Luce & Vita Giovani n.88

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88 Inserto mensile di informazione e comunicazione del mondo giovanile a “Luce e Vita” n.36 del 28 ottobre 2012 Piazza Giovene 4 -70056 Molfetta www.lucevitagiovani.it [email protected] Noi Crediamo di annarita marrano.................2 Uscire dal regno di OP di carmela zaaa........................5 Carlo Maria Martini di vincenzo bini........................3 Il camposcuola estivo... di manlio minervini...................6 Cinquant’anni dopo di antonello tamborra..............4 o finta All’Ilva non arriva Batman di fedele marrano........... .........8 TI PIACE LUCE E VITA GIOVANI? nico tempesta Mi piace Luce e Vita giovani. Riprende con l’ordinario dei nostri percorsi e puntuale ci ricorda che leggere è allenarsi a pensare. Tante volte ci è capitato di leggere e di naufragare solo in un mare di parole che non conducono poi ai fa. Mi piace Luce e Vita giovani perché ci aiuta a passare dall’angolo delle nostre stanze alla geografia della nostra diocesi fino a toccare le Alpi Aurine dell’Alto Adige e il mare di Lampedusa e così ci alleniamo a vedere il mondo in modo differente. Mi piace perché ci aiuta a cogliere nel frammento qualcosa del tuo, a ridare dignità e ampiezza di visione a prospeve troppo spesso tentate di ripiegarsi su un angusto corle. Del resto, la leura, se affascinante, mi mee in compagnia di un altro mondo e forse, di un altro me stesso. Aveva ragione Jorge Luis Borges: ““Fra i diversi strumen dell’uomo, il più stupefacente è, senza dubbio, leggere. Gli altri sono estensioni del suo corpo. Il microscopio, il telescopio, sono estensioni della sua vista; il telefono è estensione della voce; poi ci sono l’aratro e la spada, estensioni del suo braccio. Ma leggere è un’altra cosa: il libro è un’estensione della memoria e dell’immaginazione.”

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Inserto mensile della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi di informazione e comunicazione giovanile (ottobre 2012)

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Inserto mensile di informazione e comunicazione del mondo giovanile

a “Luce e Vita” n.36 del 28 ottobre 2012Piazza Giovene 4 -70056 Molfetta

[email protected]

Noi Crediamodi annarita marrano.................2

Uscire dal regno di OPdi carmela zaaa........................5

Carlo Maria Martinidi vincenzo bini........................3

Il camposcuola estivo...di manlio minervini...................6

Cinquant’anni dopodi antonello tamborra..............4o finta All’Ilva non arriva Batmandi fedele marrano........... .........8

Cinquant’anni dopodi antonello tamborra..............

o finta All’Ilva non arriva Batmandi fedele marrano........... .........

TI PIACE LUCE E VITA GIOVANI?nico tempestaMi piace Luce e Vita giovani. Riprende con l’ordinario dei nostri percorsi e puntuale ci ricorda che leggere è allenarsi a pensare. Tante volte ci è capitato di leggere e di naufragare solo in un mare di parole che non conducono poi ai fatti .Mi piace Luce e Vita giovani perché ci aiuta a passare dall’angolo delle nostre stanze alla geografi a della nostra diocesi fi no a toccare le Alpi Aurine dell’Alto Adige e il mare di Lampedusa e così ci alleniamo a vedere il mondo in modo diff erente. Mi piace perché ci aiuta a cogliere nel frammento qualcosa del tutt o, a ridare dignità e ampiezza di visione a prospetti ve troppo spesso tentate di ripiegarsi su un angusto corti le. Del resto, la lett ura, se aff ascinante, mi mett e in compagnia di un altro mondo e forse, di un altro me stesso. Aveva ragione Jorge Luis Borges: ““Fra i diversi strumenti dell’uomo, il più stupefacente è, senza dubbio, leggere. Gli altri sono estensioni del suo corpo. Il microscopio, il telescopio, sono estensioni della sua vista; il telefono è estensione della voce; poi ci sono l’aratro e la spada, estensioni del suo braccio. Ma leggere è un’altra cosa: il libro è un’estensione della memoria e dell’immaginazione.”

