioni vengono
determinati due diagrammi momento curvatura, in assenza di sforzo normale, rispetto ai due assi
principali della sezione. Le due azioni flettenti non interagiranno tra loro nel calcolo;
Per la cerniera che tiene conto dell’interazione tra sollecitazione azione e flettente, viene calcolato
il corrispondente dominio di interazione.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 4 - MATERIALI
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Il calcolo di tali parametri viene eseguito sulla base di un modello a fibre. La sezione viene suddivisa in
piccole aree, ciascuna delle quali simulerà il comportamento della fibra, in accordo al legame costitutivo
del corrispondente materiale.
Sulla base della tipologia di cerniera considerata viene applicato alla sezione, in maniera incrementale, un
certo stato deformativo. In particolare, nel caso di cerniera assiale viene considerata una deformazione
uniforme su tutta la sezione, in quello di cerniera flessionale viene incrementata la curvatura, mentre nel
caso di cerniera PMM per ciascun carico assiale e rapporto tra le curvature rispetto ai due assi vengono
incrementate omoteticamente le due curvature.
Per ciascuno di tali incrementi di stato deformativo vengono imposte le corrispondenti equazioni di
equilibrio (alla traslazione, ed eventualmente anche rispetto alle rotazioni), e mediante un processo
iterativo che tende al soddisfacimento delle condizioni di equilibrio, viene derteminata la posizione
dell’asse neutro in condizioni ultime, e infine viene ottenuto il punto desiderato nel dominio delle
sollecitazioni ammissibili.
Il processo incrementale viene interrotto quando una delle fibre raggiunge il limite nelle deformazioni
imposto dal corrispondente legame costitutivo, e in corrispondenza di tale stato vengono individuati i
valori ultimi delle sollecitazioni.
Tale gestione del calcolo di domini consente di valutare il comportamento non lineare anche di sezioni
composte da più materiali, quali sezioni in calcestruzzo armato o sezioni rinforzate con fibre di carbonio.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 5 - CARICHI
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5. CARICHI
Gli elementi inseriti nel modello interagiscono reciprocamente secondo le rispettive afferenze ai gradi di
libertà globali del sistema. Con lo stesso schema di afferenze dei gradi di libertà locali con quelli globali,
vengono assemblati le matrici di rigidezza e di massa e il vettore di carico.
Possono essere gestiti carichi sia sotto forma di forze e momenti, sia rotazioni e spostamenti imposti;
sono intatti supportate sia analisi statiche a controllo di forze che a controllo di spostamento (cfr. 6.1).
In accordo alle analisi e alle combinazioni definite verranno generati i corrispondenti vettori di carico. Per
le analisi di tipo sismico viene generata una distribuzione di forze orizzontali, la cui applicazione avviene
sulla struttura già sottoposta ai carichi gravitazionali derivati dalla corrispondente combinazione di carico.
Risulta pertanto utile descrivere la modalità di applicazione sia dei carichi gravitazionali (cfr. 5.1), che
delle distribuzioni sismiche (cfr. 5.3).
5.1. CARICHI GRAVITAZIONALI
I carichi gravitazionali vengono, ove possibile, assegnati direttamente agli elementi. Ad esempio il peso
proprio di un pannello murario o quello di un’asta vengono assegnati ai corrispondenti elementi, evitando
pertanto l’approssimazione di un’assegnazione in corrispondenza dell’orizzontamento immediatamente
superiore od inferiore. I pesi propri vengono valutati in automatico sulla base della geometria degli
elementi, e delle caratteristiche dei materiali ad essi assegnati.
Eventuali carichi portati dagli elementi, come carichi distribuiti su elementi asta, vengono riportati
opportunamente ai nodi ed assegnati ai corrispondenti gradi di libertà globali, sulla base del calcolo delle
reazioni di incastro perfetto (cfr. 5.2).
I carichi degli orizzontamenti, siano essi derivati dal peso proprio o dal carico portato, se non sono dotati
del grado di libertà verticale (cfr.3.4), vengono ripartiti agli elementi verticali contigui secondo le orditure
assegnate. È questo l’unico caso in cui i carichi gravitazionali non vengono assegnati direttamente agli
elementi che li portano, bensì ad elementi essi collegati.
È infine possibile considerare solai infinitamente deformabili, o meglio semplici aree di carico, il cui unico
ruolo è quello di ripartire il carico ad essi assegnato sugli elementi perimetrali, senza tuttavia influire sul
comportamento meccanico della struttura. Tale espediente risulta utile nel caso di solai il cui
ammorsamento nelle pareti a contatto sia totalmente inefficace.
5.2. CALCOLO DELLE FORZE NODALI NELLE ASTE
Al fine di considerare correttamente l’effetto dei carichi distribuiti sulle aste, e disponendo invece solo di
un numero di gradi di libertà globali limitato dagli spostamenti nodali, è stato necessario valutare le forze
da attribuire ai gradi di libertà globali, equivalenti a quelli reali dal punto di vista cinematico (che cioè
restituissero gli spostamenti nodali corretti). Tale calcolo risulta estremamente importante poiché, a
fronte della semplicità di calcolo delle forze nodali per un’asta libera, tale valutazione risulta invece non
banale nel caso di aste interagenti.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 5 - CARICHI
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Si consideri allora un’asta, in generale interagente flessionalmente con altri elementi mediante interfacce,
e che può essere interessata dall’apertura di cerniere plastiche. L’asta può essere caricata mediante forze
concentrate Fk e carichi distribuiti costanti, la cui somma sarà indicata con q. Di seguito è riportato uno
schema dei gradi di libertà assiali e flessionali di un’asta, nel caso di comportamento piano e
tridimensionale.
nnjjiifless
mjiass
vvvvvU
uuuU
,,.......,,,,,,,,
,,
2211
, ,ass i j mU u u u
1 1 1 1 2 2 2 2, , , , , , , , , , , , , , , , , ,......., , , ,fless i i i i i j j j j j n n n nU v w t v w t v u v u v u
Figura 114. Schema dei gradi di libertà interni ed esterni per un’asta bidimensionale e tridimensionale
Si consideri il solo comportamento flessionale, separato da quello assiale. Si noti come vengano
conteggiati per primi i gradi di libertà dei nodi esterni, e solo successivamente quelli dei nodi interni. Si
consideri l’applicazione di un carico come quello in figura. Per semplicità verrà considerato il solo caso di
asta bidimensionale, senza che ciò costituisca tuttavia una restrizione per il caso generale
tridimensionale.
ui
nodo i
uj
nodo jum
um nodo j
uj
vj
j
nodo i
ui
v1
1 2
v2 vn
n
p1 p2 pn
pnp2p1
vnv2v1
ui
vj
uj
nodo j
um
1
2
1i
vi2
vi
i
i 1 2 n j
1 2 n j
u1
iui u2 un uj
3
21
1D
2D
3Dpnp2p1
vnv2v1
ui
vj
uj
nodo j
um
vi
i
i 1 2 n j
1 2 n j
u1
iui u2 un uj
3
21
3D
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 5 - CARICHI
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Figura 115. Schema di carico di un’asta interagente
Coerentemente, l’equazione che regola la relazione tra forze e spostamenti dell’asta, può essere scritta
nella forma
11 12
12 22
e e
ti i
u fK KK u f
u fK K
in cui la matrice di rigidezza, e di conseguenza anche i vettori di carico e spostamento, sono stati
partizionati separando i gradi di libertà dei nodi esterni da quelli dei nodi interni. Per calcolare il vettore
delle forze nodali P, occorre calcolare le reazioni dell’asta, pensata incastrata ad entrambi gli estremi, e
sottoposta al carico distribuito considerato. Per il problema considerato è possibile affermare che sono
nulli gli spostamenti nodali esterni ( 0eu ), mentre le forze interne sono pari a un vettore fi,
corrispondente alla distribuzione del carico distribuito sui gradi di libertà interni, che può essere così
definito:
1
1
2
2
...
i
n
n
q F
M
q F
f M
q F
M
dove
Fi è la sommatoria delle forze concentrate applicate all’i-esimo nodo interno
Mi è la sommatoria dei momenti concentrati applicati all’i-esimo nodo interno
q è il carico distribuito
è la lunghezza dei segmenti interni dell’asta
Il sistema, tenendo conto della partizione diventa
11 , 12 , ,
12 , 22 ,
e i i i e i
t
e i i i i
K u K u f
K u K u f
qFk
Mk
nodo i nodo j
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 5 - CARICHI
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Essendo gli spostamenti esterni nulli, il sistema di equazioni diventa
12 , ,
22 ,
i i e i
i i i
K u f
K u f
Dalla seconda equazione può pertanto essere ottenuta la distribuzione degli spostamenti interni come
segue
1
, 22i i iu K f
Sostituendo il vettore degli spostamenti interni nella prima equazione è possibile calcolare il vettore delle
forze nodali equivalenti al carico distribuito internamente come segue
1
, 12 22e i if K K f
Ad esso va sommato il vettore delle forze esterne dovuto al carico direttamente afferente ai nodi esterni.
