Lyadarland

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La Predestinata Danilo Marano Galaad Edizioni

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AVALON

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Danilo Marano

LYADARLAND LA PREDESTINATA

Galaad Edizioni

Libro Primo

© 2008 Galaad Edizioni www.galaadedizioni.com

ISBN 978-88-95227-19-1

LYADARLAND La predestinata

Alla mia grande famiglia

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Prologo

l sole del pomeriggio ardeva sulla pianura e i fiori, mossi da un lieve soffio di vento, ondeggiavano sugli esili steli, scintillando come gemme variopinte nel

verde intenso dell’erba. Pieno di ammirazione, Sharamon contemplava la natura

rigogliosa delle piane di Myron, che in quel periodo offriva-no uno degli scorci più suggestivi dell’Alto Continente.

In piedi, il corpo asciutto, quasi scheletrico, avvolto in una tunica di lino grezzo, Sharamon abbracciava l’immensa di-stesa con sguardo assorto. Le orbite incavate rivelavano l’avanzare dell’età; il volto scavato, percorso da una ragnate-la di rughe e cicatrici profonde, testimoniava avventure proi-bite e proibitive per chiunque altro. Ciononostante la sua mente era vivace e acuta come quella di un ragazzo, e l’esperienza compensava la minore prontezza di riflessi.

Le mani affusolate si mossero impercettibilmente. Magia. La vita di Sharamon ne era sempre stata pervasa. Magia

innata. Non il frutto di studi teorici, ma un dono naturale che fluiva dalle sue mani, dai suoi gesti, dalla sua voce sin dalla nascita, affinato e reso ancor più potente dall’esperienza.

Le braccia esili si levarono verso l’alto in un gesto solenne. Magia. La magia era stata quasi sempre una benedizione e una

salvezza, motivo di rispetto e stima per gli amici, di timore e diffidenza per i nemici; ma a volte si era rivelata un fardello troppo pesante anche per lui. Era stata la magia a impedirgli

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di sposare l’unica donna che avesse mai veramente amato. Si chiamava Saryn, e faceva parte di un’antica casata, più sensi-bile al prestigio sociale che alla purezza dei sentimenti. I Be-thren amavano definirsi una famiglia “di alta tradizione” e non avrebbero mai consentito alla fanciulla di sposare Sha-ramon, mal visto per le sue doti magiche. Quando Saryn a-veva minacciato di andar via di casa, i suoi l’avevano rin-chiusa in un monastero, con grande dolore e disperazione del giovane. A quell’epoca Sharamon aveva poco più di vent’anni e da allora non aveva più avuto notizie della sua amata. Si dice che il tempo guarisca ogni ferita e plachi ogni tormento, ma in un angolo nascosto del suo cuore Sharamon piangeva ancora lacrime di sangue.

Dolci parole uscirono dalle sue labbra, lievi come un soffio. Magia. Una piccola sfera d’ombra lo avvolse. Sharamon si sdraiò sull’erba, soddisfatto. Era giunta l’ora del riposo quotidiano.

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l Parco di Jilyas. La più straordinaria meraviglia architettonica mai

realizzata da mano mortale. Devoto omaggio a Jilyas, Dea della Prosperità, era stato costruito grazie alla perizia degli Elfi Terrestri e all’ingegno dei Genieri Nani, due popoli uniti da un profondo rispetto reciproco. Quello stesso con-nubio aveva permesso la nascita e lo sviluppo di una città u-nica nel suo genere, miscela irripetibile di volti, storie, co-stumi e tradizioni differenti: Adhoyra, la metropoli più vasta e popolosa dell’Alto Continente.

Il Parco di Jilyas sorgeva nel pieno centro di Adhoyra e vi convergevano tutte le vie principali della città, che si svilup-pava ad anello attorno a esso. Di forma circolare, misurava circa cinque kuti1 di diametro e vi si poteva accedere da e-normi ingressi ad arco situati in corrispondenza dei quattro punti cardinali, ciascuno sormontato da un affresco a tema.

L’affresco a Est raffigurava il sole nascente, un’immensa sfera di fuoco sospesa sulla linea dell’orizzonte.

A Ovest erano rappresentate le due Lune di Lyadarland, Neryl Minore e Neryl Maggiore, così chiamate per le loro ri-spettive dimensioni.