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2La prima volta che ho lasciato la mia famiglia, i miei amici, la mia Terra, avevo le lacrime agli occhi ed un forte magone allo stomaco. C’è un famoso dett o popolare che dice “conosci ciò che lasci ma non conosci ciò che troverai. Sono passati già due anni da quando ho preso il primo treno per il lontano Nord. In questi due anni ho tante volte senti to il rumore delle rotaie sui binari, tante volte ho ammirato i paesaggi della mia Italia e tante volte ho incontrato occhi nuovi. Il mio conti nuo muovermi da una citt à all’altra mi ha permesso di conoscere nuove storie, nuovi volti , alcuni dei quali hanno lasciato un segno indelebile dentro di me. Nasce dal ricordo piacevole di questi volti l’idea di racchiudere in una sorta di “diario di viaggio “ i loro occhi, le loro esperienze, i loro insegnamenti . Voglio iniziare con un incontro recente, avvenuto il secondo giorno che ero a Trento. Ero in centro a passeggiare con una ragazza conosciuta nel dormitorio e lì ci incontriamo con Laura, una ragazza siciliana “ati pica”, come la defi nirebbero i trenti ni. Minuta, riservata, elegante. Una ragazza che ascolta in silenzio e appena le rivolgi la parola ti sorride con gli occhi e parla liberamente. Una di quelle persone con cui hai il piacere di sederti a prendere un caff è e chiacchierare

ogni volta che la incontri. Sta per iscriversi al corso di Laurea Magistrale in Storia, un indirizzo un po’ insolito di questi tempi. Lo dice con gli occhi vivaci, di chi è emozionata perché sta per sta per realizzare un sogno. Prima di lasciarci mi dice: “aggiungimi su facebook!” e poi si avvia a piedi verso casa sua mentre noi aspetti amo l’autobus. Nel ritorno la mia amica mi racconta di aver conosciuto Laura in ostello i primi giorni che era a Trento. Mi racconta che Laura da sola e con pochi spiccioli in tasca ha preso un aereo dalla Sicilia ed è venuta nel freddo Trenti no. Il suo sogno è fare l’archivista: appena arrivata si è messa a cercare lavoro. Di giorno era in giro a lasciar curriculum e la sera tornava distrutt a. Prendeva la sua unica barrett a di cioccolato e ne mangiava due pezzetti . Poi si mett eva a lett o e si guardava un fi lm. Il racconto della sua storia mi fa pensare alle parole che spesso i giovani della mia età ascoltano dai propri genitori e dagli adulti in general:. “I giovani di adesso non conoscono

il sacrifi cio. Sono superfi ciali, non hanno ambizioni!”. Guardo la mia generazione e vedo ragazzi con tanti sogni di colori diversi che spesso non mett ono le ali perché non c’è chi soffi a nel verso giusto. Vedo ambizioni tagliate fuori quando ti dicono “cerchiamo qualcuno con più esperienza!”. Vedo merito sbeff eggiato quando ti dicono che credono nella mobilità e dopo uno stage sott opagato ti mandano a casa. Vedo tante porte chiuse in faccia ed una società dimenti ca della sua linfa vitale. Vedo ragazzi come Laura che non hanno paura del futuro, dell’incertezza, di rischiare. Io credo che ogni generazione abbia i suoi momenti diffi cili, le sue conquiste, i suoi sogni. Le criti che sono costrutti ve, ma i pregiudizi sono opprimenti e deleteri. Adesso Laura ha un lavoro, grazie al quale potrà pagarsi gli studi a Trento. Il lieto fi ne di questa storia mi fa pensare alle parole di una celeberrima canzone di Francesco Guccini: “Io penso che questa mia generazione è preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata, ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi, perchè noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge, in ciò che noi crediamo Dio è risorto!”