2
,0
2
2
48
2
48
i
i
e
j
j
qF
qM
fq
F
qM
In definitiva il vettore delle forze nodali esterne, equivalente al carico distribuito, è dato da
,0 ,e e e if f f
È importante evidenziare il fatto che, a causa dell’applicazione delle forze nodali esterne, dalla risoluzione
del sistema lineare della struttura derivano spostamenti nodali corretti. Tuttavia, al fine di ripristinare il
corretto comportamento delle aste e delle interfacce interagenti anche lungo il loro sviluppo (sia in
termini di sollecitazioni che di spostamenti), è necessario sommare alle sollecitazioni e agli spostamenti
interni dovuti agli spostamenti nodali derivati dalla risoluzione del sistema lineare, quelli di asta
incastrata-incastrata soggetta al carico distribuito applicato all’asta.
Risulta inoltre importante mettere in luce come le forze nodali vengano aggiornate durante l’analisi,
tenendo conto del progressivo danneggiamento degli elementi. L’apertura di una cerniera plastica, o lo
snervamento di una molla di interfaccia nel caso di asta interagente, implica una variazione della matrice
di rigidezza dell’elemento, e di conseguenza comporta la necessità di aggiornare la ripartizione di un
carico distribuito di un’asta ai suoi nodi.
5.3. DETERMINAZIONE DELLE DISTRIBUZIONI SISMICHE
Le azioni orizzontali vengono determinate in accordo a due distinte forme della distribuzione delle forze:
una proporzionale alla massa, e una rappresentativa del primo modo di vibrare della struttura nella
direzione di carico.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 5 - CARICHI
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Una volta assegnati i carichi gravitazionali, questi vengono reindirizzati nella direzione di carico, con la
medesima intensità nel caso di distribuzione di forze proporzionale alla massa, o secondo una
distribuzione proporzionale al prodotto dell’intensità per l’altezza dalla quota di base nel caso di
distribuzione rappresentative del primo modo di vibrazione della struttura. La distribuzione triangolare
inversa appare infatti rappresentativa del primo modo di vibrare nella direzione di carico.
Nel caso delle azioni orizzontali tutte le forze sono applicate sugli elementi pertinenti. Anche le azioni sugli
orizzontamenti, che nel caso dei carichi gravitazionali sono scaricate sugli elementi appartenenti alle
pareti secondo le orditure. Nel caso dei diaframmi (cfr. 3.4.2) e dei floor (cfr. 3.4.1) le azioni sono
concentrate nel baricentro dell’elemento, mentre nel caso degli orizzontamenti deformabili (plate) le forze
vengono ripartite su tutti i nodi dell’elemento. Su ciascuno dei sottoelementi triangolari del plate che
vengono creati (cfr. 3.4.3) insiste un carico (proporzionale alla sua area) che può essere ripartito
equamente sui suoi tre vertici. Pertanto al baricentro dell’elemento viene attribuito un terzo del carico
complessivamente assegnato all’elemento.
È importante notare che, nel caso in cui la direzione di carico sia ortogonale al piano di una parete, e il
comportamento del modello non sia tridimensionale (cfr. 2.1), gli elementi della parete non sono dotati
dei gradi di libertà fuori dal piano della parete; pertanto il corrispondente carico orizzontale viene perso.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 6 - ANALISI
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6. ANALISI
L’utilizzo di elementi meccanici monodimensionali (molle non lineari) predispone naturalmente il modello
all’impiego di analisi non lineari. È Infatti sufficiente introdurre leggi monodimensionali da attribuire agli
elementi meccanici del modello, per conferire globalmente un comportamento di insieme appropriato.
Tale circostanza evita l’introduzione di leggi costitutive complesse (bi- o tri-dimensionali), che
renderebbero le analisi non lineari precarie e instabili.
Nel presente capitolo vengono descritte le procedure di analisi, statiche (cfr. 6.1) e dinamiche (cfr. 6.2),
implementate nel software.
Verranno inoltre forniti dettagli sulla gestione degli eventi e delle tolleranze durante le analisi (cfr. 6.3.3),
e sulla gestione delle ridistribuzioni (cfr. 6.3.4), che avvengono a seguito di rotture di uno o più elementi
del modello.
6.1. ANALISI STATICHE NON LINEARI
Le analisi statiche non lineari consistono nell’applicazione di una distribuzione di forze o spostamenti alla
struttura, mediante incrementi quasi-statici, evitando cioè l’insorgenza di effetti dinamici.
Un’analisi statica è caratterizzata da certe condizioni iniziali. In particolare possono essere distinte due
diverse possibilità:
condizioni iniziali nulle, corrispondenti alla situazione di struttura in deformata;
condizioni iniziali derivate da un’altra analisi, corrispondente all’ultimo stato di questa.
Con l’obiettivo di applicare tutti i carichi (o tutti gli spostamenti) previsti, l’analisi viene suddivisa in passi,
ciascuno dei quali corrispondente ad un loro incremento. Ad ogni passo viene applicato un incremento di
carico o spostamento, in corrispondenza del quale vengono aggiornate forze e deformazioni del sistema.
A seguito di tale incremento, qualche elemento della struttura potrebbe subire un cambiamento di stato
(apertura o chiusura di una cerniera plastica, plasticizzazione o scarico di una molla non lineare,
rotture,..) che implica una variazione della matrice di rigidezza del sistema. Tali eventi vengono gestiti
con opportune procedure (cfr. 6.3.3), fino ad ottenere la convergenza dopo una o più iterazioni.
Successivamente, tenendo conto dello stato attuale della struttura, può essere applicato il successivo
incremento di carico, e così via.
Un’analisi statica non lineare è pertanto caratterizzata dai seguenti elementi:
- un identificativo alfanumerico che identifica l’analisi;
- un identificativo alfanumerico che indica l’analisi di partenza, o ‘0’ se le condizioni iniziali sono
nulle;
- un intervallo di discretizzazione nell’applicazione del carico;
- un valore che indica se l’analisi va eseguita;
- un vettore che contiene la distribuzione base del carico definita come combinazione lineare di
diversi condizioni di carico tra quelle a disposizione (cfr. 5);
- un punto master da monitorare affinché non venga superato lo spostamento massimo previsto;
- nel caso di analisi a controllo di spostamento, una lista di model joints (o punti modello), che
vanno considerati nella lista dei gradi di libertà per i quali imporre gli spostamenti (cfr. 6.3.1).
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 6 - ANALISI
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La discretizzazione dell’analisi in passi consente di applicare un basso livello di azioni ad ogni passo. Per
ogni passo di analisi viene effettuato un primo tentativo mirato all’applicazione dell’intero carico relativo al
passo. Dopo aver effettuato l’incremento di stato di tutti gli elementi del modello viene verificato se in
uno o più di tali elementi è avvenuto un evento.
Se non sono stati riscontrati eventi il passo viene terminato e vengono saltati eventualmente anche passi
successivi se elastici.
Se vengono registrati eventi plastici viene calcolato l’errore commesso in termini di forze, spostamenti o
energia (squilibrio) relativo alle molle che hanno subito eventi, e se tale squilibrio è minore della
tolleranza (cft. 6.3.3) il passo viene concluso, altrimenti viene richiamata una procedura che consente di
scalare opportunamente il passo di carico in modo da determinare la riduzione del passo che consente di
ridurre l’incremento di carico in modo tale che tutti gli eventi che si verificano provochino uno squilibrio
minore della tolleranza fissata (T).
