Luce & Vita Giovani n.91

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Ma gli operai sono pochi di antonio tamborra................2 Il profumo delle foglie di limone di maria teresa mirante...........5 La mia vita è un trade-off! di teresa giancaspro ...............3 Femminicidio, parliamone! di francesca messere...............7 Chi mi ama mi “segua”! di mauro capurso.....................5 o finta Un nobel per Malala di carmela zaza........................7 nicoló tempesta Inserto mensile di informazione e comunicazione del mondo giovanile a “Luce e Vita” n.49 del 27 gennaio 2013 Piazza Giovene 4 -70056 Molfetta www.lucevitagiovani.it [email protected] 91 Il giovane Holden è il romanzo che nel 1951 ha reso fa- moso lo scriore statunitense Jerome Salinger. Holden è un ragazzo spigliato di 16 anni dotato di grande sensibilità e spirito crico. Eccezione faa per lo studio. Per farla breve, il ragazzo, alla ricerca della vera maturità si sente rispondere dal suo professore che: “Ciò che disngue l’uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre ciò che disngue l’uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essa giorno dopo giorno”. Sembra facoso ma umiltà e giorno sembrano ridarci i gius ingredien per la quodianità della vita. Giorno dopo giorno impariamo l’arte difficile ed entusiasmante dell’amore. Con umiltà giorno dopo giorno facciamo delle nostre relazioni quel trao di eternità che sarà il per sempre della nostra vita. Giorno dopo giorno con umiltà apprendiamo la passione per il bene comune servendo chi incontriamo. Studio compreso (con rispeo per Holden). Solo questo può trasformare la quodianità che è davan a noi, spesso in salita e pesante, in un’av- ventura insostuibile. Come insostuibili sono i giorni del nuovo calendario. Come insostuibile è l’umiltà che rende un cuore maturo con buona pace del prof. Antolini. Il prof di leeratura inglese del giovane Holden. GIORNO DOPO GIORNO

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Inserto mensile della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi di informazione e comunicazione giovanile (gennaio 2013)

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Ma gli operai sono pochidi antonio tamborra................2

Il profumo delle foglie di limonedi maria teresa mirante...........5

La mia vita è un trade-off!di teresa giancaspro ...............3

Femminicidio, parliamone!di francesca messere...............7

Chi mi ama mi “segua”!di mauro capurso.....................5o finta Un nobel per Malaladi carmela zaza........................7

nicoló tempesta

Inserto mensile di informazione e comunicazione del mondo giovanile

a “Luce e Vita” n.49 del 27 gennaio 2013Piazza Giovene 4 -70056 Molfetta

[email protected]

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Il giovane Holden è il romanzo che nel 1951 ha reso fa-moso lo scrittore statunitense Jerome Salinger. Holden è un ragazzo spigliato di 16 anni dotato di grande sensibilità e spirito critico. Eccezione fatta per lo studio. Per farla breve, il ragazzo, alla ricerca della vera maturità si sente rispondere dal suo professore che: “Ciò che distingue l’uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l’uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essa giorno dopo giorno”. Sembra faticoso ma umiltà e giorno sembrano ridarci i giusti ingredienti per la quotidianità della vita. Giorno dopo giorno impariamo l’arte difficile ed entusiasmante dell’amore. Con umiltà giorno dopo giorno facciamo delle nostre relazioni quel tratto di eternità che sarà il per sempre della nostra vita. Giorno dopo giorno con umiltà apprendiamo la passione per il bene comune servendo chi incontriamo. Studio compreso (con rispetto per Holden). Solo questo può trasformare la quotidianità che è davanti a noi, spesso in salita e pesante, in un’av-ventura insostituibile. Come insostituibili sono i giorni del nuovo calendario. Come insostituibile è l’umiltà che rende un cuore maturo con buona pace del prof. Antolini. Il prof di letteratura inglese del giovane Holden.

Giorno dopo

Giorno

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Mutuo parte della citazione del vangelo di Matteo pronunciata da Gesù, il quale, mosso da compassione, perché le folle erano stanche e sfinite come pecore senza pastore, catechizza i suoi discepoli dicen-do: “la messe è molta ma gli operai sono pochi! Pregate dunque perché il padrone della messe mandi operai per la messe”. Sin da piccoli al termine della lettura di questo brano ci hanno insegnato che Gesù si riferiva al fatto che ciascuno dovreb-be pregare per le vocazioni sacerdotali. Perché? Perché c’è tanto da lavorare per l’annuncio del Regno di Dio. Sembra quasi che Gesù già preveda la crisi delle voca-zioni sacerdotali di oggi. Invece no. Non è affatto questo il senso. Gesù avrebbe anche potuto prevedere la penuria futura del mondo sacerdotale, ma sicuramente si riferiva ad altro. Egli parla di “operai”, di gente, cioè, che si mette all’opera per uno scopo comune. L’uso di questo termine mi piace vederlo di portata più ampia: Egli si riferisce a tutti i battezzati, al Popolo di Dio tutto. Sovente si attribuiscono colpe ingiuste ai sacerdoti per giustificare la inef-ficienza delle comunità ecclesiali, nella trasmissione della Parola di Dio e nelle azioni di carità. Se qualcosa non va, è luogo comune per noi laici “crocifiggere” sempre

