Luce & Vita Giovani 81

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Credere in te di annarita marrano.................2 Di che spread sei? di fedele marrano....................6 81 Inserto mensile di informazione e comunicazione del mondo giovanile a “Luce e Vita” n.43 del 18 dicembre 2011 Piazza Giovene 4 -70056 Molfetta www.lucevitagiovani.it [email protected] Io non mi astengo di carmela zaza........................3 Fotoblog di gian paolo de pinto..............7 Crisi dance di antonello tamborra.............4 Facciamo finta che tutto va ben di Silvia Ayroldi........................8 La tua vita mi ene in piedi, il tuo sguardo mi dà coraggio a guardare avan, dove tu camminas alle origini del mondo, dove ancora aendi il pellegrino. Ed ecco tocco le cose e mi rispondono, le creature mescolano riso e pianto entro le mie mani, bevo e nella faccia ritrovo il mio volto d’Adamo. Un volto anco di pena, un volto giovane di speranza. M. Camilucci

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Inserto mensile della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi di informazione e comunicazione giovanile (dicembre 2011)

Transcript of Luce & Vita Giovani 81

Credere in tedi annarita marrano.................2

Di che spread sei?di fedele marrano....................6

81

Inserto mensile di informazione e comunicazione del mondo giovanile

a “Luce e Vita” n.43 del 18 dicembre 2011Piazza Giovene 4 -70056 Molfetta

[email protected]

Io non mi astengodi carmela zaza........................3

Fotoblog di gian paolo de pinto..............7

Crisi dancedi antonello tamborra.............4

Facciamo finta che tutto va bendi Silvia Ayroldi........................8

La tua vita mi ti ene in piedi, il tuo sguardo mi dà coraggio a guardare avanti ,dove tu camminasti alle origini del mondo,dove ancora att endi il pellegrino.Ed ecco tocco le cose e mi rispondono,le creature mescolano riso e pianto entro le mie mani,bevo e nella faccia ritrovo il mio volto d’Adamo.Un volto anti co di pena, un volto giovane di speranza.

M. Camilucci

CREDERE IN TEdi annarita marrano

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IL TERZO MESERISUSCITO’redazione L&VG

Dove eravamo rimasti ? Ah, sì…Il nostro ulti mo numero risale al mese di maggio: papa Giovanni Paolo II era proclamato

beato, si aspett avano i referendum, c’era chi si senti va poco cool, chi era stanco del modo di fare imperante, chi si interrogava su come il mondo fosse cambiato dopo l’att entato alle torri gemelle e chi faceva il bilancio delle cose positi ve e di quelle negati ve di facebook…

L’estate è arrivata con un vento di novità e il risveglio popolare che ha reso validi i referendum di giugno dopo venti anni dall’ulti mo raggiunto quorum. Ma è fi nita con un ritorno al passato grazie agli annunci di manovre e manovrine economiche fallite ancor prima di essere approvate.

È arrivato sett embre e a Molfett a c’era chi cantava “…da qui se ne vanno tutti ..”. Anche la nostra redazione ha visto diminuire le sue

fi la. Alcuni sono andati via per amore, altri per passione, altri ancora per necessità, altri ancora parti ranno. Cosa facciamo? Chiudiamo o conti nuiamo la nostra umile esperienza editoriale? IL tempo passava inesorabile e mentre ci interrogavamo sul nostro futuro, il governo Berlusconi è stato aff ossato più dai sorrisi franco-tedeschi che dalla volontà dei citt adini e ora siamo in att esa della stangata, della manovra salva-Italia con i grandi sacrifi ci chiesti (speriamo!) a tutti . C’è chi aspett a nel ti more perché nel fratt empo ha perso il lavoro alla Fiat, c’è chi si fa due risate e si consola guardando gli show di Fiorello o Checco Zalone in tv, c’è chi resiste (o almeno ci prova).

E noi? Avevamo preferito, in extrema rati o, la tecnologia alla fi sicità del giornale, arresi a cerimonie di scritt ura digitalizzate e ultrasemplifi cate, stupefatti dall’incertezza di chi, dedicandoci un po’ del loro tempo, ci seguiva e ha provato a cercare una giusti fi cazione alla nostra assenza.