Con si indica il coefficiente di riduzione del passo. Per ogni fissato, ogni evento è caratterizzato da un
moltiplicatore mult’=mult - , dove mult è il moltiplicatore dei carichi nel passo e varia da 0 a 1.
Al variare di è possibile calcolare lo squilibrio di ogni elemento della struttura, che può essere indicato
con dSq(), che deve rientrare entro la tolleranza fissata T.
Le analisi statiche possono essere suddivise in quelle a controllo di forze e quelle a controllo di
spostamento. In genere un’analisi statica non lineare di tipo sismico viene suddivisa in due fasi: nella
prima (cfr. 6.1.1) viene applicato il carico previsto dalla distribuzione di forze considerata (cfr. 5.3), nella
seconda l’analisi viene proseguita a controllo di spostamenti (cfr. 6.1.2). Il vantaggio di suddividere
l’analisi pushover in due fasi consiste nel fatto che la prima parte, quella a controllo di forze, è rapida e
garantisce il mantenimento della distribuzione di forze prevista dalla Normativa; quando il livello di carico
è tale che la struttura non ne può sopportare di ulteriori, il meccanismo di danneggiamento riscontrato
viene amplificato proseguendo l’analisi a controllo di spostamento. Tale fase dell’analisi presenta un
duplice vantaggio, da un lato infatti consente di gestire le ridistribuzioni di forze che avvengono a seguito
della rottura di uno o più elementi (cfr. 6.3.4) consentendo così di cogliere anche il ramo decrescente
della capacità della struttura e di indagare le effettive risorse di duttilità che essa detiene, dall’altro
essendo una procedura di calcolo molto robusta, consente generalmente di evitare la formazione di
labilità, e quindi di interrompere l’analisi a seguito di tale genere di eventi. La scelta dei gradi di libertà da
imporre nella fase a controllo di spostamento segue dei criteri che verranno descritti in un altro paragrafo
(cfr. 6.3.1). Ulteriori dettagli sulla procedura di analisi sono riportati più avanti nel capitolo (cfr. 6.3).
6.1.1. ANALISI STATICHE A CONTROLLO DI FORZE
Alla struttura viene applicato un assegnato vettore di carico che viene caratterizzato da una certa
distribuzione di forze (memorizzata nel vettore di carico). Essa viene amplificata da una funzione di carico
del tutto arbitraria. Possono ad esempio essere previste semplici fasi di carico monotone oppure diversi
cicli di carico.
Il calcolo degli incrementi di spostamenti nodali nella procedura di analisi è dato da:
1 1tot tot basedU k dP k P DR
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 6 - ANALISI
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L’analisi si ritiene completata quando tutto il carico è stato applicato. All’inizio di ogni passo si tenta la
fattorizzazione della matrice corrente di rigidezza Ktot per verificare se la struttura è diventata labile. In tal
caso l’analisi viene interrotta e tutti i risultati salvati fino a quel momento vengono resi disponibili.
Tale controllo viene effettuato anche a inizio analisi in modo che, nel caso in cui questa debba iniziare a
partire dallo stato di labilità derivato da una precedente analisi, quella in questione non viene cominciata.
6.1.2. ANALISI STATICHE A CONTROLLO DI SPOSTAMENTO
In questo tipo di analisi il carico esterno è rappresentato da una serie di spostamenti imposti in
corrispondenza dei gradi di libertà della struttura. La distribuzione base di tali spostamenti imposti è
memorizzata nel vettore di carico in maniera analoga alle analisi a controllo di forze. Anche in questo
caso la distribuzione base può essere amplificata secondo una storia di carico arbitraria.
Tutti i gradi di libertà che sono oggetto di spostamenti imposti cessano di essere liberi e tale circostanza
richiede alcuni accorgimenti nel modo in cui viene condotta l’analisi e una serie di operazioni preliminari
che saranno descritte nel seguito.
Vengono rinumerati i gradi di libertà della struttura in modo che tutti i gradi di libertà non interessati dagli
spostamenti imposti abbiano un numero d’ordine progressivo a partire da uno. Tutti i gradi di libertà i cui
spostamenti sono imposti dall’esterno saranno numerati a seguire.
Durante l’analisi il vettore U degli spostamenti globali verrà suddiviso nei sottovettori Urid e Uimp
rispettivamente gli spostamenti dei gradi di libertà liberi e imposti.
Anche ciascuna matrice di rigidezza viene suddivisa in quattro sottomatrici: K11, K12, K21, K22. La
relazione tra le quantità statiche e cinematiche può essere scritta come:
11 12
21 22
0 rid
imp imp
Uk k
F Uk k
Gli spostamenti imposti Uimp sono un dato dell’analisi. Gli spostamenti dei gradi di libertà liberi possono
essere determinati invertendo l’espressione precedente:
111 12rid impU K K dU
Avendo noti entrambi i sottovettori Urid e Uimp , viene ricostruito il vettore dU globale.
In tutte le espressioni sopra riportate con K si è indicata la matrice totale della struttura che oltre al
contributo elastico può contenere anche il contributo plastico.
L’analisi a controllo di spostamento può proseguire sia che la struttura abbia rigidezza positiva sia che
abbia rigidezza negativa (ramo di softening). L’unica condizione che impedisce il proseguimento
dell’analisi è quella di labilità (det(k)=0).
L’analisi viene completata quando tutto il vettore degli spostamenti viene applicato.
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6.2. ANALISI DINAMICHE NON LINEARI
Al fine di simulare la reale risposta dinamica di una struttura, un approccio sicuramente più evoluto è
quello delle analisi dinamiche non lineari. Infatti, mentre l’utilizzo delle analisi statiche non lineari
consente elaborazioni meno onerose, al costo di una determinazione della risposta dinamica indiretta,
quelle dinamiche non lineari consentono delle vere e proprie simulazioni del comportamento di una
struttura in condizioni sismiche, rappresentate da un’accelerogramma alla base della struttura. Pur
essendo molto più onerose dal punto di vista computazionale rispetto alle analisi statiche non lineari,
quelle dinamiche rappresentano senz’altro la simulazione numerica più realistica del comportamento reale
di una struttura in condizioni sismiche.
Un’analisi dinamica non lineare è pertanto caratterizzata dai seguenti elementi:
- un identificativo alfanumerico che identifica l’analisi;
- un identificativo alfanumerico che indica l’analisi di partenza, o ‘0’ se le condizioni iniziali sono
nulle;
- un intervallo di discretizzazione nell’applicazione del carico;
- un valore che indica se l’analisi va eseguita;
- un’accelerogramma, nelle tre componenti nello spazio, con relativo fattore di amplificazione;
- la direzione di azione del sisma assegnata attraverso i coseni direttori del versore rispetto alla
terna assoluta.
Ciascun accelerogramma è composto da:
l’insieme dei valori delle accelerazioni registrate;
l’intervallo di tempo tra una registrazione e un’altra, o passo di campionamento.
La registrazione si suppone abbia inizio al tempo zero.
Le equazioni del moto vengono integrate numericamente utilizzando il metodo di Newmark. Tale metodo
consente di determinare gli incrementi delle quantità cinematiche mediante le espressioni:
1
* *
2
11
2
1
2
p p pp
p pppp
dU K dF
dUdU U t U
t
U UdUdU
tt
nelle quali si è posto:
*
*
2
12 2
p pp
m mF F c U c t c U
t
c mK K
t t
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 6 - ANALISI
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dove:
- e sono due parametri del metodo, se posti rispettivamente pari a 0.5 e 0.25 implicano che il
metodo divenga incondizionatamente stabile.
- Up, Upp sono i vettori velocità e accelerazione a inizio passo.
- t è l’intervallo di discretizzazione del tempo.
- m, c le matrici di massa e di smorzamento globali della struttura.
- F il vettore di carico nel passo.
Si considera una matrice di smorzamento alla Rayleigh, proporzionale quindi alla matrice di massa e alla
matrice di rigidezza.
Sono previsti due metodi di costruzione di tale matrice:
a) matrice di smorzamento C costruita a partire dalle matrici di rigidezza (K) e di massa (M) globali del
modello:
C K M
In questo caso la matrice C viene ottenuta dopo la costruzione delle altre matrici semplicemente
effettuando i prodotti matriciali e ad un aggiornamento della matrice di rigidezza durante l’analisi ne
corrisponde uno anche della matrice di smorzamento.
