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1 L’UNIVERSO MONDO BOLLETTINO D’INFORMAZIONE del 36 gennaio-maggio 2011 ISSN 2039-6740

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L’UNIVERSO MONDO

BOLLETTINO D’INFORMAZIONE del

36

gennaio-maggio 2011

ISSN 2039-6740

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*INDICE*

I. Iniziative del Gruppo recenti : “Parce que c’estoit luy…”. Giornata di Studi in memoria di Michel Simonin Seminario : Le salut par les herbes et par les eaux, 4 dicembre 2010 - 11 maggio 2011 II. Pubblicazioni del Gruppo III. Altri convegni e iniziative sul Cinquecento IV. Collaborazioni con altri organismi nazionali e internazionali Verbale FISIER, Montréal marzo 2011 AIDEL V. Progetto PRIN, Corpus del Teatro Francese del Rinascimento VI. Pubblicazioni recenti di soci e amici del Gruppo VII. Recensioni e segnalazioni VIII. Commemorazioni : Jeanne Veyrin-Forrer (Marie Madeleine Fontaine) Sergio Cigada (Enrica Galazzi) Francesco Orlando (Gianni Iotti) IX. Quota sociale 2011 * Pubblicazioni del Gruppo * Informazioni

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I. INIZIATIVE E PROGETTI DI STUDIO DEL GRUPPO

1. “Parce que c’estoit luy…”. Giornata di Studi in memoria di Michel Simonin

1° Ottobre 2010

Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Via San Francesco 22, Verona

aula 2.6 A dieci anni dalla sua scomparsa, per ricordare l’amico, il collega e il maestro

Michel Simonin (1947-2000)

illustre studioso del Rinascimento, professore del Centre d’Études Supérieures de la Renaissance dell’Università François Rabelais di Tours, autore di innumerevoli volumi, edizioni e saggi sul Cinquecento francese, il Gruppo di Studio sul Cinquecento francese e il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Verona hanno organizzato una Giornata di studi a lui dedicata. Gli studiosi invitati hanno illustrato le loro attuali ricerche sul Rinascimento europeo, molte delle quali tanto devono all’intensa e vastissima attività di ricerca di Michel, grande studioso e anima insostituibile di tanti progetti scientifici. Sono intervenute le seguenti relatrici : Catherine MAGNIEN-SIMONIN (Université de Bordeaux 3), Denis Du Pré, imprimeur du pays latin

Anna BETTONI (Università di Padova), Milles Perrot, L'Hospital, Charles Estienne, Montdoré, Du Ferrier...: les Français de Padoue à l'époque de François Ier (1530-1542) Magda CAMPANINI (Università di Venezia), Appunti per uno studio del genere epistolare tra modello retorico e invenzione narrativa (1555-1625) Concetta CAVALLINI (Università di Bari), Le livre et la biographie : les études montaignistes et le défi de l'histoire Bruna CONCONI (Università di Bologna), Ciò che resta di un naufragio : gli esemplari aretiniani nelle biblioteche di Francia Silvia D’AMICO (Université de Chambéry), Zeus ed Era sul monte Ida : allegoria e passione nei commenti rinascimentali Rosanna GORRIS CAMOS (Università di Verona), “Vergine saggia e d’ogni tempo gloria” : Bandello e gli scrittori italiani della biblioteca di Margherita di Francia Chiara LASTRAIOLI (CESR de Tours), Note su una canzone anonima contro Charles IX Gli Atti della Giornata Michel Simonin verranno raccolti e pubblicati in un volume.

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2. Le salut par les eaux et par les herbes I e II

Nell’ambito del progetto Cariverona Medicina e salute, del Corso di Laurea Magistrale e del seminario Le salut par les herbes et par les eaux sono state organizzate due giornate seminariali (a cura di Rosanna Gorris Camos) che hanno avuto luogo presso la Facoltà di Lingue dell’Università di Verona con il contributo del Dipartimento di Lingue e Letterature straniere dell’Università di Verona, del Dipartimento di Romanistica dell’Università di Padova, della Maison des Sciences de l’Homme d’Aquitaine, del PRIN “Corpus du théâtre français de la Renaissance” (sedi di Verona e di Perugia) :

I. martedì, 14 dicembre, aula T 10

Juliette FERDINAND (Università di Verona, EPHE Paris)

D'autant que je ne suis ne Grec, ne Latin, et que je n'ay rien veu des livres des Medecins": Bernard Palissy et la médecine dans les Discours Admirables

Anderson MAGALHĂES (Università di Verona)

Le Mallade di Margherita di Navarra, tra teatro e medicina

Daniele SPEZIARI (Università di Milano)

L’Hymne de la santé : Louis de Rochefort, medico e poeta

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Riccardo BENEDETTINI (Università di Verona) Su alcune manipolazioni della 'incurabile malattia' nella traduzione francese del Theatro de' vari e diversi cervelli mondani di Tomaso Garzoni da Bagnacavallo II. Mercoledì, 11 maggio 2011, dalle ore 10, aula S 10 :

Jacqueline VONS (CESR, Université de Tours)

Jacques Cousinot, médecin du Roi, et le Discours sur les eaux minérales de Forges (1631)

Violaine GIACOMOTTO-CHARRA (Université de Bordeaux 3 - MSHA)

La médecine du troisième jour : Eaux et plantes thérapeutiques chez Du Bartas et ses continuateurs

Alberto FRIGO (Università di Caen)

Gli umori del corpo mistico. Medicina e ragion di stato

Eugenio REFINI (Università di Warwick )

Traduzione ed esegesi negli Hemiambia dimetra catalectica in Thermas Pythias del medico e letterato francese Claude Ancantherus (1586)

Massimo RIZZARDINI (Università di Milano)

Segreti dell'acqua. L'idroterapia fra cultura dotta e cultura popolare

Anna BETTONI (Università di Padova)

Pazienti francesi, medici padovani alla fine del Cinquecento la fama francese di Bernardino Tomitano

Juliette FERDINAND (Università di Verona, EPHE Paris)

“À l'imitation du Souverain fontenier” : eaux et fontaines dans l'œuvre de Bernard Palissy

Gli Atti delle giornate verranno raccolti e pubblicati nel volume miscellaneo Le salut par les herbes et par les eaux con gli altri contributi del progetto.

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II. PUBBLICAZIONI DEL GRUPPO

Sono in corso di stampa le seguenti pubblicazioni :

* Le donne della Bibbia, la Bibbia delle donne, Atti del

XV CONVEGNO DEL GRUPPO DI STUDIO SUL CINQUE CENTO FRANCESE

Le Donne della Bibbia, la Bibbia delle Donne. Teatro, letteratura e vita

Verona, 16 -17 ottobre 2009

a cura di Rosanna Gorris Camos, Fasano, Schena, 2011

Saggi di : Isabelle de Conihout, Alexandre Vanautgaerden, Gabriella Zarri, Lucia Felici. Violaine Giacomotto-Charra, Richard Cooper, Line Anselem, Anderson Magalhães, Daniele Speziari, Max Engammare, Loris Petris, Eugenio Refini, Véronique Ferrer, Mariangela Miotti, Riccardo Benedettini, Gabriela Cultrera, Patrizia de Capitani, Michele Mastroianni, Paola Cosentino.

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** Journée François Secret Saranno altresì pubblicati, a cura di Rosanna Gorris, presso la casa editrice Droz di Ginevra, gli Atti della Giornata François Secret. Les Muses secrètes. Kabbale, alchimie et littérature à la Renaissance che si è svolta a Verona nell’ottobre 2005 (contributi di: J.-F. Maillard, J.-M. Mandosio, J.-P. Brach, D. Kahn, R. Gorris, M. Maselli, Luca Baraldi).

III. ALTRI CONVEGNI E INIZIATIVE SUL CINQUECENTO 2010 17-18 juin 2010, Tours: Pouvoir médical et fait du prince au début des temps modernes, colloque international du CESR, org. Jacqueline Vons (CESR) et Stéphane Velut (Faculté de Médecine), mailto: [email protected]

17-18 juin 2010, Tours: À la croisée des chemins. The parting of the ways revisited. Quand l’Eglise s’est-elle séparée de la Synagogue?, colloque organisé au Centre d’Études Supérieures de la Renaissance de Tours par B. Pouderon, mailto : [email protected] 18 juin 2010, Paris, Reid Hall: 7ème Rencontre de la SIEFAR, conférence de Dena Goodman, auteur de Becoming a Woman in the Age of Letters, à l’occasion des 10 ans de la SIEFAR, cf. www.siefar.org 28 juin-2 juillet, Tours: Fabrique et usage du jardin du XIVe au XVIIe siècle. Dessin, techniques, botanique, LIIIe Colloque international d’Etudes Humanistes organisé au Centre d’Études Supérieures de la Renaissance de Tours par A. Salamagne et P. Liévaux, mailto : [email protected] 6-7 juillet 2010, Durham: Body on display, from Renaissance to the Enlightment, colloque international, mailto:

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[email protected] 13-15 luglio 2010, Besalù: Los márgenes de la ortodoxia, convegno internazionale di studi organizzato nell’ambito del progetto “Geografie del petrarchismo” di “Artes Renascentes”, mailto: [email protected] 19-22 luglio 2010, Chianciano-Pienza: Feritas, humanitas et divinitas come aspetti del vivere nel Rinascimento, XXIIe colloque international de l’Istituto di Studi Umanistici Francesco Petrarca, org. Luisa Secchi Tarugi, mailto: [email protected] 2-4 septembre 2010, Stockholm: (Re)Contextualizing Literary and Cultural History Conference, colloque international, org. Elisabeth Wåghäll Nivre, mailto: [email protected] 9 septembre 2010, Tours: Lire et traduire les Pères de l’Eglise à la Renaissance, journée d’étude organisée au Centre d’Études Supérieures de la Renaissance de Tours par Andrea Villani, mailto: [email protected] 10-11 septembre 2010, Tours: L’argument hérésiologique et la Réforme (ca 1520-ca 1700), colloque organisé au Centre d’Études Supérieures de la Renaissance de Tours par B. Pouderon, I. Backus, Ph. Büttgen, mailto: [email protected] 15 settembre 2010, Firenze: Giovanni Calvino e l’Italia, presentazione del volume di Lucia Felici al Gabinetto “Vieusseux”, mailto: [email protected] 16-18 septembre 2010, Tours: Les légendes des savants et des philosophes au Moyen Age et à la Renaissance, colloque international organisé au Centre d’Études Supérieures de la Renaissance de Tours par N. Bouloux, A. Robert, J.-P. Boudet, A. Paravicini Bagliani, mailto: [email protected] 20 septembre 2010, Toulouse: Autour de l’Arithmetica integra de Michael Stifel, journée d’étude organisée à l’Université Paul Sabatier par Maryvonne Spiesser, mailto: [email protected] 23-25 septembre 2010, Paris: Alessandro Piccolomini (1508-1579), colloque organisé en Sorbonne et à la Maison d’Italie, Cité Universitaire, mailto: [email protected] 24 septembre 2010, Paris: De la liturgie à l'astrologie et au platonisme: l’horizon de l’humanisme français au début du XVIe siècle dans un ouvrage inédit de Josse Clichtove, séminaire de la section de l’Humanisme de l’I.H.R.T., par Farkas Gábor Kiss, mailto: [email protected] 24-25 septembre 2010, Stockholm: Law and the Image, international conference at the Swedish National Library, org. By the National Library, the School of Computer Science, KHT, and the Department of Law, Gothenburg University, mailto: [email protected] 25 septembre 2010, Tours: Montaigne, Essais, I, journée d’étude organisée pour l’agrégation de Lettres classiques et modernes, CESR, org. M.-L. Demonet, mailto: [email protected] 24-25 settembre 2010, South Orange, Seton Hall University: La corrispondenza di Machiavelli e la sua ricezione, convegno internazionale coordinato da William J. Connell (Seton Hall Univ.) e Jacob Soll (Rutgers-Camden University), mailto : [email protected] 24-25 settembre 2010, Nola-Napoli: Tra Nola e la corte napoletana di don Pedro de Toledo: la musa giocosa di Luigi Tansillo, convegno internazionale di studi nel Quinto Centenario della nascita di Luigi Tansillo (1510-1568), mailto: [email protected] e [email protected] 1° ottobre 2010, Verona: “Parce que c’estoit luy…”, giornata di studi in memoria di Michel Simonin organizzata all’Università degli studi di Verona da R. Gorris Camos, presidente del “Gruppo di Studio sul Cinquecento francese”, mailto: [email protected] 5 ottobre-30 novembre, Milano: Il matrimonio dall’Antichità al Rinascimento, ciclo di lezioni dell’Istituto di studi umanistici Francesco Petrarca, org. Luisa Secchi Tarugi, mailto : [email protected] 7-9 octobre 2010, Troyes: Les espaces du sacré, de la Renaissance à la Révolution, colloque international organisé par l’Association “Rencontre avec le Patrimoine religieux” au Collège Saint-Bernard, mailto: [email protected]

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10-15 octobre 2010, Ascona, Monte Verità: Histoire, mémoire et identités en mutation. Les huguenots en France et en diaspora (XVIe-XXIe siècle), colloque international organisé par l’Institut d’histoire de la Réformation (Genève) et l’Association suisse pour l’histoire du Refuge huguenot, mailto: [email protected] 14-15 octobre 2010, Orléans: Artistes en correspondance, colloque international, org. Université d’Orléans-META et A.I.R.E, mailto: [email protected] 14-16 octobre 2010, Paris-Nanterre: Vocabulaire et création poétique pendant les jeunes années de la Pléiade (1547-1555), colloque international organisé par le Centre des Sciences de la Littérature Française (CSLF) et l’Ecole doctorale de l’Université de Paris Ouest-Nanterre/La Défense, mailto: [email protected] et [email protected] 14-16 ottobre 2010, Aosta e Morgex: Natalino Sapegno e la cultura europea, convegno di studi internazionale della Fondazione Centro di studi letterari Natalino Sapegno, mailto: [email protected] e [email protected] 15 ottobre 2010, Bari: Montaigne et la Méditerranée, séminaire international (première journée) organisé par G. Dotoli et Ph. Desan à l’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”, mailto: [email protected] 21-23 octobre 2010, Mulhouse: La médiatisation de l’écrit, de la naissance de l’imprimé à l’ère électronique, colloque international et interdisciplinaire organisé par l’ILLE (Institut d’Etudes en Langues et Littératures Européennes, Université de Haute-Alsace), mailto: [email protected] et [email protected] 21-22 octobre 2010, Tours: Figures et langages de la marginalité (XVIe-XVIIe siècle), colloque organisé au Centre d’Études Supérieures de la Renaissance de Tours par M. T. Ricci, mailto: [email protected] 21-22 ottobre 2010, Groningen: Dynamic Translations in the European Renaissance. La traduzione del moderno nel ’500 europeo, international Symposium 2010, University of Groningen, mailto: [email protected] e [email protected] 22-24 octobre 2010, Toronto: Repenser la culture de l’imprimé (XVe-XVIIe siècle), colloque organisé par l’Université Victoria de Toronto, The Centre for Reformation and Renaissance Studies, mailto: [email protected] 28 ottobre 2010, Milano: “Ce nombre infiny des passions”. Montaigne e la diversità degli affetti, giornata internazionale di studio organizzata da E. Ferrari e G. Mormino all’Università degli studi di Milano, mailto: [email protected] e [email protected] 4-6 novembre 2010, Valencia : La mujer : de los bastidores al proscenio en el teatro del siglo XVI, Simposio Internacional, Facultat de Filologia, Traducció i Comunicació (Universitat de València-Estudi General), mailto: [email protected], [email protected] 5 novembre 2010, Paris: Les chapitres oubliés des Essais de Montaigne, seconde journée d’étude à la mémoire de Michel Simonin, org. par Ph. Desan au Centre de l’Université de Chicago à Paris, mailto: [email protected] 15 novembre 2010, Genève: L’intervention espagnole dans la France des guerres de religion: pratiques et discours, séminaire de Bertrand Haan à l’Institut d’histoire de la Réformation, mailto: [email protected] 17-20 novembre 2010, Paris et Versailles: Autour d’Henri IV, colloque et exposition pour les 500e anniversaire de la mort du roi, mailto: [email protected] 18 novembre 2010, Padova: Seminari di storia della lettura e della ricezione, org. nell’ambito dei corsi di Letteratura francese con il patrocinio del “Gruppo di studio sul Cinquecento francese”: seminario inaugurale a cura di Philippe Desan, Les fonctions du paratexte à la Renaissance, mailto: [email protected] 18-20 novembre 2010, Paris : Les discours sur égalité/inégalité des femmes et des hommes de 1400 à 1600 : revisiter la Querelle des femmes, troisième colloque international consacré aux discours sur l’égalité/inégalité des femmes et des hommes sous l’Ancien Régime organisé par la SIEFAR et l’Université de Columbia à Paris, cf. http://www.siefar.org 18-19 novembre 2010, Torino: Religione e politica in Erasmo da Rotterdam, convegno internazionale della Fondazione Luigi Firpo, org. Enzo Baldini e Massimo Firpo, mailto: [email protected] e [email protected] 20 novembre 2010, Paris: Discours des misères de ce temps de Ronsard, journée d’étude organisée par Jean Vignes et Pascal Debailly à l’Université de Paris VII, Halle aux Farines, mailto: [email protected]

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25 novembre 2010, Padova: Seminari di storia della lettura e della ricezione, org. nell’ambito dei corsi di Letteratura francese con il patrocinio del “Gruppo di studio sul Cinquecento francese”: seminario di Bruna Conconi, Le metamorfosi francesi del Vangelo rivisitato dal divino Aretino, mailto: [email protected] Novembre 2010, Sarlat: Amitié & Compagnie, Ve rencontre La Boétie organisée par le CESR de Tours à Sarlat, org. L. Gerbier et S. Geonget, mailto: [email protected] Novembre 2010, Tours: André Alciat (1492-1550): un humaniste au confluent des savoirs dans l’Europe de la Renaissance, colloque organisé au Centre d’Études Supérieures de la Renaissance de Tours par A. Rolet, S. Rolet et B. Pouderon, mailto: [email protected] 2-3 décembre 2010, Liège: Georges Ier d’Amboise (1460-1510). Une figure plurielle de la Renaissance, colloque organisé par l’Université de Liège, org. Jonathan Dumont et Laure Fagnart, mailto: [email protected] et [email protected] 2 dicembre 2010, Padova: Seminari di storia della lettura e della ricezione, org. nell’ambito dei corsi di Letteratura francese con il patrocinio del “Gruppo di studio sul Cinquecento francese”: seminario di Valerio Cordiner, Noël du Fail e la lezione italica del racconto breve, mailto: [email protected] 2-4 dicembre 2010, Ferrara: Cultura religiosa a Ferrara nell’Europa del Rinascimento, XIII settimana di Alti studi Rinascimentali, organizzata al Castello Estense dall’Istituto di studi Rinascimentali, mailto: [email protected] 6 décembre 2010, Genève: Le Coran en Europe, XVIe-XVIIe siècles, séminaire de Alastair Hamilton à l’Institut d’histoire de la Réformation, mailto: [email protected] 6-8 décembre 2010, Paris: “La force de l’imagination”, du XVIe au XVIIe siècle, colloque organisé par l’Institut des Sciences de la Communication du CNRS, org. Koen Vermeir, mailto: [email protected] 8-10 décembre 2010, Lyon: Impertinence générique et genres de l’impertinence du XVIe su XVIIIe siècle, colloque du GADGES (Université de Lyon 3), org. Olivier Leplâtre et Violaine Géraud, mailto: [email protected] 10-11 dicembre 2010, Torino : Antoine Vérard. Seminario interdottorale organizzato da Maria Colombo e da Paola Cifarelli, mailto : [email protected] e [email protected] 11 décembre 2010, Paris: Le roman de chevalerie en France à la Renaissance : littérature et histoire du livre, journée d’étude en mémoire de Michel Simonin, organisée à l’INHA par J.-E. Girot, mailto: [email protected] 2010, Varsavia: Machiavelli et le machiavélisme dans l’espace culturel de la République des Deux Nations et dans le débat politique des époques postérieures, convegno internazionale organizzato da Anna Grześkowiak-Krwawicz (Instytut Badań Literackich PAN, Warszawa), mailto : [email protected]

2011 22 janvier 2011, Anderlecht: Café littéraire. Les autoportraits d’Érasme, rencontre org. par la Maison d’Érasme à la Bibliothèque de l’Espace Maurice Carême, mailto: [email protected] 25 janvier 2011, Paris: De la polypragmosyné à la curiosité: réception des traités de Plutarque De la curiosité et Du bavardage à la Renaissance. Fables, exempla et anecdotes dans la réflexion morale sur la curiosité au XVIe siècle, séminaire Polysémies à l’ENS, rue d’Ulm, par Bérengère Basset, mailto: [email protected] 26 janvier 2011, Paris: Deus sive locus, l'être et le lieu, séminaire de recherche à l’EHESS – Institut national d’Histoire de l’Art, avec Dominique de Courcelles, dans le cadre de: Humanismes, mystiques, cosmologies: poésie, peinture, cinéma, mailto: [email protected] 5 février 2011, Paris: Marot/La Bruyère, rencontre organisée par Marie-Claire Thomine avec le concours du Centre V. L. Saulnier, disponible en ligne sur http://video.rap.prd.fr/paris4/ed3/Marot-Frank_Lestringant.mov et http://video.rap.prd.fr/paris4/ed3/Marot-Guillaume_Berthon.mov

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7 février 2011, Genève: Topiques gallicanes et auteurs protestants, entre clivage et asymptote: une parenté ecclésiologique du XVIe au XVIIe siècles, séminaire de Frédéric Gabriel à l’Institut d’histoire de la Réformation, mailto: [email protected] 17 février 2011, Paris: Curiosité, séminaire Polysémies à l’ENS, rue d’Ulm, par Michail Bitzilekis et Alice Vintenon, mailto: [email protected] 24-26 febbraio 2011, Padova: Pietro Bembo e le arti, convegno del Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio – Accademia Galileiana, mailto: [email protected] 3-4 marzo 2011, Firenze: I due volti dell’indigeno americano nella cultura del XVI secolo, seminario di Davide Bigalli all’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Palazzo Strozzi, cf. www.insr.it 4-5 marzo 2011, Genova: Geografie del petrarchismo II: il Petrarca politico, convegno internazionale di studi organizzato nell’ambito del progetto di “Artes Renascentes”, mailto: [email protected] 10 mars 2011, Paris: La poésie à la cour de François Ier, colloque annuel du Centre V. L. Saulnier, org. à la Maison de la recherche de l’Université de Paris IV par J.-E. Girot, mailto: [email protected] 18-19 mars 2011, Villeneuve d’Ascq-Tournai: Évêques et cardinaux princiers et curiaux (XIVe-début XVIe siècle). Des acteurs du pouvoir, colloque international org. à l’Université Charles-de-Gaulle – Lille3 et au Grand Séminaire de Tournai, mailto: [email protected] 19 mars 2011, Paris: Les Mémoires de Charlotte Duplessis-Mornay, table ronde org. par la SIEFAR à la Bibliothèque de l’Arsenal à l’occasion de l’édition critique réalisée par Nadine Kuperty (Paris, Champion 2010), mailto: [email protected] 24-26 mars 2011, Montréal: Renaissance Society of America Annual Conference, cf. www.rsa.org (4 sessions org. par la FISIER sur Renaissance Libraries and Collections, le 24 mars, Marriott Chateau Champlain: cf. www.fisier.renaissance.org) 28 mars 2011, Tours, CESR: Montaigne avant Montaigne. Notes sur Térence et autres autographes (Ausone, Giraldi, Lucrèce, Nicole Gilles…), conférence d’Alain Legros, mailto: [email protected] 31 mars 2011, Paris: Rabelais et l’œil du paradoxographe dans le Cinquième livre, séminaire Polysémies à l’ENS, rue d’Ulm, par Olivier Pédeflous, mailto: [email protected] 1er avril 2011, Poitiers: L’animal dans le cabinet de curiosités, journée d’étude org. à l’Université de Poitiers-MSHS par Myruam Marrache-Gouraud et Pierre Martin, mailto: [email protected] 1-2 avril 2011, Paris: Les discours de la méthode en Angleterre, XVIe-XVIIe siècles : vers un ordre moderne?, colloque international organisé à l’Université Paris Ouest Nanterre-La Défense par le Centre de Recherches Anglophones (CREA – EA370), mailto: Myriam-Isabelle Ducrocq, [email protected] et Sandrine Parageau, [email protected] 4 avril 2011, Paris, Bibliothèque de l’Arsenal: “L’Hécatombe à Diane” d’Agrippa d’Aubigné, soirée thématique et lecture à deux voix par Isabelle Fournier et Isabelle Hémery dans le cadre des Lundis de l’Arsenal, mailto: [email protected], [email protected] 5-6 aprile 2011, Firenze: Weber e il mondo moderno, seminario di Edoardo Massimilla all’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, cf. www.insr.it 6 avril-4 juillet 2011, Écouen: Geoffroy Tory. Imprimeur de François Ier. Graphiste avant la lettre, exposition au Musée National de la Renaissance en coll. avec la BnF, cf. www.musee-renaissance.fr 6 avril-4 juillet 2011, Chantilly: Tory et l’enluminure, exposition au Cabinet des livres du Domaine de Chantilly, cf. www.domainedechantilly.com 6-7 aprile 2011, Urbino: La "civil conversazione" tra Rinascimento ed età moderna, convegno internazionale organizzato a Palazzo Passionei Paciotti (Fondazione Carlo e Marise Bo) nell’ambito del progetto PRIN 2007 dalla cattedra di Storia della filosofia del Rinascimento, Università degli studi di Urbino, Dipartimento di Scienze

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dell’Uomo, org. Nicola Panichi, mailto:[email protected] 7 avril 2011, Limoges: Michael Stifel et l’algèbre du XVIe siècle, journée d’étude org. à l’IUFM par F. Loget et le Groupe Algèbre du CESR de Tours, mailto: [email protected] 12 aprile 2011, Verona: Silvae, selve, silvas: un percorso infinito, giornata di studi org. dal Dipartimento di Lingue e letterature straniere, mailto: [email protected] 13-16 avril 2011, Tours: Aux confins de l’humanisme musical, séminaire org. au CESR par Ph. Vendrix, D. Fiala, V. Zara, mailto: [email protected] 14 aprile 2011, Ferrara: Il cuore di cristallo. Ragionamenti d’amore, poesia e ritratto nel Rinascimento, conferenza-dialogo di Lina Bolzoni con Gianni Venturi org. dall’Istituto di studi rinascimentali, nell’ambito di Libri… tenacemente libri. Conversazioni in castello, segreteria org. di Claudia Spisani, mailto: [email protected] 14-16 aprile 2011, Verona: The Hyperborean Muse. Scandinavian literatures of the Middle Ages and European culture from the 16th to the 20th century. Contacts, cross-fertilization, plagiarism, convegno internazionale org. presso il Banco popolare di Verona, conference room, da Adele Cipolla, Judy Quinn, Marcello Meli e Raffaella Bertazzoli, mailto: [email protected], [email protected] 15 avril 2011, Paris: Montaigne et la Méditerranée, séminaire international (deuxième journée) organisé par G. Dotoli et Ph. Desan au Centre de l’Université de Chicago à Paris, mailto: [email protected] et [email protected] 20 aprile 2011, Ferrara: L’ideale classico. Saggi sulla tradizione classica nella pittura del Cinquecento e del Seicento, conferenza-dialogo di Andrea Emiliani con Ranieri Varese org. dall’Istituto di studi rinascimentali, nell’ambito di Libri… tenacemente libri. Conversazioni in castello, segreteria org. di Claudia Spisani, mailto: [email protected] 29 avril 2011, Paris: La curiosité à la Renaissance, journée d’étude à l’École Normale Supérieure, séminaire Polysémies, org. par Rachel Darmon, Adeline Desbois, Arnaud Laimé et Alice Vintenon, mailto: [email protected] 29 avril 2011, Paris: Les liens humains dans la littérature du Moyen Age à l’Age classique, Colloque organisé au Centre de l’Université de Chicago à Paris (6 rue Thomas Mann, Paris 13ème) par Julia Chamard-Bergeron, Philippe Desan et Thomas Pavel (University of Chicago), mailto : [email protected] 2 mai 2011, Genève: Dans l’arrière-boutique de Montaigne. Les conséquences perdurables des guerres de religion dans la France de Richelieu, séminaire de Robert A. Schneider à l’Institut d’histoire de la Réformation, mailto: [email protected] 6-7 mai 2011, Paris: Le jeu entre image et langage, colloque international org. par le Centre allemand d’histoire de l’art à Paris et par l’INHA, mailto: [email protected], [email protected], joern.steigerwald@ruhr-universität-bochum.de 6-7 maggio 2011, Hyattsville, Maryland: Bloodwork: the politics of the body 1500-1900, convegno interdisciplinare org. alla University of Maryland, University College, da Kimberly Coles, Ralph Bauer, Zita Nunes e Carla L. Peterson, mailto: [email protected] 10 maggio 2011, Ferrara: Il rovescio dell’immagine. Destra e sinistra nell’arte, conferenza-dialogo di Andrea Pinotti con Marco Bertozzi org. dall’Istituto di studi rinascimentali, nell’ambito di Libri… tenacemente libri. Conversazioni in castello, segreteria org. di Claudia Spisani, mailto: [email protected] 11 maggio 2011, Verona: Le salut par les eaux et par les herbes II, seminario internazionale org. all’Università degli studi di Verona, Dipartimento di Lingue e letterature straniere e dal Gruppo di studio sul Cinquecento francese in coll. con la MSHA di Bordeaux e l’Univ. di Padova, mailto: [email protected] 12 mai 2011, Paris: Bonne et mauvaise curiosité dans l’Apologie pour Hérodote d’Henri Estienne, séminaire Polysémies à l’ENS, rue d’Ulm, par Mathieu de La Gorce, mailto: [email protected] 19-20 mai 2011, Orléans: Le duel entre justice des hommes et justice de Dieu du Moyen Age au XVIIe siècle, colloque international organisé à la Faculté des Lettres de l’Université d’Orléans par D. Bjaï et M. White-Le Goff, mailto: [email protected]