il mondo sacerdotale. Ci piace scaricare il macigno della nostra inoperatività di cri-stiani sui sacerdoti, colpevolizzandoli per ogni stortura che è nella Chiesa. Diciamo che ci fa comodo pronunciare frasi del ti-po: “io in chiesa non ci vado perché quel prete è troppo autoritario”, “io in chiesa ci vado, ma amo Dio a modo mio, non serve frequentare la parrocchia”, “non credo nella Chiesa, ma in Dio sì!”. Troppi benpensanti sfoderano la spada della giustizia perso-nale e della costruzione di un dio “fai da te” etichettandosi quasi con fierezza come “cristiano non-praticante”, rimanendo fuori dalla logica di Gesù che invita a prega-re per gli “operai” della sua messe. Oggi sembra che l’essere cristiani dipenda dalla simpatia o bravura del parroco di turno e non dall’aver ricevuto il Battesimo della salvezza. Per la serie: se il parroco è bravo sono attivo nella comunità, se non mi piace aspetterò la scadenza del mandato. Stiamo sovvertendo il pensiero di Gesù. Egli aveva previsto più questo lassismo dei cristiani nell’annuncio, che la penuria dei sacerdoti. I sacerdoti oggi sono diventati solo il ca-pro espiratorio delle nostre scelte laicali di comodo, di non operatività di cristiani a causa di mille impegni quotidiani. Oggi non c’è crisi sacerdotale, ma crisi di cristiani,

...ma Gli operai sono pochiantonio tamborra

giovani soprattutto. Il Concilio Vaticano II è chiaro in merito quando parla di “Popolo in cammino” senza distinguo tra laici, reli-giosi e sacerdoti. Un Popolo che cammina verso Dio, quindi. Liberiamoci dalla os-sessione di dare colpe. La televisione poi con i programmi, soprattutto domenicali, ci forma alla ricerca del colpevole, della condanna, sovvertendo in toto il pensiero stesso di Gesù di Nazareth, il quale non ha mai condannato, ma ha sempre invitato ciascuno a sceglierlo e seguirlo nella libertà piena. Perché mettere in discussione l’o-perato del sacerdote, additare sempre la Chiesa come istituzione, se noi laici adulti e giovani per primi non vestiamo i panni degli “operai della messe”? Siamo troppo distratti da una mentalità perbenista dove tutti dobbiamo dire la nostra in ogni caso e ad ogni costo, scaricando su altri nostre responsabilità di credenti. Spogliamoci per-tanto del pregiudizio contro la Chiesa e i sacerdoti e verifichiamo il nostro agire di fedeli laici-cattolici, per comprendere meglio che quell’invito di Gesù a pregare il Padre perché mandi operai per la messe, non è solo riferito ai sacerdoti, ma a tutti i battezzati affinché si prenda coscienza che con il Battesimo siamo noi i veri operai della messe.

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3annarita marrano

teresa giancaspro

crayon gaetano ciccolella

stop!

la mia vita È un trade-off!

Il mese di gennaio non mi è mai stato molto simpatico: coincide con la fine delle vacanze, la ripresa di tutte le attività, compresi il lavoro e lo studio, e la neces-sità di un regime alimentare rigoroso e di un’attività fisica sfrenata per perdere i chili di troppo acquistati durante le vacanze. Da quando sono andata via odio il mese di gennaio ancora di più: quando arriva significa che devo di nuovo riempire la valigia e andare. Questa volta la partenza è stata ancora più drammatica: durante le vacanze ho riscoperto il bisogno di stare in famiglia, di condividere con le mie zie e i miei cugini le serate, di restare i pomeriggi a chiacchierare con i nonni. In realtà il bisogno di passare del tempo con loro è scaturito dopo uno dei miei viaggi Barletta-Parma, durante il quale ho conosciuto un anziano, il cui nome non ricordo ma di cui non ho dimenticato la piacevolezza del suo parlare, anzi dell’ascoltarlo. Era seduto accanto a me e mi osservava men-

