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1 di 25 L’USO DEL TERRENO COME SORGENTE TERMICA Angelo Zarrella ([email protected] ) Dipartimento di Fisica Tecnica – Università degli Studi di Padova 1. INTRODUZIONE L’aumento del benessere e delle attività umane, ha portato negli ultimi anni ad una intensificazione dell’effetto serra, con possibili cambiamenti climatici legati all’aumento della temperatura media globale. Con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto, firmato anche dall’Italia, viene imposto ad ogni Paese firmatario di diminuire le proprie emissioni di gas serra nel periodo 2008-2012 di almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990, considerato come anno di riferimento. Nel Dicembre 2008, il Consiglio Europeo ha approvato il piano secondo cui si impone, entro il 2020, di ridurre del 20% le emissioni di CO 2 e di aumentare della stessa percentuale il risparmio energetico e la quota delle fonti rinnovabili nel mix energetico, nonostante alcune concessioni date ad alcuni Paesi tra cui anche l’Italia. L’attenzione è già rivolta alla conferenza mondiale sul clima di Copenhagen, chiamata a dare seguito al Protocollo di Kyoto. Per adeguarsi a tali norme appare fondamentale sia migliorare l’efficienza energetica dei sistemi, anche mediante lo sviluppo di nuove tecnologie, che diversificare il più possibile le fonti energetiche. In tale quadro si inserisce molto bene la “sorgente geotermica a bassa temperatura 1 ” per la climatizzazione degli edifici. Sfruttando infatti la quasi isotermia del terreno, è possibile far funzionare una Pompa di Calore (PdC) acqua-acqua a livelli termici che consentono elevati coefficienti di prestazione, quindi minor consumi e di conseguenza minori emissioni inquinanti. Per pompa di calore si intende una macchina che preleva calore da una sorgente a temperatura inferiore, e lo rende disponibile (assieme all’equivalente termico dell’energia spesa per rendere possibile questa operazione), per utilizzo esterno, ad una temperatura superiore. Quindi, a rigore, il termine “pompa di calore” si riferisce al solo funzionamento in regime di riscaldamento. La PdC diventa “invertibile” quando la stessa macchina è in grado di operare anche come refrigeratore per il periodo estivo, quando si sottrae calore dall’utenza per cederlo all’ambiente esterno. Le prestazioni energetiche di una PdC sono valutate con il parametro COP (Coefficient of Performance), che per un ciclo a compressione di vapore risulta essere (Fig. 1): riscaldamento: L Q COP 2 = raffrescamento: L Q COP 1 = 1 Da non confondere con quella ad alta temperatura, ad esempio: il vapore estratto nella località di Larderello in Toscana; acqua ad alta temperatura prelevata dal sottosuolo a Ferrara ed utilizzata per il teleriscaldamento della città.

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L’USO DEL TERRENO COME SORGENTE TERMICA

Angelo Zarrella ([email protected])

Dipartimento di Fisica Tecnica – Università degli Studi di Padova

1. INTRODUZIONE

L’aumento del benessere e delle attività umane, ha portato negli ultimi anni ad una intensificazione

dell’effetto serra, con possibili cambiamenti climatici legati all’aumento della temperatura media

globale. Con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto, firmato anche dall’Italia, viene imposto ad

ogni Paese firmatario di diminuire le proprie emissioni di gas serra nel periodo 2008-2012 di

almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990, considerato come anno di riferimento. Nel Dicembre

2008, il Consiglio Europeo ha approvato il piano secondo cui si impone, entro il 2020, di ridurre del

20% le emissioni di CO2 e di aumentare della stessa percentuale il risparmio energetico e la quota

delle fonti rinnovabili nel mix energetico, nonostante alcune concessioni date ad alcuni Paesi tra cui

anche l’Italia. L’attenzione è già rivolta alla conferenza mondiale sul clima di Copenhagen,

chiamata a dare seguito al Protocollo di Kyoto.

Per adeguarsi a tali norme appare fondamentale sia migliorare l’efficienza energetica dei sistemi,

anche mediante lo sviluppo di nuove tecnologie, che diversificare il più possibile le fonti

energetiche.

In tale quadro si inserisce molto bene la “sorgente geotermica a bassa temperatura1” per la

climatizzazione degli edifici. Sfruttando infatti la quasi isotermia del terreno, è possibile far

funzionare una Pompa di Calore (PdC) acqua-acqua a livelli termici che consentono elevati

coefficienti di prestazione, quindi minor consumi e di conseguenza minori emissioni inquinanti.

Per pompa di calore si intende una macchina che preleva calore da una sorgente a temperatura

inferiore, e lo rende disponibile (assieme all’equivalente termico dell’energia spesa per rendere

possibile questa operazione), per utilizzo esterno, ad una temperatura superiore. Quindi, a rigore, il

termine “pompa di calore” si riferisce al solo funzionamento in regime di riscaldamento. La PdC

diventa “invertibile” quando la stessa macchina è in grado di operare anche come refrigeratore per il

periodo estivo, quando si sottrae calore dall’utenza per cederlo all’ambiente esterno. Le prestazioni

energetiche di una PdC sono valutate con il parametro COP (Coefficient of Performance), che per

un ciclo a compressione di vapore risulta essere (Fig. 1):

• riscaldamento: L

QCOP

2=

• raffrescamento: L

QCOP 1=

1 Da non confondere con quella ad alta temperatura, ad esempio:

il vapore estratto nella località di Larderello in Toscana; acqua ad alta temperatura prelevata dal sottosuolo a Ferrara ed

utilizzata per il teleriscaldamento della città.

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Fig. 1 – Principio di funzionamento della Pompa di Calore e della Macchina Frigorifera.

Nel caso di ciclo inverso ideale di Carnot (due trasformazioni isoterme e due adiabatiche reversibili)

i COP possono essere scritti nel seguente modo (ultima uguaglianza a destra):

• riscaldamento: 12

2

12

22

TT

T

QQ

Q

L

QCOP

−=

−==

• raffrescamento: 12

1

12

11

TT

T

QQ

Q

L

QCOP

−=

−==

Da queste due ultime relazioni risulta evidente che il COP aumenta al diminuire del salto termico

tra le due sorgenti. Pertanto, per una certa sorgente termica esterna, in regime di riscaldamento il

COP aumenta al diminuire della temperatura di condensazione e quindi di alimentazione dei

terminali ambiente utilizzati; durante il periodo di raffrescamento, invece, l’efficienza energetica

della PdC aumenta all’aumentare della temperatura di evaporazione. Da qui si capisce il motivo per

cui le pompe di calore si accoppiano molto bene con i sistemi a bassa differenza di temperatura (tra

l’aria ambiente ed il fluido termovettore utilizzato), quali ad esempio i pannelli radianti, classici o

nella loro versione ad “attivazione termica della massa”, o anche ventilconvettori.