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19-20 mai 2011, Paris: D’un règne à l’autre. François Habert, poète français (1508?-1562?), journées d’étude organisées par l’Équipe de recherche Lettres Idées Savoirs, Université de Paris-Est/Créteil à Créteil et à la Bibliothèque de l’Arsenal, mailto: [email protected] 25-27 mai 2011, Tours: La figure de David entre profane et sacré dans l’Italie de la Renaissance, colloque organisé au CESR par É. Boillet et S. Cavicchioli, mailto: [email protected] 26 mai 2011, Bordeaux: Les regime de santé de l’Antiquité à la Renaissance, journée d’étude internationale org. à la MSHA dans le cadre du programme “Formes du savoir, 1450-1750” (MASHA 2011-2015), mailto: [email protected], [email protected] 27 maggio 2011, Ferrara: Giovanni Pico della Mirandola, “Dell’Ente e dell’Uno”, conferenza-dialogo di Raphael Ebgi, Franco Bacchelli e Massimo Cacciari con Marco Bertozzi org. dall’Istituto di studi rinascimentali, nell’ambito di Libri… tenacemente libri. Conversazioni in castello, segreteria org. di Claudia Spisani, mailto: [email protected] 27 mai 2011, Bordeaux: Pratique du dialogue et de la dispute dans les textes médicaux (1450-1650), séminaire de recherches org. à la MSHA (Domaine universitaire de Pessac) par V. Giacomotto-Charra et J. Vons, mailto: [email protected], [email protected] 2-3 juin 2011, Tours: Arrêts notables, arrêts mémorables à la Renaissance, colloque org. au CESR sous la dir. de G. Cazals et S. Geonget, mailto: [email protected], [email protected] 10 juin 2011, Paris: Geoffroy Tory. Arts du livre, pensée linguistique et création littéraire (1523-1533), journée d’étude org. à la Maison de la recherche par les équipes SYLED (Paris 3), Cerphi-UMR 5037 (Lyon), Centre Saulnier, mailto: [email protected], [email protected] 24-25 juin 2011, St. Catharines, Canada: Le choix de la langue dans la construction des publics à la Renaissance en France, colloque organisé à l’Université Brock par Renée-Claude Breitenstein (Université Brock) et Tristan Vigliano (Université Lyon 2 – GRAC), mailto: [email protected] 27 juin - 1er juillet 2011, Tours, CESR, Passeurs de textes II, Gens du livre et gens de lettres à la Renaissance (savants, traductions, imprimeurs, colporteurs, voyageurs), LIV Colloque International d’Etudes Humanistes, C. Bénévent, I. Diu & C. Lastraioli org., mailto: [email protected], cfr. http://www.cesr.univ-tours.fr ; http://umr6576.cesr.univ-tours.fr

Luglio 2011, Bologna: Arts, Sciences, Humanisme, convegno internazionale di studi organizzato nell’ambito del progetto “Geografie del petrarchismo” di “Artes Renascentes”, mailto: [email protected] 18-21 luglio 2011, Pienza e Chianciano: Significato e funzione della Cattedrale e del Giubileo e della ripresa della patristica dal Medioevo al Rinascimento, XXIII convegno internazionale di studi dell’Istituto di Studi umanistici Francesco Petrarca, mailto: [email protected] 22-26 luglio 2011, Padova: Natio Scota, The Thirteenth International Conference on Medieval and Renaissance Scottish Language and Literature, Università degli studi di Padova, org. A. Petrina, mailto: [email protected]

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15-17 septembre 2011, Lausanne: Pierre Viret et la diffusion de la Réforme: pensée, action, contexte religieux, colloque international org. par I. Backus, K. Crousaz, D. Tosato-Rigo, D. Solfaroli Camillocci, IHR et Université de Lausanne, mailto: [email protected] 21-23 settembre 2011, Madrid: La Letra de la Música, convegno internazionale org. alla Universidad Rey Juan Carlos, mailto: [email protected] Ottobre 2011, Campobasso: Giovan Battista della Casa e la trattatistica del comportamento, convegno internazionale di studi organizzato nell’ambito del progetto “Geografie del petrarchismo” di “Artes Renascentes”, mailto: [email protected] 6-8 ottobre 2011, Viterbo: Girolamo Ruscelli. Dall’accademia alla corte alla tipografia: itinerari e scenari per un letterato del Cinquecento, convegno internazionale, mailto: [email protected] 7-8 octobre 2011, Urbana-Champaign: The Dialectics of Orientalism in Early Modern Europe, 1492-1700, colloque international organisé à la University of Illinois par J. Irigoyen-Garcia et Marcus Keller, mailto: [email protected] 12-14 ottobre 2011, Prato e Firenze: The Medici in the Fifteenth Century: Signori of Florence?, convegno internazionale org. a Villa I Tatti (www.itatti.it) da Robert Black e John Law, mailto: [email protected] 13-14 ottobre 2011, Cesenatico: “Didon se sacrifiant” d’Etienne Jodelle, Seminari Pasquali di Bagni di Lucca, mailto: [email protected] 20-21 octobre 2011, Chambéry, Université de Savoie: Gabriel Syméoni, colloque international, org. Silvia D’Amico, mailto: [email protected] 28-29 ottobre 2011, Harvard University: Vasari/500: Envisioning New Directions in Vasari Studies, convegno internazionale org. dalla Renaissance Society of America, cf. www.rsa.org, mailto: [email protected] 3-5 novembre 2011, Ohio Valley, Michigan State University: Shakespeare Conference 2011, convegno internazionale org. dal Department of English (Sandra Logan), mailto: [email protected] 10-12 novembre, Roma : Rabelais, Le Quart livre, convegno internazionale presso l’Università di Roma-La Sapienza, org. da Franco Giacone, mailto: [email protected] 10, 17 e 24 novembre 2011, Padova: Seminari di storia della lettura e della ricezione, org. nell’ambito dei corsi di Letteratura francese con il patrocinio del “Gruppo di studio sul Cinquecento francese”, mailto: [email protected] Novembre 2011, Paris: Geografie del petrarchismo. III. Pétrarque entre France et Italie, convegno internazionale di studi organizzato nell’ambito del progetto “Geografie del petrarchismo” di “Artes Renascentes”, mailto: [email protected] e [email protected] 2012 22-24 mars 2012, Washington: Renaissance Society of America Annual Conference, cf. www.rsa.org (panels org. par la FISIER sur Cénacles et salons humanistes à la Renaissance), mailto: [email protected] ou [email protected] 15-16 juin 2012, Oxford, UK: Early Modern Merchants as Collectors, convegno internazionale org. all’Ashmolean Museum, University of Oxford, mailto: [email protected] septembre 2012, Cambridge (Clare College): Renaissance Libraries and Collections II, colloque de la FISIER org. par Philip Ford, mailto: [email protected], [email protected]

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IV. Altre Iniziative e Collaborazioni con altri organismi nazionali e internazionali FISIER 1. Procès-verbal de l'Assemblée Générale de la FISIER, tenue Vendredi 25 mars 2011, Montréal, Université de Québec à Montréal (UQAM)

Présents: Mesdames : Rosanna Gorris-Camos (Gruppo di Studio sul Cinquecento francese, Vérone), Clare Murphy (Arizona Center for Medieval & Renaissance Studies). Messieurs : Claude La Charité (Société canadienne d’Études de la Renaissance, Rimouski), Philip Ford (IANL, Cambridge) , Alexandre Vanautgaerden (Musée de la Maison d’Érasme, Bruxelles). Excusés : Jean-François Cottier (GREPSOMM, Québec), Ingrid De Smet (Centre for the Study of the Renaissance, French Studies, Warwick), Catherine Magnien (SFDES, Paris). La réunion est présidée par Philip Ford, Président. Philip Ford, Président, ouvre la réunion à 15h. 1. REMERCIEMENT. Le Président remercie Jean-François Cottier de l’Université de Montréal et le groupe du GREPSOMM qui accueille notre AG. 2. BUREAU Le bureau actuel est composé de : Président Philip Ford, International Association for Neo-Latin Studies Clare College, Trinity Lane UK – Cambridge CB2 1TL Secrétaire Alexandre Vanautgaerden, Musée de la Maison d’Erasme Rue du chapitre 31, BE – Bruxelles 1070 Secrétaire-adjoint Ingrid De Smet, Centre for the Study of the Renaissance, French Studies The University of Warwick UK – Coventry CV4 7AL Trésorier Catherine Magnien, Société française d’Etude du Seizième Siècle 135 rue du Faubourg-Poissonnière, FR – 75009 Paris Membres du bureau David Marsh, Renaissance Society of America Dpt. of Italian, Rutgers University, 84 College Avenue, New Brunswick, US – NJ 08901-8542 Rosanna Gorris Camos, Gruppo di Studio sul Cinquecento francese Dipartimento di Lingue e Letterature straniere, Facoltà di Lingue e Letterature straniere Università di Verona, via San Francesco 22, 37129 Verona Ilana Zinguer, Association des Etudes du Moyen Age et de la Renaissance Université de Haïfa, Mont Carmel, ISR – Haïfa 31999 Bruno Petey-Girard (SFDES, Univ. Paris XII) en remplacement de Catherine Magnien est élu au poste de trésorier.

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Claude La Charité (Société canadienne d’Études de la Renaissance, Rimouski) est élu au Bureau. Les autres membres du bureau sont réélus. 3. RAPPORT MORAL. Le Président présente le rapport moral et les activités déployées en 2010. Afin de permettre à la Fisier de mieux diffuser les informations entre les Sociétés et Instituts membres ainsi que de toucher de nouveaux publics, il a été décidé de développer le site internet de l’association qui est maintenant pleinement opérant, en six langues (français, anglais, italien, espagnol, néerlandais, latin). Un formulaire d’annonce a été élaboré afin que les membres puissent encoder eux-mêmes les informations qu’ils désirent voir diffuser. L’année 2010 a été consacrée également à l’édition des Actes du colloque sur l’Intime du droit. Ils passent la parole à l’un des coéditeurs du volume présent, ainsi qu’à l’organisation de 4 sessions des la FISIER dans le colloque de la RSA à Montréal. Un folder a été réalisé de présentation de la FISIER, diffusé pendant le colloque de la RSA à Montréal, il sera expédié par voie postal par les soins duMusée de la Maison d’Érasme. 4. ÉDITION DES ACTES DU COLLOQUE « INTIME DU DROIT ». Ce volume est coédité par Max Engammare, ancien président de la FISIER, Franz Bierlaire et Alexandre Vanautgaerden. Ce colloque commémorait les 50 ans d’existence de la FISIER et s’est tenu à Bruxelles et à Liège. Trois sociétés membres s’étaient chargées de l’organisation : l’Institut interuniversitaire ULB-VUB pour l’étude de la Renaissance, présidé par Wouter Bracke, l’Institut pour l’histoire de l’Humanisme et de la Réforme de l’Université de Liège(présidé par Franz Bierlaire) et le Musée de la Maison d’Érasme à Anderlecht (dirigé par Alexandre Vanautgaerden). Les textes ont été édités par Alexandre Vanautgaerden et Max Engammare et ont été transmis à Franz Bierlaire, qui se charge de superviser la mise en page dans la collection de la Faculté de Philosophie et Lettres de l’université de Liège, collection diffusée par les Éditions Droz à Genève. La parution du volume est prévue à l’automne 2011. 5. SITE INTERNET. Le Président passe la parole à Alexandre Vanautgaerden responsable du site internet. Celui-ci évoque son fonctionnement et propose que la Newsletter ainsi que la base de données soient mises à disposition des membres. La base de données contient près de 4000 adresses électroniques, fruit des fichiers obtenus des membres suivants : SFDES, Gruppo di studio sul 500’ francese, La Maison d’Érasme ainsi que l’École des chartes. Alexandre Vanautgaerden propose d’écrire aux différents membres en leur suggérant de confectionner une Newsletter avec leur logo qui leur permettrait d’utiliser la base de données d’adresses électroniques. Le Président demande à quelle fréquence seront envoyées les newsletters de la FISIER. Alexandre Vanautgaerden suggère de ne pas envoyer trop de newsletters, un envoi tous les mois ou tous les deux mois semblent selon lui suffisants si les membres expédient eux-mêmes des newsletters via le canal de la FISIER. 6. RAPPORT FINANCIER. La trésorière n’ayant pu être présente a transmis un bilan financier pour l’année 2010. Celui-ci présente un bilan positif de 2591,65 euros. Le bilan est approuvé par l’AG. 7. TRÉSORIER Les membres présents proposent pour faciliter le payement des cotisations que le nouveau trésorier ouvre un compte paypal. Le bureau demande au nouveau trésorier de fermer le compte suisse de la FISIER et de concentrer les activités sur le compte français. 8. RSA 2010 MONTRÉAL. 4 sessions ont été organisées sur le thème des Bibliothèques et des collections. Elles ont rencontré un grand succès public et les interventions étaient de qualité. 9. CAMBRIDGE 2012.

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Il est décidé qu’après les sessions de Montréal, plusieurs membres organisent chacun un panel autour du même thème en 2012 au Clare College de Cambridge. Ce colloque est fixé en septembre 2012, Philip Ford précisera les dates après avoir pris contact avec Clare College. Une lettre avec demande de proposition d’interventions sera expédiée à la fin du mois d’avril. (cfr. ci-dessus) La clôture pour la réception des propositions est fixée à la fin septembre 2011. Un tour de table fait apparaître que l’on pourrait demander au centres suivants d’organiser un panel : Centre for the Study of the Renaissance, French Studies, Warwick ; GREPSOMM, Québec ; Gruppo di Studio sul 500’ francese, Vérone ; Société canadienne d’Études de la Renaissance ; SFDES. Les thèmes suivants sont évoqués pour les différents panels : bibliothèque mobile ; architecture des bibliothèques ; bibliothèques en feu ; auteurs dans la bibliothèque d’Érasme ; bibliothèque fantôme ; bibliothèques des femmes à la Renaissance… Le financement de ces panels sera pris en charge conjointement par chacun des centres organisant un panel sur le modèle de la RSA. Philip Ford propose d’organiser une visite des livres de la bibliothèque de Montaigne qui ont été offerts à l’Université de Cambridge. Deux propositions ont été faites à la Fisier pour la publication des journées de Montréal et de Cambridge : l’une dans la collection ‘Nugæ humanisticæ’ chez Brepols (dir. A. Vanautgaerden), l’autre dans la collection ‘Library of the Written Word’ chez Brill (dir. A. Pettegree). 10. RSA 2012, Washington Le Président propose, pour rassembler les membres de la FISIER, de suggérer l’organisation de panels autour du thème des « Cénacles et salons humanistes à la Renaissance ». L’AG est clôturée à 17h. 2. APPEL A CONTRIBUTION Après le succès de la journée d'études coordonnée par le FISIER sur les bibliothèques et collections de la Renaissance, lors du congrès de la RSA à Montréal en mars dernier, la Fisier a le plaisir de vous faire parvenir un appel à contribution pour le congrès de Washington en mars 2012 et quelques nouvelles des activités de nos membres. Deux journées d'études qui prolongeront la réflexion menée à Montréal, seront organisées à Cambridge en septembre 2012, je vous en dirai plus prochainement. Philip Ford, Président Renaissance Society of America Washington DC, Etats-Unis, 22-24 mars 2012 En tant que membre associé de la RSA, la FISIER a le droit d'organiser des sessions aux congrès de la RSA. Ceux qui assistent aux réunions de la RSA doivent, cependant, adhérer à cette organisation. Pour le congrès de Washington, DC, nous invitons les membres de la FISIER à proposer des communications sur le thème suivant :

Cénacles et salons humanistes à la Renaissance Si vous voulez proposer une communication sur ce thème, veuillez envoyer par courrier électronique les éléments suivants avant le 20 mai 2011 à Philip Ford : coordonnées de l’auteur ; titre de la communication ; résumé (150 mots maximum); mots clés ; et un curriculum vitae d’une seule page.

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** AIDEL (Associazione Italiana di Diritto e Letteratura) La Prof. Daniela Carpi (Università di Verona) ed il Prof. Piergiuseppe Monateri (Università di Torino) in data 17 giugno 2008, con atto notarile, hanno fondato l’ AIDEL - Associazione Italiana di Diritto e Letteratura. Negli ultimi decenni si è andato divulgando un campo di studi interdisciplinari che ha posto a confronto il diritto e la letteratura. Tali studi interdisciplinari di matrice anglosassone si sono sviluppati nell’ambito della Common Law, hanno preso l’avvio dalla Cardozo School of Law di New York, sono stati riecheggiati dalla School of Law dell’Università di Yale e dalla School of Law del Birkbeck College di Londra, hanno avuto illustri rappresentanti nella School of Law dell’Università di Newcastle e, solo recentemente, si stanno diffondendo in Italia. A fronte dell' ultraventennale e pervasivo sviluppo di "diritto e letteratura" in ambito internazionale (soprattutto anglosassone), in Italia solo recentemente tale campo comparato sta raggiungendo risonanza. I riconoscimenti a livello nazionale sono dati dai numerosi convegni internazionali organizzati dal Dipartimento di Anglistica dell’Università di Verona, dalla rivista "Polemos: diritto e cultura" nata nel 2007 e pubblicata da Carocci, da una ricerca nell'ambito del concetto di equità finanziata dal Ministero MIUR e da un sito web www.equity.lawliterature.eu L'Associazione si propone di: a) promuovere e incoraggiare in Italia gli studi di Diritto e Letteratura; b) sostenere e coordinare la ricerca scientifica in questo settore; c) assicurare la partecipazione italiana a congressi, simposi, seminari ed altre iniziative particolari a livello internazionale nel campo di Diritto e Letteratura; d) facilitare i contatti fra gli studiosi italiani e gli studiosi stranieri; e) collegarsi con le maggiori Istituzioni internazionali deputate alla ricerca nel campo di Diritto e Letteratura; f) promuovere ed incrementare, anche con iniziative proprie, l'attività editoriale nel campo di Diritto e Letteratura. Il Direttivo dell'Associazione è composto dai seguenti membri: Prof. Daniela Carpi Presidente, Prof. P.G. Monateri Vice-presidente, Dott. Chiara Battisti (Univ. di Verona) Segretaria, Prof. Patrizia Nerozzi (IULM, Milano), Prof. Cristina Costantini (Univ. di Bergamo), Prof. Walter Busch (Univ. di Verona). La quota associativa 2010 è stata fissata in 50 euro l'anno. Chi volesse associarsi può rivolgersi alla Dott. Chiara Battisti dell’Università di Verona (mailto: [email protected]) Call for papers La prossima assemblea si svolgerà a Verona nell’autunno. Dato il successo dell'iniziativa dello scorso anno, anche quest'anno si è pensato di collegare l'assemblea annuale dell’Associazione ad un seminario di studi, questa volta con il tema “Diritto e cultura”. Le date saranno giovedì 17 e venerdì 18 novembre presso la Sala del Museo di Storia Naturale, Lungadige Porta Vittoria, Verona. Maggiori dettagli verranno forniti in seguito. Chi fosse interessato a partecipare con una comunicazione è pregato di inviare una sua proposta entro la metà di ottobre 2011 alla presidente prof. Daniela Carpi Professore Ordinario di Letteratura Inglese Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere Università di Verona Lungadige Porta Vittoria 41 37129 Verona, Italy Fax: 0039 (0)45 8028729 Tel: 0039 (0)45 8028410 (mail : [email protected]) V. CORPUS DU THEATRE FRANÇAIS DE LA RENAISSANCE

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Progetto PRIN, finanziato dal MIUR (2006 e 2008), coordinatore nazionale: Rosanna Gorris Camos, Università di Verona; unità locali: Università di Padova, Anna Bettoni; Università di Perugia, Mariangela Miotti

La I serie (nove volumi) e la II serie (cinque volumi già pubblicati) del « Théâtre français de la Renaissance », come i prossimi volumi che completeranno la collana (pubblicata presso le case editrici Olschki e PUF) che prevede la pubblicazione, in ordine cronologico, dell’intero patrimonio teatrale francese del XVI secolo, permetteranno agli studiosi, ma anche ad un pubblico più vasto, di poter leggere tutte le tragedie e le commedie scritte nel corso del Rinascimento francese. I testi che costituiscono questo vasto insieme, che va dalle tragedie e dalle commedie ispirate dall’antichità alle pièces di argomento “moderno”, hanno avuto un destino assai eterogeneo. Solo alcuni testi hanno infatti attirato l’attenzione della critica, gli altri sono stati dimenticati e, come spesso avviene, sono stati avvolti dall’ignoranza e, talvolta, dal “discrédit”. Recentemente (2006) un critico francese ha scritto: “le théâtre français du XVIe est souvent sous-estimé en quantité et en qualité”. Sottovalutato dal punto di vista qualitativo e quantitativo ma anche oscurato dalle grandi opere del secolo classico, il teatro francese del Rinascimento necessita quindi di ulteriori approfondimenti critici e, soprattutto, di edizioni più facilmente reperibili. I testi teatrali, molti dei quali già oggetto di un recupero critico e testuale, effettuato dai numerosi collaboratori della collana, si rivelano fondamentali per una comprensione globale della società e della cultura francese ed europea del Cinquecento. Alla luce di nuovi studi di carattere storico e letterario (cfr. per esempio i lavori di E. Forsyth, di D. Crouzet, di O. Millet) si è scoperto come gli autori tragici, spesso coinvolti in guerre interne ed esterne, conferissero alle loro opere non solo valenze poetiche ma potenzialità concettuali, allegoriche, parenetiche, politiche e religiose. Ne sono un esempio eclatante le tragédies de combat (Pineaux) e le tragédies-libelles che attingono la loro ispirazione agli avvenimenti contemporanei, oppure fanno ricorso, in chiave analogica, all’antichità o alla Bibbia (es. l’Aman di Rivaudeau, les Juifves di Garnier, il Josias e l’Adonias di Philone, Saul le Furieux di Jean de la Taille). Ma anche gli autori di commedie, spesso, sfruttano le possibilità allusive delle loro pièces per farne testi di propaganda, dal valore – anche in questo caso – politico o religioso. Ne sono un esempio L’Eugène di Etienne Jodelle, edita nel VI volume della prima serie La comédie à l'époque d'Henri II et de Charles IX (1541-1554) o, con ancora maggiore evidenza, la Comédie du pape malade di Conrad Badius, edita nel vol. VII della prima serie (La comédie à l'époque d'Henri II et de Charles IX (1561-1568)). Il progetto vuole quindi contribuire alla restituzione della sensibilità letteraria e culturale di un’epoca attraverso una delle sue maggiori espressioni letterarie, miroir spesso di un immaginario collettivo dove si esprimono i sogni e le paure di un mondo in piena crisi dove si affrontano, con violenza, tendenze antagoniste e forze politiche e religiose in lotta per il potere. Un théâtre de la cruauté o una dramaturgie de la parole en action (O. Millet) che rivela il tormento, le inquietudini del Rinascimento, le angosce e le speranze che gli uomini del tempo vedono riflesse e proiettate nelle “spie del cielo” e nel sangue che inonda le scene teatrali. Un teatro che ha, in modo più generale, lasciato un’eredità fondamentale alla cultura francese ed europea: l’assimilazione di un ideale tragico antico ritrasmesso con le sue luci e le sue ombre, con i conflitti insanabili tra l’individuo e la società, tra l’uomo e la storia, tra la vita e il destino. Il progetto, giunto ormai ad uno stadio avanzato del piano generale, ha permesso e permetterà quindi di conoscere e di apprezzare un aspetto essenziale del Rinascimento francese, a lungo lasciato nell’ombra e oggetto di pregiudizi tenaci (alcuni per esempio sostengono ancora che tali pièces non sono mai state rappresentate). Più che un insieme di ricerche erudite, il Corpus del teatro rinascimentale francese vuole offrire agli studiosi e al pubblico uno strumento di lavoro al fine di promuovere e di stimolare nuove letture; uno strumento quindi che rimanga, come scriveva il suo ideatore, Enea Balmas, “ouvert aux inépuisables suggestions qui peuvent naître de la réflexion critique, quand celle-ci se nourrit de données qui, loin des interprétations routinières, font toute leur place à des connaissances injustement négligées.” Ora, una delle difficoltà principali per lo studio del teatro rinascimentale consiste proprio nella difficile reperibilità dei testi, spesso rari e talvolta inediti. Alcune tragedie, già pubblicate dal nostro Corpus, sono infatti rimaste inedite fino al XIX secolo (es. Le Sac de Cabrières), altre, anzi la stragrande maggioranza (come le pièces di Bousy, di Claude Mermet, di Jean Robelin, pubblicate nel III volume della serie seconda (1582-1584), o tre delle pièces pubblicate nel IV volume della serie seconda dedicato a La tragédie à l’époque d’Henri III (1584-1585) : Jean-Edouard Du Monin, La peste de la peste; L’Orbecc-Oronte - traduzione dell’Orbecche di G. B. Giraldi Cinthio - e la Esther di Pierre Matthieu), non sono mai state date alle stampe dopo la princeps del XVI secolo. Testi rari, dunque. Testi difficili, e non solo per la loro dimensione « esagerata »: «pour le lecteur moderne, prisonnier des habitudes héritées de la dramaturgie du XVIIe siècle – osserva Banderier – goûter la tragédie humaniste exige le même effort que s’adonner à la géométrie non-euclidienne». Per questo il tentativo di restituire ai lettori, attraverso Introduzioni (che ricostruiscono la genesi, il contesto storico-culturale, la trama, l’intertesto, la metrica, la fortuna della pièce), annotazioni e bibliografie ed anche grazie ad una modernizzazione ponderata della grafia cinquecentesca, il significato e il valore della loro pubblicazione originaria e del loro recupero odierno, sembra costituire un’ennesima conferma della validità della scommessa di Enea Balmas e Michel Dassonville: la cultura – diceva infatti l’exergue che apriva la plaquette diffusa dagli ideatori della collana agli inizi della loro ‘impresa’ – non è un privilegio.

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Il volume VI del THÉÂTRE FRANÇAIS DE LA RENAISSANCE presso la casa editrice OLSCHKI di FIRENZE : Il volume comprenderà le seguenti edizioni : P. Matthieu, Clytemnestre (1589) a cura di Mariangela Miotti e Monia Mezzetti F. Perrin, Sichem Ravisseur (1589) a cura di Giovanna Melis †, Nerina Clerici Balmas e Anna Bettoni A. Favre, Les Gordians et Maximins (1589) a cura di Jean Balsamo

VI. PUBBLICAZIONI RECENTI di SOCI e AMICI del GRUPPO AA.VV., L’Acte éditorial. Publier à la Renaissance et aujourd’hui, sous la direction de Brigitte Ouvry-Vial et Anne Réach-Ngô, Paris, Classiques Garnier, coll."Etudes et essais sur la Renaissance" 89, 2010, 335 pp. AA.VV., Andrea Mantegna. Impronta del genio, Atti del convegno internazionale di Studi su Andrea Mantegna (Padova, Verona, Mantova, 8-9-10 novembre 2006), a cura di Rodolfo Signorini, Viviana Rebonato, Sara Tammaccaro, Firenze, Olschki, 2010, 2 voll., 794 pp. AA.VV., Bourges à la Renaissance, hommes de lettres, hommes de lois, sous la direction de Stéphan Geonget, Paris, Klincksieck, 2011, 528 pp. AA. VV., Les chapitres oubliés des Essais de Montaigne, Actes des journées d'étude à la mémoire de Michel Simonin University of Chicago (Paris) 9 avril et 5 novembre 2010, Textes réunis par Philippe Desan, Paris, Champion, 2010, 288 pp. AA.VV., Cinquecento in biblioteca: le edizioni del XVI secolo nella Biblioteca del Dipartimento di storia e filosofia del diritto e diritto canonico, a cura di Umberto Vincenti, Napoli, Jovene, 2010, 82 pp. AA.VV., Courts and courtly Arts in Renaissance Italy: Art, Culture and Politics, 1395-1530, edited by Marco Folin, Woodbridge, Antique Collectors’ Club, 2011, 443 pp. AA.VV., La donna nel Rinascimento meridionale, Atti del convegno internazionale, Roma, 11-13 novembre 2009, a cura di Marco Santoro, Pisa - Roma, Fabrizio Serra, 2010, 469 pp. AA.VV., L’Écriture des juristes. XVIe-XVIIIe siècle, Etudes réunies et présentées par Laurence Giavarini, Paris, Classiques Garnier, coll. "Études et essais sur la Renaissance", 2010, 371 pp. AA.VV., Etudes rabelaisiennes. T. XLIX. Rabelais et la question du sens, Actes du colloque international de Cerisy-La- Salle (1er au 11 août 2000), Coordination éditoriale de Jean Céard, Marie-Luce Demonet-Launay, Genève, Droz, 2011, 312 pp. AA.VV., "Éveils". Études en l’honneur de Jean-Yves Pouilloux, Sous la direction de Valérie Fasseur, Olivier Guerrier, Laurent Jenny et André Tournon, Paris, Classiques Garnier, coll. "Études montaignistes" 56, 2010, 314 pp.