TRADE-OFF : termine tecnico usato dagli economisti per indicare una situazione in cui il consumatore si trova nella posizione di dover fare delle rinunce per poter poi acquistare un altro bene. Riflettendo su questo concetto e traslandolo nella vita reale si può comprendere come l’uomo manifesti questa definizione, apparentemente teorica, nella sua quotidianità; il consumismo di massa impone tramite televisioni, pubblicità, volantini, radio un’omologazione del meccanismo dell’ acquisto. Un esempio ecla-tante potrebbe essere il caso “iphone 5”; all’esordio nel mercato italiano della nuova ingegneria cibernetica, appostato davanti ai punti vendita, un interminabile serpentone di gente attendeva impaziente l’uscita del nuovo “Melafonino”... alla faccia della crisi! Per i tempi che corrono questa situazione potrebbe essere considerata paradossale; in realtà ciò accade perchè ormai l’uomo è entrato nel subdolo meccanismo di rinunciare, rinunciare e ancora rinunciare con l’unico scopo di acquistare un determinato articolo pur di essere all’avanguardia! Se da un punto di vista prettamente economico questo fenomeno produce vantaggi per il mercato ciò non lo è per il compratore, che si lascia trascinare in questa spirale pericolosa e illogica facendosi affascinare da prodotti futili e superflui. Senza considerare che di questo passo l’uomo, assoggettato a questa mentalità materialistica, rischia di perdere di vista quelli che sono i veri valori della sua esistenza e che dovrebbe tenere maggiormente in considerazione. In fin dei conti aveva proprio ragione Thomas Paine quando affermava: “Noi stimiamo poco le cose che otteniamo a basso prezzo: è solt-anto l’avere un prezzo elevato che dà ad ogni cosa il suo valore!”

tre nervosa ripassavo per il concorso di dottorato. Per cercare di distrarmi mi chiese il perché del mio nervosismo e iniziò così a raccontarmi la sua storia. Emigrato in Lombardia tanti anni prima, ama tornare nella sua terra, la Puglia, durante l’estate e soprattutto durante la raccolta delle olive. Ha un appezzamento di terra che cura con passione per non dimenticare mai da dove è venuto, le sue tradizioni, la sua storia. Restavo ad ascoltarlo come un bambino attentamente segue la favola che la mamma gli racconta per farlo addormentare. In un attimo ho dimenticato perché ero nervosa. Per un momento tutto si è fermato e ho assaporato il piacere di ascoltare. Spesso siamo così assorbiti dalla frenesia della vita quotidiana che non abbiamo il tempo per fermarci ad ascoltare i pensieri di chi ci è accanto, pochi minuti che possono regalarti quella serenità che imperterriti inseguia-mo e che invece è proprio accanto a noi. Mentre chiacchieravamo, pensavo all’ultima

volta in cui avevo avuto una discussione di questo tipo con i miei nonni. Mi sono chiesta quando ho avuto la pazienza di sedermi accanto a mio nonno e guardare con lui il suo programma preferito alla tv, ridendo delle sue battute sui concor-renti. Ho cercato di ricordare quando ho ascoltato pazientemente i ricordi di mia nonna, sopportando quella tipica espres-sione “ai nostri tempi” usata di continuo per criticare le generazioni moderne. Ho provato vergogna ricordando che questi episodi risalivano ormai alla mia infanzia e che, ogni volta in cui mia madre mi chiede di telefonare ai nonni, io mi infastidisco e rispondo di non avere più tempo. Arrivata a Parma ho capito che sono proprio quegli attimi a donarti serenità. Sono proprio quei minuti che ci rendono una “famiglia”. Sono unici, irripetibili ed irrecuperabili. Allora ho deciso di vivere ogni singolo minuto con loro come fosse l’ultimo; ho deciso di fermarmi e di ascoltare!

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L’universo tende inesorabilmente ad uno stato di disordine (o entropia, per i più nerd) sempre maggiore nel tempo. Èquanto afferma il secondo principio della termodinamica (rieditato per neofiti) che pone l’accento sul fatto che la natura tende sempre allo stato più statisticamente probabile, il quale è sempre uno stato disordinato: un gas, lasciato libero, si dis-perderà; un panino, abbandonato nella dispensa, sarà lentamente “disintegrato” dall’azione di batteri e agenti atmosferici ed il panino (lo stato ordinato) sarà disas-semblato in uno stato meno ordinato, più semplice, nell’arco di un tempo più o meno lungo. Questa legge ha in sé un grave paradosso: come si spiegherebbe altri-menti lo stato di organizzazione degli esseri viventi, dell’uomo in primis? La sua logica, la grande capacità raziocinante è il frutto