A Sud una scintillante distesa di lapislazzuli screziata d’oro evocava il mare, l’elemento naturale dominante nelle Lande Inferiori dell’Alto Continente, mentre sull’entrata a 1 Il kuti è l’unità di misura di Lyadarland per le lunghezze. Corrisponde a 400 lunghezze unitarie (metri) del pianeta Azzurroverde, detto dai suoi abitan-ti Terra.

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Nord un verde arabesco simboleggiava i boschi e le foreste delle Lande Superiori.

Il Parco offriva una ricca varietà di vegetazione, che cre-sceva rigogliosa grazie al clima mite di Adhoyra, temperato dell’influsso benefico delle sorgenti di acqua calda su cui sorgeva la città.

Il Parco, disseminato di piccole piazze dove sorgevano

statue di marmo e monumenti votivi, era solcato da una fitta rete di viali alberati ricoperti di grandi pietre levigate. Querce e salici antichi e maestosi riparavano con la loro chioma an-goli d’ombra in cui i visitatori si fermavano a riposare nelle ore più calde della giornata. File di palme e di giovani acacie, intervallate da cespugli di rose bianche e purpuree, circon-davano fontane di alabastro e piccoli specchi d’acqua cristal-lina, ricoperti di ninfee e sormontati da stupendi ponti ad ar-co. Si aveva l’impressione di essersi avventurati in un giardi-no paradisiaco al di fuori del tempo.

Nella Grande Piazza centrale si ergeva in tutta la sua im-ponenza il Tempio Primo. La piazza era il principale luogo di ritrovo dei cittadini di Adhoyra, che amavano radunarvisi dopo le fatiche della giornata lavorativa. Il Tempio Primo era il luogo di culto più importante della città, sede della Sacer-dotessa Massima, Farja, la più giovane a ricoprire quel ruolo dai tempi della costruzione del Parco, avvenuta più di due secoli prima.

La Torre del Tempio dominava la città e molti considera-vano quell’imponente edificio il simbolo, se non la fonte stes-sa, della prosperità di Adhoyra.

Derkyan era affascinato dalla figura di Farja. Aveva sem-

pre pensato che, se lei non fosse stata la Sacerdotessa Massi-ma, l’avrebbe sposata. Che importava se lui era un Uomo e lei un’Elfa Terrestre? In una città aperta e cosmopolita come

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Adhoyra le unioni miste tra Uomini ed Elfi, Uomini e Nani, Elfi e Nani, erano molto frequenti e la diversità, lungi dall’essere un problema, era considerata una ricchezza da salvaguardare.

Derkyan Fylewin aveva appena compiuto diciott’anni. Era un ragazzo semplice e poco appariscente. Alto poco più di otto spanne2, indossava pantaloni di lino chiaro a metà polpaccio che lasciavano intravedere le gambe muscolose, scurite dal sole cocente del Nord, e una casacca che gli aveva regalato sua madre poco prima di morire. La indossava sem-pre quando viaggiava verso sud. Lo aiutava a ricordare; e quei ricordi gli scaldavano il cuore.

I capelli scuri e lisci, che gli arrivavano fin sopra le spalle, erano scompigliati dalla lieve brezza pomeridiana. Con un rapido gesto della mano Derkyan si scostò dalla fronte un ciuffo molesto, mentre gli occhi neri come l’ebano fissavano incantati il laghetto che si apriva nella Piazza centrale del Parco. Di tanto in tanto un bambino lanciava gioioso qualche boccone di pane alle anatre, che subito accorrevano verso il cibo sbattendo le ali e provocando lunghe increspature sulla superficie del lago.

Derkyan osservava con attenzione le piccole onde circola-ri lasciate dal passaggio delle anatre. Era questo che lo aveva sempre affascinato dell’acqua: il suo continuo, incessante movimento. L’acqua era sempre mobile. Si poteva prenderla, fermarla, placarla: tutto sarebbe stato inutile. L’acqua sarebbe scivolata via dalle dita allo stesso modo in cui il tempo scorre via inesorabile dalla nostra esistenza. Era lei la vera sovrana del mondo: per quanto si potesse conoscerla, non si sarebbe mai potuto dominarla.

I laghetti del Parco erano un’eccezione a quel moto inces-

2 Una spanna corrisponde a 20 centimetri del sopra citato pianeta Azzurro-verde.

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sante. Nelle notti senza vento le loro acque, rilucenti come specchi, parevano prive di vita.

Ma i pensieri di Derkyan non indugiavano a lungo su quelle piccole conche d’acqua cristallina.