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AA.VV., Le finanze papali del primo Rinascimento: tra magnificenza e contabilità, Ciclo di conferenze e seminari “L’uomo e il denaro”, Milano, 22 febbraio 2010, a cura di Claudia Marti, introduzione di Giuseppe Vigorelli, Milano, ASSB, 2010, 49 pp. AA.VV., Galileo and the Renaissance scientific discourse: first Roma workshop on past and present perceptions of sciences, edited by Aldo Altamore and Giovanni Antonini, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2010, 236 pp. AA.VV., Giulio II. La cultura non classicista. Sessione finale del convegno “Metafore di un pontificato. Giulio II, 1503-1513”, Viterbo, S. Maria in Gradi, 13 maggio 2009, a cura di P. Procaccioli con la collaborazione di M. Chiabò e A. Modigliani, Roma, Roma nel Rinascimento, 2010, 180 pp. AA.VV., Glossario Leonardiano. Nomeclatura delle macchine nei codici di Madrid e Atlantico, a cura di Paola Manni e Marco Biffi, Firenze, Olschki, 2011, 338 pp. AA.VV., Kings, Queens, and Courtiers: Art in Early Renaissance France, edited by Martha Wolff, New Haven – London, Yale University Press, 2011, 208 pp. AA.VV., Man, Myth and Sensual Pleasures: Jan Gossart’s Renaissance. The Complete Works, edited by Maryan W. Ainsworth, New Haven – London, Yale University Press, 2010, 440 pp. AA.VV., Metafore di un pontificato, Giulio II, 1503-1513, Atti del convegno, Roma, 2-4 dicembre 2008, a cura di F. Cantatore, M. Chiabò, P. Gargano, A. Modigliani, F. Piperno, Roma, Roma nel Rinascimento, 2010, 703 pp.

AA.VV., Montaigne. sous la direction de Pierre Magnard et Thiérry Gontier, Paris, Cerf, 2010, 340 pp. AA.VV., New Studies on old masters: Essays in Renaissance art in honour of Colin Eisler, edited by John Garton and Diane Wolfhal, Toronto, Centre for Reformation and Renaissance studies, 2011, 407 pp. AA.VV., Nouveaux départs: Studies in Honour of Michel Jeanneret, edited by Stephen Bamforth, in Nottingham French Studies, Volume 49, Number 3, Autumn 2010, 148 pp. AA.VV., Obscénités renaissantes, Préface de Michel Jeanneret, éd. par G. Peureux, H. Roberts, L. Wajeman, coll. “Travaux d'Humanisme et Renaissance” 473, Genève, Droz, 2011, 473 pp. AA.VV., O que é Utopia? Gênero e modos de representação, Anais do II congresso internacional de estudos utópicos, 7-8-9 e 10 de junho de 2009, coll. «Morus, Utopia e Renascimento» 6, Campinas - São Paulo (Brasil), Unicampi, 2009, 464 pp.

AA.VV., Il Parco dell’Ariosto e del Boiardo: progetti di luoghi come esercizi di fantasia, a cura di Corrado Olmi, Macerata, Quodlibet, 2010, 158 pp.

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AA.VV., Philosophers of the Renaissance, edited by Paul Richard Blum, translated by Brian McNeil, Washington (D.C), The Catholic University of America Press, 2010, 323 pp. AA.VV., Le Récit exemplaire (1200-1800), Études réunies par Véronique Duché et Madeleine Jeay, Paris, Classiques Garnier, coll. " Colloques, congrès et conférences sur la Renaissance européenne" 67, 2011, 284 pp. AA.VV., Le socratisme de Montaigne, Études réunies par Thierry Gontier et Suzel Mayer, Paris, Éditions Classiques Garnier, 2010, 397 pp. AA.VV., Taboo and Transgression in British Literature from the Renaissance to the Present, edited by Stefan Horlacher, Stefan Glomb and Lars Heiler, New York, Palgrave Macmillan, 2010, 269 pp. AA.VV., Tesori della musica veneta del Cinquecento: la policoralità, Giovanni Matteo Asola e Giovanni Croce, Catalogo della mostra a cura di Iain Fenlon e Antonio Lovato, Venezia, Fondazione Levi, 2010, 195 pp. AA.VV., L’umanesimo scientifico dal Rinascimento all’Illuminismo, Atti del convegno internazionale organizzato dal Dipartimento di filosofia e politica dell’Università degli studi di Napoli - L’Orientale, in collaborazione con il Dipartimento di studi umanistici dell’Università del Piemonte Orientale e l’Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli, 27-29 settembre 2007, a cura di Lorenzo Bianchi e Gianni Paganini, Napoli, Liguori, 2010, 381 pp. Abbé F. Charbonnier, La poésie française et les guerres de religion (1560-1574), Étude historique et littéraire sur la poésie militante depuis la conjuration d'Amboise jusqu'à la mort de Charles IX. Réimpression de l'édition de Paris '20, Genève, Slatkine Reprints, 2011, 554 pp. Abbé A. Clerval, Les Ecoles de Chartres au Moyen Age. Du Ve au XVIe siècle, Réimpression de l'édition de Paris, 1895, Genève, Slatkine Reprints, 2011, 580 pp. M.-G. Adamo, "Su alcuni détournements di formes figées in Rabelais", in La langue de Rabelais / La langue de Montaigne, Actes du Colloque de Rome, septembre 2003, Édités par Franco Giacone, Genève, Droz, 2009, pp. 127-143 L. Addante, Eretici e libertini nel Cinquecento italiano, Roma-Bari, Laterza, 2010, 225 pp. J.-A. de Baïf, Œuvres complètes II. Œuvres en rimes. Deuxième partie. Les Amours, Édition critique avec introduction, variantes et notes sous la direction de Jean Vignes, avec la collaboration de Véronique Denisot, André Gendre et Pierre Bonniffet, Paris, Honoré Champion, coll. "Textes littéraires de la Renaissance", 2010, 2 volumes, 1276 p. S. -U. Baldassarri – B. Figliuolo, La Biografia anonima in terzine e altri documenti inediti su Giannozzo Manetti, Roma, Roma nel Rinascimento, 2010, 177 pp. A.-E. Baldini, L'educazione di un principe luterano. Il Furschlag di Johann Eberlin, tra Erasmo, Lutero e la sconfitta dei contadini, Edizione critica in Neuhochdeutsch e versione italiana del testo manoscritto inedito, Milano, Franco Angeli, 2010, 196 pp. S. Benedetti, “Ex perfecta antiquorum eloquentia”. Oratoria e poesia a Roma nel primo Cinquecento, Roma, Roma nel Rinascimento, 2010, 232 pp. R. Benedettini, "Chappuys e Garzoni : note sulla traduzione del Theatro de’vari, e diversi cervelli mondani", in Studi francesi, 161, maggio-agosto 2010, pp. 261-276. ID., Il Negromante de l’Arioste, in “Italique, Poésie italienne de la Renaissance”, Fondation Barbier-Mueller, n. XIII, Genève, Droz, 2010, pp. 83-104. A. Benedikte, L'Invention lyrique. Visages d'auteur, figures du poète et voix lyrique chez Ronsard, Paris, Champion, 2011, 824 pp. F. Bertini, «Hor con la legge in man giudicheranno»: movimenti giuridici nella drammaturgia tragica del Cinquecento italiano, Firenze, Società editrice fiorentina, 2010, 566 pp. Th. de Bèze, Correspondance. Tome XXXIV, 1593, Edité par Alain Dufour, Hervé Genton, Béatrice Nicollier-de Weck, Coordination éditoriale de Hippolyte Aubert, Genève, Droz, 2010, XXXII - 352 pp.

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Bibliographie internationale de l'Humanisme et de la Renaissance. Tome XLII, Travaux parus en 2006, Edité par Bastien Faguer, Ivan Jaffrin, Genève, Droz, 2010, 640 pp. Bibliotheca Desaniana. Catalogue Montaigne, édition établie et présentée avec une introduction par Philippe Desan, Paris, Garnier, 256 pp. Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance, LXXII-3, Genève, Droz, 2010 Cl. Binet, La vie de Pierre de Ronsard (1586), Edition historique et critique avec introduction et commentaire par Paul Laumonier, Réimpression de l'édition de Paris, 1909, Genève, Slatkine Reprints, 2011, 312 pp. S. Borsi, La città vascolarizzata di Leon Battista Alberti e Leonardo: anatomia e cultura urbana nel Rinascimento, Melfi, Libria, 2010, 159 pp. Bonaventure Des Périers, I cembali del mondo, introduzione e commento a cura di Lionello Sozzi, testo francese a fronte, Napoli, La scuola di Pitagora, 2010, 120 pp.

R. Bonfil, Cultural Change among the Jews of early modern Italy, Farnham, Ashgate, 2010, 259 pp. M. Bouvier, Vivre heureusement: commentaire suivi du livre trois des Essais, Paris, F.-X. de Guibert, 2010, 259 pp. S.-D. Bowd, Venice’s most loyal City: civic Identity in Renaissance Brescia, Cambridge (Massachusetts) – London, Harvard University Press, 2010, 359 pp. C. Braga, Du paradis perdu à l'antiutopie aux XVIe et XVIIIe siècles, Paris, Editions Classiques Garnier, 2010, 416 pp. B. Bryson, Il mondo e un teatro: la vita e l’epoca di William Shakespeare, traduzione di Stefano Bortolussi, Milano, TEA, 2010, 246 pp. A. Brown, The return of Lucretius to Renaissance Florence, Cambridge (Massachusetts) – London, Harvard University Press, 2010, 139 pp. G. Buchanan, Poetic Paraphrase of the Psalms of David, édité et traduit par Roger Green, Genève, Droz, 2011, 640 pp. Bulletin de la Société de l'Histoire du Protestantisme Français, Tome 156, fascicule 3, 2010, Genève, Droz, 2010, 150 pp. O. G. de Busbecq, Les Lettres turques, Traduites du latin par Dominique Arrighi, Préface de Gilles Veinstein, Paris, Champion, 2010, 448 pp. D. Cachedenier, Initiation à la langue française (1601), édité par Alberte Jacquetin-Gaudet et Colette Demaizière, Paris, Editions Classiques Garnier, 2010, 600 pp. D. Calderini, Commentary on Silius Italicus, Edité par John Dunston, Frances Muecke, Genève, Droz, 2011, 960 pp. F. Camerota, Linear Perspective in the Age of Galileo. Ludovico Cigoli’s “Prospettiva pratica”, Firenze, Olschki, 2010, 360 pp.

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K. Crawford, The sexual culture of the French Renaissance, Cambridge, Cambridge University Press, 2010, 295 pp. C. Cristellon, La carità e l’eros: il matrimonio, la Chiesa, i suoi giudici nella Venezia del Rinascimento, 1420-1545, Bologna, il Mulino, 2010, 317 pp. M. Dal Bello, La Bibbia di Caravaggio: immagini dell’Antico e del Nuovo Testamento, Ratisbona, Schnell & Steiner, 2010, 95 pp. S. Dall’Aglio, L’Assassino del duca. Esilio e morte di Lorenzino de’ Medici, Firenze, Olschki, 2011, 422 pp. P. De Capitani ed., Texte et image dans la culture italienne (Moyen Age, Renaissance, époque contemporaine), GERCI, “Cahiers d’études italiennes. Filigrana.”, Université Stendhal, Grenoble 3, n. 12 - 2010, 238 pp. A. Di Leone Leoni, La Nazione Ebraica Spagnola e Portoghese di Ferrara (1494-1559). I suoi rapporti col governo ducale e la popolazione locale e i suoi legami con le Nazioni Portoghesi di Ancona, Pesaro e Venezia, prefazione di Adriano Prosperi, Firenze, Olschki, 2011, 2 voll. 1310 pp.

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G.- R. Saunders, Il linguaggio dello spirito: il cuore e la mente nel protestantesimo evangelico, traduzione e cura di Adelina Talamonti, coll. «Percorsi di antropologia e cultura popolare» 7, Pisa, Pacini, 2010, 287 pp. R. Scholar, Montaigne and the Art of Free-Thinking, Oxford, Peter Lang, 2010, 256 pp. Seizième siècle, 6, Le Théâtre du XVIe siècle et ses modèles, Genève, Droz, 2010, 304 pp. N. Sfredda, La musica nelle chiese della Riforma, coll. «Strumenti» 54, Torino, Claudiana, 2010, 236 pp. J.-L. Sirera, Estudios sobre teatro medieval, coll. «Parnaseo», València, Publicacions de la Universitat de València, 2008, 244 pp. P. Slongo, Governo della vita e ordine politico in Montaigne, Milano, Angeli, 2010, 255 pp. J.-W. Stone, Crossing Gender in Shakespeare: feminist Psychoanalysis and the Difference within, New York, Routledge, 2010, 185 pp. Teresa d'Avila, Chemin de perfection. Manuscrit de l'Escorial, Traduction de Jeannine Poitrey, Notes de Tomás Alvarez, Paris, Les Editions du Cerf, 2011, 250 pp. N. Terpstra, Lost girls: sex and death in Renaissance Florence, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 2010, 244 pp. Cl. Thouret, Seul en scène. Le monologue dans le théâtre européen de la première modernité (1580-1640), Genève, Droz, 2010, 432 pp. P. de Tyard, Œuvres complètes. Tome IV, 1. Le Premier Curieux, ou Premier Discours de la nature du monde et de ses parties, texte établi, introduit et annoté par Jean Céard, Paris, Classiques Garnier, coll. "Textes de la Renaissance", 2010, 307 pp. J. B. Trento, P. Eskrich, Mappe monde nouvelle papistique. Histoire de la mappe monde papistique, en laquelle est déclaré tout ce qui est contenu et pourtraict en la grande table, ou carte de la mappe-monde (Genève, 1566), Edité par Frank Lestringant, Alesandra Preda, Genève, Droz, 2010, CVI - 486 pp. Ph. J. Usher, Errance et cohérence. Essai sur la littérature transfrontalière à la Renaissance, Paris, Classiques Garnier, coll. "Géographies du monde", 2010, 204 pp. M. Valente, Contro l’Inquisizione. Il dibattito europeo (secoli XVI-XVIII), «Società di studi valdesi» 29, Torino, Claudiana, 2010, 230 pp. B. Wahlen, L'Écriture à rebours. Le Roman de Meliadus du XIIe au XVIIIe siècle, Genève, Droz, 2010, 520 pp. J.-M. Weiss, Humanist Biography in Renaissance Italy and Reformation Germany: Friendship and Rethoric, Farnham, Ashgate, 2010, 326 pp. E. Wickersheimer, La Médecine en France à l’époque de la Renaissance, La Vergne (TN USA), Nabu Public Domain, 2010, 692 pp. D.-S. Wilson-Okamura, Virgil in the Renaissance, Cambridge, Cambridge University Press, 2010, 299 pp.

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D. Wolfthal, In and Out of the Marital Bed. Seeing Sex in Renaissance Europe, New Haven – London, Yale University Press, 2010, 252 pp. A. Zurcher, Shakespeare and law, London, Arden Shakespeare, 2010, 334 pp.

EXPOSITIONS

EXPOSITION « LES FEMMES BIBLIOPHILES DE CATHERINE DE MÉDICIS À LA DUCHESSE D’AUMALE »

Le cabinet des Livres du château de Chantilly accueille jusqu’au 7 juin 2011 l’exposition

Les f emmes bibl iophi l es de Cather ine de Médic i s à la duchesse d ’Aumale

Un vaste choix d’ouvrages souvent enluminés, illustrant le goût des femmes bibliophiles du XVème au XIXème siècle (Diane de Poitiers, Catherine de Médicis, la Grande Mademoiselle, Madame de Pompadour et la duchesse d’Aumale) est exposé au public.

De mars à juin 2011, le Cabinet des Livres du Domaine de Chantilly met à l'honneur les femmes bibliophiles de Catherine de Médicis à la duchesse d'Aumale... La bibliophilie passe souvent pour être une passion masculine, cependant les collectionneurs avertis, comme l'était le duc d'Aumale, ont recherché ardemment les ouvrages portant les armes de certaines femmes célèbres, car il s'agit presque toujours de volumes choisis avec goût et reliés avec élégance. Si beaucoup de grandes dames ont possédé des livres dont elles ignoraient le contenu, certaines personnalités ont laissé de véritables bibliothèques. A travers la collection du Duc d'Aumale, le cabinet des livres du domaine de Chantilly vous présentera un choix d'ouvrage illustrant les goûts de ces femmes bibliophiles, du XVIe au XIXe siècle, que sont Diane de Poitiers, Catherine de Médicis, la Grande Mademoiselle, Madame de Pompadour ou la duchesse d'Aumale.

Renseignements & réservations :

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Domaine de Chantilly Rue du Connétable 60500 Chantilly Tel. 03 44 27 31 80

[email protected] www.domainedechantilly.com

Geoffroy Tory : imprimeur de François 1er

du 6 avril 2011 au 4 juillet 2011

Geoffroy Tory, Champs Fleury - Lettre Bastarde, 1529

Conçue par le Musée national de la Renaissance et la Bibliothèque nationale de France, cette exposition propose de découvrir une personnalité incontournable de l’univers du livre à la Renaissance : Geoffroy Tory (vers 1480-1533). Précurseur des règles et usages de la langue française, il reçoit le soutien de François 1er et devient, le premier, imprimeur du roi. D’abord éditeur humaniste, puis traducteur, libraire et imprimeur, Geoffroy Tory est aussi un artiste de talent, créateur de caractères d'imprimerie propres à la transcription du français. Graphisme, typographie, reliure et illustration mais aussi grammaire, orthographe et ponctuation, cet humaniste, inconnu du grand public, explore tous les domaines de l’édition quelques décennies seulement après l’invention de l’imprimerie. Il s'illustre particulièrement dans la mise en page et le graphisme. À travers le parcours de sa vie, de Bourges à Paris en passant par Rome et Bologne, ses recherches et découvertes, créations et ambitions, seront pour la première fois mises en lumière dans une exposition qui présentera de nombreux ouvrages, gravures, et son chef d’œuvre absolu : le Champ fleury, premier traité typographique à teneur philosophique dans lequel il conçoit des caractères à l'antique proportionnés selon le corps humain Musée national de la Renaissance

Château d'Écouen 95440 Écouen

Tarif plein : 4,5 € Tarif réduit : 3 €

Tous les jours, sauf le mardi, de 9h30 à 12h45 et de 14h à 17h15 (l'hiver) et 17h45 (l'été : à partir du 16 avril). Fermé le 1er mai.

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VII. Recensioni e segnalazioni Rire à la Renaissance, Colloque International de Lille – Université Charles-de-Gaulle-Lille3 (6-8 novembre 2003), édité par MARIE MADELEINE FONTAINE, Genève, Droz, 2010 (« Travaux d’Humanisme et Renaissance », CDLXIX, 540 pp.

Quatre grands axes de recherche organisent, dans ces Actes de Colloque, l’enquête et la réflexion sur les mille possibilités de Rire à la Renaissance : les « Évidences », les « Complexités », l’ « Érudition facétieuse » et les occasions de « Rire à la cour ». Vingt-sept illustrations et une autre vingtaine de partitions musicales accompagnent les enquêtes, les réflexions et les «trouvailles» (p. 448) d’une prestigieuse compagnie de spécialistes, dont Marie Madeleine Fontaine avait coordonné et réuni les travaux à Lille à l’occasion du Colloque homonyme en 2003. Honneur est rendu à leur «esprit de curiosité» (p. 448) dans les 53 pages que l’Éditrice rédige «En quête de conclusion», à la fin du volume (pp. 447-510): Lakis Proguidis, Howard Burns, Frank Dobbins, Anne-Hélène Klinger, Hope Glidden, Marine Molins, Max Engammare, Henri Vanhulst, Mireille Huchon, Rosanna Gorris Camos, Michèle-Caroline Heck, Michel Jourde, Frank Lestringant, Jean Balsamo, Sylvie Deswarte-Rosa, Annie Cœurdevey, Jennifer Britnell, Anne-Pascale Pouey-Mounou, Stephen Bamforth, Didier Kahn, Elsa Kammerer, Bruno Roy, Richard Cooper, Chiara Lastraioli, Monique Chatenet et les jeunes chercheurs lillois qui, en novembre 2003, avaient contribué à la réussite du Colloque et qu’on a connus comme la "brigade du rire", sont moins des spécialistes qui avaient, en 2003, déjà beaucoup écrit sur le sujet, que des curiosi jovialement disposés à mettre leur esprit (Marie Madeleine Fontaine parle à juste titre de gaieté) au service de cette chasse au trésor. Ensemble, ils étaient tous partis à la recherche des meilleures traces du «bien-être passé » (p. 449) et ils ont retrouvé ensemble, avec les multiformes présences du rire à la Renaissance, le bonheur de nos études. En histoire de l’art, et histoire de la peinture notamment, le rire est bien « ce qu’il y a de plus difficile à représenter » (p. 179) et l’attention que, dans son étude « Rire et cri. De la difficulté et de l’enjeu de leur représentation en peinture » (pp. 163-179), Michèle-Caroline Heck consacre au Double autoportrait de Hans von Aachen (Cologne, 1551-Prague, 1615) est révélatrice. L’âge du jeune homme qui y rit deux fois, la légende de l’exécution instantanée de cet autoportrait, à Venise, dans l’atelier d’un peintre célèbre qui méconnaissait le viator, provenant d’Allemagne, la « gradation des rires » (p. 453) qui y sont différemment représentés, tout contribue à impliquer le spectateur du tableau, et le lecteur de ces études. On se situe dans le contexte d’un défi qui surprend et séduit: la représentation du rire est difficile parce qu’elle porte sur un état vivant, et sa réussite correspond bien à la vie qu’un artiste arrive à donner à son ouvrage. Dans la langue, dans le lexique littéraire ou théorique, chez Rabelais, dans les Farces, chez Du Bellay, Brantôme, Des Périers…, ou dans le lexique des traités ou des recueils de bons mots, l’expression du rire varie, se confond en mille possibilités diverses. Le lexique que ce volume étudie rend compte des deux grands genres de rires à raconter : d’un côté « le rire en société dans un échange de langage parlé et/ou de signes du corps », de l’autre « la joie de l’âme seule dans son élévation » (p. 455). Rabelais y joue naturellement un rôle de premier plan et le Relevé des mentions du rire, de la joie et de la moquerie dans l’œuvre de Rabelais et les Contes drolatiques de Balzac qu’Anne-Hélène Klinger a dressé dans son étude « Le rire inscrit dans le texte. Interprétations balzaciennes du rire rabelaisien » (pp. 53-72) a une importance fondamentale. Son étude se situe parmi celles de la première Section, « Évidences », et est entourée des travaux, aussi fondamentaux, sur « L’appétit existentiel », par Lakis Proguidis (pp. 11-18), sur Bramante (« Bramante rit » par Howard Burns est en forme de résumé, pp. 19-22), sur « Le traitement musical du rire à la Renaissance » par Frank Dobbins (pp. 23-39), des « Chansons drolatiques et polyphoniques transcrites par Annie Cœurdevey et jouées dans la salle de la Halle aux Sucres de Lille le 6 novembre 2003 par l’ensemble Ludus Modalis dirigé par Bruno Boterf » (pp. 40-51), et des études « Logique de l’absurde et vie quotidienne selon Estienne Tabourot » par Hope Glidden (pp. 73-83), « Les lardons de Panurge » par Marine Molins (pp. 85-91) et « Gens qui rient, Jean qui pleure : rires de Genevois surpris dans les registres du Consistoire au temps de Calvin » par Max Engammare (pp. 93- 106).

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La section « Complexités » s’ouvre par l’article « La fricassée de Jean Crespel (1552), une œuvre pour rire ? », de Henri Vanhulst (pp. 109-121). Ensuite, dans « Les rires de Rabelais » (pp. 123-139), Mireille Huchon offre un « parcours dans les paratextes » et dans « la geste gargantuine » (p. 124), qui dit toute l’indépendance de Rabelais des mille autorités qui pouvaient peser sur cette façon de se situer face au monde, en parodie joyeuse. Indépendant de l’ancien rire du sorcier Merlin, dans les Grandes et inestimables chroniques, indépendant des catégories logiques traditionnelles, le rire paraît dans ses formes multiples et s’associe merveilleusement aux larmes, par exemple, pour parodier la scolastique : Mireille Huchon souligne aussi, comme l’avait fait Daniel Ménager dans La Renaissance et le rire (1995), la célèbre hésitation entre le rire et les larmes, les larmes et le rire, chez Gargantua, à la mort de Badebec, lorsque le roi se demandait « s’il debvoit plorer pour le dueil de sa femme ou rire pour la joye de son filz » et qu’il finissait par pleurer « comme une vache » et rire « comme un veau » (cité à p. 129). Mais elle avertit surtout du rôle que le rire, « l’étrangeté, le paradoxe, ou l’absurde de l’acception littérale » (p. 137) peuvent jouer dans la lecture, pour inciter – dans le cadre d’une approche augustinienne au texte – à chercher autre chose, plus avant, inciter à « rompre l’os », chercher le sens caché. Sa conclusion – « Le rire rabelaisien … n’est peut-être qu’un malentendu » (p. 139) – trace l’histoire de la réception de ce rire mal codifié par une sorte de légende gargantuine ou pantagruélienne : Marcel Aymé et Victor Hugo y sont mentionnés, avec Milan Kundera, qui dans L’art du roman imaginait Rabelais à l’écoute du « rire de Dieu », origine du « premier grand roman européen ». Dans « Penser le rire et rire de cœur : le Traité du ris de Laurent Joubert, médecin de l’âme et du cœur » (pp. 141-161) Rosanna Gorris Camos suit « le parcours de la ‘nef Æsculapienne’ » (p. 141) de Joubert tout au long de son traité. L’exploration du miracle du rire (p. 144) trouve son symbole parfaitement représentatif dans le portrait du Fanciullo con disegno de Giovan Francesco Caroto (vers 1530), qui a été choisi comme image de couverture de ces Actes, et qui illustrait également le Colloque en 2003. Rosanna Gorris Camos sait mettre l’accent sur le naturel de ce portrait, qui est le même naturel du style de Joubert: le savant médecin « dessine », dans son traité, « sérieusement le rire » (p. 144). Le parcours qu’accomplit son livre porte sur les variations du visage de l’homme, de son âme, de son cœur, sur les rires qui se dessinent sur sa « face », bons, vrais, noirs, sardoniens, sauvages. Tous sont étudiés par Gorris Camos dans les détails de leurs sources, depuis Valleriola, Cardano ou Aristote, jusqu’aux analogies avec Boccace ou Du Fail, dans les trois parties dont le Traité du ris se compose, jusqu’à « l’arret de ces discours » (cité, d’après Joubert, à p. 160) : la dernière « face » qui rit, là où le traité et son parcours peuvent se terminer, est le visage de Dieu. L’homme le contemple, rassasié – nous explique Gorris Camos –, dans le sens que le Psaume 17 donnait à la contemplation dans la prière : la citation du Psaume situe le traité de Joubert dans la grande sagesse d’une reddition face au miracle du rire, face au mystère, aux « contradictions que seul Dieu peut comprendre » (p. 160). Suivent, dans cette Section, « Rire et cri. De la difficulté et de l’enjeu de leur représentation en peinture » par Michèle-Caroline Heck (pp. 163-179), dont nous avons déjà parlé, ensuite « Rire des bêtes : l’ivresse du perroquet » par Michel Jourde (pp. 181-193), « Rire en Sardaigne et ailleurs. Le rire du voyageur à la Renaissance » par Frank Lestringant (pp. 195-217) et les « Rires de Montaigne » par Jean Balsamo (pp. 219-232). C’est dans l’esthétique même de la variété, qui est le propre des Essais, que Jean Balsamo identifie la présence de ces rires montaigniens: rires multiples encore une fois, et encore multiformes, qui prennent vie dans la «référence intertextuelle à la tradition» de la satura latine (p. 231). Le «style comique et privé» de Montaigne et son langage anti-cicéronien, «trop serré, desordonné, couppé, particulier» (d’après I, 40: Consideration sur Ciceron), donnent la juste valeur à cette fricassée aux ingrédients mal formés que sont les Essais et que mélange la même rhétorique du quotidien, voire la même «Musa pedestris» (p. 231) des Satires d’Horace. Balsamo étudie savamment les divers «‘lieux’ du genre satirique» (p. 232) dans les Essais et sait voir dans Démocrite, dans la figure du moqueur moqué, la variation sur le même thème qui «condense» au mieux «la force du rire» (p. 228) selon Montaigne. Une « position de principe » (p. 229) s’affirme alors dans le paradoxe célèbre du chapitre Des trois commerces (III, 3), « Nos folies ne me font pas rire, ce sont nos sapiences ». Balsamo l’explique comme un ensemble indissociable de deux paradoxes, qui sont l’essence même du grand écrivain, qui savait « non pas rire d’autrui – dit Balsamo –, mais rire de soi-même ; non pas rire des folies et des vices, mais rire de la prétention des hommes à la sagesse » (p. 228). Le premier travail de la Section « Érudition facétieuse » porte sur « Les facéties de Zoroastro » (pp. 235-256) : Sylvie Deswarte-Rosa choisit comme point de départ d’une analyse précise et lucide le célèbre dessin de Léonard de Vinci représentant un Groupe de cinq têtes grotesques qui est à la Royal Library de Windsor. L’histoire de sa genèse, ou de la genèse d’un dessin du même genre et probablement perdu, peut être lue dans les pages de Gian Paolo Lomazzo que Deswarte-Rosa cite en ouverture : un « convito » et le récit des « più pazze e ridicole cose del mondo » (p. 235) aurait servi à Léonard pour commencer à fixer les traits des différents rires, bruyants, fous, rires ‘monstrueux’ (cf. p. 251) ou rires grotesques (253), facétieux et presque en même temps tragiques ou pitoyables. Deswarte-Rosa sait en fait réunir les deux expressions, dans sa conclusion : le rire et les pleurs. D’après Lomazzo, les « faccie » de Léonard, les motti, les expressions des visages qu’il arrivait seul à dessiner avaient une telle force « che si vedono ridere e piangere » (p. 256). Suit le travail « Roland de Lassus, ou l’invention de l’humour en musique » par Annie Cœurdevey (pp. 256-272), qui est également l’âme du concert donné le 6 novembre 2003 et qui précise donc, dans une double bibliographie, la Discographie des œuvres chantées au concert (p. 51) et la Discographie des œuvres citées dans son étude, ici : y jouent un rôle de premier plan les Villanelle, Moresche e altre Canzone du groupe que dirige Rinaldo Alessandrini, Concerto Italiano (Opus 111). Les pages d’Annie Cœurdevey se font plus passionnantes que jamais dans cette analyse du genre ‘napolitain’ d’une « piécette » de Lassus, comme Allala, pia calia (« Cian, cian, ni-ni gua, gua, a-ni-a ca-tu-ba… He he he he he ha ha ha ha