Ma ecco, la svolta: positi vamente nostalgici, anziché batt ere desolatamente in riti rata ci

siamo rimboccati le maniche. Siamo convinti che questo giornale rappresenti qualcosa di realmente “visibile e presente”, incapace di passare inosservato dopo che ha stabilito un contatt o e fi nisce man mano per occupare il pensiero. Uno zahir, nel senso positi vo del termine.

Allora siamo ancora qui, per il decimo anno del nostro piccolo giornale, per poter pubblicare ancora rifl essioni, sogni, speranze, amarezze, per dare voce a chi vuole dire la sua su quello che vede intorno a sé, nella nostra Diocesi.

Questa intrinseca libertà nello scrivere non è tutt avia l’assenza di obblighi e di conti ngenze che possono minare questa stessa, bensì la capacità di scegliere di impegnarci in qualcosa che noi pensiamo e siamo convinti essere fondamentale per il mondo dei giovani. Per usare un parallelismo informati co di un server in manutenzione, possiamo dire che il LEVG ora è di nuovo up.

Cara Lati fa,

spero che il tuo viaggio di ritorno in Algeria sia andato bene. Come stai?

Ti manca l’Italia? Le preoccupazioni per il mio futuro da neolaureata e la diligente preparazione per i concorsi di dott orato occupano appieno le mie giornate. Le opportunità ci sono, ma sono così diverse tra loro da creare nella mia testa una gran confusione. Spesso mi chiedo cosa abbia maggiore priorità nella mia vita tra la carriera e la serenità, il successo e gli aff etti , il sogno di diventare ricercatrice e il desiderio di indipendenza. Fino ad ora c’è sempre stato qualcuno che ha deciso per me: seguivo diligentemente i ritmi universitari e della vita quoti diana di una semplice studentessa. Ora che siamo solo io e le mie prospetti ve diventa tutt o più diffi cile. Non mancano i momenti di disperazione in cui mi rivolgo a Lui, con toni a volte arrabbiati ed off esi, ed altre volte pacati e supplichevoli. Passato il momento di tensione, mi interrogo sulla mia fede “a convenienza”, sul mio pregare

fi nalizzato al chiedere e mai al ringraziare, sul mio reale essere cristi ana.

Mi ritornano in mente i nostri giorni di convivenza, le diffi coltà di comunicazione per l’inglese imperfett o, la tua curiosità per il diverso ed il cibo italiano. Ricordo il tuo essere musulmana convinta, la dedizione con cui indossavi il burqa nero per pregare, il tuo raccoglimento con le mani conserte e le parole bisbigliate al tuo Dio. Mentre tu pregavi, io chatt avo imbarazzata e un po’ incredula. Può esistere una fede così grande? Presto l’imbarazzo si tramutava in ammirazione ed invidia. Spesso di nascosto ti osservavo assorta nelle tue preghiere, nei tuoi colloqui segreti con un Dio diverso dal mio. Leggevo nei tuoi occhi socchiusi una totale devozione, che mostravi senza alcuna vergogna. Quanto ho desiderato poter pregare con la stessa abituale convinzione! Quanto ho sperato di affi darmi a Lui, con la tua fermezza e fi ducia! Quanto vorrei nutrire costantemente la mia fede, senza provare alcuna vergogna di fronte ai miei amici!

Non avendo il tuo indirizzo, non so a chi spedirò questa lett era. Non so se mai qualcuna la leggerà. Spesso uso le parole scritt e per parlare con me stessa, per combatt ere le mie paure. È un modo per salvare su un foglio di carta i pensieri e l’ammirazione che non ho mai avuto il coraggio di dirti . Oppure è un sistema infanti le per chiedere scusa al mio Dio della lati tanza, delle preghiere solo nel momento del bisogno, delle ingenti richieste e della costante insoddisfazione. Non so se un giorno le nostra strade si incroceranno nuovamente, se potrò rivedere il tuo sorriso incorniciato da quel velo elegante. Quello che so è che per sempre porterò dentro di me il ricordo delle tue preghiere silenziose, il tuo amore disinteressato, il tuo essere credente convinta.

A presto mia cara amica.

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Una tragedia. Un giorno che rimarrà nella storia. Giudizi opposti relati vi a uno stesso evento. Sono poche le

cose al mondo capaci di suscitare senti menti e pensieri così contrastanti . Una di queste è la Palesti na che il 31 ott obre 2011 è stata ammessa tra gli stati membri dell’Unesco, l’organismo dell’Onu per l’educazione, la scienza e la cultura. Un’ammissione certamente parti colare perché la Palesti na non fa ancora parte dell’Onu, perché è uno stato senza confi ni e il suo è un popolo martoriato e disperso in Medio Oriente o costrett o a vivere nella prigione di Gaza.