NOI CREDIAMOannarita marrano

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Ci ha lasciato mentre agosto volgeva al termine, ma la sua morte era nell’aria, come quella del nostro Santo Padre Giovanni Paolo II nell’aprile di sett e anni fa. Vitti me dello stesso male… ma quella del cardinale accende gli animi, fa discutere, fa gridare all’incoerenza di una Chiesa che non molla di un centi metro sull’eutanasia, ma (e questo lo ricordiamo sempre in pochi) anche sull’accanimento terapeuti co. La colpa è forse di quell’ulti ma (diffi cile) intervista postuma, rilasciata da Marti ni a Padre Georg Sporschill e Federica Radice l’8 agosto. Un’intervista in cui (ancora una volta) criti ca la Chiesa, apostrofandola “indietro di duecento anni”, che evoca la missione popolare del Vescovo Romero, che auspica la conversione di religiosi e laici… ma questa è un’altra storia. Il punto (che vogliamo approfondire) invece è: sospendere le terapie (come nel suo caso) è o no eutanasia? I tanti contrasti , che in passato hanno contraddisti nto il rapporto del Cardinal Marti ni con il Vati cano, non erano comunque privi di punti di contatt o (ci mancherebbe!); e proprio in tema di eutanasia, il monsignore torinese ebbe a dire: “Neppure io vorrei condannare le persone che compiono un simile gesto su richiesta di una persona ridott a agli estremi e per puro senti mento di altruismo. Tutt avia è importante disti nguere bene gli atti che arrecano vita da quelli che arrecano morte. E questi ulti mi non possono mai essere approvati .” Incoerente? “Non abbiamo staccato nessuna spina, e i paragoni con i casi Englaro e Welby sono improponibili. L’evoluzione della morte del cardinale Carlo Maria Marti ni è stata più normale di quanto si lasci credere […] Non ho accompagnato il cardinale alla buona morte e la scelta di Marti ni sono in tanti a farla, senza clamore”. Questa è l’arringa del Dott . Pezzoli, il neurochirurgo che lo ha curato negli ulti mi anni. Ci viene in soccorso anche il Cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della ponti fi cia Accademia per la vita e tra i massimi esperti di bioeti ca della Chiesa, che spiega: “L’accanimento terapeuti co è rifi utato dalla Chiesa e da tutti i catt olici. Non solo è sconsigliato ma direi anzi che è proibito, come è proibita l’eutanasia. Così come non si può togliere la vita, allo stesso modo non la si può prolungare arti fi cialmente […] Un credente accett a serenamente la morte perché sa che la vita non fi nisce lì. Certo non sta a noi anti cipare il momento, non è lecito compiere alcun att o soppressivo. Ma

quando la morte sta arrivando, quando la cura non ha più signifi cato e si aggiunge solo dolore e tormento, allora bisogna rispett are il malato e la sua condizione con serenità”.Morale: la morte del Cardinal Marti ni è stata solo apparentemente incoerente. Si sa che la border line su temi di stampo bioeti co è molto sotti le, direi addiritt ura labile. Per questa (e per altre cose di questa vicenda che mi hanno convinto meno) vale comunque la pena conti nuare ad interrogarsi, proprio come ha fatt o lo stesso Marti ni per tutt a la sua vita.

CARLO MARIA MARTINISTORIA DI UNA MORTE (APPARENTEMENTE) INCOERENTEvincenzo bini

Per questo affi do il suo ricordo al Cardinale Ravasi che di lui ha dett o: “Lo sguardo di Marti ni era certamente tendenzialmente uno sguardo verso l’oltre, che cercava di individuare i percorsi futuri. In questo senso, si può dire veramente che la sua funzione fosse “profeti ca”, e profeta di per sé è colui che è ben piantato nella Storia e ne intuisce i movimenti , le tensioni.”

Carlo Maria MARTINI. É stato un cardinale e arcivescovo cattolico italiano. Biblista ed esegeta, è stato arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002. Oltre ad essere stato un raffinato uomo di cultura teologica fu anche uomo del dialogo tra le religioni, a cominciare dall’ebraismo, i cui fedeli amava definire “fratelli maggiori”. Fu soprannominato “cardinale del dialogo”.

Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo... Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa.

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L’inserto è curato da : Nico Tempesta;

Silvia Ayroldi, Mauro Capurso, Gaetano Ciccolella, Gian Paolo de Pinto, Giuseppe Mancini, Annarita Marrano, Fedele Marrano, Francesca Messere, Manlio Minervini, Maria Teresa Mirante, Maurizia Mongelli, Maria Nicola Stragapede, Antonio Tamborra, Giusy Tatulli, Carmela Zaza.

Grafica: Gian Paolo de Pinto.

Webmaster: Valentina de Leonardis.