di una struttura cerebrale finemente or-ganizzata. Una cellula è una macchina a dir poco perfetta e, occorre sottolinearlo, neanche l’evoluzionismo più spinto riesce a spiegare in che modo si sia potuti ar-rivare a tali strutture biologiche. Ciò si spiega dal punto di vista fisico-matematico col fatto che un entità biologica rende ordinata la sua struttura a discapito dell’ambiente esterno, che viene portato ad uno stato di disordine ancora maggiore. Se dal punto di vista energetico i conti tornano, dal punto di vista filosofico questa risposta non convince molto. La vita è un paradosso dal punto di vista fisico, è forse un salto, una rincorsa tra la materialità e l’assoluto, una voragine tra la desolazione della materialità e la vertigine dell’ideale. Questa astrusa elucubrazione, tentativo quantomai vano di ‘dare ordine’ ad una

realtà che è di per sé confusa e straripante di quesiti irrisolti, ci porta a pensare che se la vita è dunque punto di svolta, chiave di volta tra disordine naturale e ordine divino, il nostro agire non può che con-cretizzarsi in una evangelizzazione alti valori, un processo di avvicinamento a Dio degli animi attraverso una caritas sine modo, l’amore senza limite, il valore più alto. Don Tonino Bello ricorda: “Amore senza misura. Disposto, cioè, a giocare in perdita per il bene del prossimo. Felice di pagare prezzi da capogiro pur di salvare una sola vita umana. Capace di raggiungere perfino il più indisponente nemico.” Tutto partì da . La fisica non è il mio forte, eppure mi chiedo se questa formula volesse dirmi tutto ciò. Vado a chiamare lo psichiatra.

Baldassarre, Melchiorre, Gaspare. Tre nomi, tre diverse personalità unite da un unico destino e da un unico deside-rio: trovare il Salvatore ancora in fasce e onorarlo offrendoGli in dono oro, incenso e mirra. Il loro è stato un viaggio in cui si conosceva la data di partenza ma non quella d’arrivo. Chi avrebbe lasciato tutto per mettersi in cammino affidandosi al frutto dei propri studi e seguendo il proprio cuore in un’epoca senza cellulari, Internet, navigatori satellitari? Eppure questi tre uomini non sono tanto diversi da noi, noi sognatori che siamo in cerca di una stella che ci indichi il cammino verso la meta. Spesso nel tentativo di raggiungere il nos-tro sogno smarriamo quella che conside-riamo essere la nostra guida e ci sentiamo impauriti, soli in un luogo a noi estraneo. È proprio in quei momenti di sconforto, in cui è forte la tentazione di rinunciare al tuo obiettivo e rendere vano tutto ciò che hai costruito, che è indispensabile il coraggio. Il coraggio di andare avanti e di

alla ricerca della stella cometamaria carla pisani

escatoloGiaumanistica del secondo principio della termodinamicaangelantonio tavella

rischiare, il coraggio di mettersi in gioco. Questo è ciò che hanno fatto i Re Magi. Tre ricchi e potenti re potevano rimanere seduti sui loro troni, omaggiati dai loro sudditi; nessuno li avrebbe biasimati. Ma essi hanno deciso di recarsi in un luogo lontano, affrontando possibili pericoli, per assistere al più grande di tutti i miracoli. Non si sono persi d’animo quando si sono trovati davanti ad un bivio o quando hanno sbagliato strada. Sono andati avanti; la luce della stella cometa che li onorava del suo splendore, dava loro conforto e gioia. Anche noi vorremmo una stella cometa che ci illumini il cammino e ci indichi la via giusta, se possibile la più breve. Ma spesso siamo noi stessi che, accecati dall’egoismo e dalla presunzione, non sappiamo riconoscere la nostra stella: il consiglio di un familiare, di un amico, la predica del parroco della nostra chiesa. Possiamo seguire l’esempio di costanza e umiltà offerto dai Re Magi. L’immagine di tre uomini prostrati ai piedi di un piccolo e apparentemente indifeso bambino fa

capire quanto essi non abbiamo esitato ad ammettere la loro piccolezza davanti a Colui che riconoscevano essere il vero Re, Signore del Cielo e della Terra. Non contavano più nulla le vesti preziose che li proteggevano dal freddo gelido della notte o le corone decorate con gemme scintillanti che ornavano i loro capi. La loro umiltà non era nelle vesti, ma si tro-vava nel loro animo e nel loro cuore. È la stessa umiltà che porta a riconoscere di aver sbagliato, ad avere il coraggio di chiedere scusa, a mostrare rispetto verso l’altro, ad accettare un risultato anche se non era quello sperato. Ognuno di noi ha un sogno, diverso nel contenuto, iden-tico nel valore. E allora cosa aspettiamo? Mettiamoci in cammino! Non abbiamo paura di affrontare neve, pioggia o vento; vinciamo la diffidenza e accettiamo l’aiuto seppur piccolo offertoci da chi incontriamo nel nostro viaggio; manteniamo i piedi per terra , ma rivolgiamo lo sguardo al cielo. La meta non è lontana: aspetta solo di essere raggiunta.

