LR - Speciale V+ - Volume 33

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www.venderedipiu.it Idee e strumenti per vendere di più e meglio Speciale V+ - Volume 33 ZIONE SPECIAL EDIZIONE SPECIALE FESTA 30 ANNI: DA BERLINO SI GUARDA AL FUTURO Power Day: il giorno di Zeitgard, novità esclusiva LR Intervista doppia agli Orgaleader Innovazione e tanto altro su V+!

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Transcript of LR - Speciale V+ - Volume 33

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Idee e strumenti per vendere di più e meglio

Speciale V+ - Volume 33

LINDSTROM: ENTRARE NELLA MENTE DEL CLIENTEEDIZIONE SPECIALEEDIZ IONE SPECIALE

FESTA 30 ANNI:DA BERLINO SIGUARDA AL FUTUROPower Day: il giorno di Zeitgard,novità esclusiva LRIntervista doppia agli OrgaleaderInnovazione e tanto altro su V+!

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MAGAZINNOVITÀ

NOVITÀ ESCLUSIVA LR

I VINCITORI DEL CONCORSO 30 ANNI LR

BY LRNOVITÀ:

IT

Art

.: 93

766

-407 I PRIMI VICE-PRESIDENTI IN FRANCIA:

Una bellezza naturale con un semplice click!

SOPHIE ROMO-GOMEZ

JEAN-MARC THIMOLÉON

EDIZIONE SPECIALEEDIZ IONE SPECIALE

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Cari Partner,bentornati al secondo appunta-mento con l’approfondimento LR e V+.Abbiamo appena concluso tre eventi eccezionali: la Global Lea-der Convention e la straordinaria festa per i 30 anni LR, e subito

dopo il nostro #powerdaylrit con la #run4kidslr.Che tripletta di manifestazioni spettacolari, delle vere cariche di energia!La grande sorpresa è stata senza dubbio la presen-tazione del nuovo marchio LR ZeitGaRD Cosmetic Devices. Con l’introduzione della Cleansing Devices abbiamo compiuto un passo decisivo nel futuro, poi-ché allarghiamo gli orizzonti del modello aziendale LR. Stiamo parlando di uno strumento di business con garanzia di successo che è realizzato su misura per la vendita diretta.Ora tocca a voi utilizzare questo prodotto innovativo per il vostro business LR personale.Buona lettura!

Antonello Badanesi

www.lrworld.com

ANTONELLOBADANESI

GENERAL MANAGER ITALIA LR HEALTH & BEAUTY

MUSTTO

HAVE

COSA SignifiCA pErVOi pArTnEr:

NOVITÀ• pulizia profonda della pelle con spazzole oscillanti

• risultato subito visibile

• 10 volte più efficace della pulizia manuale

• facile da usare

• igiene e sicurezza grazie alla tecnologia antibatterica Microsilver

CLEAnSing DEViCE

Testina con setole in Microsilver

Design LR

Caricatore

Zeitgard è un termine composto da Zeit (tempo, in tedesco) e Guard (controllo, in inglese). Fermiamo il tempo, controlliamolo: rendendo la pelle più giovane e più luminosa più a lungo.

Chi non sogna di fermare il tempo e bloccare l’invecchiamento della pelle?

Con Zeitgard la pelle appare più giovane e fresca più a lungo che mai. Un colorito e un aspetto che va oltre l’età e che rivoluziona il concetto di bellezza! Una pelle luminosa e giovane in maniera naturale, per una vera bellezza senza tempo. Inizia una nuova era nella storia LR.

L’iniziO Di UnA nUOVA ErA

IL seGReTo DeLLa beLLeZZa Con Un soLo CLICk!

La bellezza è il nostro mondo, l’innovazione il nostro motore! Da oggi le nostre competenze in chiave di bellezza e know-how tecnico verranno confluite in un nuovo segmento: una vera pietra miliare nella cosmesi tecnica.

•Con un click - aumento del fatturato!

•Con un click - argomenti che convincono!

•Con un click - clienti convinti che continuano a fare ordini!

•Con un click - divertimento e vendite!

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EDIZIONE SPECIALEEDIZ IONE SPECIALE

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InsideInside

2015

10,000

20,000

30,000

40,000

2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022 2023

1. Innovazione: è il momento di puntare sulla nuova tendenza della cosmesi tecnica

3. Combinazione perfetta tra hardware e software

4. Clinicamente testati

ZEITGARD

2. Novità mondiale: spazzole detergenti con cristalli antibatterici MICROSILVER

70%le donne che vorrebbero un

Cosmetic Device*

25%crescita annuale

in volume del mercato dei Cosmetic Devices

1,5(previsione 2017)

milioni di dollari di fatturato in tutto il

mondo

* Fonte: Cosmeticsdesign.com | USA

Segni del tempo sulla pelle? Non fatevi scappare la nuova innovazione LR “Cosmetic Devices” e sfruttate questo prodotto innovativo per le vostre attività LR.

Un nuovo business con GARANZIA DI SUCCESSO!

PERCHÉ?

Mercato delle Cosmetic Devices

Previsioni di crescita esponenziale

Quelle: Lux Research, Inc.

Cosmetic DevicesCleansing Devices

12 LR MAGAZIN | 05 · 15

• Facile da spiegare e da usare• Successi immediati e visibili• Tutti lo vogliono avere• Facile da vendere

In futuro anche i device cosmetici avranno un loro posto fisso in bagno, così come gli spazzolini e i rasoi elettrici.

La pulizia delle spazzole è fondamentale per prevenire le irritazioni. Grazie a Microsilver le setole sono libere dai batteri per almeno 3 mesi! LR è l’unica azienda ad usare questo principio attivo per l’igiene delle spazzole dei Cosmetic Devices.

Tutto in uno: Zeitgard e la sua gamma di prodotti detergenti sono studiati per lavorare in perfetta sintonia con risultati rapidamente visibili. Per una pulizia 10 volte più efficace rispetto ad una pulizia manuale!

Zeitgard Cleansing Device e i suoi “alleati” in forma di gel e crema detergente sono stati testati da rinomati istituti indipendenti tedeschi per verificarne l’efficacia.

EDIZIONE SPECIALEEDIZ IONE SPECIALE

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EDIZIONE SPECIALE

IL CIELOSOPRA BERLINOIL 9 MAGGIO SI È COLORATO DEI COLORI DI LR PER LA FESTA DEI 30 ANNI DI ATTIVITÀ All’Hotel Estrel, nella

capitale tedesca, è stato celebrato un compleanno impor-tante: i 30 anni dalla nascita di LR.Due giorni intensi, ricchi di emozioni

indimenticabili: la Global Leader Con-vention, l’8 maggio, e l’LR Party, il 9

maggio, con tante novità e partecipanti che hanno mostrato un forte senso di appartenenza e voglia di raggiungere obiettivi sempre più importanti.

Erano presenti 40 Partner italiani.Ospiti speciali, grandi nomi come Bruce Willis, Emma Hemming-Willis, Karolina Kurkova, Cristina Ferreira, Guido Maria Kretschemer.

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dell’Università Bocconi di Milano.E soprattutto grazie ai tanti Partner LR che si sono alternati con le loro testi-monianze di successo.Per il secondo anno consecutivo l’ap-puntamento con la #run4kidslr ha ri-empito il lungomare di Rimini dei colori LR. Tutti i partner (grandi e piccini) han-no partecipato con entusiasmo, muniti di runner kit LR e dello spirito giusto per affrontare una intensa giornata di formazione! L’intero ricavato della pas-seggiata veloce è stato devoluto, come di consueto, all’LR Global Kids Fund.Di nuovo, grazie a tutti per aver reso questo #powerdayLRit veramente spe-ciale.

DOPO IL PARTY DEI 30 ANNIA BERLINO, UN ALTRO GRANDE EVENTO FIRMATO LR

Il #powerdayLRit ha visto la partecipazio-ne di centinaia di Partner LR provenienti da ogni parte d’Italia.L’emozione provata pochi giorni prima al party di Berlino è stata replicata, sempre con grande entusiasmo, a Rimini, il 16 e il 17 maggio.Formazione, motivazione e divertimento.

Grazie agli ospiti e ai relatori, tutti eccezionali: il Presidente Holger Kunath, Cristina Castellano, Mario Del Corso di V+, Marco Garavaglia per Mercedes Benz Italia, la Prof.ssa Carolina Guerini

EDIZIONE SPECIALEEDIZ IONE SPECIALE

IL SUCCESSODELPOWER DAY2015

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A Rimini sono state consegnate queste nuove vetture aziendali:

Classe C 220Enrico Tassello

GLAArtur Daka e Marco Abruzzese

Classe ASalvo Rocca; Paolo e Vincenzo Scuderi

Complimenti a tutti!

EDIZIONE SPECIALEEDIZ IONE SPECIALE

L’INTERVISTA DOPPIA

Nome e cognomeEnrico Tassello e Claudia Marchetti

Da quanto tempo sei Partner LR?Da gennaio 2012

Ricordi il tuo primo giorno da Partner?Sì, sono stato al Kick off di Bologna e lì ho deciso di diventare Partner

Il primo prodotto provato?I prodotti Figuactiv, li ho sostituiti a quelli corri-spondenti di un’azienda concorrente con cui col-laboravo prima.

Raccontaci la tua giornata.Mi sveglio verso le 6, prendo aloe e poi un frulla-to, vado nel mio ufficio in casa e passo un paio di ore a lavorare online: campagne pubblicitarie, aggiornare i siti, le pagine Facebook, sistemare presentazioni ecc.Poi vado nel nostro ufficio/show-room dove ricevo partner, clienti e faccio colloqui di presentazione attività, a volte fino a tarda sera. Altri giorni parto

TORNA L’APPUNTAMENTO CON I NOSTRI ORGALEADER FRESCHI DI QUALIFICA

TEAM TASSELLO-MARCHETTINome e CognomeGraziella e Salvo Rocca.

Da quanto tempo sei Partner LR?Siamo Partner LR da ottobre 2011.

Ricordi il tuo primo giorno da Partner?Lo ricordo come fosse ieri: pioveva a dirotto. Quando mi è stata presentata l’opportunità di diventare Partner LR, ho avuto subito la perce-zione che si trattava di un progetto molto serio e importante. Non ho esitato neanche cinque minuti e ho compilato la mia domanda di colla-borazione.

Il primo prodotto provato?Ci siamo innamorati subito dell’Aloe Vera Gel da bere e poi via via di tutti i prodotti a uso quoti-diano.

Raccontaci la tua giornata.La mia giornata inizia con 2-4 appuntamenti in

TEAM ROCCA

per sessioni di colloqui in altre città: mi piace viag-giare e sto allargando i nostri orizzonti.Claudia a volte lavora con me, altre volte segue i clienti e i partner per consigli con i prodotti.Diciamo che siamo complementari, lei ha le cono-scenze e l’esperienza di 25 anni di farmacia per i prodotti e io seguo la parte commerciale e di co-struzione rete.

LR vi ha cambiato la vita?Assolutamente sì. Basti pensare che da gennaio Claudia ha deciso di lasciare la farmacia di fami-glia per lavorare solo con LR, questo significa es-sere liberi!

Il primo benefit aziendale?La Polo, ricevuta dopo 4 mesi di attività.

Ultima qualifica?Orgaleader.

Cosa significa essere Orgaleader?Significa aver raggiunto un grande obbiettivo, si-gnifica che sei un professionista, che vivi di questo lavoro, che hai grosse responsabilità verso le per-sone che fanno parte del tuo gruppo, che hai una grande responsabilità anche verso l’azienda che rappresenti, significa che il traguardo si è trasfor-mato in partenza per i prossimi traguardi che sono dannatamente importanti.

Com’è stata l’esperienza di Berlino?Berlino è stato per noi molte cose: primo, una va-canza dopo molti anni di non vacanze. E poi la consapevolezza di essere in un’azienda diversa, eccezionale, unica.Ci siamo trovati, senza accorgerci, immersi nel filmato che abbiamo visto centinaia di volte nelle presentazioni, quello che sai essere vero, ma in cui tu sarai sempre spettatore, e ora ci eravamo den-tro, eravamo parte di quel sogno.Straordinario.Mi porto a casa anche un ricordo particolare e do-loroso: la caduta salendo i gradini del palco di Ber-lino mi ha lasciato una spalla malandata, ma ho sempre saputo che il successo ha il suo prezzo…

Un consiglio per i tuoi colleghi Partner.Abbiate sempre fame, non rallentate mai, cadrete, ma rialzatevi e il successo arriverà.

Prima di andare a dormire, pensi a…?Mille cose, poi all’agenda di domani…

Un pensiero per il team Rocca.Salvo è una persona molto diversa da me, è estro-verso, casinista, non sta mai zitto, direi il mio con-trario, ma in lui vedo la stessa determinazione, la stessa voglia, la stessa sicurezza che l’obiettivo lo raggiungeremo e quindi gli auguro di raggiunge-re la qualifica di Presidente, così faremo ancora molta strada assieme, qualifica dopo qualifica. E magari saremo il primo Presidente italiano (io) e il primo siciliano (lui), a meno che non cominci a girare con la bandiera italiana senza scritte dentro!

cui presentiamo il progetto LR. Tutto senza tra-scurare i Partner che spesso affianchiamo negli appuntamenti per sostenerli nella creazione della loro struttura.

LR vi ha cambiato la vita?Decisamente sì! Spesso ci chiediamo cosa avremmo fatto senza LR. Grazie a questa azien-da la vita è diventata un continuo avvicendarsi di obiettivi e traguardi. È così stimolante poter rag-giungere un obiettivo specie se si ha la consape-volezza che l’obiettivo più grande è conquistare la propria libertà economica e professionale. E con LR possiamo aiutare anche gli altri a raggiun-gere lo stesso traguardo.

Il primo benefit aziendale?Dopo aver raggiunto il primo 21%, abbiamo rice-vuto la prima macchina aziendale e una rendita mensile di 700 euro.

Ultima qualifica?Orgaleader e siamo al terzo mese di Bronze Or-galeader!

Cosa significa essere Orgaleader?Per noi vuol dire raggiungere il primo passo ver-so la libertà, quella libertà che ti consente di non dover aver un capo a cui sottomettersi per uno stipendio inadeguato, ma poter veder riconosciu-to in maniera meritocratica il proprio valore e po-terlo condividere.

Com’è stata l’esperienza di Berlino?Berlino è stato un sogno impossibile da raccon-tare e indimenticabile. Auguriamo a tutti di poter dire un giorno “io c’ero”, perché ti dà la consape-volezza di essere nel posto giusto e con l’azienda giusta.

Un consiglio per i tuoi colleghi Partner.Il mio consiglio è di mettere sempre il cuore in quello che si fa. La positività nell’affrontare le cose, la passione, l’amore sono sentimenti che, se ben usati, portano dei frutti incredibili. Tutto diventa più semplice.

Prima di andare a dormire, pensi a…?Il mio pensiero è di essere sicuro di aver dato il meglio nel corso della giornata. Mi addormento così con la consapevolezza di svegliarmi il giorno dopo felice per quello che mi aspetta, per gli ap-puntamenti e per le persone da incontrare.

Un pensiero per il team Tassello.Auguro a Enrico e Claudia di continuare a rag-giungere gli obiettivi che si sono prefissati, per-ché a noi piace pensare che il bello deve ancora arrivare. Con LR se vuoi, puoi!

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EDIZIONE SPECIALEEDIZ IONE SPECIALE

IL CUORE DELLALEADERSHIPDA CHE COSA DIPENDE LA CAPACITÀ DI GUIDAREE AMPLIARE UN GRUPPO?DA TRE FATTORI INDISSOLUBILI.È IL TEMA DELL’ULTIMO, INNOVATIVO PROGRAMMA DI FORMAZIONE LR: “NEXT GENERATION LEADER”DI DANIELE SILANI, INSIGHT, TRAINING AND COACHING

Da questo punto di vista, mi sembra evidente che la leadership sia un tratto decisamente interessante da esplora-re per un venditore, ancor più nell’u-niverso del network marketing, dove l’oggetto della vendita è complesso e articolato, mescola i prodotti ai sogni e alle ambizioni di realizzazione profes-sionale, un contesto nel quale risultano fondamentali le capacità di costruire e sostenere la propria rete.Il progetto di costruire una nuova generazione di leader all’interno dell’omonima attività di formazione, voluta e finanziata interamente da LR Italia, si propone di incidere sulla struttura professionale di un manipolo di “volontari” al fine di potenziare la loro capacità di ampliare il network, ed essere per il network un punto di riferimento generativo.Intorno a loro abbiamo costruito un modello di leadership accessibile e re-plicabile che si sviluppa in sei aree di lavoro:1. la conoscenza del prodotto, del mer-cato e del piano marketing;2. l’organizzazione del lavoro;3. la negoziazione generativa;4. la comunicazione efficace in pubbli-co;5. le basi della formazione;6. sales coaching.Ognuna di queste aree viene attraver-sata in due direzioni complementari, la formazione d’aula e un coaching indi-viduale, affinché ogni partecipante sia stimolato da dinamiche di apprendi-mento di gruppo e da una sfida indi-viduale di raggiungimento di specifici obiettivi di crescita personale.Questo è in sintesi il lavoro svolto sull’organizzazione del lavoro.Parto affrontando un buffo paradosso, presente in quasi tutti i professionisti e le professioni, e cioè quello di conside-rare l’organizzazione un fattore impor-tantissimo dedicargli, però, contem-poraneamente un tempo insufficiente, tanto da avere in molti casi un’organiz-zazione insoddisfacente. Questa equa-zione non diminuisce con l’aumentare dell’anzianità professionale, quando si considera l’organizzazione come un’abilità inglobata nella propria espe-rienza, e probabilmente proprio questa situazione porta al primo posto nella hit delle giustificazioni per mancati ri-sultati quelle legate alla mancanza di tempo.Una buona organizzazione ha di base

due fattori: il modello e la disciplina. Servono entrambi e servono sempre, sono complementari e si alimentano vicendevolmente. Preparare una dieta non serve a dimagrire se poi non la ri-spettiamo, ma, se otteniamo successi misurabili, ci viene voglia di proseguire e di continuare a sacrificarci.Gli ingredienti del nostro modello sono tre:1. la gestione del tempo;2. la definizione degli obiettivi;3. l’individuazione degli strumenti.Il tempo è una risorsa limitata e lo di-venta ancora di più quando la si usa male. Le organizzazioni moderne sono ossessionate dal tempo, abbiamo stru-menti sempre più tecnologici e veloci che dovrebbero produrre enormi spazi di tempo libero, in realtà non fanno che aumentare la sensazione di compres-sione del tempo, tanto che ognuno di noi si chiede come potessimo fare ieri ciò che facciamo oggi senza l’attuale potenza tecnologica. La risposta spes-so non arriva, ma solo per una sempli-ce mancanza di tempo a disposizione.Vi invito a riflettere su quanto tempo dedichiamo nella nostra agenda alla gestione delle urgenze o emergenze: in percentuale quanto spazio occupano? Probabilmente la risposta fa riflettere per la quantità che voi stessi giudica-te eccessiva. È evidente che un’emer-genza, per sua stessa definizione, va affrontata e risolta, il rischio connesso non la rende procrastinabile.Ma qual è il prezzo di un eccesso di tempo dedicato alla gestione delle emergenze? E quale significato ci rimanda in merito al nostro stile di

leadership?La risposta alla prima domanda è che, pur non conoscendo il prezzo da pa-gare, so che è comunque troppo alto, perché le emergenze hanno lo sguar-do rivolto al passato. Saremo sempre sicuramente in ritardo su qualcosa, perché una urgenza non costruisce ma rattoppa, e comunque racconta di un malfunzionamento organizzativo.E quindi, venendo alla seconda do-manda, penso che un mondo fatto di emergenze non risulti particolarmente attraente per nessuno, caro Dilts.Gli obiettivi non sono solamente tra-guardi e strumenti di misurazione: nella loro accezione concettuale rappresen-tano l’espressione della nostra deter-minazione e motivazione interiore, del-la nostra capacità di essere focalizzati e concentrati sul piano d’azione e sulla valutazione del nostro operato. Non avere obiettivi precisi comporta spesso comportamenti inadeguati e un rischio di alta dispersione di risorse. Avere obiettivi inadeguati ci fa perdere la rot-ta e ci confonde sulle giuste decisioni da prendere.Definire un obiettivo può essere relati-vamente semplice, costruire una stra-tegia di misurazione delle performance non lo è allo stesso modo, e non saran-no uguali gli effetti che i due approcci produrranno e vale per gli atleti come per i professionisti.

Gli strumenti rappresentano la dif-ferenza fra il cosa e il come. Sovente le persone più o meno sanno cosa dovrebbero fare, il problema è come iniziare e come proseguire, più sem-plicemente come passare dalla teoria alla pratica. Gli strumenti e le risorse a nostra disposizione sono nascosti in fondo alla cassetta degli attrezzi, altre volte sono arrugginiti oppure sempli-cemente non sappiamo di averli e ci dimentichiamo di come si usano.Gli strumenti del venditore sono abili-tà semplici (non complesse), e difficili (non facili) da usare: sono l’ascolto, le domande, l’empatia, la comunicazione e altre competenze relazionali e comu-nicative su cui è fondamentale l’auto-valutazione e la costante esercitazione.Tempo, obiettivi e strumenti sono un tutt’uno indissolubile per agire in modo strategico e misurabile. Questo per chi ha l’ambizione di migliorare le proprie performance e di esprimere appieno le proprie potenzialità.

Daniele SilaniPer LR è il coach del programma Next Generation Leader.Laurea in Sociologia, un master in pro-grammazione neurolinguistica all’uni-versità La Sapienza di Roma, diploma di coach all’istituto PNL meta Milano, Coaching and coaching di Marina Osnaghi. Ha lavorato come sales ma-nager per Revlon Professional, come PPS manager, responsabile formazio-ne e servizi per Henkel e come con-sulente sviluppo d’impresa per L’Oréal Professionnelle.

Quanto conta nella vendita la capacità di esercitare una buona leadership? La risposta più sen-sata arriva rapida-mente: dipende.

Incasso il chip e rilancio: dipende da cosa?Innanzitutto dal significato che attribu-ite alla leadership. Già mi allieta l’idea che si possa considerare la leadership come una competenza da allenare, piuttosto che una naturale abilità do-nata solo a pochi eletti. Vi propongo in questo contesto di attribuirle lo stesso senso che ho proposto ai partecipanti al percorso di formazione NGL: “capa-cità di costruire un mondo al quale gli altri desiderino appartenere”. La fra-se è importata dal pensiero di Robert Dilts, noto e autorevole esponente del-la PNL.

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www.venderedipiu.it

Mentre scrivo questo editoriale, il mio auspicio è che questo volu-me primaverile di V+ vi arrivi come un sorriso.Il sorriso di un uomo o di una donna che vi viene incontro con la consapevolezza di non voler forzare nulla e provare solo a esservi d’aiuto.È lo spirito con il quale abbiamo scritto V+, nelle ultime setti-mane, in tutti questi anni.All’interno del numero 33 troverete nuove autorevoli firme e altre proposte per lo sviluppo delle vostre capacità personali e professionali.

Lo stile di questo magazine vuole essere quello che ho cercato di identificare nel sorriso: sobria serenità. Una ricerca di contenuti e autori di valore senza eccedere in formule magiche, “tutto è pos-sibile a tutti”, “non serve far fatica”… Perché la crescita è fatta di piccoli, continui e faticosi aggiusta-menti quotidiani. Senza fermarsi mai. Come il funambolo che cammina sul cavo teso ad alta quota e che sa che deve muoversi per rimanere in equilibrio. Anche l’uomo o la donna e il professionista che ricerca il miglioramento deve essere in tensione costante verso la crescita.

Mentre scrivo questo editoriale, stanno arrivando in redazione i dati del sondaggio inviato ai nostri abbonati in aprile. A tre anni dall’evoluzione di Vendere di più a V+, volevamo raccogliere informa-zioni e sapere cosa ne pensate del nostro lavoro.

Nel prossimo numero, vi daremo riscontro di quanto è emerso. Nel frattempo ringrazio i molti di voi che hanno risposto. Soprattutto faremo tesoro “pratico” di quello che ci avete detto.Sottolineo “pratico” perché è la caratteristica che deve contraddistinguere ogni iniziativa di V+: i contenuti, i progetti, le idee devono essere resi concreti da una possibile applicazione e da un’effi-cacia testabile nella realtà. Perciò cerchiamo il dialogo con voi. Ogni consiglio che vorrete darci lo accetteremo… con il sorriso.

ED+ITO+RIALE

MARIODEL CORSO

Imprenditore nei settori della climatizzazione, delle energie rinnovabili e del direct marketing, dopo un’esperienza imprenditoriale nella ristorazione.Venditore per passione da oltre vent’anni, crede nella formazione per un semplice e pratico motivo: produce risultati.

Vendere di più - 3

TRE ANNI DI V+: IL SONDAGGIO

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Pagina stampa V+ 210x288 ESE.pdf 1 22/04/15 18:13

Sviluppo personaleMestiere della supervisione

FONDAMENTALI DEL BUSINESSL’innovazione cambia di Edoardo Lombardi

Meno di così, si muore: lo sai, o “ci fai”? di Flavio Cabrini

Come tazze rovesciate di Massimo Piovano

Magia in bottiglia Intervista a Emanuele Maria Sacchi

MESTIERE DELLA SUPERVISIONECome si cambia di Simona Genovali

Oltre l’e-learning: la gamification di Alain Bonati

Tale il padre, tale il figlio? di Edoardo Lombardi

Non è solo un’insegna di Andrea Vettore

CASE HISTORYNico, quando la moda cresce in famiglia

PROSPETTIVEVai in rete di Carolina Guerini

Un sospiro di sollievo di Bruno Vettore

Accendi il motore (di ricerca) di Sergio Veneziani

“Perdersi”: letteralmente, succede di Maria Bietolini

CUSTOMER SATISFACTIONIl cattivo servizio è contagioso per l’azienda Helpscout a cura di Maria Bietolini

SVILUPPO PERSONALELa positività al femminile Intervista a Enrico Banchi

STRUMENTI E TECNOLOGIAChe ci faccio con WhatsApp? di Francesco Ambrosino

Non è tutto “commerce” quel che luccica di Gianluca Diegoli

Vivere la multicanalità di Samuele Camatari

www.venderedipiu.it

SOMMARIO

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OPINIONISarà divertente di Sebastiano Zanolli

La felicità non è cosa da tutti i giorni Intervista a Tal Ben-Shahar

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EDITOREVendere di più Srl

Via Lunigiana, 229/B - 19125 La SpeziaTel. 0187 1982181 - Fax 0187 712277

[email protected]

AMMINISTRATORE DELEGATOMario Del Corso > [email protected]

DIRETTORE RESPONSABILEMario Del Corso > [email protected]

CONSULENTI EDITORIALIEdoardo Lombardi, Sebastiano Zanolli,

Alessandro Zaltron, Maria Bietolini

COORDINAMENTOValeria Tonella > [email protected]

GRAFICAEnrico Sabadin per St’art Grafica - startgrafica.it

FOTOL’editore è a disposizione degli interessati qualora,

nonostante le ricerche, non sia stato possibile reperireil detentore di eventuali diritti su immagini.