I parametri e sono assegnati dall’utente nei seguenti possibili modi:
- assegnati direttamente.
- assegnando due rapporti di smorzamento per due assegnati periodi di vibrazione.
- assegnando due rapporti di smorzamento per due assegnate frequenze di vibrazione.
b) Matrice C assemblata a partire dalle matrici di smorzamento elementari degli elementi.
In questo caso si deve costruire ciascuna matrice elementare (per esempio alla Rayleigh o altro) per poi
ottenere la matrice globale per assemblaggio.
Per ciascun elemento o categoria di elementi bisogna specificare quindi il tipo di matrice di smorzamento
e i parametri che la caratterizzano.
È possibile prevedere una matrice di smorzamento c elementare proporzionale alla matrici elementari
kelemento, melemento.
Tale procedura ha il vantaggio di potere differenziare gli smorzamenti relativi a ciascun elemento del
modello numerico in modo tale da tenere conto di eventuali differenze tra gli elementi in termini di
meccanismi di dissipazione di energia.
6.3. PROCEDURE DI ANALISI
Si vuole di seguito fornire un maggiore dettaglio sulle procedure di analisi implementate. Da un lato
verranno descritte le procedure che consentono di considerare le non linearità durante un’analisi, sia essa
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 6 - ANALISI
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statica o dinamica, dall’altro verrà descritta in maniera più accurata la procedura di analisi pushover
implementata nel software.
Per quanto riguarda la procedura di convergenza nel passo, l’algoritmo considerato prevede le seguenti
operazioni:
- viene applicato tutto il carico previsto per il passo considerato, calcolando l’incremento negli
spostamenti nodali del sistema;
- viene incrementato lo stato di tutti gli elementi della struttura;
- vengono cercati gli eventuali eventi negli elementi della struttura corrispondenti agli incrementi di
stato;
- gli eventi vengono ordinati secondo i valori crescenti del moltiplicatore;
- vengono determinati gli eventi per i quali viene superata la tolleranza;
- viene determinato il coefficiente di cui scalare il passo;
- viene scalato il vettore degli spostamenti globali del modello dU=*dUtot;
- utilizzando il vettore dU aggiornato vengono aggiornati gli stati di tutti gli elementi;
- viene calcolato il carico ancora da applicare F_res=F_res*(1-).
Tale algoritmo può essere utilizzato indifferentemente per le analisi statiche e per quelle dinamiche non
lineari.
Di seguito viene invece esposta una procedura di analisi statica non lineare capace di seguire il
comportamento della struttura anche nella fase di degrado della resistenza.
L’analisi viene condotta in due fasi successive. La prima, a controllo di forze, prosegue fino al punto in cui
la matrice di rigidezza diviene singolare. La seconda, a controllo di spostamento, fino al raggiungimento
del collasso convenzionale o del valore limite assunto per uno spostamento target.
Figura 116. Rappresentazione della procedura di riduzione del passo
0 1
t
Total Step
m1 m1 mn
Sq()
T
t
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- Pag. 130 -
Si considerino i seguenti simboli:
U vettore degli spostamenti nodali
F vettore delle forze nodali esterne
K matrice di rigidezza
Figura 117. Schema dei gradi di libertà di una struttura e corrispondenti forze duali
Durante la fase a controllo di forze il legame costitutivo, in termini incrementali, viene espresso da:
dUKdF
che consente ad ogni passo di determinare l’incremento del vettore degli spostamenti nodali e quindi
dello stato di tutti gli elementi.
Nella fase a controllo di forze il vettore di carico (F) ha una forma prefissata: in genere proporzionale alle
masse, proporzionale alle masse e altezze o proporzionale al primo modo. L’intensità di tale distribuzione
di carico viene incrementata a passi regolari (cfr. 5.3).
0FdF step
Un
...
U2
U1
Fn
...
F2
F1
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Figura 118. Distribuzione di forze su una struttura
Non appena la struttura giunge al picco massimo di resistenza e comincia la fase di degrado l’analisi viene
proseguita a controllo di spostamenti. Questa viene condotta mantenendo alcuni spostamenti liberi e altri
imposti. I gradi di libertà imposti sono soggetti a determinati vincoli che dipendono dalla procedura
eseguita mentre quelli liberi verranno determinati a partire dal legame costitutivo. Uno dei gradi di libertà
imposti viene considerato come spostamento target: tale grado di libertà verrà monitorato durante
l’analisi in modo da subire incrementi costanti ad ogni passo; l’analisi si ritiene conclusa correttamente
non appena lo spostamento relativo al grado di libertà target raggiunge un valore prefissato.
La distribuzione spaziale dei gradi di libertà imposti deve essere tale da garantire la possibilità di imporre
ad ogni passo la deformata voluta. Per i comuni edifici, provvisti di orizzontamenti rigidi di piano che
individuano le cosiddette quote sismiche (quote in cui si concentrano in prevalenza le azioni sismiche) si
ritiene possa essere sufficiente imporre uno spostamento per ciascuna quota sismica. Tale spostamento
potrà essere il baricentro del diaframma di piano ove esso sia presente.
Per tipologie di strutture monumentali o a blocchi (chiese, templi, archi, ecc) può essere necessario
valutare caso per caso la distribuzione dei gradi di libertà da imporre. Dettagli sui criteri di scelta dei gradi
di libertà imposti sono riportati in 6.3.1.
Nel seguito si indica con:
u vettore degli spostamenti liberi
f vettore forze nodali degli spostamenti liberi
uI vettore degli spostamenti imposti
fI vettore forze nodali degli spostamenti imposti
u spostamento target
f = forza nodale applicata in corrispondenza dello spostamento target
Riordinando i gradi di libertà in modo da mettere in coda i gradi di libertà imposti e come ultimo il grado
di libertà target si ha:
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- Pag. 132 -
u
u
u
U
f
f
f
FII
ˆˆ0
La relazione tra forze e spostamenti nodali può essere scritta nella forma seguente:
II
t f
f
u
u
KK
KK
2212
1211
Le procedure di analisi a controllo di spostamento possono essere efficacemente suddivise in due
tipologie:
- Procedure ad imposizione diretta di spostamenti
- Procedure a distribuzione di forze imposta
Nella prima tipologia si dispone direttamente del vettore di spostamenti imposti mentre nella seconda
viene fissata la distribuzione di forze esterne nel passo e il vettore degli spostamenti imposti viene
ricavato di conseguenza.
A seconda se la forma del vettore spostamenti o del vettore del carico vengono mantenuti costanti o
aggiornati ad ogni passo si possono distinguere
- Procedure adattive
- Procedure non adattive
Nel primo caso la distribuzione di spostamenti o forze viene aggiornata ad ogni passo mentre nel secondo
viene mantenuta costante per tutta l’analisi.
Procedure a velocità di deformazione costante
Si tratta di una analisi di tipo non adattivo a imposizione diretta di spostamenti, essa consiste nell’imporre
un vettore di spostamenti imposti costante per tutta l’analisi e tale da mantenere invariate le velocità
relative di deformazione dei gradi di libertà imposti rispetto a quanto registrato nell’ultimo passo della
fase a controllo di forze.
Procedure a distribuzione di forze imposta
Consiste nell’imporre una prefissata distribuzione di forze esterne, ad esempio la medesima distribuzione
presente nella fase a controllo di forze, la cui intensità viene governata da un fattore moltiplicativo ():
II
t f
f
u
u
KK
KK
2212
1211
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- Pag. 133 -
6.3.1. DETERMINAZIONE DEI PUNTI DI CONTROLLO
Al fine di determinare quali punti del modello devono essere utilizzati nella procedura descritta in
precedenza (cfr. 6.3), devono essere selezionati opportunamente dei nodi del modello in modo che i
gradi di libertà imposti nella fase a controllo di spostamento dell’analisi siano tali da essere
rappresentativi del meccanismo di collasso della struttura.
È pertanto possibile definire dei punti di controllo imponendo lo spostamento di un nodo di un elemento
(in genere nella direzione di carico dell’analisi considerata) venga monitorato durante un’analisi. A ciascun
punto di controllo viene attribuita una massa (cfr. 7.2) da utilizzare per la verifica sismica (cfr. 7.1).