La decisione da parte dell’Unesco di accett are la richiesta del governo palesti nese permett erà forse ai tesori culturali di quella terra di tornare a casa visto che dal 1967 il trasferimento dei beni archeologici (e non solo) dai territori palesti nesi verso Israele è stato conti nuo. Il Museo di Israele che si trova a Gerusalemme infatti conti ene tra gli altri, mosaici romani e reperti trovati a Gaza e in questo museo i palesti nesi non possono recarsi se non sono residenti . Una ricaduta economica di vitale importanza per il popolo

palesti nese che subisce da anni un’apartheid conti nua, circondato da un Muro che Israele chiama “di Sicurezza” ma che di fatt o, con la sua costruzione conti nua, non fa altro che privare i palesti nesi della loro terra, di alberi di ulivo, di sorgenti d’acqua e pozzi.

Le conseguenze della decisione dell’Unesco non si sono fatt e att endere. Per Israele è stata appunto una tragedia; gli americani (maggiori fi nanziatori dell’ente) hanno

subito annunciato che non verseranno all’Unesco quanto previsto quest’anno.

Ma dove ha nascosto il nobel per la pace il presidente Obama? Troppo diffi cile e delicato fare una dichiarazione? Tutt o ciò conferma quanto e come il mondo si muova dietro la spinta del denaro e di un’economia nemmeno più reale invece che avere come obietti vo il benessere e i diritti dell’uomo. E l’Italia? Anche stavolta il nostro paese ha perso una buona occasione per prendere una posizione, per dimostrare di avere una personalità e di non dipendere dagli altri. I paesi europei infatti non sono riusciti a trovare un accordo e a esprimere un giudizio condiviso: ad esempio la Germania ha dett o no (senso di colpa?), la Francia si è schierata con i sì. L’Italia si è astenuta. Io invece non mi astengo. Come citt adina italiana la cui Costi tuzione aff erma e riconosce il diritt o di tutti all’istruzione e all’educazione e come catt olica che non accett a più la situazione disperata dei fratelli palesti nesi arabi e cristi ani, io non mi astengo. Io dico sì.

IO NON MI ASTENGOdi carmela zaza

SI, MA VERSO DOVE?di giusy tatulli

Don Pino Puglisi era una parroco palermitano ucciso dalla mafi a quasi 20 anni fa. E’ stato un personaggio scomodo, perché ha avviato una lott a anti mafi a intervenendo dall’esterno. La sua

azione era indirizzata ai bambini e ai giovani, le prede più facili e vitali per le organizzazioni mafi ose: li educava a realizzare se stessi lontani dalla malavita e dalla violenza, convincendoli che non sono questi i mezzi uti li per raggiungere i propri obietti vi. E da qui il suo mott o: “Sì, ma verso dove?”. Tra le sue parole, altrett anto signifi cati ve, ho scelto questa domanda breve ma dirett a, che ci mett e con le spalle al muro, che ci invita a scegliere bene e a guardare lontano. La sua domanda era rivolta ai suoi giovani, e li invitava a fare scelte diverse da quelle che la vita palermitana proponeva. Ma è un quesito che Don Puglisi pone a ciascuno di noi.

Quel “sì” per me sotti ntende un “posso andare”, “posso farcela”, “non devo arrendermi anche se c’è un ostacolo”. La domanda impone una meta, un luogo da raggiungere senza fermarsi. Diventa tutt o più semplice quando si ha davanti a sé un obietti vo chiaro, perché qualunque ostacolo non ci farà rinunciare a perseguirlo. “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”, diceva Seneca. E allora, siete pronti ad andare?