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ha ho ho ho ho ! Cu-ca-na… », pp. 265-266) : la spécialiste étudie savamment les « échanges verbaux d’une incroyable crudité », qui laissent progressivement la place à une accélération des non-sens, jusqu’aux rires les plus fous. Jennifer Britnell présente ensuite son étude, « Le rire chez un ‘chaste et chrestien scripteur’, Jean Bouchet » (pp. 273-284), et Anne-Pascale Pouey-Mounou la sienne, « La Muse, vierge ou putain ? » (pp. 285-300), qui est une belle enquête sur la Muse depuis la Généalogie des Dieux de Boccace, par Ronsard, Baïf, Du Monin, Pontano, Tahureau, Guy Le Fèvre de La Boderie, Du Bellay, La Ceppède, Nicolas Rapin, Tyard, Pierre Poupo, Montaigne et Jodelle, jusqu’à la Muse capricieuse des Contes et Nouvelles en vers de La Fontaine, jeune divinité gâtée, qui se permet de déclarer : « Autrefois j’étais fière / Quand on disait que non ; qu’on me vienne aujourd’hui /Demander aimez-vous, je répondrai que oui » (p. 300). Dans « Grivoiserie et science chez Bérolalde de Verville. Autour de l’abstinente de Confolens » (pp. 301-324), Stephen Bamforth publie en appendice trois merveilleux extraits d’après l’Histoire merveilleuse de l’abstinence triennale d’une fille de Confolens en Poitou de François Citois (1602), Le Palais des curieux de Béroalde et l’Histoire admirable et veritable d’une fille champestre du pays d’Anjou de Pascal Robin du Faux (1586). Et terminent cette Section « Quelques parodies mordantes de l’alchimie (XVe-XVIIe siècles) » par Didier Kahn (pp. 325-345), et « Histoires de pantoufles : Rabelais, Lacroix, Nodier» par Elsa Kammerer (pp. 347-363). Le dernier axe de recherche, sur les « Rires à la cour », est inauguré par l’étude « Devinettes anciennes et pudeurs modernes. Les Demandes joyeuses en forme de quolibets » de Bruno Roy (pp. 367-383), qui publie le texte des 84 Demandes joyeuses (pp. 378-383), après l’avoir analysé et avoir mis en relief la « présence insistante » (p. 370) de thèmes érotiques – obscènes plutôt, et souvent ‘excrémentiels’ –, au « taux élevé de grossièreté » (p. 372). Une belle provocation caractérise ses pages : elle porte sur la réaction de la critique moderne à la lecture de cet humour obscène de l’époque de Rabelais: « à la Renaissance, les gens lisaient sans contrainte ces textes avec les yeux de Panurge, tandis qu’à l’époque moderne, on semble préférer les œillères de Pantagruel » (p. 368). Après l’excellent travail de Richard Cooper, « La guerre comique. Entre les Dames de Paris, de Lyon, de Rouen et de Milan », dans son étude « Le rire sans visage. Considérations autour de quelques ouvrages anonymes » (pp. 413-426) Chiara Lastraioli dit les mérites qu’aurait « une enquête exhaustive sur le rire dans la littérature anonyme du XVIe siècle ». Chiara Lastraioli commence par une distinction de fond, entre les ouvrages de propagande « à sujet politique ou confessionnel » et tout le reste d’une littérature du divertissement, souvent disparate. L’exclusion des premiers de ce genre d’enquête est nécessaire, et le corpus que Lastraioli prend alors en considération comprend les farces, d’un côté, et la vaste mer des plaquettes de l’époque, de l’autre, dans les genres littéraires les plus divers, parce que « toutes les formes poétiques ou narratives, y compris celles qui relèvent des domaines juridiques ou religieux… sont susceptibles d’être adoptées et détournées par des ‘rigolos’ à la plume facile et à l’esprit malicieux » (pp. 416-417). Elle arrive à identifier des spécimens et son analyse approfondit des poèmes manuscrits à sujet « burlesque, comique ou obscène » (p. 419), tel Le remerciement que font les dames de Flandres à madame d’Estampes par maitre Pascuin et la Responce de madame d’Estampes qui sont conservés dans le Recueil 496 de la Bibliothèque Inguimbertine de Carpentras, et la ballade A une dame, conservée dans le Manuscrit français 22564 de la BnF. Monique Chatenet étudie enfin dans « Montures pour rire » (pp. 427-444) les plus belles ententes dont on a le témoignage et qui existaient entre ‘le’ gentilhomme de la Renaissance et son cheval, les histoires de cavaliers « sachant ‘faire corps’ » (p. 432) avec leur double animal. Bref des histoires d’harmonies, dont on trouve naturellement le contraire, sujet des plaisanteries les plus mordantes : « quand le couple se désunit et que le cavalier, soudain transformé en pantin désarticulé, se sépare involontairement de sa monture, le rire est difficilement évitable » (p. 432). Les cours de Mantoue, de Ferrare, de François Ier, d’Henri II et d’Henri IV deviennent le champ de référence de cette analyse, accompagnée d’exemples iconographiques importants, brillante comme – il faut le dire – tous les travaux qui sont réunis dans ce volume, tous, sans la moindre exception. En « Annexe », Marie Madeleine Fontaine, indique le détail des« Textes antiques les plus utilisés à la Renaissance en matière de rire » (pp. 511-514) : on y retrouve les références les plus fréquentes de Joachim Périon ou Charles Estienne (De fabularum, Ludorum, Theatrorum … Libellus ad Comicos facilius intelligendos, 1540), Francesco Valleriola (De risus natura et causis) et Laurent Joubert (Traité du ris), soit les textes d’ Hippocrate, Aristote, Cicéron, Quintilien, Galien et Apulée. L’index des noms propres ne manque naturellement pas, et occupe presque vingt pages (pp. 519-537), à la fin de ce volume, que nous voudrions définir par les paroles de Marie Madeleine Fontaine elle-même. Ses pages conclusives («En quête de conclusion», pp. 447-510) ont en fait le mérite prodigieux de faire vivre au lecteur l’atmosphère joviale, communicative et féconde des journées lilloises de 2003 : « C’est donc également comme un recueil ponctuel de vrais rires de toutes natures qu’il faut considérer le présent volume, du moment qu’ils s’étaient manifestés à la Renaissance et qu’on en expérimenterait la durée et la résistance. "Il fut bien ri" à l’écoute de ces propos, ce qui n’était pas évident au départ, même si c’était attendu » (p. 451).

Anna Bettoni (Università degli studi di Padova)

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Alain Legros, Montaigne manuscrit, Paris, Éditions Classiques Garnier (« Études Montaignistes », 55), 2010, pp. 842

In visita alla Biblioteca Vaticana, Montaigne racconta di aver sfogliato «un libro di San Tommaso d'Aquino recante correzioni di mano dell'autore medesimo, che scriveva male, con una minuta grafia peggiore della mia». Questa dichiarazione potrebbe opportunamente figurare in esergo del recente volume di Alain Legros dedicato a Montaigne manuscrit. In un certo senso, Legros raccoglie in effetti la sfida implicita nella confessione del Journal de Voyage e offre l’esito di un lungo ed appassionato corpo a corpo con gli autografi di Montaigne. La totalità dei manoscritti dell’autore francese ad oggi disponibili è qui editata. Ogni testo è presentato da Legros sotto forma di trascrizione diplomatica, cui si accompagnano una trasposizione in francese moderno o l’eventuale traduzione, nel caso delle note latine, greche e italiane, e un ricchissimo apparato di note. La terribile grafia di Montaigne diviene così il protagonista assoluto di un mirabile esercizio di filologia che per mole e qualità s’impone già fin d’ora come un classico nell’ambito degli studi montaignisti. Ma i meriti del volume di Legros vanno ben al di là di quelli di una pur pregevolissima edizione critica. In effetti, Montaigne manuscript rappresenta anche – o soprattutto – un monumento straordinario alle potenzialità insite nello studio dei supporti materiali della scrittura. Detto altrimenti: gli autografi di Montaigne costituiscono una risorsa preziosa, allo stesso tempo estremamente difficile da maneggiare ed estremamente fruttuosa dal punto di vista critico.

Delle difficoltà connesse al lavoro sui manoscritti dà conto in maniera eloquente la nota sulle «conventions typographiques» (pp. 39-50) in apertura del volume. Qui Legros descrive con precisione da entomologo la struttura grafica di ciascuna lettera dell’alfabeto così come essa appare nella scrittura di Montaigne e illustra la funzione dei segni e dei simboli presenti nei manoscritti (barre, apici di rimando, asterischi, ecc.). Ne viene una sorta di dettagliatissima cartografia degli autografi di Montaigne della quale il lettore può verificare direttamente la finezza e l’utilità grazie alle numerose tavole riprodotte in appendice (pp. 777-820). Certo, la tipologia, per quanto articolata, non è che provvisoria. Le mappe servono soltanto ad orientarsi: carta alla mano, il viaggiatore deve poi addentrarsi nel territorio, scoprire le infinite differenze che sfuggono alla schematizzazione. Ciascun tipo di autografi (ex-libris, devises, ex dono, ephémérides, arrêts, notes de lecture, lettres-missives e dedicaces) presenterà delle precise specificità nella scrittura o nell’uso di segni grafici, specificità che Legros segnala in sede d’introduzione alle rispettive sezioni del lavoro. Talvolta anche un singolo testo può offrire delle «singularités graphiques» che lo distinguono da altri analoghi o coevi. E, in un gioco di scatole cinesi, l’analisi può procedere quasi all’infinito, sino a distinguere, all’interno di una singola frase, delle differenze nello spessore del tratto di penna o nel colore dell’inchiostro (cfr., per esempio, p. 156). Questa dettagliatissima ecfrasi degli autografi di Montaigne è tuttavia ben lungi dal restare fine a se stessa. Nelle mani di Alain Legros, la descrizione e la decifrazione dei manoscritti di Montaigne viene costantemente messa al servizio di una migliore e più approfondita comprensione del loro contenuto. Si tratta cioè di far giocare il risultato filologico a profitto di un approfondimento critico, di riconoscere nella struttura materiale dei testi una risorsa interpretativa. Gli esiti di questa fruttuosa dialettica sono numerosissimi. Non possiamo qui che evocarne alcuni, a titolo meramente esemplificativo. Partiamo da quello più immediato e concreto: dall’analisi della grafia di Montaigne e delle sue variazioni, Legros deduce numerose indicazioni di cronologia (cfr. pp. 37-38). Il ductus della lettera “g”, per esempio, conosce una sensibile trasformazione nel corso degli anni e perciò fornisce un indizio estremamente efficace per determinare la datazione di un autografo montaigniano. Su basi come questa Legros può allora avanzare interessanti ipotesi di cronologia relativa rispetto ai volumi annotati da Montaigne e distinguere poi anche, in dettaglio, differenti «campagnes d’annotations» a carico di un medesimo volume. È inutile sottolineare l’interesse di una simile acquisizione per lo studio dello sviluppo del pensiero di Montaigne, soprattutto in ciò che concerne la difficile questione del suo rapporto con le fonti. Nello stesso senso, Legros arriva a dedurre dall’analisi degli autografi delle conclusioni capitali per quanto riguarda le pratiche di redazione degli Essais. La doppia redazione delle note apposte al volume contenente le opere di Cesare consente in effetti di confortare in maniera convincente l’ipotesi di una dettatura – almeno parziale – degli Essais da parte di Montaigne (pp. 28-29). Infine e soprattutto, lo studio minuzioso dei manoscritti permette in più di un’occasione di meglio comprendere il contenuto dei testi stessi, se non, addirittura, di renderli per la prima volta intellegibili. È il caso della celeberrima lettera del febbraio 1588 in cui Montaigne racconta l’aggressione subita presso la foresta di Villebois. Mentre tutti gli editori precedenti avevano riconosciuto l’autore della rapina in un non meglio precisato «ligueu», ossia «ligueur», Legros si rifà al manoscritto e ristabilisce l’esatta lettura. Non si tratta di un uomo della Lega ma di un tale Lignou, capitano e avventuriero delle cui «inhumanitez et sacrileges» danno conto le cronache del tempo (cfr. l’annexe 5, pp. 775-776). La correzione filologica restituisce così coerenza alla missiva di Montaigne e fa piazza pulita delle ricostruzioni fantasiose alle quali i biografi erano stati fino ad oggi costretti. Analoghe messe a punto compaiono ripetutamente nelle note esplicative di Legros, ristabilendo il senso di una abbreviazione, correggendo una data o individuando una fonte. Ma crediamo basti questo solo esempio a testimoniare quanto l’esegesi dei testi di Montaigne abbia a beneficiare da una lettura attenta e scrupolosa dei manoscritti dell’autore. Con questo Montaigne manuscrit Alain Legros propone dunque al lettore uno strumento prezioso, pressoché impossibile a descrivere esaustivamente in tutta la sua ricchezza e complessità. Le novità per gli specialisti di Montaigne sono molte (si vedano soprattutto le note di lettura alla copia delle opere di Terenzio, la lettera inedita spedita da Roma nel marzo 1581, pp. 665-667, l’annexe 2 e 3 e le indicazioni su un esemplare annotato della Théologie naturelle, p. 761). Ma più ancora che

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l’erudizione, di cui danno prova l’annotazione dettagliata, i continui rimandi agli Essais e le ampie indicazioni bibliografiche in apertura delle varie sezioni, stupisce l’intelligenza con la quale Legros riesce a far parlare i manoscritti di Montaigne, riconoscendo in essi l’occasione per cogliere “sul vivo” l’autore francese intento a dare forma ai propri pensieri. Ne risulta una sorta di affascinante immagine caleidoscopica dell’autore degli Essais che Legros stesso ben sintetizza: «Michael Montanus, le jeune acquéreur de livres, hésitant entre plusieurs manières de leur imposer sa marque; Michel de Montaigne, le conseiller, rapporteur à la Chambre des Enquêtes du Parlement; les seigneur de Montaigne, attentif à consigner les événements familiaux et les grands moments de son propre cursus honorum; plus privément, Michel lecteur et annotateur, d’abord pour l’étude, puis pour le seul plaisir; Monsieur de Montaigne, le maire, mais aussi l’agent de renseignement et le négociateur, rédacteur de billets et de lettres missives; Montaigne enfin, l’auteur, qui dédicace son propre ouvrage» (p. 13). Il volume di Legros segna dunque un momento importante nel progresso degli studi montaignisti e non ci si può che augurare che il suo lavoro conduca presto ad «une étude rigoureuse» di quel singolare «hybride d’imprimé et de manuscrit» (pp. 153; 8) che è l’Exemplaire de Bordeaux. Alberto Frigo (Université de Caen) ******************* Clément Marot, Recueil inédit offert au connétable de Montmorency en mars 1538, éd. Par F. Rigolot, Genève, Droz, « Textes Littéraires Français », 604, 2010, 354 pp.

Exilé à Ferrare auprès de la duchesse Renée, après avoir été impliqué dans la malencontreuse « Affaire des placards » de 1534, Clément Marot est à nouveau contraint de s'enfuir lorsque l'Inquisition commence à s'intéresser à la cour hétérodoxe de sa « sœur en vérité ». C'est au courant du printemps 1536 qu'il gagne ainsi Venise, nouveau havre de paix, dans l'attente de pouvoir rentrer en France, l' « Occident » d'où il a été banni et où il veut terminer sa vie (« Au Roy, pour estrenes », v. 4, p. 242) – ce qui lui sera accordé au prix de l'humiliation d'une abjuration publique de ses idées. Une fois en France, il lui faudra retrouver sa place au soleil à la cour de François Ier, et pour ce faire il entreprend de s'adresser au personnage le plus en vue, et parmi les plus puissants du moment, à savoir le connétable Anne de Montmorency. En comptant sur son intercession, notre poète lui offre un recueil rassemblant tous les poèmes de l'exil, pour en faire une sorte de journal de sa période italienne et de son retour en France, en prenant soin de gommer toute trace d'hétérodoxie. Voilà l'histoire du volume conservé au Musée Condé de Chantilly, connu, tout simplement, sous le nom de « manuscrit de Chantilly », dont l'importance n'avait bien sûr pas échappé à Gérard Defaux, maître des études marotiques à la fin du siècle dernier, qui en prônait justement la publication. C'est donc un autre grand maître, François Rigolot qui s'est chargé de combler ce vide en donnant une édition annotée précédée d'une reproduction en fac-similé de l'original manuscrit.

Comme l'explique l'éditeur dans son Introduction, l'intérêt du volume de Chantilly réside dans le fait qu'il est « le seul manuscrit composé par Marot que nous possédions », qu'il « ne contient, à quelques exceptions près, que des pièces jusque là inédites » et qu'il « constitue un ensemble lyrique cohérent, divisé en sections bien définies » (pp. 157-158). Les 140 poèmes qui composent le recueil sont en effet répartis en sept sections, les trois premières rassemblant les textes composés à Ferrare et à Venise, les quatre dernières ceux de la période qui avait immédiatement suivi le retour en France. Ce principe d'ordre chronologique se double ensuite d'un classement par genres, l'alternance entre des pièces « sérieuses » et des pièces « comiques », voire grivoises, étant par ailleurs partout respectée. Minutieusement orchestré, comme on vient de le voir, le manuscrit de Chantilly nous permet de lire les textes de Marot « tels qu'ils ont circulé à son époque plutôt que sous une forme reconstituée » (p. 158). S'il est vrai que nous sommes ici en présence d'une image déformée de la personnalité du poète, résultat d'une forme d'autocensure, il ne faut toutefois pas oublier qu'il s'agit bien d'une image forgée et, pour ainsi dire, autorisée par le poète lui-même, dont le souci était, en

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l'occurrence, de se conformer au « catholicisme frileux »1 de son puissant dédicataire. Il en résulte des versions « épurées » de textes à l'origine très explicites, voire militants du point de vue doctrinal, ne serait-ce que parce qu'ils s'adressaient à des personnages qui partageaient les sentiments évangéliques du poète.2 Il nous suffira de mentionner, à titre d'exemple, le cas d'une épître envoyée de Venise en juillet 1536 à la duchesse Renée, dont nous avons pu comparer ailleurs3 la version de Chantilly et celle qui est transmise, entre autres, par le manuscrit Fr. 337 de la Houghton Library de l'Université de Harvard. Alors que celle-ci garde tous les signes de la connivence spirituelle qui liait Marot à sa protectrice, dans la version pour Montmorency les idées d'ascendance paulinienne sur l'adoration de Dieu en esprit plutôt que par les œuvres visibles, ainsi que toute référence à la « belle Christine », personnification de l'Église restituée dans sa pureté évangélique, sont bel et bien supprimées. François Rigolot, après l'édition toute récente des Œuvres complètes de Marot, nous offre maintenant un volume précieux, ainsi qu'un instrument de recherche fondamental pour mieux comprendre comment notre poète était lu à la cour de France après son abjuration publique, ou plutôt, comment il s'était « donné à lire ».

Daniele Speziari (Università di Milano) ************

DELIA GAMBELLI, Vane carte. Scritti su Molière e il teatro francese del Seicento, testi riuniti da S. Carandini, L. Norci Cagiano, L. Pietromarchi, V. Pompejano e A. M. Scaiola, préface di Charles Mazouer, Roma, Bulzoni editore, 2010, pp. 306 Prezioso e doveroso omaggio a Delia Gambelli, insigne specialista di Molière e del teatro francese del Seicento, il volume raccoglie diciotto saggi della studiosa apparsi nell’arco di un ventennio, fra il 1991 e il 2010, su riviste scientifiche o in atti di convegni. Si tratta quindi di un importante strumento di analisi per gli studiosi del teatro francese del Grand Siècle, in particolare dell’opera teatrale di Molière, studiata con fine capacità d’analisi e presentata sempre con notevole attenzione al suo carattere audace ed impertinente e agli stretti rapporti che stabilisce con i contemporanei italiani e francesi. La raccolta inizia con Molière e Biancolelli al Palais-Royal, ovvero i doppi sensi dell’invenzione,

pp. 15-26, un saggio che illustra la proficua coabitazione al Palais-Royal della troupe di Molière e della compagnia italiana di Domenico Locatelli (che annoverava nelle sue fila l’Arlecchino Domenico Biancolelli). Del resto, il ruolo svolto dalla condivisione della medesima sala è stato più volte ricordato anche dai detrattori di Molière, al fine di rafforzare le accuse di pedissequa imitazione degli autori italiani. L’A. ricorda altresì un’altra accusa ricorrente nei confronti di Molière: quella di aver praticato la farsa, un genere basso e popolare che caratterizza anche la Commedia dell’Arte. In effetti, come evidenzia anche Jacques Morel, nel teatro molieriano la dimensione farsesca svolge una funzione strutturante fondamentale. Vengono poi sottolineate altre importanti affinità fra Molière e Biancolelli, dal ruolo della comicità alle strategie di mercato. Fra i due attori-autori che condivisero il medesimo teatro, fra il 1662 e il 1673, si era instaurato un profondo rapporto di complicità che spesso traspare dalle allusioni e dai reciproci rispecchiamenti disseminati nelle loro opere. Il secondo saggio, Le masque d’Arlequin, pp. 27-46, ripercorre il dibattito sull’origine delle maschere della Commedia dell’Arte, in particolare di Arlecchino e delle sue molteplici varianti. L’A. ricorda la presenza di questa maschera già in antichissime leggende, nelle quali era generalmente associata al diavolo e al mondo infernale, come nel Jeu de la Feuillée di Adam de la Halle. In seguito, con Tristano Martinelli il personaggio di Arlecchino passa dal folclore all’universo teatrale e riscuote notevoli consensi alla corte francese, assumendo già alcuni tratti caratteristici che contraddistingueranno a lungo questa maschera, come ad esempio la grande padronanza linguistica e l’abilità nei giochi di parole. Testimoniano questo enorme successo le tournées trionfali della Commedia dell’Arte in Europa e i prolungati soggiorni a Parigi e alla corte francese. L’A. descrive queste tournées delle troupes della Commedia dell’Arte, evidenziando come questo teatro sia sempre stato strettamente connesso alla dimensione del viaggio, sin dalla sua nascita nel XVI secolo: gli attori si spostavano frequentemente alla ricerca del pubblico necessario al loro sostentamento. Tale mobilità contribuì anche a consolidare la figura professionale dell’attore e a fare del teatro un’attività economica. Inoltre, in questo contesto internazionale, Arlecchino costituiva, in quanto maschera più rinomata della Commedia dell’Arte, un punto di riferimento

1 G. Defaux in C. Marot, Œuvres poétiques, Paris, Bordas, “Classiques Garnier”, 1993, II, p. 880. 3 D. Speziari, Clément Marot “ferrarese” nel ducato di Savoia e alla corte di Francia : l'esempio del ms. Fr. 337 della Houghton Library, Università di Harvard e del ms. di Chantilly in Actes de la XIII Settimana di Alti Studi Rinascimentali, Ferrare, 2-4 décembre 2010 (à paraître).