Le opzioni automatiche prevedono la scelta di un punto di controllo per ciascuna delle quote sismiche
definite. Nel caso in cui sia presente almeno un orizzontamento in corrispondenza della quota sismica, il
punto di controllo viene derivato da questo secondo i seguenti criteri:
- in caso di diaframmi (cfr. 3.4.2) o orizzontamenti rigidi (cfr. 3.4.1) il punto di controllo è unico e
corrispondente allo spostamento del baricentro geometrico dell’elemento nella direzione di carico;
- in caso di diaframmi deformabili (cfr. 3.4.3) il punto di controllo sarà assunto come la media degli
spostamenti di tutti i punti dell’elemento (baricentro geometrico e tutti i nodi) nella direzione di
carico;
- in caso di presenza di più orizzontamenti indipendenti ad una certa quota sismica verranno
definiti più punti di controllo, ciascuno con la corrispondente massa afferente, secondo i criteri
appena descritti.
- in caso di assenza di orizzontamenti ad una certa quota sismica, per ciascuna delle pareti del
modello il punto di controllo è assunto come la media degli spostamenti nella direzione di carico,
di due nodi estremi della parete.
La scelta dei punti di controllo risulta decisiva per un duplice motivo: da un lato condiziona la fase a
controllo di spostamento delle analisi statiche non lineari, determinando la scelta degli spostamenti
rappresentativi del meccanismo di collasso della struttura (per questo risulta possibile personalizzare tale
scelta), dall’altro, a seguito dell’attribuzione di una massa a ciascuno di essi, la scelta condiziona il
passaggio dal sistema reale, ad un sistema semplificato, dotato di tanti gradi di libertà quanti sono i punti
di controllo adottati.
6.3.2. USCITA DALL’ANALISI
Un’analisi può considerarsi conclusa nei seguenti casi:
- nel caso di analisi statiche a controllo di forze se viene applicato l’intero carico;
- nel caso di analisi statiche a controllo di spostamento se vengono imposti interamente gli
spostamenti;
- nel caso di analisi dinamiche se viene raggiunta la convergenza in ogni passo
dell’accelerogramma.
Tuttavia questo non accade sempre. È frequente infatti il caso in cui un’analisi venga interrotta per
qualche motivo. In particolare si distinguono i seguenti casi:
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- struttura quasi-labile, corrisponde all’eventualità in cui non sia più possibile fattorizzare la matrice
di rigidezza;
- incremento negativo di energia esterna, corrisponde a probabili problemi numerici che si
manifestano con divergenze nella soluzione del sistema lineare;
- eccessivi spostamenti, indica una perdita di rigidezza della struttura tale che in qualche punto è
stato superato lo spostamento massimo previsto dall’utente;
- perdita di accuratezza della soluzione, che si manifesta con una divergenza nella misura della
sollecitazioni negli elementi;
- eccessiva riduzione del taglio alla base, che indica che il taglio corrente è sceso al di sotto di una
certa percentuale del taglio massimo (spesso questo criterio è coerente con prescrizioni
normative);
- raggiungimento della rotazione ultima di una cerniera plastica, criterio spesso in accordo con
prescrizioni normative;
- raggiungimento della rotazione flessionale ultima in un pannello, coerentemente con quanto
prescritto dalle norme;
- eccessivo numero di passi raggiunto, che non indica tuttavia un’impossibilità di proseguire
l’analisi, pertanto questo limite può essere superato prevedendo un incremento nel numero di
passi massimo previsto dall’analisi;
- eccessivo numero di passi nella ridistribuzione raggiunto, che non indica tuttavia un’impossibilità
di proseguire l’analisi, pertanto questo limite può essere superato prevedendo un incremento nel
numero dei passi massimo nelle ridistribuzioni previsto dall’analisi;
- eccessivo numero di iterazioni nel passo raggiunto, che non indica tuttavia un’impossibilità di
proseguire l’analisi, pertanto questo limite può essere superato prevedendo un incremento nel
numero di iterazioni massimo nel passo previsto dall’analisi.
Nel caso in cui un’analisi venga interrotta, anche quelle che da essa dipendono non potranno essere
eseguite.
6.3.3. EVENTI E TOLLERANZE
Indipendentemente dal tipo di analisi effettuata, è necessario potere riconoscere a seguito di un generico
incremento di stato degli elementi, quali molle hanno subito degli eventi plastici, cioè degli eventi che
comportano un cambiamento della matrice di rigidezza degli elementi, e quindi di quella globale; tali
elementi vengono inseriti in una lista.
Conoscere tutti gli elementi che hanno subito eventi plastici serve sia per potere calcolare l’errore
commesso e quindi potere iterare o scalare il passo (a seconda del metodo di analisi adottato), che per
adottare la procedura di aggiornamento delle matrici del modello senza dovere provvedere al ricalcolo e
riassemblaggio complessivo della stessa.
Ad ogni evento plastico viene associato uno numero scalare mult definito come il rapporto tra lo
spostamento subito dall’elemento non lineare considerato e il massimo spostamento che avrebbe potuto
sostenere senza che fossero subentrati eventi plastici. Risulta ovviamente mult<=1.
Gli eventi plastici possono inoltre essere classificati in due categorie principali:
- Eventi con mult>0: Sono tutti gli eventi che si verificano a seguito di uno spostamento eccessivo del
generico elemento rispetto ai limiti correnti della fase in cui si trova.
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- Eventi con mult=0: Sono tutti gli eventi causati da scarichi delle molle, e in questo caso la fase
dell’elemento è errata fin dall’inizio.
La figura sottostante illustra tale concetto con riferimento ad una semplice molla elastica perfettamente
plastica.
Figura 119. Schema di evento per una molla elastica con comportamento elastico perfettamente plastico
A seguito di un generico incremento di stato dovuto all’incremento di un carico, controllando tutte le
molle che hanno subito eventi, è possibile definire un parametro di errore riferito alla molla stessa. In
particolare si ha (vedi anche figura precedente) :
- dSqmolla: è l’errore commesso in termini di forze, dato dalla differenza tra lo stato finale dell’elemento e
lo sforzo che invece sarebbe stato registrato se l’elemento avesse seguito il corretto legame costitutivo.
L’espressione di questo parametro di errore risulta:
dSqmolla=(1-mult)*dU*(Kold-Knew)
Affinché l’errore possa essere espresso in termini adimensionali, occorre normalizzare lo squilibrio rispetto
alla corrispondente quantità di forza che determina l’evento. Si avrà pertanto:
molla = |dSq/fy|
Rielaborando tali quantità, ottenute per ciascuno degli elementi del modello, è possibile calcolare la
rispettiva quantità globale della struttura che è uno scalare ottenuto come massimo errore commesso
nei singoli elementi.
Corrispondentemente a questo indice di errore, viene definita una tolleranza T, che può essere definita
come il massimo errore che viene ammesso. Il controllo sulle forze viene eseguito tra la tolleranza e
l’errore commesso .
U
multU
dSqforce
dSqdispKold
Knew
U=dSdisp
dSqforce
Kold
1
2
mult
Knew
12
2*
2*
evento avvenuto nel passo scarico
1 - Stato iniziale
2 - Stato finale
3 - Stato finale legame costitutivo
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Mentre per le elementi il cui comportamento costitutivo sia di tipo elasto-plastico (cfr. 4.1.1.2) Kold e Knew
sono grandezze immediatamente disponibili, le leggi costitutive alla Coulomb (cfr. 4.1.2.1), a causa del
fatto che il dominio di resistenza dell’elemento è tale che la sua resistenza corrente varia in dipendenza
dalla variabile di stato N, le rigidezze, e quindi lo squilibrio all’interno dell’elemento, devono essere
calcolati in maniera indiretta.
Nel caso rappresentato nelle figure, l’elemento, elastico ad inizio iterazione (stato 1), raggiunge il limite di
snervamento corrispondente alla variazione di sforzo normale agente sulla molla, e continua la sua
escursione in campo plastico, seguendo il dominio di resistenza alla Coulomb. Se non intervenissero
eventi all’interno del passo, la molla passerebbe dallo stato 1 allo stato 2’, con un incremento di sforzo
pari a dfel. In corrispondenza dell’evento avviene una separazione tra il comportamento che la molla
manifesterebbe se il legame fosse elastico, e il comportamento reale: lo squilibrio in termini di forza è
dato dalla differenza tra df1 (comportamento elastico) e df2 (comportamento reale).