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“Ulti mo giro! Ulti ma corsa!” Ecco la danza della crisi: paura per il futuro, sacrifi cio, disoccupazione giovanile, cassa

integrazione, spread che sale e scende, il pil, gli scudi fi scali, le pensioni, i bond tedeschi, i bot italiani!. È tempo di rimboccarsi le maniche o di “stringere la cinghia”. È tempo di nuove tasse. È tempo di leggi che aiuti no i giovani. È tempo di crisi ragazzi. Si balla! Questo è il ritmo della nostra att uale storia. La società ci ha donato una trasfusione di crisi e paura che ci immobilizza sul lett o della nostra giostra. Il termine crisi ormai è l’eco di ogni fonte di informazione. Sembra un trailer di fi lm horror dal ti tolo “Uccidiamo il signor Futuro” che prepara la giusta suspense allo spett atore. E intanto la vita scorre. Siamo su questa giostra, ragazzi e ci costringono a ballare. È la danza della crisi. Sembra che tutti i problemi legati alla persona, come le separazioni familiari, la mancanza di lavoro giovanile, la diffi coltà di percepire uno sti pendio siano tutti causati da un termine multi funzionale: crisi. Ma chiamiamola per nome questa crisi e cerchiamo di capire l’origine reale, non nascondiamoci dietro questa carta “jolly” estraibile ogni qualvolta ci senti amo lontani da noi stessi o quando qualche problema

“CRISI” DANCEdi antonello tamborra

economico ci att anaglia. Spesso si rischia di cadere nell’oblio del sonno consolandoci con frasi del ti po: Ci sarà un futuro migliore. Mai questa frase è stata la più anti cristi ana e pessimisti ca della storia! Determina l’alba di una sconfi tt a generazionale, un annichilimento delle coscienze. È in questo giro di giostra pazza, di “crisi” dance, che tutti ci vengono a dire: “Aiuti amo i giovani, il futuro del mondo!” E intanto il presente di chi è? Chi lo vive, chi lo soff re? Ma siamo certi che lo sguardo politi co del mondo è sui giovani, sulle famiglie o sugli anziani, sulla persona nella sua interezza o la politi ca li considera solo quando si è giunti al collasso sociale? Per noi giovani, terrorizzati dal futuro, dalle possibili “fughe di cervelli”, dove sta la vera danza? Vogliamo davvero essere prigionieri di una giostra che ci porterà al collasso generazionale?È necessario ritornare alle nostre origini rispolverando il disegno della salvezza, il disegno di Dio, ove “la persona umana non può e non deve essere strumentalizzata da strutt ure sociali, economiche e politi che, poiché ogni uomo ha la libertà di orientarsi verso il suo fi ne ulti mo. D’altra parte, ogni realizzazione culturale, sociale, economica e politi ca, in cui storicamente si att uano la socialità della persona e la sua atti vità trasformatrice dell’universo, deve sempre essere considerata anche nel suo aspett o di realtà relati va e provvisoria, « perché passa la scena di questo mondo!» (1 Cor 7,31). (…) Qualunque ideologia puramente intramondana del progresso è contrario alla verità integrale della persona umana e al disegno di Dio sulla storia”. Cito questo passo del compendio della Dott rina Sociale della Chiesa perché possiamo rifl ett ere e

rimodulare il nostro pensiero incanalandolo in quello del sogno primordiale di Dio. In questa giostra impazzita il denaro è divenuta l’unica porta da oltrepassare per vivere il presente, spazzando così il senso della speranza cristi ana e della Provvidenza. Questa vita, la nostra giostra, rischia di girare a vuoto o di non girare più se non la riporti amo nei ritmi del sogno primordiale di Dio.Dio, infatti , creò il mondo per collocare l’uomo in esso e renderlo uti lizzatore del creato per arrivare alla conoscenza di Dio stesso. Oggi abbiamo dimenti cato Dio e il suo primordiale amore, facilitando così il percorso di degrado e decentramento dell’uomo, dei suoi diritti e delle sue libertà donateci da Dio stesso. Il motore del mondo non è più il bene comune, ma la prevaricazione reciproca quale strada ignota che ci conduce inevitabilmente alla crisi, quella della identi tà sociale. Ci chiedono di superare la crisi restando uniti ; certo che lo faremo, ma mi piacerebbe ricordare che queste parole ci sono state già dett e da “Qualcuno” molto più lungimirante di noi che agli albori della storia nascente già disse: “Siate fecondi e molti plicatevi; riempite la terra, rendetevela soggett a, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra”. Dominatela non distruggetela. Forse dobbiamo un po’ scendere da questa giostra impazzita e interrogare dirett amente Lui sulla “uti lità” della nostra storia, e forse allora si realizzerà il sogno del profeta Geremia: “La vergine si rallegrerà nella danza, i giovani gioiranno insieme ai vecchi; io muterò il loro lutt o in gioia, li consolerò, li rallegrerò liberandoli del loro dolore”.