Collaboratrice allestimento: Milena Soriano

LUCEeVITA GIOVANIleggi e commenta su www.lucevitagiovani.it

CINQUANT’ANNI DOPOantonello tamborra

L’11 ott obre 1962 Papa Giovanni XXIII, dopo tre anni di lavori preparatori, apriva uffi cialmente il Concilio Ecumenico Vati cano II, segno tangibile di un rinnovo della e nella Chiesa catt olica.Forse per noi, giovani del terzo millennio, chiamati da Papa Giovanni Paolo II ad essere senti nelle del nuovo millennio, tale evento può dir poco o addiritt ura nulla, per questo è necessario dare eco, anche per noi della redazione, alla ricorrenza del cinquantesimo anniversario del predett o Concilio. Ma cosa è il Concilio Vati cano II? Si, “è”. Non “è stato”. Uti lizzo il presente perché questo evento ha un suo inizio in quella memorabile data, tutt avia i suoi obietti vi e i suoi scopi non hanno un limite di tempo, ma sono programmi da incarnare. Pertanto

il concilio è tutt ’oggi il coraggio della Chiesa di voler cambiare, rispondendo con idee rivoluzionarie ai tempi che cambiano. Le idee espresse dai Padri conciliari, infatti , att raverso i documenti e le costi tuzioni, sono la partenza per comprendere oggi chi siamo e cosa siamo nella realtà ecclesiale sia come singoli fedeli sia come comunità.Il Concilio Vati cano II, possiamo dire, ha “rifatt o il trucco” alla Chiesa, le ha fatt o indossare abiti nuovi, calzari da festa, senza tutt avia intaccare il “bel corpo” della Chiesa stessa, rinnovandola, pertanto, solo nell’aspett o, ma non nella sostanza. Sovente tra giovani si sente dire che la Chiesa è per vecchi, per bigotti , “non è alla moda”, invece il Concilio Vati cano II ha dato proprio uno schiaff o a quella visione di vecchio e a quell’odore di stanti o che ormai aleggiava nelle Chiesa. È stata fatt a una scelta. Il popolo cristi ano non è stato più al servigio del clero, ma è divenuto elemento del Popolo di Dio, che cammina nella Chiesa insieme ai chierici ed ai religiosi. Il cambiamento porta i laici ad essere fari nella Chiesa, dove ciascuno deve contribuire alla missione salvifi ca e alla costruzione del regno di Dio nei rispetti vi ruoli e funzioni. La Chiesa sceglieva di scendere dal piedistallo “medievale”, ormai logoro, dell’isti tuzione che spaventava ed imparti va solo comandi, anatemi, precetti e dogmi. L’intuizione di Papa Giovanni XXIII, sicuramente ispirata e pregata, aveva l’obietti vo di accogliere i laici, e i giovani sopratt utt o, in un cammino che portava

a Cristo att raverso la riscoperta della fede, non rinchiusa ed elaborata nei libri di teologia, ma operante nella pastorale quoti diana. I primi cambiamenti si ebbero nella liturgia, ove si abolì la obsoleta lingua lati na, nelle celebrazioni eucaristi che si introdusse la riforma liturgica ove, per esempio, si ammett evano strumenti musicali diversi dall’organo o il sacerdote celebrava di fronte all’assemblea, gesto questo che simboleggiava proprio l’apertura verso popolo. Ma più di tutt o si doveva rinnovare la Chiesa a parti re dal cuore di ciascuno, ricristi anizzare il popolo, ormai preda della morsa della secolarizzazione. Oggi più che mai, in un mondo in crisi, dove la crisi non è solo nell’economica, ma anche nella famiglia, nella politi ca, nella scuola, nella aff etti vità, abbiamo l’opportunità di “ri-conciliarci”. Abbiamo l’esigenza di riscoprire il senso di questo grande evento, anche con l’aiuto dei nostri pastori, perché del Concilio riviva e lo si incarni nei nostri tempi, nelle nostre realtà, rendendo così il messaggio evangelico vivo in ciascun cristi ano e divenendo così luce per chi non crede e supporto per chi si è allontanato dalla fede. Giovanni XXIII con tenacia voleva portare al mondo questo messaggio. Egli con la tenerezza della carità e con la tenacia della missione, invitava i fedeli, come fa oggi lo stesso Benedett o XVI, a puntare senza ti more, nella roulett e della storia, sulla speranza e sulla fede in Dio Padre!