CUSTOMER [email protected]

AMMINISTRAZIONEDomenico Menichinelli > [email protected]

Hanno contribuito a questo numero Francesco Ambrosino, Stefania Amodeo, Alain Bonati, Flavio Cabrini, Samuele Camatari, Ermanno Cervone, Gianluca Diegoli, Simona Genovali, Carolina Guerini,

Helpscout, Chiara Osnago Gadda, Laura Piloni, Massimo Piovano, Scuola di Palo Alto, Silvia Tonella,

Sergio Veneziani, Andrea Vettore, Bruno Vettore, Wobi

©TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATII contenuti e le immagini di proprietà sono riproducibili

solo previa espressa autorizzazione dell’editore

Le scelte editoriali della rivista sono improntate esclusivamente all’analisi della rete e delle modalità di vendita delle aziende. In nessun caso V+ può essere

ritenuta responsabile per le caratteristiche dei prodotti o dei servizi di tali aziende

DIREZIONE VENDITE E PUBBLICITÀJacopo Borniotto > [email protected]

STAMPAChinchio Industria Grafica Spa - Rubano (Pd)

Registrazione Tribunale di La Spezia n. 5/09 del 29/10/2009

Iscrizione al ROC n. 21886

DISTRIBUZIONEPoste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale

-70% CB-NO/LA SPEZIA n. 2432 anno 2009

Anno 7 - N. 33 - Maggio 2015

Guida alla letturaTipologia dei contenuti

Customer satisfaction

Case history Strumenti e tecnologia

Fondamentali del business

Le aziende di questo numeroAssicurazioni Generali(pag.2) www.generali.it

Franco Angeli(pag.8) www.francoangeli.it

Nico Abbigliamento e Calzature(pagg.17 e 38) www.nico.it

Scuola di Palo Alto(pag.22) www.scuoladipaloalto.it

Wobi(pag.31) wobi.com/wbf-milano

Golden Group(pagg.42 e 47) www.goldengroup.biz

Jusan Network(pagg.50 e 51) www.ecommerceday.it

Canale Italia(pag.55) www.canaleitalia.it

Eismann(pag.59) www.eismann.it

Performance Strategies(pagg.60 e 61) www.performancestrategies.it

Avedisco(pag.72) www.avedisco.it

LR Health & Beauty Systems(pagg.78-79) www.lrworld.com

Amel Medical Division(pag.87) www.amelmedical.it

Hi-Performance(pag.89) www.hiperformance.it

Extraordinary Srl(pag.91) www.extraordinary.it

BeTheBoss(pag.95) www.betheboss.it

Unit Co(pag.97) www.infinitypass.it

Samsung(pag.99) www.samsung.it

Falkensteiner Hotels & Residences(pag.100) www.falkensteiner.com

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Prospettive

Tre anni di V+: il sondaggio di Mario Del Corso

L’angolo dei lettori

ASSOCIAZIONE NAZIONALE EDITORIA PERIODICA

Socio effettivo

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Vendimprenditore di Mario Del CorsoPillole di Valeria TonellaIn vendita tra gli scaffali a cura della redazioneIl parere dell’avvocato di Silvia TonellaIl fisco del venditore di Ermanno CervoneLa vendita insegna di Laura PiloniNews dal mondo (della vendita) a cura di Valeria TonellaAgenda10 domande a... di Stefania AmodeoLa sai l’ultima

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RUBRICHE

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La vendita professionale è un’impresa da costruire.

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6 - Vendere di più

V+ È NATA COME RIVISTA MA IN BREVE TEMPO È DIVENTATA UNA COMMUNITY: LETTORI, VENDITORI E APPASSIONATI DI VENDITA CHE CI SCRIVONO E DICONO LA LORO. IN QUESTO SPAZIO CONDIVIDIAMO PENSIERI, CONSIGLI E SALUTI, PRESI DAL WEB E NON SOLO

CAROL’angolo dei lettori

Vendere di più - 7

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Alzati e splendi!V+: Devi trovare una ragione per alzar-ti dal letto che non sia pagare le bollette.

La consapevolezza di migliorarsi. Sergio Di Ninni

Ogni giorno....mi alzo...sono stupendo...vado a dormire. Mario Clericò

Dromedari, clienti e buona educa-zioneV+: Una volta un dromedario, incon-trando un cammello, gli disse: - Ti com-piango, fratello, saresti un dromedario magnifico anche tu, se solo non avessi quella brutta gobba in più. Il cammello rispose: - Mi hai rubato la parola: è una sfortuna per te avere una gobba sola, ti manca così poco per essere un cammel-lo perfetto. Un beduino, che ascoltava in angolo, pensò: “Poveretti tutti e due. Ognuno trova belle solo le gobbe sue. Così spesso ragiona la gente, che trova sbagliato solo ciò che è differente. (Gian-ni Rodari)

Esatto, quanto è limitante il guardare solo a se stessi e, ritenendosi sempre nel giusto, giudicare gli altri. Dove sta il con-fronto, dove sta la sorpresa, dove stanno l’EVOLUZIONE e la CRESCITA?Elisa Di Pasquale

Ci vorrebbe uno sguardo da... beduino. Per avere la giusta prospettiva! Stefano Pacifico

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La buona educazione è morta?V+: Qualcuno dovrebbe dire a tante per-sone che non vi è alcuna tassa sul sor-riso, né tantomeno sulle parole “grazie”, “buongiorno” e “buona giornata”.

E non vi è alcuna tassa nemmeno sulla buona educazione. Ornella Moscatelli

Sante parole! Ormai la maleducazione ormai regna sovrana. Enzo Goduti

Condivido pienamente. È una forma di cattiva educazione molto diffusa. Alcu-ne aziende arrivano a fare dei corsi sulle buone maniere sia per la comunicazione diretta che telematica, ma dopo breve tempo la mala educazione riaffiora con arroganza e prepotenza. L’importante è non adeguarsi al “così fan tutti” Resistia-mo stoicamente a un livello superiore. Giorgio Corbellini

Almeno due giorni all’annoV+: Tutti, nella tua azienda, devono tra-scorrere uno o due giorni all’anno con i clienti.

Anche tre o quattro… Luca Franceri

All’anno? Conosco aziende in cui per i manager è obbligatorio trascorrere al-cuni giorni al mese presso i distributori e i punti vendita. In questo caso, anche mascherati fra i clienti. E aziende inter-

nazionali che mandano i CEO (mica l’ultimo stagista) tot giorni all’anno nei punti vendita di ogni Paese. La banca per cui ho lavorato, a inizio collaborazione, mi ha fatto trascorrere alcuni giorni tra uffici sede e call center, poi mi ha fatto partecipare a incontri di filiale e di area. Al momento ho sbuffato, ma poi le campagne hanno funzionato. Sarebbe già utile ricordarsi che, in ogni giorno delle no-stre vite, anche noi siamo clienti. Maria Bietolini

AutostimaV+: Un uccello su un ramo non ha mai pau-ra che si rompa, perché la sua fiducia non è nel ramo, ma nelle sue ali.

La fiducia in noi stessi ci può aiutare a supe-rare anche i momenti più particolari. Gianluca Cavestro

L’inglese non è un’opinioneV+: Un consiglio: ormai tutti scrivono “mail” per dire “email”. Se, però, lo fate con un cliente inglese (o che parla inglese), si aspetterà l’arrivo di un messaggio via posta “cartacea” (mail, la lettera affrancata, per capirci), e non via posta elettronica.

Quando capiremo che l’”italiano” non è un’o-pinione, sarà sempre troppo tardi... Roberto Tomassetti

Cliente, non andare viaV+: Se un cliente “se ne va”, non è sempre è colpa del cliente. O forse sì, ma fa parte del nostro lavoro accettare la cosa.

Quando il cliente se ne va, è SEMPRE colpa nostra... Roberto Tomassetti

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Il sondaggio del mese:HAI RINGRAZIATO, DI RECENTE,

UN TUO CLIENTE?

Con Robert Cialdini all’evento “Dritti al sì” di Performance Strategies, Bologna

SARÀ DIVERTENTE

Manager atipico e appassionato di miglioramento personale. Ha scritto cinque best seller: La grande differenza, Una soluzione intelligente alle difficoltà quotidiane, Paura a parte, Io, società a responsabilità illimitata e Dovresti tornare a guidare il camion, Elvis. www.sebastianozanolli.com

La vendita che fa la differenza di Sebastiano Zanolli

Vendere di più - 9

La prossima tap-pa si chiama “co-creazione” e non è un gio-co da ragazzi. Vendere diven-ta sempre più un mestiere da professionisti, cioè gente che

sa cosa vuole, prepara strategie e tat-tiche e le persegue.Co-creare significa fare un passo avanti rispetto alla vendita classica che prevede come base di parten-za due bilanci separati: quello di chi vende è quello di chi compra. Prevede di dimenticare il tema del prodotto o servizio e abbracciare solo il concetto di “creazione del valore”, che diventa l’ossessione comune. Come dire, non si vende più, ma si aiuta il cliente a risolvere problemi di business o della sua vita personale. Non ti vendo più auto o manutenzioni, ma “mobilità” in senso lato. Non ti vendo più medi-cinali o check-up, ma “salute” in senso ampio.Per fare questo, devo essere vicino al cliente, parlare e vivere con lui o lei, provare le sue ansie e paure, i suoi momenti di soddisfazione e felicità, e disegnare con lui o lei la soluzione che comprerà. Un compito nuovo molto complesso, che risponde alle sfide del-la società, a sua volta sempre più com-plessa. Da questo punto di vista il la-

voro di chi vende diventa pluridiscipli-nare, lungo, costoso, ma sembra non esserci alternativa, e l’unico sollievo arriva dalla tecnologia che permette la raccolta e l’uso intelligente dei “big data”: enormi quantità di informazio-ni che possono aiutarci a gestire con più facilità tutti i dati e a tenere il pol-so della situazione e del cliente senza farci scappare nulla.Generare soluzioni vaste, più grandi del prodotto o servizio che vendiamo, è un mestiere nuovo. Probabilmente alcuni venditori alzeranno bandiera bianca e rimarranno a fare il loro anti-co mestiere, e per un po’ non avranno ripercussioni.Ma, se pensate a come e cosa acqui-stiamo noi stessi, noterete che ci sono soprattutto due tipi di beni: quelli a bassa marginalità, e qui ci arrangia-mo noi consumatori ad adattarci al prodotto; e quelli ad alta marginalità. Soluzioni complesse, larghe, che pre-vedono uno studio delle nostre abitu-dini, l’osservazione dei nostri compor-tamenti, una indagine su cosa ritenia-mo buono e cosa invece meno buono. In questo caso è il prodotto o servizio che si adatta a noi attraverso la guida di chi vende. Non c’è dubbio che que-sti processi costino, e abbiano anche probabilità di essere buchi nell’acqua.Ma l’alternativa qual è?

Per non rimanere relegati nell’area low-cost del mercato, che non ha bi-

sogno di venditori veri ma solo di figuranti, distributori automatici e piattaforme di e-commerce, si deve diventare capaci di mettere assieme informazioni esistenti, stati d’animo, osservazioni, di passarle a un team interno, elaborarle e, prendendo per mano il cliente, accompagnarlo per tutto il tragitto.Da questo punto di vista, la dote delle doti è la capacità di lavorare assieme ad altri. Qualità non sempre comune nel venditore vecchio stile. Lavora-re con gli altri significa fare un passo indietro personalmente per poi farne uno più lungo collettivamente. Siamo pronti? Certamente le vecchie genera-zioni stentano ad accettare una logica di cooperazione, cresciute come sono state a pane e individualismo. Quelle giovani meno, abituate a spartire le notizie di Facebook e il panino al ke-bab.

Sempre di più la strada appare segna-ta.Chi fa da sé sembra fare, ma guadagna anche poco.Chi fa insieme spartisce, ma spartisce una fetta più grande.Di questo passo chiuderemo in pochi anni lo stereotipo del venditore egoi-sta e avvoltoio e dovremo dipingere qualcosa di più simile a un allenatore alla Dan Peterson.

Sarà divertente.

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112 pagine, € 15,00

Le conoscenze per innovareManagementFrancoAngeli

336 pagine, € 21,00

Roberto d’Incau

IL LATO BIMBOCome ritrovare l’entusiasmonella vita e nel lavoro

Una lettura per ritrovare, sia nella vita privata che in quella lavorativa, quell’entusiasmo che spessoabbiamo perduto e che è invece la chiave indispensabile per vivere l’oggi con pienezza e guardareal futuro senza paura. Questo libro - ricco di casi reali - offre un vero e proprio metodo per guidare e ispirare le persone.

Roberto d’Incau è un noto cacciatore di teste e coach, socio fondatore di Lang&Partners. Il senso del suo lavoroè aiutare le persone a superare la propria “zona di conforto” e tirare fuori il meglio di sé dal punto di vistaprofessionale e personale.

Uno dei testi più innovativi nel panorama della letteratura manageriale, un vero caso editoriale.Non un manuale, ma un un approccio il cui proposito è imparare a gestire la propria vita in modoveramente efficace.

Stephen R. Covey è stato uno dei più importanti autori a livello internazionale sulle tematiche managerialie di crescita personale. Indicato da Time come uno dei 25 americani più influenti al mondo.

Stephen Covey

LE SETTE REGOLE PER AVERE SUCCESSO Nuova edizione del bestseller “The 7 Habits of Highly Effective People”

vendere di più 2 vol aprile 2015 1-04-2015 9:33 Pagina 1

Vendere di più - 1110 - Vendere di più

L’OSPITE

LA FELICITÀ NON È COSA DA TUTTI I GIORNI (PER FORTUNA)

PROVARE EMOZIONI NEGATIVE È IL PRIMO PASSO PER ACCETTARE DI ESSERE UMANI.LO DIMOSTRA IL DOCENTE DI HARVARD TAL BEN-SHAHAR, NELLE SUE SEGUITISSIME LEZIONI E NELLE AZIENDEDI TUTTO IL MONDO

La felicitànon è un eventocasuale, è una scienza.

(Tal Ben-Sharar)

A uno dei suoi corsi all’u-niversità di Harvard sul pensiero positivo hanno partecipato 855 studen-ti, un record anche per il prestigioso ateneo. Tal Ben-Shahar è professo-re e psicologo, di origini israelo-americane, che è stato influenzato dal

lavoro pionieristico in questo campo di Martin Seligman, e che ora si occupa a sua volta di par-lare di argomenti come la felicità, l’autostima, la resilienza, il raggiungimento di obiettivi, la lea-dership, con un unico scopo: creare un ponte tra lo studio “accademico” di queste materie e la loro applicazione nella quotidianità. Anche se il pen-siero positivo ha rigorose basi scientifiche, perché non aiutare la gente comune a vivere una vita mi-gliore?Tal Ben-Shahar gira il mondo come consulente per multinazionali ed enti pubblici, tenendo in-contri e seminari e mettendo in discussione l’e-quazione “successo uguale felicità”. Per i manager ha creato “Potentialife”, programma di potenzia-mento della leadership.I suoi best seller La felicità in tasca, Più felice e l’ultimo Choose The Life You Want dimostrano che tutti noi condividiamo gli stessi ostacoli nel raggiungimento della felicità. Scopriamo assieme a lui quali.

Il suo obiettivo è portare la felicità nella vita di chi incontra. Quali sono le idee sba-gliate più diffuse sulla felicità? È possibile essere felici tutto il tempo?Una delle convinzioni errate più radicate è pro-prio che si possa essere sempre felici, o che una vita felice sia una vita priva di tristezza, delusione, rabbia, invidia, ansia. In realtà, sono tutte emo-zioni naturali e dunque inevitabili. In questo sen-so, dobbiamo dare a noi stesso il “permesso” di essere umani.Attenzione, perché è un concetto fondamentale. Concederci di essere invidiosi, arrabbiati, impau-riti o tristi è necessario per essere felici. Se accet-tiamo le emozioni più dolorose come imprescin-dibili, saremo più disposti a superarle; rifiutando-le, andremo verso frustrazione e infelicità.Molti, quando fanno l’esperienza del dolore, pen-

PER GENTILE CONCESSIONE DI WOBI

wobi.com

sano che ci sia qualcosa di sbagliato in loro. Al contrario, ci sarebbe qualcosa di sbagliato in loro se non sperimentassero mai stati di tristezza o an-sia – che sono emozioni umane.Ripeto: se diamo a noi stessi il permesso di esse-re umani e di provare emozioni negative, saremo meglio predisposti ad aprirci alle emozioni positi-ve. Un paradosso, ma è così.

Qual è, secondo lei, l’ostacolo più ingom-brante oggi alla felicità e al benessere?Molti credono che il successo conduca allo stare bene, e di conseguenza cercano la felicità nei posti sbagliati: denaro, prestigio… e altri obiettivi simi-li. Il loro modello mentale è il seguente: successo (causa), dunque felicità (effetto).Hanno torto. Da varie ricerche scientifiche, sap-piamo che il successo porta, nel migliore dei casi, a un “picco” di felicità, ma questo picco è effime-ro, temporaneo.Il modello mentale esatto è questo: felicità (cau-sa), dunque successo (effetto).È stata una scoperta importantissima: invertire la relazione di causa ed effetto e modificare la con-vinzione sbagliata di tante persone.

Perché il modello corretto è il secondo?Perché quando proviamo emozioni positive, sia-mo più creativi, più motivati, costruiamo relazio-ni migliori e, fisicamente, siamo più sani.Quindi c’è un legame diretto tra felicità e successo professionale, ma devono essere posti in questo preciso ordine.

Chi ottiene buoni risultati sul lavoro è spesso anche un perfezionista. In che mi-sura l’essere troppo attenti ai dettagli aiu-ta o intralcia i nostri risultati?Parlo da perfezionista! Ho individuato due tipi di individui perfezionisti: coloro che si adattano e coloro che non lo fanno.Chi si adatta segue un “metodo” che in inglese io chiamo “optimalism” (vedete già la radice di “optimize”, “ottimizzare”): il perfezionista che si adatta (alle situazioni, agli ambienti…) è più responsabile, degno di fiducia, stacanovista; al contrario chi si focalizza troppo sul proprio per-fezionismo tende a sviluppare una paura, forte e irrazionale, del successo, ma anche rigidità e comportamenti sulla difensiva.Certo, è una sfida: essere perfezionisti sbaraz-zandosi però degli aspetti più insani di questa caratteristica personale, e conservando invece gli aspetti più sani.Ma una cosa è dimostrata: solo chi sviluppa un “buon” perfezionismo può aspirare a godere di fe-licità e successo a lungo termine.

In un mondo in cui affrontiamo sempre più richieste, in sempre meno tempo, come possiamo essere efficaci, chiudendo fuori il “rumore” e concentrandoci su ciò che conta davvero?È vero: nel mondo attuale, è difficile vivere una vita tranquilla. Tuttavia, trovare dei brevi mo-menti di calma non è impossibile. I migliori ci rie-

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L’OSPITE

Vendere di più - 13

Le emozioni negative sono umane.

Senza, non potremmo

provare neanche quelle positive.

(Tal Ben-Shahar)

scono anche in mezzo al rumore e alle distrazioni. Solo pochi minuti di meditazione ogni giorno, o un’ora di passeggiata in un luogo tranquillo, o meglio ancora una vacanza lontano dallo stress aiutano a prendersi quei “break” di cui hanno tan-to bisogno le nostre menti sovraffollate e i nostri cuori sovraccaricati.

Cambiamo prospettiva, e prendiamo un leader (di un’azienda, un’organizzazione, un gruppo…). Sulla base dei suoi studi e di quanto abbiamo detto finora, in che modo un leader può comunicare meglio gli obiet-tivi della sua attività?Sono state fatte molte ricerche in psicologia sull’importanza della concentrazione e dell’inter-pretazione. Ovvero, due persone possono osser-vare lo stesso fenomeno e spiegarlo in maniera completamente diversa. Per esempio: il lavoro è un dovere? O un privilegio?Uno degli esercizi che propongo nelle aziende consiste nel riscrivere la propria “job description” (che lavoro fai) trasformandola in una “calling de-scription”, cioè nella descrizione della tua passio-ne, della tua inclinazione, meglio ancora, della tua

vocazione. Questo cambio di prospettiva spinge a concentrarsi sugli aspetti più significativi e più piacevoli del nostro lavoro.Poi ribadisco sempre che, per aumentare il livello di coinvolgimento dei componenti di un’azienda o di un gruppo, un leader deve affidare loro maggio-ri responsabilità (remunerandoli di conseguenza) e fare in modo che siano “connessi” tra di loro e con la missione del gruppo.

Dunque, quali comportamenti incoragge-rebbe?Un leader ha il compito di aiutare dipendenti e collaboratori a identificare ed esercitare i loro punti di forza. Perché chi conosce e usa i suoi punti di forza è motivato, rende di più sul lavoro. Ed è più felice.A questo proposito la docente di Harvard Amy Edmondson parla di “sicurezza psicologica” (in inglese “psychological safety”), che coincide con la sicurezza che nessun componente di un gruppo si sentirà imbarazzato o verrà sgridato se si espri-me ad alta voce, se chiede aiuto o se fallisce. Se un leader crea un clima di “sicurezza psicologica”, tutti coloro che lavorano con lui si sentiranno a

La felicità si basa su semplici rituali.

(Tal Ben-Shahar)

5 CONSIGLI DI FELICITÀ DAL “GURU DI HARVARD”

La forza dell’indipendenza.Tutti abbiamo a che fare con critiche e giudizi. Ma una cosa è ascoltarli e valutarli; un’altra è cambiare totalmente le nostre convinzioni. Prendi nota dei giudizi e poi decidi cosa è meglio per te. Come dice la canzone, “non puoi piacere a tutti, quindi sii sicuro di piacere a te stesso”.

Benedetto fallimento. Hai imparato ad andare in bicicletta la prima volta che ci sei salito? La prima volta che hai disegnato un cerchio, era perfetto? Quante cose si apprendono sbagliando. Non evitare gli errori. Scegli di imparare a fallire, invece di fallire nell’imparare.

L’importanza del dare. Attorno a noi ci creiamo un piccolo mondo: il lavoro, la famiglia, la nostra casa, le relazioni, i nostri bisogni. Quando vai oltre questi confini personali, includi altri nel tuo mondo e fai qualcosa di utile per loro. Staranno meglio loro, starai meglio anche tu. Henry James disse: “Tre cose sono importanti nella vita di un essere umano: la prima, essere gentile, la seconda, essere gentile, la terza, essere gentile”.

Quello che vuoi. “Quello che facciamo tutti i giorni è, in effetti, quello che facciamo tutta la vita” (Annie Dillard). Le responsabilità fanno parte della tua vita da adulto, ma ci sono anche sogni e aspirazioni. Se sarai coerente con i tuoi desideri e i tuoi valori, avrai più chance di essere felice e di stare bene. Non lasciare che siano altri a interpretare la tua parte.

Vivi adesso. Memoria e fantasie: la tua mente è spesso concentrata sui ricordi del passato e sulle supposizioni riguardo il futuro. In realtà, l’unico tempo che ti è dato vivere è il presente. Ekhart Tolle ha scritto un libro, Il potere di adesso, che ce lo ricorda bene: oggi è l’unico “posto” dove possiamo fare qualcosa.

Per altri consigli, cerca Tal Ben-Shahar su Facebook e Linkedin o vai sul sito www.talbenshahar.com

loro agio anche nel fallimento, condivideranno e discuteranno con altri i loro errori, e tutti impa-reranno qualcosa e miglioreranno. Al contrario, se gli errori vengono tenuti nascosti, l’apprendi-mento non avrà luogo, e c’è più probabilità che gli stessi errori vengano ripetuti.

Lei sottolinea anche l’importanza dell’e-sercizio fisico.Sì, assolutamente. Incoraggiate collaboratori e colleghi a fare esercizio fisico regolare. Almeno tre volte a settimana, con sessioni di 30 minuti ciascuna, ha lo stesso effetto del più potente psi-cofarmaco. In più, il luogo di lavoro sarà un luogo più creativo, meno stressante. Più felice, chiara-mente.Vale anche il concetto opposto: l’importanza del riposo. Essere sempre “sul pezzo”, senza poter prendersi una pausa, non è affatto produttivo, né per degli individui né per un gruppo. Fare sempre “di più” non sempre è la cosa migliore. Abbiamo bisogno tutti, indistintamente, di ricaricare le no-stre batterie mentali. Creatività e produttività ca-lano se non ci sono momenti per riposare durante il giorno (anche solo 15 minuti ogni due ore), du-rante la settimana (un giorno di stacco almeno) e durante l’anno (che vuol dire una vera vacanza ogni sei mesi).

Quando si propongono nuovi comporta-menti, si incontrano sempre delle resi-stenze. Che consiglio darebbe per mettere in pratica i consigli che ci ha dato in questa intervista per un lungo periodo e non solo per una breve “luna di miele”?

Nel libro The Power of Full Engagement, Jim Loehr e Tony Schwartz presentano un modo di-verso di pensare il cambiamento: invece di met-tere in atto l’autodisciplina come mezzo verso il cambiamento (“se faccio questa cosa tutti i giorni, diventerà un’abitudine…”), abbiamo bisogno di introdurre dei rituali.Iniziare un rituale può essere complesso, ma mantenerlo poi è relativamente semplice. I più grandi atleti hanno dei rituali: sanno che, a una certa ora di ogni giorno, devono essere in campo, poi in palestra, poi allo stretching. Per molti di noi, lavare i denti due volte al giorno è un rituale, perciò non richiede particolari sforzi di disciplina. Ecco, dobbiamo scegliere lo stesso approccio per ogni cambiamento che affrontiamo o che voglia-mo introdurre.Domandiamoci: “Quali rituali mi renderebbero più felice?”, “Quali vorrei introdurre nella mia vita?”. Può essere qualsiasi cosa: fare esercizio tre volte a settimana, fare meditazione per 15 minuti ogni mattina, guardare due film al mese, uscire con tuo marito o tua moglie il martedì, leggere un’ora ogni giorno, e così via.Non introdurre più di uno o due rituali alla volta, e sii sicuro che diventino un’abitudine, prima di aggiungerne altri.Tony Schwarzt dice: “Un cambiamento graduale è meglio di un fallimento tutto d’un colpo. Il suc-cesso si alimenta da solo”.Secondo le ricerche, ci servono almeno 30 giorni per dare forma a un rituale. Dopo averne scelto uno, dopo che qualcosa che fai è diventato un ri-tuale, puoi passare al successivo.

FONDAMENTALI DEL BUSINESS

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Non riescoa capireperchè le personesiano spaventatedalle nuove idee.A me spaventanoquelle vecchie.