Come sorgente termica esterna spesso viene utilizzata l’aria. Essa presenta però un inconveniente:

durante il periodo di riscaldamento il carico termico richiesto dall’edificio aumenta al diminuire

della temperatura esterna, provocando una diminuzione di efficienza energetica della PdC; in modo

analogo ciò si verifica anche in regime di raffrescamento sul lato del condensatore.

Un valido sostituto dell’aria è il terreno. Esso presenta un’elevata inerzia termica ed una

temperatura molto stabile già a poca profondità; dalla Fig. 2 risulta evidente che l’ampiezza della

variazione giornaliera di temperatura si riduce già a pochi centimetri di profondità, mentre l’effetto

stagionale svanisce dopo alcuni metri. Ad ogni modo, la temperatura del terreno indisturbato (cioè

che non risente della sollecitazione esterna in superficie, sia di temperatura che di radiazione solare)

oscilla rispetto ad un valore medio che è, con una certa approssimazione, pari alla temperatura

media annuale dell’aria esterna nella località in esame. La temperatura indisturbata del terreno

risulta più vicina alla temperatura dell’ambiente da climatizzare: ciò si traduce in un evidente

aumento di efficienza energetica della PdC, con una conseguente riduzione dei consumi di energia

primaria.

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Bolzano Napoli

λ: 1.8 W/(mK); ρc: 1.925 MJ/(m3K); temperatura sole-aria dell’anno tipo

Fig. 2 – Andamento della temperatura del terreno a diverse profondità durante l’anno (le

temperature sono calcolate numericamente).

Fig. 3 – Principio di funzionamento della PdC

a terreno in regime di riscaldamento.

Fig. 4 – Principio di funzionamento della PdC a

terreno in regime di raffrescamento.

Le PdC geotermiche si possono distinguere in tre grosse categorie:

1. quelle che utilizzano l’acqua di falda come fluido temovettore;

2. quelle che utilizzano l’acqua di superficie, ad esempio di fiumi, laghi, ecc.;

3. quelle che utilizzano degli scambiatori di calore a terreno a circuito chiuso entro cui scorre il

fluido termovettore.

Lo sfruttamento dell’acqua, sia di falda che di superficie, non sempre è possibile; inoltre l’uso di

tale risorsa è regolamentato da apposite leggi e normative, nazionali, regionali o delle comunità

locali. Va detto che l’uso diretto dell’acqua di falda rappresenta la situazione migliore in termini di

efficienza energetica, in quanto l’eventuale scambiatore a circuito chiuso impone un certo salto di

temperatura, di conseguenza una diminuzione di efficienza.

Gli impianti di cui al punto 3 possono utilizzare come fluido termovettore acqua pura o addizionata

con sostanza anticongelante. Con acqua pura, chiaramente, la PdC non può evaporare al di sotto di

5-6°C: in tal caso se il campo di sonde geotermiche non è opportunamente dimensionato si rischia

di non soddisfare ai carichi più esigenti. L’aggiunta di una sostanza anticongelante permette di

evaporare anche a temperature più basse e assorbire sufficientemente calore dal terreno (la forza

motrice del flusso termico è la differenza di temperatura tra il fluido termovettore nel circuito

chiuso ed il terreno) e far fronte a tutti i carichi invernali. Va detto però che la sostanza

anticongelante (in genere glicole etilenico o propilenico) può innescare fenomeni di corrosione ed

in caso di perdite va ad inquinare il sottosuolo e le eventuali falde acquifere, con danni

assolutamente non trascurabili; inoltre, bisogna considerare che dopo un certo periodo di tempo la

sostanza va reintegrata. Da queste ultime considerazioni emerge, dunque, che impianti che

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utilizzano, come fluido temovettore, una miscela di acqua e sostanza anticongelante richiedono

maggiore manutenzione ed attenzione. Quindi, laddove è possibile, risulta più vantaggioso

sovradimensionare il circuito scambiatore a terreno (anche se questo fa aumentare il costo iniziale

di installazione e quindi anche il tempo di ritorno dell’investimento) ed utilizzare acqua pura come

fluido termovettore: ciò permette di avere più alte efficienze energetiche della PdC.

Di seguito vengono presentati alcuni tipi di sonde geotermiche.

2. ALCUNI TIPI DI SCAMBIATORI A TERRENO

2.1 Sonde a sviluppo orizzontale

Le sonde sono interrate in trincee orizzontali scavate a profondità solitamente non superiori ai 2

metri, per tale motivo risentono in una certa misura della variazione delle condizioni climatiche

esterne. Il campo di sonde a sviluppo orizzontale può presentarsi in diverse configurazioni,

differenti fra loro a seconda della forma disegnata dalla tubazione, del numero di tubi impiegati e

della connessione fra i rami. In Fig. 5 sono riportate alcune tipiche configurazioni di posa.

E’ evidente che ad un maggiore fabbisogno termico/frigorifero dell’edificio corrisponde una

maggiore estensione della superficie del terreno dedicato alla posa dei circuiti.

Il flusso termico scambiato fra la sonda ed il sottosuolo è influenzato, ovviamente, dalla lunghezza

della tubazione, dalla profondità di installazione (Fig. 2) e dal passo tra i tubi (all’aumentare di

questo diminuisce l’interferenza termica tra i rami). L’installazione di questa tipologia di sonde

geotermiche necessita di molta superficie di terreno, pertanto bisogna verificarne la disponibilità

presso l’utente.

Aumentare il numero di tubi per trincea o la lunghezza totale di tubo per metro di scavo significa

ridurre la superficie necessaria e quindi le spese di sbancamento ed interramento ma anche

aumentare l’interferenza termica tra le sonde e quindi, a parità di carico termico richiesto, sarà

necessaria una maggiore lunghezza totale di circuito. Questo discorso vale in particolare per i tubi a

spirale detti “slinky” (Fig. 5 d, Fig. 6) che richiedono minori superfici di interramento ma maggiori

lunghezze totali di tubo.

a) - distribuzione a

chiocciola [14]

b) - distribuzione a

serpentino in parallelo [14]

c) - distribuzione a

serpentino in serie [14]

d) - distribuzione a spirale

[17]

Fig. 5 – Alcuni tipi di configurazione di posa delle sonde geotermiche a sviluppo orizzontale.

