Ludovico Quaroni _ Barene di San Giuliano

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Ludovico Quaroni Concorso per un Quarere CEP alle Barene di San Giuliano - Mestre - 1959 IUAV _ Corso di Laurea in Scienze dell’Architeura _ A.A. 2011/2012 Progeazione Urbanisca _ Prof. Maeo D’ Ambros _Collaboratrici: Claudia Faraone, Stefania Uber Lorenza Pistore _ 269187

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Ludovico QuaroniConcorso per un Quartiere CEP alle Barene di San Giuliano - Mestre - 1959

IUAV _ Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura _ A.A. 2011/2012 Progettazione Urbanistica _ Prof. Matteo D’ Ambros _Collaboratrici: Claudia Faraone, Stefania Uberti Lorenza Pistore _ 269187

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indice

indice

il progettista

genesi dei quartieri coordinati

l’ esperienza veneziana

genesi del progetto

genesi del progetto: anularità - radialità - policentrismo

genesi del progetto: le forme

genesi del progetto: l’ edificato

genesi del progetto: aree verdi e rete stradale

genesi del progetto: pieni e vuoti

genesi del progetto: il quartiere

pag. 03-04

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indice

il progetto: i numeri

il progetto: le dimensioni

confronto: un altro Quaroni: il Casilino e il Lido di Classe

bibliografia

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il progettista

Ludovico Quaroni è stato un urbanista e architetto italiano del XX secolo.Si laurea in architettura presso l’Istituto di architettura dell’Università di Roma nel 1934.Dal 1947 al 1951 è vice-presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e sviluppa il suo impegno nella redazione di alcuni piani urbanistici tra cui il progetto del quartiere delle Barene di San Giuliano a Mestre nel 1960.

Ripercorrendo le cronache della sua carriera, si può dire che Quaroni sia passato dalla carnalità un po’ ribelle del Tiburtino e di La Martel-la, fuori dalle pieghe convenzionali della realtà professionale, alla intellettualità già terziaria e critica di un capitalismo internazionale delle Barene di San Giuliano e del Casilino, fino alla sapienza classica e perfino presocratica di colui che guarda con serena severità ma non sen-za affetto i suoi allievi.

“…è riuscito e costruirsi una facies intermedia tra il busto di Socrate, l’effigie architettonica da frontespizio di trattato, e la plasticità baroc-ca di uno di quei volti marmorei, tra il grottesco e il minaccioso, che ti scrutano dai cornicioni…” Franco Purini, Lotus, 40, 1983

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il progettista

“…questo progetto di città moderna fatta per parti e monumenti tra loro collegati in un disegno unitario, tutta disegnata nei suoi multipli aspetti dove… emergano le diverse personalità con le loro esperienze e i loro miti”

L’insieme del lavoro di Quaroni – architetto/urbanista, antico/moderno, sperimentale/accademico – si è interessato di quel rapporto arte/vita cercando si sfuggirne le semplificazioni, puntando piuttosto ad una concezione dell’essere architetti più ampia, ricca e complessivamente più adeguata.

Quaroni, col suo mito personale de “la città nella storia della sua figura”, sente che la città ideale non si può trattare con un disegno unico e sincronico, ma con la difficile congiunzione di frammenti tra loro disomogenei sia per tempi sia per ambiti e livelli disciplinari. Un collage problematico nella volontà di mantenere nelle difficoltà della modernizzazione l’unità tensionale – articolata e dialettica – tra urbanistica e architettura.

Una città non disegnabile come città ideale ma nemmeno come città analoga, perché avvolta nella sua vitalità aggrovigliata di cose fisiche e sociali, vecchie e nuove, architettoniche e urbanistiche, maggiori e minori, belle e brutte.Quell’idea di città di Quaroni insiste senza dubbio sull’immaginario dell’architettura italina contemporanea, nella sua composizione più eterogenea dei diversi materiali urbani.