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imprescindibile per il pubblico parigino e la corte di Francia. In effetti, la sua fama si diffuse dapprima in Francia e soltanto in un secondo momento in Italia. L’A. torna poi ad esaminare il reciproco influsso esercitato dalle opere di Molière e Biancolelli, soffermandosi soprattutto sugli scandali prodotti dal Tartuffe e dal Dom Juan, due pièces ispirate ad opere dell’attore-autore bolognese. A questo proposito, l’A. ipotizza che sia stato proprio il timore della censura a decidere Biancolelli a redigere la raccolta di scene del 1667, in un periodo in cui a Molière, che condivideva con lui lo stesso palcoscenico, erano state vietate le rappresentazioni di Tartuffe. Vengono poi analizzate le peculiarità di questo proficuo e vicendevole influsso: se Molière aveva imitato soprattutto le strategie sceniche degli Italiens, questi ultimi adottarono piuttosto alcuni aneddoti dell’opera molieriana, imitandone, talora in maniera goffa, gli elementi realistici e satirici. Viene poi rievocata la chiusura improvvisa dell’Ancien Théâtre Italien nel 1697, per ordine di Luigi XIV. Si trattò di una decisione inattesa che produsse un’ampia eco nella stampa dell’epoca, a causa della perdita traumatica che essa comportava. Infine, l’A. chiude questo denso saggio su Arlecchino sottolineando la necessità di adottare una visione storicista, per poter comprendere appieno la Commedia dell’Arte e la sua maschera più celebre. Segue il saggio Il vecchio avaro nella Commedia dell’Arte e nel teatro di Molière, pp. 47-67, che analizza la figura dell’avaro nella Commedia dell’Arte, nella quale è rappresentata da Pantalone, la tipica maschera del mercante veneziano, evidenziandone le differenze rispetto al personaggio dell’avaro nell’Aulularia e nell’Avare. Pantalone privilegia le feste, le gioie dell’amore e i piaceri della carne rispetto alla brama del denaro. In particolare, il gusto per i banchetti distingue nettamente Pantalone da Euclione e Harpagon. Inoltre, l’A. mostra mirabilmente come Molière riesca ad inserire nella sua pièce degli elementi autobiografici significativi, ad esempio i contrasti con il padre, e a rappresentare alcuni dei suoi fantasmi più intimi, come nella polemica contro i medici. Nel saggio successivo, «Je me suis trouvé deux chez nous»: imitazione e invenzione nell’Amphitryon, pp. 69-84, si passa ad un’altra commedia del corpus molieriano, sempre del 1668. Come l’Avare, anche Amphitryon è ispirata da un’opera di Plauto, un autore ampiamente citato nel teatro francese del Seicento, benché spesso gli fossero preferiti, come fonti comiche, Menandro e Terenzio. L’A. ipotizza che Molière leggesse l’opera di Plauto direttamente in latino e rileva anche l’influsso determinante di un capolavoro del teatro barocco, Les Sosies di Rotrou, sulla commedia molieriana Amphitryon. Particolarmente interessante appare l’analisi del personaggio Jupiter, nella quale si mette in luce l’operazione di discreditamento cui viene sottoposto ad opera di altri personaggi e soprattutto a causa dell’evidente contaminazione fra sfera amorosa ed ambito mitologico-religioso operata dallo stesso Jupiter. Nella pièce di Molière, a differenza di quelle di Plauto e Rotrou, sono gli interventi conclusivi di Mercure e Sosie che contribuiscono ad offuscare il prestigio del sovrano degli dei, lasciando trasparire sulla scena la critica di ogni tipo di gerarchia, anche sociale. Inoltre, secondo l’A. in Amphitryon Molière riafferma il primato della commedia sugli altri generi teatrali e la sua capacità di trattare qualsiasi tematica, anche seria e morale. Segue il saggio Il teatro di Molière o la scena degli incroci, pp. 85-97, nel quale vengono rievocate le iniziali difficoltà di Molière e la successiva affermazione che lo portò ad essere il drammaturgo prediletto del Re Sole. L’A. passa poi in rassegna alcuni dei più significativi interventi del commediografo in difesa del genere comico, nei quali egli sostiene che la commedia non sia affatto più facile della tragedia e che possieda un proprio fascino specifico. Molière rivendica alla commedia il diritto di trattare tutti gli argomenti, compresi quelli seri tradizionalmente riservati all’ambito tragico. Nel Tartuffe viene così proposta la tematica religiosa, da sempre considerata come la più seria in assoluto. L’A. precisa che Molière non rifiuta la dimensione tragica, individuando addirittura alcune tecniche tipiche della tragedia che il commediografo assimila nel suo teatro, e ricorda la prefazione del Tartuffe del 1669, nella quale viene meno la distinzione di genere e con il termine commedia si indica l’intera produzione teatrale. Del resto, accade spesso che i personaggi del teatro molieriano si esprimano con accenti eroici e patetici anche in situazioni scevre da finalità parodiche. Allo stesso modo, il lieto fine un po’ smorzato o negato del Dom Juan e del Misanthrope richiama l’ambito tragico o quantomeno la mancata distinzione fra generi teatrali. Vengono altresì individuati e analizzati alcuni significativi incroci dell’opera molieriana verso l’alto, con la tragedia, ed altri incroci, favoriti dal rapporto privilegiato con la Commedia dell’Arte, rivolti invece verso il basso, verso la farsa. All’intreccio profondo di registri e stili si aggiunge inoltre l’alternanza di prosa e poesia, l’utilizzo di generi extrateatrali come le lettere o le massime, la confluenza di teatro e musica, con l’introduzione della comédie-ballet, nuovo genere inventato proprio da Molière, la ricchezza e la varietà inesauribile delle fonti e l’intertestualità interna, con importanti e frequenti riprese e riproposizioni di frammenti di proprie pièces precedenti. Il saggio successivo, Molière et la plus grande des fêtes : la mort domptée, pp. 99-107, illustra il fascino esercitato dal tema della morte nel teatro francese del Seicento e in particolare nell’opera molieriana, a dispetto del contrasto evidente con i precetti aristotelici, ribaditi nel 1664 nell’Art poétique di Boileau, che decretano l’incompatibilità di lacrime e sospiri con il genere comico in nome di una rigida gerarchia dei generi. L’A. sottolinea la mescolanza paradossale di vita e morte nel teatro di Molière e lo stretto legame che la morte stabilisce con la festa. La finta morte garantisce ad esempio il trionfo inatteso dei giovani innamorati, a scapito della credibilità, come nell’École des femmes, opera abilmente costruita sull’opposizione fra la morte vera e la morte simulata o metaforica. Inoltre, ai temi della festa e della morte spesso si intreccia quello della polemica contro la medicina e la ciarlataneria dei medici, come nell’Amour médecin. L’A. ricorda come nell’opera molieriana gli effetti benefici siano prodotti da finti medici e gli epiloghi felici siano favoriti dallo stratagemma della morte simulata. I veri medici invece fondano il loro potere sulla paura della morte e non sulle loro competenze scientifiche, soprattutto nel teatro molieriano posteriore al 1665. Viene poi ribadito l’influsso degli Italiens sul teatro di Molière e l’esistenza di un corpus teatrale al quale entrambi hanno attinto: proprio per questo la rappresentazione della morte nelle commedie di Molière presenta molti tratti comuni con i lazzi di Arlecchino. Del resto, le tecniche teatrali

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che si sono affermate tra il XVI e il XVII secolo in Europa, in particolare in Italia, Francia e Spagna, mostrano frequentemente caratteristiche analoghe e testimoniano in tal modo una libera circolazione del riso. Inoltre, dagli autori della Commedia dell’Arte Molière ha imparato ad esprimere la propria impareggiabile originalità anche nell’ambito delle più evidenti imitazioni. È particolarmente interessante il saggio successivo, Morales en mouvement, pp. 109-119, nel quale l’A. evidenzia nuovamente la ricchezza delle fonti alle quali Molière ha attinto, come pure la costante pratica dell’auto-réécriture, ossia la ripresa di frammenti di proprie opere anteriori. Vengono poi analizzati alcuni personaggi femminili, tutti molto giovani, che vivono il conflitto fra bienséance e felicità, tra onore e identità, in seguito al matrimonio che è stato loro imposto e che entra in contrasto con i loro veri sentimenti. Queste giovani donne cercano di affermare una propria morale personale, rigettando i tradizionali obblighi di sottomissione imposti dalle famiglie. L’intertestualità interna all’opera molieriana costituisce per l’A. un elemento essenziale della sua creazione artistica e rappresenta un raffinato strumento stilistico che permette, grazie ai sottili rimandi fra le diverse opere, di veicolare messaggi pericolosi e temi delicati, abilmente celati nelle velate corrispondenze che si stabiliscono proprio tra i personaggi femminili. La tecnica della riscrittura favorisce altresì la creazione di una morale relativa, come avviene con tutta evidenza in Amphitryon, commedia in cui vengono rimessi in discussione tutti i criteri di valutazione ideologica e morale. Si stabilisce in tal modo una morale fragile e veicolata principalmente da personaggi femminili. Si evidenzia quindi il gusto di Molière per l’epoca precedente, priva dei vincoli del suo tempo, e il suo auspicio per un futuro nel quale possano coesistere liberamente bienséance, ragione e felicità. Viene poi presentato il saggio La morale e il suo doppio, pp. 121-134, nel quale viene analizzata l’ipocrisia di Orgon, meno evidente e più ingannevole di quella di Tartuffe. I due personaggi sono accomunati anche dal ridicolo, componente essenziale del rapporto fra il teatro e la morale seicentesca. L’A. esamina gli intenti morali che emergono dagli scritti teorici e dalla pratica teatrale di Molière: la punizione delle umane debolezze e dei vizi, anche se talvolta la rappresentazione del castigo assume tratti ambivalenti e sembra entrare in crisi lo stesso ruolo educativo del teatro, come avviene nel Dom Juan. I vizi umani sono rappresentati da un punto di vista pragmatico, in base alle loro conseguenze in ambito sociale e familiare. Anche il ridicolo, secondo l’A., presenta aspetti contrastanti: strumento a servizio della morale, ma anche elemento relativo o addirittura sentimento odioso, come viene asserito nella Lettre sur la comédie de l’Imposteur. Il sentimento del ridicolo può infatti scaturire anche da un arrogante senso di superiorità. Talvolta il riso può invece diventare doppio, come accade nel Misanthrope, in cui si deridono al contempo Alceste e coloro che lo scherniscono. A proposito della stessa pièce, l’A. ricorda la crisi del ridicolo già magistralmente analizzata da Francesco Orlando nella sua interpretazione freudiana. Vengono poi prese in esame alcune tematiche ricorrenti nella drammaturgia molieriana: la polemica contro i medici, il sentimento di gelosia, il rapporto fra servo e padrone. Nel saggio successivo, Le macchine del comico. Il malinteso secondo Molière, pp. 135-149, viene descritto il gusto del commediografo di rivelare al pubblico il funzionamento delle sue machines: la sua poetica cerca spesso le soluzioni più complesse, secondo il procedere tipico del classicismo francese, coniugando i magistrali giochi teatrali con la ricerca del consenso, allo scopo di formare un pubblico teatrale competente. Viene poi proposto il saggio I sonetti nel teatro di Molière, pp. 151-171, nel quale viene illustrata la pratica del commediografo di utilizzare testi appartenenti ad altri generi letterari, in particolare i sonetti, evidenziandone la ricchezza di significati nascosti e di rinvii di senso. Sono analizzati i sonetti inseriti nel Misanthrope, nelle Femmes savantes e nella Comtesse d’Escarbagnas. Tali composizioni poetiche sono incluse nelle pièces di Molière con modalità ricorrenti che attribuiscono loro un ruolo di primo piano, di fulcro dell’azione. Di solito il sonetto viene proposto all’interno di una struttura bipolare e si contrappone, dal punto di vista semantico e formale, ad un altro testo di carattere extrateatrale della pièce, generalmente una lettera o un’altra composizione poetica. Tale contrapposizione permette la rappresentazione simbolica di un conflitto nel rapporto fra autore e pubblico, fra opera teatrale e lettori o spettatori, come il contrasto fra verità e finzione o quello fra smascheramento e teatralizzazione. Segue il saggio Métamorphoses de l’habit et figures du déguisement dans le «Dom Juan» de Molière, pp. 173-187, dedicato al tema dell’abbigliamento nella pièce rappresentata al Palais-Royal nel 1665. Gli abiti dell’incallito seduttore si rivelano essere un ostacolo, anziché una risorsa, per le sue conquiste amorose. In effetti, l’abbigliamento contribuisce a screditarne proprio l’immagine di seduttore, come nella scena del naufragio, nella quale rimane privo di vestiti: la nudità appare emblematica, poiché rende ridicolo il protagonista ed indica altresì la scelta di Molière di abbandonare il modello serio e nobile della tradizione, per seguire ancora una volta il percorso tracciato dalla Commedia dell’Arte, sebbene in modo del tutto originale. L’A. mette in rilievo il brusco mutamento, a partire dal terzo atto, nel rapporto di Dom Juan con l’abbigliamento. Viene meno infatti il suo interesse per la moda e non si scandalizza più dell’abbigliamento dimesso di Elvire. Nella pièce l’abbigliamento assume anche un valore metaforico, di déguisement simbolico, come nella denuncia dell’ipocrisia di coloro che celano sotto il manto della religione i propri peccati di gioventù. Il saggio successivo, Fantasmi, delitti e debiti: la resa dei conti nel «Dom Juan», pp. 189-203, illustra la diversa posizione assunta da Sganarelle e Dom Juan nei confronti degli eventi sovrannaturali, con particolare riferimento alle ultime scene della pièce. L’A. sottolinea la netta contrapposizione fra l’atteggiamento scettico di Dom Juan e la credulità di Sganarelle, ad eccezione dell’ultima scena, nella quale il peccatore impenitente che subisce il castigo divino finisce col credere ai segni del Cielo. Successivamente, viene analizzato il tema del denaro e dei debiti non saldati. Ne è vittima lo stesso Sganarelle: il servo lamenta più volte il mancato pagamento da parte di Dom Juan delle somme che gli spettano e contribuisce, con le sue battute, a sminuire il ruolo del sovrannaturale. Nei due atti conclusivi della pièce i creditori si moltiplicano e si instaura costantemente fra di loro un rapporto economico di tipo triangolare. L’A. rileva anche il gioco

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sottile che il drammaturgo compie con la tematica dell’interesse, alternandone in continuazione l’aspetto meramente economico con il significato morale e religioso, ed evidenzia il legame del Dom Juan con il Tartuffe nella denuncia dell’ipocrisia e dei pretestuosi «intérêts du Ciel». Come di consueto, Molière sceglie di difendersi sulla scena, replicando agli attacchi dei suoi detrattori: in tal modo, nel Dom Juan egli attacca indirettamente gli accusatori del Tartuffe, schernendoli per la loro credulità e la loro falsa devozione. A questo proposito, l’A. parla di una vera e propria resa dei conti, ricordando il danno economico subito dalla compagnia di Molière in seguito al divieto di mettere in scena la commedia. Allo stesso modo, la resa dei conti riguarda nel Dom Juan la contrapposizione fra due concezioni diverse del teatro: una seria e dogmatica, l’altra «naturale», nella quale gli artifici vengono rivelati e le maschere sono rese trasparenti. Viene poi proposto il saggio Ai confini del teatro. Piaceri obliqui e impertinenti armonie nel «Malade imaginaire», pp. 205-223, nel quale viene dapprima descritta la difficile situazione finanziaria della troupe di Molière, dovuta in gran parte al monopolio di Lully nell’utilizzo della musica e la conseguente impossibilità di rappresentare a corte l’ultima pièce del commediografo, benché nel prologo siano elogiati i successi militari di Luigi XIV in Olanda. L’A. mette in rilievo poi l’importanza fondamentale dell’opera: il Malade imaginaire occupa una posizione liminare nel corpus molieriano ed è considerata da molti studiosi una summa dell’arte del commediografo, in quanto presenta le caratteristiche tipiche della sua pratica teatrale, fra cui le tematiche predilette dei legami sentimentali all’interno del matrimonio o extraconiugali, del matrimonio infelice, della gelosia, della medicina e della morte simulata. L’A. individua poi un altro aspetto che contraddistingue, all’interno della produzione molieriana, il Malade imaginaire, ossia la presenza di due ampie digressioni dai tratti autobiografici che confermano ancora una volta la predilezione dell’autore per una rappresentazione di tipo speculare ed autobiografico. Si tratta in effetti di un aspetto insolito nel teatro di Molière, poiché egli di solito rifugge dalla personalizzazione dell’arte teatrale. I temi della pièce vengono analizzati alla luce dell’intreccio fra vita e teatro e la critica alla medicina viene considerata un attacco indiretto alla religione e ad ogni forma di potere. Molto interessanti sono anche le considerazioni sul tema della morte: si tratta di un motivo apparentemente incongruo in un contesto comico, ma già presente, al pari della malattia, in precedenti opere di Molière. Nel Malade imaginaire la morte diviene però un elemento strutturante e una presenza ossessiva. Questa presenza diffusa della morte, già individuata da Gide ed annotata nel suo Journal, costituisce un segnale importante della volontà di Molière di conferire maggiore dignità al genere comico, innestandovi delle tematiche solitamente riservate al genere tragico. Segue il saggio La fine della commedia. Lo sconcerto dell’ultima scena, pp. 225-237, nel quale l’A. analizza le critiche rivolte a Molière per i finali delle sue pièces, a partire da quella celebre formulata da Boileau nell’Art poétique del 1674, nella quale si imputa al commediografo da poco scomparso di non rispettare la dovuta distinzione fra i diversi registri stilistici, inserendo nelle sue opere tratti farseschi e tematiche tragiche, ossia elementi che sono, in base ai precetti aristotelici, estranei al genere comico. L’A. ricorda peraltro alcune eccezioni: La Pratique du théâtre del 1657, dell’abate d’Aubignac consente ad esempio il lieto fine anche nell’ambito del genere tragico, come avviene del resto in alcune pièces di Racine. L’A. riconosce in Molière la volontà di allontanarsi da numerose convenzioni della tradizione teatrale, per ampliare i confini della rappresentazione; per il genere comico ciò comporta un’attenuazione del lieto fine, l’inserimento di elementi tragici e addirittura l’impiego di tecniche tipicamente tragiche e di un linguaggio dai toni patetici ed eroici. La presenza dell’elemento tragico è del resto comprensibile nell’ambito di un progetto di teatro totale che intende cancellare le barriere di genere e di stile. Viene inoltre evidenziato come spesso nelle pièces molieriane le ultime battute siano affidate ad un personaggio umile. Quando invece la conclusione è affidata ad un personaggio che rappresenta il potere, si tratta generalmente di uno stratagemma per offuscarne l’autorità. La crisi del tradizionale epilogo felice, che nemmeno la musica conclusiva riesce a ripristinare, rappresenta per l’A. una modalità impiegata da Molière per sgretolare le convenzioni e ampliare gli orizzonti della rappresentazione teatrale. Nel saggio successivo, Dans les coulisses du chant : frêles voix et bruits imprévus, pp. 239-252, vengono analizzati gli elementi musicali, e più in generale quelli sonori, nella produzione teatrale degli ultimi decenni del Seicento alla corte del Re Sole, in particolare nelle opere del celebre duo Lully – Quinault. Le pièces create negli anni del loro sodalizio artistico brillano particolarmente per l’armonioso e talvolta inedito rapporto fra parole e musica. Viene quindi presa in esame la tragedia Isis: l’utilizzo del termine bruit appare in essa fondamentale e certamente assume un ruolo più rilevante rispetto agli altri libretti di Quinault. Il saggio seguente, Il gusto della sfida e del «plaisir recherché» nel classicismo francese, pp. 253-263, illustra l’atteggiamento di sfida alla tradizione che sta alla base della formazione del gusto nel Seicento francese, in un periodo in cui era forte la volontà di creare un teatro nazionale di qualità e prestigio, in grado di confrontarsi proficuamente con il teatro classico e con la produzione dei contemporanei stranieri, soprattutto italiani. In effetti, l’A. mette in luce elementi di continuità, di fedeltà agli stilemi della tradizione ed altri che segnalano invece un desiderio di emancipazione. Si viene così a creare una duplice competizione: con le opere del passato e con quelle degli autori coevi. La volontà di assurgere ad un ruolo di protagonisti di primo piano all’interno del nuovo teatro nazionale è infatti fonte di rivalità e di forti tensioni fra i drammaturghi. In questo contesto nasce il gusto dell’«étrange entreprise», secondo la formula creata proprio da Molière, ossia il desiderio di cimentarsi in opere ardue ed originali, per soddisfare il bisogno di mettere alla prova ed esibire le proprie potenzialità estetiche. Questa scelta del recherché, di soluzioni ardite viene avallata anche da Chapelain, noto fautore del rispetto della tradizione, nella Lettre sur la règle des vingt-quatre heures (1630). Del resto, il gusto per la sfida, per la soluzione volutamente difficile viene riscontrato dall’A. in opere fondamentali del teatro francese del XVII secolo, come il Dom Juan di Molière e la Phèdre di Racine, due pièces che intenzionalmente trattano temi scabrosi e che portano in scena persino il sovrannaturale. Talvolta vi possono essere addirittura degli atteggiamenti di irriverenza verso gli dei, come nell’Amphitryon di Molière. Nella Phèdre l’audacia è notevole anche quando Racine sembra interrogarsi sulla reale

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colpevolezza della protagonista, poiché la regina ha cercato energicamente di contrastare la passione che la divora. L’A. nota giustamente che tutte queste opere teatrali, brillanti esiti di sfide ardite, rappresentano spesso una messa in discussione dei fondamenti etici e morali della società, mediante la rappresentazione di conflitti generazionali altamente simbolici sui quali Racine e Molière invitano a riflettere. Viene poi presentato il saggio Une pièce faite de rien. Bérénice ou les amants magnifiques, pp. 265-283, nel quale l’A. mostra come nel Seicento francese siano spesso le critiche ostili dei contemporanei ad offrire paradossalmente una preziosa chiave di lettura delle opere teatrali oggetto degli strali polemici. A questo riguardo, vengono indicati come esempi significativi il Dom Juan di Molière e le tragedie di Racine. In tal modo, il giudizio negativo dell’abate di Villars, che imputa alla Bérénice un’azione troppo lenta, contribuisce in realtà a rivelarne l’utilizzo dinamico di topografia e cronologia. E questo in un’epoca in cui si stava affermando una maggiore percezione del tempo, grazie alla diffusione degli orologi personali, resa possibile fra il 1660 e il 1680 dal progresso tecnologico. L’A. ritiene probabile che Racine, nella creazione di Bérénice, abbia subito l’influsso della pièce Les Amants magnifiques di Molière e Lully e considera quest’ultima come un perfetto sottotitolo alla tragedia di Racine: Bérénice ou les Amants magnifiques. Vengono quindi individuati numerosi tratti comuni fra le due opere teatrali, a partire dagli obblighi ai quali devono ottemperare i personaggi di alto lignaggio. Più in generale, l’A. individua proprio nel complesso gioco di legami e corrispondenze, di rispecchiamenti e sovrapposizioni simboliche fra le pièces un tratto distintivo della produzione teatrale secentesca. L’ultimo saggio del volume, Molière e Racine fratelli nemici al Palais-Royal, pp. 285-299, ripercorre gli anni d’oro del teatro francese del Seicento ed analizza il complesso rapporto fra i due grandi autori, dall’iniziale collaborazione ai successivi contrasti, dopo la decisione di Racine di rappresentare, nel 1665, l’Alexandre le Grand anche all’Hôtel de Bourgogne, con la troupe che rivaleggiava con quella di Molière. Il conflitto conduce entrambi ad elaborare autonomamente le proprie concezioni del teatro, i propri gusti e metodi, in un dissidio che diviene sempre più forte e che è reso manifesto dalla messa in scena al Palais-Royal, da parte del commediografo, di pièces in aperta concorrenza con quelle di Racine. Per l’A. l’influsso raciniano sull’opera di Molière risale al periodo in cui i due autori hanno condiviso il medesimo palcoscenico; in particolare, nel Dom Juan vengono individuati numerosi legami intertestuali con la Thébaïde raciniana messa in scena dalla troupe di Molière poco prima della stesura della pièce dedicata al seduttore impenitente. Vi è ad esempio la medesima osservanza dell’unità di tempo, sebbene relativa, nonostante nel Dom Juan i temi trattati rendano difficile l’adeguamento a tale unità. Sono comuni alle due pièces anche l’uso diffuso dei doppi sensi e il ruolo importante dell’ipocrisia che ammanta i personaggi e l’intera società. L’A. individua poi delle affinità di carattere più generale fra i due drammaturghi, relative alle loro tecniche rappresentative e al loro atteggiamento nei confronti della tradizione. Entrambi fanno un uso sapiente delle fonti, grazie alla loro eccezionale capacità di comprensione dei meccanismi che regolano i testi teatrali classici e alla loro abilità nel coglierne gli elementi cruciali. In tal modo, il confronto con la tradizione produce risultati originali e stimola una continua sfida creativa, imperniata sul criterio del difficile e finalizzata al piacere del pubblico. Completano il volume l’indice, la premessa, la préface di Charles Mazouer, i crediti bibliografici con l’indicazione della pubblicazione originaria dei saggi di Delia Gambelli raccolti nel volume e la tabula gratulatoria. Giampaolo Caliari (Università di Verona)

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Cynthia J. Brown, The Queen's Library. Image-Making at the Court of Anne of Brittany, 1477-1514, Philadelphia, Oxford, University of Pennsylvania Press, 2011, 384 pp.

"The Queen's Library advances new ways of understanding famous women in politics by examining what they read, and by investigating the literary, artistic—and ultimately political—means deployed, consciously or unconsciously, by the makers of the books they owned." (François Rigolot, Princeton University)

What do the physical characteristics of the books acquired by elite women in the late medieval and early modern periods tell us about their owners, and what in particular can their illustrations—especially their illustrations of women—reveal? Centered on Anne, duchess of Brittany and twice queen of France, with reference to her contemporaries and successors, The Queen's Library examines the cultural issues surrounding female modes of empowerment and book production. The book aims to uncover the harmonies and conflicts that surfaced in male-authored, male-illustrated works for and about women.

In her interdisciplinary investigation of the cultural and political legacy of Anne of Brittany and her female contemporaries, Cynthia J. Brown argues that the verbal and visual imagery used to represent these women of influence was necessarily complex because of its inherently conflicting portrayal of power and subordination. She contends that it can be understood fully only by drawing on the intersection of pertinent literary, historical, codicological, and art historical sources. In The Queen's Library, Brown examines depictions of women of power in five spheres that tellingly expose this tension: rituals of urban and royal reception; the politics of female personification allegories; the "famous-women" topos; women in mourning; and women mourned.

"The Queen's Library propose de nouvelles approches à l’étude des femmes célèbres dans le domaine politique, par l’analyse de ce qu’elles lisaient ainsi que des moyens littéraires, artistiques – et finalement politiques — mis en œuvre, de façon consciente ou inconsciente, par les auteurs des livres qu’elles possédaient." (François Rigolot, Princeton University)

Qu’est-ce que les caractéristiques physiques des livres acquis par les femmes d’élite, entre la fin du Moyen-Âge et les débuts de l’ère moderne, nous disent à propos de leurs propriétaires, et qu’est-ce que révèlent en particulier leurs illustrations – notamment les images de femmes ? Centré sur Anne, duchesse de Bretagne et par deux fois reine de France, sans négliger les références à ses contemporaines ou aux femmes des générations successives, The Queen's Library étudie les enjeux culturels des différentes modalités d’influence féminine sur la production des livres. Le volume a pour but de faire ressortir les concordances ou les conflits présents dans les livres pour et sur les femmes, produits et illustrés par des hommes.

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Dans son investigation interdisciplinaire de l’héritage politique et culturel d’Anne de Bretagne et de ses contemporaines, Cynthia J. Brown constate que les images verbales ou visuelles utilisées pour représenter ces femmes puissantes étaient nécessairement complexes à cause de la représentation implicite et conflictuelle du pouvoir et de la subordination. C’est la raison pour laquelle elles ne peuvent être pleinement comprises qu’en prenant en compte les intersections des sources pertinentes, aux niveaux littéraire, historique, codicologique et de l’histoire de l’art. Dans The Queen's Library, Cynthia Brown étudie la représentation de femmes de pouvoir dans cinq domaines qui révèlent cette tension de façon éloquente: les rituels de la réception royale et urbaine ; les enjeux politiques des allégories et des personnifications féminines ; le topos des “femmes célèbres”; les femmes en deuil et le deuil des femmes. (traduction de Laura Colombo)

************* François Rouget, Ronsard et le livre. Étude de critique génétique et d'histoire littéraire. Première partie : Lectures et Textes Manuscrits, Genève, Droz, « Cahiers d'Humanisme et Renaissance », 95, 2010, 288 pp.

Dans Ronsard et le livre, dont le volume que nous présentons ici ne constitue que le premier volet, François Rouget propose une nouvelle approche pour l'étude de la figure du chef de file de la Pléiade, envisagée dans son rapport au livre au sens le plus large du terme : objet de lecture et de travail, avec une attention particulière pour les années de la formation du poète, vecteur d'immortalité capable de léguer à la postérité une image déterminée de l'auteur, véhicule de transmission des textes, qui se métamorphosent en passant d'un témoin à l'autre. L'imaginaire du livre donc, qui ne cesse de faire l'objet de réflexions métadiscursives dans l'ensemble de l’œuvre de Ronsard, mais encore davantage sa matérialité de volume manuscrit (c'est le point de vue privilégié dans cette première partie de Ronsard et le livre) ou bien d'imprimé (sujet, plus spécifiquement, de la seconde). Une première étape consiste à essayer de reconstituer la bibliothèque de ce lecteur inlassable qu'était notre poète, les livres dont il possédait des exemplaires ou qu'il avait pu consulter, qui étaient – on s'en doute – beaucoup plus nombreux que ceux (une quinzaine à peine) qu'il a été possible d'identifier avec certitude comme siens jusqu'à présent. Si les renseignements relatifs à la bibliothèque personnelle, « réelle », de Ronsard, en partie héritée de son père Loys et de son oncle Jean, demeurent insuffisants, il est en revanche plus aisé, à travers les citations et les renvois intertextuels dont son œuvre est parsemée, de dresser une liste des auteurs – grecs, latins, italiens, espagnols et bien sûr français – qu'il a pu connaître (sa « bibliothèque virtuelle », p. 43 sqq.). Il s'agit ensuite de déterminer l'usage que Ronsard a fait de ces volumes, comment il les a annotés, comment il s'en est servi en vue de la composition de ses poèmes : Rouget s'attache en particulier à une analyse détaillée du travail d'annotation effectué par le poète dans les exemplaires retrouvés, en distinguant les livres qui ont fait l'objet d'une annotation minutieuse de sa part de ceux qu'il s'est borné à signer ou parcourir. Comme nous l'avons annoncé, ce premier volet de Ronsard et le livre est consacré, pour l'essentiel, au rapport de Ronsard avec le livre manuscrit – à commencer par le Ronsard lecteur. Que les volumes manuscrits aient dû jouer un rôle important dans la formation de sa culture littéraire, cela est prouvé, entre autres, par la présence d'un « intertexte caché » (p. 77 sqq.) dans les textes polémiques de la première moitié des années 1560, notamment dans le Discours des miseres de ce temps avec le portrait du monstre d'Opinion, responsable des malheurs de la France. Il se trouve, explique Rouget, que c'est bien de l’œuvre de Christine de Pisan que s'est inspiré Ronsard pour cette allégorie, donc d'une source qui, tout en jouissant d'une réputation solidement établie, ne circulait à l'époque que sous forme manuscrite, et n'a connu d'édition qu'au XXe

siècle. Après le Ronsard lecteur, il est ensuite question du Ronsard auteur et des manuscrits qui ont transmis ses textes les plus divers : il s'agit, tour à tour, de documents privés, de lettres, d'ouvrages qui n'avaient pas été conçus pour la publication (c'est le cas, notamment, des discours philosophiques et moraux prononcés devant Henri III à l'Académie du

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Palais) et de versions primitives de poèmes connus. La découverte de nouveaux, et précieux, documents manuscrits, dont certains sont liés à des « salons » comme ceux des Villeroy, de Marguerite de Valois ou de Marguerite de Savoie, a en particulier permis d'acquérir de nouvelles données sur la genèse de poèmes de circonstances mais aussi de textes de premier ordre comme l'ambitieux projet poétique de la Franciade. Dans cette partie de son travail, c'est surtout aux méthodes et aux outils de la critique génétique que recourt Rouget, dans le but d'approfondir l'évolution de chaque texte d'un témoin à l'autre. Par cette étude, qui s'est fondée, pour une grande partie, sur l'examen attentif et ponctuel d'exemplaires originaux de volumes contenant des textes de Ronsard ou bien qui ont appartenu à lui, François Rouget est donc parvenu à nous donner une vision d'ensemble d'un sujet, pourtant central pour la compréhension d'un auteur par excellence passionné de livres comme Ronsard, qui n'avait encore été traité jusqu'ici que de manière partielle et épisodique, dans des articles certes remarquables mais situés en dehors d'un programme de recherche systématique.

Daniele Speziari ******* Maria Forcellino, Michelangelo, Vittoria Colonna e gli “spirituali”. Religiosità e vita artistica a Roma negli anni Quaranta, «La corte dei papi», 18, Roma, Viella, 2009, 278 pp.