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Fig. 6 – Configurazioni di posa per tubi

“slinky”.

Fig. 7 – Distanze tra trincee e profondità di

interramento consigliate per sonde orizzontali.

2.2 Sonde a sviluppo verticale

Le sonde geotermiche a sviluppo orizzontale richiedono elevate superfici di terreno, pertanto tale

tipologia trova applicazione solo in casi di modesti fabbisogni energetici (ad esempio in campo

residenziale). Nell’ambito di edifici del settore del terziario, o comunque quando le potenzialità in

gioco cominciano ad essere medio-alte, sono soprattutto le sonde geotermiche verticali (SGV) a

trovare maggiore fattibilità di applicazione. Il principale vantaggio di questa configurazione è

quello di risentire in maniera trascurabile delle variazioni del clima esterno, date le notevoli

profondità raggiunte dalla sonda.

L’installazione di questo tipo di sonde consiste nel perforare il terreno ottenendo un foro verticale

del diametro desiderato, posizionarci all’interno le tubazioni e riempire lo spazio restante tra tubi e

terreno con materiale di tipo bentonitico o calcestruzzo arricchito con sabbie per elevarne la

conducibilità termica.

Fig. 8 – Esecuzione della perforazione per l’installazione di sonde geotermiche verticali.

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Le grandezze tipiche riscontrabili in letteratura per sonde verticali sono riassunte nella Tab. 1.

Tab. 1 - Grandezze tipiche per sonde termiche a terreno a sviluppo verticale. Profondità di perforazione [m] 20 – 180

Diametro della perforazione [mm] 100 – 150

Materiale della tubazione Tubo flessibile in PEAD

(polietilene ad alta densità)

Diametro nominale esterno della tubazione [mm] 20 – 40

Interasse tra le sonde [m] 6 – 8

Le sonde possono essere circuitate tra loro in serie (Fig. 9) o in parallelo (Fig. 10): con il

collegamento in serie si ha un incremento delle perdite di carico.

Fig. 9 – Sonde verticali in serie [1]. Fig. 10 – Sonde verticali in parallelo [1].

Le tubazioni all’interno della perforazione verticale possono essere:

a. a singolo tubo ad U: all’interno del pozzo vengono inseriti un tubo di mandata e uno di

ritorno collegati sul fondo (Fig. 11 a); esistono anche tubazioni continue senza la saldatura

dell’elemento curvo all’estremità, riducendo così le possibilità di rottura (Fig. 13);

b. a doppio tubo ad U: a differenza della precedente, nella perforazione si inseriscono quattro

tubi collegati a due a due sul fondo (Fig. 11 b);

c. a tubi coassiali: è costituita da due tubi concentrici, anche di differente materiale (Fig. 11 c).

a) - SGV a un tubo ad U

(simple U-tube)

b) - SGV a due tubi ad U

(double U-tube)

c) - SGV a tubi coassiali

Fig. 11 – Sezione trasversale delle sonde geotermiche verticali più utilizzate (dimensioni in

millimetri, disegni non in scala).

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Fig. 12 – Particolare di sonda a semplice U

(modificata da [1]).

Fig. 13 – Particolare di sonda a doppia U

senza giunzioni [14].

2.3 Pali energetici

Un’altra applicazione della geotermia a bassa temperatura sono i cosiddetti pali energetici.

All’interno dei pali di fondazione, ai ferri dell’armatura vengono fissati i tubi in polietilene in cui

circola il fluido termovettore (Fig. 14). In tale applicazione è molto importante che la temperatura

del fluido circolante dentro i tubi non scenda al di sotto di 0°C in quanto ciò porterebbe al

congelamento sia della struttura che del terreno circostante, con conseguenti ripercussioni dal punto

di vista statico.

Un’applicazione simile è quella in cui i circuiti scambiatori vengono distribuiti nel magrone di

sottofondazione (Fig. 15); anche in questo caso vale il limite di temperatura.

Il vantaggio maggiore di queste due ultime applicazioni è la notevole riduzione del costo di

installazione: infatti nella prima viene meno il costo di perforazione, nella seconda, invece, quello

di sbancamento. L’aspetto negativo è una diminuzione della resa termica rispetto ai sistemi classici

presentati in precedenza.

a) – Particolare da [1] b) –Particolare da [14]

Fig. 14 – Pali Energetici: particolari. Fig. 15 – Sonde orizzontali disposte

sottofondazione [1].

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3. GROUND RESPONSE TEST

In linea di principio il “ground response test” consiste nell’installare una sonda geotermica nel

terreno in questione, collegarci l’impianto di prova, eseguire il test misurando le temperature di

ingresso e di uscita del fluido termovettore. La sonda di prova andrà probabilmente a far parte del

campo geotermico dell’impianto. Il test è utile per avere maggiore conoscenza e sicurezza sulle

caratteristiche medie del terreno e permette di progettare il campo sonde nel modo più accurato

possibile, evitando sia sovradimensionamenti che potrebbero rendere antieconomica la soluzione di

geoscambio, sia installazioni in terreni non particolarmente adatti.

Il materiale e il diametro del tubo, il tipo di riempimento, il diametro della sonda e la sua

profondità, dovranno essere quelli di progetto per ridurre le probabilità di errore.

Il “ground response test” permette di:

• ricavare la temperatura indisturbata media del terreno, ossia la temperatura che si ha prima

dell’installazione delle sonde;

• ricavare le caratteristiche termofisiche medie del terreno;

• verificare un modello, ossia vedere se le ipotesi fatte si avvicinano ai risultati del test;

• avere informazioni utili sulla stratigrafia del terreno.

Queste indiscusse caratteristiche positive hanno però un costo che molte volte si preferisce non

sostenere, ricavando in altro modo i dati utili per il dimensionamento.

L’impianto comprende generalmente una pompa, un riscaldatore d’acqua a resistenza, un

wattmetro, due termocoppie, un sistema di acquisizione e memorizzazione dati, tubazioni ben

isolate ed un misuratore di portata. La resistenza elettrica può essere sostituita da una pompa di

calore invertibile: in tal caso la prova può essere condotta sia in regime di riscaldamento che di

raffrescamento. Generalmente si dispone l’impianto all’interno di un carrello trasportabile (Fig. 16)

per evitare di doverlo montare e smontare all’occorrenza.

a) b)

Fig. 16 – Attrezzatura per il Ground Response Test [6].