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genesi dei quartieri coordinati

Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 25 gennaio 1954 viene istituito un “Comitato di Coordinamento dell’attività edilizia svolta col concorso dello Stato”, col compito di esaminare, stimolare e coordinare l’attività medesima in modo da convogliarla con assoluta priorità verso un’edilizia che fosse “popolarissima e popolare”.

Questa fu la genesi dei “quartieri coordinati”, così denominati per il fatto che vengono appunto realizzati attraverso il coordinamento dei programmi esecutivi dei maggiori Enti preposti all’edilizia popolare – tra questi Istituti per le Case Popolari, INA-CASA, INCIS, UNRRA-CA-SAS -, con la collaborazione dei Comuni interessati e sotto la guida e il finanziamento del Ministero dei Lavori Pubblici.

I quartieri coordinati sono da considerare come un tratto di quel quadro più ampio che prevedeva attività rinnovatrici all’interno di una nuova concezione della politica edilizia. L’idea nacque dalla constatazione che la giusta dimensione degli interventi nel campo dell’edilizia popolare dovesse essere individuata nel quartiere, cioè in quell’intima unità urbanistica che consentisse la soluzione ai problemi riguar-danti la realizzazione di servizi pubblici e attrezzature di carattere collettivo.

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l’esperienza veneziana

Il bando del 15 maggio 1959, sotto l’egida del Ministro dei Lavori Pubblici Togni, prevedeva un Concorso Nazionale per la progettazione di massima del piano urbanistica di un quartiere residenziale in Venezia-Mestre, località Barene di San Giuliano, in applicazione del program-ma del Comitato di coordinamento dell’edilizia popolare (CEP).Il Quartiere era destinato a costituire un primo nucleo del più vasto insediamento edilizio previsto nel piano regolatore veneziano di allora, un’espansione della città ai margini della laguna.

Il bando richiedeva un progetto che, per un importo di circa 6 miliardi di lire, comprendesse 2600 alloggi destinati alle famiglie che risiedevano in abitazioni vetuste e malsane, nonché a nuclei le cui esigenze di lavoro trovassero posto tra il centro storico e la zona industriale di Mestre.Vantando tra i partecipanti alcuni tra i maggiori esponenti dell’urbanistica di quegli anni – tra cui L. Piccinato, G. Samonà, G. Astengo, L. Benevolo, nonché L. Quaroni – il concorso fu vinto dal gruppo guidato dal Prof. Arch. Saverio Muratori.

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genesi del progetto

La posizione del terreno, rispetto a Venezia e a tutta la Laguna, nonchè rispetto a Mestre, era tale da suggerire a LQ, teso in quel periodo alla “magnificazione” delle idee, un “centro direzionale per la Grande Venezia”, cioè un polo amministrativo ma non solo, che riuscisse, baricentrico com’era, a risolvere i dissidi tra l’isola e la terraferma, passato da una tendenza verso Venezia nei dieci anni precedenti, ad una verso Mestre, con il volere di autonomia di questa novella città che sentiva ora la forza di sottrarsi alla potestà della Serenissima, minando però in tal modo alla storica unità di tutta la laguna.

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genesi del progetto

Si pensò quindi ad un progetto che potesse da un lato dare maggiore autonomia a Mestre, dall’altro che fosse ancora memore dell’antico legame con Venezia.

Il nuovo quartiere distava, in linea d’aria, 3km dal Porto di Campalto, 4.8km dalla Stazione di S. Lucia e dalla piazza di Mestre, 6.5km dal Ponte di Rialto, e fronteggiava la città lagunare così che sembrava esserle “a portata di mano”.