GALLINA VECCHIA FA BUON BRODOdi mauro capurso

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Sin da piccola ho sempre ammirato mia nonna sferruzzare, mentre seduta davanti alla tv, creava con le sue abili

mani quelle calze da nott e che, con molto piacere, ancora oggi indosso nelle fredde notti invernali. Con il passare degli anni, quel lavoro affi dato alle sapienti mani delle donne adulte delle nostre famiglie, ho scoperto essersi tramutato in una vera e propria passione anche per alcune giovani nipoti , mie coetanee. E piacevolmente sorpresa mi sono ritrovata a vagare in un pullulare di bancarelle con oggetti fatti a mano molto originali, ma sopratt utt o unici: dai quadretti a punto croce, agli accessori in feltro, o ai gioielli in pasta sinteti ca, per cui devo ammett ere, ho proprio un debole, giusto per citarne alcuni. La loro esclusività risiede proprio nella natura di oggetti non realizzati serialmente da un macchinario, ma nati dall’estro, dalla creati vità e sopratt utt o dalla manualità di queste arti ste del “fatt o a mano”.

Per alcune di queste ragazze si tratt a solo di un hobby, ma in alcuni casi si è trasformato in un vero e proprio lavoro. In realtà, è un fenomeno che dilaga anche tra piccoli imprenditori, che hanno saputo trasferire tutt a l’inventi va di cui dispongono in qualcosa di apprezzabile, persino per coloro che non hanno una spiccata vena creati va.

Negli ulti mi tempi, poi, con l’avvicinarsi del Natale, mi è capitato sempre più spesso di leggere slogan orientati a promuovere l’acquisto di oggetti hand made, come forma di sostegno economico ai nostri vicini di casa, all’amica creati va o ai mercati ni parrocchiali, anziché rimpinguare le casse delle multi nazionali.

Si tratt a di un invito che ho voglia di condividere, supportata dall’idea di realizzare, con la mia scelta, un doppio dono: a coloro che lo ricevono, ma anche a coloro che lo creano, esprimendo, così, il mio supporto alla loro ingegnosità.

L’arti gianato fatt o in casa non sarà la soluzione con la esse maiuscola alla crisi, ma è sicuramente un buon modo per vedere tramandate anti che e nuove tecniche di lavorazione dei materiali, rivalutando il talento arti sti co, che resta sempre una delle prerogati ve degli essere umani.

HAND MADEdi francesca messere

Nonostante fossero passati pochissimi minuti dalla divulgazione dell’elenco dei mi-nistri scelti da Mario Monti per il suo governo, il nuovo Consiglio era già stato “eti -chett ato”. Poche donne, fucina di esperti , ma sopratt utt o… il più vecchio d’Europa.

64 anni è l’età media dei nuovi ministri, la più alta della storia della nostra Repubblica, ma anche dell’att uale panorama politi co dell’Unione Europea. Citando il dossier di Openpolis sembra che “l’autorevolezza necessaria alla politi ca per aff rontare i periodi di crisi debba es-sere ricercata nell’esperienza degli stessi componenti del governo”. Un’aff ermazione, que-sta, che, unita al dato puramente stati sti co, mi ha fatt o rifl ett ere parecchio. In parti colare mi riferisco al fatt o che “solo” nei periodi di crisi la nostra nazione può aspirare ad essere governata da fi gure competenti piutt osto che da vallett e, quasi che la situazione att uale sia l’eccezione e non la norma. In eff etti il passato ci ha insegnato parecchio a proposito…

Tutt avia mi piace pensare ad un presente che ha molto di più da raccontarci. Mi piace legge-re la casualità stati sti ca relati va all’età media dei nostri nuovi ministri con lo sguardo rivolto al futuro, ed in parti colare al nostro futuro. Ciò che saremo domani dipende sostanzialmen-te da quanto bravi siamo oggi, e questo vale per gli uomini e le donne d’esperienza scelti dal prof. Monti , ma ha una valenza ancor maggiore se pensiamo a noi stessi. Oggi abbiamo i nostri genitori che ci supportano, i nostri parenti , i nostri insegnanti , i nostri educatori, ma… fi no a quando ci saranno i nostri “vecchi” a proteggerci?