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mauro capurso

chi mi ama mi "seGua"

il profumo delle foGlie di limone

Sandra è una ragazza sprovveduta e inge-nua, con poca voglia di crescere. In attesa di un figlio, frutto di un amore da poco, si rifugia presso la casa al mare di sua sorella, in una località di lusso sulla costa Blanca spagnola. Nell’aria il profumo intenso delle foglie di limone, il mare cristallino, la sab-bia dorata. Un paradiso naturale che ben nasconde l’inferno. La solitudine e la su-perficialità con cui vive renderanno Sandra la preda perfetta di una coppia di anziani solo all’apparenza innocui. Ma l’incontro col vecchio Julian, ex prigioniero in un campo di concentramento nazista, farà emergere la verità. Julian, che all’orrore dell’olocausto e alla colpa di essere sopravvissuto non si era mai abituato, da uomo libero aveva dedicato tutta il resto della propria esi-stenza alla caccia degli ex criminali nazisti, molti dei quali si erano rifugiati in paesi dell’ Europa e del Sud America con una nuova identità, vivendo indisturbati una vecchiaia serena tra lussi e feste, convinti di possedere l’elisir di lunga vita. Grazie all’incontro con Julian, Sandra si scoprirà in grado di iniziare e portare a termine qualcosa di importante per la prima volta nella vita. Sarà Sandra a smascherare i due anziani e la loro Organizzazione, imparan-do che non conosciamo mai abbastanza chi ci circonda. Spesso, nei momenti di fragilità, tendiamo a vedere negli altri ciò di cui abbiamo bisogno anche se quello che cerchiamo in realtà non c’è. Spesso pensiamo di conoscere delle persone quando invece conosciamo solo ciò che noi proiettiamo su di loro, quello che noi vorremmo che fossero. Sandra riconoscerà dietro i gesti apparentemente disinteressati dei due anziani, la loro volontà di dominio, il bisogno costante di manipolare gli altri, il desiderio di sopraffazione, tutti i tratti distintivi di un’ideologia nazista che ancora oggi qualche nostalgico ha il coraggio di professare. E sarà allora che Sandra diven-terà libera. Quando la verità sarà venuta a galla, quando lei avrà scelto di crescere e cambiare, quando avrà imparato che si incontra sempre qualcosa per cui valga la pena lottare nella vita e non è mai trop-po tardi anche se sei un vecchio pieno di acciacchi come Julian. È quando si corre il rischio, quando non si ha paura di andare in profondità, quando nasce il bisogno di giustizia, che la vita assume un profumo vero, deciso e pulito, il profumo delle fo-glie di limone.

maria teresa mirante

Il Santo Padre è su Twitter. La notizia è di quelle che lasciano il segno, o forse no. La presenza di tutti noi, genitori e nonni compresi, sui social network è ormai una cosa così comune che forse l’idea che anche il Papa sia connesso non ci sconvolge più di tanto, anzi, in molti l’aspettavano da tempo. Più che per la Sua presenza la nostra curiosità era per i “cinguettii” che sarebbero stati pubblicati, pillole di 140 carat-teri che avrebbero permesso al nostro Santo Padre di parlare con gli in-ternauti e di lanciare loro brevi messaggi. Prima ancora che fosse pubblicato il primo tweet, però, la rete si è letteralmente scat-enata; l’hashtag #faiunadomandaalpapa (uno strumento che permette agli utenti di collegarsi ad un argomento ed entrare nella discussione) ha superato tutti i record. C’era chi ironizzava sulla cosa e chi invece cercava di porre quesiti seri, in attesa di una risposta che forse non sarebbe mai arrivata. E venne il giorno. Il 12 dicembre il Santo Padre scriveva “Cari amici, è con gioia che mi unisco a voi via twitter. Grazie per la vostra generosa risposta. Vi benedico tutti di cuore”. Per dare un giudizio sulla cosa ho voluto aspettare qualche tweet, anche se avevo maturato già qualcosa… Tutto dipende da cosa ci si aspetta. Io credo che non sia importante lo stru-mento che si utilizza ma ciò che si dice. Per me non ha molta importanza il fatto che il nostro Santo Padre abbia deciso di utilizzare questo nuovo strumento di co-municazione per raggiungere i più giovani, perché credo, e son qui pronto ad essere smentito, che se avesse “nascosto” il suo pensiero sulle tematiche più scottanti, su quelle sulle quali io mi aspetto che ci sia un dibattito, in una enciclica di un milione di pagine, ci sarebbe stato qualcuno che lo avrebbe letto e divulgato ed il suo mes-saggio sarebbe arrivato dritto a milioni di persone. Il fine non giustifica il tweet… ecco, forse un titolo del genere sarebbe stato più appropriato per questo articolo. Forse si parla più sui social network che nella realtà, è vero. Per questo motivo, quindi, l’idea di scendere in questa arena potrà avere delle conseguenze positive, a patto però che l’attenzione si concentri sui contenuti, per non correre il rischio che questi cinguettii restino lì, su una bacheca, e che nessuno li ascolti.