Il sogno di Derkyan era il mare. E un giorno, ne era certo, l’avrebbe raggiunto. I Fylewin erano commercianti da quindici generazioni, da

quando Algar Fylewin, taglialegna nelle grandi foreste delle Lande Superiori dell’Alto Continente, aveva deciso di sfrut-tare la sua abilità innata nell’intagliare il legno.

Il suo lavoro era stato talmente apprezzato nei paesi delle piane di Myron che ben presto Algar si era convinto ad apri-re un piccolo laboratorio, creando dal nulla un’attività che assorbiva gran parte delle sue giornate. Aveva assunto dei taglialegna affinché gli procurassero la materia prima, fino a quando i figli maschi, Gadar e Goyos, non furono abbastanza grandi per lavorare con lui. Da quel momento la gestione della bottega era passata completamente ai membri della fa-miglia e in seguito era stata tramandata di generazione in generazione.

Arb Fylewin era l’unico maschio della sua generazione e, alla morte quasi contemporanea del padre Predyan e dello zio Jaris, aveva assunto la conduzione della bottega assieme al figlio Derkyan. Per la prima volta da quando la bottega era stata fondata, vi lavorava anche una donna: Arb era un uomo troppo intelligente per escludere dagli affari di famiglia Del-yara, la sorella di Derkyan.

La fanciulla, oltre a possedere una bellezza senza pari, sa-peva intagliare e ornare il legno come nessun altro nell’Alto Continente. In più, era dotata di un’eloquenza irresistibile, capace di affascinare, avvincere, trascinare. Era lei a trattare e a definire la maggior parte degli affari, specialmente quando la vendita si prospettava difficile e il cliente aveva bisogno di

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essere convinto della validità dell’acquisto. Con la sua voce calda e vellutata, con l’innata delicatezza

e raffinatezza dei modi, Delyara era eccezionale nel persua-dere i compratori, e riusciva con disinvoltura là dove i due maschi di bottega non avrebbero neanche tentato.

Quel giorno i Fylewin si trovavano al Gran Mercato di Adhoyra, che aveva luogo ogni mese. Per tre giorni si riuni-vano in città centinaia di mercanti e artigiani di ogni genere, attirando migliaia di visitatori da tutto l’Alto Continente e da gran parte del Basso Continente. Il Gran Mercato offriva in-numerevoli possibilità di realizzare affari vantaggiosi e i Fylewin non mancavano mai di esporvi i pezzi più pregiati e costosi della loro produzione, quelli che difficilmente sareb-bero riusciti a vendere a Herthdann, il loro villaggio di pro-venienza.

Derkyan fissava il vuoto, pensieroso. Dovunque si trovasse, a volte gli accadeva di perdersi in

un mondo inaccessibile a chiunque altro, gli occhi sognanti persi chissà dove.

Quel giorno le sue riflessioni furono bruscamente interrot-te da una mano imperiosa che gli afferrò rudemente la spalla. Derkyan si girò di scatto e dovette alzare gli occhi di un paio di spanne per incontrare lo sguardo dell’uomo che gli stava davanti. Quel tizio era alto almeno dieci spanne, e l’armatura nera e massiccia che indossava lo faceva sembrare ancora più imponente e minaccioso.

«Sei tu Derkyan Fylewin?» La voce dello sconosciuto era così cavernosa che Derkyan

sussultò. Prima di rispondere, ebbe un momento d’incertezza, ma non lo diede a vedere. Dopotutto, non era stato suo padre a insegnarli a non temere nessuno?

Trasse un profondo respiro e si schiarì la voce. «Sono io» rispose, guardando fieramente negli occhi il suo

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misterioso interlocutore. «Bene, allora devi seguirmi, Derkyan Fylewin. A Palazzo

c’è una persona che desidera vederti» annunciò solennemen-te.

«Ma chi…?» farfugliò il ragazzo, incredulo. Le sue obie-zioni, però, furono bloccate sul nascere.

«Questo è il messaggio che dovevo riferirti. Non chiedere altro perché non so altro. Seguimi senza fare domande.»

Derkyan, ammutolito dallo stupore, fissò per un istante quel tizio mastodontico. Si chiese chi mai a Palazzo potesse aver bisogno di incontrare lui, un forestiero, un visitatore oc-casionale di Adhoyra. Non pensava di essere tanto importan-te da meritare addirittura l’attenzione dei suoi regali abitanti. “Beh, l’importante è che sia di ritorno per l’ora di cena” pen-sò, alzando le spalle.