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Quando pensiamo ad un beato o ad un santo “moderno”, la prima immagine che ci viene in mente è quella di grandi uomini ed altrett anto grandi donne che con il loro operato hanno saputo dare una svolta alla loro vita ed a quella di quanti hanno incontrato sulla propria strada, tanto da essere “venerati ” post-morte con l’auspicio di essere in qualche modo da loro protetti ed ispirati . Se oggi dovessimo poi pensare ad un uomo politi co, a tutt o penseremmo fuorché ad un personaggio da venerare o che possa anche lontanamente essere paragonato ad un santo. La politi ca sta vivendo un momento tragico. Ha abbandonato la sua funzione di mediatore sociale ed è vista un po’ da tutti come qualcosa di

losco, dal quale tenersi il più lontano possibile. C’è stato però un uomo che fa’ ormai parte della storia, un politi co, per il quale c’è qualcuno che ha pensato che possa avere tutt e le “carte in regola” per poter essere beati fi cato e, perchéno, magari in futuro proclamato santo. Sti amo parlando di Aldo Moro, lo stati sta ucciso dalle BR il 9 maggio 1978 dopo 55 giorni di prigionia. Che fosse stata una persona speciale lo sapevamo già e che fosse un fervido cristi ano pure. Secondo il postulatore della sua causa presso la Diocesi di Roma, Moro avrebbe tutti i “requisiti ”. in primis, l’essere dotato di una fede cristi ana e catt olica forte ed inconfutabile, e non vi è ombra di dubbio che Moro sia stato

mauro capurso

un esempio di vita cristi ana secolare. Il suo assassinio inoltre viene considerato un marti rio, essendo stato fatt o per mano di killer armati da una ideologia vetero-comunista in guerra contro il cristi anesimo.Oltre ad essere stato, secondo alcuni, il co-autore dell’enciclica Populorum Progressio di Paolo VI, quello che più conta ai fi ni della beati fi cazione è però la presenza di un miracolo. Verrà infatti considerato tale la vicenda di Monsignor Colasuonno, che, rinchiuso in una stanza durante un assalto da parte di alcuni guerriglieri in Mozambico mentre lui era Nunzio Apostolico, avendo a disposizione una foto di Moro, ha iniziato ad invocare “il suo santo”. La vicenda di questo grande uomo politi co deve suscitare in noi una profonda ammirazione sia per il contributo che Moro ha dato alla nostra nazione, sia per l’esempio che ci ha lasciato. Essere uomini, citt adini, politi ci non deve essere una semplice eti chett a. Il nostro impegno quali giovani cristi ani deve essere rivolto al mondo, a coloro che ci circondano e non circoscritt o al rapporto che abbiamo con la nostra fede. Da Moro dobbiamo prendere la capacità di essere cristi ani nella vita comune, tra la gente, e questo vale sopratt utt o per coloro che scelgono di mett ersi al servizio della società come i politi ci. È di questo che abbiamo bisogno!

ALDO MOROUN POLITICO BEATO

Paola è una giovane mamma coraggiosa dei nostri tempi. Meridionale, trasferita a Roma, con un lavoro precario di giornalista, riesce ogni tanto a prendersi delle belle soddisfazioni. Ma quando ha un lavoro che le piace, un marito che la ama e un figlio appena nato che le riempie le giornate di sogni e gioia, ecco che la malattia irrompe nella sua vita con tutto il suo mistero di dolore. Ma è un dolore tanto forte che non si vuole accettare, che non si sa spiegare, perché la malattia è il cancro e chi ne soffre è il suo bambino di solo due mesi. Scoperto per caso, questo tumore diventa il protagonista dei giorni di Paola, di suo figlio, di suo marito e di tutta la sua famiglia. Catapultati in ospedale, nel reparto di oncologia pediatrica, cominciano a lottare contro questo male vivendo con paura e timore, ma anche speranza, tanti giorni e tante notti di chemioterapia, di isolamento, di tac, di analisi, di day hospital.Tra una pappa e l’altra, tra una fl ebo e l’altra e quando nonostante la stanchezza non si riesce a dormire, Paola scrive un blog su questi

momenti , sulle sue giornate, sulla scoperta di quel mondo dove si combatt e ogni giorno, provandole tutt e per non arrendersi. I racconti di quel blog sono diventati un libro bellissimo:”Il regno di Op” che l’autrice-mamma Paola Natalicchio ha dato alle stampe e ha presentato anche a Molfett a, il suo paese, nello scorso mese di giugno.Era passato più di un anno dalla scoperta del tumore di suo figlio e lei poteva raccontare finalmente, che suo figlio era ancora vivo e che le cure mediche e gli interventi subiti avevano avuto successo. Ma nel suo libro, Paola racconta anche le vicende che l’hanno vista diventare mamma degli altri bambini e ragazzi che hanno frequentato quella zona di guerra per la vita, sorella degli altri genitori e figlia degli altri nonni che, come lei, non sapevano spiegare il perché di tutto quello che stavano vivendo.Il dolore, la disperazione, l’impotenza, raccontati con forza e verità che ti fanno staccare gli occhi dalle pagine solo un momento, quando le lacrime per la morte