L’inserto è curato da : Nico Tempesta;

Caterina Aruta, Silvia Ayroldi, Mauro Capurso, Gaetano Ciccolella, Gian Paolo de Pinto, Antonella de Virgilio, Teresa Giancaspro, Giuseppe Mancini, Annarita Marrano, Fedele Marrano, Francesca Messere, Manlio Minervini, Maria Teresa Mirante, Maurizia Mongelli, Maria Carla Pisani, Maria Nicola Stragapede, Antonio Tamborra, Giusy Tatulli, Angelantonio Tavella, Carmela Zaza.

Grafica: Gian Paolo de Pinto.

Webmaster: Valentina de Leonardis.

Collaboratrice allestimento: Milena Soriano

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6oh, oh...mi È sembrato di veder chiudere deGli ospedali! antonella de virgilio

“E il mondo che ti dice: tu pensa alla salu-te…”. Forse quando il famoso cantautore emiliano Luciano Ligabue ha scritto il testo della canzone “Cosa vuoi che sia”, non era ancora tempo di crisi. E già, perché ades-so, non si può neppure più pensare alla propria salute come si deve. Negli ultimi tempi i tagli alla sanità si fanno sempre più frequenti: soltanto nella provincia di Bari, dallo scorso giugno, sono stati fatti fuori altri 800 posti letto. Non parliamo poi di quelle città nelle quali, per man-canza di fondi, gli ospedali che da anni erano diventati punto di riferimento per gli abitanti, vengono improvvisamente e definitivamente chiusi, provocando ovvia-mente, in primis, il disagio dei pazienti che, così facendo, si vedono costretti, anche nel caso di gravissime circostanze, a spostar-si in auto per raggiungere l’altro presidio

ospedaliero a loro più vicino. Sono più di un centinaio i nosocomi italiani definiti, al giorno d’ oggi, “a rischio chiusura” perché muniti di un numero di posti letto inferiore a 80. Il disagio del personale sanitario è certamente un’altra nota dolente: una buo-na percentuale di esso, fra qualche mese, causa blocco di assunzioni, dovrà necessa-riamente e senza altre alternative, seguire e curare i propri pazienti per via telematica, privandoli di quelle piccole attenzioni e di quell’indispensabile contatto umano, fon-damentale per farli sentire a loro agio. La chiamano Telemedicina. È questa la scienza che, per così dire, prometterebbe ad un paziente di essere curato “a distanza” da medici ed altro personale specializzato, senza che egli si rechi fisicamente in un ospedale. Inizialmente fu inventata con lo scopo di permettere un’adeguata assi-

la crisi colpisce la sanità? niente paura, arriva la telemedicina.

stenza sanitaria nelle zone più disagiate, come nel caso di spedizioni spaziali, ma da qualche mese a questa parte, data la crisi ormai incalzante, si è deciso di sfruttare questa forma di comunicazione anche per mettere in contatto due persone, di fatto, non lontanissime l’una dall’altra. Si tratta senza dubbio di una scoperta grandiosa, da un punto di vista tecnologico, eppure viene facile pensare come, soprattutto per i pazienti, non sia abbastanza soddisfacente; della serie: la tecnologia NON SEMPRE fa miracoli. In questo momento di profonda crisi, non soltanto economica, ma anche morale, in cui si conosce il prezzo di tutto e il valore di niente, bisognerebbe abituar-si di più a dire “mi prenderò cura di te” piuttosto che “se non ce l’ hai, compra un pc: potrebbe servirti per metterti in comunicazione col tuo medico!”.