La prima prova da effettuare è la misurazione della temperatura indisturbata del terreno. Il modo più

efficace per ottenerla è accendere la pompa e guardare subito le misurazioni di temperatura in uscita

dalla sonda: questa raggiungerà un minimo che sarà da considerare il valore cercato. E’ importante

che la misura sia fatta prima che il fluido passi attraverso la pompa di circolazione in modo da

evitare un riscaldamento e quindi un’alterazione della grandezza che si vuole misurare. L’acqua

nella sonda è considerata in equilibrio termico con il terreno. Questo metodo risulta essere molto

accurato e relativamente di facile attuazione se confrontato con altri [6].

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Per la prova di ricerca della conducibilità termica equivalente del terreno, l’impianto deve fornire

alla sonda una potenza termica costante. La portata deve essere misurata da un flussostato, la

potenza termica consumata dalla resistenza sarà misurata dal wattmetro e le temperature dell’acqua

in ingresso ed uscita dalle sonde rilevate da termocoppie. Tutte queste informazioni saranno

memorizzate periodicamente e diagrammate (Fig. 20).

I metodi per stimare le caratteristiche termofisiche del terreno possono essere divisi in metodi diretti

come quello della sorgente lineare o cilindrica, e metodi numerici [6].

Nel caso di sorgente lineare, la sonda geotermica viene approssimata ad una linea; in risposta al

flusso termico q costante nel tempo, il campo di temperatura, funzione del raggio e del tempo,

attorno a questa linea è dato dalla seguente equazione [3]:

=⋅= ∫

∞ −

t

rE

qdu

u

eqtrT

t

r

u

απλπλα

444),(

2

1

4

2

(1)

dove:

λ è la conducibilità termica [W/(m K)];

α è la diffusività [m2/s];

E1 è un integrale esponenziale.

L’errore rispetto ad una fonte cilindrica risulta minore del 2% se α220 brt ⋅≥ : in genere, per una

sonda geotermica, t è nell’intervallo 10-20 ore. Per valori più grandi del rapporto 2/ rtα , 1E può

essere approssimato con la seguente relazione:

γα

α−

=

2

2

1

4ln

4 r

t

t

rE 5

2≥

r

tα (2)

dove 5772.0=γ è la costante di Eulero. L’errore massimo è 2.5% per 20/ 2 ≥rtα e 10% per

5/ 2 ≥rtα .

Facendo riferimento alla Fig. 17, la temperatura del fluido all’interno della sonda sarà data da:

( ) 0)( TRqtTtT bq

bf +⋅+= (3)

Fig. 17 – Schematizzazione dello scambio termico tra sonda e terreno [6].

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Tenendo conto delle relazioni precedenti risulta (T0 è la temperatura indisturbata):

02

4ln

4)( TRq

r

tqtT bf +⋅+

⋅= γα

πλ (4)

Essendo il flusso termico q costante, si può scrivere:

( ) mtktT f +⋅= ln)( (5)

con

( ) ( )[ ] 0

2ln4ln TRqrkm bb +⋅+−−⋅= γα (6)

dove λπ ⋅⋅

=4

qk è la pendenza della retta che esprime la temperatura media del fluido contro il

logaritmo naturale del tempo. Quindi effettuate le misure e ricavata la temperatura media del fluido

(Fig. 18) si riporta quest’ultima in funzione del logaritmo naturale del tempo (Fig. 19) ottenendo la

retta in questione. Nota quindi k si ricava facilmente la conducibilità termica del terreno λ: il valore così trovato è comprensivo dell’effetto del materiale di riempimento, di eventuali movimenti

d’acqua sotterranei, ecc.

Fig. 18 – Ground Response Test: temperature

di mandata e ritorno del fluido termovettore

[6].

Fig. 19 – Ground Response Test:

temperatura media del fluido termovettore in

funzione del logaritmo del tempo [6].

Se si utilizza un software, una volta inseriti i dati relativi al test (caratteristiche geometriche della

sonda, materiali, tempo) si possono effettuare varie simulazioni, procedendo per tentativi sui dati di

conduttività e diffusività medie confrontando il diagramma risultante delle temperature con i valori

ottenuti dal test. Viceversa, se si conoscono in modo approfondito le caratteristiche del terreno

(stratigrafia, proprietà di ogni strato) e si ha la possibilità di usufruire di un modello numerico che

permette di distinguere i vari strati, il “ground response test” può servire come verifica delle ipotesi

prese come input per il modello. Perciò, da un confronto tra i dati risultanti dal modello e quelli

ottenuti dalla prova, si può concludere se c’è o meno convergenza. In Fig. 20 sono riportate le

misurazioni di una prova, mentre in Fig. 21 si trova la relativa elaborazione per il calcolo della

conducibilità termica equivalente.

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Fig. 20 – Esempio di Ground Response Test: dati misurati.

Fig. 21 – Esempio di Ground Response Test: determinazione della conducibilità termica.

Affinché il test possa essere ritenuto valido occorre prestare attenzione ai tempi e alla potenza

termica di prova. Una volta installata completamente la sonda, bisogna far trascorrere dalle 24 alle

72 ore prima di iniziare la prova. La perforazione altera le proprietà del terreno e alza la temperatura

del sottosuolo di qualche grado, perciò si deve aspettare del tempo affinché si riassettino le

condizioni iniziali. Indicativamente, da prove sperimentali, si è visto che dopo due giorni la

temperatura si riporta ad un valore prossimo a quello indisturbato e si è notato che per terreni a

bassa conducibilità sono necessari anche 5 giorni di attesa [6]. Inoltre è importante fare in modo che

la potenza termica per unità di lunghezza della sonda scambiata con il terreno risulti essere pari a

quella di picco, e che essa sia mantenuta per 12-48 ore; in questo modo si ottengono risultati più

attendibili. Infatti, molti modelli non tengono conto della capacità termica del riempimento,

dell’acqua e di altri fattori più o meno trascurabili e questo può causare degli errori, soprattutto se si

esegue una prova breve e comunque con transitori nel tempo.

Nel caso si volessero fare più test con la stessa sonda (fallimento del test precedente, cambio

potenza termica), bisogna attendere che gli effetti della prova precedente si riducano al minimo. Per

un test di 48 ore il tempo di attesa può essere di 10-12 giorni.

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4. METODI DI DIMENSIONAMENTO PER LE SONDE VERTICALI

4.1 Metodo ASHRAE

Attualmente l’ASHRAE prevede una procedura di calcolo che utilizza il metodo sviluppato da

Ingersoll nel 1954 [7] e ripreso ed implementato da Kavanaugh e Rafferty nel 1997 [8]. Di seguito

viene analizzata questa procedura che per comodità sarà denominata “metodo ASHRAE”.