L’evento può avvenire, in generale, all’interno di una delle iterazioni del passo, pertanto lo stato 2 sarà
determinato da un multcorr, mentre mult individua il punto in cui avviene l’evento. Le espressioni delle
forze che intervengono nella gestione dell’evento sono date da:
duKdf oldel *
duKmultmultdf oldcorr **1
dNmultmultdf corr **2
Si ottiene infine l’espressione dello squilibrio come differenza tra df1 e df2
21 dfdfdSqmolla
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 6 - ANALISI
- Pag. 137 -
Figura 120. Schema di evento per una molla non lineare con dominio di resistenza alla Coulomb
u
f
old
2
1
2'
new
df 2df 1
df
Figura 121. Schema di evento per una molla non lineare con comportamento elasto-plastico
6.3.4. RIDISTRIBUZIONI
Le ridistribuzioni sono delle variazioni nel vettore di carico all’interno di un passo, che sono dovute a
rotture fragili in uno o più elementi del modello, le cui forze accumulate vengono appunto ridistribuite sul
resto della struttura. La procedura consiste nel sommare al vettore di carico le forze derivate dalla rottura
fragile occorsa. All’interno del passo viene pertanto richiesto che, oltre alle forze o agli spostamenti già
previsti, vengano applicate tali forze di ridistribuzione.
f
c
df eldf 1
df 2
1
2'
2
step
(1-)*step
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 6 - ANALISI
- Pag. 138 -
La procedura consiste nel:
- determinare il carico nodale equivalente alla forza dell’elemento che si è appena rotto;
- applicare tale carico alla struttura partendo dallo stato corrente di fine passo.
Se durante la ridistribuzione si registrano ulteriori rotture il programma aggiorna il carico da ridistribuire
sommando a quello residuo il contributo delle nuove rotture.
La ridistribuzione viene regolarmente conclusa se tutto il carico da ridistribuire viene applicato, senza che
siano state registrate nuove rotture.
La ridistribuzione pur procedendo a controllo di forze, avviene in maniera diversa a seconda che l’analisi
corrente sia condotta a controllo di forze o a controllo di spostamenti. Nel secondo caso in particolare il
carico da ridistribuire viene applicato alla struttura ottenuta da quella originaria aggiungendo dei vincoli
fissi in corrispondenza dei gradi di libertà per i quali nell’analisi vengono impostati gli spostamenti.
Indicando con Ftot e Ftot_disp i vettori che contengono il carico nodale da ridistribuire nel caso di analisi a
controllo di forze e di spostamento, l’incremento dei gradi di libertà viene dato da:
-nel caso di analisi a controllo di forze
1totdU K dF
-nel caso di analisi a controllo di spostamenti
111 _
0
rid tot disp
imp
U K dF
U
La ridistribuzione viene normalmente conclusa quando tutto il carico da ridistribuire viene esaurito senza
che vengano registrate ulteriori rotture.
Se la struttura diviene labile, a prescindere dal fatto che la ridistribuzione si riferisca ad una analisi a
controllo di forze o di spostamenti, la ridistribuzione viene interrotta e l’analisi viene troncata.
La figura sottostante illustra con riferimento a un semplice esempio la procedura di ridistribuzione per
una analisi a controllo di forze e per una analisi a controllo di spostamenti.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 6 - ANALISI
- Pag. 139 -
Figura 122. Schema di ridistribuzione per un’analisi a controllo di forze e una a controllo di spostamento
In caso di rottura all’interno di una analisi dinamica, il carico da ridistribuire viene applicato alla struttura
sotto forma di un carico impulsivo, si tramuta quindi in una discontinuità nel campo delle velocità tra la
fine del passo nel quale si è avuta la rottura e il successivo.
Dal punto di vista delle forze del sistema, la ridistribuzione della forza di un elemento rotto comporta i
seguenti casi:
Ridistribuzione durante un’analisi a controllo di forze
Durante questo tipo di analisi i carichi esterni non vengono incrementati.
- Vettore forze esterne
0estdF
- Vettore forze interne
Ridistribuzione durante un’analisi a controllo di spostamenti
L’incremento delle forze esterne viene calcolato analogamente al caso di analisi a controllo di
spostamento, tuttavia in questo caso si ha dUrid=0, pertanto
- Vettore forze esterne
int totdF k dU
_12t
imp tot riddF K dU
F
fy
fy
fy
fy
fy
fy
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 6 - ANALISI
- Pag. 140 -
- Vettore forze interne
0riddF
ridest
imp
dFdF
dF
int estdF dF
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 7 - VERIFICHE
- Pag. 141 -
7. VERIFICHE
Al fine di rendere più chiari i fondamenti teorici che vengono applicati nella verifica sismica delle strutture,
e che sono implementati nel software, vengono in questo capitolo forniti utili approfondimenti su alcune
delle grandezze e delle procedure utilizzate nel post-processing.
7.1. OSCILLATORE ELASTOPLASTICO EQUIVALENTE
La metodologia di verifica utilizzata consiste nel determinare la domanda di spostamento che un sisma di
intensità corrispondente allo stato limite considerato richiede alla struttura. Tale spostamento richiesto
verrà quindi confrontato con lo spostamento effettivo della struttura, deducibile dalla curva push-over, al
momento del raggiungimento del medesimo stato limite.
La struttura è in sicurezza nel momento in cui la domanda di spostamento (o spostamento richiesto
dalla normativa), risulta inferiore alla capacità di spostamento che la struttura è in grado di
subire per effetto dell’azione sismica: . È importate rilevare che tali spostamenti, di
domanda e di capacità, dipendono dallo stato limite considerato. In altre parole la normativa richiede che
la struttura possa subire ulteriori spostamenti oltre a quelli minimi richiesti al fine di soddisfare gli obiettivi
prefissati da ciascuno Stato Limite (cfr. § 3.2.1 D.M.14.01.2008).
Il coefficiente di sicurezza della struttura rispetto allo stato limite considerato è ottenuto dal rapporto
tra la capacità di spostamento e lo spostamento richiesto: . Ovviamente la verifica di
sicurezza ha esito positivo se .
Il calcolo della richiesta di spostamento , viene eseguito mediante l’utilizzo degli spettri elastici (di
intensità corrispondente allo stato limite in esame) e considerando un sistema ridotto ad un grado di
libertà, equivalente alla struttura reale a molti gradi di libertà.
Attraverso ciascuna analisi non lineare è possibile riportare su un grafico cartesiano il valore del tagliante
alla base Vb, normalizzato rispetto al peso sismico della struttura, in funzione dello spostamento raggiunto
da un punto caratteristico della struttura, detto anche di controllo (cfr. 7.2), identificato in genere con il
baricentro del piano di copertura della struttura. La curva che si ottiene è la cosiddetta curva di capacità
o curva pushover della struttura a molti gradi di libertà.
La definizione delle caratteristiche meccaniche del sistema “ridotto” ad un grado di libertà, equivalente a
quello a molti gradi di libertà prevede che: sia determinata automaticamente la curva di capacità del
sistema ridotto ad un grado di libertà dalla curva pushover del sistema a molti gradi di libertà, dividendo
le relative coordinate per il coefficiente di partecipazione modale associato al primo modo di vibrare
della struttura a molti gradi di libertà. Quest’ultimo è definito come segue:
maxd
capacitàd
max capacitàd d
max/capacitàd d
1
maxd
2
1 1
N N
i i i i
i i
m m
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 7 – VERIFICHE
- Pag. 142 -
dove :
: massa associata all’i-esimo piano sismico (cfr. 7.2);
: componente i-esima del vettore rappresentativo il primo modo di vibrare della struttura nella
direzione considerata dell’azione sismica, normalizzato rispetto alla componente associata allo
spostamento del punto di controllo. Come forma caratteristica rappresentativa del primo modo di vibrare
della struttura nella direzione di carico, viene adottata una distribuzione proporzionale al prodotto delle
masse di piano per le relative altezze.