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7femminicidio, parliamone!francesca messsere

La prima volta che ho sentito parlare di donne uccise per mano del proprio marito o compagno, o in qualche modo da un proprio parente, è stato nel programma tv “Amori criminali”. Ricordo come quelle storie riempivano di angoscia le seconde serate della mia estate. Il fatto che adesso il programma sia passato addirittura in prima serata, la dice lunga su come sia diventata una necessità, quasi un’ur-genza far conoscere questo fenomeno noto con il nome di “femminicidio”. La cosa che più sorprende è che ad essere uccise sono mogli, madri, figlie a causa della loro natura, del loro essere appunto donne; da qui l’esigenza di definire con un’apposita terminologia questa “cate-goria” di omicidi, perché è pur sempre di questo che si sta parlando. Se in Paesi come l’India si scende in piazza contro gli stupri di gruppo, anche da noi si è scesi in piazza per difendere le donne da qualsiasi forma di violenza perpetra-ta a loro danno. Eppure ci vantiamo di vivere in un Paese a larga maggioranza democratico, cristiano cattolico in cui la donna ha pari dignità dell’uomo, ma a volte pare che si faccia ancora fatica a rimuovere dall’immaginario comune l’idea della donna come una sorta di “Eva” tentatrice. L’episodio del parroco di Lerici, oltre a sollevare il disappunto di gran parte dell’opinione pubblica, ha dato modo di scoprire tutta una realtà latente, presente in rete ma non solo, che vede nella donna “nuova”, spesso autosufficiente ed indipendente, la vera causa e non la vittima di queste violenze. Credo che parlarne sia necessario e, ancor più, lo sia per quelle donne che giorno dopo giorno subiscono piccole pressioni che spesso fanno rimpiangere di esser nate tali, affinché abbiano il coraggio di denunciare, prima che sia troppo tardi. Spesso mi tornano in mente le parole della scrittrice Orianna Fallaci in un suo celebre romanzo: “Se nascerai uomo non dovrai temere d’essere violentato nel buio di una strada. Non dovrai servirti di un bel viso per essere accettato al primo sguar-do, di un bel corpo per nascondere la tua intelligenza. Non subirai giudizi malvagi quando dormirai con chi ti piace, non ti sentirai dire che il peccato nacque il giorno in cui cogliesti una mela.” Io, però, sono nata donna e non dovrò vergognarmene mai, e neanche voi!

un nobel per malalaMalala Yousafzai ricorderà per sempre quella mattina del 9 ottobre scorso. Stava tornando da scuola, un giorno come altri, quando all’improvviso il pullman su cui si trovava assieme alle sue compagne è stato fermato; vi sono saliti degli uomini che cercavano proprio lei e le hanno sparato. Due colpi: uno al collo e uno ad un braccio. “Malala deve morire”, così hanno rivendi-cato l’attentato i talebani. Eppure Malala è solo una ragazzina. I suoi 14 anni sono solo una promessa di giovinezza. Invece i talebani pakistani la considerano un nemi-co pericoloso. Tutto questo perché, a soli 11 anni, Malala ha cominciato a scrivere un blog sotto falso nome, per sostenere il suo diritto (e quello delle sue compagne) di andare a scuola. I suoi racconti sono presto diventati noti e questa voglia di imparare, questo desiderio di libertà, è diventato presto anche una minaccia per gli integralisti che fanno dell’ignoranza il terreno fertile su cui seminare odio e pregiudizi e poter continuare a recluta-re sostenitori e militanti. Malala è stata portata in Gran Bretagna dove ha subito un primo intervento chirurgico che le ha salvato la vita, dove potrà curarsi e dove sarà protetta, dove potrà costruirsi una nuova esistenza. Penso a Malala mentre guardo i nostri ragazzi che si lamentano della scuola, dei compiti, dello studio. Penso a come il nostro mondo, che molti

definiscono globalizzato, contenga molti mondi troppo lontani e diversi e penso che tutto ciò non è giusto. Penso a quan-to possano essere forti una parola e un pensiero, a quanto possano far tremare i muri dell’odio costruiti dai signori della guerra e del petrolio. Penso al coraggio di Malala, alla sua forza di donna-ragazzina, alla sua battaglia di civiltà e libertà, di giu-stizia. Molti stanno chiedendo per lei il prossimo Nobel per la pace. Io credo che un Nobel non le restituirà la sua terra, le sue amiche, la sua adolescenza; un Nobel non le ridarà un ritorno a casa come gli altri giorni dell’anno, non la riporterà in-dietro nel tempo, ma sicuramente la farà sentire meno sola nella sua rivendicazione. Un Nobel premierebbe finalmente una persona che sta donando la sua vita per i diritti di tante persone spesso dimenticate dalla grande stampa e sarebbe un segnale forte contro la minoranza di talebani che tiene in scacco un paese e anche il mondo intero con le minacce e la paura. Perché non c’è pace se non c’è giustizia, non c’è pace se c’è ignoranza. Perché la scuola può aiutare la Pace. Firmiamo anche noi la petizione on line per il Nobel per la pace a Malala. Non lasciamo cadere nel vuoto il suo sacrificio e aiutiamola nella sua, nella nostra causa, per i diritti, per la giustizia, per la Pace.