(John Cage)

L’INNOVAZIONE CAMBIA

NUOVO CORSO DI V+: COME IMPARARE, COLTIVARE E GESTIRE IL CAMBIAMENTO

La storia dell’umanità è quella di un progresso con-tinuo, sostenuto dall’inno-vazione.Per approfondire questo concetto, che oggi è di-ventato “vitale” per la so-pravvivenza delle aziende, dobbiamo prima di tutto metterci d’accordo su che

cosa si intenda per innovazione. Ci sono molte definizioni. Per il vocabolario è: “l’introduzione di qualcosa di innovativo che crea una nuova di-mensione di performance”. Maggior performance che si manifesta in un più alto livello di qualità, di produttività e di servizio messi a disposizione dei clienti.Fra le altre definizioni, scegliamo quella che se-gue: “un significativo cambiamento positivo”. Che cosa si potrebbe intendere per “significativo”? In via generale diciamo significativo un migliora-mento di qualcosa (qualità, produttività, servizio, ecc.) di almeno il 5-10%. Chiamare “innovazione” i piccoli cambiamenti significa fare un uso super-ficiale della parola. Frasi come “noi innoviamo ogni giorno”, “la nostra pipeline di innovazioni”, il ruolo del “Chief Innovator” sono abbastanza po-polari, ma portano nella direzione sbagliata. Chia-mare una cosa “innovazione” non la rende tale. È una semplice parola e le parole sono spesso usate sconsideratamente.

Oggi il tema dell’innovazione è importante per tut-ti, non solo per il capo azienda e i suoi dirigenti, ma anche per il professionista, l’artigiano, addi-rittura per l’operaio, perché tutti ormai compren-diamo che nel mondo in cui viviamo, specialmente dove prospera la “libera iniziativa”, l’innovazione che facciamo o che subiamo può significare suc-cesso o insuccesso.L’essenza del processo di sviluppo umano, così pe-santemente influenzato dalla innovazione, è ben descritta da questa frase di Tom Peters: “Se il tuo concorrente sta migliorando ciò che fa, è impor-tante che tu migliori più rapidamente di quanto migliora lui, altrimenti… puoi ritrovarti in una posizione competitiva peggiore di quella in cui eri prima!”. E per migliorare bisogna innovare.La gestione dell’innovazione è in realtà un guar-dare dentro il futuro sfruttando la creatività e l’immaginazione, in modo da potersi riuscire a ri-tagliare una nuova nicchia prima che lo facciano i concorrenti. Il business deve guardare avanti, non indietro. E ciò vale non solo per le grandi aziende:

Dal prossimo numero di V+, 8 puntate per scoprire gli insegnamenti che vengono dal mondo del business e dalla storia militare sul tema dell’innovazione, oggi più che mai fondamentale per il successo della tua attività.

L’INNOVAZIONE, UN “MUST HAVE” DELLA GESTIONE MANAGERIALE NELLA NOSTRA EPOCA

tutti (aziende medie e piccole, individui) devono essere creativi e generare e realizzare nuove idee. Questo è il nuovo paradigma manageriale.

Per queste ragioni è indispensabile sapere di più sulle innovazioni, e ciò si può fare solo esplorando il mondo del business di ieri e di oggi, ma anche chiedendo aiuto alla storia: le esperienze del pas-sato, che sono quelle prevalentemente legate alle vicende militari, possono insegnarci molto dimo-strando che la cura dell’innovazione è stata deter-minante per il progresso durante l’intera storia dell’umanità.

Perché ci riferiamo alle vicende militari del pas-sato? Perché gli uomini migliori, che oggi si dedi-cano al mondo degli affari, erano allora impegnati in quello delle armi ed entrambi i mondi sono for-temente influenzati dalle stesse qualità personali che determinano la concorrenza, la collaborazio-ne, la vittoria e la sconfitta.Non esiste alcun problema di obsolescenza di quelle esperienze, perché, come ha detto Kenneth Clark, il famoso giornalista e autore inglese della BBC: “Nonostante i recenti trionfi della scienza, gli uomini non sono cambiati negli ultimi duemi-la anni. Di conseguenza dobbiamo ancora cerca-re di imparare dalla storia. La storia siamo noi stessi”.

Uno dei più comuni errori è quello di ritenere che l’innovazione sia esclusivamente un cambiamen-to di tecnologia. Ma non è così: c’è un’altra com-ponente su cui l’innovazione può esercitare una grande influenza, e cioè il modello adottato per svolgere l’attività. Viene indicato come “organiz-zazione militare” nel mondo della guerra o come “modello di business” nel mondo degli affari.Il modello di business – in particolare – è l’in-sieme delle soluzioni organizzative e strategiche

EDOARDO LOMBARDI, nella sua pluriennale carriera di manager, ha coperto ruoli diversi in settori diversi (largo consumo, finanza e assi-curazioni) raggiungendo importanti posizioni di vertice. Oggi è Presidente di Banca Esperia e Vice Presidente di Banca Mediolanum.Appassionato di storia, guarda all’attività ma-nageriale ispirandosi a quanto i condottieri ci hanno insegnato, mentre si applicavano al “me-stiere delle armi”. Ha pubblicato con Mursia Il Disastro di Adua e con Franco Angeli History e Case Histories.

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FONDAMENTALI DEL BUSINESS

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L’innovazione radicale sfruttata con successo: la conquista di Gerusalemme (1453); l’invenzione dei pannolini usa e getta (1961).n. 34

n. 35n. 36

n. 37

n. 38

n. 39

n. 40

NEI PROSSIMI NUMERI

attraverso le quali l’impresa acquisisce il vantag-gio competitivo. Fornisce le linee guida con cui l’impresa converte l’innovazione in profitto; de-finisce un’organizzazione che consenta di condi-videre la conoscenza all’interno dell’azienda e di valorizzare le risorse umane; individua i rapporti di interazione con fornitori e clienti; stabilisce gli strumenti per analizzare in modo continuativo i risultati ottenuti, confrontandoli con quelli dei concorrenti.

Aree e tipologie delle innovazioniLe innovazioni, guardandole dal punto di vista dell’area su cui intervengono, possono interessare il cambiamento:1. della tecnologia;2. del modello di business (o di organizzazione

militare);3. di entrambe le aree.

Ma, quando cerchiamo di valutare l’importan-za che il loro impatto ha sulla vita e sui risultati

dell’organizzazione, queste aree si distinguono in tre tipologie: radicale, semi-Radicale e incremen-tale (vedi box sopra).I rischi collegati all’innovazione sono progressi-vamente inferiori passando da quella radicale a quella incrementale, ma così sono anche i vantag-gi che si conseguono.Le differenze fra i diversi tipi di innovazione ri-sulteranno molto più chiare a mano a mano che procederemo con la loro descrizione.

V+ metterà a disposizione dei lettori, in una serie di otto puntate, un ampio panorama di innovazio-ni avvenute nel passato vicino e remoto, descri-vendo la tipologia a cui appartengono.In ciascuna puntata illustreremo due casi tratti rispettivamente dalla storia militare e dalla storia del business, e aggiungeremo suggerimenti e con-siderazioni che potranno assistervi nella vostra attività.Speriamo che troviate la serie utile, interessante e… innovativa!

INNOVAZIONE “RADICALE”

È quella che innova pro-fondamente la tecnologia e al tempo stesso crea un modello di business o un’organizzazione militare totalmente nuovi.

INNOVAZIONE “SEMI-RADICALE”A differenza di quella “ra-dicale”, è in grado di por-tare sostanziali modifiche alla tecnologia o al model-lo di business (o organiz-zazione militare), ma non a entrambi.

INNOVAZIONE “INCREMENTALE”A differenza di quella “ra-dicale”, è in grado di por-tare sostanziali modifiche alla tecnologia o al model-lo di business (o organiz-zazione militare), ma non a entrambi.

Se conoscessimomeglio la storia,

troveremmouna grandeintelligenza

all’originedi ogni

innovazione.

(Emile Malè)

Luglio 2015

Settembre 2015

Novembre 2015

Gennaio 2016

Marzo 2016

Maggio 2016

Luglio 2016

Settembre 2016n. 41

L’innovazione radicale non sfruttata:la Germania e la bomba atomica (1945); la fotografia digitale e la Kodak (primi anni 2000).

L’innovazione semi-radicale (business model):la Germania e la Blitzkrieg (1940); la risposta di General Motors alla Ford (1923).

L’innovazione semi-radicale (tecnologia):la sconfitta della Invecible Armada (1588); la lotta alla carie negli Usa (1960).

L’innovazione incrementale:le innovazioni di Gustavo Adolfo di Svezia (1625); i primi anni di Amazon (1994-2004).

L’innovazione che fa “più del suo dovere”:l’invenzione della staffa (300-600 d.C.); l’invenzione dell’email (1972)

L’innovazione da evoluzione/rivoluzione:aerei e portaerei (1941); il frigorifero (1928).

Le culle dell’innovazione:Enrico il Navigatore e il centro di Sagres (1416); la Silicon Valley (1951)

FONDAMENTALI DEL BUSINESS

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MENO DI COSÌ, SI MUORE:LO SAI, O “CI FAI”?COME CAPIRE E SUPERAREIL “MINIMO IRRIDUCIBILE” IN OGNI ATTIVITÀ

Ridurre ai minimi termi-ni in matematica corri-sponde alla cosiddetta semplificazione di una frazione. Si tratta di trovare il massimo co-mune divisore del nu-meratore e del deno-minatore, che stanno rispettivamente sopra

e sotto la barra. Una volta che è stata semplificata ai minimi termini, una frazione diventa irriduci-bile. In ordine di grandezza, insomma, meno di così non si può fare.

Perché ne parlo? Perché quando un’attività o una relazione scivolano verso la soglia del minimo ir-riducibile è perché si è inesorabilmente imbocca-ta la via del declino. Il minimo irriducibile, potrei dire anche il minimo indispensabile, è quel poco che si ritiene di dover fare per giustificare – qua-si sempre, e questo è il guaio, sentendosi con la coscienza a posto e in pace con se stessi – uno stipendio, un ruolo, una responsabilità o anche la continuità di un rapporto o di un business.Un matrimonio nel quale uno dei coniugi si ada-gi sul minimo irriducibile non è destinato a du-rare a lungo. Uno sportivo che si accontenti del minimo irriducibile non può ambire a migliorare le sue performance. Un’azienda, quale che sia la sua rendita di posizione, che si limiti al minimo irriducibile rischia presto o tardi di uscire dal mercato.

Tutto va bene (madama la marchesa)Quand’è che in un’organizzazione o in un ven-ditore il minimo irriducibile diventa la norma? L’assuefazione è strisciante, a volte perfino incon-sapevole. Può dipendere dalla resistenza al cam-biamento oppure da un crollo della motivazione. Ci si sente arrivati e ci si culla sugli allori. Oppure ci si scopre inadeguati o rassegnati di fronte a ri-sultati inferiori alle aspettative. In questi casi su-bentra la logica del “non si può fare” o del “chi me

Si può dire che fossi una riga

appena sopra il livello della nullità,

un paio di molecole oltre il minimo indispensabile.

(Paul Auster)

con il messaggio “Come posso aiutarti?” e poi for-nisce risposte a vari tipi di richieste. Ciò che fa Siri però è il minimo irriducibile. Esattamente e indi-scutibilmente il minimo irriducibile.

Per quanto le future generazioni di macchine possano risultare sempre più “intelligenti”, re-steranno comunque prive di personalità. Ciò che la tecnologia non potrà mai replicare è il fattore umano. Era il 1990 quando Jim Cathcart pubblicò Relationship selling, spiegando quanto sia fonda-mentale per aver successo nel campo delle ven-dite la costruzione di un rapporto. Quel concetto oggi è ampiamente acquisito e condiviso.

lo fa fare?” e ci si rannicchia nella zona di comfort, come una tartaruga che si rinchiude nel suo gu-scio o uno struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia.

La legge del minimo irriducibileOgni comportamento ha le sue conseguenze. Ap-plicato alla gestione commerciale, il minimo irri-ducibile ne ha due che hanno assolutamente forza di legge. Potrei definirli i due commi della legge del minimo irriducibile.1. Un qualsiasi venditore che non sia adeguata-mente formato e preparato a svolgere con com-petenza le proprie funzioni tenderà a limitare la propria operatività al minimo irriducibile.2. Ne deriverà un drastico scadimento qualitati-vo del risultato prodotto che causerà nel medio e lungo periodo un impoverimento finanziario per lui stesso e per l’azienda.

Il minimo irriducibile è un virus. Quando in un contesto ambientale entra, per così dire, in vigore la legge del minimo irriducibile, ne subiscono il contagio anche i soggetti più motivati ed efficien-ti, che ne vengono fagocitati.Gli effetti sono ancora più evidenti e marcati nelle attività dinamiche. E la vendita appartiene a pie-no titolo a questa categoria. Un venditore che si li-mita al minimo irriducibile finirà per trasformar-si in un semplice raccoglitore di ordini, un ruolo che oggi non ha davvero più ragione di esistere: le moderne tecnologie sono in grado di assolver-lo meglio e con estrema tempestività e puntuali-tà. Tanto varrebbe allora ricorrere a un software piuttosto che a un essere umano.

Venditore: meglio virtuoso che virtualeForse non è lontano il giorno in cui nei negozi avremo macchine in grado di accogliere il cliente con il fatidico e rituale “May I help you?” e pro-grammate per il “sense and respond”. In fondo non è nulla di rivoluzionario: sugli iPhone qual-cosa del genere lo fa già Siri, l’applicazione vocale che reagisce alla semplice pressione di un tasto

Cos’è che decreta la supremazia dell’uomo rispet-to alla macchina? In primo luogo i sentimenti e le sensazioni. Ovvero l’interesse verso l’altro, la comprensione dei suoi effettivi bisogni, la capaci-tà di cogliere uno stato d’animo, di gestire accor-di, disaccordi o conflittualità. Cioè quelle chiavi che consentono all’uomo di entrare in relazione con i suoi simili e che la macchina non possiede. Poi mettiamoci pure la progettualità, la creatività, l’intraprendenza. Fateci caso: messo tutto insie-me si tratta di tutto quel di più che, proprio come avviene in matematica nel semplificare una fra-zione, viene soppresso quando un’attività o una relazione si limitano al minimo irriducibile.

Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno.

(Albert Einstein)

Senior partner e general manager di OSM Network (www.osmnetwork.it), con esperienza pluridecen-nale nella motivazione e gestione d’impresa. È co-autore di Scegli chi ti aiuta e co-fondatore di OSM Lavoro (www.osmlavoro.it), il primo portale che se-leziona le aziende cui affidare il talento dei candidati.

FLAVIO CABRINI

LA FORZA DI UNA QUALITÀ SOTTOVALUTATA: L’UMILTÀ

Ho dedicato molto tempo allo studio del carisma per-sonale, scoprendo che gli uomini e le donne che hanno goduto nella loro vita di un succes-so duraturo erano anche, per la mag-

gior parte, persone “alla mano”. Persone umili, consapevoli dei loro limiti, nonostante fossero dei giganti nei loro campi.Come ebbe a dire il poeta inglese Thomas Eliot: “L’umiltà è la virtù più difficile da conquistare;

fatto, colui che non si mostra e non si esalta “esa-geratamente” per i risultati positivi. Nonostan-te i successi, la fama o i denari conquistati, non dimentica la sua origine. Rimane con i piedi per terra. Infatti, il termine “umiltà” deriva dalla pa-rola latina “humilis”, che significa “basso”, “dalla terra” (“humus”).L’umiltà si contrappone alla presunzione e alla sfrontatezza, o all’orgoglio.

Quando crediamo di essere superiori agli altri, ci neghiamo la possibilità di migliorarci. Un detto tibetano paragona l’uomo orgoglioso a una tazza rovesciata: non lascia entrare nulla ma non può nemmeno essere riempita. L’orgoglio è, perciò, una falsa protezione. E più siamo orgogliosi, più diventiamo rigidi, distaccati dagli altri, sconnessi dalla nostra vera personalità. L’umiltà è una virtù, che deve essere coltivata come scelta consapevole. I frutti non si faranno attendere.

L’umiltà ci miglioraCome possiamo crescere, evolverci se pensiamo di non avere nulla da imparare? Socrate, il filoso-fo greco, diceva: “So di non sapere”. Galileo Gali-lei: “Non ho mai conosciuto uomo così ignorante da non aver nulla da insegnarmi”. La complessi-tà che ci circonda rende sempre più importante chiedere consigli e informazioni a chi ha più espe-rienza di noi. Ammettere la propria “ignoranza” non è segno di debolezza, ma sinonimo di intelli-genza. D’altra parte, quando una persona cerca di parlarci, non dobbiamo continuare a fare quello che stiamo facendo (cucinare, leggere il giornale, lavorare al computer...). Interrompiamoci, guar-diamo l’altro, diamogli ascolto.

L’umiltà è una forza calmaLe persone umili sono persone dignitose. Con-servano la saggezza e l’esperienza necessaria per comprendere i loro limiti e il valore altrui. Molti personaggi nella storia si sono distinti per umiltà, e la storia dimostra che non è stata un ostacolo nel portare a termine ciò che hanno realizzato. È stata fonte di forza, strumento per ricevere rispetto e dare ispirazione.

Ma l’umiltà ha bisogno di essere coltivata. Pro-pongo allora un decalogo per svilupparla ogni giorno. Non è facile, ma con un po’ di esercizio…

1 - Ammettere che non sempre siamo i mi-gliori. Non importa quanto talento abbiamo, ci sarà sempre qualcuno che saprà fare meglio di noi. Osserviamo queste persone e consideriamole come stimolo a raggiungere il loro livello.

2 - Riconoscere i nostri difetti. Lavoriamo sui nostri difetti ma allo stesso tempo accettia-moli. Ricordiamoci che crescere e migliorare è un processo che dura tutta la vita.

3 - Non avere paura di commettere errori. Tutti sbagliamo. Quando l’avremo capito, ci sare-mo liberati di un grande peso.

infatti, niente è più duro a morire del desiderio di pensare bene di se stessi”. Indipendentemen-te dalla professione che svolgiamo, dalle persone che frequentiamo, dobbiamo rimanere semplici, rispettosi e “naturali”. Chi sono, infatti, i dato-ri di lavoro, i manager o i dirigenti che lasciano l’impronta? Quelli che si sono saputi calare nella realtà, che chiedono ai collaboratori “come va”, quali sono le loro preoccupazioni, e che si metto-no a disposizione per migliorare l’azienda. Sopra ai piedistalli, alla fine, ci si trova in pochi.

Che cos’è esattamente l’umiltà? Umile è l’indivi-duo modesto e privo di superbia, che non si ri-tiene migliore o più importante degli altri. È, di

4 - Quando sbagliamo, riconosciamolo. Che tu abbia sbagliato come capo, dirigente o venditore, gli altri apprezzeranno il fatto che sai ammettere di non essere perfetto e che stai lavo-rando per migliorarti. Ammettere di sbagliare ci farà diventare più umili.

5 - Non vantiamoci. Se siamo “grandi”, la gente lo saprà senza che ci sforziamo tanto e ci loderà comunque. Vantarsi per le conquiste ci fa appa-rire narcisisti e alla lunga poco simpatici. Non significa che dobbiamo mentire; parliamo dei no-stri successi sempre con moderazione.

6 - Non prendiamoci tutto il merito. Con molte probabilità, quando otteniamo dei risultati importanti, il merito non è solo nostro. Prendersi tutti i meriti per ciò che facciamo è segno di su-perbia e ci logorerà.

7 - Aiutare gli altri. Prima di pensare a noi, pensiamo agli altri. Prima di pensare di aver biso-gno di qualcuno, pensiamo a chi può aver bisogno di noi.

8 - Ammettiamo la nostra ignoranza. Nes-suno sa tutto. Ognuno conosce solo una piccola parte dell’infinita conoscenza che si è accumulata. Riconoscere di non sapere è indice di umiltà.

9 - Siamo grati per ciò che abbiamo ora. Tutto ciò che ci succede o abbiamo è un regalo. Anche le cose che non ci piacciono. Ma il regalo più prezioso sono le persone che abbiamo attor-no. Trattiamo, perciò, tutti quanti come nostri pari e aiutiamoli, perché è il modo per sviluppare una solida umiltà. Aiutare le persone in difficoltà ci farà apprezzare ancora di più ciò che abbiamo e ci renderà meno orgogliosi.

10 -“Chi si loda s’imbroda”. Questo non vuol dire essere sempre insoddisfatti dei propri risul-tati; significa non attribuire loro un valore asso-luto. E questo modo di pensare e ragionare può aiutarci molto, perché non dare agli eventi valore assoluto significa non esaltarsi oltre la giusta sod-disfazione del risultato, ma anche non deprimersi oltre il normale rincrescimento per una presta-zione negativa, sempre consci che, nel bene e nel male, si può sempre migliorare.

FONDAMENTALI DEL BUSINESS

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Formatore, consulente e coach in aziende manifattu-riere e di servizi dal 1998. È giornalista pubblicista e autore di libri: Sviluppare il proprio carisma, La Pen-tacomunicazione, La Pentacomunicazione per la cop-pia, Problem solving creativo, Basta rodersi il fegato, Rendere al massimo, I 5 segreti del business vincente.

MASSIMO PIOVANO COME

TAZZE ROVESCIATE

Vuoi essere un grande? Comincia con l’essere piccolo. Vuoi erigere un edificio che arrivi fino al cielo? Costruisci prima le fondamenta dell’umiltà.

(Sant’Agostino)

Vendere di più - 2322 - Vendere di più

PUBBLI REDAZIONALE PUBBLI REDAZIONALE

UN PREMIO SPECIALE IN ANTEPRIMA NEL PRINCIPATO DI MONACO

Una consacrazione di tutte le realtà che fanno della positività il valore fondante della loro or-ganizzazione e il motore della produttività. E per questo innovano, si distinguono e crescono, e il loro esempio deve quindi diventare virale.Sarà questo anche quest’anno, l’obiettivo prin-cipale con il quale si svolgerà il 4 giugno, per il secondo anno consecutivo, nella meravigliosa cornice dello Spazio Gessi di via Manzoni a Mi-lano, la seconda edizione del Positive Business Award, il premio ideato, concepito e organizzato dalla Scuola di Palo Alto – la principale Business School italiana non accademica, riconosciuta da anni nei ranking nazionali per qualità della docen-za e vicinanza al mondo delle imprese, nonché principale referente italiana della Positive Educa-tion – con il supporto organizzativo di DLB Italia e in partnership con Carter & Benson e Adico, per premiare la cultura positiva di aziende e or-ganizzazioni.«La finalità principale – afferma Marco Masella, presidente della Scuola di Palo Alto – è di conse-gnare un riconoscimento a quelle realtà che indi-cano come rotta della loro bussola la cura delle persone, lo sviluppo delle relazioni, la circolazio-ne delle idee, e per le quali, cioè, la visione positi-va delle cose e del futuro sono il vero carburante. Felicità, Fiducia e Futuro sono tutto ciò che serve nel business per prosperare. Ci auguriamo che questo evento sia di buon auspicio per il nostro Paese. Sarà in concomitanza di Expo 2015, l’E-sposizione Universale che rappresenterà la spin-ta per un “rinascimento” generale».Dunque un premio che, ancora una volta, porterà una sferzata di entusiasmo tra le aziende del no-stro Paese. Come infatti spiega William Griffini, Ceo di Carter & Benson, una delle più autorevoli società di Executive Search presenti sul mercato, per il secondo anno consecutivo partner dell’e-vento, «la positività è un elemento strategico e la benzina delle aziende. Siamo partner dell’e-vento perché è un premio nel quale ci ritrovia-mo totalmente. Dare risalto a iniziative e progetti che hanno dimostrato di apportare un contributo concreto in termini di miglioramento dell’ambien-te di lavoro, della produttività, dell’innovazione e dello sviluppo, crea un terreno fertile e fa sì che la positività diventi un valore di marchio percepibile e riconoscibile».Del resto, le best practice delle aziende di suc-cesso e numerosi studi statistici e neuro-scien-tifici a livello internazionale dimostrano la stretta relazione tra benessere, solidità delle persone e produttività delle aziende. Per orientarsi in uno

POSITIVE BUSINESS AWARD 2015

scenario sempre più complesso, arriva una rispo-sta scientifica proprio dal Positive Business, mo-vimento globale che propone tecniche e strategie per una crescita economica e sociale costruita sulla solidità e sul benessere delle persone e sul-la capacità degli individui di stabilire relazioni più positive con se stessi e con il mondo.«Alle origini della Scienza Positiva non vi è certo la pretesa di annullare gli eventi negativi, ma la prova che non siamo solo spettatori passivi dei fatti che ci accadono, ma parti attive capaci di af-frontare quegli eventi con una carica emotiva tra-sformativa. Il modo in cui interpretiamo la realtà cambia la nostra esperienza della realtà stessa, e quanto più lo facciamo con le emozioni positive, tanto più saremo in grado di trarne dei vantaggi».Dunque la “Felicità” è un elemento fondamentale anche per riuscire nel business?«Certamente. – risponde Masella – Quando il no-stro approccio mentale e il nostro stato d’animo sono positivi, siamo più intelligenti, più motivati e abbiamo maggiore successo. Allenare il nostro cervello alla felicità si può, e farlo è di estremo interesse a livello personale e di sistema. Ecco perché bisogna sostenere chi con talento e intra-prendenza sta delineando il futuro, in particolare quello del Made in Italy, con la qualità e la cre-atività che, da sempre, il mondo riconosce agli imprenditori italiani, ma anche con la capacità di utilizzare bene gli strumenti e le opportunità del contesto economico attuale».La Scuola di Palo Alto ha deciso di assegnare un Premio Speciale del Positive Business Award, in anteprima, nel corso di Smart Made in Italy, un evento svoltosi gli scorsi 9 e 10 aprile nel Prin-cipato di Monaco, nella prestigiosa sede dello Yacht Club, organizzato dall’Ambasciata Italiana nel Principato con il sostegno del Governo del Principato e con la Direction du Tourisme et des Congres, Yacht Club de Monaco, in collaborazio-ne con Expo Milano 2015, Regione Lombardia e AIIM (Associazione degli Imprenditori Italiani nel Principato di Monaco). Una manifestazione, que-sta, dedicata ai nuovi talenti dell’imprenditoria italiana e all’incontro e allo sviluppo di contatti sulla scena internazionale. Il 10 aprile ha ospita-to un’alta rappresentanza di Expo 2015, che ha introdotto una tappa del World Expo Tour e pre-sentato l’Expo nel Principato di Monaco.«Abbiamo consegnato un Positive Business Award al Ministro Plenipotenziario Antonio Mo-rabito – racconta Masella – perché nel corso del suo mandato come Ambasciatore italiano nel Principato di Monaco ha saputo dare il giusto ri-

salto ai valori distintivi dell’imprenditoria italiana e del Made in Italy».Antonio Morabito ha accolto con grande gioia ed entusiasmo il premio di Palo Alto, egli stesso convinto che la positività porti aria nuova nelle organizzazioni.«Abbiamo concepito questo evento – ha afferma-to Morabito – con uno sguardo rivolto alla grande tradizione artigianale, artistica e imprenditoriale italiana, ma anche alle esigenze e alle opportu-nità offerte da un mondo in evoluzione. Questo progetto focalizza l’attenzione sull’innovazione delle giovani imprese italiane, sulla loro capacità di agire nei nuovi mercati, sfruttare i new media e aprire ogni giorno scenari differenti».Dunque un’anteprima in una location non indif-ferente. Situato nel sud dell’Europa, tra la Riviera francese e quella italiana, il Principato di Monaco, pur facendo parte dell’Eurozona, non è membro dell’Unione Europea, ma ciò non gli impedisce di fare la sua parte nello sviluppo del continente e di intessere stretti legami con numerosi Paesi eu-ropei. Italia e Principato di Monaco sono sempre stati molto vicini per storia e cultura. Già nel 1950 il Principe Ranieri II visitava il presidente della Repubblica Italiana, Luigi Einaudi, al Palazzo del Quirinale, e poi, insieme alla Principessa Grace, tornò spesso l’Italia. Oggi, anche il Principe Al-berto II è “vicino” all’Italia e presta molta atten-zione ai suoi sviluppi economici, politici e cultu-rali. I residenti italiani a Monaco registrati all’AIRE sono 7.302 (di cui 1.317 minori) e risultano ben inseriti nel Principato. Non a caso, oltre 1.200 aziende e società italiane si trovano registrate a Monaco in ogni campo lavorativo e ogni giorno giungono circa 10 mila lavoratori transfrontalieri.E proprio in virtù di questa tradizionale e forte presenza economica italiana nel Principato, lo scorso anno, si è svolta la prima edizione del Forum Internazionale del Made in Italy, promos-so dall’Ambasciata di Monaco e realizzato con il sostegno dei Ministeri degli Affari Esteri, dello Sviluppo Economico e delle Politiche Agricole, e organizzato in collaborazione con l’Associazione degli Imprenditori Italiani del Principato di Mo-

naco (AIIM) e con ICE (Agenzia per la Promo-zione all’Estero e l’in-ternazionalizzazione delle Imprese Italiane). «Le idee devono esse-re liberate e facilitate. – ha affermato Marco Durante, Ceo di Pho-netica Spa, la realtà protagonista nel mer-cato da oltre 15 anni nell’offerta di soluzioni di Business Process Outsourcing nelle co-municazioni, vincitri-ce nell’edizione 2014 del Positive Business Award nelle catego-rie Vision e Product Launch, durante la sua visita nel Principato all’evento Smart Made in Italy – Bisogna rico-minciare a fare e a fare bene, e a tal proposi-to, ben vengano eventi come il Forum Inter-nazionale del Made in Italy, Smart Made in Italy nel Principato e il Positive Business Award a Milano. Le aziende più vitali e lungimiranti sono quelle che investono sulla positività e quindi, il maggiore in-vestimento di un’azienda dev’essere fatto sulle persone, capitale intangibile e risorsa che con-sente la sopravvivenza a qualunque “intemperia” di percorso. Le realtà che sono sopravvissute alla crisi, talvolta crescendo, sono anche quelle che investono sui talenti. Per cambiare le cose serve una sola, grande ricetta: il sentiment di persone che pensino in grande, guardando con positività al futuro».