Il saggio di Maria Forcellino prende avvio dai lavori di restauro, iniziati nel 1998, della Tomba di Giulio II a San Pietro in Vincoli a Roma. Quel lavoro si rivelò un’importante occasione di approfondimento per un monumento che veniva sottoposto per la prima volta a un intervento conservativo moderno ma i nuovi dati che ne emersero dovevano essere confrontati con la tradizione critica che non è mai stata benevola nei confronti di questa tarda opera michelangiolesca. In particolare, l’autrice si è dedicata allo studio della statua di Giulio II, situata nel secondo ordine del monumento, analizzando le fonti storiche e critiche relative alla Tomba a partire dal Cinquecento fino ad arrivare ai giorni nostri. In virtù dei lavori di restauro ha potuto osservare, da un punto di vista ravvicinato, molti particolari che le hanno fornito nuovi elementi di conoscenza per la comprensione dell’opera.

La studiosa ci fornisce un quadro storico, religioso e culturale degli anni Quaranta del Cinquecento attraversati da profondi e laceranti cambiamenti che investirono in pieno la sensibilità spirituale e artistica di Michelangelo come è testimoniato dalle opere tarde del maestro. In quegli anni le nuove idee propugnate da Lutero si diffusero rapidamente provocando negli ambienti più aperti della Chiesa cattolica un desiderio di rinnovamento spirituale e di un ritorno a uno stile di vita più morigerato. In questo periodo cominciò a diffondersi un’opera intitolata Del Beneficio di Gesù Cristo scritta da don Benedetto Fontanini che è stata considerata il capolavoro della letteratura della Riforma italiana. Quest’opera circolò manoscritta fin dal 1540 in tutti gli ambienti del cosiddetto “evangelismo italiano”: a Roma nella cerchia del cardinal Contarini e del Morone, a Verona presso il vescovo Matteo Giberti. Probabilmente la sua pubblicazione a Venezia, avvenuta nel 1543, fu promossa dal cardinale inglese Reginald Pole. Il trattatello sarebbe stato così l’espressione del sentire spirituale di tutto un gruppo che fu definito gli “spirituali”. Il Beneficio proponeva una dottrina che si fondava sulla difesa del libero arbitrio umano, sulla fiducia nella misericordia di Dio da cui scaturisce l’idea del perdono generale, la considerazione della partecipazione diretta dell’uomo alla perfezione divina. Punto di riferimento degli “spirituali” divenne il cardinal Reginald Pole e a questo gruppo aderì anche Vittoria Colonna, nobildonna romana e celebrata poetessa, convinta anch’ella della necessità di riformare la Chiesa di Roma. Questa marchesa intrattenne rapporti di amicizia con tutta una serie di persone che, come lei, desideravano un rinnovamento all’interno della Chiesa cattolica come, ad esempio, il duca Ercole II di Ferrara e la sua chiacchieratissima consorte madama Renata e con Margherita D’Angoulême, regina di Navarra. Michelangelo non ignorò il dibattito religioso che si stava svolgendo in quegli anni. La sua rete di rapporti e conoscenze personali intessuta in quel periodo anche grazie all’amicizia con Vittoria Colonna getta oggi su di lui una luce di persona attenta e sensibile ai problemi religiosi più dibattuti della cristianità. Attraverso l’analisi di diversi documenti, Maria Forcellino fa notare come Michelangelo fosse molto legato all’ambiente degli “spirituali” anche se molte delle prove di frequentazione di quel gruppo da parte dell’artista sono andate disperse per essere passate al vaglio dall’Inquisizione o forse distrutte dallo stesso scultore per paura di essere tacciato di eresia. L’amicizia con Vittoria Colonna contribuì a risvegliare nel vecchio maestro una nuova coscienza del peccato e a suscitare in lui la preoccupazione sulla salvezza dell’anima. Riflessi di questa nuova spiritualità entrarono a far parte delle ultime opere dell’artista come testimoniano i due disegni realizzati per la nobildonna: una Pietà e una Crocefissione.

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Maria Forcellino analizza dettagliatamente i due disegni confrontandoli con le fonti e i documenti dell’epoca evidenziandone le novità iconografiche che sarebbero state impensabili senza quel fervore di rinnovamento teologico che caratterizzò il dibattito religioso di quel periodo. L’autrice fa notare come il disegno della Pietà sia difficilmente riconducibile alla tradizione figurativa perché costituisce il punto di arrivo di una profonda riflessione dell’artista sul tema del compianto sul Cristo morto. Michelangelo abbandona il tipo iconografico consolidato della Pietà, profondamente incentrato sulla devozione mariana, mettendo in primo piano la figura di Cristo. Anche nel disegno della Crocefissione la studiosa fa notare la novità iconografica seguita dallo scultore: Cristo non compare più secondo la tradizione medioevale, morto, col capo riverso sul petto, bensì vivo con lo sguardo rivolto verso il cielo. L’autrice fa un’analisi scrupolosa di questi due disegni, sulla loro circolazione, sulle loro copie. Ne emergono dati interessanti per asserire, contrariamente a quanto ha sostenuto finora la critica, che Michelangelo trasse dai due disegni dei dipinti di piccole dimensioni, attualmente perduti o non identificati, in cui sembra riflettersi il desiderio da parte del gruppo degli “spirituali” di avere delle immagini religiose a cui rivolgere la propria devozione. Particolarmente interessanti le considerazioni di Maria Forcellino, supportate di dati e riflessioni, sulle copie realizzate dall’allievo Marcello Venusti che contribuì a divulgare i disegni di Pietà e Crocefissione del grande maestro. L’ultima parte del volume è dedicata allo studio della Tomba di Giulio II e, in particolare, alla statua di questo papa che è stata fino ad oggi oggetto di scarsa attenzione critica da risultare appena menzionata negli studi michelangioleschi. La sua condanna all’oblio è dovuta alla storia complessa dell’intero monumento, la cui realizzazione si protrasse dal 1505 al 1545 e da equivoci presenti già negli scritti del Vasari e del Condivi. La statua di Giulio II è rappresentata in modo diverso rispetto all’iconografia papale tradizionale che voleva un pontefice trionfante e solenne mentre l’artista lo presenta in modo umile e penitente. Questo papa dimesso, privato della sua potenza, come è sottolineato dalla sua posizione sdraiata e dalla semplicità dei suoi paramenti pontificali, propone una visione spiritualizzata del papato quale forse l’artista avrebbe desiderato. L’autrice, analizzando i particolari più minuziosi e simbolici della scultura, dimostra con argomentazioni calzanti supportate da documenti e raffronti, che questa rappresentazione così diversa di una statua papale costituisce un rinvio sicuro ai valori della nuova religiosità a cui aveva aderito Michelangelo. Queste considerazioni sono avvalorate dalla presenza di due sculture poste nel primo ordine della Tomba ai lati della statua di Mosè che raffigurano la Vita attiva e la Vita contemplativa e che rappresentano altrettanti temi cari al gruppo degli “spirituali”. Questa nuova chiave di lettura mette in luce una complessità di significati che fanno di questo studio una rappresentazione molto significativa e problematica dell’arte e della spiritualità di Michelangelo negli anni Quaranta contrariamente alla critica corrente che ha sempre considerato la Tomba di Giulio II un modesto risultato rispetto al grandioso progetto originario. Maria Forcellino ci presenta in quest’opera la figura di un artista che non fu solo un semplice testimone del suo tempo ma anche un protagonista degli eventi che lo investirono e che ha impresso pochi ma rilevanti segni di questa sua partecipazione nella sua grandissima arte. Completano il pregevole volume un’appendice documentaria, un indice delle opere citate, un indice dei nomi e un prezioso apparato iconografico.

Maria Grazia Dalai (Università di Verona)

************ Pierre Boaistuau, Histoires prodigieuses (édition de 1561), éd. critique, introduction par S. Bamforth, texte établi par S. Bamforth et annoté par J. Céard, Genève, Droz, « Textes Littéraires Français », 605, 2010, pp. 968 Un recueil des « plus memorables histoires prodigieuses, qui aient esté observées par toutes les parties de la terre, despuis la nativité de JESUS CHRIST jusques à nostre siecle » (p. 333), comme l'explique l'auteur lui-même dans la dédicace du manuscrit des Histoires prodigieuses offert à la reine Élisabeth d'Angleterre: comme il l'avait déjà fait dans son Théâtre du monde, Boaistuau, lecteur passionné plutôt que fin observateur, voire simple compilateur pour certains critiques, puise sa matière aux sources les plus diverses, des auctores de l'Antiquité jusqu'aux savants de son temps, en mettant davantage l'accent sur les causes (divines) des prodiges dont il est question et, surtout, en accompagnant le texte de magnifiques images enluminées (dans le manuscrit) ou bien gravées sur bois (dans les exemplaires imprimés). Voilà l'intérêt et l'une des raisons majeures du succès des Histoires prodigieuses, qui ont connu des ajouts et des continuations (en deux séries dues à deux associations de libraires différentes) jusqu'à la fin du XVIe siècle et qui occupent sans conteste une place centrale dans l'histoire du livre illustré. Aucune édition critique des Histoires n'avait cependant vu le jour jusqu'à présent: seul Yves Florenne, en 1961, avait publié pour le Club français du livre le texte de Boaistuau, en se bornant à reproduire l'édition princeps de 1560. Le fait nouveau qui a rendu possible le travail monumental de Stephen Bamforth et de Jean Céard a été, précisément, la redécouverte récente du manuscrit offert à la reine Élisabeth, conservé à la Wellcome Library de Londres et qu'on avait

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longtemps cru perdu4. Cette édition critique prend en considération trois états principaux du texte: le manuscrit, qui ne contient que trente-deux des quarante-et-un chapitres de l'imprimé et dans un ordre différent, l'édition de 1560, réalisée à la hâte (ce dont se plaint Boaistuau lui-même dans un avertissement au lecteur) et celle de 1561, réputée meilleure en tant que revue, selon toute vraisemblance, directement par l'auteur et, par conséquent, choisie comme texte de base par les deux éditeurs. Dans son Introduction, extrêmement riche en détails, après avoir consacré quelques pages à la vie de Pierre Boaistuau, Bamforth focalise son attention, en particulier, sur les rapports qu'entretenait avec l'Angleterre notre auteur, un protestant qui « comme tant d'autres protestants français, voit en elle [la reine Élisabeth] le bouclier de la religion réformée » (p. 89). Ces données biographiques constituent le point de départ pour une description et une reconstruction de la genèse du manuscrit de la Wellcome Library, conçu comme cadeau d'étrennes pour Élisabeth après le projet – échoué – de lui offrir un tirage spécial des Histoires tragiques. Une large place est faite à l'analyse de la composante visuelle des Histoires prodigieuses, avec une comparaison entre les enluminures du manuscrit et les gravures sur bois de l'édition imprimée, d'où il résulte qu'une étroite parenté devait exister entre les deux séries. Bamforth passe ensuite en revue les éditions successives de l'œuvre, qui ne cesse de s'enrichir de la contribution de nouveaux auteurs, tels que Claude Tesserant et François de Belleforest, le noyau des quarante-et-un chapitres dus à la plume de Boaistuau demeurant, quant à lui, inchangé. Une bibliographie chronologique complète des éditions, ainsi que des traductions (en anglais, espagnol et néerlandais), des Histoires prodigieuses est d'ailleurs donnée à la suite de cette Introduction. Concernant le travail d'annotation, Jean Céard, qui s'en est chargé, avoue que celui-ci s'est avéré plus compliqué que prévu. En effet, bien que Boaistuau, qui « semble même revendiquer, non la qualité d'auteur, mais seulement celle, plus modeste, de traducteur » (p. 245), multiplie les références aux sources dont il s'est servi, il se trouve que celles-ci ne sont pas toujours exactes, et surtout ne rendent pas compte de l'importance relative des différents textes consultés: il peut même arriver que, dans la foule des noms, ceux des auteurs auxquels, tour à tour, Boaistuau est le plus redevable soient passés sous silence. Il a donc fallu user de la plus grande prudence et vérifier au cas pour cas les informations données aussi bien dans les manchettes que dans le corps des chapitres. Après les Histoires tragiques, le Théâtre du monde et le Bref discours de l'excellence et dignité de l'homme, qui ont bénéficié, au cours des trente dernières années, d'un intérêt renouvelé pour l'œuvre de Boaistuau, les Histoires prodigieuses font maintenant l'objet, elles aussi, d'une édition critique soignée, qui est le résultat d'un travail long et minutieux et qui parvient à bien mettre en valeur la nature complexe d'un ouvrage censé, à la fois, divertir et instruire, sans doute dans le but de montrer, par les mots et par les images, la puissance de Dieu, capable de produire des prodiges, voire des monstres, pour punir les péchés des hommes ou, tout simplement, pour déployer son immense pouvoir créateur.

Daniele Speziari ********* Michel de Montaigne, Lettere. Con testo originale e traduzione a fronte, a cura di Alberto Frigo, Firenze, Le Monnier Università, 2010, 183 pp.

Le lettere di Montaigne sono state soggette, nei secoli, alla sorte della maggior parte dei documenti del XVI secolo: disperse, bruciate, perdute e, in presenza di un qualche interesse, contraffatte. Il corpus primigenio doveva essere

4 Une édition en fac-similé a été publiée par Stephen Bamforth lui-même: Histoires prodigieuses. Ms. 136 Welcome Library, Milan, Franco Mario Ricci, 2000.

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di grande interesse per tre ragioni almeno : la prima è la passione diffusa, soprattutto nella seconda metà del Cinquecento, per la forma epistolare con il fiorire di trattati, raccolte, manuali per educare al bello scrivere; la seconda è legata alla cultura di Montaigne, scrittore che ha dato prova in alcune delle sue lettere, alla stregua di quanto andava facendo negli Essais, di seguire i dettami della retorica classica e i nuovi precetti sull’uso del linguaggio; la terza riguarda l’attività di Montaigne uomo politico e mediatore in una Francia dilaniata dalle guerre di religione, elemento che rende le sue missive interessanti dal punto di vista documentario e politico. Una ragione ulteriore si aggiunge alle altre e cioè il contributo che dette lettere di Montaigne danno alla costituzione di un corpus epistolare del XVI secolo, utile dal punto di vista linguistico per lo studio della struttura e della lingua epistolare (le formule di indirizzo e di cortesia, le formule di chiusura, le formule deputate alla diminutio e quelle deputate alla captatio benevolentiae del destinatario, per esempio).

Come si è detto, molte delle lettere di Montaigne sono state perdute. A voler credere alle confidenze dell’autore nel testo degli Essais, esse dovevano essere un corpus ingente e ben diversificato, che andava dalla corrispondenza amorosa (di cui non ci sono pervenuti esempi) alla corrispondenza di servizio. I due grandi filoni sono però senza dubbio quello della lettera di dédicace e quello della lettera di servizio. Preferisco quest’ultima definizione a quella di corrispondenza politica, perché se è vero che le lettere facenti parte di questo gruppo venivano redatte in un ambito decisamente politico e per ragioni di informazione, collegamento, tessitura di trame politiche, è pur vero che esse rappresentavano uno strumento di lavoro del Montaigne sindaco di Bordeaux o mediatore per conto del re di Francia o di Navarra, o della regina madre Caterina.

L’edizione delle lettere di Alberto Frigo rappresenta una novità per il pubblico italiano che vede per la prima volta le lettere di Montaigne in traduzione italiana. Il corpus segue quello edito da Maurice Rat nella edizione della Pléiade del 1963, con qualche correzione di datazione. Il curatore ha anche deciso (cf. “Avvertenza”, p. 65) di non inserire alcune lettere, erroneamente attribuite a Montaigne, presenti in altre edizioni francesi recenti, ma che la critica ha unanimemente escluso dal corpus degli originali5. Le scelte editoriali destinano chiaramente questa edizione alla divulgazione e cioè alla pubblicizzazione del testo di Montaigne presso il pubblico italiano, un pubblico che include anche la presenza di lettori appassionati del filosofo francese e che non siano necessariamente specialisti. L’annotazione al testo è leggera e rende conto, tramite brevi notizie essenziali, della biografia di questo o quel personaggio citato nel testo o degli elementi storici relativi agli avvenimenti della vita dello scrivente. Una nota di merito va alla traduzione, sempre corretta e fluida, che riesce a trovare il termine appropriato e lo stile giusto per tradurre un lessico e una struttura prosaica non sempre facili, a causa della lingua “ondoyante et diverse” del XVI secolo.

La scelta divulgativa emerge anche nell’introduzione “Montaigne e le ‘carte messaggiere’” (pp. 1-62) in cui, per esempio, si citano di preferenza gli Essais nella traduzione italiana di Fausta Garavini, perché il discorso liminare sia comprensibile anche ai non specialisti. L’introduzione è divisa in tre parti, di cui la prima (un ampio excursus sul protocollo epistolare moderno) funge da introduzione. Le opinioni di alcuni grandi epistolieri come Erasmo, Annibal Caro e Etienne Pasquier aprono le lettere di dedica di Montaigne al mondo della cultura del suo tempo. Il filtro di lettura proposto è dunque un filtro letterario, alla luce dell’ampio ventaglio di precetti e discussioni presenti nel dibattito dell’epoca. Ma in questo panorama l’editore ha naturalmente dovuto compiere un triage per proporre le posizioni più vicine al sentire di Montaigne. È ovvio che questo filtro di letterarietà concerne solo la prima parte delle lettere proposte e cioè le lettere di dedica, dove più evidente è lo sforzo e la volontà retorica di persuasione. Gli interlocutori, del resto, sono all’altezza dei testi (Michel de l’Hôpital, Paul de Foix, Henri de Mesmes, suo padre Pierre Eyquem) e gli argomenti si ergono a motivare nobilmente tale sforzo. Un esempio per tutti è la lettera sulla morte di La Boétie, di cui qui viene proposto un frammento alla stregua di quanto aveva fatto M. Rat (il frammento della lettera sulla morte di La Boétie riprodotto è lo stesso che si ritrova nell’edizione “Pléiade”), un esempio topico di esercizio retorico-morale sul tema della “fausse mort” e cioè la morte perfetta del filosofo stoico. Del resto, lo stesso sarà poi fatto per la morte di Montaigne in una lettera di Pierre de Brach a Giusto Lipsio o in altri testi come quello di Bernard Automne. La fedeltà di questi racconti rispetto a ciò che realmente accadde è dubbia, e la lettera di Etienne Pasquier a Monsieur de Pelgé sembra costituire la controprova6.

Le altre due parti dell’introduzione propongono una divisione assolutamente naturale tra lettere di dedica e quindi a sfondo letterario (pp. 13-48) e lettere politiche o missive propriamente dette (pp. 48-62). L’editore sembra prediligere il primo blocco di documenti a cui dedica più spazio. Ma anche il secondo, su cui si sofferma meno lungamente se non per ricordare alcuni elementi biografici o di storia editoriale7 ha a mio avviso un interesse nascosto su cui bisogna ancora riflettere. La critica contemporanea si interroga sul versante storico e cioè sulla rete di rapporti che queste lettere sembrano mettere in luce, ma sarebbe altresì importante mettere a confronto l’espressione del Montaigne curato e retorico dei Saggi e delle lettere di dedica, col Montaigne redattore delle sue missive. Lo stile di Montaigne in questo blocco di lettere è telegrafico e “secco”, come egli stesso lo definisce negli Essais, e quindi lontanissimo dalla prosa di ampio respiro della

5 Per una prospettiva storica sulle lettere di Montaigne cf. lo studio fondamentale di R. Cooper, “La correspondance politique de Montaigne”, in Montaigne politique. Actes du colloque international tenu à University of Chicago (Paris) les 29 et 30 avril 2005, réunis par Philippe Desan, Paris, Champion, 2006, pp. 305-328. 6 La lettera è riprodotta in Catherine Magnien, « Etienne Pasquier et Montaigne », Montaigne Studies, XIII, 1-2, 2001, p. 277-313. 7 Emblematico l’episodio del falsario Vrin Lucas accusato nel 1870 di aver contraffatto decine di lettere e nel cui piège cadono ancora tanti editori moderni delle lettere di Montaigne (cf. p. 61, n. 191).

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sua opera principale. Ma, a mio avviso, conducendo un’analisi lessicologica e sintattica, sarebbe sorprendente ri-trovare delle tracce dello stile di Montaigne scrittore nella prosa di queste lettere. È l’ipotesi dell’esistenza di un presunto “stile di scrittura” nella lingua di Montaigne che riguardi trasversalmente tutti i suoi scritti, ed è quello su cui si stanno interrogando negli ultimi anni gli studi sulla lingua del Journal de voyage, per esempio.

La scelta editoriale e la riflessione critica dell’introduzione, evitando l’abitudine accademica delle fitte annotazioni, presentano le lettere di Montaigne come corpus epistolare, intendendo con questo aggettivo un genere di scrittura letterario ben codificato nel Cinquecento. Tale taglio calza bene al primo gruppo di lettere, meno al secondo, un insieme di scritti a valenza prettamente storica e documentaria. La contestualizzazione storica del corpus è ridotta al minimo o citata nel suo legame con i Saggi, più che con la biografia dell’autore, ciò che permette all’editore di non entrare nelle spinose questioni accademiche riguardanti la critica montaignista, cosa che avrebbe forse appesantito eccessivamente la sua edizione. Anche i riferimenti alla storia editoriale e alle avventure di trasmissione del corpus, che pure il pubblico italiano avrebbe forse interesse a conoscere, non sono che accennate. Malgrado tali scelte, che possono essere o meno condivisibili, il merito di questa edizione delle lettere è quello di aver reso accessibile per la prima volta ad un pubblico tranversale le lettere di Montaigne, in una traduzione italiana fedele, fluida e linguisticamente piacevolissima e in una edizione che offre, in maniera sempre corretta, tutti gli elementi necessari per un orientamento essenziale all’interno del contesto storico di riferimento.

Concetta CAVALLINI

********* Corin Braga, Du paradis perdu à l’antiutopie aux XVIe-XVIIIe siècles, Paris, Éditions Classiques Garnier, «Lire le XVIIe siècle, 1» sous la direction de Delphine Denis et Christiam Biet, 2010, pp. 416.

L’eziologia della nascita della distopia – un passaggio obbligato per chiunque si occupi di letteratura utopica – consta solitamente di due fasi: la rassegna delle spiegazioni che al riguardo sono state via via date e l’esposizione del proprio apporto personale. È questo il caso del nuovo volume di Corin Braga, specialista rumeno dell’immaginario dell’alterità in epoca medievale e rinascimentale, da lui esplorato in Le Paradis interdit au Moyen Âge. La quête manquée de l’Éden oriental (2004) e in La Quête de l’Avalon occidentale (2006). Ad oggi i principali tentativi di anamnesi del fenomeno sono stati: quelli di George Kateb (Utopia and its Enemies, New York, 1963) e di Aurel Kolnai (The Utopian Mind, Londra 1995), entrambi incentrati sui testi distopici dell’Ottocento e del Novecento; quello di Jean-Michel Racaul (L’Utopie littéraire en France et en Angleterre (1675-1761), Oxford, 1991), una vastissima ricerca intorno alla letteratura utopica à l’aube des Lumières, limitata però all’ambito francese e inglese; infine come non citare l’apporto di Raymond Trousson, per la prima volta apparso nel saggio L’Utopie en procès au siècle des Lumières (in J. Macary (éd.), Essays on the the Age of Enlightment, Genève, 1977), ma poi ripreso nelle varie edizioni di quello che è ormai un classico della bibliografia sull’utopia, Voyages aux pays de nulle part (edd. 19751, 19792, 19993).

Corin Braga, dal canto suo, ritiene di poter spiegare l’affievolirsi dell’«ottimismo antropologico» e viceversa l’imporsi del disincanto distopico sull’«entusiasmo costruttivo e rinnovatore» (p. 12), da un lato, con la presenza nell’utopia di cause “congenite” (pp. 13-18), le quali portano allo scoperto i limiti della forma mentis dell’utopista (assolutista, dirigista, ignara dell’apporto dell’individualità, della sfera psichica e affettiva dell’individuo e dell’imponderabile); dall’altro come risultato di quella sorta di processo che la religione giudaico-cristiana ha intentato all’utopismo in un arco temporale che va dal Rinascimento a tutto il Seicento.

Il punto di partenza di questo bel saggio di Corin Braga è infatti la constatazione di Jean-Jacques Wunenberger (L’Utopie ou la crise de l’imaginaire, Paris, 1979) del rovesciamento, avvenuto agli albori dell’età moderna, dell’immaginario dell’alterità: mentre infatti questa, anticamente, trovava espressione sul versante mitico attraverso l’immagine del paradiso terrestre, a partire dal Rinascimento è stata pensata in un contesto razionale e sotto forma di utopia. Facendo propria questa lettura dicotomica (mythos/logos), lo studioso indaga l’evoluzione dell’utopia, seguendone le tappe –opportunamente richiamate nel primo capitolo (Du paradis à l’utopie) – dalle origini all’inizio del Settecento; egli insomma, raccoglie, per così dire, il testimone dove lui stesso l’aveva lasciato con i suoi saggi relativi alla semantica del concetto di “paradiso” dall’antichità al Medioevo.

Nel capitolo successivo le ricerche di Braga mettono in luce l’esistenza di un filo conduttore tra l’utopia e i mirabilia medievali, di cui la prima perpetua l’ambientazione del novum, prospettando quest’ultimo come una “realtà” continentale, insulare, esotica, speleologica oppure astrale. Si tratta di una tesi affascinante, basata su studi isolati e non sistematici, ma qui esposta con rigore e in modo persuasivo e che non potrà non sollecitare ulteriori indagini.

Nell’ampia e suggestiva sezione dal titolo L’ Utopie comme hérésie l’autore si sofferma sull’intrinseco carattere eversivo del discorso utopico, in quanto vagheggiamento, e insieme auspicio, di un mondo migliore. Il contributo al dibattito sull’utopia si fa in queste pagine particolarmente interessante, poiché lo studioso dimostra che l’aspirazione e l’edificazione “cerebrale” di questo tipo di alterità sono state percepite tra il Cinque e il Settecento come blasfeme. In

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definitiva gli utopisti (e con loro l’umanità) si renderebbero colpevoli di un “secondo peccato” sia agognando a una perfezione che quello originale ha precluso all’umanità per il resto dei suoi giorni, sia desiderando un mondo migliore rispetto a quello ricevuto in dono da Dio, sia distogliendo il pensiero dalla contemplazione teocentrica a favore di uno sterile fantasticare. A doveroso corollario di questa indagine sulla ricezione dell’utopismo, il capitolo La Censure religieuse de la pensée utopique delinea i termini della reazione della Chiesa all’“entusiasmo centrifugo del Rinascimento” (p. 200), mentre i successivi mettono in luce l’appropriarsi della modalità utopica a vantaggio della religione stessa da parte di autori francesi e inglesi ortodossi sul piano confessionale, i quali, in una prospettiva a seconda dei casi contro-riformistica o puritana, propongono un’immagine negativa dell’utopia, equiparandola sostanzialmente ad un inferno (capp. 5 e 6). L’ultima evoluzione dell’utopia stessa è rappresentata da opere che sono sintomatiche della messa in atto di un’autentica operazione di autocensura: così ad esempio testi poco noti come The Isle of Pines (1668) di Henry Neville (tradotto in francese lo stesso anno) o la Nouvelle Atlantide (1702) dell’abbé Ranguet, traduttore di Francis Bacon, ma anche il famoso Paul et Virginie, dove Bernardin de Saint-Pierre prospetta l’utopia come dimensione irrealizzabile.

Completano il volume un’amplia bibliografia, relativa tanto al corpus utopico (pp. 375-391) quanto agli studi critici (pp. 393-410), e un index nominum.