Al sistema ridotto viene associata una massa equivalente della struttura, definita come segue. La
curva del sistema ridotto viene semplificata secondo una bilatera equivalente caratterizzata da:
: massa equivalente del sistema ridotto
k*: rigidezza elastica
F*y: limite elastico
u*y, u
*u: spostamento al limite elastico e ultimo
La rigidezza della bilatera equivalente k* viene fissata pari alla rigidezza secante alla curva del sistema
ridotto in corrispondenza di un livello di forza pari al 60% del massimo. Il limite di snervamento viene
quindi determinato imponendo l’equivalenza energetica tra i due sistemi.
Figura 123. Equivalenza energetica
Il periodo del sistema ridotto risulta :
im
i
*m
1
*N
i i
i
m m
**
*2
mT
k
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 7 - VERIFICHE
- Pag. 143 -
Per strutture flessibili con T*≥Tc lo spostamento massimo del sistema bilineare ( ) può essere
assunto pari al massimo spostamento di un sistema elastico equivalente ( ). Tale parametro può
essere desunto dallo spettro di progetto in termini di spostamento SDe:
Per strutture rigide (T*<Tc) lo spostamento massimo del sistema non lineare viene amplificato rispetto a
quello del sistema elastico equivalente utilizzando l’espressione:
con:
Figura 124. Stima della Vulnerabilità.
Lo spostamento richiesto dalla normativa associato al punto di controllo della struttura a molti gradi di
libertà si ottiene moltiplicando lo spostamento massimo del sistema bilineare per il fattore di
partecipazione modale :
La capacità di spostamento della struttura associata a ciascuno stato limite viene valutata in
accordo alle prescrizioni normative (cfr. § C7.8.1.5.4 del Testo Unico 2008), eventualmente modificate
coerentemente con le scelte dell'utente.
*
maxd*
,maxed
* * *
max ,max ( )e Ded d S T
*
,max* * *
max ,max* *1 1
e Ce
d Td q d
q T
* **
*
( )e
y
S T mq
F
*
max maxd d
capacitàd
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 7 – VERIFICHE
- Pag. 144 -
7.2. DETERMINAZIONE DELLE MASSE DEI PUNTI DI CONTROLLO
I punti di controllo vengono accorpati in gruppi. Il software riconosce la contiguità tra tutti gli
orizzontamenti, qualunque sia il loro comportamento strutturale, e raggruppa tutti i punti di controllo di
tali elementi.
Questa scelta consente di limitare il numero di curve di capacità da usare per la verifica sismica (cfr. 7.1),
a patto di assegnare correttamente la massa a ciascun gruppo di punti di controllo.
Per l’assegnazione della massa corretta a ciascun gruppo di punti di controllo occorre determinare tutti gli
elementi la cui massa afferente possa ritenersi concentrata nel punto di controllo considerato, al fine di
poter descrivere l’intero organismo strutturale con un limitato numeri di gradi di libertà (uno per ogni
gruppo di punti di controllo).
All’interno del software sono implementati due possibili criteri per la determinazione della massa di
ciascun gruppo di punti di controllo:
- La prima procedura prevede il calcolo delle masse attribuendo a ciascun gruppo di controllo la
massa relativa a metà della massa degli elementi compresi tra la quota del gruppo di punti
controllo e quella immediatamente inferiore sommata a metà della massa degli elementi
compresi tra la quota del gruppo di punti controllo e quella immediatamente superiore,
comprensiva della massa relativa agli eventuali orizzontamenti cui i punti di controllo
appartengono; è evidente che l’utilizzo di questa procedura implica la perdita della massa relativa
a metà di quella compresa tra la quota di base e la prima, e il peso sismico non corrisponderà
alla massa complessiva del sistema;
- La seconda procedura prevede il calcolo delle masse attribuendo a ciascun gruppo di controllo la
massa relativa a quella degli elementi compresi tra la quota del gruppo di punti controllo e quella
immediatamente inferiore, comprensiva della massa relativa agli eventuali orizzontamenti cui i
punti di controllo appartengono; è evidente che l’utilizzo di questa procedura implica la
corrispondenza tra peso sismico e massa complessiva.
Il software considera in automatico la seconda di queste due procedure.
In caso di assenza di orizzontamenti, per ciascuna quota di una parete viene definito opportunamente un
punto di controllo (cfr. 6.3.1). La massa considerata sarà, per ciascuna quota di ciascuna parete, attinta
dalla parete corrispondente secondo i medesimi criteri prima descritti.
7.3. SOLLECITAZIONI E SPOSTAMENTI DEGLI ELEMENTI
La determinazione delle sollecitazioni e degli spostamenti degli elementi avviene a partire da forze e
spostamenti nodali globali.
Tali grandezze sono ricavabili, per ciascun passo di tutte le analisi, e per ciascun elemento, sia dalla
finestra principale del programma, accedendo alla finestra della risposta degli elementi, sia all’interno dei
tabulati di calcolo.
Al fine di facilitare la lettura di queste grandezze, risulta utile un approfondimento sulle convenzioni
adottate, soprattutto in relazione ai pannelli murari.
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 7 - VERIFICHE
- Pag. 145 -
7.3.1. INTERFACCE
Le forze e gli spostamenti sui singoli lati di un pannello, gestiti mediante le interfacce (cfr. 3.1.4) risultano
di immediata comprensione, essendo gli spostamenti immediatamente determinabili dagli spostamenti
dell’interfaccia stessa, e le sollecitazioni ottenibili dagli sforzi sulle molle come segue
1
molleN
n
n
N f
1
molleN
n n
n
M f d
sV f
con nf generico sforzo nella n-esima molla flessionale,
sf sforzo della molla a scorrimento,
nd distanza della n-esima molla flessionale dal punto medio dell’interfaccia.
Figura 125. Schema delle sollecitazioni generalizzate sull'interfaccia di un pannello
Oltre alle sollecitazioni generalizzate vengono fornite ulteriori informazioni sulle interfacce. In particolare
si possono distinguere gli indici del danneggiamento flessionale, e quelli relativi al taglio per scorrimento,
lungo la superficie individuata dall’interfaccia. Nel caso di comportamento flessionale possono essere
considerate le lunghezze, normalizzate rispetto alla lunghezza dell’interfaccia, delle zone plasticizzate a
trazione e a compressione.
c: ampiezza della zona fessurata;
t: ampiezza della zona schiacciata
Con riferimento invece al comportamento a taglio per scorrimento si distinguono invece le seguenti
grandezze:
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 7 – VERIFICHE
- Pag. 146 -
Ac: area di contatto per lo scorrimento (vengono escluse dal conteggio dell’area di contatto le aree
relative alle molle non attive, cioè quelle che, avendo superato il limite di deformabilità a trazione, hanno
subito un distacco);
Vu: sforzo di taglio ultimo a scorrimento;
pl: scorrimento plastico cumulato totale in entrambe le direzioni;
In particolare il taglio ultimo Vu, può essere calcolato come segue
u n cV c A
con c pari alla coesione, angolo di attrito e n dato da
n
c
N
A
Per maggiori dettagli sulle leggi costitutive si rimanda all’apposito capitolo 4.
7.3.2. PANNELLI
Per i pannelli murari è utile far riferimento a delle sollecitazioni e degli spostamenti generalizzati per
l’intero pannello, in modo da avere una misura diretta dello stato dell’elemento, soprattutto in relazione ai
limiti di deformazione previsti dalle normative. Tali grandezze vengono determinate a partire dagli
spostamenti nodali (per le deformazioni generalizzate), o dagli sforzi sulle interfacce afferenti ai lati del
pannello per le sollecitazioni generalizzate (cfr. 7.3.1).
Con riferimento al comportamento piano, per le sollecitazioni vengono distinte le seguenti grandezze:
V: sforzo di taglio globale;
Nx: compressione media in direzione x del pannello;
Ny: compressione media in direzione y del pannello;
Vu: sforzo di taglio di snervamento corrente.