SI PUÓ USCIRE DAL REGNO DI OPcarmela zaza

di un bambino/soldato non ti fanno più disti nguere i caratt eri stampati . Un dolore che spesso, dalle nostre parti , viene nascosto, occultato e, nei migliori dei casi, sussurrato, come se fosse una colpa, come se fosse qualcosa di cui vergognarsi.Invece solo parlando del cancro si può diminuire la paura, si possono condividere informazioni, si scopre che non si è soli e che dal “regno di Op si può uscire vincitori”, come dice Paola nel suo libro. Solo parlandone, affrontando il cancro a viso aperto ma con umiltà e coraggio, solo con l’aiuto di tutti si può sconfiggere qualche volta in più questo drago che col suo fuoco distrugge quello che tocca o almeno, ci si può sentire meno soli nella battaglia o nella sconfitta, quando le cose vanno male. “Il regno di Op”, di Paola Natalicchio (edizioni La Meridiana), è un libro da leggere, da consigliare, da raccontare, per arrabbiarsi, per riflettere, per commuoversi, per dare forza, per incoraggiare, per ricordare che ogni giorno c’è chi lotta e non vuole essere lasciato solo.

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Parti amo dalla fi ne della storia. Anche quest’anno si è svolto a fi ne agosto a Vitulano (BN) il camposcuola della Caritas diocesana, cui hanno partecipato bambini e ragazzi dei centri citt adini di Giovinazzo, Ruvo e Terlizzi. Tutti coloro che hanno vissuto almeno una volta l’esperienza di un camposcuola esti vo conoscono benissimo le emozioni che si provano in quei pochi giorni. Vivere a strett o contatt o tutti il giorno (e anche la nott e) con i bambini e gli altri volontari crea un’atmosfera straordinaria e irripeti bile che rende la strutt ura in cui si svolge il camposcuola quasi un’isola felice estraniata dal mondo che lo circonda e dai pensieri che ognuno ha nella propria vita quoti diana. Vedere sul volto di un bambino il sorriso dopo un gioco o un’atti vità ti ripaga di tutti gli sforzi fatti per arrivare allo svolgimento di quel gioco o di quell’atti vità, tra mille impegni e diffi coltà. Ascoltare le confi denze di un ragazzo, che durante l’anno non farebbe mai, porta a rifl ett ere sulla potenza e sull’infl uenza che ha un’esperienza del genere su tutti i partecipanti . Osservare un altro volontario che, nonostante la stanchezza e i ritmi sostenuti di quei giorni, trova la forza e l’entusiasmo per andare sempre avanti , trasmett e per induzione una carica positi va che nessuna parola potrebbe mai dare.Tutt e queste emozioni sono amplifi cate se si pensa che ad un campo Caritas prendono

IL VOLONTARIATO NON È (SOLO) UNO SPORT ESTIVOmanlio minervini

cominciando un nuovo anno scolasti co, i bambini stanno tornando nei centri citt adini con tutt o il loro entusiasmo e la loro vivacità, ma anche con le loro diffi coltà e i loro problemi, che non sempre coincidono con quelli di matemati ca. Purtroppo, i volontari sono sempre meno nei centri Caritas e molti bambini che potrebbero usufruire di questo servizio devono, nostro malgrado, trovare altre soluzioni, non sempre otti mali.Vi invito, pertanto, a passare dai centri citt adini, anche solo per informarvi, ricordandovi che i bambini non hanno bisogno di avere di fronte grandi fi gure professionali, ma “solo” grandi uomini.