Monia Mezzetti

*********** Jean-Baptiste TRENTO & Pierre ESKRICH, Mappe-Monde Nouvelle Papistique. Histoire de la Mappe-Monde Papistique, en laquelle est déclairé tout ce qui est contenu et pourtraict en la grande table, ou carte de la Mappe-Monde (Genève, 1566), Édition critique établie et présentée par Frank LESTRINGANT et Alessandra PREDA, Genève, Droz, 2009, CVI, 485 pp. A questa edizione ampia e documentata gli Autori sono stati spinti dal desiderio di cooperare nella presentazione di un testo importante per la storia del protestantesimo. Pubblicata per la prima volta a Ginevra nel 1566, l'opera qui edita si compone di una stampa, la Mappe-Monde, incisa da Pierre Eskrich, e di un libro, l'Histoire de la Mappe-Monde Papistique, commento del vicentino Jean-Baptiste Trento alla carta stessa. Tra le decine di esemplari dell'Histoire ad oggi conservati e i cinque della Mappe-Monde (quest'ultimi rispettivamente alla British Library, alla Biblioteca dell'Università di Wroclaw in Polonia, al castello di Sondershausen in Germania, alla BN di Firenze e alla Bnf di Parigi), gli editori si sono basati sull'esemplare inglese, per quanto riguarda la Mappe-Monde, mentre per l'Histoire su una stampa del 1567, conservata alla Bibliothèque Publique et Universitaire di Ginevra. Il testo (pp. 348) è preceduto da un'ampia "Introduction" (pp. IX-XCIX), seguita da una "Liste des abréviations" e da una "Note sur l'établissement du texte" (pp. CIII-CVI). Le illustrazioni riproducenti l'esemplare fiorentino della Mappe-Monde, come quelle di altri testi raffrontati all'opera del Trento ("Table des illustrations", pp. 475-478), contribuiscono alla ricchezza di un libro che ben si presenta anche dal punto di vista delle scelte tipografiche. Gli Autori muovono dalla vita e dalle opere del Trento (Gio. Battista), che nell'Histoire nasconde la propria identità dietro lo pseudonimo di "maître Frangideplhe Escorche-Messes", soffermandosi in un primo momento sulle vicende familiari, in particolare sul trasferimento a Vicenza, intorno alla metà del Quattrocento, della famiglia Trento. Altri importanti episodi consistono nella conversione di Trento, nel 1541, alla Riforma, e nella decisione di trasferirsi in Svizzera nel 1555, dove otterrà il riconoscimento ad abitante ginevrino due anni dopo, nel 1557. È durante il suo soggiorno in Inghilterra che egli si convince che la regina sia l'avversario ideale del mostro "papistique" - l'epistola dedicatoria della Mappe-Monde è appunto rivolta ad Elisabetta, regina "d'Angleterre, Hibernie, et autres pays" (pp. I-VIII) -. All'interno di questo "itinéraire", gli editori ricordano inoltre gli iniziali studi di diritto a Padova, la lettura, con Francesco Malchiavelli, del 'nuovo Vangelo, vale a dire l'Institution de la religion chrétienne di Calvino, la corrispondenza con Alessandro Trissino nonché i varii contatti con commercianti e banchieri, cui il Trento era facilitato per motivazioni familiari. Continuando nello studio dei rapporti delle "sources italiennes de la Mappe-Monde Papistique: Curione, Negri" (pp. XIX-XXX), gli editori mostrano come Trento abbia concepito la Mappe-Monde "avec l'approbation des autorités calvinistes et au moment où ses contacts avec la péninsule se raréfient" (p. XX). Riconosciuta l'influenza del Pasquino in estasi di Curione per la struttura del testo, e in particolare per i motivi satirici delle pasquinate, da leggersi anche nella linea di Luciano, gli editori evidenziano un altro importante prestito, quello della Tragedia del libero arbitrio, del benedettino Francesco Negri. L'analisi mette in luce come la Tragedia sia "un artifice pédagogique destiné à rendre accessible, voire plaisante, la doctrine calviniste de la justification par la grâce, et à ridiculiser par contrecoup le dogme catholique du salut par les œuvres" (p. XXXI). Per Trento, leggiamo, "il ne s'agit plus simplement de dénoncer l'imposture, mais de représenter son inanité même" (p. XXXIV). E, per far questo, egli crea un testo che è "déclinaison du dispositif théâtral" (p. XXX), un'opera che presenta molte analogie con la commedia e la farsa nonostante sia di fatto "un commentaire de carte de près de deux cents pages" (p. XL). Segue quindi l'attenzione alla realizzazione grafica del progetto, momento

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affidato a Pierre Eskrich, grande esperto in materia di cartografia e già illustratore di varie edizioni della Bibbia (si ricorda che, nel 1582, egli illustra le Figures de la Bible declarées par stances, con sestine di Gabriel Chappuys, di cui gli Autori mostrano le analogie con la Mappe-Monde). Al contesto italiano dell'opera, si aggiunge così quello lionese, dal momento che Eskrich vive tra Lione e Ginevra, da cattolico in Francia e da calvinista in Svizzera. Sono tutte tappe importanti per la ricostruzione della genesi del progetto, con ipotesi che rinsaldano il legame Trento/Negri e che vedono la collaborazione anche di un altro protagonista, lo zurighese Christoffel Schweytzer. A questo proposito, gli editori forniscono un "mode d'emploi" per sciogliere lo stretto legame tra la carte e l'histoire : per il suo grande formato, la Mappe-Monde si presta ad una lettura collettiva, un vero e proprio "théâtre de mémoire" (p. LXIII) nel quale lo spazio universale è ristretto a Roma, sede del Papato. A questa topografia se ne accompagna un'altra, dove la risimbolizzazione delle fortificazioni crea uno spazio immaginario, dal contenuto allegorico, ma pur sempre riconoscibile : il Purgatorio, ad esempio, è situato nella Tor di Nona. Con la Mappe-Monde, insomma, è guerra aperta con la Chiesa cattolica e, in tale ottica, gli editori esaminano i possibili rinvii, racchiusi nel passato (Rabelais, le Apocalissi anglo-normanne del Duecento, l'Histoire du Saint-Graal, le produzioni proprie del "Moyen Age fantastique"), ma anche fonti di suggestive prospettive future (la Mappe Romaine dell'inglese Thomas Taylor, 1619). Indubbiamente la ricerca è stata fruttuosa attorno al problema stilistico (valga, fra tutte, la definizione di “ibrido”, con connotati rinvii al grottesco, p. LXXXIX, della Mappe-Monde) come sul piano storico-linguistico, commento dato nel ricco apparato di note al testo e nel "Glossaire" (pp. 429-445). Altrettanto importanti le "Appendices" (pp. 349-406) che, insieme alla "Bibliographie" (pp. 408-428) e agli “Indici dei nomi e dei luoghi” (pp. 447-473), chiudono il volume.

Riccardo Benedettini ********* Maria Gabriella ADAMO, "Su alcuni détournements di formes figées in Rabelais", in La langue de Rabelais / La langue de Montaigne, Actes du Colloque de Rome, septembre 2003, Édités par Franco GIACONE, Genève, Droz, 2009, pp. 127-143 Sulla base di numerosi esempi, i complessi problemi linguistici dei testi di Rabelais vengono analizzati dall'Adamo in questo suo importante articolo destinato a servire da premessa ad uno studio lessicografico il cui progetto è in corso. Adottata, come testo di base, l'edizione rabelaisiana curata da Mireille Huchon nel 1994, e avvalendosi dei lavori di Giuseppe Di Stefano sul moyen français, la studiosa porta avanti un esame sottile di alcune varianti significative della lingua dell'autore cinquecentesco. L'articolo fa il punto sull'ampio uso delle formes figées in Rabelais, incentrando l'analisi su due aspetti : quello dei Proverbi e quello delle Locuzioni figurate. Grazie ad un esame dell'uso retorico del linguaggio, il lavoro si concentra in particolare sui fenomeni di sur-lexicalisation e di dé-lexicalisation, secondo un duplice procedimento di manipolazione ed innovazione che oltrepassa l'ambito linguistico ed investe l'intera visione letteraria di Rabelais. L'argomentazione muove dai Proverbi, per i quali si distingue, sul modello schapiriano, tra proverbialisation e déproverbialisation : nel primo caso, si indica come spesso Rabelais presenti un proverbio, molto comune, su un tema, per farlo subito seguire da un altro, che di frequente è dello stesso un'interpretazione o una riformulazione, spesso dalla valenza scatologica ; nel secondo caso, l'esame si volge ai fenomeni di destrutturalizzazione, come ad esempio la scomparsa delle metafore o la modificazione, talvolta vero e proprio rovesciamento, del senso. Anche per le Locuzioni figurate la studiosa continua a seguire il processo di lessicalizzazione/delessicalizzazione (figement/défigement), mettendo in luce come spesso si proceda da un sens figé verso un sens libre. Lo studio, ben organizzato e svolto secondo una chiara argomentazione, mette dunque a disposizione degli studiosi dati indispensabili per la conoscenza della lingua letteraria del grande autore cinquecentesco.

Riccardo Benedettini ********** Artemio Enzo BALDINI, L'educazione di un principe luterano. Il Furschlag di Johann Eberlin tra Erasmo, Lutero e la sconfitta dei contadini, Edizione critica in Neuhochdeutsch e versione italiana del testo manoscritto inedito, Milano, Franco Angeli, 2010, 196 pp. L'A. ci offre l'edizione critica di quest'opera che il frate ed umanista Johann Eberlin da Günzburg aveva scritto per l'educazione del piccolo Wilhelm, unico erede di Giorgio II, conte di Wertheim, regione della Franconia meridionale. Nella «Introduzione» (pp. 9-20) al testo, Baldini sottolinea l'importanza dell'educazione umanistica, di Erasmo e della figura del principe saggio, aspetti questi da intendersi come tre momenti fondamentali di questo progetto educativo, primo «trattato» sull'educazione di un principe riformato, il cui manoscritto è conservato presso lo Staatsarchiv di Wertheim. Del

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Furschlag del predicatore francescano, poi libellista luterano, lo studioso presenta la versione in Neuhochdeutsch (pp. 91-119) e la traduzione italiana (pp. 121-154), accompagnate dalla riproduzione di sei pagine (pp. 85-90); segue una ricca "Bibliografia" (pp. 155-188) e l'"Indice dei nomi" (pp. 189-195). Articolatosi in due sezioni, il lavoro traccia nella «Parte prima» (pp. 21-80) una biografia di Eberlin, personaggio che, negli anni Venti e Trenta del Cinquecento, dà voce alla Riforma nella Germania meridionale. Già traduttore di un'orazione di Melantone, di due brani dell'Encomion moriae di Erasmo e della Germania di Tacito - tutti 'doni' offerti al conte -, Eberlin sembra seguire un obiettivo non tanto filologico quanto religioso e pedagogico, oltre che nazionalistico. Il saggio del Baldini, scrupoloso ed attento, dopo aver delineato tutta la storia del testo nella «Parte seconda» (pp. 81-154), ci fornisce un insieme di notizie che confermano la paternità dello scritto dell'ex francescano e contribuiscono a delineare un quadro storico preciso del primo trentennio del Cinquecento.

Riccardo Benedettini ********* «Seizième Siècle» : Le Théâtre du XVIe siècle et ses modèles (pp. 7-125) ; Varia (pp. 129-299), Genève, Droz, 6, 2010, 304 pp. Dans son organisation habituelle depuis 2005, ce numéro de Seizième Siècle est composé par une première partie thématique et une seconde partie ouverte à des sujets divers. De l’iconographie8 aux nouvelles de l’Héptaméron9, de la correspondance de Jean Du Bellay10 à La Franciade de Ronsard11, les seiziémistes trouvent de quoi satisfaire leurs intérêts et leurs curiosités. Le volume se clôt avec la rubrique traditionnellement consacrée à la Chronique musicale de l’année précédente12. Dans cette seconde partie, en outre, deux riches bibliographies, instruments de travail très utiles, l’une sur Ronsard13 et l’autre sur l’un des sujets les plus riches du XVIe siècle : Orientations bibliographiques : les Arts poétiques au XVIe siècle organisés, ces derniers, par ordre chronologique : Virginie Leroux, Domaine néo-latin, pp. 203-224 ; Philippe Guérin, Domaine italien, pp. 225-244 ; Jean-Charles Monferran, Domaine français, pp. 245-257 ; Bénédicte Coadou, Domaine espagnol, pp. 259-262 ; Denis Lagae-Devoldere, Domaine anglais, pp. 262-269 ; une mise à point et un élargissement de la bibliographie publiée il y a dix ans dans La Nouvelle Revue du XVIe siècle, numéro thématique consacré aux «arts poétique de la Renaissance» sous la direction d’Isabelle Pantin. Parcourir cette riche bibliographie signifie non seulement se déplacer dans l’espace et dans le temps, mais aussi se plonger dans les discussions, dans les débats, dans les projets autour desquels une ‘ancienne renouvelée poésie’ allait se construire en France au cours du XVIe siècle dans un riche réseau de rapports avec le reste de l’Europe, dont l’importance et la vitalité des contacts offre encore, au lecteur moderne, un vaste domaine d’investigation. Dans ces textes fondateurs on trouve non seulement les réflexions sur la finalité de la poésie, mais aussi ceux qui concernent la question de la langue et surtout l’imitation. Les traités théoriques du XVIe siècle sont «moins des descriptions du passé que des programmes»14, dans lesquels sont indiqués tantôt de façon voilée, tantôt avec précision, les modèles à suivre. Un exemple peut suffire pour le démontrer. Puisqu’il considère qu’ «une grande partie des faits humains consiste en l’Imitation», Jacques Peletier du Mans lui consacre un chapitre de son Art poétique de 1555 et au chapitre VII, De la Comédie et de la Tragédie, il donne la liste des auteurs de l’Antiquité qu’il faut choisir en tant que modèles: Térence, Plaute, Euripide et Sophocle Grecs, Sénèque. Ces listes, plus ou moins complètes sont presque toujours présentes dans les écrits qui précèdent les tragédies et les comédies : les auteurs de théâtre du XVIe siècle expriment, tous, de cette manière, leur volonté d’innover par rapport au passé récent en imitant les modèles de l’antiquité. La métaphore de l’abeille que Pétrarque avait reprise de Sénèque est sans doute, à ce propos, la plus éloquente pour décrire la complexité de ce processus. Le poète, comme l’abeille, ne doit pas conserver les fleurs qu’il a visitées, mais il doit les transformer en miel, un produit à la fois différent et meilleur. Pour Pétrarque, l’imitation du style des anciens devait offrir quelque chose de comparable mais, en même temps, différent. Cette métaphore subit, dans le temps, d’importantes variations dont celle d’Erasme est à retenir parce qu’elle nous introduit dans la complexité étudiée par les auteurs des

8 Anne-Sophie Germain- De Franceschi, Images de Terre sainte de Reuwich à Carpaccio : évolution et lectures d’un stéréotype iconographique oriental entre 1486 et 1517, pp. 127-149. 9 Gary Ferguson, Mal de vivre, mal de croire : l’anticléricalisme de l’Heptaméron de Marguerite de Navarre, pp. 151-163. 10 Loris Petris, Entre implication et distanciation : pouvoir et écriture dans la correspondance du cardinal Jean Du Bellay, pp. 165-184. 11 Christine Pigné, Colère et amour obsessionnel dans La Franciade de Ronsard, pp. 185-199. 12 Cloé Rousseau et Isabelle His, Chronique musicale, pp. 299-303. 13 Nicolas Lombart, Bibliographie d’agrégation 2009-2010, Ronsard, Discours des misères de ce temps (1562-1563), pp. 271-298. 14 Francis Goyet, Traités de poétique et de rhétorique de la Renaissance, Paris, Le Livre de Poche classique, 1990, p. 6.

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articles ici réunis. L’activité de l’abeille d’Erasme n’est plus celle de sélectionner et organiser le matériel qu’elle peut ramasser. Pour Erasme l’abeille s’oriente plutôt vers la production et son activité n’est plus seulement celle de butiner, mais de ‘digérer’ pour donner un produit «in quo non agnoscac, nec floris, nec fruticis delibati saporem, odoremve, sed apiculae foetum ex omnibus illis temperatum». C’est le rapport complexe qui s’établit avec l’hypotexte dont parle Jean-Claude Ternaux dans sa Présentation (p. 8) ; dans ce rapport agit un principe de transformation, de digestion, qui rend le phénomène très complexe et où la présence du/des modèle/s est souvent méconnue par les auteurs eux-mêmes. Les formes du spectacle du Moyen Age continuent à être représentées au cours du XVIe siècle ; il suffit de rappeler à ce propos le célèbre arrêt du Parlement de Paris de 1548, suivi par les autres Parlements, qui interdit la représentation des mystères de la Passion et de tous les autres mystères sacrés, pour se rendre compte de la vitalité de ce théâtre. L’année suivante, 1549, Du Bellay publiait la Défense et illustration de la langue française, qui exprimait, avec force, la nouvelle conception de la poésie avec «un mépris constant pour les genres du théâtre médiéval. Pour des raisons littéraires et esthétiques, d’abord : il s’agissait, […] de restituer chez nous les jeux antiques de la tragédie et de la comédie en leur dignité. Volonté aussi d’une élite intellectuelle de se démarquer du peuple et de sa culture. […] Les bons écrivains, eux, fonderont un autre théâtre, fait «selon le vrai art et au moule» des Anciens, afin de plaire aux personnes graves (J. de La Taille, De l’art de la tragédie) Le mystère est renvoyé au passé mort et s’élabore un théâtre littéraire imité des Anciens, qui s’accompagne nécessairement de réflexions sur l’esthétique des genres et d’écrits théoriques.» (Mazouer, p. 98). Les jeunes auteurs qui répondent à cet appel connaissent et opèrent dans un milieu qui sait et pratique encore ce théâtre qui doit être substitué. Il n’y a pas de différences entre les deux genres de la comédie et la tragédie, certes la comédie, on le sait, a eu une place beaucoup moins importante par rapport à la tragédie mais la méthode, on le verra dans les articles que nous présentons, est la même. D’ailleurs cette volonté de donner à la France une nouvelle poésie, hautement aristocratique, donc éloignée du ‘bas populaire’, construite sur les modèles grecs et latins allait susciter des réactions à plusieurs niveaux, objets de nombreuses études et analyses de la part de la critique. Tout d’abord il y a la rencontre entre le monde du paganisme et la très chrétienne France que des auteurs tels que Jodelle, Denisot, Du Bellay, Guy Le Fèvre avaient essayé de résoudre. La poésie, en tant que forme, ne peut être que celle que les anciens nous ont léguée mais, puisque cette poésie n’est que ‘mensonge’, il faut lui enlever le contenu et ne conserver que les souvenirs d’une mythologie qui peut encore exercer son pouvoir à travers ses exemples. Certains auteurs, de religion réformée, avaient bien compris les contradictions liées à cette rencontre et avaient insisté sur la nécessité et le droit de se servir uniquement du moule des œuvres des Anciens, pour y couler les nouveaux sentiments chrétiens. Mais pour le théâtre, ce choix aristocratique signifiait aussi un nouveau genre de spectacle qui abandonnait les parvis des églises pour se trouver relégué dans un lieu fermé, pour peu de spectateurs à même de reconnaître les personnages mythologiques et leur enseignement. Deux changements lourds de conséquences et qui expliquent, à notre avis, les difficultés de réaliser ce projet et la persistance des éléments hétérogènes dans un théâtre qui se voulait imitation du théâtre des Anciens. Le rapport avec le modèle, rapport qui est toujours présent dans l’acte de création puisqu’il est impossible d’écrire en dehors de l’imitation, est alors, à ce moment de l’histoire de la littérature française, particulièrement difficile puisqu’il entraîne avec lui de graves contradictions que les auteurs essaient de résoudre chacun avec leur force et avec leur conviction. Le résultat peut, alors, pencher, malgré les déclarations des auteurs vers ce passé condamné et indiqué comme modèle à éviter. L’intérêt de ces articles est alors dans le choix de «préciser quelques éléments et radiographier un échantillon d’œuvres pour mettre à jour la réalité de la pratique imitative», mais surtout «d’interroger les pièces elles-mêmes, tragédies et comédies, plutôt que de se référer aux arts poétiques et autres déclarations d’intentions présentes dans […] les textes préfaciels» (J.-Cl. Ternaux, p. 10). C’est reconnaître la distance entre les propos, les projets et leur réalisation comme dans le cas de La Trésorière de Grévin (Jean-Claude Ternaux, La comédie humaniste et la farce : La Trésorière de Grévin, pp. 77-93), où, malgré la volonté déclarée dans l’avant-jeu, la pièce trahit de nombreux éléments de la farce, d’influences du modèle médiéval dans le choix des thèmes, mais aussi dans les procédés et dans les circonstances de la représentation : La Trésorière peut ainsi être considérée une «comédie farcesque» (p. 82). La comédie peut trouver ses modèles non seulement dans les genres comiques du Moyen Age, mais aussi dans des genres différents ; c’est le sujet de l’article de Patrizia De Capitani (Patrizia De Capitani, La mort apparente et ses modèles narratifs dans la comédie italienne du XVIe siècle, pp. 107-125) qui étudie ce phénomène à travers les rapports entre le roman chevaleresque et le théâtre. Le Roland amoureux, Le Roland furieux offrent la possibilité aux auteurs italiens de renouveler leurs comédies. Le thème de la mort apparente, analysé en profondeur par Patrizia De Capitani, est un exemple significatif de ce lien entre genres différents. Le théâtre en effet trouve souvent ses sujets ailleurs que dans les modèles théâtraux. L’histoire est l’une des sources les plus importantes, surtout pour la tragédie. Les exemples du passé, les «miseres et calamitez d’autreffois», peuvent devenir les sujets de la nouvelle tragédie. Il suffit d’ajouter au matériel des auteurs du passé (Zonaras, Hérodien, Julius Capitolinus) une ‘passion’, l’ambition dans le cas d’Antoine Favre, pour exprimer le cadre moral «préalable au cadre politique dans lequel se déploie le genre même de la tragédie à la fin du XVIe siècle, conçue dans son intention et ses effets comme l’amplification en forme de lieu commun d’un exemple historique afin de donner une leçon» (p. 44). C’est le sujet de l’article de Jean Balsamo (Jean Balsamo, Rhétorique et politique dans Les Gordiens et les Maximins (1589) d’Antoine Favre, pp. 39-49), où la tragédie-fleuve de Favre est soumise à une fine analyse qui permet de saisir non seulement l’exactitude historique de la pièce, mais aussi le fait qu’il ne s’agit pas d’«une simple amplification versifiée de l’histoire et

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sa mise ne forme, selon les besoins et les règles du poème tragique». Favre, dans cette longue pièce, «ne se borne pas à répéter le portrait détaillé de tyran offert par Hérodien ; il le charge de couleurs d’origine sénéquienne, pour en faire un personnage monstrueux dans son excès […] Il inverse enfin l’ordre de la narration, en faisant apparaître, au contraire de L’Histoire auguste, les Gordiens avant les Maximins, pour créer un effet dramatique de suspens, l’attente du personnage criminel.» (p. 42) La tragédie s’occupe de l’illusion, l’histoire du vrai : Polybe avait souligné la différence entre histoire et théâtre en indiquant leurs grandes divergences, voire leurs oppositions puisque la tragédie doit émouvoir ‘pour un moment’ les spectateurs tandis que l’histoire doit instruire et convaincre ‘pour tout le temps’. En effet, «réduits aux termes du débat politique de son époque, Les Gordiens et Maximins proposent une double réfutation, celle de la politique machiavélienne, confondue avec la définition tyrannique qu’en avait donnée Gentillet, mais aussi celle de monarchomaques et de leur prétendu «droit de révolte […] La pièce de Favre […] n’offre pas seulement le tableau de la ruine des Etats sous un mauvais régime, mais elle donne en termes très précis, dans le cadre d’une œuvre de fiction, un véritable programme, sous la forme de trois longs discours» (p. 46). La pièce trahit, en outre, la formation de son auteur qui dans cette réflexion sur les risques du pouvoir d’un seul, en tant que magistrat déclare son «adhésion aux valeurs du corps auquel il avait été agrégé et qui lui donnait sa véritable autorité» (p. 49). Et le théâtre «reste le seul lieu, le dernier forum où peut se déployer une grande éloquence délibérative, progressivement dépossédée de son rôle public» (p. 49). Le lieu théâtral est au centre d’un autre article : Emmanuel Buron, Modèle(s) générique(s) de la tragédie humaniste. La dramaturgie des frères La Taille, pp. 17-32. Le théâtre des frères de La Taille est ici considéré dans son ensemble puisque, d’après l’auteur, «les convergences dramaturgiques, poétiques et idéologiques entre les œuvres des deux frères sont telles qu’on peut les considérer comme une œuvre unique et homogène» (p. 19). Ce que deviendra par la suite une des fameuses unités, celle de lieu, mérite une grande attention dans cette période de création à travers les modèles de l’Antiquité et du Moyen Age. C’est à travers l’organisation de ce lieu qui se précise alors le rôle des modèles et que les lieux deviennent «significatifs» grâce à un réseau de relations qui s’établit entre eux. Sur le complexe rapport avec le théâtre du Moyen Age revient l’article de Charles Mazouer (Charles Mazouer, La tragédie religieuse de la Renaissance et le mystère médiéval : l’attirance d’un contre-modèle, pp. 95-105) qui grâce à ses nombreuses recherches nous offre un riche tableau de tragédies religieuses du XVIe siècle qui ont le mystère médiéval en tant que contre-modèle. Les auteurs qui au milieu du XVIe siècle veulent créer un théâtre national pour ‘illustrer’ la langue et la littérature française, connaissent le théâtre de forme médiévale et démontrent une certaine attirance pour la forme du mystère même s’ils se servent des nouvelles formes dramatiques. Les auteurs étudiés ont publié leurs pièces entre 1547 et 1566 : Marguerite de Navarre, Louis Des Masures, Théodore de Bèze, Joichim de Coignac et Antoine de La Croix. L’analyse va au cœur de cette contradiction qui trouve sa raison d’être dans une nouvelle sensibilité religieuse qui ne peut plus accepter l’esprit religieux du mystère avec son mélange avec le comique et la dérision, mais qui est encore attiré par les réalisations sur le plan esthétique : «si Marguerite de Navarre vide la forme du mystère de son contenu, si Théodore de Bèze s’en souvient tout en créant une nouvelle tragédie, les tragicomédies, tragédies et tragédies saintes des de La Croix, de Cognac et Des Masures se servent sans scrupule de la dramaturgie du mystère honni» (p. 105). D’autres sujets de réflexions nous sont offerts aussi par les articles qui traitent surtout l’imitation des thèmes : Florence Dobby-Poirson, La figure de la Bacchante dans la tragédie humaniste française, pp. 63-76, qui analyse les différentes fonctions de cette figure dans les tragédies de Jodelle, La Péruse, Garnier, Robelin, Bounin et Clarisse Liénard, Le suicide dans les tragédies de Robert Garnier : les influences néo-stoïciennes, pp. 51-61. A travers l’analyse du suicide dans les tragédies du dramaturge sans doute le plus étudié du XVIe siècle, Clarisse Liénard nous offre l’influence sur ce théâtre de Sénèque, certes, mais aussi du stoïcisme. La mort volontaire est au centre d’une ample réflexion qui porte les auteurs chrétiens à la reconsidérer à la lumière d’une volonté de purification. «la mort n’est plus seulement un acte de liberté, mais un moyen de purification et de rédemption, voire un châtiment» (p. 57). L’œuvre de Garnier, depuis ses premières tragédies jusqu’aux Juifves en donne un tableau exemplaire qui démontre l’impossibilité de donner du suicide une «lecture univoque. D’abord signe de la défaite et du renoncement, puis affirmation ultime de la liberté individuelle, il est finalement vécu comme un sacrifice, une expiation volontaire de la faute, qui renoue avec une optique religieuse» (p. 60). Encore à Garnier est consacré l’article de Jean-Dominique Beaudin, Sophocle, modèle de Robert Garnier, pp. 33-38. Ici Beaudin porte une attention particulière, de grand connaisseur de Robert Garnier duquel il a donné d’importantes éditions critiques, sur Antigone (1580). Sénèque, Stace sont les modèles reconnus. Mais tout comme dans le cas de la tragédie de Favre, et ce phénomène est assez répandu dans la période étudiée dans ces articles, le titre de la tragédie est complété par la présence d’une passion qui limite et en même temps souligne l’originalité des tragédies. Dans ce cas il s’agit de la ‘pitié’, c’est grâce à la pitié que Garnier «a su donner à sa tragédie des significations nouvelles et contemporaines : un sens politique d’abord, en opposant deux images du pouvoir, celle du bon roi et celle du tyran, un sens religieux ensuite, en donnant au mythe païen une tonalité chrétienne. On peut mesurer aussi comment il a su tantôt amplifier la source grecque dans un sens pathétique, et tantôt en condenser les péripéties pour créer une accélération du tempo dramatique en fin de pièce, donnant ainsi au spectateur l’impression que l’orgueil et la démesure de Créon entraine des catastrophes en chaîne. L’apparente conformité de la tragédie françaises à son modèle grec ne saurait masquer cette double originalité, idéologique et dramatique» (p. 38). Il est alors intéressant de relever que Beaudin utilise, à ce propos, non pas le terme d’imitation, mais celui de «contamination», qui donne une dimension beaucoup moins précise par rapport aux modèles et beaucoup plus liée à la réalité du XVIe siècle alors qu’on indiquait l’importance du modèle mais aussi celle de l’originalité : «il ne faut pas pourtant que le Poète qui doit exceller, soit imitateur juré ni perpétuel. Ains se propose non seulement de pouvoir ajouter

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du sien, mais encore de pouvoir faire mieux en plusieurs points.[…] Par seule imitation rien ne se fait grand ; c’est le fait d’un homme paresseux et de peu de cœur, de marcher toujours après un autre […]. L’office d’un Poète, est de donner nouveauté aux choses vieilles, autorité aux nouvelles, beauté aux rudes, lumière aux obscures, foi aux douteuses, et à toute leur naturel et à leur naturel toutes»15. Mariangela Miotti (Université de Perugia) *******

Correspondance du cardinal Jean Du Bellay, tome IV (1547-1548), éditée par Rémy Scheurer, Loris Petris avec David Amherdt, avec la collaboration de Nathalie Guillod, Paris, Société de l'Histoire de France, 2011, 445 pp.

Ce volume contient la correspondance de Jean du Bellay entre son départ pour Rome en juillet 1547 et la fin de l’année 1548. Il compte quelque deux cents lettres et mémoires, dont les trois quarts écrits par le cardinal à une vingtaine de personnes, principalement Henri II, Anne de Montmorency, Charles de Guise et des familiers. Ecrites souvent avec une grande liberté, ces lettres révèlent des qualités d’écriture qui font de Jean du Bellay, homme paradoxalement autoritaire et sensible, un véritable écrivain de la Renaissance, avec tout ce que cela implique de curiosité intellectuelle, de goût artistique et de culture classique.