Tali valori, sulla base degli spostamenti nodali già definiti (cfr. 3.1.1) sono dati da:
3 1 2 4
2 2
F F F FV
1 3
2x
N NN
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2 4
2y
N NN
u uV s b h
dove N1, N2, N3 e N4 rappresentano le risultanti degli sforzi delle interfacce sui quatto lati del pannello, in
accordo con le convenzioni mostrate nella figura sottostante, s è lo spessore del pannello, b ed h sono le
sue dimensioni e u è la tensione tangenziale limite equivalente, data da:
0u n
0 rappresenta la tensione tangenziale limite in assenza di tensione normale, è l’angolo di attrito,
mentre n è una misura della tensione normale media agente sul pannello murario, che può essere
espressa come
2 2 2
yx yx
x y x y
n
NN NNA A b h
d
con d lunghezza della diagonale dell’elemento. Per maggiori dettagli sulle procedure di taratura cfr. 4.1.
Figura 126. Schema delle sollecitazioni generalizzate su un pannello
I valori degli spostamenti generalizzati comprendono invece:
: scorrimento angolare corrente;
: rotazione flessionale corrente;
Tali quantità possono essere espresse come:
3 1 2 4u u u u
h b
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3 1 4 2u u u u
h b
Tali spostamenti generalizzati sono quelle che possono essere confrontate con i valori di normativa, e
pertanto risultano decisive per la determinazione della validità dell’analisi.
Limitatamente al taglio per fessurazione diagonale viene anche fornito un indicatore dello stato delle
molle diagonali. In particolare vengono distinti tre distinti stadi di comportamento:
EL: pannello non danneggiato;
SN: plasticizzazione della molla diagonale attivata;
RT: pannello collassato a taglio.
7.3.3. ASTE
In accordo alle figure sottostanti, e coerentemente col sistema di riferimento locale dell’asta (cfr. 3.3),
per ciascun nodo dell’asta gli spostamenti significativi sono dati da:
u: spostamento del nodo lungo la direzione 1 dell'asta;
v: spostamento del nodo lungo la direzione 2 dell'asta;
w: spostamento del nodo lungo la direzione 3 dell'asta;
1: rotazione del nodo nel piano 1-2 dell'asta;
2: rotazione del nodo nel piano 1-3 dell'asta;
t: rotazione del nodo nel piano 2-3 dell'asta
Figura 127. Schema degli spostamenti generalizzati su un’asta
Analogamente, le sollecitazioni duali sono date da:
N: sforzo normale;
V2: taglio agente nel piano 1-2 dell'asta;
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V3: taglio agente nel piano 1-3 dell'asta;
M2: momento agente nel piano 1-2 dell'asta;
M3: momento agente nel piano 1-3 dell'asta;
Mt: momento torcente
Figura 128. Schema delle sollecitazioni generalizzate su un’asta
7.4. ANALISI LIMITE DI PARETI MURARIE CARICATE FUORI DAL PROPRIO
PIANO
Nel seguito viene descritta la procedura di verifica dei meccanismi di ribaltamento fuori piano delle pareti.
L'approccio utilizzato è quello dell'analisi limite che consente di determinare il moltiplicatore dei carichi
gravitazionali che attiva il meccanismo. Le successive verifiche si basano sulla definizione di un oscillatore
equivalente secondo quanto previsto in normativa.
7.4.1. INDIVIDUAZIONE DELLE FASCE MURARIE
Si consideri una fascia verticale di muratura comprendente un'intera parete o una porzione di essa.
Ciascuna fascia è soggetta ai carichi gravitazionali derivanti dal peso proprio della muratura e dagli
scarichi dei solai. Le eccentricità dei carichi vengono determinate considerando le rastremazioni della
parete lungo l'altezza e le lunghezze di ammorsamento dei solai.
Figura 129 Definizione di una fascia di muratura.
Nn
N2
N1
Pn
P2
P1
hn
h2
h1
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Si riportano nel seguito le grandezze geometriche e statiche caratterizzanti ciascuna quota della fascia :
P : peso proprio della muratura;
s : spessore del pannello;
h : quota di sommità rispetto alla base;
N : scarico (applicato alla quota h);
eN : eccentricità del carico N rispetto alla mezzeria del blocco su cui scarica;
Le azioni ribaltanti sono rappresentate da una distribuzione di forze orizzontali proporzionali ai carichi
gravitazionali secondo un unico moltiplicatore ().
Ulteriori azioni stabilizzanti sono dovute alla presenza di tiranti/catene e all'ammorsamento dei solai,
caratterizzate dalle grandezze sotto riportate:
Th : forza di snervamento del tirante;
hT : quota del punto di applicazione del tirante;
F=*s*Ni : massima forza d'attrito esplicata dal solaio;
coefficiente di attrito caratterizzante la superficie di scorrimento muratura/solaio
s coefficiente riduttivo [0;1] per tenere conto dell'area effettiva di contatto tra
solaio e muratura
Si considerano due tipologie di cinematismi, entrambi caratterizzati dalla formazione di cerniere
orizzontali:
a) Meccanismi semplici (o di tipo A): ottenuti considerando la formazione di una cerniera plastica
con conseguente rotazione rigida della porzione di muratura superiore.
b) Meccanismi composti (o di tipo B): caratterizzati dalla formazione di tre cerniere e due porzioni di
muratura coinvolte. In corrispondenza delle cerniere di estremità si hanno spostamenti orizzontali
nulli mentre in corrispondenza della cerniera intermedia si ha il massimo spostamento.
Le cerniere possono formarsi in corrispondenza di particolari sezioni detta critiche, individuate a priori, in
corrispondenza delle:
- quote di piano;
- quote di applicazione dei tiranti;
- quote delle aperture;
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- I meccanismi di tipo A vengono definiti a partire dal vincolo fisso a quota più alta. In assenza di vincoli
fissi la posizione della cerniera spazia tra tutte le sezioni critiche.
- I meccanismi di tipo B vengono definiti tra due quote vincolate successive e collocando le tre cerniere
secondo tutte le possibili combinazioni.
Figura 130 Definizione dei meccanismi di tipo A e B
L’analisi del meccanismo consiste nel calcolare, mediante l’applicazione dell’analisi limite, il moltiplicatore
dei carichi che attiva il cinematismo () e lo spostamento limite del punto di controllo (coincidente con il
baricentro delle forze gravitazionali) che annulla la resistenza della parete (dk).
Considerando una cinematica lineare, come previsto dalla normativa, si ottiene il legame costitutivo sotto
riportato:
Figura 131 Legame costitutivo a ribaltamento linearizzato
7.4.1.1. MECCANISMO DI TIPO A
Imponendo l’equilibrio limite si ottiene la seguente espressione del moltiplicatore dei carichi :
nN
i
iNi
nP
i
iPi
n
i
iTii
nT
i
iTi
nN
i
iNi
nP
i
iPi
hNhP
hNhTbNbP
1
,
1
,
1
,
1
,
1
,
1
,
ultima quota vincolataquota vincolata i
quota vincolata i+1
s2
s1
s3
s5
s4
quota non vincolata
du d
ag
ag*
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Dove (hP,i , hN,i) rappresentano il braccio verticale delle forze ribaltanti; (bP,i , bN,i) il braccio
orizzontale delle forze stabilizzanti;
7.4.1.2. MECCANISMO DI TIPO B
Il moltiplicatore dei carichi viene determinato applicando il principio dei lavori virtuali per
corpi rigidi (Lest=0). La cinematica è governata da un unico parametro libero assunto pari
alla rotazione attorno alla sezione inferiore () mentre la rotazione attorno alla sezione
superiore, indicando con h1 e h2 le porzioni di muratura individuate dalla cerniera centrale,
risulta:
cc
cc
hh
hh
h
h
2
1
2
11
Indicando con:
wa : il lavoro associato alle forze d’inerzia considerando =1;
wG : il lavoro negativo associato alle forze gravitazionali;
we : il lavoro associato alle forze stabilizzanti esterne (tiranti, solai);
Il moltiplicatore dei carichi limite risulta:
a
ge
w
ww
3DMacro® - Manuale Teorico CAPITOLO 8 - BIBLIOGRAFIA
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8. BIBLIOGRAFIA
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[3] I. Caliò, F. Cannizzaro, E. D’Amore, M. Marletta & B. Pantò. A new discrete-element approach for
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Seismic Engineering International Conference commemorating the 1908 Messina and Reggio
Calabria Earthquake (MERCEA '08). Reggio Calabria, 8-11 July 2008
[4] Caliò, I., Cannizzaro F., Marletta, M., (2010). “A discrete element for modeling masonry vaults.”
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