Mi piace vedere questa squadra di allegri sessantenni come la nostra migliore occasione per iniziare a costruire la nostra identi tà futura. Siamo giovani, ma questo non signifi ca che siamo privi di responsabilità, perché un palazzo non sarà mai solido se le sue fondamenta non lo sono. Cerchiamo di cogliere il massimo da questo periodo della nostra vita, perché un giorno saremo noi responsabili delle generazioni che verranno, oltre che di noi stessi.

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I telegiornali nell’ulti mo periodo hanno ti tolato: “lo Spread vola” lasciando quanto mai sgomenti coloro i quali non conoscono

questo termine. Qualcuno avrebbe potuto pensare che si tratt asse addiritt ura di un dato positi vo.Il termine inglese Spread indica una diff erenza, una distanza. Nel nostro caso, parlando della crisi economica che ci att anaglia, tale parola si riferisce alla diff erenza di “affi dabilità” che intercorre tra lo stato italiano ed un altro stato europeo (solitamente la Germania). Pertanto se la Germania intende vendere i suoi ti toli di stato (Bund) riesce a trovare con più facilità creditori disposti a prestare denaro ad una colletti vità che comunque da’ garanzie che tale debito contratt o verrà ripagato. Uno stato come l´Italia, invece, incontra molte più diffi coltà a piazzare i suoi ti toli di stato(Btp), dato che le condizioni della nostra economia non off rono garanzie. Data la necessità di reperire fondi liquidi, lo stato Italiano è costrett o ad alzare i tassi di interessi, per poter rendere più allett ante ai creditori, la possibilità di prestarci denaro. Lo Spread è dunque la diff erenza tra i diversi tassi di interesse che i due stati in questi one devono pagare sul debito contratt o. Vi chiederete perché uno stato già di parecchio indebitato deve conti nuare ad indebitarsi...

DI CHE SPREAD SEI?di fedele marrano

ma questa non è materia di questo arti colo. Mi sono chiesto se esiste anche uno Spread nelle nostre vite, una sorta di indicatore che in qualche modo misura e cataloga le nostre esistenze, le nostre storie, ahimè, anche le nostre persone. Molti potranno dirmi che le vite delle persone sono incommensurabili e non potrei che essere d’accordo, ma non è di una misura “assoluta” che voglio parlare, bensì di una di una sorta di metro che sancisce la diff erenza tra le opportunità, le occasioni che ciascuno nella sua vita riceve in base a dove è nato, inteso come luogo e come ambiente familiare, a come è cresciuto, da chi è stato governato. Tutti quanti noi siamo “contestualizzati ” in un recinto di condizioni al contorno che inevitabilmente ci qualifi cano, che scrivono la nostra storie insieme al nostro impegno, ai nostri sacrifi ci, ai nostri cammini di vita. Eppure tutt o questo viene spesso, se non sempre, ignorato, non considerato. Quando si fa un colloquio di lavoro l’esaminatore non ti chiede come hai raggiunto i tuoi traguardi. Legge il tuo curriculum, fa qualche domanda, cerca di capire cosa puoi off rire. La tua vita, la tua carriera, perché no anche la tua persona, viene semplicemente confrontata, appunto misurata. Non conta la tua storia, conta il risultato. Così come i creditori non possono (e non

vogliono) vedere la storia di un Paese, non cercano di capire come e perché si è arrivati a quella determinata situazione economica, così le nostre vite spesso vengono semplicemente comparate, catalogate. Non importa quali siano stati i diversi punti di partenza, contano solo i punti di arrivo. E’ questo lo Spread delle nostre vite, che inevitabilmente conti nua a crescere. Mentre in altri paesi europei uno studente può ricevere un presti to di denaro pubblico (a interesse zero) per poter scegliere la sede degli studi più adatt a a sé, i nostri “talenti ” devono fare i conti reali con le tasche delle famiglie, con le problemati che di un mondo che di certo noi, giovani o presunti tali, non abbiamo generato ma di certo subito. E mentre in questi giorni si consuma l’ennesima riforma economica che stringe ancora di più la cinta, la diff erenza di opportunità cresce a dismisura, insieme alla diversità degli “stati in luogo”, dei tempi, delle stagioni. Cosa fare? Di certo non possiamo aspett arci una riforma, tecnica o politi ca che sia, in tale materia. Alla fi ne di un arti colo simile forse dovremmo tutti deprimerci, ma mi piace pensare che la vita è tutt ’altra cosa che un semplice copione più volte recitato. De Andrè diceva: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fi or”. Forse non saremo diamanti , ma potremo diventare fi ori. Buona fortuna.