Témoin bien informé, Jean du Bellay est aussi un acteur qui s’implique à l’occasion de manière forte. Sa correspondance ne se limite pas à la relation d’événements : elle exprime des intentions et contient des jugements ainsi que des appréciations. Elle permet de connaître le réseau d’information du cardinal, son influence sur les personnes et les événements ainsi que ses relations de collaboration et de concurrence avec les autres représentants du roi de France à Rome. Rédigées souvent avec une grande liberté, ces lettres révèlent des qualités d’écriture qui font de Jean du Bellay, homme paradoxalement autoritaire et sensible, un véritable écrivain de la Renaissance, pétri de culture classique, de curiosité intellectuelle et de goût artistique.

La publication est complétée en ligne par une banque de données répertoriant l’ensemble de la correspondance jusqu’au présent tome, cfr. www.unine.ch/jeandubellay)

15 Jacques Peletier du Mans, Art poétique (1555) in F. Goyet, éd. cit., p. 256.

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In memoriam

Jeanne Veyrin-Forrer (1919-2010) Il y a un an, peu après Henri-Jean Martin, son maître et ami, disparaissait Jeanne Veyrin-Forrer, qui a tant contribué à modifier en France l’intérêt pour l’histoire du livre, et plus particulièrement pour la bibliographie matérielle à laquelle elle s’était formée en Angleterre. Elle en avait gardé des liens particulièrement fidèles avec le monde anglo-saxon, où elle était reconnue depuis très longtemps — ainsi de Wallace Kirsop, Alison Saunders, Stephen Rawles, Francis Higman et beaucoup d’autres —, et elle publia souvent ses articles dans des revues ou des Mélanges étrangers, avant d’en réunir une vingtaine en 1987 dans un recueil devenu indispensable, La lettre et le texte. Trente années de recherche sur l’histoire du livre.

Ses amis de la Bibliothèque nationale sauraient parler du rôle décisif qu’elle a joué en ce domaine et de l’impulsion qu’elle a donnée à l’élaboration du “Renouard”, la monumentale bibliographie des Imprimeurs et libraires parisiens du XVIe siècle issue du don fait en 1956 à la Bibliothèque nationale des papiers de Philippe Renouard. Au cours des longues années de sa présence dans le haut lieu de la rue Richelieu, elle a progressivement fait comprendre la nécessité de la bibliographie matérielle, à la fois à la Réserve – où elle est entrée en 1943 et qu’elle a dirigée de 1970 à 1986 –, dans ses cours à la IVe section de l’École pratique des Hautes Études, à l’École nationale supérieure de bibliothécaires ou à l’École nationale des Chartes, mais aussi partout où elle pouvait rencontrer des universitaires à instruire, car on se souvient que les “littéraires” français ne recevaient alors aucune formation en matière de bibliographie matérielle, sinon par hasard.

Elle mit donc tous ses efforts à faire acquérir un minimum de connaissances en ces domaines à ceux qui prétendent s’intéresser aux œuvres de la Renaissance: son article “Fabriquer un livre au XVIe siècle” n’hésitait pas à instruire avec simplicité, et combien de cours ont pu commencer en pliant une grande feuille de papier une, deux, trois, quatre fois, ou davantage si les questions fusaient, avant de passer aux ciseaux! Il n’était d’ailleurs pas facile, du temps de la Réserve de Richelieu, d’entrer dans les bonnes grâces de Jeanne Veyrin-Forrer quand, jeune universitaire sans galon ni coterie, on révélait des ignorances impardonnables; mais dès qu’on défendait avec une persévérance anormale tel ou tel projet de publication d’une œuvre singulière, sa confiance et sa générosité, voire sa curiosité amusée, changeaient bien des choses — elle me surnomma ainsi “1560” en raison de deux ouvrages avec lesquels il fallait littéralement “en découdre”.

Elle qui apporta tant dans ses dernières années à l’étude matérielle des éditions de Marot au point de modifier la conception qu’on avait du rôle du poète dans ces éditions, n’hésitait pas (encore en 1997) à assister à la Rue d’Ulm à des cours qui profitaient de ses recherches. Beaucoup savent ce qu’ils lui doivent pour l’importance qu’elle a

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accordée à la typographie, notamment en fouillant le matériel de quelques artisans fondeurs de caractères comme Augereau, Garamont etc., ou bien celui de quelques imprimeurs lyonnais. Elle aura dressé peu à peu l’œil de ses lecteurs, les aura rendus attentifs à quelques détails, de plus en plus nombreux, et aura aussi fait prendre conscience de la valeur des recueils conçus par des collectionneurs comme François Rasse des Neux, qu’elle a en quelque sorte fait renaître : c’est devenu un plaisir de découvrir dans les bibliothèques des exemplaires nouveaux de tel ou tel de ces personnages qui ont fait survivre tant d’œuvres. Il faut ajouter à tous ces travaux l’impulsion qu’elle a donnée à plusieurs expositions sur le livre, comme à Ronsard, la trompette et la Lyre (1985).

Pour qui a été quasiment sa voisine pendant les vingt dernières années de sa vie, sa silhouette élégante jusqu’à la sévérité, que tempéraient la fraîcheur et la gaieté de l’écossais qu’elle portait mieux que personne, reste toujours présente dans les jardins du Luxembourg où elle venait tranquillement lire des revues de bibliographie, quand elle ne travaillait pas dans son petit bureau en se battant contre un ordinateur. Il était facile de l’arrêter à tout moment sur le boulevard Montparnasse, ou d’interrompre sa lecture pour discuter longuement, et sa férocité salutaire n’avait pas cessé quand elle évoquait des erreurs qui l’étonneraient toujours; mais on pouvait tout autant s’amuser avec elle de l’agitation des canards barbotant dans les mares que la pluie venait de créer sur les pelouses d’un jardin déserté, tant il y avait en elle depuis toujours un œil de peintre, dont la précision l’a toujours aidée dans ce qui était devenu son métier et sa passion.

Marie Madeleine Fontaine

Ricordo del Prof. Sergio Cigada Ancorato ne l futuro La curiosità e l’interesse del Prof. Sergio Cigada per la Linguistica e la Fonetica nascono dai suoi studi di metrica – punto di confluenza delle scienze linguistiche e della letteratura - che sono all’origine di una vera e propria passione per i suoni della lingua, per quel significante “rigido” forgiato e cesellato dalle abili mani del poeta. La solida formazione filologico-letteraria acquisita alla scuola del Prof. Raffaele De Cesare diede notevoli risultati nell’ambito ben consolidato della ricerca letteraria medioevale e moderna servendo al tempo stesso quale trampolino verso ricerche innovative nel settore della lingua. Allievi e collaboratori ricordano con nostalgia l’impegno formativo profuso durante i cicli di seminari di metrica della fine degli anni Settanta durante i quali, allo sviluppo del quadro teorico, si affiancavano esercizi pratici e “compiti a casa” che consistevano nel contar sillabe, porre accenti primari e secondari, individuare cesure e enjambements a partire da celebri testi poetici seppelliti nella memoria. Seguì la stagione dell’elaborazione del concetto di culminatore semantico, altra feconda tematica nell’albo dei ricordi, poi quella del linguaggio metafonologico e molte altre ancora che traspaiono nettamente dall’elenco delle sue pubblicazioni. L’attività di Sergio Cigada in àmbito linguistico è stata animata da un costante slancio precorritore mirato a cogliere - se non addirittura ad anticipare - i segni emergenti dai nuovi contesti socio-economici che ha saputo prontamente trasporre e valorizzare all’interno della Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere da lui creata nel 1990 e presieduta sino alla quiescenza. Ci piace ricordare, tra i settori potenziati, l’insegnamento precoce delle lingue, oggetto di Convegni del CLUC (Centro di Linguistica dell’Università Cattolica da lui fondato nel 1979) sin dal primo anno di attività; le nuove tecnologie e i media (apertura dei corsi di Laurea in Tecnologie Informatiche e Comunicazioni); la multiculturalità e i processi di integrazione (apertura del corso di Laurea in Esperto per la mediazione interculturale; esperienze pilota e istituzione di un Master per l’insegnamento dell’italiano L2); i contesti economici e geopolitici nazionali ed internazionali (accensione dei corsi di Laurea in Esperto linguistico d’impresa e per le Relazioni Internazionali).

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E sono solo alcuni campi di azione tra i molti che hanno segnato la sua lunga e brillante carriera accademica. L’adesione pragmatica ad una sorta di Realpolitik lo ha condotto ad interpretare con grande perspicacia i mutamenti ineluttabili del nostro tempo operando attivamente nell’area linguistica divenuta oggetto di forte richiesta anche se vieppiù circoscritta alla sola lingua inglese, con un effetto di riduzione culturale non condivisibile da un uomo di così grande cultura. In effetti, in perfetta sintonia con quelli che sarebbero diventati gli orientamenti del Consiglio d’Europa, la sua lungimiranza operativa è stata sempre sorretta dal convincimento profondo del valore del plurilinguismo sovente esplicitato nella storica frase: “una sola lingua significa l’inglese; due lingue significa tutte le lingue”. Pienamente consapevole del fatto che una tradizione di studi si costruisce tenacemente, giorno dopo giorno, un mattone dopo l’altro, ha lavorato in prima persona, instancabilmente dedito alla cura del minimo dettaglio. Emblematica a questo proposito l’attenzione posta alla rassegna di Linguistica francese nella rivista “Studi Francesi”, fondata e diretta in prima persona per lunghi anni e concretamente composta e corretta pagina per pagina dallo stesso curatore. Suscita ammirazione la sua eccezionale capacità di lavoro sorretta da un’affabilità e da una capacità di ascolto che mettevano a proprio agio l’interlocutore spronandolo a dare il meglio di sé. Per primo e più di tutti ha mostrato di credere nell’autonomia epistemologica delle scienze linguistiche contribuendo in modo determinante alla costruzione del raggruppamento disciplinare di Linguistica francese, dotandolo di una forte identità scientifica e “spirituale”. A lui dobbiamo l’istituzione di un Dottorato di Linguistica francese - unico nel panorama nazionale -, vera fucina per le giovani generazioni. Quanti lo hanno conosciuto ricorderanno il tratto signorile e cordiale, la vasta cultura, la sottile ironia, il genio talora machiavellico. Chi, come me, ha avuto il privilegio di frequentarlo per molti anni, anche al di fuori dall’ambiente accademico, ha potuto apprezzare la semplicità dell’uomo, il suo gusto per la natura e i sani piaceri della vita - dalla cucina allo sport - ma soprattutto il grande amore per la sua famiglia.

Enrica Galazzi

PER FRANCESCO ORLANDO

Francesco Orlando si è formato nella Palermo degli anni’50 del secolo scorso. Sul suo rapporto con il

principe di Lampedusa, l’autore del Gattopardo, si è scritto molto e lui stesso ha lasciato un bellissimo documento (Ricordo di Lampedusa, 1962; ripubblicato nel 1996 seguito da Da distanze diverse). Allievo di quel grande dilettante, in lezioni molto sui generis, egli viene iniziato alla letteratura europea secondo prospettive originali che lo influenzeranno in maniera decisiva. In seguito, dapprima sotto la guida di Arnaldo Pizzorusso all’Università di Pisa, poi nella stessa città alla Scuola Normale, quindi a Parigi con soggiorni alla Biblioteca Nazionale, Orlando si forgia i ferri del mestiere di francesista. È del 1963 il libro su Rotrou (Rotrou. Dalla tragicommedia alla tragedia), lavoro che, sulla scia del rinnovamento degli studi sul barocco inaugurato da Jean Rousset, dà un contributo fondamentale alla riscoperta di quel drammaturgo e illumina un momento della produzione teatrale del primo Seicento francese

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secondo la prospettiva di un’apertura internazionale che, nel contesto dell’epoca, non era consueta. Ma lo studioso inappuntabile, perfettamente a conoscenza della bibliografia specialistica relativa all’argomento che affronta, non si dimenticherà mai della sua prima formazione palermitana e del suo antico, eccezionale maestro. Direi anzi che proprio nella sintesi tra “dilettantismo”, inteso nel senso più alto, ed esercizio quasi maniacale del rigore specialistico e dello spirito sistematico consiste la cifra così originale del metodo critico da lui messo a punto. In seguito questa doppia cifra troverà un’ulteriore sanzione nel modello costituito da Mimesis di Erich Auerbach, modello che, fino all’ultimo, Orlando ha continuato a considerare ineguagliabile. È nel volume troppo poco noto intitolato Infanzia, memoria e storia da Rousseau ai Romantici (1966), ripubblicato di recente, che egli adotta per la prima volta il metodo dei campioni disposti in sequenza cronologica appreso dallo studioso tedesco. Partendo dalla novità storica costituita dalla scoperta rousseauiana dell’infanzia come primo esempio della trattazione seria di una materia fino ad allora ritenuta indegna di rappresentazione letteraria, Orlando indaga la complessa rifrazione del tema in una serie di testi memorialistici sull’arco di due generazioni. Fin da questo libro risulta evidente quella che rimarrà la caratteristica costante d’un approccio critico in cui si fondono mirabilmente il meglio dell’eredità storicistica e le nuove suggestioni della linguistica strutturale e della semiotica: il singolo testo viene sottoposto a un’analisi minuziosissima volta a cogliere ogni minima sfumatura semantica e stilistica; contemporaneamente il testo stesso viene considerato come una sorta di punta d’iceberg profondamente immerso nella storia, storia di cui si tratta di rintracciare i motivi e le tracce “deformate” all’interno della configurazione testuale. Lo stesso esercizio critico, ma con prospettive di gran lunga più ampie, si ritrova in un volume assai più tardo che ha avuto grande risonanza in Italia e all’estero (è recentissima la traduzione francese presso la casa editrice “Classiques Garnier”), Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura (1993 e 1994). In questo lavoro Francesco Orlando risponde alla crisi degli studi letterari determinata dall’inaridimento dell’approccio strutturalistico con una nuova ricerca in cui si combinano la problematizzazione teorica, il rinnovamento dell’approccio tematico, la sensibilità del grande lettore esercitata sui classici dell’intera tradizione occidentale. Mai come in questo libro, in cui risultano presi in esame centinaia di testi, dai più antichi a quelli novecenteschi, emergono le qualità combinate del grande specialista alieno da vacua erudizione e del grande dilettante che rifugge da semplificazioni e approssimazioni. L’intuizione centrale consiste nel mostrare come, soprattutto a partire dalla “svolta storica” situata tra fine Sette e inizi Ottocento che pone le premesse del carattere dominante della merce e dell’utile in Europa, la letteratura privilegi la rappresentazione di oggetti inutili, logori, scartati, e con ciò contesti l’ordine della funzionalità borghese e della sua efficienza evocando, per contrasto, altri modi possibili del rapporto fra gli uomini e le cose.

Il libro sugli oggetti desueti presuppone i risultati della riflessione che Francesco Orlando aveva consegnato nel ciclo dei quattro studi freudiani comparsi tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80: Lettura freudiana della «Phèdre» (1971), Per una teoria freudiana della letteratura (1973), Lettura freudiana del «Misanthrope» (1979), Illuminismo e retorica freudiana (1982, poi ripubblicato nel 1997 con il titolo Illuminismo, barocco e retorica freudiana). L’insieme di questi studi rappresenta una delle proposte di teorizzazione del fenomeno letterario più originali e coerenti avanzate recentemente in campo italiano e non solo. Prendendo le distanze sia dal contenutismo freudiano che tendeva a ritrovare ovunque simboli per lo più sessuali, sia dal biografismo che riportava tutto all’inconscio dell’autore, Orlando prospetta una lettura dell’opera di Freud in chiave retorica e logica individuando nel libro sul motto di spirito il modello capitale per l’interpretazione dei testi letterari. Al centro di questa proposta, nella quale la sistematizzazione teorica trova un imprescindibile complemento nell’applicazione analitica, stanno le nozioni di repressione, di ritorno del represso e di formazione di compromesso desunte dalla psicanalisi. Ma va sottolineato che, nell’opera di Orlando, la prospettiva psicanalitica risulta sempre strettamente intrecciata alla dimensione storica, in polemica con una certa vulgata, di matrice soprattutto junghiana, che reifica come scarto incolmabile il rapporto fra psiche e storia. Per Orlando, che si rifà alla fondamentale rielaborazione teorica del pensiero di Freud dovuta allo psicanalista cileno Ignacio Matte Blanco, l’inconscio si manifesta attraverso una logica, sia pure non ortodossa, che come tale non può non permeare storicamente la coscienza e la cultura: “Ciò che è inconscio – egli afferma – non potrebbe senza contraddizioni in termini essere, o essere stato, coscienza e cultura. A meno di non ammettere che la cosa mal denominata così sia altrimenti definibile, meglio che su base psicologica: riconoscendo – almeno come antilogica – una logica che oggi e da tempo giudichiamo cattiva”. Così, il desiderio proibito della Fedra di Racine o le contraddizioni in cui si dibatte l’Alceste di Molière, decifrati nelle loro complesse ramificazioni simboliche, trovano pienamente senso solo all’interno dei paradigmi ideologici e morali collettivi che li surdeterminano. E, nel libro sull’Illuminismo, il passaggio retorico dal metaforismo barocco al metalogismo illuministico viene studiato sullo sfondo del trapasso epocale dal regime di dominanza del principio di analogia a quello del principio di identità.

Se, in termini molto generali, dovessi riassumere il contenuto della lezione metodologica di Francesco Orlando, direi che esso consiste nel perseguire la traduzione dell’ineffabile nell’effabile, nel ricondurre la complessa opacità di quanto, in sede artistica, chiamiamo bellezza a una trama di rapporti analizzabili. E ciò a vantaggio, e non a spese, del godimento estetico; contro tutte le posizioni di matrice idealistica che pretenderebbero mettere quest’ultimo in statutario contrasto con l’obiettivo d’una rigorosa decifrazione del senso. I frequenti ascolti

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musicali che ho avuto il privilegio di fare insieme a lui – Orlando aveva nutrito fin dalla giovinezza una grande passione per la musica (quella di Wagner soprattutto, ma in maniera tutt’altro che esclusiva, anzi programmaticamente eclettica), e possedeva una sterminata collezione di dischi e partiture - hanno costituito per me una lezione insostituibile da questo punto di vista: sotto la sua guida, l’abbandono al piacere della fruizione musicale e la lettura delle notazioni del pentagramma diventavano, nella loro contestualità, un formidabile esercizio ermeneutico, e l’incremento di “sapere” fornito dal supporto della partitura non faceva che esaltare il “sentire” prodotto dall’effetto dei suoni. Una tale posizione, per quanto attiene al testo letterario, implica la concezione del testo stesso come sistema di relazioni formalizzabili in una serie di opposizioni e di corrispondenze che si manifestano sui vari piani del discorso, e che sono riportabili ai “paradigmi” di relazioni semantiche soggiacenti in cui si articola il significato dell’opera. Per questo, senza escludere l’apporto che è suscettibile di fornire ogni prospettiva “esogena” o intertestuale, Orlando ha sempre considerato il lavoro dell’interpretazione del singolo testo come l’esercizio supremo della critica letteraria. Ed è animato da simili intenzioni che, nel saggio intitolato L’intimità e la storia (1998), egli si rivolge al Gattopardo, sottoponendo questo romanzo a un’articolatissima “scomposizione paradigmatica” in funzione dell’individuazione e dell’organizzazione dei suoi “temi” portanti e delle loro diramazioni narrative. Il risultato finisce per valorizzare in maniera definitiva la straordinaria complessità e “modernità” dell’opera e per situare il capolavoro di Lampedusa, contro i fraintendimenti di tante letture più o meno recenti, nella grande tradizione del romanzo europeo a cui esso appartiene di diritto. Ma al di là dell’interpretazione specifica del romanzo di Lampedusa, il saggio sul Gattopardo potrebbe essere considerato come la prima tappa verso un progetto di ricerca, mai terminato, dedicato alle figure dell’invenzione. Lo scopo di tale studio, estremamente ambizioso, doveva consistere nell’indagine delle leggi fondamentali della poiesi e dell’organizzazione figurale del discorso letterario. E ciò a partire da un postulato generalmente freudiano (che si specifica nella nozione di “classe logica” così come Matte Blanco l’ha definita) secondo il quale - ricorro a una formulazione che si trova nel libro sul Gattopardo – la letteratura valorizza una logica “meno rigorosa, di origine infantile, [che] non privilegia affatto come ci aspetteremmo l’individuale e il concreto. Stenta o tarda invece a distinguerlo e delimitarlo, inclina a sommergerlo nel più universale e nel più astratto. Basta una qualità comune a due cose perché le confonda in una cosa sola: virtualmente, nell’insieme di tutte le cose che posseggono quella qualità”.

Chi ha avuto modo di conoscere Francesco Orlando, non può non conservare di lui un ricordo incancellabile. La grande generosità, l’inesausto fervore intellettuale, i modi “aristocratici” spinti fino a una certa cerimoniosità che, comunque, non escludeva affatto un sovrano anticonformismo e uno stile cameratesco, tali erano i suoi tratti salienti. La sua parola sempre calata in impeccabili strutture sintattiche - si trattasse d’una conferenza, d’una lezione universitaria o d’una conversazione tra amici - era immancabilmente un formidabile veicolo di idee e suggestioni penetranti. A chiunque si rivolgesse - il collega, come lo studente di primo anno - egli tributava una fiducia, profondamente democratica, che aveva radici nell’idea che tutti possono comprendere e giudicare sulla base di una buona argomentazione razionale. Ma la forza del suo ideale di razionalità, beninteso, si misurava dalla capacità della ragione di capire, senza pretese esorcistiche, ciò che sembra contraddirla. Niente poteva venire assunto passivamente, tutto doveva essere interpretato. Tuttavia Orlando rifiutava nettamente, con spirito che si potrebbe definire militante, l’idea che un’interpretazione potesse valerne un’altra. Contro tutti gli atteggiamenti “relativisti” che vorrebbero ridurre i fatti a “narrazioni” parimenti accettabili, la sua rivendicazione d’un primato della razionalità era anche etica. Ed è a quest’etica d’una razionalità in grado di comprendere ciò che la nega che si può ricondurre anche l’ultimo contributo compiuto di Orlando, da lui consegnato alle stampe, dopo molti tentennamenti, solo pochi mesi prima di morire: non un saggio ma un singolare romanzo, La doppia seduzione, la cui prima redazione - letta e apprezzata da Lampedusa - risale a quando l’autore era ventenne e che è stato sottoposto a un laborioso rimaneggiamento durante gli ultimi dieci anni della sua vita. Attraverso una vicenda dall’esito tragico che mostra il rovescio sado-masochistico di una fascinazione erotica tra due giovani, il lettore viene messo di fronte alle antinomie e alle contorsioni in cui si dibattono le relazioni umane, tutte inevitabilmente situate tra ordine “razionale” e disordine “perverso”. Così, sotto la forma per lui inusuale della finzione, Francesco Orlando si è cimentato una volta di più, nella sua opera estrema, col binomio inscindibile all’insegna del quale egli ha proposto di considerare la letteratura e, più in generale, i fenomeni culturali: la ragione e il represso.

Gianni Iotti

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VII. QUOTA SOCIALE 2011 Il Direttivo invita cortesemente i soci che non avessero ancora provveduto al rinnovo della loro iscrizione al Gruppo per il 2011 o che desiderano iscriversi per l’anno 2011 ad effettuare il versamento sul Conto Corrente Postale Conto Corrente Postale n. 87003646 intestato a :

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PUBBLICAZIONI DEL GRUPPO

Ronsard e l’Italia. Ronsard in Italia, Atti del 1° Convegno del Gruppo di studio sul Cinquecento francese, Gargnano, 16-18 ottobre 1986, Fasano, Schena, 1988, 244 pp. Montaigne e l’Italia, Atti del Convegno Internazionale di Studi di Milano-Lecco, 26-30 ottobre 1988, Moncalieri-Genève, CIRVI-Slatkine, 1991, 654 pp. La scoperta dell’America e le lettere francesi, a cura di Enea Balmas, Milano, Cisalpino, 1992, 294 pp. Dalla tragedia rinascimentale alla tragicommedia barocca. Esperienze teatrali a confronto in Italia e in Francia, Atti del Convegno Internazionale di Studio, Verona-Mantova, 9-12 ottobre 1991, a cura di Elio Mosele, Fasano, Schena, 1993, 428 pp. Ferrara e la Francia. Dagli Atti del Convegno di Studi Alla Corte degli Estensi. Filosofia, arte e cultura a Ferrara nei secoli XV e XVI, in collaborazione con l’Università di Ferrara, Ferrara, 5-7 marzo 1992, a cura di Paolo Carile e Rosanna Gorris, Ferrara, Università degli Studi, 1994, 118 pp. Il romanzo nella Francia del Rinascimento: dall’eredità medievale all’“Astrea”, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Gargnano, 7-9 ottobre 1993, Fasano, Schena, 1996, 272 pp. Scritture dell’impegno dal Rinascimento all’età barocca, Atti del Convegno Internazionale di Studio, Gargnano, 11-13 ottobre 1994, Fasano, Schena, 1997, 232 pp. La Commedia dell’Arte tra Cinque e Seicento in Francia e in Europa, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Verona-Vicenza, 19-21 ottobre 1995, a cura di Elio Mosele, Fasano, Schena, 1997, 376 pp. Riflessioni teoriche e trattati di poetica tra Francia e Italia nel Cinquecento. Atti del Convegno Internazionale di Malcesine, 22-24 maggio 1997, Fasano, Schena, 1999, 256 pp. Il principe e il potere. Il discorso politico e letterario nella Francia del Cinquecento, Atti del Convegno Internazionale di Studio, Verona, 18-20 maggio 2000, a cura di Elio Mosele, Fasano, Schena, 2002, 240 pp. Macrocosmo-Microcosmo. Scrivere e pensare il mondo nel Cinquecento tra Italia e Francia, Atti del Convegno Internazionale di Studio, Verona, 23-25 maggio 2002, a cura di Rosanna Gorris Camos, Fasano, Schena, 2004, 304 pp. Les montagnes de l’esprit: imaginaire et histoire de la montagne à la Renaissance, Actes du Colloque International de Saint-Vincent (Vallée d’Aoste), les 22-23 novembre 2002, réunis par Rosanna Gorris Camos, Aoste, Musumeci, 2005, 360 pp. « Il Segretario è come un angelo ». Trattati, raccolte, epistolari, vite paradigmatiche, ovvero come essere un buon segretario nel Rinascimento, Atti del XIV Convegno del Gruppo di studio sul Cinquecento francese a cura di Rosanna Gorris, con la collaborazione di S. Arena e L. Colombo, Fasano, Schena, 2008, 368 pp. L’auteur à la Renaissance, Atti del Convegno internazionale di Verona, 20-23 maggio 2004, a cura di Rosanna Gorris Camos e AlexandreVanautgaerden, Turnhout, Brepols, 2009, 650 pp. “Et mi feci far una vesta di panno bianco… me partì et andai a Paris”: Giordano Bruno e la Francia, Atti della giornata del 19 aprile 2007, a cura di Rosanna Gorris, prefazione di Davide Bigalli, Roma, Vecchiarelli, 2009, 140 pp. Serie “Quaderni bibliografici”: Edizioni cinquecentesche di Pierre de Ronsard nelle Biblioteche italiane. Ricerca coordinata da Enea Balmas, Fasano,

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Schena, 1993, 236 pp. Edizioni seicentesche di Pierre de Ronsard nelle Biblioteche italiane. Ricerca coordinata da Enea Balmas, Fasano, Schena, 1996, 226 pp. Catalogo delle edizioni di Vittorio Baldini, a cura di Rosanna Gorris Camos (in preparazione).

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Universo Mondo Bolle t t ino d’ in formazione de l

Gruppo di Studio sul Cinquecento Francese

n. 36

ISSN 2039-6740

a cura di

Rosanna Gorris Camos (direzione, coordinazione scientifica e editoriale)

[email protected]

collaborano:

Sara Arena (editing)

[email protected]

Riccardo Benedettini (rassegna pubblicazioni, recensioni)

[email protected]

Anna Bettoni (rassegna convegni, recensoni)

[email protected]

Giampaolo Caliari (editing, recensioni)

[email protected]

Magda Campanini (editing)

[email protected]

Concetta Cavallini (rassegna convegni, recensioni)

[email protected]

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Laura Colombo

(editing ) [email protected]

Maria Grazia Dalai (recensioni)

[email protected]

Alberto Frigo (recensioni)

[email protected]

Anderson Magalhães

(rassegna pubblicazioni, recensioni, sito) [email protected]

Mariangela Miotti (recensioni)

[email protected]

Monia Mezzetti (recensioni)

[email protected]

Daniele Speziari (recensioni, editing, sito)

[email protected]

Alexandre Vanautgaerden [email protected]

Il Bollettino viene inviato gratuitamente ai Soci del “Gruppo di Studio sul Cinquecento Francese”, agli amici

Cinquecentisti nonché a tutti coloro che ne facciano richiesta via mail. UM è consultabile on-line sul sito www.cinquencentofrancese.it

Informazioni e richieste:

Prof. Rosanna Gorris Camos “Gruppo di Studio sul Cinquecento Francese”

Dipartimento di Romanistica Facoltà di Lingue e Letterature Straniere

Università di Verona Lungadige Porta Vittoria 41

37129 VERONA mailto: [email protected]

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