«Andiamo allora, non facciamolo aspettare» rispose, o-stentando una sicurezza che era ben lontano dal possedere.

A passo deciso si avviarono verso l’uscita Sud del Parco di Jilyas.

Il Palazzo era l’edificio più prestigioso dell’intera città. Vi

si riuniva il Grande Consiglio di Adhoyra, formato da rap-presentanti eletti direttamente dal popolo. La composizione eterogenea della popolazione cittadina si rifletteva nell’organizzazione del Grande Consiglio, di cui facevano parte Elfi, Nani, Uomini e Gnomi: in tutto, centoquarantuno membri. Era l’organo che deteneva il potere legislativo di Adhoyra, città indipendente e libera fin dalla sua fondazione. Il potere esecutivo era invece riservato al Piccolo Consiglio, eletto a maggioranza dal Grande Consiglio. Esso contava undici membri, tre Elfi e tre Nani, due Uomini e due Gnomi; l’undicesimo membro veniva designato dal Piccolo Consiglio al di fuori dell’ambito politico, tra coloro la cui abilità in un determinato campo poteva essere utile per affrontare situa-

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zioni di particolare emergenza come inondazioni, alluvioni, terremoti, ondate di violenza e guerre. Per questo era chia-mato il Faccendiere, ossia colui che si occupava delle faccen-de più urgenti del momento.

Forse per la sua grandezza, forse per la sua posizione ge-ografica, forse per l’eterogeneità che la caratterizzava, non era mai mancato un Faccendiere tra i Membri del Piccolo Consiglio di Adhoyra.

Derkyan e la guardia camminavano fianco a fianco, senza

rivolgersi la parola. Il Palazzo si trovava a un paio di kuti dall’ingresso meridionale del Parco di Jilyas e lo si raggiun-geva seguendo la strada principale verso Sud, un ampio viale lastricato di pietre marmoree e fiancheggiato su entrambi i lati da lampioni di diversa foggia, che la sera offrivano un suggestivo spettacolo di luci e di riflessi.

Quando giunsero davanti all’enorme cancello d’ingresso, il giovane non poté fare a meno di trattenere per l’ennesima volta un’esclamazione di meraviglia alla vista del Palazzo, un trionfo di sfarzo e di opulenza inimmaginabile per un abitan-te delle Lande Superiori dell’Alto Continente. Il marmo, la-vorato dai più abili artigiani della città, creava forme sublimi e rifletteva il sole del primo pomeriggio.

Ai lati del portone esterno stavano ritte e immobili due guardie, vestite della stessa armatura dell’energumeno che accompagnava Derkyan. Li lasciarono passare mettendosi sull’attenti. “La guardia che è venuta a prendermi deve esse-re un loro superiore” pensò Derkyan.

Attraversarono il cortile interno di forma rettangolare. Ai quattro lati alberi massicci con le loro fronde celavano quanto accadeva nelle Sale interne. Passarono da una stretta porta sulla sinistra e salirono per una lunga scala a chiocciola che li condusse direttamente al secondo piano dell’edificio. Di nuovo, una coppia di guardie scattò sull’attenti al loro pas-

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saggio. “Chissà da chi mi sta portando” si chiese il ragazzo, sem-

pre più sconcertato. Era intimorito, doveva ammetterlo; ma a poco a poco una curiosità irresistibile si era insinuata in ogni suo pensiero.

La guardia si arrestò improvvisamente davanti a una por-ta e bussò tre volte. La porta si aprì cigolando.

Lo accolse una voce che Derkyan non aveva mai udito prima.

«Derkyan… ti aspettavo. Entra, entra pure.» Era una voce calda e profonda che ispirava un’immediata

sensazione di sicurezza. Derkyan avanzò con cautela, guar-dandosi intorno, e dopo qualche passo sentì la porta richiu-dersi con un tonfo alle sue spalle.

La sala era spoglia. Soltanto una scrivania di legno pregia-to occupava la parete adiacente alla porta; il resto della stan-za era rivestito da file e file di scaffali, stracolmi di carte in-giallite e impolverate.

Un nano si alzò dalla sedia dietro la scrivania e gli venne incontro, tendendogli la mano con un sorriso incoraggiante. Una folta barba castana e lunghi capelli intrecciati gli incor-niciavano il viso. Era tozzo ma, come tutti i nani, aveva un’aria incredibilmente energica.