CRAYONgaetano ciccolella

parte solitamente bambini e ragazzi che hanno alle loro spalle situazioni non proprio facili, siano queste di ti po familiare, economico o sociale.Il camposcuola esti vo è, però, solo la fi ne di un percorso, un percorso che dura un anno, con l’opera di volontariato a sostegno dei minori, che si svolge quoti dianamente nei centri citt adini. Quei bambini e ragazzi, che poi in estate ritroveremo al campo, hanno bisogno di una mano ogni pomeriggio per svolgere i compiti e, magari, anche di riconoscere una faccia amica con cui parlare un po’ o, perché no, scherzare.Ecco, questo è l’inizio della nostra storia. Sta

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7STORIE DI CAMPOVOLOmaria teresa mirante

cornicione di un vecchio campanile. E tu non puoi fare altro che senti rti fortunato, perché la terra non ha deciso di tremare sott o i tuoi piedi, mentre osservi ammirato la dignità e l’otti mismo di chi ti risponde che comunque si va avanti ! Passano le ore, pochi minuti alle venti , il concerto sta per iniziare, un gruppo di ragazzi ai piedi del palco intona l’inno nazionale, quell ’ inno che siamo a b i t u a t i a cantare solo per i m o n d i a l i di calcio. Ci si riscopre tutti Italiani, vicini, perché i terremoti non hanno colore né credo politi co. Inizia il concerto e in quelle quatt ro ore si canta e balla, qualcuno si è commosso ascoltando la propria canzone, ognuno con la sua storia, con un ricordo parti colare per qualcosa che non c’è più e

Campovolo è l’immenso spazio verde dell’ex aeroporto di Reggio Emilia. Lo scorso 22 Sett embre ha ospitato Italia loves Emilia, il concerto a favore delle popolazioni colpite dal sisma dello scorso Maggio. Sul palco tredici nomi della musica italiana, quella musica commerciale, diventata il collante perfett o di un grande momento aggregati vo per centocinquantamila giovani provenienti da tutt a Italia. Se penso a Campovolo, penso sopratt utt o a quelle nove ore di att esa vissute a parti re dall’apertura dei cancelli dell’aria concerto, in compagnia di persone che non avevo mai visto, lì per uno stesso obietti vo: dire che si deve riparti re e non c’è modo migliore per farlo che diverti rsi. Tante le storie, in quelle nove ore di att esa. Storie di ragazzi che non hanno più un isti tuto ma che all’idea di andare a scuola si aggrappano perché scuola è sinonimo di normalità. Giovani che fanno lezione ogni matti na in tenda, senza banchi né lavagne, tra le mani solo qualche libro, proprio mentre in altre regioni d’Italia docenti impacciati sono alle prese con I pad e sedicenti rivoluzioni tecnologiche dalla dubbia uti lità. Storie di famiglie che hanno visto crollare una casa che non era ancora del tutt o di loro proprietà, storie di chi ha visto crollare i propri ricordi di gioventù insieme al

per quello che c’è ancora e da cui riparti re. È il brano di Pierangelo Bertoli a chiudere lo spett acolo con tutti gli ospiti sul palco a cantare che bisogna aff rontare la vita a muso duro “con un piede nel passato e

VIVO PER LEI (LA MUSICA)maurizia mongelli

scontarci con un mondo che a volte fa paura. Ma il coraggio di mostrarsi per ciò che si è grazie alla potenza delle note, all’originalità di pensiero, alla innocente sfacciataggine di un ragazzo che sale sul palco a piedi nudi, che si colora i capelli di rosso o verde o che si veste andando contro ogni futi le moda del momento, sono stati una dimostrazione di quanto noi ragazzi, se lo desideriamo, possiamo colorare ogni momento di rosso vivo. La tecnica dei musicisti , i loro sguardi innamorati delle note e gli occhi lucidi

“M” come Molfett a, “M” come musica, “M” come mondo che tante giovani promesse hanno espresso att raverso la loro musica in occasione del ‘Molfett a music festi val’ tenutosi il 6 ott obre all’anfi teatro di Ponente. Mett ersi in gioco dinanzi ad una giuria tecnica e qualifi cata è stata una prova che i ragazzi hanno aff rontato e superato con grinta, passione e coraggio, tutt e qualità che noi adolescenti misuriamo quoti dianamente con il parametro dell’autocriti ca e della forza di volontà e che ci permett ono di