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IS THIS THE PLACE?di maria teresa mirante

I Talking Heads cantano This must be the place, sullo sfondo un uomo cammina curvo e a tratti barcollante a trascinarsi il

peso delle situazioni irrisolte, chiuse prima in un carrello della spesa e poi in una valigia che invece di riempirsi via via si svuota durante un viaggio che ha il sapore della scoperta, della risoluzione, del ritrovarsi. Cheyenne è una rock star in pensione, a 50

anni tutti i giorni si sveglia, si mett e davanti allo specchio e si costruisce la sua maschera, una maschera che mai come adesso diventa un armatura che lo protegge dal suo passato. “C’è qualcosa che mi ha disturbato ma non so esatt amente cosa”, si ripete. E poi esce a fare la spesa muovendosi in un esistenza che è una sorta di limbo tra un passato di luci e successo e un futuro di ombre e inuti lità.

Sarà la morte di suo padre a riportarlo a New York ed è lì che scoprirà quanto quest’uomo, che non ha mai davvero conosciuto, avesse nella vita un’unica ossessione: ritrovare un criminale nazista che anni addietro lo aveva umiliato nel campo di concentramento in cui era internato. Inizia il viaggio di Cheyenne, un viaggio att raverso le terre sconfi nate e a tratti desolate del New Mexico che tanto rifl ett ono il paesaggio interiore di quest’uomo perso in sé stesso. Un viaggio che ci regalerà personaggi insoliti ma disperatamente umani, pieni di rimpianti e di penti menti , eternamente irrisolti , emblemi di come si passi in frett a dall’età in cui diciamo “vorrei che fosse così”, a quella in cui diciamo “è andata così”. Conti nua il viaggio che porterà

Cheyenne a ritrovare quest’uomo a cui il padre per tutt a la vita aveva dato la caccia. E non per ucciderlo ma solo per infl iggergli la stessa umiliazione che suo padre, come tanti altri uomini, aveva subito e per comprendere che alla fi ne in una guerra non vince mai nessuno ma perdono tutti , un po’ di sé stessi e della propria umanità.

“Casa è dove voglio essere ma mi sa che ci sono già”. Si, ci sei già quando capisci cosa ti ha disturbato, cosa hai perso, quando capisci cosa sei. “Vengo a casa, lei ha sollevato le ali, sento che questo dovrebbe essere il posto”. Si è questo il posto, quando si ritorna, quando la donna che ami ti aspett a e tu fi nalmente hai gett ato la maschera, hai capito chi sei. Hai svuotato la valigia. Ora è tempo di crescere, ora è tempo di vivere e non avere più paura.

Paolo Sorrenti no con delicatezza racconta il blocco esistenziale di chi si nega a sé stesso, schiavo di una libertà apparente. Per riparti re occorre tornare all’inizio, alle origini, a ciò che si credeva di aver dimenti cato e rinnegato. Si, questo deve essere il posto giusto…per cominciare a scoprirsi capaci di vivere.

FOTOBLOG:RITI DI INIZIAZIONEdi gian paolo de pinto

Siamo a Gerusalemme Est. Il fulcro di questa foto è costi tuito da un bimbo palesti nese ripreso nel momento in cui sta per lanciare un sasso contro i soldati israeliani di guardia alla fronti era del campo profughi di Shuafat. A pochi metri da lui, ragazzi e uomini piú grandi assistono alla scena quasi disinteressandosi degli scontri, puntando l’att enzione sul bambino. L’uomo che guarda dal tett o, addiritt ura ha una mano in tasca e piú dietro, in lontananza, due ragazzi sembrano parlare tra di loro incuranti di quanto sta accadendo. Tutt o rimanda ad un rito di iniziazione di un bambino alla guerra infi nita tra israeliani e palesti nesi. Quella guerra che segnerá gli anni a venire di questo bambino. Quella guerra che gli negherá l’infanzia perché giá abbastanza grande per poter lanciar sassi contro il nemico. Quella guerra che sembra non esaurirsi mai come non sembra esaurirsi quel fuoco che brucia sul lato della strada, unico elemento dalle ti inte forti in u na foto in cui domina una macabra scala di grigi, una foto che sembra senza tempo.