DI CHIARA OSNAGO GADDA

Sotto:Marco Durante, Ceo di Phonetica Spa, vincitrice dell’edizione 2014 del Positive Business Award nelle categorie Vision e Product Launch

Sopra:William Griffini, Ceo di Carter & Benson, partner di Positive Business Award

A lato:Marco Masella, presidente di Scuola di Palo Alto, consegna il Positive Business Award ad Antonio Morabito (Montecarlo, aprile 2015)

FONDAMENTALI DEL BUSINESS

24 - Vendere di più Vendere di più - 25

MAGIAIN BOTTIGLIAUNA RICERCA AMERICANA, DEFINITA UNO “SHOCK CULTURALE”,HA INDIVIDUATOI SEGRETI DEI VENDITORI“TOP PERFORMER”

Emanuele, tutto parte da una ricerca, una ricerca su vastissima scala condotta dalla società americana CEB su 6 mila vendi-tori di 30 settori di-versi, in tutto il mon-do. Qual era lo scopo di questa indagine?

Nel 2008 inizia una crisi lunghissima, i consumi crollano e centinaia di migliaia di venditori fanno la fame; soltanto una minoranza continua a fare ottimi profitti, e comprendere le caratteristiche di questi “campioni” diventa disperatamente vitale.Capirne la magia. Imbottigliarla. Averla a dispo-sizione.

In un periodo di scarsa domanda e di abbondante offerta, era quindi fondamentale comprendere i “segreti” dei top performer, cioè di quella ristretta cerchia di venditori (l’8% del totale) che in tutti i settori riescono a fare grandi numeri. La ricerca si è basata su questo: non tanto uno studio della personalità dei migliori, ma soprattutto un’anali-si accurata delle loro specifiche competenze, cosa fanno di diverso e come lo fanno.

Il tuo clientesarebbe disposto

a pagareper incontrarti?

(Emanuele Maria Sacchi)

A seguito dell’uscita dei risultati di questa ricerca, in America si è parlato di “cultural shock”, di uno “shock culturale”. Ne par-lerà in modo più approfondito a Roma, il 6 giugno, e a Bologna, il 13. Ma vuole an-ticiparci quali sono queste rivelazioni che riguardano proprio i venditori?La prima rivelazione è che tutte le competenze di vendita confluiscono in cinque profili distinti e che ogni venditore ne interpreta prevalentemente uno, caratterizzando così il suo modo di interagi-re con il cliente.La seconda rivelazione è che, confrontando que-sti cinque profili con l’andamento delle vendite, si individua un chiaro vincitore e un altrettanto chiaro perdente. Il profilo vincente supera gli altri in modo spettacolare, mentre il profilo perdente arranca faticosamente a grande distanza dagli al-tri quattro.La terza rivelazione è davvero rivoluzionaria, e sconvolge la maggior parte delle convinzioni at-tuali, per questo negli Usa si è parlato di “shock culturale”: si dimostra che la vendita basata sulla relazione è troppo spesso inconcludente; la vec-chia convinzione “costruiamo relazioni, poi le vendite seguiranno” non funziona più.Rapporto e decisione d’acquisto non viaggiano più insieme. L’alibi del venditore “ho un ottimo

V+ INTERVISTA EMANUELE MARIA SACCHIA CURA DI VALERIA TONELLA

rapporto con i miei clienti, ma al giorno d’oggi quello che conta è il prezzo”, dimostra in modo definitivo la sua fragilità: il rapporto non è più il fattore critico di successo; il prezzo non lo è mai stato. Instaurare relazioni di fiducia non è più suf-ficiente: è la premessa, non certo il fattore deter-minante.

L’indagine si focalizza su due fattori: i profili dei venditori e le loro competenze. Cosa è stato scoperto?La scoperta più eclatante è che dei cinque pro-fili individuati quello con le caratteristiche più marcatamente orientate alla relazione (“the rela-tionship builder”) è risultato anche essere il meno incisivo. Questo non significa che costruire buone relazioni non conti più nulla, tutt’altro. Tuttavia significa che molte delle cose che fino a oggi ri-tenevamo fondamentali (rispecchiare il cliente, utilizzare la Pnl, ecc…) perdono il loro peso de-terminante per lasciar spazio ad altre competenze molto più efficaci che presenterò agli incontri di Roma e di Bologna.

Cosa potranno scoprire riguardi a se stes-si i venditori che parteciperanno ai due eventi di giugno? Ci sarà un test, è esatto?Esatto. Ogni partecipante potrà fare un test dove emergerà il suo profilo dominante (quello a cui si avvicina di più) e potrà confrontare il suo risulta-to personale con i risultati della ricerca. Questo permetterà a ogni persona di fare molta chiarezza sulle migliori competenze già acquisite (e quindi da mantenere e valorizzare), ma anche su quelle competenze oggi determinanti per fare il salto di qualità (e sulle quali è necessario allenarsi oggi per essere pronti domani).

Lei definisce la crisi che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo come un “nuovo scena-rio di mercato”: in che senso?I tempi del G7 con l’Italia considerata una delle principali economie del pianeta appartengono al passato. Continuiamo a considerare “mercati emergenti” Paesi come la Cina che oggi sono al primo posto al mondo nell’acquisto di beni di lusso e che entro il 2021 sarà la prima potenza economica al mondo. In Malesia tutta la rete au-tostradale è illuminata, e in Corea è nato il pri-mo supermercato virtuale del pianeta, dove fai la spesa scattando foto col telefonino mentre aspetti la metro. In Vietnam è stata costruita una città interamente bio ed autosufficiente. Tre miliardi di persone sono collegati al web. La conoscenza è disponibile, ognuno può far sentire la sua voce online. Il mondo sta davvero cambiando e l’Italia è destinata a essere una provincia del mondo; tut-tavia, a mio avviso, può essere una meravigliosa provincia, piena di eccellenze e di qualità. Pensare di tornare al mondo di prima è un’illusione. Ab-biamo fatto una cura dimagrante: approfittiamo-ne per ripartire con slancio.

Perché, secondo lei, nel concreto c’è biso-gno che i venditori acquisiscano compe-tenze nuove rispetto al “prima 2008”, al

“prima crisi”?Perché il cliente è letteralmente bombardato di proposte, quindi è fondamentale avere un’identi-tà, una specializzazione e un posizionamento ben preciso (e farli conoscere al cliente prima di en-trare in contatto con lui!). Le telefonate a freddo sono una perdita di tempo. Gli incontri conoscitivi vanno bene per chi non ha altro da fare. I siti web auto referenziati sono da cambiare. Le brochure ripetono i soliti slogan. Puntare sulla “qualità dei propri prodotti” o su “soluzioni personalizzate” ha stancato. Lo dicono tutti. Vuoi essere uguale agli altri?

Vuole dirci una caratteristica che deve avere un venditore “top performer”?La caratteristica più importante è che non im-provvisa, applica quella che io chiamo “la scien-za della vendita”, sfruttando le best practice dei migliori venditori del mondo, adattandole al suo stile e al suo contesto e rendendole naturali, spontanee ed efficaci con l’allenamento prima di incontrare il cliente. Ma non improvvisa!Il venditore “top performer” è colui che aiuta il cliente a prendere la decisione, educandolo, istruendolo, e quindi assumendo in modo netto il ruolo di guida e di esperto a cui affidare la propria fiducia. Ha un carisma evidente ma anche piace-vole. La domanda provocatoria è: il tuo cliente sarebbe disposto a pagare per incontrarti? Se la risposta è sì (anche solo un euro…), allora è pro-babile che tu abbia le qualità di un top performer.

Vuole darci appuntamento al suo wor-kshop di giugno?A giugno dedicherò una parte limitata alla teoria (i risultati della ricerca e quali sono le competenze oggi decisive su cui investire) e una parte molto più intensa alla pratica (come sviluppare in ognu-no di noi le sette competenze oggi determinanti). Alcune sono davvero rivoluzionarie. Ignorarle sa-rebbe un delitto. Possederle significa invece avere un immediato vantaggio competitivo.La direzione è più importante della velocità: a giu-gno fermiamoci per un giorno, un giorno soltanto, e facciamo chiarezza sulla direzione da seguire e su quali azioni intraprendere.

La crisi?Una cura dimagrante.Approfittiamoneper ripartirecon slancio.

(Emanuele Maria Sacchi)

Emanuele Maria Sacchi lavora nel campo del-la vendita, della leadership e della comunicazio-ne competitiva, collaborando con aziende di 18 Paesi come best trainer. È stato l’unico relatore italiano al Forum mondiale della negoziazione. Autore del Segreto del carisma, ha condotto più di 2 mila seminari. È presidente di Evolution Network (rete europea di consulenza di direzio-ne e formazione), executive manager di Dale Carnegie Italia, executive coach di Lee Hecht Harrison (leadership consulting di New York) e professore all’università Carlo Cattaneo. Ha insegnato anche ai master MBA del MIP-Poli-tecnico di Milano. I suoi video su Youtube hanno superato le 100 mila visualizzazioni.

Nata e cresciuta in Versilia. Si occupa da anni di ven-dita professionale in qualità di ricercatrice, formatrice e scrittrice presso varie case editrici italiane. Coordi-na progetti di consulenza e comunicazione in ambito aziendale e individuale. Svolge attività di writer co-ach e ghost writer. [email protected]

SIMONAGENOVALI

MESTIERE DELLA SUPERVISIONE

Vendere di più - 27

La paura della trasformazione è come la paura della morte. Il nuovo non può essere un proseguimento del vecchio.

(Osho Rajneesh)

COMESI CAMBIAPRIMA O POI, LA SFIDA ARRIVA - RACCONTO DI UN’ESPERIENZA VISSUTA

26 - Vendere di più

Il momento che Lorenzo temeva da tempo era arrivato. Il momen-to di “cambiare”. Al solo pronunciare quella parola, “cambiamen-to”, Lorenzo iniziava ad accusare un dolore al petto, come se una pugno premesse con forza contro il suo apparato respiratorio. Gli azionisti, nell’ultimo consiglio di amministrazione, erano stati chiari: era necessario apportare dei cambiamenti all’assetto or-ganizzativo dell’impresa che Lorenzo dirigeva da anni con dili-genza e grande leadership, ma adesso si sentiva impotente e in difficoltà. L’obiettivo che si erano posti era quello di cambiare strategia e creare più valore per gli azionisti. Nella più totale con-

fusione, Lorenzo decise di rivolgersi a un vecchio amico del liceo, che lavorava come manager e formatore per un’importante casa di moda. Roberto fu subito disponibile nei confronti dell’amico di un tempo, capì che Lorenzo si trovava sotto pressione. Nel giro di qualche giorno fissarono un appuntamento nello studio di Lorenzo. Dopo i convenevoli, Roberto arrivò al punto e disse:«Per avviare un processo di cambiamento organizzativo, occorre scegliere che tipo di approccio adottare. Talvolta può non bastare cambiare la struttura azien-dale, il solo organigramma; occorre modificare certi comportamenti individuali. Non sempre il cambiamento è sinonimo di cresci-ta e sviluppo organizzativo».«Infatti, è proprio questa la mia paura più grande. – incalzò Lorenzo – Quella di cambiare e sceglie-re il modo sbagliato di farlo. Voglio raggiungere gli obiettivi economici che ci siamo posti con gli altri azionisti, ma non voglio trascurare i nostri dipendenti e quanti hanno collaborato finora al successo della nostra attività».Parlando con l’amico, Lorenzo capì che il grado di urgenza del cambiamento, percepito dagli azioni-sti, era maggiore rispetto a quanto lui stesso av-vertisse. Cercò così di mettere a fuoco l’ambito dal quale iniziare il processo di cambiamento, a cui tutti aspiravano da tempo. Stilò una lista delle competenze disponibile all’interno del suo staff e di quali invece avrebbe avuto bisogno per essere sostenuto nel nuovo processo.«I membri dell’organizzazione, in particolare il management sono il motore del cambiamento» disse Roberto, poco prima di salutare l’amico che di lì a poco avrebbe presentato agli azionisti il nuovo piano d’azione per permettere al cam-biamento di diventare realtà.«Deve esistere davvero la volontà di cambiare ed è importante far capire le ra-gioni del cambiamento, spiegando quali potrebbero essere le conseguenze nega-tive, se non fosse attuato».

Lorenzo si mise subito a lavoro e preparò delle diapositive che avrebbe poi pre-sentato al consiglio di amministrazione. Intitolò il suo lavoro: “Creare una visio-

ne condivisa sul futuro dell’azienda”. Ebbe anche quella che lui stesso chiamò “una fantastica intu-izione”. Chiamò il responsabile della comunica-zione aziendale interna e insieme elaborarono un piano di comunicazioni periodiche da inviare ai collaboratori per celebrare il raggiungimento de-gli obiettivi di reparto e informare tutti su “dove siamo e dove stiamo andando”.Chiamò il responsabile del personale con il quale progettarono degli interventi formativi, per pro-muovere la crescita personale dei collaboratori e l’acquisizione di nuove competenze, necessarie per sostenere il processo di cambiamento, man-tenere alto lo spirito di gruppo e la motivazione a raggiungere gli obiettivi aziendali. Furono così introdotti nuovi sistemi di incentivazione e di va-lutazione delle performance.Lorenzo creò inoltre una “task force” formata per lo più dai suoi collaboratori più stretti per assicu-rarsi sostegno e fiducia, in vista della fase delicata che l’azienda si accingeva ad affrontare, e soprat-tutto condivisione sull’approccio da usare, e su dove, come e quando realizzare il cambiamento.

L’ostacolo più grande che Lorenzo incontrò fu la

resistenza al cambiamento da parte dei suoi col-laboratori. Tuttavia riuscì a gestire anche questa difficile situazione e a promuovere il cambiamen-to desiderato. Parlò in modo chiaro con chi aveva dimostrato, in modo sia implicito che esplicito, qualche dubbio sul nuovo metodo aziendale. Le persone si accorsero così che Lorenzo, che era visto da tutti come il fattore determinante e trai-nante del cambiamento, era disposto ad ascoltare le loro preoccupazioni. Molti furono più inclini ad aprirsi e a fornire informazioni utili per la risolu-zione dei problemi.Anche il coinvolgimento diretto dei lavoratori nella pianificazione dei vari step necessari all’at-tuazione del cambiamento si rilevò in poco tem-po un elemento vincente. Furono fatti dei test per avere informazioni in modo più omogeneo e strutturato e le informazioni furono raccolte, or-ganizzate e restituite ai dipendenti con l’obiettivo di continuare a lavorare insieme con più efficacia, promuovendo il cambiamento come fattore di crescita e sviluppo personale e organizzativo.

L’aumento delle vendite di quell’anno dimostrò che Lorenzo aveva fatto un ottimo lavoro.

Il cambiamento,con tutti i rischi

che comporta, è la legge

dell’esistenza.

(Robert Kennedy)

OLTRE L’E-LEARNING: LA GAMIFICATIONCAMBIANO LE REGOLE DEL GIOCO CON LA NUOVA FORMAZIONE APPLICATA ALL’INTERNO DELL’IMPRESA

La gamification è ormai spesso utilizzata da molti dipartimenti marketing, che l’hanno più volte te-stata come strumento effi-cace per attuare strategie di comunicazione esterna, specie se legate a logiche di pull communication (cioè strategie che voglio-

no far in modo che sia il destinatario della comu-nicazione a “cercare” il messaggio dell’impresa, non viceversa).

Tuttavia, lo strumento sta sempre più incuriosen-do e guadagnando i favori delle funzioni Risorse umane, comunicazione interna e commerciale: la gamification ha, infatti, più volte dimostrato di essere altamente efficace anche nell’incremen-

tare la produttività aziendale, motivare la forza vendita, facilitare la formazione dei dipendenti, agevolare i mutamenti delle cultura aziendale, migliorare l’ambiente interno e ridurre i tassi di turnover.

Marketing Manager di Alittleb.it e DarkWave Games; Editor di Gamification.it. Esperto di Gamification e Social Media Marketing, ha un dottorato in Marketing e Comunicazione. Per Alittleb.it è anche Accounter e Strategic Planner nei progetti game-based, traducen-do per il game designer gli obiettivi delle imprese.

ALAIN BONATI

La definizione standard di gamification è:“l’utilizzo di meccaniche e dinamiche di gioco all’interno di contesti non di gioco, per ingaggiare l’utente nella risoluzione di problemi e per incre-mentare i suoi contributi personali”.

Dunque, la gamification è uno strumento che mira a ottenere comportamenti specifici dagli utenti, tramite l’utilizzo di meccanismi e tecni-che tipicamente utilizzati dai giochi e, in contesti digitali (dove la gamification è perlopiù utilizza-ta), dai videogiochi. Richiede quindi certamen-te l’applicazione di concetti di game design, ma anche di behavioral design, interaction design e graphic design; nonché la padronanza di princìpi e tecniche di marketing e comunicazione, oltre a, naturalmente, una chiara definizione degli obiet-tivi che ci si prefigge di raggiungere con l’utilizzo dello strumento.

Il dipendente elevato a utenteDa questa introduzione è facilmente intuibile come siano diversi i profili e le competenze ne-cessari per attuare e utilizzare correttamente strumenti “gamificati”; per ottenere effettiva-mente i risultati promessi dallo strumento, non è sufficiente l’utilizzo di una piattaforma di gamifi-cation, ma è necessario anche l’intervento di un team completo e capace.Inoltre, non è certamente definibile gamification il solo utilizzo della meccanica della raccolta punti (in gergo pointfication – “Clicca qui e ottieni 20 punti, clicca lì e ricevi 20 punti…”, “Bravo! Hai guadagnato il riconoscimento ‘Hai ottenuto 40 punti’”). Una siffatta tecnica, ascrivibile esclusi-vamente alle tecniche di performance marketing, può funzionare nel breve periodo, ma diventa deleteria (perché innestante un layer di comples-sità inutile, ripetitivo e, dunque, percepito come noioso) per strategie di medio e lungo periodo, quando si vuole fidelizzare un utente a un servizio digitale.Da tutti i discorsi precedenti, capiamo che, quan-do la gamification è applicata all’interno dell’im-presa, il dipendente deve essere “innalzato” a utente: devono perciò essere messe in atto strate-gie e tecniche generalmente utilizzate nella comu-nicazione esterna, come ad esempio il community management.

Obiettivi possibili, e comeL’utilizzo corretto della gamification consen-te l’attivazione o la modifica di comportamenti, come ad esempio la stimolazione di un interesse attivo, l’adozione di best practice, la creazione di contenuti, la risoluzione di problemi, l’apprendi-mento di concetti. Gli obiettivi ultimi raggiungi-bili sono dunque vari, tra i tanti:• la fidelizzazione;• l’aumento del fatturato;• la riduzione dei tassi di turnover interno;• l’incremento della qualità del servizio al cliente;• il miglioramento del clima interno;• la facilitazione dei mutamenti della cultura aziendale.

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Mentre leggi l’articolo…Metti alla prova il tuo inglese: prova a indovinare il significato delle parole in azzurro, e poi verificalo nel glossario a fine articolo.

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Ma come è possibile ottenere tutto ciò dal sempli-ce utilizzo di meccaniche e dinamiche di gioco? Spieghiamo molto brevemente, senza alcuna pre-sunzione di completezza, le logiche fondamentali alla base della gamification.

Questione di logicheInnanzitutto, l’utilizzo della gamification consen-te di modificare la percezione di benefici e sacri-fici legata a un’attività.Una buona implementazione “gamificata” mira alla creazione di un sistema continuo di micro-sacrifici/micro-benefici, che consenta di premia-re continuamente l’utente per ogni attività com-piuta. L’obiettivo strategico ultimo dell’impresa deve innanzitutto essere tradotto in comporta-menti desiderati dagli utenti; questi ultimi, a loro volta, devono essere trasformati e suddivisi in micro-attività. Per ogni micro-attività (il sacrifi-cio dell’utente) occorre creare un micro-premio (“reward”, il beneficio dell’utente). Successiva-mente a questa operazione, occorre mettere in atto strategie che consentano di ridurre ulterior-mente la percezione dei sacrifici e di aumentare quella dei benefici.L’innesto delle attività all’interno di un contesto più o meno ludico, oltre alla loro suddivisione in micro-attività, consente senza ombra di dubbio di ridurre la percezione di sacrificio (si pensi, ad esempio, alla differente accettazione della fatica

derivante da una partita di calcio piuttosto che conseguentemente a un’attività lavorativa).L’aumento della percezione di beneficio, inve-ce, normalmente si attua innestando dinamiche competitive e/o consentendo all’utente di miglio-rare la propria immagine personale.La possibilità di innalzarsi sopra gli altri (e, ma-gari, di vincere un premio più sostanzioso), mo-tiva sempre molto; se poi l’utenza viene divisa in gruppi in competizione tra loro, divengono anche facilmente attuabili strategie di incentivazione della collaborazione e, dunque, di team building e di condivisione delle pratiche migliori.Inserendo invece l’utente in un contesto sociale, è possibile premiarlo con dei “riconoscimenti” (badge): questi avranno un valore effettivo tanto più elevato quanto più saranno in grado di mi-gliorare l’immagine che gli altri hanno dell’uten-te, cioè se saranno in grado di identificarlo agli occhi degli altri (o dell’impresa), consentendogli di fatto, di crearsi, una propria immagine perso-nale.Il servizio “gamificato” dovrà essere predisposto per “certificare” oggettivamente le qualità e ca-pacità dell’utente (sfruttando le possibilità date dalle piattaforme digitali di tracking automatico delle azioni e dei risultati degli utenti).A evidenza, la competizione e il rilascio di badge sono due strategie di gamification che possono essere strettamente correlate tra loro.

PICCOLO GLOSSARIO DI GAMIFICATIONBehavioral design: (design comportamentale) la progettazione di una soluzione in grado di incentivare o modificare comportamenti.Community management: attività di gestione di una comunità virtuale (una pagina di Facebook, un fo-rum…), che comprende per esempio la creazione del dibattito e la moderazione dei commenti degli utenti.Game design: progettazione della struttura di un gioco e delle sue regole.Graphic design: progettazione grafica.Interaction design: attività con cui si facilita il più possibile l’interazione dell’utente con un sistema (digitale o non), così che la fruizione sia soddisfacente.Layer: letteralmente “strato”, dunque livello di un sistema, di un’organizzazione… di un gioco.Performance marketing: realizzare una campagna marketing solo in base ai risultati ottenuti (es. acquisti sul web, un contatto, un click sul sito aziendale…).

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Quando un uomo si rende conto che forse suo padre aveva ragione, solitamente ha già un figlio che pensa che lui si stia sbagliando.

(Charles Wadsworth)

TALE IL PADRE, TALE IL FIGLIO?SI DICE CINICAMENTE CHE IL MODO PIÙ SICURO PER DIVENTARE MILIARDARI È QUELLO DI EREDITARE DAI GENITORI.MA CON I PADRI CHE CI SONO IN GIRO LA VITA DI EREDESI È FATTA RISCHIOSA E DIFFICILE

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Fra le tante sfide che chi gestisce un’azienda deve affrontare c’è quella del-la successione, cioè della scelta del manager a cui affidare il business quando chi lo ha portato al suc-cesso, spesso dopo averlo fondato, deve lasciarlo per ragioni di età.

Se questo è un elemento cruciale della pianifica-zione aziendale che richiede l’attenzione dei con-sigli di amministrazione delle più grandi aziende del mondo, non è meno importante per il piccolo business privato, che di solito non è preparato ad affrontarlo. In questo caso il processo è reso an-cora più difficile dal fatto che la successione non riguarda soltanto la gestione dell’impresa, ma an-che la sua proprietà, e la proprietà è solitamente nelle mani di una persona, di una famiglia o di uno o più partner.

È il tema caldo di quel fenomeno indicato come “passaggio generazionale”.Data la vastità dell’argomento, proverò ad appro-fondire in questo articolo soltanto la situazione del piccolo business privato, in cui la ricerca del successore è resa particolarmente difficile anche da aspetti emotivi e relazionali.