carmela zaza

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Dei bambini che si tengono per mano. La mia nipotina che alla domanda ‘Perché ti piace tanto quella bambina, Malette?’ risponde ‘Mi piacciono le sue treccine!’, senza notare il colore diverso della sua pelle. Ragazzi diversamente abili che can-tano Merry Christmas, rendendo la loro sofferenza concime fertile per l’amore, quello vero, senza pretese, insicurezze, richieste.. solo amore. Questo è ciò che io chiamo pace! Gennaio è il mese dedicato alla pace, il lieve sottofondo musicale di tutte le canzoni, la poesia intrappolata nelle menti di mille poeti, troppo fragi-le e potente per poter essere composta senza venire rovinata dalle parole, l’inno di mille vite. È durante questo mese che canzoni come ‘Il mio nome è mai più’ ri-suona ancora più forte nel mio cuore, come un pensiero martellante: tutti vogliamo la pace, tutti vogliamo che, un giorno, le parole ‘sofferenza’ , ‘dolore’, ‘disperazio-ne’ siano solo l’eco di un amaro ricordo. Seminare germogli non è affatto semplice, c’è chi parla di guerra giusta per nascon-dere i propri egoistici interessi e la pro-pria dannata sete di potere, c’è chi non

la pace: l’unica vittoria!maurizia mongelli

riesce a vergognarsi delle proprie azioni, perseverando. Ma per sognare ancora, per conservare le proprie attitudini dentro di sé come fa una madreperla con la propria perla rara, per difendere la propria casa, non basta cantare, scrivere poesie, riem-pirsi la bocca di tante parole che volano, volano via come fumo da un camino ac-ceso d’inverno da troppo tempo. Bisogna alzarsi e seminare. Perché seminando pace, raccoglieremo gioia e ricorderemo il nostro nome. Seminando pace, non perderemo la nostra identità di cittadino, di cristiano, di persona. Seminando pace, dimenticheremo l’odio, la violenza, le guerre, le bombe, le pistole, le bugie. Seminando pace, rinascerà dentro di noi il bambino che siamo stati e aumenterà, invece, il nostro sentirci uomini. Il compromesso, perciò, è la strada giusta: tra si e no, questo e quello, ottenere o distruggere, prevaricare o difendersi, io scelgo il dialogo. La forza delle parole, dei pensieri, dei valori può aiutarci a vedere in fondo al tunnel: tutto ha una via d’uscita, basta sforzarsi di vederla. Perché non si vince rubando la felicità, l’allegria, i sogni, il futuro agli altri. È la pace l’unica vittoria.

Io non lo so chi c’ha ragione e chi no se è una questione di etnia, di economia,oppure solo pazzia: difficile saperlo. Quello che so è che non è fantasiae che nessuno c’ha ragione e così sia, e pochi mesi ad un giro di boa per voi così moderno

C’era una volta la mia vita c’era una volta la mia casa c’era una volta e voglio che sia ancora. E voglio il nome di chi si impegna a fare i conti con la propria vergogna. Dormite pure voi che avete ancora sogni, sogni, sogni

Il mio nome è mai più, mai più, mai più Il mio nome è mai più, mai più, mai più Il mio nome è mai più, mai più, mai più Il mio nome è mai più...

C’era una volta un aeroplano un militare americano c’era una volta il gioco di un bambino. E voglio i nomi di chi ha mentito di chi ha parlato di una guerra giusta io non le lancio più le vostre sante bombe, bombe, bombe, bombe, BOMBE!

Il mio nome è mai più, mai più, mai più Il mio nome è mai più, mai più, mai piùIl mio nome è mai più, mai più, mai più Il mio nome è mai più...

Io dico si dico si può sapere convivere è dura già, lo so. Ma per questo il compromesso è la strada del mio crescere. E dico si al dialogo perchè la pace è l’unica vittoria l’unico gesto in ogni senso che dà un peso al nostro vivere, vivere, vivere. Io dico si dico si può cercare pace è l’unica vittoria l’unico gesto in ogni senso che darà forza al nostro vivere.

Il mio nome è mai più, mai più, mai più Il mio nome è mai più, mai più, mai più Il mio nome è mai più, mai più, mai più Il mio nome è mai più...