La lunghezza delle perforazioni necessaria in estate ed in inverno è data dalle seguenti relazioni:

( ) ( )

p

c

wowig

scgdgmmbclcgaa

c

ttt

t

FRRPLFRWqRqL

+−

⋅+⋅+⋅−+⋅=

2

(7)

( ) ( )

p

h

wowig

scgdgmmbhlhgaa

h

ttt

t

FRRPLFRWqRqL

+−

⋅+⋅+⋅−+⋅=

2

(8)

dove:

c e h pedice “c” e pedice “h” indicano il funzionamento estivo (cooling) ed invernale

(heating);

Lc e Lh lunghezze della perforazione necessarie rispettivamente per raffrescare (estate) e

riscaldare (inverno) l’edificio [m];

qa flusso termico medio scambiato con il sottosuolo in un anno [W];

qlc e qlh carichi di progetto necessari per raffrescare (qlc<0) e riscaldare (qlh>0) [W];

Wc e Wh potenze elettriche assorbite dal compressore della pompa di calore/refrigeratore

in corrispondenza del carico di progetto [W];

PLFm fattore di carico/parzializzazione mensile;

Fsc fattore di perdita legato al possibile cortocircuito termico in sonda tra tubo di

mandata e di ritorno;

tg temperatura del sottosuolo non influenzato dalla presenza della sonda [°C];

tp temperatura di penalizzazione, sintetizza l’influenza termica tra le sonde

attraverso il terreno [°C];

twi e two temperature di mandata e di ritorno del fluido che alimenta le sonde geotermiche

sempre nei due casi: estate (pedice c) ed inverno (pedice h) [°C];

Rb resistenza termica per unità di lunghezza della sonda, tra fluido e bordo sonda

[(m K)/W];

Rga resistenza equivalente per unità di lunghezza del terreno, impulso annuale

[(m K)/W];

Rgm resistenza equivalente per unità di lunghezza del terreno, impulso mensile

[(m K)/W];

Rgd resistenza equivalente per unità di lunghezza del terreno, impulso giornaliero

[(m K)/W];

I flussi termici, i carichi dell’edificio e le penalizzazioni in temperatura sono da considerarsi positivi

in regime di riscaldamento e negativi in quello di raffrescamento.

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Spiegazione dei termini

qa

E’ definito come flusso termico medio annuale assorbito o ceduto dal terreno e si calcola nel modo

seguente:

8760

11∑ ∑ ⋅

−⋅+⋅

+⋅

=h

h

h

lhc

c

c

lc

a

hCOP

COPqh

COP

COPq

q (9)

dove:

hh e hc sono le ore equivalenti annuali a pieno carico.

I valori di carico di picco qlc e qlh sono gli stessi delle equazioni (7) e (8). I valori di COPc e di

COPh sono scelti in base alla temperatura di ingresso alla PdC (dato di progetto).

PLFm

Fattore di carico/parzializzazione, è molto simile ad un fattore di utilizzazione e si definisce nel

seguente modo (sia per l’estate che per l’inverno):

MeseAlGiorni

MeseAlntoFunzionameDiGiorni

hPiccoDiCarico

OreOrarioCarico

PLFm ××

×=∑

24

24

1 (10)

cW, hW

L’edificio è suddiviso in diverse zone (i zone) da climatizzare; per ognuna si considera una

suddivisione significativa delle ore della giornata in blocchi (ad esempio 4 ore dalle 8 alle 12, 4 ore

dalle 12 alle 16 e 4 ore dalle 16 alle 20); per ogni blocco e per ogni zona (tipo in una matrice) si

individua il carico massimo. Successivamente si individua il blocco che presenta la somma dei

carichi maggiore, si evidenzia e sarà chiamato blocco “bm”. Si considerano tante PdC quante sono

le zone e, da cataloghi tecnici, si individua la taglia necessaria per climatizzare ciascuna zona (Qn,i)

cercando di stare appena sopra il carico massimo giornaliero della zona. Dai cataloghi si ricava

anche la potenza elettrica assorbita (Wc,i, Wh,i).

Per ogni zona, in questo caso, il Part Load Factor è definito come:

in

ibm

idQ

QPLF

,

,

, = (11)

Adesso non resta che sommare il prodotto tra i Part Load Factor per le rispettive potenze:

ici idc WPLFW ,, ⋅=∑ (12)

ihi idh WPLFW ,, ⋅=∑ (13)

Un metodo alternativo più semplice, ma tuttavia meno preciso, per la ricerca di questi termini è

quello di considerare un’unica zona comprendente tutto l’edificio; in tal caso la (11) diventa:

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n

dQ

QPLF max= (14)

e le (12) e (13):

cdc WPLFW ⋅= (15)

hdh WPLFW ⋅= (16)

dove:

Qmax è il carico massimo dell’edificio;

Qn è il carico nominale della macchina;

Wc e Wh sono le potenze elettriche della pompa di calore/refrigeratore in estate ed in

inverno.

Un altro modo ancora più semplificato è considerare:

lcfcclc qCWq ⋅=− )( (17)

lhfhhlh qCWq ⋅=− )( (18)

dove i coefficienti Cfc e Cfh si possono trovare in Tab. 2 [8].

Tab. 2 - Coefficienti Cfc e Cfh in funzione di EER (EER/3.41 = COPc) e di COPh [8].

Cooling EER Cfc Heating COP Cfh

11 1.31 3.0 0.75

13 1.26 3.5 0.77

15 1.23 4.0 0.80

17 1.20 4.5 0.82

Fsc

Questo termine considera il tipo di collegamento tra le sonde (serie e parallelo) e la “portata

specifica”2 del campo geotermico. Con esso si cerca di valutare quanto penalizzante è il flusso

termico tra fluido in mandata e ritorno e non tra fluido e terreno. I valori di Fsc si trovano tabulati in

letteratura [8] e variano generalmente da 1.01 a 1.06.

Fig. 22 - Valori di Fsc in funzione del collegamento tra le sonde e della portata specifica [8].

2 Riferita alla potenza nominale della macchina.

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twi, two

Temperature del fluido entrante ed uscente dalle sonde geotermiche nelle condizioni di progetto. I

due valori sono legati tra loro da un’equazione di bilancio:

( )cwiwopwwclc ttcmWq −⋅⋅=− & (19)

( )hwiwopwwhlh ttcmWq −⋅⋅=− & (20)

tg

La temperatura del sottosuolo è un dato di progetto riscontrabile in tabelle o con appositi test (cfr.

paragrafo 3).

tp

La temperatura di penalizzazione, in un certo qual modo sintetizza l’interferenza reciproca dei

campi termici delle sonde attraverso il terreno, penalizzando il salto termico tra fluido e terreno

indisturbato. Tale grandezza assume valori bassi se i carichi estivi ed invernali sono simili in

modulo, valori maggiori se c’è una predominanza invernale o estiva nel funzionamento

dell’impianto. Inizialmente la tp può essere assunta: alla fine, con il metodo descritto di seguito, si

verificherà l’assunzione fatta.