Scontro - IncontroTradizione - Innovazione

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genesi del progetto: anularità - radialità - policentrismo

LQ propose inizialmente una scomposizione secondo un insieme di cerchi, mancanti di un quarto, apertiverso Venezia. Dopo diversi tentativi, si giunse al disegno di un gruppo formato da tra anelli spezzati, uno medio, uno grande, uno grandissimo, costituenti tre edifici massicci ma non troppo alti che racchiudevano, in un giardino verde, altri servizi più piccoli distribuiti su un solo piano.Questi “tamburi” avevano altezze differenti e si disponevano attorno ad un ultimo edificio circolare, piccolo e spesso, ad un solo piano: era la corte circolare, riparata dai venti, che rappresentava la trasposizione sul quartiere della Piazza San Marco, a scala ridotta e con dimensioni differenti, intorno alla quale vi erano caffè e ristoranti, e intorno ad essi ancora un gruppo di negozi separati da una strada circolare.

Intorno alla Piazza girava un corso d’acqua che portava a una piccola darsena, anch’essa, per l’attracco di mezzi di trasporto.Questo sistema affacciava direttamente sullaLaguna e con le sue forme sembrava voler proprio ricordare i movimenti del territorio.

“Dialettica tra il modello interno ed il contesto esterno, tra centralità e serialità, sempre sotto il principio di policentrismo, di radialità e anularità.”

“Le cose più belle di LQ si trovano sulla inter-sezione di due coni (delle due spirali): laddove oggetti carichi di sentimento della città si in-contrano con forme urbane cariche di senti-mento dell’architettura; laddove viene messa in scena una armonia precaria tra morfologie del naturale e dell’artificiale; oppure stesure architettoniche presidiate dalle regole ogget-tive della geometria si intrecciano con altre la cui regola è la deroga, la variazione, l’eccezio-ne legata alla libertà individuale dell’uomo.”

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genesi del progetto: le forme

I tamburi, che erano case ma avrebbero inizialmente dovuto ospitare gli uffici della “Grande Venezia”, erano una “barriera” alla vista del mare e di Venezia. Tuttavia, le curve convesse, permettevano il passaggio della luce ed erano sufficienti a richiamare verso di essi e verso i giardini al loro interno, nonchè verso il panorama lagunare.Dietro i tamburi era prevista una distesa di “case su cor-te” senza facciate, alle quali si accedeva dall’alto, da una scaletta che scendeva nella piccola corte protetta dagli sguardi attraverso un muro. Le stanze prendevano aria e luce dalla corte, nello stile arabo, e l’insieme dei tettidelle case costituiva una enorme piastra (fig.3) , con leggeri dislivelli e scalee, rampe di accesso, dove muoversi protetti dal traffico nel tes-suto che era poi solcato, dve occorreva, dalle poche strade di traffico, ampie e fornite di parcheggi. Questo tessuto veniva contraddetto da altri tipi di edificato, sempre basso e molto articolato. Dove però l’area a disposizione terminava erano previsti alcuni piccoli grattacieli di circa venti piani che circondavano l’intero intervento con altezze tutte uguali e volumi corrispondenti, cosìcchè ne risultasse un insieme omogeneo di cose differenti, dove i materiali e i colori erano importantissimi.

“Mobilità-pluralità-stratificabilità spaziale/temporale di una città di cui LQ ama altrettanto la stabilità quanto la trasmutabilità.”

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genesi del progetto: l’edificato

Colui che volesse dai lembi estremi del progetto recarsi alcentro doveva scendere attraverso le variazioni delle costru-zioni residenziali a grappolo o a pettine (fig. 1 - 2), variati mol-to nelle forme, nelle aggregazioni e nei colori, per poi arrivare alla grande piastra (fig. 3) che raggiungeva almeno mezzo chi-lometro di ampiezza.

fig. 1

fig. 2

fig. 3Il sistema della piastra era interrotto nel tratto dietro il cen-tro commerciale per far posto ai licei e agli istituti professio-nali che, come la bibliotca, avevano bisogno di una regolari-tà maggiore.

“Possiamo vedere le esperienze sul modulo reticolare della turbina o del nucleo o del grappolo come esperimenti ap-punto sul tessuto minore delle barene di san giuliano.”

Ritroviamo “principi interni centrico-policentrici e l’adesione ambientale ad un luogo fatto della coninuità piena di con-trasti dei vincoli che si inflettono si incrociano si slargano nel vuoto urbano.”