Piccole imprese: questioni di cuoreLe decisioni che devono essere prese dal proprie-tario possono ricadere in una di queste tre cate-gorie:a) vendere;b) passare proprietà e gestione del business ai suoi eredi;c) lasciare che la famiglia mantenga la proprietà ma non la gestione.Sono scelte spesso complicate dalla partecipazio-ne alla decisione di differenti membri della fami-glia e dalle loro diverse visioni di ciò che è meglio.Non si può negare che mantenere un business nell’ambito della famiglia possa spesso generare

Nel primo caso, c’è un esempio estremamen-te convincente, quello di An Wang. Nel 1951 An Wang, cinese emigrato negli Usa, fondava a Chi-cago un’azienda di computer (Wang Laborato-ries). Dopo un inizio piuttosto lento, nei primi anni ’70 superava i 27 milioni di dollari di fat-turato, grazie all’entrata in un nuovo settore che gli avrebbe dato molto successo, quello dei “word processor”, cioè di computer che permettevano la composizione e redazione di ogni tipo di materia-le scritto con prestazioni molto superiori a quelle di una macchina da scrivere. In poco tempo il suo prodotto, Wang 1200 WPS, diventava leader di mercato.Il suo successo, però, era destinato a essere tem-poraneo. Ciò perché Wang aveva voluto specia-lizzare l’azienda in computer disegnati in modo esclusivo per il word processing, senza prevedere lo sviluppo dei nuovi personal computer “multiu-so”, che includevano fra gli altri anche il software per il word processing e rappresentavano così una concorrenza molto importante. Wang era inevita-bilmente perdente.Ma ci fu anche un’altra ragione del declino che Wang dovette subire: la sua insistenza che fosse il figlio, Fred Wang, a succedergli, nonostante le

obiezioni dei manager chiave dell’azienda che cer-carono di dissuaderlo. Fred Wang era un giovane laureato in Business administration, ma inadat-to ai compiti che il padre voleva affidargli. Il suo primo incarico come capo dell’R&D (Ricerche e Sviluppo) portò alle dimissioni di importanti ma-nager nell’R&D stesso e nel resto dell’azienda, e – cosa molto più grave – anche alle dimissioni del CEO John Cunningham, che erano in disaccordo sulle misure da prendere per difendere il business e in particolare sul fatto che Fred dovesse essere il nuovo leader aziendale.Nonostante tutto, nel 1986 Fred Wang, allora trentaseienne, fu nominato dal padre presidente di Wang Laboratories. Ma nel 1989 i suoi continui errori e le decisioni sbagliate costrinsero Wang senior a licenziare il figlio, cosa che, ovviamente, ebbe tutte le caratteristiche di uno smacco insop-portabile. Wang padre morì nel 1990 e l’azienda andò in bancarotta nel 1992.

Un esempio invece relativo al secondo caso è quel-lo di Ikea, il gigante svedese dei grandi magazzi-ni dell’arredamento, azienda fondata da Ingvar Kamprad nel 1943. Nel 2000 la catena aveva 155 punti vendita in 29 Paesi, 55 mila dipendenti e un

Sono mio padre, seconda edizione,

riveduta e ampliata.

(Valeriu Butulescu)

più ricchezza per le generazioni a venire di qua-lunque altra impresa acquistata con l’eventuale ricavo della vendita dell’investimento originale. Ma, quando i proprietari decidono che il man-tenimento di un business di successo della fami-glia sia la migliore eredità che possano lasciare alle generazioni future, devono essere preparati a intraprendere per tempo il processo di scelta del successore, che è uno dei compiti più difficili che devono affrontare. Infatti numerosi studi di business “familiari” stimano che soltanto il 30% delle aziende sopravvive alla transizione dalla prima alla seconda generazione “di proprietà”. E di queste, quelle che passano con successo a una terza generazione sono soltanto meno della metà. Detto in altre parole, su cento iniziative di succes-so in prima generazione, alla fine solo quindici raggiungono la terza!

Allora, che cosa va fatto per evitare che la soprav-vivenza sia così bassa?In estrema sintesi, occorre dare le giuste risposte alle seguenti domande:a) come scegliere chi debba essere il successore;b) come sviluppare un piano di successione che comunichi e realizzi al meglio quella decisione;c) come preparare la strada affinché il successore prescelto abbia successo.La situazione più difficile, sulla quale mi concen-trerò con degli esempi, è quella in cui il proprie-tario, che è anche il genitore, sia determinato a lasciare il business ai suoi figli.

Eredità e continuitàCi sono due tipi (anche se estremi) di proprieta-rio/genitore: quello che non intende discutere le qualità del figlio candidato, per valutare in parti-colare se è in grado oppure no di condurre gli af-fari con successo; l’altro che invece vuole fare una valutazione di quelle qualità anche con modalità molto impegnative. Si potrebbe sostenere che il primo sia interessato più al figlio che al business; il secondo più al business che al figlio.

DI EDOARDO LOMBARDI

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valore di 30 miliardi di euro: un grande successo!Kamprad, all’età di 74 anni (oggi ne ha 87), si po-neva ufficialmente per la prima volta il problema di come individuare il successore scegliendo uno dei suoi tre figli: Peter di 36 anni, Jonas di 33 e Matthias, di 31. Ma con quale strategia?In quell’anno dichiarò alla rivista Forbes: “Am-miro i miei figli, che sono davvero in gamba, ma non credo che nessuno dei tre sia capace di gui-dare l’azienda, almeno per ora”. E aggiunse che avrebbe dato subito ai tre figli un pezzo della ca-tena da amministrare, per poi affidare la guida dell’impero a quello che avrebbe dimostrato le migliori capacità di imprenditore. Prudente però come Kamprad è sempre stato, sapeva che l’intera Ikea, quale campo di battaglia fra i figli, avrebbe potuto soffrire. Sicché decise di utilizzare per il test una parte minore dell’impero, la catena Ha-bitat, che pure aveva 79 negozi in Europa e 2.500 dipendenti.La gara ha avuto alti e bassi ed è andata per le lunghe: Ingvar Kamprad è stato al tempo stesso il leader “pensionabile” ma anche l’“essenza” del-la sua azienda. Dietro alle scene, i tre figli hanno dovuto gestire questo paradosso, usando sag-giamente la sua immagine, minimizzando la sua presenza (mai venuta meno), i suoi valori e i suoi princìpi. Insomma una gara con l’arbitro sempre in campo.Comunque sia, il tempo ha avuto ragione del-le incertezze di Ingvar, che nel giugno del 2013, quando compiva il suo 86° compleanno, giungeva all’attesa decisione. Un comunicato Ikea annun-ciava finalmente le sue dimissioni dal consiglio di amministrazione e la nomina del suo figlio mino-re Matthias a presidente del gruppo. Sarà la scel-ta definitiva? Ingvar così ha commentato in una

intervista: “Vedo questo come un buon momento per lasciare il board di Ikea Group. Ciò non vuol dire che smetterò di lavorare!”.È chiaro che i due esempi che vi ho portato sono esempi estremi. Entrambi però sottolineano un aspetto non trascurabile: che probabilmente né An Wang né Ingvar Kamprad avevano nel tempo imparato a conoscere i loro figli.

Oltre il dnaEppure un gran numero di aziende familiari può usare proprio il business per formare la nuova generazione. La formazione, che deve essere pro-gressiva e ampia per includere tutte le conoscenze e le abilità che servono nella gestione degli affari, deve svilupparsi in un arco di tempo caratterizza-to da una serie di “pietre miliari” da conseguire ordinatamente. La formazione impartita in as-senza di una data “obiettivo”, che non deve essere né troppo vicina né troppo lontana, non funziona e non assicura il conseguimento delle competenze necessarie.È importante che il periodo della formazione sia anche l’occasione per una valutazione oggettiva, basata sulle esigenze del business del futuro. At-tenzione: se sei il leader del momento, devi asso-lutamente resistere alla tentazione di “clonare” te stesso. “Cerca la persona giusta per costruire su quello che hai già fatto tu, non per preservare il tuo ricordo”, suggerisce Otis Baskin, professore di business all’Università di Pepperdine (Usa). Solo così la scelta del successore può avvenire pacata-mente e senza crisi, pur non togliendo che la ge-stione del “passaggio generazionale” rimanga uno dei compiti più complessi delle aziende familiari, che – come abbiamo visto – è spesso oggetto di insuccesso.

Non è la carne e il sangue, ma il cuore

che ci rende padri e figli.

(Friedrich Schiller)

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Non è questione di soldi. Dipende dalle persone che hai, da come ognuno viene guidato, e quanto a fondo capisci il mondo in cui operi.

(Steve Jobs)

NON È SOLOUN’INSEGNAUN FRANCHISOR, OLTRE A COSTRUIRE UN MODELLO DI BUSINESS, DEVE ANCHE VENDERLO, CON LE COMPETENZE E SOPRATTUTTO LE PERSONE GIUSTE…

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Se scegliere di diventare franchisee, affidandosi a una catena di punti vendi-ta in franchising, porta con sé la legittima soddisfazio-ne di assumere il ruolo di “capo di se stesso” – grazie alla dimensione imprendi-toriale di tale iniziativa – scegliere di diventare fran-

chisor, ossia affiliante, apre la prospettiva di una soddisfazione ben più grande. Una soddisfazione legata non solo alla dimensione imprenditoriale della scelta, ma anche e soprattutto alla respon-sabilità di gestire le scelte imprenditoriali e, con esse, contribuire alla loro riuscita.

Un franchisor non è solo un franchisorIl ruolo del franchisor può, in tal senso, essere pa-ragonato a quello di un apripista, che crea un’idea di business, la collauda sperimentandola in prima persona, la “brevetta” e la sviluppa attraverso una reiterata riproduzione del modello a opera dei franchisee, in una sorta di continua clonazione imprenditoriale.

In seconda battuta, il franchisor svolge anche il ruolo del regista, che, con la strutturazione e il continuo affinamento del modello di business, so-stiene gli affiliati nell’avviamento e nella crescita dell’impresa, coordinando il loro operato perché venga correttamente applicata nella quotidianità la filosofia commerciale sulla quale il franchisor e il franchisee hanno stipulato il loro patto.

In base a queste considerazioni, è chiaro che la decisione di diventare franchisor non può pre-scindere da un lavoro di preparazione molto rigo-roso: servono adeguate competenze specialistiche acquisibili sul mercato, per realizzare uno studio approfondito di tutti gli aspetti – legale, ammi-nistrativo, commerciale, di marketing, tecnico, ecc. – legati all’organizzazione di una rete di punti vendita al dettaglio, accomunati non già solamen-te da una stessa insegna, bensì da un’offerta omo-genea e da una comune filosofia commerciale.Se da una parte l’entusiasmo del futuro franchi-sor in questo slancio progettuale è un ingrediente indispensabile, dall’altra rischia di risultare de-leterio se non è accompagnato da una completa padronanza del know-how, da un’attenta e scru-polosa verifica sul campo del format che si vuole andare a diffondere, da una fondamentale espe-rienza in ambito distributivo, che si esprime nella capacità di organizzare uno staff in grado di dif-fondere la franchise.In altre parole, di vendere il format in franchising.

Il fatto è che spesso le competenze necessarie al fine di creare un modello di business in franchi-sing di successo non sono le stesse che servono invece a diffonderlo, a venderlo!Chiunque abbia anche solo una minima esperien-

za nel campo della vendita sa che non basta una bella idea per essere vincenti sul mercato: il mon-do è pieno di bei progetti che prendono polvere sulle scrivanie…All’imprenditore le sue specifiche competenze e il suo campo d’azione, al venditore – che nello sviluppo del network si chiama, con l’ennesimo inglesismo, “developer” – le sue!

Purtroppo però sono relativamente pochi i fran-chisor che, consci di questo aspetto, si attivano organizzando una rete di developer interni, ovve-ro esternalizzando questa importante funzione a professionisti esterni.

Per esperienza personale, posso dire che lo svi-luppo della rete – il cosiddetto “network deve-lopment” – è fin troppo spesso perpetualmen-te demandato ad interim al direttore di rete o all’imprenditore stesso, il quale, comprensibil-mente innamorato del suo progetto, non è quasi mai in grado di mantenere quell’oggettività e quel distacco necessari a impostare su giusti binari la trattativa con il potenziale franchisee.

La vendita di un’idea imprenditoriale si colloca, specie di questi tempi, ai primi posti nella classifi-ca delle “sfide impossibili”: è infatti, tra le vendite di servizi, forse quella più difficile, per architettu-ra contrattuale, complessità del modello di busi-ness e importi economici in gioco.

Le “grandi insegne” del settore, i franchisor e i retailer più grandi e strutturati l’hanno da tempo compreso, ed è probabilmente anche per questo motivo che i loro indicatori presentano stabil-mente segno positivo.

È arrivato il tempo anche per i player più piccoli di inserirsi a loro volta in questo solco, prendendo coscienza del peso specifico importante – se non decisivo – di risorse che abbiano una professiona-lità seria e competente nella vendita.Specie in un settore come il franchising, toccato solo in maniera relativamente marginale dalla crisi, le opportunità per imprenditori “illuminati” e per venditori capaci ci sono, e sono molte.Già, perché – come succede in molti altri ambiti – il venditore professionista fa la differenza.

Dottore in legge, con specializzazione sul franchising, ha sviluppato un solido know-how in ambito network e real estate, attraverso un’esperienza nel gruppo Gabetti. È c.e.o. e co-founder di BV INVEST, società di consulenza strategica, network development e for-mazione per la piccola e media impresa.

ANDREAVETTORE

CASE HISTORY

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Numeri alla mano, Nico è: 450 di-pendenti, 45 mila metri quadri di punti vendita totali, 270 mila clienti fidelizza-ti e un’affluenza di 5 milioni di clienti. Vendete

abbigliamento e calzature per uomo, don-na e bambino, ma anche intimo e arredo casa. Dagli anni Sessanta, una “parabola” importante. Cosa significa concretamente per un’azienda attraversare cambiamenti di questa portata?Il nostro gruppo ha sempre cercato di rinnovarsi e innovarsi. Crediamo che la chiave per rimanere nel mercato dopo così tanto tempo sia la costante ricerca di prodotti e collaborazioni. Questo signi-fica fare un’efficace analisi per sapere quali arti-coli e marchi sono di tendenza per trovare, oltre che creare, linee di abbigliamento e calzature che possano offrire la giusta combinazione di qualità/prezzo. Un altro nostro plus è sempre stato il ser-vizio, l’attenzione rivolta al cliente grazie a perso-nale competente e formato. Il tutto seguito da un costante e accurato investimento pubblicitario. Si-curamente un aspetto fondamentale nella nostra storia, a differenza di altre realtà, è stato anche il passaggio generazionale avvenuto nei primi anni duemila in maniera del tutto naturale e senza pro-blematiche.

Parliamo allora del vostro e-commerce. Nico da marchio “tradizionale” a store di-gitale: perché questa scelta? Come è stato affrontato questo “salto”? Come vi siete organizzati all’interno da un punto di vista operativo?La scelta di entrare nel mondo della vendita online è stata fortemente voluta perché abbiamo capito che avere una vetrina online è diventato indispen-sabile sia per raggiungere nuovi clienti e mercati, sia per la velocità con cui lo stile si evolve.Il passo è stato facile. Forti della nostra cinquan-tennale esperienza e della nostra solida struttura commerciale, ci siamo avvalsi della collaborazione di un’azienda leader nel mondo e-commerce per la creazione di una piattaforma che integra il no-stro gestionale con l’interfaccia web. Ci distinguia-mo da altre realtà, perché abbiamo organizzato la nostra parte logistica sincronizzando le spedizioni della merce tramite i nostri cinque maggiori punti vendita, senza dover creare e gestire un magaz-zino dedicato per lo shop online. Per il resto ge-stiamo tutto internamente. Abbiamo infatti creato un gruppo di lavoro utilizzando risorse interne all’azienda, formandolo attraverso corsi e l’af-fiancamento a professionisti del settore. Un team che gestisce tutte le fasi del processo: dalla sele-zione degli articoli, alla realizzazione degli scatti fotografici, all’inserimento dei prodotti, dal custo-mer service alla gestione dei social media. Siamo inoltre tra i pochi in Italia a utilizzare tecnologie all’avanguardia per la realizzazione di tutto il ma-

DAI MERCATI RIONALI DEGLI ANNI ‘60 ALL’E-COMMERCE: L’EVOLUZIONE DELL’AZIENDA VENETA DI ABBIGLIAMENTOE CALZATURE, CON ALCUNI VALORICHE NON PASSANO DI MODAV+ INTERVISTA ANDREA PIZZATO AD GRUPPO NICO

teriale fotografico. Questo ci permette di ridurre al minimo i tempi di produzione e post produzione in modo da avere inserimenti di nuovi prodotti tutti i giorni.

Come gestite le collezioni e tutti quegli aspetti importanti per il cliente, come le ta-glie, il reso…?Inseriamo quotidianamente nuovi prodotti in modo che il cliente possa trovare sempre nuo-ve proposte. È importante proporre qualcosa di nuovo ogni giorno in modo da tenere sempre alto l’interesse: nuovi arrivi con prodotti di brand fa-mosi, ma anche proposte di marchi alternativi che hanno un ottimo rapporto qualità-prezzo. Uno dei nostri lavori principali è anche quello di descrive-re in dettaglio il prodotto, affinché il cliente, pur non avendo il capo in mano, possa essere sicuro

NICO,QUANDOLA MODA CRESCEIN FAMIGLIA

CASE HISTORY

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na parte delle nostre vendite online sia concentra-ta nel centro e sud Italia, oltre che in grandi città del nord come Milano e Torino. Questo è senza dubbio frutto di un’attenta attività di SEO e SEM, ma anche della concorrenzialità delle nostre offer-te sia in fatto di prodotto che di prezzo.

L’evoluzione di Nico negli anni ha com-portato un passaggio generazionale: come è avvenuto? È stato complesso? La nuo-va generazione ha spinto per l’uso delle moderne tecnologie? Quale impatto ha il passaggio generazionale sulle strategie di un’azienda?La storia del gruppo parte dalla forza di un nu-cleo familiare unito, che ha dato la possibilità a più generazioni di lavorare fianco a fianco. Questo ha fatto sì che il passaggio tra una generazione e l’altra sia stato graduale e non abbia creato scon-volgimenti all’interno del gruppo. Logicamente, i processi lavorativi si sono evoluti nel tempo e si sono migliorati anche grazie all’apporto di profes-sionisti e collaboratori validi e fidati. La nuova ge-nerazione ha spinto molto verso l’utilizzo di nuove

La vera saggezza è stare sempre

al passo e cambiare con buona grazia

col mutare delle circostanze.

(Robert Stevenson)

tecnologie, dal punto di vista gestionale e comuni-cativo, portando la necessaria evoluzione verso il mondo digitale e globale.

Un altro cambiamento ha visto Nico cre-scere dai punti vendita locali a quelli nazio-nali e poi europei. Sul vostro sito scrivete che la scelta dei mercati dell’Est “interpre-ta pienamente la filosofia” di Nico. Perché la decisione di aprire degli store in Polonia e nella Repubblica Ceca?Nico è approdato nei paesi dell’Est Europa all’ini-zio degli anni Novanta: il periodo storico che seguì la caduta del muro di Berlino, la voglia di cam-biamento e rinascita presenti nei Paesi dell’Est rispecchiavano molto bene la vitalità e il terreno fertile dell’Italia degli anni Sessanta, momento in cui è nato Nico. Paesi dalle grandi potenzialità e aperti alle novità su tutti i fronti: culturale, immo-biliare, della moda. Il posto ideale in cui portare il made in Italy che ci contraddistingue da sempre.

Come cambia per un’azienda il modo di co-municare e di presentarsi quando da “lo-cal” diventa “glocal”?Il modo di comunicare è molto cambiato e anche la pubblicità si è evoluta di conseguenza. Se in passato i mezzi pubblicitari più utilizzati erano la carta stampata, la radio e la tv, adesso il vero ca-nale di comunicazione è rappresentato dai social media, Facebook e blog in primis. L’uso di questi mezzi porta inevitabilmente a cambiare il modo di comunicare. I social media ti danno la possibilità di avere con immediatezza un riscontro su quelle che sono le tendenze del momento, su quello che piace alla gente e ti permettono di capire se ti stai muovendo nel modo corretto. La moda è mutevo-le e gli spunti arrivano costantemente da tutto il mondo, non solo dall’Italia. Questa globalizzazio-ne influenza la comunicazione e spinge a evolver-si, perché non si di deve più solo pensare a ciò che ci circonda, ma si devono trovare nuovi modi per essere interessanti anche fuori dal proprio terri-torio.

Famiglia: valore portante nella vostra azienda e soggetto di campagne promozio-nali. Che cos’è la famiglia per Nico?La famiglia? Per noi è da sempre un valore fon-damentale, perché la storia stessa del gruppo par-te proprio dalla famiglia. Dalla nascita, il nostro gruppo ha cercato di agevolare gli acquisti della famiglia fornendo una vastissima gamma di ab-bigliamento e calzature nello stesso punto vendi-ta per soddisfare tutte le fasce d’età e offrire sia un’opportunità di risparmio che degli articoli più ricercati che soddisfino i gusti e le esigenze di tutti.

Infine, la vestibilità: da sempre Nico veste tutti, anche i fisici più “diversi”, quelli che spesso i brand più famosi ignorano.

di quello che acquista. A differenza di altri siti, re-alizziamo descrizioni meticolose, prestiamo parti-colare attenzione nel fornire schede taglie precise, indicazioni sui materiali e l’utilizzo degli stessi. L’essere precisi e attenti nella fase di produzione dei contenuti fa sì che i resi e le sostituzioni siano ridotti al minimo. Una grossa componente del la-voro è svolta anche dal nostro servizio clienti, che risponde alle più diverse richieste sia a supporto della vendita che del post vendita. Eventuali resi o sostituzioni vengono gestiti in maniera snella e ve-loce, senza gravare i clienti di ulteriori costi. Que-ste attenzioni ci hanno permesso di raggiungere un grado di feedback molto elevato e positivo che aumenta la garanzia del nostro brand, del nostro sito e del nostro lavoro.

Avete delle strategie per fidelizzare il clien-te?La fidelizzazione del cliente è per noi fondamen-tale. Prima di tutto, lo facciamo tramite la nostra fidelity card e le promozioni a essa collegate, pen-sate per tutti i clienti on e off-line. Periodicamente organizziamo anche iniziative ad hoc per il mon-do web che cerchiamo di differenziare di volta in volta: weekend promozionali, buoni sconti, offerte speciali su marchi o articoli e premi per i clienti più fedeli. Raggiungiamo i nostri clienti con mai-ling dedicate e la realizzazione di materiale per i social media, che si confermano i canali principali di comunicazione, diffusione e condivisione di in-formazioni.

Che cosa dicono i dati del vostro e-com-merce?I nostri volumi di vendita sono in linea con le no-stre previsioni e aspettative. Il nostro negozio onli-ne è diventato una vetrina da cui il cliente prende spunto e ispirazione per poi finalizzare l’acquisto in negozio. Siamo molto soddisfatti perché, oltre a confermarci nelle zone in cui Nico è già presente da anni, ci stiamo ritagliando una nuova fetta di mercato. I dati hanno evidenziato come una buo-

NICO ABBIGLIAMENTOE CALZATURELa storia dei negozi Nico comincia con Dome-nico “Nico” Passuello e la moglie Mariarosa nei mercati rionali con un furgone-bancarella. Il loro primo negozio di mercerie e abbigliamento ven-ne aperto a San Zeno di Cassola in provincia di Vicenza. È il 1961.Poi in ordine: l’inaugurazione del primo mega-store di abbigliamento a San Zeno negli anni Settanta; l’espansione con l’apertura di altri punti vendita nel Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lombardia e l’arrivo nei mer-cati dell’Est Europa. Oggi Nico conta 13 mega-store: nove in Italia, due in Polonia e due nella Repubblica Ceca.Ultima, ma non meno importante, la recente scelta di vendere con un canale e-commerce www.nico.it per migliorare il servizio al cliente grazie alla tecnologia. Sempre tenendo presen-ti alcuni valori indistruttibili.

Nico abbigliamento calzature Nico_abbigliamento_calzature https://it.pinterest.com/nicoclothing/

Nico da sempre si vanta di poter vestire tutti e questo significa non solo le varie fasce d’età, ma anche tutti i fisici. Abbiamo sempre proposto delle linee comode ma alla moda, perché sentirsi bene significa essere sicuri di se stessi, a cominciare da come ci si pone e presenta. Ecco perché Nico ha sempre voluto offrire abbigliamento curvy e plus size anche prima che diventasse una “questione di moda”.

Uno dei punti vendita Nico ad Affi (VR)

www.nico.itSHOPPING ONLINE

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PUBBLI REDAZIONALE

IN ESCLUSIVA PER GOLDEN GROUP, UN SEMINARIO INTENSIVO CONDOTTO DALLA MASSIMA AUTORITÀ MONDIALE IN MATERIA DI VENDITA, NEGOZIAZIONE E PERSUASIONE: JEFFREY GITOMER

La negoziazione è un’arte o meglio una tecni-ca logico-matematica che può essere applicata in tutti campi della nostra vita, per raggiungere qualsiasi obiettivo. Che si tratti di una vendita o una disputa in famiglia, non importa: vince chi è in grado di trovare l’accordo proprio laddove nessuno vuole cedere.Torna in Italia colui che ha studiato un metodo infallibile per negoziare e chiudere le vendite con la massima efficacia: Jeffrey Gitomer. Ad acco-gliere “il numero uno delle vendite” sarà Davide Malaguti, presidente di Golden Group, società specializzata in Finanza agevolata, selezione e formazione del personale, nonché primo forma-tore italiano certificato con il metodo di Gitomer. L’appuntamento è fissato per sabato 11 luglio al Palazzo dei Congressi di Riccione (via Virgilio 17), un one day seminar in cui Jeffrey Gitomer spiegherà quali sono le fasi del processo de-cisionale e come conquistare la fiducia della persona che abbiamo di fronte.Obiettivo, quindi, è raggiungere il miglior compro-messo possibile tra le parti. E per farlo è necessa-rio mantenere lucidità e rispetto per l’avversario, senza usare la forza. Se cadi nella trappola del conflitto, hai già perso, perché entrambi i contra-enti disperdono energia e si allontanano dai loro obiettivi originari. La vera sfida è creare armonia. Dietro la posizione del nostro interlocutore c’è sempre un interesse o un bisogno latente. Il se-greto è cogliere l’insoddisfazione nei confronti di una soluzione che non sembra particolarmente conveniente. Scoprire cosa c’è dietro le posizioni dell’altra parte è la fase più importante per nego-ziare una soluzione creativa che venga incontro alle esigenze di entrambi.Ecco qualche consiglio dal libro La Bibbia delle vendite, best seller mondiale di Jeffrey Gito-mer. 1) Comprendete il cliente, andate incontro ai suoi bisogni. Fate domande, ascoltate le ri-sposte: conoscerete così i reali bisogni dei vostri contatti. 2) Vendete per aiutare. Non siate avidi, si nota subito. Vendete per aiutare il cliente, non per aumentare le vostre provvigioni. 3) Stabilite relazioni a lungo termine. Siate sinceri e trattate gli altri come vorreste essere trattati voi stessi. Se riuscirete a capire e conoscere il vostro cliente e vi concentrerete sui suoi interessi, guadagnerete ben più di una provvigione! 4) Stabilite un rap-porto e conquistatevi la fiducia. 5) Siate diverten-ti. Divertitevi facendo il vostro lavoro! Una risata è una tacita approvazione. Fate ridere il vostro contatto. 6) Abbiate una conoscenza totale del

VIETATO IMPROVVISARE

prodotto. Essere in grado di mostrare al cliente in quanti e quali modi se ne potrà avvantaggiare. 7) Vendete i vantaggi, non le caratteristiche. Il clien-te non vuole sapere come funziona, ma sapere come potrà essergli utile. 8) Anticipate le obiezio-ni. Preparate le risposte alle più comuni obiezio-ni. Scoprite qual è la vera obiezione. I clienti non sono sempre sinceri; spesso non vi spiegheran-no subito i veri motivi di rifiuto. 9) Andate oltre le obiezioni. Ascoltate il cliente e pensate sempre alla soluzione piuttosto che al problema. Dovete creare un’atmosfera di fiducia e confidenza ab-bastanza forte da generare la vendita. Ricorda-tevi che il processo di vendita inizia con il primo no del cliente.Durante il corso, attraverso esempi pratici e case history, verrà illustrato ai partecipanti come cre-are presentazioni efficaci e come distinguersi dai concorrenti. Gitomer concentrerà l’attenzio-ne su come fare rete (networking) e raccogliere feedback positivi che attestino la qualità del pro-prio lavoro (personal branding). Ben otto ore di formazione straordinaria in cui scoprire i segreti per arrivare al successo da chi partendo dalla vendita a porta a porta è arrivato a essere “l’au-torità numero uno negli Usa per le vendite”.