Una volta noti qa (9), la lunghezza l di ogni sonda e scelta la griglia con cui posizionare le sonde, si

è in grado di verificare il valore di tp assunto.

Il metodo seguente si basa sull’accumulo annuale del calore nel terreno circostante le sonde, e

quindi analizza la conseguente variazione di temperatura. La tp assunta deve essere circa uguale a

quella ottenuta dalla seguente relazione empirica:

11234 1.025.05.01

p

tot

p tN

NNNNt ⋅

⋅+⋅+⋅+⋅= (21)

dove:

N4 numero di sonde circondate su tutti e quattro i lati da altre sonde;

N3 numero di sonde circondate su tre lati da altre sonde;

N2 numero di sonde confinanti su due lati con altre sonde;

N1 numero di sonde confinanti su un lato con altre sonde;

Ntot numero totale delle sonde;

tp1 temperatura di penalizzazione di una sonda circondata da altre su tutti i lati.

La determinazione di tp1 è fatta sulla base delle seguenti ipotesi: si considera il parallelepipedo di

terreno, di sezione quadrata ds ∗ ds e altezza l, che circonda la sonda (ds coincide con la distanza tra

le sonde nella griglia). Questa porzione di sottosuolo è in grado di accumulare calore, ma non di

scambiarlo con il terreno al di fuori della sua superficie perimetrale. La verifica si fa sulla base di

10 anni, in quanto si assume che sia questo il periodo di tempo necessario perché i flussi termici

annuali vadano a regime.

Essendo il calore immagazzinato dato dalla capacità termica per la differenza di temperatura (tp1) tra

il terreno indisturbato e quello attorno alla sonda, si ha:

ldc

Qt

sp

storedp

⋅⋅⋅=

21 ρ (22)

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dove:

ρ è la densità del terreno;

cp è il calore specifico del terreno;

Qstored è il calore accumulabile dopo 10 anni di funzionamento.

Il calcolo del calore diffuso dopo 10 anni si fa utilizzando la soluzione della sorgente lineare e

considerando un cilindro del diametro di 8-10 metri, in quanto, mediamente, sono queste le distanze

interessate dalla trasmissione del calore in questo arco di tempo. Non essendo il gradiente di

temperatura costante lungo il raggio del cilindro indagato, si considerano più cilindri concentrici e

la variazione di temperatura media tra essi:

( ) ripstored trrlcQ ∆⋅−⋅⋅⋅⋅=∑ 22

0πρ (23)

∆tr è la differenza tra la temperatura del terreno indisturbato e quella ad una distanza r dalla

sorgente e si determina applicando la soluzione della sorgente lineare:

( )l

XIqt

g

ar ⋅⋅⋅

⋅=∆

λπ2 (24)

dove il termine I(X) si trova diagrammato di seguito (Fig. 23), in funzione di X che è un parametro

adimensionale così definito:

12 τα ⋅=

g

rX (25)

dove:

αg è la diffusività termica del terreno;

τ1 è il tempo (ad esempio 10 anni).

Fig. 23 - Grafico per la determinazione di I(X) [7].

Se ci sono movimenti d’acqua nel sottosuolo, la temperatura di penalizzazione può essere ridotta in

quanto il calore viene trasportato dalla falda acquifera lontano dal campo sonde. Un semplice

metodo per tener conto di questo è assumere un tempo minore nella (25).

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Alternativamente a questo metodo esistono delle tabelle (Tab. 3) che, in base alla griglia di

distribuzione delle sonde, alla distanza tra di esse e al rapporto tra le ore equivalenti di

riscaldamento e di raffrescamento a pieno carico, stimano la temperatura di penalizzazione [8].

Nella Tab. 3 è riportato anche un fattore correttivo Cf (da moltiplicare per il valore di tp letto nella

stessa) per reticoli di sonde di diversa geometria; naturalmente il valore di questo fattore correttivo

aumenta al crescere del numero di sonde interne alla griglia.

Tab. 3 - Penalizzazione in temperatura a lungo termine per una griglia di 10 ∗ 10 sonde verticali e carico termico nel periodo di picco di 350 kW [8].

tg = 10 °C tg = 15.5 °C tg = 21 °C Ore equivalenti

a pieno carico

Riscald./Raffres.

Passo tra

le sonde λg = 1.7

[W/(m K)]

λg = 2.6

[W/(m K)]

λg = 1.7

[W/(m K)]

λg = 2.6

[W/(m K)]

λg = 1.7

[W/(m K)]

λg = 2.6

[W/(m K)]

[h/h] per anno [m] [°C]

([m/kW])

[°C]

([m/kW])

[°C]

([m/kW])

[°C]

([m/kW])

[°C]

([m/kW])

[°C]

([m/kW])

4.6 -2.4

(27.5)

-2.4

(21.5) - - - -

6.1 -1.3

(24)

-1.3

(19) - - - - 1500 / 500

7.6 -0.6

(22.5)

-0.6

(17.5) - - - -

3 7.2

(27.5)

6.5

(21) NR

6.5

(27) - -

4.6 3

(20.5)

2.4

(16)

2.6

(21.2)

2.6

(19.5) - - 1000 / 1000

6.1 1.8

(19)

1

(15)

1.4

(23)

1.3

(18) - -

4.6 8.4

(33)

8.4

(25.5) NR

7.1

(30) NR NR

6.1 4.3

(24)

4.4

(19)

3.7

(28.2)

3.7

(22)

3.7

(29)

3.7

(22.5) 500 / 1500

7.6 2.3

(19.5)

2.4

(16.5)

1.9

(25)

1.9

(19.5)

1.9

(25.5)

1.9

(20)

4.6 - - NR NR NR NR

6.1 - - 5.7

(35)

5.7

(27.5)

5.7

(36)

5.7

(28) 0 / 2000

7.6 - - 3

(28)

3

(22)

3

(29)

3

(22.5)

NR: sconsigliabile

Fattori correttivi per altre disposizioni della griglia

Griglia 1 ∗ 10 Griglia 2 ∗ 10 Griglia 5 ∗ 5 Griglia 20 ∗ 20 Cf = 0.36 Cf = 0.45 Cf = 0.75 Cf = 1.14

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Rb

Il termine Rb è la resistenza termica per unità di lunghezza fra fluido e terreno in corrispondenza

della superficie esterna della sonda, a contatto con il terreno stesso. Si parla di resistenza

equivalente del foro/sonda rispetto al terreno, dove la sonda è considerata un cilindro introdotto nel

suolo come corpo scaldante o raffreddante. Questo termine può essere ritenuto costante rispetto alla

resistenza termica del terreno, poiché il fluido termovettore, le tubazioni e il materiale di

riempimento hanno un’inerzia termica trascurabile rispetto a quella del terreno circostante.