Derkyan fu colpito dagli occhi, chiari e limpidi come un freddo ruscello di montagna. Gli conferivano un aspetto bo-nario e rassicurante, ma talvolta erano attraversati da lampi d’inquietudine.

«Benvenuto, Derkyan Fylewin. Non aver paura, sei tra amici, qui. Io sono Koywor Bohrier e vivo a Adhoyra da quando sono nato, ben cinquantuno anni fa. Sono il Faccen-diere in carica di questa città. Sai cosa significa?»

Derkyan, un po’ più rilassato, annuì. «Allora saprai anche che il mio non è un compito facile. Il

Grande Consiglio viene eletto dal popolo e, insieme al Picco-

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lo Consiglio, si occupa dell’ordinaria amministrazione della città. Il Faccendiere viene nominato dai politici membri del Piccolo Consiglio per fronteggiare gli eventi straordinari e imprevedibili. Spesso si tratta di questioni di vita o di morte che possono coinvolgere l’intera città.»

Nel pronunciare le ultime parole la sua voce aveva assun-to un tono ancor più grave. Derkyan ascoltava con interesse, cercando di capire le intenzioni del nano. I suoi occhi chiari vagavano irrequieti per la stanza, quasi temessero di fermarsi su un unico oggetto.

«Perché mi hai fatto chiamare?» chiese alla fine Derkyan in tono perentorio.

«Vedo che vai dritto al dunque, figliuolo! Non posso darti torto. Non piacciono neanche a me le persone che si perdono in chiacchiere. Bene. Avrai capito che se sono in carica, vuol dire che Adhoyra ha un problema. Un serio problema, in questo caso.»

Derkyan continuava a fissarlo, senza capire. «Vedi, Derkyan, devi sapere che fin dalla sua fondazione

Adhoyra ha suscitato le invidie delle grandi città delle Lande Superiori dell’Alto Continente. La sua posizione geografica è la migliore che si possa desiderare, il sottosuolo è ricco di ri-sorse naturali e l’amalgama di popoli e culture così diversi tra loro le ha permesso di diventare un centro economico e culturale di primaria importanza. Ora queste grandi città, a-bitate dai Troll, sono state in parte unificate sotto la guida di un uomo. Aiutato dalle sue arti magiche, egli ha conquistato la fiducia di pochi quartieri prima e di intere città poi. Al momento, quattro città Troll sono unite nel Regno di Bohrod. Questo è il nome del mago. È un nemico potente, ma la sua forza è frutto dell’inganno: con la magia nera ha sedotto i Troll, convincendoli a fidarsi di lui e della sua malvagità. I Troll sono esseri rudi ma di animo buono e generoso; eppure a volte questo non basta a evitare che il male prenda il so-

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pravvento. Loro non hanno alcuna difesa contro il potere del-la magia e si sono dovuti arrendere.»

Derkyan iniziava a comprendere il senso del discorso. «Ma perché nessuno si è mai occupato di proteggere i

Troll? Lo sanno tutti che sono privi di difese magiche.» Il Faccendiere sorrise compiaciuto alla domanda del ra-

gazzo, che denotava lucidità e capacità di analisi. Era sempre più convinto di aver scelto la persona giusta.

«Come spesso avviene» spiegò il nano, «quando non esi-ste un precedente specifico si tende a non affrontare il pro-blema. Si cerca di navigare a vista, sperando che non accada niente di irreparabile. È un modo di fare poco lungimirante, lo riconosco, ma credimi se ti dico che è insito nell’animo di ognuno di noi.»

Derkyan avrebbe voluto ribattere, ma si trattenne. A ben rifletterci, Koywor non aveva tutti i torti.

«Fatto sta» riprese il nano «che negli ultimi tempi queste città Troll, da sempre in stretti rapporti commerciali con A-dhoyra, hanno completamente tagliato i ponti con noi. I Troll sono sempre stati i nostri maggiori fornitori di minerali, pie-tre e marmo, carne di capriolo, coniglio e ogni altro animale che vive nella selvaggia Catena del Kerwok. Prima della fon-dazione di Adhoyra i Troll erano un popolo isolato; poi i primi governanti di Adhoyra, anzi i primi Faccendieri, che allora si occupavano soprattutto dei rapporti diplomatici, fu-rono tanto abili da garantirsi il loro appoggio politico e mili-tare. Questa fu una delle chiavi dello sviluppo di Adhoyra, che in tal modo poté permettersi di non temere scorribande da parte delle città più piccole dell’Alto Continente. Fu così che i Genieri nani ebbero tutto il tempo di progettare ed edi-ficare l’enorme cinta di mura che da allora costituisce l’orgoglio della nostra città. D’ora in avanti, invece, saremo costretti a temere i nostri vecchi amici.»