CONTATTI Golden Group: 800 131114 - www.goldengroup.biz

PROSPETTIVE

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VAI IN RETEProfessore Associato presso l’Università Cattaneo (Castellanza-Varese), dove insegna Marketing, In-ternational Marketing, Innovazione e sviluppo del prodotto e Digital Marketing. Docente dell’Universi-tà Bocconi di Milano, è inoltre, dal 1997, parte della Core Faculty della SDA Bocconi.

CAROLINA GUERINI

Il settore del network marketing rappresenta un segmento signifi-cativo della vendita diretta e una formula in rapida crescita non solo in Europa, ma nel mondo intero. Indicato come una modalità di-stributiva alternativa, adatta a un mercato competitivo, è, in realtà, anche un modello d’impresa.

È noto come attualmente il conseguimento degli obiettivi aziendali richieda continui adattamenti, in un ambiente che presenta caratteristiche del tutto nuove rispetto al passato: la trasformazione in globale e locale al contempo; lo sviluppo di in-

ternet e del commercio elettronico, le evoluzioni della tecnologia mobile e il nascente m-commer-ce sono solo alcuni dei fattori che determinano le minacce più concrete per imprese industriali e commerciali storiche abituate a seguire le for-mule di successo del passate. Per tutte, si pone la conseguente necessità di un ripensamento delle modalità di relazione con il cliente.

Allo stesso tempo, focalizzando l’attenzione sulla vendita, essa è, da tempo, un processo aziendale integrato, che richiede lo sforzo congiunto della rete di vendita e di tutto il resto della struttu-ra aziendale. Il lavoro cooperativo rappresenta lo strumento chiave per il conseguimento degli obiettivi aziendali: le imprese ricercano, perciò, venditori collaborativi da inserire in organico, che possano efficacemente lavorare in gruppo in una logica di team selling e di key-account manage-ment. Le vendite contano, in sintesi, non solo sui “vecchi” fattori personali (“venditori si nasce”), ma anche su aspetti organizzativi e relazionali.Partendo da tali premesse, anche il network mar-keting può essere inteso come una modalità ido-nea a fronteggiare le attuali dinamiche ambientali declinando i metodi di vendita passati in un mo-dello d’azione.Vediamone le ragioni.

Il nuovo modello d’azioneCon il network marketing si acquisiscono profes-sionalità nella vendita, essendo fortemente as-sistite non solo dai networker (ovvero da chi ha promosso il prodotto e il servizio nei confronti del cliente), ma anche da parte dell’ente centrale del network, ovvero l’azienda che propone il prodot-to. La ricerca dei collaboratori che decideranno di essere attivi nella promozione del sistema, da par-te dei networker, è finalizzata al lavoro di squadra; mentre il networker ha un ruolo essenziale nella gestione del proprio team, così come l’azienda ha il compito essenziale di coordinamento della rete complessiva.Il networker sceglie i clienti dapprima, e i collabo-ratori poi (i cosiddetti “downline”, perché arrivati dopo e quindi “sotto” nella struttura a livelli). Ne consegue che il network marketing può esprimere grandi potenzialità proprio per la sua capacità di instaurare con il cliente un rapporto personale e diretto, il quale, è la premessa su cui si regge e si diffonde il sistema, e che risulta particolarmen-te solido rispetto ad altre formule distributive. Inoltre, a diversità della “semplice” vendita diret-ta, con il network marketing a rendere la rete un luogo sempre più imprenditoriale: il networker procede, come specificato, alla selezione di altri distributori con la conseguente formazione di una struttura di vendita su più livelli (da cui an-che il nome di “multilevel marketing”), autonoma rispetto all’azienda produttrice di beni o servizi.Sotto il profilo distributivo, il network marketing appare una modalità che con le sue caratteristi-che di relazionalità con la domanda – se messa in rapporto ad alcuni canali e formule distributive alternative – tende a ridurre i costi (di marketing) legati all’affermazione del prodotto sul mercato.

Ne deriva, in sintesi, che il network marketing appare un modello distributivo fondato sull’e-sternalizzazione delle responsabilità distributive

a una rete indipendente; ma rappresenta, per le medesime ragioni, anche un efficace modello di gestione della rete di vendita, in grado di coniu-gare le esigenze di centralità del cliente finale e di personalizzazione con quelle di crescita e di coo-perazione interna ed esterna alla rete.La formula risponde, infine, anche alle trasforma-zioni in atto nel mondo del lavoro: l’attività può essere intrapresa senza restrizioni di status, età o esperienza lavorativa e il lavoro può essere gesti-to nella massima libertà, senza l’obbligo di dedi-zione totale al sistema, garantendo un incentivo economico ed, eventualmente, una possibilità di carriera interna al network altamente gratificante in ogni senso.

Critiche e criticitàI dubbi sulla validità e le critiche avanzate sul net-work marketing (ancor oggi alla ricerca di quella dignità che dovrebbe avere), affondano le proprie radici in svariate ragioni. Il fatto che, nonostante alcune grandi multinazionali globali quotate, pre-senti in centinaia di Paesi diversi, siano di fatto sistemi di network marketing, pochi – tra i molti che nascono mensilmente nel mondo – si affer-mano e si consolidano nel tempo, mentre il loro tasso di mortalità risulta davvero alto.Altri motivi di critica dipendono dalla circostanza per cui non sono molti i componenti del network in grado di raggiungere il vertice piramidale, mentre gli altri restano dei “clienti” e/o dei col-laboratori, senza arrivare ai successivi gradini di carriera previsti nei compensation plan dei diver-si network. Non possiamo, peraltro, dimenticare che alla base della vendita vi sia anche la necessità di disporre di una componente personale essen-ziale! Ancora, essendo il network o rete un insie-me di tante entità (anche giuridicamente) auto-nome (rappresentate dai singoli networker e dalle

NETWORK MARKETING: SPECIFICITÀ DI UN MODELLO DISTRIBUTIVO E D’IMPRESA CHE DEVE RIGUADAGNARE DIGNITÀ

LA PAROLAIl network marketing (o sistema di vendita mul-tilivello) è il movimento di prodotti o servizi dal fabbricante al consumatore finale attraverso un network di distributori indipendenti chiamati an-che partner. (Fonte: infonetworkmarketing.org)

DA DOVE ARRIVAIl network marketing è arrivato in Italia alla fine degli anni ’80, importato da aziende americane.

A NORMA DI LEGGEIn Italia non esiste una norma che disciplini in modo specifico il network marketing. Tuttavia, la legge n. 173 del 2005 considera illegali le organizzazioni che “configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclu-tamento di altre persone”, e non prevede per il reclutato alcun obbligo di versare somme rile-vanti all’azienda in assenza di una reale contro-prestazione al momento del reclutamento o per continuare a far parte della rete.

Prima ditrasformareil tuo portafoglioda povero a ricco,devi trasformareil tuo spiritoda povero a ricco.

(Robert Kiyosaki)

PROSPETTIVE

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10 COSE DA SAPERE SULLA VENDITA MULTIVELLO

1. Non è una truffa a priori. Ci sono aziende poco oneste, ma non lo è questo sistema di ven-dita, attivo praticamente da sempre, pur avendo cambiato tanti nomi.2. Non funziona da sola. Non esistono guadagni facili. È un sistema meritocratico che premia chi fa.3. Non è una passeggiata. Se ti dicono che basta trovare un paio di amici motivati, affidi il futuro a mani incerte: e se poi quei due amici mollano? Ne devi trovare altri e costruire una rete larga. E lo stesso vale per te: se la tua upline (quindi chi ti ha “reclutato”) produce poco, il sistema crolla.4. Devi usare il prodotto. Altrimenti non ne puoi parlare in modo obiettivo. All’inizio, concéntrati sui prodotti del “kit di benvenuto” o “starter kit”.5. Attenzione ai prezzi. Per entrare nel sistema, devi acquistare un “kit di benvenuto” o pagare una quota di iscrizione. Considera se la cifra è troppo alta, se è un investimento per lavorare e guadagnare poi.6. Corollario: calcola tutti i costi. La formazione: tutte le aziende di questo tipo offrono dei cor-si. Considera che, se presentano un costo, devi affrontarlo. Vuoi iniziare un’attività indipenden-te? Devi affrontare un costo. Valuta, come sopra, di avere una upline seria, che ti dia indicazioni valide, per guadagnare, reinvestire in altri corsi e in altri prodotti.7. Part time o full time? Non devi per forza dedicarti alla vendita multilivello a tempo pieno; ci sarà chi cercherà di coinvolgerti in mille meeting e riunioni. Ma, se usi i prodotti, la prima e mi-gliore vetrina sei tu. Parlane ogni volta che puoi, senza esagerare e senza cadere in un turbinio di incontri in sale d’albergo.8. È legale. Se l’azienda “funziona” legalmente, anche il sistema multilivello funziona legal-mente. Fai delle ricerche: verifica se l’azienda è iscritta a una Camera di commercio, se ha una partita Iva, qual è la sua ragione sociale. In ogni caso chiedi la consulenza di un commercialista: non sarai esente da tasse.9. “Se ce l’ha fatta lui, puoi farcela anche tu”. Te lo diranno in molti. Ma nessuno può darti un risultato certo. Tenta. Impégnati. Senza rimanere incantato da assurdi “sogni americani”.10. Non c’è un’azienda “giusta”. C’è quella più vicina ai tuoi gusti, quella di cui hai provato i prodotti. Se dai prodotti puoi raccontare una storia tua, personale, è l’azienda giusta.(Fonte: blog stefanosaldarelli.com)

loro downline), e pur ricercando l’ente centrale una certa univocità di comportamenti attraverso la formazione, non possono essere esclusi, di per sé, comportamenti opportunistici o devianti in insiemi che contano migliaia o anche milioni di “venditori” e clienti.

Quando, al contrario, il network ha un chiaro piano di marketing e la formazione, ai vari livel-li, si orienta efficacemente alla condivisione dei valori, degli obiettivi, dei comportamenti e delle aspirazioni dei componenti della rete, il risultato

che il network, nel suo insieme, ottiene è spesso strabiliante. È necessario, peraltro, che siano as-sicurate sempre la condivisione di una meta, di una visione, nonché l’accettazione di obiettivi di gruppo rispetto ai quali siano espresse le attese circa il contributo del singolo, perché la rete sia una vera rete.Essere un network - oggi come ieri - significa aggregare le forze e dirigerle verso un obiettivo, contando anche su caratteristiche differenziali delle diverse componenti, e mantenendo una re-lativa autonomia operativa.

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Vendere di+_Festa-Estate2015_A4.pdf 1 13/04/2015 11:21:48

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e collaboratorisono il futurodelle vendite,

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nell’acquistoè la fiducia.

(Brian Tracy)

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UN SOSPIRO DI SOLLIEVOSI PUÒ PARLARE DI FINE DELLA RECESSIONE NEL MERCATO IMMOBILIARE? ALCUNI DATI FANNO SPERARE PER IL MEGLIO

La fiducia è il carburante

di ogni ripresa.

(Roberto Papetti)

La fine della recessione nel settore immobiliare è or-mai un dato di fatto.La seconda metà del 2014 ha visto un miglioramento della condizione genera-le del mercato e un con-seguente aumento delle compravendite, specie di immobili a uso abitativo.

Non trattandosi più, come detto, di una situazio-ne di recessione, lo scenario si delinea più con-fortante, ma ci si chiede – non senza apprensio-ne – come proseguirà il 2015 e quando ci sarà la ripresa del settore immobiliare italiano. Queste preoccupazioni derivano anche dalla situazione attuale del settore immobiliare, che rimane di stagnazione o, al massimo, di timida ripresa. Il morso della crisi è forte.

Come è noto, il mercato dei mutui e quello immo-biliare sono strettamente legati, e, se il primo sta vivendo un periodo d’oro, il secondo, purtroppo, stenta ancora a ripartire definitivamente.Per quanto riguarda i mutui, i dati più recenti mo-strano un boom nell’ultimo periodo. Nel mese di febbraio, per esempio, il numero delle richieste di prestiti per acquistare casa da parte delle famiglie italiane è cresciuto del 39% rispetto al febbraio 2014 (si tratta dell’incremento più consistente dal 2008 a oggi) e le domande di mutui sono torna-te su volumi che non si registravano da prima del crollo che si è avuto tra la seconda metà del 2011 e il 2012.Nonostante ci sia stato un forte aumento delle concessioni dei finanziamenti, che ha aiutato a fermare la recessione nel settore immobiliare ita-liano, è necessario fare una precisazione: questo boom di mutui, infatti, è dovuto in gran parte alle surroghe, cioè al passaggio da parte del mutua-tario a un nuovo contratto – con nuove e molto

il taglio di interesse dei mutui già citato. Insieme all’abbassamento fisiologico dei prezzi dovuto alla crisi, ha reso sicuramente più appetibili gli immobili.Il secondo fattore fondamentale è senza dubbio l’imponente piano del presidente della Bce, Mario Draghi, il “Quantitative Easing”. Questa manovra mira all’acquisto, da parte della Banca centrale europea, di titoli di stato dei paesi membri dell’U-nione europea per un ammontare di 60 miliardi di euro al mese, fino a settembre 2016. Questa “cura” punta a rilanciare l’economia dell’Eurozo-na, facendo scendere il costo del debito degli Stati e i tassi di interesse, rilanciando il mercato del credito e fermando la deflazione, cioè il calo dei prezzi al consumo che si registra oggi in diversi paesi del vecchio continente.Gli investitori esteri (specialmente europei) si sono risvegliati, e si sono rivelati particolarmente attratti dalle nuove condizioni. Come sostengono recenti analisi, pare abbiano in piano per il 2015 un aumento degli investimenti immobiliari.

A ogni modo, c’è anche un ulteriore interessante indizio che ci suggerisce che, lontana o vicina che sia, “si vede la luce in fondo al tunnel”: è l’ultima indagine di Bankitalia sul tema del real estate, che si è concentrata sulle percezioni reali degli ope-ratori del settore immobiliare. L’indagine rivela, infatti, che – tra gli agenti immobiliari – è tornato l’ottimismo sulle prospettive del settore immobi-liare. Gli operatori immobiliari che si attendono un miglioramento nel breve periodo sono in rial-zo, e sono passati dal 29,2 % di ottobre al 44,2 % di oggi, mentre le indicazioni di una prospettiva in peggioramento sono in netto calo rispetto al precedente sondaggio.

Tutte queste riflessioni portano a una conclusione che, in questo periodo, è la stessa di diverse altre situazioni riguardanti l’economia e non. Non si vuol dire che la crisi sia lontana, ma uno sguardo confidente verso il futuro – ce lo perdoneranno i pessimisti cronici – lo possiamo certamente e fi-nalmente rivolgere. Insomma, possiamo tirare un sospiro di sollievo.

più vantaggiose condizioni – in sostituzione del vecchio. Questo fenomeno è stato favorito dal ta-glio dei tassi di interesse deciso dalla Bce e dalla riduzione degli spread da parte di istituti bancari e finanziari.Quindi, sicuramente si può essere più fiduciosi guardando i dati relativi ai mutui, ma bisogna fare un’analisi più approfondita. E quello che ci consiglia questa analisi è di tenere, in ogni caso, la soglia dell’attenzione e della cautela a livelli molto alti.

Ma quanto bisognerà aspettare in definitiva per la ripresa del settore immobiliare Italia?Chiaramente non esiste una risposta certa, e gli analisti di mercato si dividono: i più ottimisti par-lano del permanere di una situazione di stagna-zione solo per alcuni mesi, i più pessimisti sosten-gono, invece, che non ci si allontanerà dallo status quo per un tempo indefinito.Fare previsioni temporali, a ogni modo, non ha molto senso.

Mutui e Bce: meglio essere ottimistiDue fattori, però, ci permettono di essere ottimi-sti per il 2015. Uno degli elementi in questione è

BRUNOVETTORE

Ha una esperienza trentennale al vertice di aziende come Tecnocasa, Pirelli Re, Gabetti. Già presidente di Asso-franchising, nel 2011 riceve l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana” conferito con decreto dal Presidente della Repubblica. Attualmente è AD e socio di Coldwell Banker Italy. www.brunovettore.it

La fiducia bisogna meritarla con gesti e fatti concreti.

(Karol Wojtyla)

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PUBBLI REDAZIONALE

IL 9 GIUGNO, A TORINO, L’EVENTO ICONA DI JUSAN NETWORK SULLA VENDITA ONLINE

In una realtà sempre più digitalizzata, l’e-com-merce si configura come una concreta oppor-tunità di business e di sviluppo per il mercato mondiale. Qual è il ruolo dell’Italia?Il ruolo che ricopre l’Italia nel settore del commer-cio elettronico presenta aspetti contraddittori. Se si presta attenzione ai numerosi studi e sondaggi condotti da associazioni come il consorzio Net-comm o Casaleggio Associati, l’e-commerce in Italia sta crescendo rapidamente, attestandosi negli ultimi tre anni a un tasso medio annuo del 18%. A fine 2014, infatti, il valore della vendita online da siti italiani B2C ha raggiunto i 13,3 mi-liardi di euro. Il risultato positivo non inficia il fatto che la distanza da Paesi come Gran Bretagna, Germania e Francia, che detengono attualmente il 70-80% dell’e-commerce europeo, sia ancora elevata. La vendita online è un concetto che, nel nostro Paese, ancora non ha attecchito come dovrebbe. L’e-commerce dev’essere visto come un fenomeno di cultura, una necessità alla quale occorre andare incontro il più presto possibile, se si vuole stare al passo con una realtà che si orienta sempre più alla digitalizzazione.

Supponiamo che un’azienda abbia intenzione di aprire un sito di e-commerce. Da dove do-vrebbe partire?Il nostro workshop Ecommerce360°, corso di specializzazione dedicato a privati e imprese, è stato concepito per rispondere in maniera esau-riente a questo genere di domande. Per aprire un negozio online, non basta un sito multilingue, ma occorre altresì avere una conoscenza approfon-dita di tutti gli aspetti che connotano una simile operazione. Ci si deve interrogare sui prodotti che si mettono in vendita (sono adatti? A quale tipo di clienti vanno incontro?), ragionare sulla gestione delle spedizioni, i costi, i resi eventua-li, tenere sotto controllo i competitor, aggiornarsi sugli andamenti di mercato, e molti altri aspetti. Un’altra questione di fondamentale importan-za che spesso viene posta in secondo piano è questa: come farsi trovare dai clienti una volta aperto il sito? Come lo si promuove? Realizzare un e-commerce è un mestiere complesso, che va incontro a tante sfide e che richiede professiona-lità, oltre a una visione globale del progetto. Oc-corre il supporto di una figura professionale che ci supporti, ci assista e ci disciplini, permetten-doci di imparare a conoscere i trucchi, le regole e i sacrifici necessari perché il nostro desiderio sia in grado di oltrepassare le barriere di una sempli-ce intenzione. La Jusan Network è esattamente

2015questo tipo di partner, e si propone di seguire tut-ti gli aspetti della “filiera”: dalla prima fase di ana-lisi del mercato a quella di sviluppo, dal design fino alla strategia di marketing per aumentare le vendite, dall’assistenza post vendita alla registra-zione del marchio d’impresa. Senza il supporto di qualcuno di specializzato non ci possono essere speranze durature di successo.

Jusan Network è una delle prime Ecommerce Agency in Italia a offrire una vasta gamma di servizi per l’e-commerce, ma il vostro impe-gno si estende anche a tante iniziative. Quali?Oltre al già citato workshop Ecommerce360°, ab-biamo ideato ecommerceguru.it, il portale italia-no dedicato al mondo del commercio elettronico, con notizie, interviste, curiosità e approfondi-menti ,e l’Accademia Ecommerce, un insieme di corsi mirati all’apprendimento delle tecniche migliori per la vendita online. A oggi, però, ciò che ha riscosso il successo maggiore è senza dubbio il nostro evento icona, giunto ormai alla sua sesta edizione: l’Ecommerce Day.

L’Ecommerce Day, il nome è già indicativo: a chi è rivolto?L’Ecommerce Day si rivolge a imprenditori, deci-sion maker, professionisti del settore, giornalisti e a chiunque sia interessato a scoprire il mondo del commercio elettronico nella sua universali-tà. Il successo delle cinque edizioni precedenti è stato molto incoraggiante: una platea di circa 1.300 partecipanti dal vivo e 12.500 in streaming, 67 relatori e 33 imprese e associazioni coinvolte.

Cifre davvero notevoli. Per quanto riguarda la prossima edizione, quali sono le novità?Le novità della sesta edizione dell’Ecommerce Day, che si terrà il 9 giugno 2015, sono tante: una di queste è la partecipazione esclusiva del Grup-po FCA come Platinum Partner, che ci ospiterà per la seconda volta nella prestigiosa location del Mirafiori Motor Village. L’argomento centra-le dell’evento sarà: “Conoscere i clienti nell’era della multicanalità”, un tema veramente attua-le, cruciale per capire le dinamiche di sviluppo dell’e-commerce, sia nel mondo che in Italia. Si tratta di un evento molto importante, dove oltre al tema centrale della multicanalità si potranno con-dividere spunti e idee con numerosi professionisti e operatori del settore e conoscere trucchi e se-greti del “mestiere”.Per saperne di più, visitate il sito www. ecom-merceday.it. Vi aspettiamo numerosi!

+39 011 75 75 578 [email protected]

PROSPETTIVE

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ACCENDI IL MOTORE(DI RICERCA)IN ITALIA CRESCE LA FIDUCIA PER I NUOVI MEZZI DI INFORMAZIONE ONLINE

I nuovi mezzi di informazione online sono i più usati in Italia e godono di maggior fiducia. Lo rivela la quindicesima edizione dell’Edelman Trust Barometer, la ricerca annuale che misura la fiducia e la credibilità di aziende, governi, media e NGO’s realiz-zata da Edelman.

Quanto a fiducia, l’Italia appare in controtendenza : nei due terzi di Paesi, compresi Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Giap-pone, la fiducia è infatti caduta ai livelli della grande crisi del 2009. Gli inimmaginabili eventi del 2014 hanno fatto svanire la

fiducia nelle istituzioni: l’epidemia di Ebola in Africa, i disastri aerei; gli arresti dei politici cinesi; le difficoltà di alcune grandi banche internazionali; i passi falsi di alcuni grandi gruppi globali...

In Italia invece nell’ultimo anno la fiducia è cresciuta nei confronti di tutti: go-verno (dal 24 al 28%), imprese (dal 45 al 53%), media (dal 40 al 48%) e NGO’s (dal 62 al 64%). Certo si tratta di percentuali molto basse in assoluto, soprat-tutto quella nei confronti del governo, ma il trend non lascia dubbi. Quanto alle imprese, sorprendente la forbice che si registra in Italia fra la credibilità della aziende statali (al 35%) rispetto a quella delle grandi imprese (52%) e a quelle familiari (71%), soprattutto se comparata alle media mondiale: 50% le statali, 57% le grandi, 68% le familiari.

Cambio di passo: il web prima di tuttoPer la prima volta i media tradizionali perdono la leadership nei confronti dei motori di ricerca come fonti di informazione per le notizie, con una fiducia ri-spettivamente al 62% contro il 64% a livello globale. Valori ancora più accentua-ti in Italia: 57% dei media tradizionali contro il 69%.I motori di ricerca vengono utilizzati per raccogliere e comparare informazioni da fonti diverse, così come opinioni di altre persone su un determinato argo-mento, oppure ancora per verificare le notizie (vedi grafico 01).Anche la fiducia nei media online in Italia è aumentata dal 50% nel 2014 al 61% nel 2015, interrompendo il trend negativo che registravano da anni. Un feno-meno dovuto a un graduale processo di accettazione da parte del pubblico che è stato incoraggiato da fattori come il miglioramento della qualità di questo tipo di media, grazie agli investimenti da parte degli editori. Inoltre le abitudini in Italia stanno cambiando, i consumatori si stanno spostando dai media tradizio-nali come la tv verso l’uso di Internet, e la tecnologia mobile sta incoraggiando il cambiamento. A questo si aggiungono i motori di ricerca, che incoraggiano l’utilizzo dei mezzi di informazione online.

Non a caso il web in Italia è lo strumento più utilizzato in assoluto per informar-si: per il 34% i media online e motori di ricerca sono la prima fonte consultata,

il 45% in Italia li usa per trovare “breaking news”, mentre per il 52% sono lo strumento migliore per trovare conferme sulle notizie. Un trend in cre-scita negli anni che riscontriamo anche a livello globale. Restano indietro televisione e giornali cartacei con valori nettamente inferiori.

Calo di fiducia per i socialUn altro dato significativo in Italia è il calo di fi-ducia nei social network come fonte di informa-zione con un dato del 45%, in aumento di un solo punto percentuale rispetto all’anno scorso. Gli utenti condividono molte informazioni sui social, ma non tutto ciò che è condiviso è affidabile e gli utenti sono divenuti più consapevoli di questo. Infine i media tradizionali e quelli di proprietà (ad esempio siti o blog aziendali) si mantengono stabili o in leggero aumento rispetto al 2014, ri-spettivamente al 57% e al 44%. Per le aziende è comunque fondamentale integrare tutti i canali nella loro comunicazione ed essere rilevanti su

Executive Vice President Corporate di Edelman Ita-lia, membro del Management Board, si occupa della supervisione dei clienti. Laureato alla Sorbona, ha la-vorato per importanti testate (Espansione, Il Giorno, RCS Capital) e come responsabile comunicazione in enti e aziende (IBM Semea, Alcatel Italia).

SERGIO VENEZIANI

ciascuno di essi. I consumatori, infatti, per giu-dicare credibile un’informazione devono essere esposti allo stesso messaggio da tre a cinque volte.

A livello mondiale, infine, l’industria dei media continua a collocarsi tra quelle che ricevono meno fiducia, con un trend leggermente in calo, passan-do dal 52% del 2014 al 51% del 2015. Al primo posto il settore Technology con una fiducia che raggiunge il 78%.