Per la determinazione della resistenza tra fluido e il bordo della sonda, si trascura la capacità

termica del riempimento, essendo trascurabile rispetto a quella del terreno circostante.

La resistenza termica è data da:

tgrppb RRRR ++= (26)

dove:

Rpp è la resistenza termica complessiva dei tubi in cui scorre il fluido;

Rgr è la resistenza del getto di riempimento;

Rt è la resistenza del tubo esterno che può essere calato in fase di perforazione per

evitare otturazioni del pozzo prima di inserire le sonde e realizzare il getto;

questo tubo può essere tolto (Rt = 0) o meno una volta consolidato il getto.

Una volta scelte le dimensioni geometriche (Dpo e Dpi, rispettivamente diametro esterno ed interno)

e il materiale del tubo ad U (di conduttività termica λp) e calcolato il coefficiente di scambio

termico tra liquido e parete del tubo (hi), la resistenza di un singolo tubo sarà data da:

ipip

pi

po

phD

D

D

R⋅⋅

+⋅⋅

=πλπ

1

2

ln

(27)

Mentre la resistenza termica Rt del possibile tubo esterno è data da:

pt

bi

bo

t

dd

Rλπ ⋅⋅

=2

ln

(28)

Per il singolo tubo ad U la resistenza termica del getto può essere calcolata con la seguente

relazione:

grb

grS

Rλ⋅

=1

(29)

dove:

λgr è la conduttività termica del materiale del getto di riempimento;

Sb è il fattore di corto circuito.

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Il termine Sb viene valutato con la seguente relazione [12]:

1

.0

β

β

=po

bb D

dS (30)

dove:

β0, β1 sono fattori geometrici riportati nella Tab. 4 [12];

db è il diametro esterno sonda/perforazione.

Tab. 4 - Coefficienti per il calcolo della resistenza termica del riempimento [12].

Configurazione

ββββ0 20.10 17.44 21.91

ββββ1 -0.9447 -0.6052 -0.3796

Essendo due i tubi in cui scorre il fluido in sonda, la loro resistenza termica complessiva è il

risultato di due resistenze in parallelo (Fig. 24):

2p

pp

RR = (31)

Fig. 24 – Circuito equivalente delle resistenze termiche della sonda [12].

Rga, Rgm, Rgd

I termini Rga, Rgm, Rgd sono delle resistenze che si riferiscono al terreno circostante il foro e

corrispondono al valore assunto da tale grandezza in particolari momenti del funzionamento del

sistema, in pratica:

• quando esso ha raggiunto una certa stabilità nello scambio termico netto (uno o più anni);

• in corrispondenza dello scambio medio che si verifica nel mese di progetto;

• nel momento in cui si verifica un picco nelle ore di progetto.

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La prima è la resistenza termica equivalente del terreno per un impulso termico annuale: la finestra

temporale solitamente è di 10 anni (dopo 3650 giorni si pensa che il flusso termico possa essersi

stabilizzato); Rgm rappresenta la resistenza equivalente all’impulso termico su base mensile (di

solito si progetta per il mese, 30 giorni, in cui si verifica il picco del carico); Rgd rappresenta la

resistenza equivalente all’impulso termico su base giornaliera (per esempio si può dimensionare per

le 6 ore, 0.25 giorni di picco giornaliero).

Il calcolo della resistenza equivalente del terreno deriva dalla soluzione proposta da Carslaw e

Jaeger [3], nella quale si definisce un numero di Fourier che mette in relazione il tempo durante il

quale avviene lo scambio termico con il diametro esterno della sonda e la diffusività del terreno αg,

come segue:

24 dFo g τα ⋅⋅= (32)

Si ipotizza che un sistema di questo tipo subisca principalmente tre impulsi di flusso termico,

relativi ai seguenti periodi di tempo:

• 10 anni (3650 giorni); • 1 mese (30 giorni);

• picco giornaliero (6 ore = 0.25 giorni).

Si possono allora definire i seguenti periodi di impulso:

• τ1 = 3650 giorni; • τ2 = 3650 + 30 = 3680 giorni; • τf = 3650 + 30 + 0.25 = 3680.25 giorni.

L’espressione (32), riscritta per ciascuno dei periodi di tempo menzionati, diventa:

24 bfgf dFo τα ⋅⋅= (33)

2

11 )(4 bfg dFo ττα −⋅⋅= (34)

2

22 )(4 bfg dFo ττα −⋅⋅= (35)

dove:

αg è la diffusività termica del terreno;

db è il diametro della perforazione e quindi il diametro esterno della sonda.

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Con l’ausilio della Fig. 25, oppure attraverso la seguente relazione che bene interpreta il suddetto

grafico per Fo > 2:

1009.0)ln(0758.0 +⋅= FoG (36)

si ottengono i rispettivi valori di Gf, G1 e G2, dai quali, conoscendo la conduttività termica del

sottosuolo λg, si possono calcolare le resistenze termiche del terreno per mezzo delle seguenti

relazioni:

g

f

ga

GGR

λ1−

= (37)

g

gm

GGR

λ21 −= (38)

g

gd

GR

λ2= (39)

Fig. 25 - Valori di G in funzione di Fo [7].

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5. ESEMPIO DI DIMENSIONAMENTO

Si considera un edificio ad uso residenziale formato da due piani fuori terra, ciascuno avente una

superficie di 160 m2 e con la stessa distribuzione di stanze.

L’impianto di climatizzazione, sia estiva che invernale, è costituito da pannelli radianti a pavimento.

E’ presente anche un sistema di ventilazione meccanica (0.5 volumi/ora di aria esterna) sempre in

funzione, dotato di un recuperatore di calore sensibile con efficienza del 50%, garantendo un

continuo ricambio d’aria e il mantenimento delle condizioni ottimali di umidità interna.

La potenza termica di picco è qlh = 8.5 kW nel periodo invernale e qlc = -7.7 kW in quello estivo.