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genesi del progetto: aree verdi e rete stradale

Tutto il progetto era punteggiato di aree verdi. In primis, i già citati giardini all’interno dei tamburi di fronte alla Laguna, vi erano poi aree verdi intorno alle aree residenziali, aree ver-di attrezzate in particolar modo vicino a strutture dedicate ai giovani, e infine aree verdi lasciate allo stato naturale tipico del paesaggio lagunare.w

La grande strada automobilistica che serviva l’intero quartiere si poneva framezzo l’area edificata e le grandi corti aperte, aumentando la cesura e il contrasto, cosicchè per raggiungerle si dovessero cercare i vicini ponti pe-donali. Ad ogni modo, la grande strada era stata tracciata per toccare tutte le parti più importanti ma soprattutto per sottolineare col suo percorso il sistema dei cerchi, con un sistema di curve e controcurve che era la spina dorsale dell’intero sistema.

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genesi del progetto: pieni e vuoti

Si può osservare “l’ eccellere delle emergenze cui attengono le re-gole peculiari del monumentale, però dentro il reticolo di un’edili-zia di base alle cui regole differenti l’architetto non può e non deve sottrarre il proprio servizio.”“L’eccezione dentro la regola”

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genesi del progetto: il quartiere

Tutto il complesso era diviso, dalla strada di penetrazione proveniente da Mestre, in due quartieri, ovest ed est, e tutto l’insieme era considerato, usando la terminologia di allora, una “città satellite”. A loro volta i due quartieri erano articolati il primo in quattro grandi unità e il secondo in tre e per ogni parte erano previsti i servizi, tenuto anche conto dell’ulteriore eventuale divisione delle unità stesse in nuclei minori.In ogni unità vi era polo scolastico costituito da asilo nido, scuola elementare e scuo-la media, con la loro rispettiva mensa, i parcheggi, la parrocchia e un cinema.

Aree:1_ 6635 mq2_ 6535 mq3_ 4000 mq4_ 3600 mq5_ 6100 mq6_ 7500 mq7_ 6410 mq8_ 5000 mqtot. 45780 mq

Scuole:Scuola Elementare_ 10000 mqMensa_ 3000 mqScuola Media_ 3600 mq Asilo Nido_ 1550 mq

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Se il progetto prevedeva 2600 alloggi per famiglie, approssimando una stima che tiene conto di quattro persone per nucleo familiare, il piano prevedeva l’insediamento di circa 10000 abitanti. Negli stessi anni in tutta Italia nascevano molti altri piani di edilizia popolare coordinata.

BARI 15.000 abitanti BERGAMO 5.000 abitanti

BOLOGNA 8.000 abitanti

CATANIA 10.000 abitanti

FIRENZE 13.000 abitanti

GENOVA 12.000 abitanti SASSARI 3.000 abitanti TORINO 17.000 abitanti

MESTRE 10.000 abitanti

il progetto: i numeri15

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il progetto: le dimensioni

QUARTIERE ALLE BARENE DI SAN GIULIANO46.000 mq

PIAZZA SAN PIETRO A ROMA33.000 mq

VENEZIA INSULARE211.380.000 mq

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PIAZZA SAN MARCO A VENEZIA23.000 mq

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confronto: un altro Quaroni: il Casilino e il Lido di Classe

Dal 1962 in poi Quaroni sviluppa altri progetti rientranti nella sfera dell’ edilizia economica popolare, tra questi il Lido di Classe e il Casilino di Roma, quartieri in cui ritroviamo analogie e morfologie che già abbiamo visto nelle Barene.Sarà in particolare il progetto per il Casilino ad essere l’emblema dell’approccio quaroniano, distinto da una nuova figuratività che abbraccia non solo un’intenzione di immagine sintetico-simbolica,ma anche il metodo normativo-metologico con i suoi vincoli.Qui le idee sulla forma e le norme sulla realizzazione prendono vita insieme, e sfociano in elaborati non solo tecnico-esecutivi, ma anche grafici e plastici, che esaltano con la tridimensionalità gli spunti già insiti nei precedenti progetti.