Scetticismo su portavoce e creatori di con-tenutiLa caduta di fiducia nei confronti dei CEO conti-nua per il terzo anno consecutivo scivolando nei Paesi sviluppati a un valore mondiale 31%. A livel-lo medio mondiale i CEO si collocano al 41% men-tre i rappresentanti del governo 38%; valori molto bassi se raffrontati con gli accademici (70%) e le “persone come te” (63%). Valori in linea con quel-li riscontrati in Italia: 67% per gli accademici e

In principio fu il verbo,

poi il discorso, poi l’affermazione, poi l’informazione.

(Carlo Dante)

I diritti dell’informazione sono i primi e più elementari diritti umani.

(Giuseppe Corasaniti)

PROSPETTIVE

54 - Vendere di più

61% per le “persone come te”, mentre i CEO ar-rivano al 32%.

In Italia c’è più scetticismo sui creatori di conte-nuti sui social network, e tutte le categorie hanno un livello di fiducia più basso rispetto alla media mondiale. Solo gli amici e la famiglia in Italia ri-mangono nella categoria “fidati” con il 63%, tutti gli altri scivolano nella categoria “incerti o neu-tri”, inclusi gli esperti accademici. Le aziende e i loro lavoratori sono percepiti anche loro “incerti o neutri”, mentre la maggior parte dei creato-ri di contenuti tra cui giornalisti, dirigenti, vip e celebrità, ricevono percentuali basse che li collo-cano nella categoria “sfiduciati”. Un’indicazione rilevante per la comunicazione soprattutto delle aziende (vedi grafico 02).

Innovazione: Italia pronta al cambiamentoPer la prima volta l’indagine ha sondato la fiducia nei confronti dell’innovazione: a livello mondia-le il 51% degli intervistati ritiene che sia avvenu-ta troppo in fretta. Ma qui c’è un’altra sorpresa: fra gli italiani sono più quelli che credono che il fenomeno sia troppo lento (43%). Rispetto a un mondo tutto sommato un po’ “conservativo” l’Ita-lia appare quindi un Paese ben disposto nei con-fronti dell’innovazione tecnologica. Quasi metà

L’indagine è stata realizzata fra il 13 ottobre e il 24 novembre del 2014 in 27 Paesi con interviste online a 33 mila persone, 6 mila delle quali defi-nite come “élite” per il livello socio-culturale dei partecipanti di età compresa fra i 25 e i 64 anni. L’indagine, giunta alla sua quindicesima edizio-ne, è condotta dalla società Edelman Berland, la più grande società di relazioni pubbliche del mondo con oltre 5 mila dipendenti in 65 città.www.edelman.com/trust2015

THE EDELMAN TRUST BAROMETER: IL BAROMETRO DELLA FIDUCIA

dei rispondenti (47%) dichiara che secondo loro le aziende non fanno abbastanza test durante la fase di sviluppo dei prodotti. Di contro, le azio-ni che aiutano maggiormente a costruire la fidu-cia in Italia sono: rendere pubblici i test (71%) e stringere partnership con istituzioni accademiche (68%).

GRAFICO 01: I motori di ricerca online sono la prima fonte di informazione

GRAFICO 02: Ci si fida di più di amici e parenti che degli “esperti”

Soprattutto, non agire

da ignoranti, né da presuntuosi. Quando non si sa,

ci si informa.

(Luigi Sturzo)

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“PERDERSI”: LETTERALMENTE, SUCCEDEDA UN LIBRO E UN FILM DI SUCCESSO, L’ESEMPIO DI UNA DELLE PATOLOGIE IN CUI LA TUTELA ASSICURATIVA GIOCA E GIOCHERÀ UN RUOLO ANCHE SOCIALE

Possibilmente, cercava di correre tutti i giorni. Partendo dalla sua casa di Poplar Street seguiva invariabilmente lo stes-so percorso… Come sua abitudine, smise di cor-rere appena raggiunse di nuovo il John Fitzgerald Kennedy Park, un faz-

zoletto di prato ben curato che confinava con il Memorial Drive. Con la testa schiarita, il corpo rilassato e rinvigorito, proseguì verso casa cam-

minando.Avrebbe voluto proseguire e invece si bloccò. Non sapeva dov’era. Si guardò indietro, dall’al-tra parte dell’incrocio. Il passaggio, l’hotel, i ne-gozi le strade si snodavano senza logica. Sapeva di essere in Harward Square, ma non sapeva da che parte fosse casa sua. Ci riprovò, con più dettagli. Harward Square Hotel, il negozio di sport Eastern Mountain, il ferramenta Dickson Bros., Mount Auburn Stre-et. Posti che conosceva benissimo – quella piaz-za l’aveva calpestata per oltre venticinque anni – ma che in qualche modo non trovavano collo-

cazione nella sua mappa mentale per indicarle dove abitava lei rispetto a quei posti. L’insegna circolare che aveva davanti, bianca e nera con una “T”, indicava l’ingresso alla fermata sotter-ranea di metro e autobus della Red Line, ma in Harward Square ce n’erano tre, di quelle ferma-te, e non riusciva a individuare quale fosse delle tre.Il cuore prese a batterle forte. Cominciò a suda-re. Cercò di convincersi che pulsazioni accelerate e sudorazione facevano parte di una risposta or-chestrata e adeguata alla corsa. Ma mentre se ne stava immobile sul marciapiede, la sensazione che provava era di panico.Si impose di proseguire per un altro isolato, e poi un altro ancora, nonostante le gambe molli che minacciavano di cedere a ogni passo incer-to. La Libreria The Coop, Cardullo’s Gourmet, il giornalaio all’angolo, il centro visitatori di Cam-bridge, dall’altra parte della strada, con dietro lo Harward Yard. Si disse che era ancora capa-ce di leggere e di riconoscere. Non le fu d’aiuto. Mancava il contesto. Gente, auto, autobus e in-sopportabili rumori di ogni genere le saettava-no accanto e intorno e la superavano. Chiuse gli occhi. Ascoltò il suo stesso sangue che scorreva e pulsava dietro gli orecchi.“Basta, per piacere” sussurrò.Riaprì gli occhi. Così all’improvviso come l’a-veva abbandonato, il paesaggio si riassestò al suo posto. Seppe d’istinto che doveva svoltare a sinistra e imboccare Mass Avenue in direzione ovest. Riprese a respirare a ritmo normale, non più bizzarramente sperduta a un chilometro da casa. Però lo era stata un secondo prima, biz-zarramente sperduta a un chilometro da casa. Camminò più in fretta che poteva senza mettersi a correre”.

É il momento di svolta nella vita di Alice, la pro-tagonista del romanzo Perdersi di Lisa Genova (edito da Piemme), tornato in classifica grazie alla sua versione cinematografica Still Alice e al film con protagonista Julianne Moore, che con questo ruolo in febbraio ha stra-meritatamente vinto l’O-scar come migliore attrice protagonista.Il titolo originale, traducibile come rassicurante “ancora Alice” ma anche come agghiacciante “im-mobile Alice” (still indica anche il “fermo immagi-ne”), evoca una sottile inquietudine; fa capire che, sia pur quietamente, assisteremo a un dramma molto personale. All’arrivo, ormai è tardiAlice non è una vegliarda: ha 50 anni ed è una scienziata affermata nella psicologia cognitiva, una mente brillante con una vita ricca e attivis-sima. C’erano stati, impercettibili e vissuti come normali, piccoli lapsus e vuoti di memoria – una parola che proprio non viene, gli occhiali… forse lo stress? Poi, qualche vuoto più strano, una le-zione dimenticata… Alice pensa sia un miscuglio di stanchezza e sintomi della menopausa; ma quando vive questo inspiegabile episodio di diso-rientamento, decide finalmente di fare una serie di controlli. É così che scopre di avere una forma

presenile di demenza: e tutto inizia a perdersi – appunto – a velocità incredibile da quel momen-to.

Nel libro e nel film c’è il lucido implacabile pro-gredire della nebbia che avvolge la protagonista, con i suoi tentativi di rallentare il processo e vive-re al meglio ciò che resta di lei. Ma c’è anche – e qui siamo tutti coinvolti - il racconto della diffi-coltà della famiglia ad accettare questa sua nuova e spiazzante fragilità, questo tornare a un rappor-to puramente primordiale con una donna che del cervello faceva il suo vanto.Il fatto che l’autrice sia una neuropsichiatra rende la descrizione “in soggettiva” del processo dege-nerativo quanto mai lucida. È come se il racconto fosse in prima persona, per il dettaglio sui piccoli cambiamenti quotidiani che modificano la vita e la personalità di una persona colpita da una pato-logia neurodegenerativa.Non sapere più, per qualche minuto e via via per sempre, se la propria casa è a destra o a sinistra, e poi anche cosa sia la destra e cosa la sinistra: difficile da immaginare, eh?

Numeri in accelera-zioneNel 2013 le persone affette da demenza in tutto il mondo erano 44 milioni (nel 2010 se ne stimavano 35 milioni), con una previsione di raggiungere i 76 milioni nel 2030 (stima pre-cedente: 66 milioni) e i 135 milioni nel 2050 (stima precedente: 115 milioni). Entro il 2050 il 71% dei malati vivrà in Paesi a basso e medio reddito. Ogni anno si registrano 150mila nuovi casi di demenza.Solo in Italia i casi di demenza senile sono già cir-ca un milione, di cui circa 600.000 quelli evoluti in Alzheimer.Eppure, mai come in Italia si elude il problema e… si tocca ferro.

In questo assordante silenzio, ogni paziente si porta dietro (o porta a fondo) una famiglia in-tera: che si trova ad affrontare una patologia

HANNO STIPULATO POLIZZE DI PREVIDENZA INTEGRATIVA:• 29% degli italiani• 42% degli europei

IMPORTO DELLA PENSIONE OBBLIGATORIA IN ITALIA:• < 1.000 Euro: 43%• 1.000-2.000 Euro: 39%• > 2.000 Euro: 18%

Dio ci ha donato la memoria, così possiamo avere le rose anche a dicembre.

(James Matthew Barrie)

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attualmente incurabile, dalle molte implicazioni pratiche oltre che psicolo-giche sui caregiver – e che richiede uno sforzo assi-stenziale multidisciplinare onerosissimo.Nei casi poi di manifesta-zione precoce, come in quello di Alice, il malato perde per prima cosa la capacità lavorativa: con un impatto anche materiale immediato sia nella per-duta capacità di generare reddito, sia nell’immediato e crescente carico dell’as-sistenza socio-sanitaria. Ad esempio, il costo medio mensile di un ricovero in una casa di cura è stato stimato negli USA in circa 3.000 dollari, in Ger-mania 2.000 euro, in Italia fra i 2.000 e i 3.000 euro – con punte anche del doppio. E anche la cura a casa (che si cerca di mantenere il più possibile in Paesi come l’Italia), ha costi si-mili – considerando almeno una badante a tempo pienissimo, interventi infermieristici, fisiotera-pici, neurologici… più una serie di modificazioni dell’ambiente domestico, a tutela del paziente (dall’eliminazione dei fuochi in cucina alla mes-sa in sicurezza del bagno, dalle serrature contro il wandering ai sistemi di monitoraggio ai letti ospedalieri e contenitivi, ai molti esami e farma-ci).

Questo tipo di problematica mostra un trend cre-scente in tutto il mondo occidentale e rientra nel-la casistica tipica delle proposte in ambito Prote-zione: sia nella costruzione del Terzo Pilastro, sia nella specifica tutela offerta dal Long Term Care.Va da sé che le compagnie assicurative debbano fare ben precise valutazioni in termini di soste-nibilità economica, per garantire la copertura al cliente con un ritorno economico.

Quando lo metti in memoria,

ricordati dove lo metti.

(Arthur Bloch, Primo assioma di Leo Beiser

sui computer, La legge di Murphy II)

Ma in uno scenario di welfare indebolito da un lato, e settore privato involuto dall’altro, sta emergendo un mercato potenziale molto rilevan-te collegato ai bisogni (rilevati e latenti) del con-sumatore, sui fronti della disabilità e della non-autosufficienza.

In questo scenario, saranno premiate le com-pagnie che sapranno svolgere un ruolo centrale nella risposta a questi nuovi e complessi bisogni sociali, proponendo coperture accessorie che coprano anche le spese per l’assistenza di lungo termine (LTC), in abbinamento a coperture tradi-zionali (premi annui) o piani previdenziali (Pip). In questo modo, infatti, oltre a raggiungere i pro-pri obiettivi di accantonamento e/o previdenziali, sarà possibile per più persone “assicurarsi” anche per poter affrontare un evento altrimenti ingesti-bile. Senza “perdersi” in ansie economiche, grazie a una pianificata sostenibilità.

(Fonti: Perdersi, Lisa Genova, ed. Piemme; KPMG, “Idee e riflessioni per tornare a cresce-re nelle assicurazioni”, 2015; ADI, “L’impatto globale della demenza 2013-2050”, 5 dicembre 2013)

ALZHEIMER: patologia descritta per la prima volta nel 1906, dallo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer. CAREGIVER: termine internazionale convenzionale per indicare chi assiste un malato cronico, di qualsiasi tipologia, sia egli una figura professionale o familiare.WANDERING: letteralmente “vagabondaggio”, indica il fenomeno (tipico delle forme evolute di demenza) del perdersi fisicamente. Il malato esce e non ricorda più né il perché né dove sia diretto o da dove venga.

CHE COSA SI INTENDE PER PERDITA DELL’AUTOSUFFICIENZALa perdita dell’autosufficienza avviene quando l’assicurato non è in grado di svolgere, anche parzialmente, in modo permanente gli atti elementari della vita quotidiana, quali:

e per il cui svolgimento necessita di assistenza da parte di un’altra persona.

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CUSTOMER SATISFACTION

Vendere di più - 63

È successo a tutti noi. Vi-viamo un’esperienza positiva o negativa con un servizio clienti, e poi la condividiamo: a voce, via tweet, con messaggi e stati su Facebook. Per-ché?Pensate a un tweet o a un aggiornamento di stato

arrabbiato a proposito di un internet provider che non ci ha aiutato, o sul pessimo servizio di una compagnia aerea. Indipendentemente dal fatto che la persona abbia 100 follower o 100 mila, quel messaggio trasmette potere e lascia un’im-pressione.La prossima volta che penserete di volare o di cambiare provider, il ricordo di aver letto di una grande o di una terribile esperienza potrebbe es-sere sufficiente per influenzare la vostra decisio-ne.Le parole dei clienti possono lucidare o macchiare la fama della vostra azienda, e, in un mondo in cui ogni cliente ha un microfono, è naturale che la gente parli di voi e dei vostri dipendenti, prodotti

o servizi.Cosa ci spinge a condividere momenti di assisten-za clienti positivi e negativi? Quali sono i fattori scatenanti? E perché sembra che noi vediamo di più i messaggi negativi che quelli positivi?

Le esperienze cattive sono più condivise di quelle buoneUn sondaggio condotto da American Express nel 2014 ha rivelato che, mentre il 46% dei consuma-tori americani dice sempre di parlare con gli altri delle buone esperienze di servizio, un numero an-cora maggiore dice di parlare delle esperienze di cattivo servizio. In effetti, il 60% ha dichiarato di avere sempre condiviso quelle negative, e con un numero di persone quasi tre volte superiore (una media di 21 persone contro otto).Ciò non sorprende affatto. I clienti che contatta-no l’assistenza francamente non stanno cercan-do divertimento; anzi, stanno cercando di avere soluzioni ai loro problemi e risposte alle loro do-mande, in modo tempestivo e disponibile. La pia-cevolezza è semplicemente un effetto secondario di una interazione fruttuosa – forse il cliente rice-ve un omaggio o un codice di sconto, o apprezza

IL CATTIVO SERVIZIO È CONTAGIOSO PER L’AZIENDAPERCHÉ LE STORIE SULL’ASSISTENZA AL CLIENTESI DIFFONDONO A MACCHIA D’OLIOHELPSCOUT A CURA DI MARIA BIETOLINI

64 - Vendere di più

CUSTOMER SATISFACTION

Le informazioni originali aumentano

il capitale “social” di chi le condivide,

facendo apparire anche quest’ultimo,

in definitiva, più originale.

(Jonah Berger)

davvero il tono, la tempestività e l’aspetto pratico della risposta.Quando si tratta di un cliente arrabbiato, il gioco si fa diverso. Le sensazioni di ingiustizia, o talvol-ta di tradimento, fanno ribollire dentro. Uno dei modi per affrontare la rabbia è quello di parlare a un amico o di esprimere pubblicamente le fru-strazioni, nella speranza che gli altri non caschino in un cattivo affare. È un po’ come condividere un fatto negativo, solo affinché gli altri siano avvisati.

Vediamo alcuni esempi di tutto questo nel nostro uso dei social media.I ricercatori della Cina Beihang University hanno studiato 70 milioni di post Weibo (un equivalente di Twitter) in un periodo di sei mesi, inserendoli in categorie come rabbia, gioia, disgusto e felicità. I messaggi felici generavano risposte. I messaggi che contenevano la tristezza o il disgusto non ave-vano risonanza e quindi non sono stati condivisi così spesso (perché veniva visto come il “messag-ger che porta pena”?).Ma cosa si è diffuso di più? La rabbia si è dimo-strata l’emozione con più probabilità di venire diffusa, provocando una sorta di effetto domino. Anche se questa ricerca è stata fatta in Cina, e mentalità e metodi possono differire dalle prati-che occidentali, resta vero che la collera si diffon-de senza sforzo (pensate ai giornali…).Guardiamola così: scegliete un qualsiasi perso-naggio famoso. Lui o lei può condividere messag-gi felici e stimolanti per tutto il giorno, e molti di noi non lo saprebbero; ma qualora venisse condi-viso qualcosa di bizzarro, ecco che diventerebbe una notizia di apertura.

Il detonatore scientifico del passaparolaIn Contagioso: Perché un’idea e un prodotto han-no successo e si diffondono (di Sperling & Kupfer, vedi recensione a pagina 78), il professore di mar-keting alla Wharton School e autore di bestseller Jonah Berger e i suoi colleghi hanno studiato la scienza del passaparola. Perché, esattamente, sia-mo “costretti” a condividere le nostre esperienze con prodotti o servizi?Berger e colleghi hanno analizzato più di 10 mila prodotti, che vanno da Coca Cola e Walmart a piccole start up, e hanno studiato la viralità di 7 mila contenuti online, tra cui articoli su notizie internazionali, politica, sport e moda. Hanno non tanto cercato di capire che tipo di prodotti o con-tenuti diventano virali, ma di individuare le mo-tivazioni sottostanti che ci spingono a parlare di loro.Berger le ha definite “trigger” (“grilletto”, “inne-sco”, “detonatore”) e ha dato a questi sei elementi chiave della “contagiosità” l’acronimo STEPPS (in lingua originale, ndt), ovvero: Socialità/va-luta sociale, Titillamenti/stimoli, Emotività/rea-zioni emotive, Pubblico/visibilità pubblica, Prati-cità/valore pratico, Storie. Li delinea brevemente in questo articolo:• Socialità/valuta sociale. Proprio come l’auto che guidiamo e gli abiti che indossiamo, le cose che diciamo influiscono sul modo in cui le perso-ne ci vedono. Così, più qualcosa fa apparire bene

qualcuno, più è probabile che sia trasmessa.• Titillamenti/stimoli. Se qualcosa è “in men-te”, sarà “sulla lingua”. Proprio come il burro di arachidi ci ricorda la gelatina, più siamo innescati a pensare a un prodotto o un’idea, più ne parle-remo.• Emotività/reazioni emotive. Quando qual-cosa ci sta a cuore, condividiamo. Sia esso posi-tivo (eccitazione o umorismo) o negativo (rabbia o ansia), le emozioni intense ci spingono a con-dividere.• Pubblico/visibilità pubblica. Le persone tendono a imitare gli altri. Ma, come dice il pro-verbio inglese, “Monkey see, monkey do” (“Scim-mia vede, scimmia fa”) più è facile vedere quello che qualcuno sta facendo, più è facile da… scim-miottare. L’osservabilità pubblica, insomma, por-ta all’imitazione (ad esempio: le cuffie bianche dell’iPod).• Praticità/valore pratico. La gente non vuole solo apparire bene, vuole anche aiutare gli altri. Così più utile corrisponde a più condiviso. Pensa-te agli articoli sui “10 modi per aumentare il ca-pitale”, o sulle “cinque chiavi della negoziazione”.• Storie. Nessuno vuole sembrare una pubblicità ambulante, ma si parlerà di qualcosa se è parte di una narrazione più ampia. Così, costruite una storia “cavallo di Troia”, un messaggio che porti il vostro marchio lungo il viaggio.

Nel regno del servizio clienti, forse l’emozione, il valore pratico e le storie sono le più profonde motivazioni per i clienti di impegnarsi nel passa-parola.In questa battaglia del cuore rispetto alla mente (“Vale davvero la pena di twittare o di scrivere su questo? Importerà a qualcuno?”), il cuore vince perché o è ferito o sta cantando di gioia. Come Berger ha detto, quando ci preoccupiamo, condi-vidiamo. Noi ci sentiamo naturalmente obbligati a trasmettere questi messaggi agli altri, perché i social media sono semplicemente una corsia per esprimere le nostre emozioni.

Come ha evidenziato l’indagine American Ex-press: “... il passaparola è più efficace nell’influen-zare il comportamento dei clienti: due americani su cinque (il 42%) dicono che una raccomanda-zione da un amico o un familiare è più efficace nel portarli a provare a fare affari con un nuova società”.Pensate all’ultima volta che avete consigliato un prodotto o un servizio a un amico. Cercate di ri-cordare come ne avete parlato bene, quasi come se foste una sorta di ambasciatore del marchio. È un tipo di comportamento tribale, dove non solo ci fa star bene il fatto che ci siamo imbattuti in qualcosa di utile, ma ci si sentiamo bene a parlar-ne con altre persone, in modo che possa arricchire le loro vite.

Perché è importante per il front lineCapire perché siamo “costretti” a parlare delle no-stre esperienze con prodotti o servizi ci permette di dare piccole svolte ai nostri sforzi di assistenza.Abbiamo una voce in capitolo nel modo in cui i

clienti si impegnano nel passaparola? Sì, in una certa misura.Anche se far sì che ogni cliente si attivi a racconta-re la sua esperienza dopo aver ottenuto assistenza non è un obiettivo pratico, possiamo provare a fare del nostro meglio e lavorare per essere cono-sciuti per l’eccellente servizio atteso.• Possiamo iniziare con l’empatia, e garantire che il nostro tono e il linguaggio riflettano il lessico di supporto della società.• Possiamo imparare ad apprezzare il ruolo pro-fondo della memoria e quale impatto ha sulle decisioni di un cliente per condividere, parlare o fare di nuovo affari.• Possiamo imparare ad apprezzare i piccoli gesti che creano fedeltà duratura.• Possiamo piantarla con le banalità.• Possiamo fare un po’ meglio, si sa, dicendo “Mi spiace” quando le cose vanno male.

Condividiamo quello checi fa farebella figura con gli altri.

(Jonah Berger)

Vendere di più - 65

I clienti che si sentono costretti a parlare di un ottimo servizio stanno vivendo una marea di sen-timenti legati al sentirsi capiti, rispettati e aiutati. A livello primitivo, questi sono desideri profondi, che infondono senso e gioia e motivano a parlare e condividere.

Le storie di grande supporto trasmettono fiducia agli estranei. Il sottinteso della storia suona come: “Ehi, questo business mi apprezza. Provatelo!”. Si rompe lo status quo, perché la maggior parte dei clienti è abituata ad aspettarsi il peggio!Anche se avere clienti “pazzi” per il vostro fanta-stico servizio non è una opzione prendere-o-la-sciare per il vostro business, è un bene, una risor-sa che sta guadagnando valore grazie al suo ruolo centrale nella customer experience globale.La domanda in sospeso è: di cosa si parla di più, di un grande prodotto o di un grande servizio al cliente?

È un’azienda americana di grande successo nel settore del software Help Desk, che permette ai team di offrire un servizio di Customer Care personalizzato di rilievo. È autrice di studi e contenuti, che ha messo a disposizione per la pubblicazione su V+.

66 - Vendere di più

CUSTOMER SATISFACTION

We’ve all done it. We experience a positive or ne-gative customer support moment, and then we talk, tweet, text, or write a status update about it. Why?Think about an angry tweet or status update about an unhelpful internet provider or an airline’s awful service. Regardless of whether the person has 100 followers or 100,000, that message carries power and leaves an impression.The next time you think about flying or changing internet providers, the memory of reading about a great or horrible experience could be enough to influence your decision.Customers’ words can either polish or stain your company’s luster, and in a world where every cu-stomer has a microphone, by nature people will talk about you and your employees, products, or services.What compels us to share positive and negative customer support moments? What are the trig-gers? And why does it seem that we see more ne-gative messages than positive ones?

Bad Experiences Are Shared More Than the GoodA survey done by American Express in 2014 re-vealed that:While 46% of American consumers say they always tell others about good service experiences, an even greater number say they talk about poor service experiences. In fact, 60% said they always share the bad ones, and they tell nearly three ti-mes as many people (an average of 21 people vs. 8 people).This isn’t at all surprising. Customers reaching out to support aren’t overtly seeking delight; rather, they are seeking to have their issues solved and inquiries answered in a timely and helpful manner. Being delighted is simply a byproduct of a fru-itful interaction—perhaps the customer receives a freebie or a discount code or genuinely appre-ciates the tone, timeliness, and practicality of the response.But when it comes to an angry customer, it’s a different game. The feelings of injustice, or so-metimes betrayal, boil inside. One of the ways to

deal with the anger is to tell a friend or to publi-cly express frustrations in hopes that others don’t fall prey to bad business. It’s kind of like sharing a horrific news event just so others are warned.We see examples of this in our use of social me-dia.Researchers at China’s Beihang University stu-died 70 million Weibo (like Twitter) posts over a six-month period, placing them into categories like anger, joy, disgust, and happiness. Happy posts were likely to cause reposts. Messages that contained sadness or disgust didn’t resonate and therefore weren’t shared as often (why be seen as the purveyor of bad news?).But what spread the most? Rage was the emo-tion most likely to spread, causing a kind of ripple effect. While this research was done in China and the mindset and methodologies may differ from Western practices, it still remains true that anger or rage spread effortlessly (think about every new-spaper you’ve ever read).Look at it like this: pick any famous celebrity. He or she can share happy, inspiring messages all day and many of us wouldn’t know about it. But the moment something outlandish is shared, it beco-mes breaking news.