Dal computo dei fabbisogni totali di energia nelle due stagioni risulta:

� ore equivalenti annuali (a pieno carico) di riscaldamento: τh = 892 h/anno;

� ore equivalenti annuali (a pieno carico) di raffrescamento: τc = 810 h/anno;

� ore equivalenti (a pieno carico) nel mese di progetto di riscaldamento: 232 h/mese;

� ore equivalenti (a pieno carico) nel mese di progetto di raffrescamento: 256 h/mese.

I fattori di carico parziale mensili (nei mesi di progetto) risultano:

riscaldamento: (PLFm)h = 232 / (31 ∗ 24) = 0.312; raffrescamento: (PLFm)c = 256 / (31 ∗ 24) = 0.345.

Nelle Tabelle 5 e 6 sono riportate le caratteristiche dello scambiatore a terreno e le proprietà di

interesse del sottosuolo.

Tab. 5 – Caratteristiche dello scambiatore a terreno. Tipo di sonda semplice U (PEAD)

Conducibilità termica del tubo λp [W/(m K)] 0.4

Diametro esterno del tubo de [mm] 32

Spessore del tubo s [mm] 3

Diametro interno del tubo di [mm] 26

Diametro della perforazione db [mm] 120

Connessione tra le sonde parallelo

Tab. 6 – Proprietà termofisiche del terreno. Conducibilità termica λg [W/(m K)] 1.7

Diffusività termica αg [m2/s] 8.5 ∗ 10-7

Temperatura indisturbata tg [°C] 13.2

Conducibilità termica del riempimento λgr [W/(m K)] 1.6

I valori delle temperature di ingresso nella pompa di calore / refrigeratore e dei salti termici

dell’acqua nel circuito chiuso a terreno nelle condizioni di progetto valgono rispettivamente:

stagione invernale: twi,h = 6 °C; ∆t = 4 °C;

stagione estiva: twi,c = 28 °C; ∆t = 4 °C.

I valori medi stagionali del coefficiente di prestazione della pompa di calore / refrigeratore valgono:

riscaldamento: hCOP = 4.70;

raffrescamento: cCOP = 4.05.

In corrispondenza al carico di picco, i valori del coefficiente di prestazione della pompa di calore /

refrigeratore sono:

riscaldamento: COPh = 3.80;

raffrescamento: COPc = 3.30.

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La resistenza termica della sonda Rb è stata calcolata come:

grppb RRR +=

dove Rpp è la somma della resistenza termica di convezione e di conduzione legata allo spessore di

tubo (27) (31), Rgr è invece la resistenza termica del riempimento. Rgr è calcolata tramite la

relazione (29) e (30):

Adottando la configurazione B della Tab. 4, alla fine risulta Rb = 0.12 m K / W.

Nel caso, molto comune nelle applicazioni del terziario, in cui sia necessario disporre più di uno

scambiatore a terreno, costituendo così un campo di sonde geotermiche, occorre calcolare l’effetto

di penalizzazione dovuto alla reciproca interferenza tra le sonde, rappresentato nelle relazioni (7) e

(8) dalla penalizzazione di temperatura tp. Relativamente a questo caso di studio, le potenze in gioco

sono modeste, pertanto si presuppone che le sonde siano ben spaziate tra loro: si assume allora che

la temperatura di penalizzazione tp = 0 °C.

Per quanto riguarda il fattore di cortocircuito Fsc si assume il valore di 1.05 (Fig. 22).

Il flusso termico netto medio annuale scambiato col terreno qa si può valutare come segue:

WCOP

qCOP

q

q

c

c

ch

h

h

a 2058760

810247.17700892787.08500

8760

)1

1()1

1(

−=⋅⋅−⋅⋅

=⋅+⋅+⋅−⋅

=ττ

Rimangono ora solo da calcolare le resistenze efficaci del terreno rispetto ai tre impulsi temporali,

Rga, Rgm e Rgd. Si deve far uso del diagramma di Fig. 25, calcolando i relativi numeri di Fourier Fo.

Come già detto, la curva del grafico, per Fo > 2, può essere approssimata con la relazione analitica

seguente:

1009.0)ln(0758.0 +⋅= FoG

Si può allora procedere al calcolo come segue:

7507712.0

360024)25.0303650(105.842

7

=⋅⋅++⋅⋅

=−

fFo

9518.00.1009 ln(75077)0.0758 =+⋅=fG

In maniera del tutto analoga si calcolano:

Fo1 = 617 da cui G1 = 0.5879

Fo2 = 5 da cui G2 = 0.2244

Di conseguenza le resistenze cercate risultano:

WKmGG

Rg

f

ga /2141.01 =

−=

λ

WKmGG

Rg

gm /2138.021 =−

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WKmG

Rg

gd /132.02 ==λ

Si possiedono ora tutti i dati per calcolare le lunghezze di sonda richieste:

mLh 217

0)2

62(2.13

)05.1132.02138.0312.012.0()8.3

11(85002141.0205

=−

+−

⋅+⋅+⋅−⋅+⋅−=

mLc 202

0)2

2832(2.13

)05.1132.02138.0345.012.0()3.3

11(77002141.0205

=−

+−

⋅+⋅+⋅+⋅−⋅−=

Si decide di dimensionare l’impianto sul raffrescamento, ipotizzando di avere una integrazione

durante la stagione di riscaldamento. Pertanto la lunghezza totale da assumere è 202 metri,

arrotondata a 200 metri: si opta per un campo costituito da 2 sonde, ciascuna avente profondità pari

a 100 metri.

La portata totale di acqua nel circuito chiuso a terreno è facilmente calcolabile:

skgtc

COPq

mcp

c

c

t /6.044197

10033)

11(

.

=⋅

=∆⋅

+⋅=

Ipotizzando di collegare le sonde in parallelo, la portata di acqua in ogni singola sonda risulta 1/2

della portata totale cioè pari a 0.3 kg/s.

E’ bene verificare il regime di moto all’interno delle tubazioni. A 30 °C le proprietà termofisiche di

interesse per l’acqua sono:

� densità ρ = 995.5 kg/m3;

� viscosità dinamica µ = 783.3 10-6 kg/(m s).

Il valore del numero di Reynolds in ciascuna sonda risulta essere:

186784

Re

.

=⋅⋅

⋅=

µπ i

s

d

m

che indica un moto turbolento completamente sviluppato.

Risulta utile verificare anche il valore della velocità dell’acqua all’interno della sonda in modo che

ci sia compatibilità con le perdite di carico; tale valore è:

smd

mv

i

s /57.04

2

.

=⋅⋅

⋅=

ρπ

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