Il nano tacque, immerso in cupe elucubrazioni.

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Poi trasse un lungo respiro, massaggiandosi leggermente la folta barba, e proseguì.

«I nostri informatori sospettano che Bohrod stia allesten-do il più grande esercito mai esistito nei Due Continenti. Non se ne hanno ancora prove certe, ma si teme che stia addirittu-ra risvegliando i Morti, anime di potenti stregoni ed esseri malvagi che al solo nominarli getterebbero nel terrore anche il più prode dei guerrieri.»

Derkyan spalancò gli occhi. Non avrebbe mai immaginato che qualcuno potesse spingersi a tanto. Disturbare il mondo dell’Oltretomba era un gesto folle e sconsiderato che nessun essere sano di mente avrebbe mai preso in considerazione. Chi avrebbe potuto governare i Morti, una volta liberati? Lo sguardo del giovane era colmo di stupore.

«Hai capito bene, figliuolo. L’equilibrio che Adhoyra ha garantito in tutto l’Alto Continente grazie alla sua cultura co-smopolita e alla sua fiorente economia rischia di dissolversi nel nulla in breve tempo, spazzato via come una capanna di paglia da un uragano» mormorò il Faccendiere, scuotendo la testa.

Ci fu un attimo di silenzio. I due si fissarono, immobili. Poi il ragazzo trovò il coraggio di parlare. «E io cosa ho a che fare con tutto questo? Perché sono sta-

to convocato?» Koywor abbozzò un sorriso, sfiorandosi la fronte rugosa

con la mano. «Vedi, nella storia ci sono sempre stati individui che un

fato imperscrutabile ha destinato a compiere imprese straor-dinarie per risolvere situazioni senza alcuna via d’uscita, ed è così anche questa volta. Abbiamo bisogno di una persona che abbia il coraggio, la volontà e soprattutto la capacità di arre-stare un processo che sconvolgerebbe per sempre l’equilibrio dell’intera Lyadarland e la vita dei suoi abitanti. Stavolta, an-che se sono il Faccendiere in carica, non posso fare tutto da

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solo. Il mio compito sarà quello di organizzare una resistenza nel caso in cui la persona predestinata fallisse, di stringere alleanze, fortificare le mura e preparare Lyadarland alla guerra. La persona che il destino ha scelto per salvare tutti noi da questo terribile incubo vedrà la sua vita stravolta per sempre, in maniera probabilmente irreversibile. A volte il fa-to gioca in modo beffardo con le nostre vite, ma forse rispon-de a un progetto più alto, che a noi non è dato conoscere. Tutto ciò che possiamo fare è metterci al servizio del bene, anche se questo può comportare scelte durissime.»

«Il tuo parlare non m’intimorisce, Faccendiere» lo inter-ruppe Derkyan. «Sono stato educato ad assumermi le mie re-sponsabilità e ad affrontare le difficoltà della vita, per quanto grandi possano essere. Dimmi solo cosa devo fare.»

Il volto di Derkyan era contratto, le mascelle irrigidite; ma i suoi occhi tradivano un profondo turbamento.

Il nano sorrise. “È un ragazzo sveglio e coraggioso”, pensò, “ma è pur

sempre un ragazzo”. «Il tuo compito sarà quello di cercare un Mago. Tutto ciò

che sappiamo di lui è che vive da qualche parte nelle Lande Superiori. Solitario e isolato dal resto del mondo, i suoi poteri sono la nostra ultima speranza. Devi trovarlo e convincerlo ad aiutarci. Sarà fondamentale per la riuscita della missione.»

Tacque per qualche istante, esaminando attentamente le reazioni del giovane, cercando di decifrare ogni minima e-spressione del suo viso. Sentiva di non essersi sbagliato sul conto di Derkyan. Avrebbe svolto il suo compito in modo i-neccepibile.

Ma c’era ancora qualche dettaglio da chiarire. Il nano tossicchiò, come per schiarirsi la voce. «Non sei tu il predestinato, giovane Derkyan.» Il ragazzo lo fissò allibito. «Ma non hai detto che…»

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«La persona che il destino ha scelto per questa missione» lo interruppe il Faccendiere «è Delyara Fylewin. Tua sorella.»