L’inserto è curato da : Vincenzo di Palo, Responsabile.

Silvia Ayroldi, Vincenzo Bini, Mauro Capurso, Mariella Cuocci, Gian Paolo de Pinto, Giuseppe Mancini, Annarita Marrano, Fedele Marrano, Francesca Messere, Manlio Minervini, Maria Teresa Mirante, Antonio Tamborra, Giusy Tatulli, Carmela Zaza.

Grafica: Valentina de Leonardis, Gian Paolo de Pinto.

Collaboratori allestimento: Donato Magarelli, Milena Soriano

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Oggi vorrei raccontarvi semplicemente una aff ascinante storia: “C’era una volta Peppino, un giovane cresciuto

nella lontana terra di Mafi opoli. In questo paesino tutti i citt adini, i mafi osi, erano amici.. amici di poliziotti , di politi ci, di insegnanti , di tutti insomma. Ma un giorno Peppino decise di non voler essere amico di alcuno, perchè nessuno a Mafi opoli gli piaceva più, e si isolò; nel corso della vita però incontrò altre persone che come lui avevano fatt o la sua stessa scelta e perciò decisero di organizzarsi per conquistare Mafi opoli e trasformarla nella citt à di Libertopoli, dove ogni citt adino poteva avere le proprie idee ed esprimerle senza essere amica di tutti . Per sovverti re il governo di Mafi opoli astutamente uti lizzò la sati ra via radio, che fu sempre più seguita dai citt adini; ma un giorno il sindaco dei mafi osi, Tano seduto, stanco di essere sbeff eggiato pubblicamente e geloso del successo di Peppino e dei suoi amici, decise di mett ere a tacere le voci degli insorti e per farlo bastò spargere un po’ di tritolo sul corpo del leader Peppino. Fu così che Mafi opoli tornò ad essere la citt à dove tutti erano amici.”

Ho voluto raccontarvi in questa chiave goliardica la storia di Peppino Impastato, ucciso nel 1978, a soli trent’anni, dai principali esponenti mafi osi di Cosa Nostra a quel tempo, e ho voluto farlo per dare di nuovo voce ad una storia di coraggio che non

ancora tutti sanno. Quando ho conosciuto il suo personaggio e la sua vita mi sono messa a rifl ett ere e mi sono arrabbiata. In un primo momento me la sono presa con la mafi a, ma poi mi sono ricordata che qualcuno, non ricordo chi, fece un’aff ermazione riguardo ad essa, che in un primo momento poteva apparire semplicisti ca e beff arda, ma che probabilmente conteneva un fondamento inquietante di verità: la mafi a non esiste!

Certo ci sono numerosi libri che illustrano la storia della mafi a, i suoi tanti delitti , le stragi, la sua strutt urazione, ma la verità e che la storia della mafi a italiana non è altro che la storia della nostra stessa società , edifi cata sulla prevaricazione e lo sfrutt amento dei potenti nei confronti dei deboli, sul principio della strati fi cazione sociale, sulla riparti zione in clan di appartenenza di ogni ti po, dai parti ti ai club sporti vi.

In un secondo momento poi mi sono arrabbiata con me stessa per non avere quel coraggio di sovverti re gli schemi sociali che ci stanno rovinando, senza dare importanza

PEPPINO: FACCIAMO FINTACHE TUTTO VA BENdi silvia ayroldi

ai rischi che ciò comporta; arrabbiata perché non ci sono più dei parti ti , come all’epoca di Peppino, che coinvolgano atti vamente i giovani in momenti di discussione e permett ano di formare coscienze politi che sane; arrabbiata con la gente che ancora crede che l’omertà sia un bene per la società; arrabbiata con una Chiesa che non capisce più i bisogni dei giovani e indirett amente li allontana dai suoi sani principi; ma sopratt utt o arrabbiata perché vivo in un Paese dove la regola è fare fi nta che tutt o vada bene!

E allora, riportando il moti vett o introdutti vo di alcune trasmissioni di Radio Aut, la radio fondata e condott a da Peppino Impastato, vi dico :“facciamo fi nta che tutt o va ben, tutt o va ben..facciamo fi nta che tutt o va ben!”, tanto tra poco è anche Natale e si sa, siamo tutti più buoni.