Le tre diverse ipotesi sono basate su differemti concezioni spaziali e plastiche, da realizzare con vincolo dei soli alline-amenti, dei materiali di finitura e delle coperture in un caso, con vincolo di pregettazione unitaria e prefabbricata, o con vincolo di volume, materiale di finitura e prescritte unità di progettazione negli altri due casi.

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confronto: un altro Quaroni: il Casilino e il Lido di Classe

Qui, l’incontro da le ragioni ideali e quelle pratiche sembra portare LQ a una soluzione tecnicamente più misurata e matura, toccando quindi anche quegli aspetti di una realtà più prettamente normativa che sembra invece aver messo al secondo posto nelle Barene.Anche in questi progetti ritroviamo tuttavia temi cari al progettista, pur perduti i gradi di complessità e storicità dell’allusivo progetto per Mestre : rapporto tra individualità e molteplicità/serialità, tra la forma e la norma, tra gesto creativo carico dal punto di vista del significato e qualità diffusa, in una figura che mantiene la sua unità plastica.

La ricerca sintetizzata nell’immagine delle Barene del rapporto tra qualità della forma e rispetto della norma, dopo le prove del Lido di Classe, raggiunge così l’apice nel Casilino di Roma.

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confronto: un altro Quaroni: il Casilino e il Lido di Classe

Tafuri ripropone la nozione di natura costruita come ipotesi alternativa all’ am-bientamento nella naturalità, concetto che viene confermato dallo stesso Quaroni: “un terreno fortemente piatto aveva bisogno di una forte riqualificazione architet-tonica per poterlo rendere interessante”.

Qui, rispetto a Mestre, per volere di una committen-za maggiormente legata alla ricchezza, il gioco delle forme perde contatto con i bisogni reali traducibili in tipi edilizi e le loro aggregazioni e allo stesso tempo con la forma della città “tradizionale”, che a Mestre era punto di contatto con la storia della città nella vita storica delle forme.

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confronto: un altro Quaroni: il Casilino e il Lido di Classe

Rimane la bellezza di una verifica plastica a grande scala, dove si esaltano le policentricità e si studiano gli effetti combinatori e i fenomenti ripetitivi che le grandi ossature possono avere, mantenendo ampia libertà, rispetto a un contesto paesistico complessivo. Trovandosi sul versante di quella che Zevi definirà urbaettura, troverà una sintesi teorica nella forma del territorio.

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bibliografia21

_Ludovico Quaroni : architetture per cinquant’anni / a cura di Antonino Terranova ; ordinamento critico dei progetti: Pippo Ciorra, Paolo Micalizzi, Maria Luisa Neri ; apparati bibliografici: Gabriella Villetti. - Roma ; Reggio Calabria : Gangemi, stampa 1985.

_Ciorra, Pippo - Quaroni, LudovicoLudovico Quaroni 1911-1987 : [opere e progetti] / Pippo Ciorra. - Milano : Electa, c1989

_Quartieri coordinati / Ministero dei lavori pubblici ; [a cura della Segreteria del CEP, Comitato di coordinamento dell’edilizia popolare]. - Roma : Pubblicato per conto del Ministero dei lavori pubblici da Editalia, 1960.

_Neri, RaffaellaSeminari di progettazione : Due poli terziari per la citta policentrica : Polo direzionale Garibaldi -Repubblica a Milano, coordinatore prof. Antonio Monestiroli, Polo insediativo alle barene di San Giuliano a Venezia, coordinatore prof. Gianugo Polesello / Raffaella Neri. - IS.l. : s.n.I, 1993.

_Casabella n°242/1960

_Seminario “Ludovico Quaroni, 1911 - 2011, un uomo in rivolta” di Carmine Ludovico Quistellie Isidoro Penisi, a cura del Prof. Arch. Valeria Macrì

citazioni di Manfredo Tafuri