di emozione hanno insegnato a tutti , adulti e bambini, appassionati di musica o semplicemente della vita, che se nei sogni si crede, possono avverarsi. Ogni gruppo, presentando i propri inediti , ha messo a nudo l’anima di ogni singolo componente e l’ha ricoperta di colori, parole, note che l’hanno resa unica e, proprio per questo, speciale. Proprio grazie a questa splendida unicità che ci caratt erizza possiamo combatt ere questo mondo che spaventa, saltare questi ostacoli che sembrano sempre troppo fuori dalla nostra portata, e rimett ere in sesto queste gambe troppo lente per tenere il passo, fati coso e pericoloso, di questa società sempre in crescita per poi riparti re, magari, per una nuova corsa. Allora perché non fare della musica la propria musa ispiratrice nelle giornate più nere e diffi cili? Perché non uti lizzarla per esprimere se stessi e dar voce a quella parte più inti ma di noi stessi? La musica, come qualsiasi altra passione, è l’appiglio che ci salva da ogni tormenta. La voglia di farsi senti re grazie alla musica, ha vinto ancora!

lo sguardo dritt o e aperto nel futuro”. Si conclude un grande riturale colletti vo che ci ha riempiti di signifi cato, raff orzando il senso di appartenenza a un paese spesso con le fl ebo att accate ma che resta pur sempre la nostra meravigliosa casa.

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Io all´Ilva ci sono stato, più di una volta. Ho avuto la possibilità di vedere il tubifi cio, il treno nastri, l´area ossigeno, la cokeria, sono stato anche su un altoforno. Ricordo che la prima volta é stato come entrare in una sorta di Gotham City. Un´estensione pari a 2,5 volte la citt à di Taranto, il più grande polo siderurgico d´Europa. Tutt o é esageratamente grande, imponente, rumoroso. E´come un gigante che respira, sembra quasi di entrare in un polmone di un fumatore accanito, che però conserva le sue energie e funzioni.E´tutt o vero quello che si legge sui giornali o che si vede nei dossier, nei documentari. L´aria ha un odore parti colare e il cielo ha un colore grigio, anche quando non ci sono nuvole. E´vero che senti le polveri nel naso, quelle polveri nere che gli abitanti del rione “Tamburi” chiamano “il minerale”. E´tutt o vero. Il caso Ilva ha qualcosa di drammati co, un non so che di terribile che descrive forse meglio di altre metafore, quella che é la condizione dell´uomo in questo

ALL’ ILVA NON ARRIVA BATMANfedele marrano

nostro tempo, in questa nostra società. Un popolo intero combatt e per poter tornare a lavorare, disposto anche a trascurare il rischio che ciò comporta per la propria salute. Prima ancora di parlare di soluzioni politi che e tecniche, credo sia il caso di parlare di quello che é diventato l´uomo. Sono cresciuto leggendo i fi losofi della scienza che ci ripetevano fi no allo stremo che l´uomo é il fi ne, la tecnologia é il mezzo. In un caso simile non saprei dire se l´uomo é il fi ne, o semplicemente il tutt o porta l´uomo alla fi ne. Vivere per lavorare, lavorare per vivere, lavorare con il rischio di ammalarsi, ammalarsi perché non si lavora. E´comprensibile il volere delle famiglie dei lavoratori, cosi come lo é la posizione di chi ha deciso di porre uno stop deciso, per trovare una soluzione. Il caso Ilva é l´emblema di quanto siamo disposti ad abbassare la linea della nostra dignità, del rispett o che abbiamo per noi stessi. Siamo pronti ad accett are tutt o, pur di portare a casa i soldi che poi la moda, la pubblicità, i “poteri forti ” ci dicono

come dobbiamo spendere. E´come essere derubati due volte, del denaro, della nostra salute, del nostro essere. Nelle favole migliori arriva il supereroe, il Batman di turno che sconfi gge il potere oscuro e riporta la serenità nelle genti . Nelle nostre citt à non arrivano i supereroi, anche perché i costumi si indossano per le feste di regione, i Batman sono sovrappeso e più interessati a sparti rsi la torta dei soldi pubblici. E´ di questi giorni la noti zia dell´approvazione del decreto per il risanamento ambientale e la riqualifi cazione del territorio di Taranto. Un decreto che porterà non pochi danari in quell´area. In un paese in cui spesso l´immobilismo politi co la fa da padrone, credo che si possa essere soddisfatti . Ci sarebbe voluto un decreto per “il riposizionamento dell´uomo”, ma si sa queste cose succedono solo nelle favole, quelle con i veri supereroi.