The Scientific Triggers for Word of MouthIn Contagious: Why Things Catch On, marketing professor at Wharton School and best-selling au-thor Jonah Berger and his colleagues studied the science of word of mouth. Why, exactly, are we compelled to share our experiences with products or services?They analyzed over 10,000 products ranging from Coca-Cola and Walmart to small startups, and they studied the virality of 7,000 pieces of onli-ne content including articles about international news, politics, sports, and fashion. They sought to understand not what kind of products or content go viral, but rather to identify the underlying moti-vations that drive us to talk about them.Berger called them triggers and gave these six elements the appropriate acronym STEPPS: So-cial Currency, Triggers, Emotion, Public, Practical Value, and Stories. He succinctly outlines them in

this article:• Social Currency. Just like the car we drive and the clothes we wear, the things we say affect how people see us. So the more something makes someone look good, the more likely they’ll be to pass it on.• Triggers. If something is top-of-mind it will be tip-of-the-tongue. Just like peanut butter reminds us of jelly, the more we’re triggered to think about a product or idea, the more we’ll talk about it.• Emotion. When we care, we share. Whether positive (excitement or humor) or negative (anger or anxiety), high arousal emotions drive us to sha-re.• Public. People tend to imitate others. But as the phrase “monkey see, monkey do” attests, the easier it is to see what someone is doing, the ea-sier it is to imitate. Public observability drives imi-tation (e.g. iPod’s white headphones).• Practical Value. People don’t just want to look good, they also want to help others. So more use-ful equals more shared. Think articles about 10 ways to raise capital or five key negotiating tips.• Stories. No one wants to seem like a walking advertisement, but they will talk about something if it’s part of a broader narrative. So build a “Trojan horse” story, a message that carries your brand along for the ride.In the realm of customer support, perhaps emo-tion, practical value, and stories are the more pro-found motivators for customers to engage in word of mouth.In this battle of heart versus mind (“Is it really worth tweeting or writing about this? Will anyone care?”), the heart wins because the heart is hurt or humming with joy. Like Berger said, when we care, we share. We naturally feel compelled to convey these messages with others because social media is simply an avenue to express our emotions.Like the American Express survey said, “…word of mouth is most effective in influencing customer behavior: Two in five Americans (42%) say that a recommendation from a friend or family member is most likely to get them to try doing business with a new company.”Think about the last time you recommended a pro-

duct or service to a friend. Try to remember how highly you spoke of it, almost as if you were a kind of brand ambassador. It’s a kind of tribal behavior where we not only feel good that we came across something useful, but it feels good to tell others about it so that it may enrich their lives.

Why This Matters for the Front LineUnderstanding why we are compelled to talk about our experiences with products or services allows us to make small pivots in our support endeavors.Do we have a say in how customers engage in word of mouth? Yes, to an extent.While it isn’t a practical goal to make every cu-stomer share his or her experience after getting help, we can try our best and work to be known for expected excellent service.• We can start with empathy and ensure that our tone and language reflect the support lexicon of the company.• We can learn to appreciate the profound role of memory and how that impacts a customer’s deci-sion to share, talk, or do business again.• We can learn to appreciate the small gestures that create lasting loyalty.• We can stop with the platitudes.• We can do a little better than, you know, saying “I’m Sorry” when things go wrong.Customers who are compelled to talk about great service are experiencing a flood of feelings linked to being understood, respected, and helped. On a primitive level, these are deep-seated desires that instill meaning and joy and motivate them to talk and share.Great support stories transfer trust to strangers. The undertone of the story sounds like, “Hey, this business over here appreciates me. Check them out!” It breaks the status quo because most cu-stomers are used to—expect!—bad service.While having customers rave about your amazing support efforts isn’t a make-or-break situation for your business, it’s an asset that’s gaining value because of its pivotal role in the whole customer experience. I’m sometimes left wondering which gets talked about more—a great product or great customer support?

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WHY SUPPORT STORIES SPREAD LIKE WILDFIRE

SVILUPPO PERSONALE

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IL SEGRETO DELLA PRODUTTIVITÀ 24 ORE SU 24

LA POSITIVITÀ AL FEMMINILE

Il consiglio di Enrico BanchiQuando una donna dice: “Ho così tanti problemi!”, la cosa migliore da fare sarebbe ascoltarla per più di 26 secondi (il tempo massimo prima che il cervello maschile si spenga) e mai rispondere: “Quali problemi?! Hai una carriera stupenda, due figli meravigliosi e un marito che ti vuole bene. Rilassati!”. Solitamente un uomo dice a una donna di rilassarsi quando anche lui si sta rilassando nella sua scatola mentale. Per un uomo è facile: spegne il cervello e basta. Per una donna è un po’ più complicato. Il contatto fisico aiuta molto; i massaggi e gli abbracci sono un’ottima soluzione, per esempio. Ed ecco il motto che per me rappresenta la via più diretta per raggiungere la felicità: Happy Wife, Happy Life.

INTERVISTA A ENRICO BANCHIPER GENTILE CONCESSIONE DI SCUOLA DI PALO ALTO

Partner di Scuola di Palo Alto e COO di Profiles In-ternational Italy, Enrico Banchi è famoso per la sua ecletticità che, nel corso degli anni, lo ha portato a ricoprire ruoli professio-nali molto diversi.Trilingue, ha vissuto negli Stati Uniti e in Venezuela

per metà della sua vita. Nel 2001 è tornato in Ita-lia e quasi subito è entrato in contatto con Scuola di Palo Alto, apportando una ventata di multicul-turalità all’azienda e diventando in breve tempo un punto di riferimento per progetti di ampio re-spiro anche fuori confine.È coach di manager di alto livello, key-note spea-ker di successo in meeting e convention aziendali e consulente strategico. Appassionato di Neuro-scienza ed esperto del funzionamento del cervello femminile, spiega alle donne come costruire e svi-luppare un modello manageriale positivo valoriz-zando le proprie caratteristiche innate.L’intervista che segue è tratta dall’intervento di Enrico Banchi al Positive Business Forum.

Perché ha cominciato a dedicarsi allo stu-dio del cervello femminile?Quando facevo il negoziatore, avevo a che fare indistintamente con uomini e donne. Un giorno mi accorsi che, nonostante il mio approccio fos-se sempre lo stesso, ottenevo risultati differenti a seconda del genere di chi mi trovavo davanti. Uo-mini e donne sono profondamente diversi. Non si tratta solo di dare credito a stereotipi più o meno veritieri. Sono un vero fanatico di Neuroscienza, anzi, di “Neuroscienza Urbana” – come amo defi-nirla io – e le differenze tra i generi hanno radici profonde a livello cerebrale.

Quanto è importante capire come funzio-na il cervello femminile?Qualche anno fa gli economisti statunitensi ini-ziarono a interessarsi molto al genere femminile, in quanto le donne rappresentano i mercati più importanti: le donne comprano un sacco di cose. Anzi, comprano tutto quello che c’è da compra-re. Il 93% delle decisioni di acquisto è preso dalle

donne, anche quando gli uomini sono convinti di essere stati loro a decidere. Per questo motivo, comprendere il funzionamento del cervello fem-minile è fondamentale per un’azienda che vuole prosperare in un’era caratterizzata dall’economia di consumo.Inoltre, nella mia attività di consulente, spesso mi viene chiesto: “Avere un capo donna è un bene o un male? Se le aziende fossero gestite da donne, andrebbero meglio o peggio?”. Non conosco le risposte; tuttavia, posso dire che le donne hanno moltissima energia intrinseca e ci metterebbero davvero poco a trasformarla in energia positiva. Anche gli uomini ce l’hanno, ma non è naturale, devono svilupparla artificialmente.

In che modo le caratteristiche del cervello femminile influenzano gli acquisti?Quando tenevo corsi di Consumer Behavior, spie-gavo che gli uomini fanno acquisti secondo un processo decisionale lineare. L’uomo cerca sem-plicemente una “buona soluzione”. Il processo de-cisionale femminile, invece, ha assunto la forma di una spirale ricorrente. Prima di prendere una decisione, una donna vede tutte le opzioni dispo-nibili e valuta pro e contro, così come prova dieci paia di jeans simili prima di acquistarne uno.Questi meccanismi sono diventati interessantissi-mi per il mondo del business, perché se capiamo il cervello femminile, vendiamo di più; se vendiamo di più, la nostra azienda va meglio; se l’azienda va meglio, siamo più ottimisti; se siamo più otti-misti, vendiamo di più e inneschiamo un circolo virtuoso in cui tutto comincia a girare per il verso giusto.

Lei ha spiegato che il cervello femminile è “leale e relazionale”; cosa vuol dire?È molto semplice. Quante volte nella vita una donna cambia parrucchiere? Pochissime. Ciò si-gnifica che, quando una donna vive un’esperienza positiva, tende a ripeterla, che si tratti di un’ot-tima cena in un ristorante, di un acquisto online o di una seduta di massaggi. È leale a chi le ha fornito quell’esperienza. Inoltre, il cervello fem-minile è relazionale in quanto crede nel passapa-rola. Una donna condivide le esperienze positive nel dettaglio; racconta al marito, alle amiche, ai

genitori ciò che ha vissuto. Le donne fanno pub-blicità gratuita. Nel bene e nel male, ovviamente.

Le donne colgono particolari che agli uo-mini solitamente sfuggono. Com’è possibi-le?Le donne possiedono un radar nel loro cervello: vedono e sentono tutto. Quando una donna è tur-bata o è di cattivo umore, un’altra donna se ne accorge subito. L’uomo ha bisogno di un cartello a caratteri cubitali. Le donne hanno una visione periferica che si oppone a quella lineare degli uo-mini. Il cervello dell’uomo è come un ammasso di scatole. Se a un uomo vengono chieste più cose si-multaneamente – e inoltre queste cose implicano dei sentimenti – fa confusione, perché non sa più quale scatola aprire. Il cervello femminile ha un aspetto completamente diverso: tutto è connesso insieme.In termini di positività, il radar delle donne è fondamentale per captare tutto quello che c’è nell’ambiente circostante. Se in un team di lavoro ci sono più donne, allora i radar in azione sono molteplici e potenziati. È proprio di questa ener-gia che hanno bisogno le aziende.

Lo stress è un problema serio in ambito aziendale. Come lo affrontano le donne?In generale, lo stress nasce dall’incapacità di ge-stire i cambiamenti. Sopraggiunge quando avete pianificato tutto – e, credetemi, le donne sono pianificatrici meravigliose – e improvvisamente qualcosa viene modificato da qualcun altro, soli-tamente da un uomo. Tutte le donne hanno una lista infinita di “cose da fare”. Tuttavia, appena l’elenco è stato completato, trovano immediata-mente qualche altra cosa da aggiungere: sono così piene di energie da considerare “piacevole” questa lista interminabile. Le donne sono molto più forti e resistenti rispetto agli uomini: possono essere mogli, madri, figlie, amiche, manager e CEO con-temporaneamente. Per risolvere i problemi che ci sono in azienda, la donna aumenta il proprio livello di testosterone, che a sua volta riduce quel-lo di ossitocina; ne consegue però che lei, come donna, non si sente più amata né protetta. Questo tipo di stress non è positivo; il sistema ormonale femminile fa molta fatica a gestire le situazioni stressanti. Gli uomini non devono lasciare che le donne arrivino a questo punto: sarebbe un grave problema per i loro rapporti interpersonali e per l’azienda in generale.

Maschie femmine si nasce, ma uominie donnesi diventa.

(Simone de Beauvoir)

Una donna, nella vita,

cambiaparrucchiere

pochissime volte. È leale

a chi le dà un’esperienza

positiva.

(Enrico Banchi)

STRUMENTI E TECNOLOGIA

Vendere di più - 7170 - Vendere di più

In seguito all’annuncio dell’intro-duzione della doppia spunta blu che indica l’avvenuta lettura del messaggio da parte del destinata-rio, si è parlato solo di WhatsApp. Subito è partita la psicosi, le bat-taglia per la difesa della privacy e tutte quelle minchiate che sui so-cial piacciono così tanto.Questa funzione è stata invocata

per mesi da tutti, e adesso che finalmente l’han-no introdotta non si fa altro che criticarla. Se non volete che l’altra persona sappia che la state igno-rando volutamente, forse è il caso di evitare ogni forma di interazione con lei, così evitate imbaraz-zi e scenate. Oppure, potreste sperare di ricevere messaggi sufficientemente brevi da essere visua-lizzati per intero nell’anteprima mostrata nell’a-rea notifiche del vostro smartphone. In questo modo, potrete leggere il messaggio senza farglielo sapere e fingere di aver perso il telefono, di aver finito il credito, di non avere linea, di essere stati rapiti dagli alieni o quello che volete.Il successo planetario di WhatsApp, così vasto e veloce da spingere Facebook ad acquistarlo lo scorso febbraio, è dovuto essenzialmente a due fattori:1. abbiamo lo smartphone sempre incollato alla mano;2. i messaggi scritti sono più immediati di una email o di una telefonata.La possibilità, poi, di allegare foto, video, emo-ticon e messaggi audio ha generato il boom del servizio.Anche se per l’utente medio non è altro che l’evo-luzione in chiave web del vecchio sms, WhatsApp è sotto molti punti di vista un social network, e in quanto tale si presta ad azioni di marketing mi-rate.Vediamo insieme come utilizzare questo stru-mento per il business.

NON SOLO MESSAGGINI: CON UN PO’ D’IMPEGNO SI PUÒ TRASFORMARE UNA PIATTAFORMA DA 800 MILIONI DI UTENTI ATTIVI IN UNO STRUMENTO CHE “UMANIZZA” L’AZIENDA E FIDELIZZA

CHE CI FACCIO CON WHATSAPP?

giorno, o più volte al giorno, a differenza di quan-to accade invece con i messaggi sul cellulare.Quindi, se dovete comunicare una promozione valida solo per un periodo limitato di tempo, è molto meglio usare WhatsApp.

EventiAlzi la mano chi ha cliccato su “Partecipa” a un evento su Facebook e c’è realmente andato. Un click non si nega a nessuno, soprattutto quando a invitarci è un amico, o un conoscente. Immagi-nate, invece, un locale che, dopo aver chiesto ai clienti i numeri di cellulare e la liberatoria all’in-vio dei messaggi, organizza un evento a inviti spe-diti via WhatsApp. È più diretto, è rivolto solo a persone che realmente frequentano quel posto e che, in linea di massima, sono interessate alle at-tività che vi si svolgono, e ha un carattere elitario, come se fosse riservato a una élite di pochi fortu-nati. E tutti vogliamo sentirci parte di qualcosa di speciale e unico, anche se per cose futili come un happy hour.

Nel giro di soli due anni il numero

dei messaggi istantanei

ha più che doppiato quello degli sms.

(L’Espresso)

La chat su telefonino è percepita come uno strumento di comunicazione personale: le aziende avranno un rapporto più stretto con il consumatore.

(L’Espresso)

RegaliNon c’è niente di più odioso di quei banner online con su scritto “Congratulazioni, sei il milionesimo visitatore di questa pagina, clicca sul banner per ricevere un regalo”. Immaginate, invece, di invia-re a un cliente, e uno soltanto, un messaggio nel quale lo si informa di aver vinto un regalo. Non si tratterebbe di un fake, né di un tentativo subdolo di vendergli un’aspirapolvere, ma di un regalo re-ale, e, non meno importante, creato apposta per lui. Uno sconto, un coupon, un gadget, qualcosa che sia stato offerto esclusivamente a quel cliente e non ad altri.

Quale pensate possa essere il risultato di un’azio-ne di marketing del genere? La fidelizzazione del cliente. Il Santo Graal del commercio.

Non solo messaggini, quindi. Con un po’ d’impe-gno si può trasformare una piattaforma da 800 milioni di utenti attivi in uno strumento di mar-keting e comunicazione potente ed efficace.

Assistenza clientiCome abbiamo visto con Twitter, anche WhatsApp si presta perfettamente a fornire un servizio di assistenza clienti veloce, immediato ed econo-mico. Ai vostri clienti, al momento dell’acquisto, potreste fornire un numero di cellulare al quale inviare dei messaggi tramite WA, per ricevere assistenza tecnica o informazioni sui prodotti e servizi. Ricordatevi, è l’azienda che deve adeguar-si ai clienti, non viceversa, e la maggior parte dei consumatori preferisce di gran lunga inviare un messaggio in dieci secondi che dover sopportare lunghissime attese al telefono con musichette di dubbia qualità.

PromozioneCome negli anni passati si era soliti fare con le email, potreste chiedere ai vostri clienti di for-nire anche il numero di cellulare e la liberatoria all’invio di messaggi promozionali, informazioni su sconti, offerte, lanci di nuovi prodotti, tutto tramite WA. Non essendoci limite di caratteri e avendo la possibilità di aggiungere elementi mul-timediali, WhatsApp è decisamente più efficace e immediato di un sms, ma anche dell’email. Infat-ti, fatta eccezione per alcune categorie, la maggior parte delle persone non controlla le email ogni

Laureato in Scienze della comunicazione, mi oc-cupo di formazione professionale, social media, copywriting e blogging. Non parlo di cose che non conosco, quindi parlo poco. Se posso, scrivo. Le cuffie dell’iPhone sono il mio scudo contro le chiac-chiere inutili.

FRANCESCO AMBROSINO

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GLI ITALIANI SCELGONO ANCORA LA VENDITA DIRETTA

AVEDISCO, Associazione Vendite Dirette e Servizio Consumatori, ha chiuso il 2014 con-fermando una crescita nel settore della Vendita Diretta: le Aziende Associate hanno infatti rag-giunto un fatturato complessivo di 843,6 milioni di euro, raggiungendo quindi un importante au-mento del 1,9% rispetto al 2013. I dati del valore occupazionale sono altrettanto positivi con un incremento del 2,8% per un totale di oltre 312 mila Incaricati alla Vendita.

I numeri testimoniano l’anticiclicità del Direct Selling, in netta controtendenza rispetto al pano-rama italiano più generale, ancora provato dalla crisi economica. Le Aziende Associate AVEDI-SCO, per la maggior parte italiane, si dimostrano invece solide e in ottima salute. In particolare il comparto “Tessile” realizza in termini percen-tuali la miglior differenza positiva di oltre il 15%. Per quanto riguarda il valore economico i mag-giori volumi arrivano dal comparto “Alimentare-Nutrizionale” che registra un fatturato totale di quasi 354 milioni di euro (+13%), mentre man-tiene la sua posizione di rilievo anche il setto-re “Cosmesi” con oltre 286 milioni di euro.

Anche il valore occupazionale conferma il trend positivo e gli Incaricati alla Vendita rag-giungono il numero di oltre 312 mila con una variazione, rispetto al 2013, del 2,8%. Un dato particolarmente rilevante è la crescita della forza vendita femminile, del 4,4%, che arriva a rappre-sentare così il 74,6% del totale degli Incaricati alla Vendita su tutto il territorio italiano; i numeri dimostrano come questa professione sia partico-larmente indicata per l’universo femminile perché permette di trovare il giusto equilibrio tra i nume-

AVEDISCO CHIUDEBENE IL 2014

rosi impegni che una donna, mamma e moglie deve conciliare con il tempo dedicato al lavoro.

«Siamo molto orgogliosi di annunciare ancora una volta la chiusura dell’anno in positivo, sia per quanto riguarda i dati di fatturato che per il valore occupazionale. – dichiara Giovanni Paoli-no, Presidente di AVEDISCO – In un panorama, quello della Vendita Diretta, che complessiva-mente ha un buon andamento, i risultati raggiunti sul mercato italiano fanno ben sperare in termini di ripresa e mi riferisco soprattutto al significa-tivo dato sulla presenza femminile. Le Aziende Associate AVEDISCO offrono ottime opportunità di lavoro alle donne in cerca di un primo impiego ma anche a coloro che desiderano trovare una professione indipendente, in grado di conciliare famiglia e lavoro. L’obiettivo comune di tutte le Aziende Associate AVEDISCO per il nuovo anno è di continuare a migliorare proseguendo questo percorso di successo».

Dal 1969 AVEDISCO è la prima Associazione in Italia che rappresenta le più importanti real-tà industriali e commerciali, italiane ed estere, che utilizzano la vendita diretta a domicilio per la distribuzione dei loro prodotti/servizi. A livel-lo internazionale AVEDISCO è associata Seldia (Associazione Europea della Vendita Diretta) e a WFDSA (Federazione Mondiale delle Asso-ciazioni di Vendita Diretta).

72 - Vendere di più

PUBBLI REDAZIONALE

STRUMENTI E TECNOLOGIA

Vendere di più - 7574 - Vendere di più

Testi: fai due contiAnni fa sostenevo che bi-sogna essere interessanti, prima che convenienti. Questo implica un grande sforzo in produzione di contenuti (sia social che editoriali). Ora il consi-glio è sempre valido, ma ci sono ambiti in cui i con-

tenuti sono talmente tanti e buoni, che emergere naturalmente, a mani vuote, è quasi impossibile (se non avete una nicchia sufficientemente ri-stretta). Per dire, le aziende inizieranno a paga-re presto per diffondere i propri contenuti, e non solo su Facebook. Quindi, se nella vostra mente state pensando di produrre contenuti per far ar-rivare acquirenti gratuitamente, fate bene i vostri calcoli. Il content marketing non funziona sem-pre: tra costo di creazione e ritorno in termini di visibilità e traffico apportato allo store il risultato non è scontato. Le ricette, per esempio, hanno esaurito il loro compito. Ci sono più ricette che tegami, in Italia.

Ristorante pieno o vuoto?Usate i social (soprattutto quelli che si adattano all’e-commerce, come Instagram) come fabbri-che di contenuti gratis dagli utenti, pagando con perline di visibilità e riconoscenza. A che servo-no? A far credere agli altri clienti che siete pieni di clienti, e che quindi possono andare tranquilli. Tutti vogliono essere originali, ma poi vanno nel ristorante pieno, non in quello vuoto.

La gestione è tuttoConcentrate gli sforzi. Basta con gestire un ac-count su ogni social dalla A di app.net alla Z di Zoosk (non sapete cos’è? io non vi ho detto nulla), magari pubblicando le stesse cose. Anche se siete un grande store e potete permettervi di spandere, scegliete sulla base di obiettivi precisi (traffico, social proof, rassicurazione, influencer, customer care), del pubblico e dei contenuti che vi sono congeniali. In ogni caso, probabilmente Facebook

ESSERE SUI SOCIAL PER VENDERE È UN’OTTIMA IDEA – MA LO È DAVVERO PER TUTTI?

NON È TUTTO “COMMERCE” QUEL CHE LUCCICA

Il vostro settore è già uno dei più discus-si in Facebook — nelle pagine ufficiali, in quelle non ufficiali, nei gruppi, ecc.?Se non lo è, non è detto che la risposta debba es-sere subito negativa. Ma avrete probabilmente il dilemma del rischio. Rischiare un sacco di tem-po, risorse, creatività e reputazione per innovare drasticamente il modo di comunicare della vostra azienda per adattarlo a Facebook per mostrare un lato curioso, buffo, divertente, sorprendente, e creare contenuti ad hoc “laterali”, posto che que-sto sia possibile senza scadere nel ridicolo? E se sì, cosa direbbe di questi il vostro capo? Se non c’è la cultura interna, è solo un travestimento che non servirà a nulla nel lungo periodo.

Quanto — e se — le persone di cui volete su-scitare l’interesse vivono Facebook come una risorsa importante per l’argomento? Cioè, ok, “stanno su Facebook, e pure tanto”. Ma quando sono lì vogliono davvero discutere di ar-gomenti che magari tramite Facebook vogliono dimenticare per un attimo? Per esempio, l’acqui-sto di macchinari, un progetto software, l’indu-stria B2B in generale?

Quante visite al vostro sito o impression sperate di generare? Quanto questa esposizione continuativa provoca — si spera — un aumento della awareness, brand equity, reputation generale (e con quale livello di attività su Facebook questo succede: se parlate a

Il fanatismo consiste

nel raddoppiare gli sforzi

quando si è dimenticato

lo scopo.

(George Santayana)

Dal 1997 si occupa di internet per il business. È mar-keting ed e-commerce manager, con conoscenze di social business e tecnologie della rete. Definisce le strategie dei canali digitali per aziende. È professore a contratto allo IULM di Milano. Ha scritto Vendere online (Il Sole 24 Ore) e Social Commerce (Apogeo).

GIANLUCA DIEGOLI

10 clienti su 100, la vedo dura) e quanto queste ultime sono importanti per il vostro business? Attenzione però, non fate l’errore (vale per tutta la comunicazione) di confondere effetti a breve e effetti a lungo: la comunicazione in generale non serve per vendere oggi, serve per vendere domani e dopodomani.

Quanto è importante per voi il feedback dalle persone su Facebook? Quante probabilità ci sono che lo lascino su Face-book invece che in altri mezzi — anche tradizio-nali — come email e telefono? Se non lo è, viene a mancare un altro motivo fondamentale.

Quanto vi costa mantenerla? Lasciare la pagina in stato di coma vegetativo non è bello, è peggio che non esserci, per la reputazio-ne aziendale. Calcolate le ore per cercare conte-nuti, modificarli, pubblicarli, rispondere ai com-menti — o le ore che pagate all’agenzia, che è lo stesso. È tempo che sottraete alla vostra concen-trazione e ad altre attività. Vi conviene davvero?

Se avete quantificato la domanda prece-dente, siete disposti a spendere la stessa cifra per indirizzare i vostri contenuti at-traverso la pubblicità di Facebook? L’epoca della birra gratis è definitivamente finita, come su Google, del resto.

Se avete risposto in maggioranza no, siete sulla stessa barca di Copyblogger, che ha deciso di can-cellare la pagina Facebook, che aveva ben 38 mila “fans” (le virgolette sono loro). Qualcuno ha poi detto che lo stavano facendo male, e in qualche passaggio colpiscono a segno, ma la sostanza non cambia. Sostituite Facebook con «nome di altri social media» in queste domande, e avrete un test pronto anche per altre piattaforme.

Niente ci rende più ridicoli degli sforzi che facciamo per non sembrarlo.

(Roberto Gervaso)

non lo potrete evitare, forse, e quindi fatevi la do-manda se vi rimane tempo per altro — fatto seria-mente. Non comprate il pacchetto chiavi in mano dall’agenzia social, che cerca di vendervi tutto il bouquet di canali, come Sky. Date un’occhiata di persona: Pinterest? Seriamente, quanti possibi-li tuoi clienti lo usano in Italia, su un milione di forse utenti totali? E allora zac, tagliato. Tumblr? Solo se vendo anche agli adolescenti. Twitter? Solo per customer care, se non vendo tech o me-dia. YouTube: ho budget per produrre contenuti ad hoc e promuoverli? Ho idea di come farli? No? Zac. Google Plus? Ricerco, e non trovo nessun ri-sultato? Clonate quello che postate su Facebook e sul blog e amen, e sperate nel SEO. Fousquare e altro, zac.

C’è trafficoFacebook è l’unico canale social che porta traffico (e vendite). Non aspettatevi che il traffico degli altri sia sufficiente a farvi spedire un solo pac-co in più. Accetto smentite, ma solo con Google Analytics alla mano.

Pagate in paceFacebook è a pagamento. La messa è finita, paga-te in pace. Avete una grande opportunità, quello del microtargeting. Offrite il prodotto x in zona y, al cliente z a cui piace la pagina w. Sponsorizzate post con buon engagement verso pubblici ad hoc. Calcolate il costo di acquisizione e di lead (se si iscrivono alla newsletter, mettono nel carrello, ecc.). Confrontatelo con Google Adwords, avrete sorprese.

Ti serve davvero una pagina Facebook?Sempre più spesso la pagina Facebook, in un pia-no di marketing digitale, viene vissuta come “ne-cessaria”, e ancora più spesso come “un male ne-cessario”. Del resto, su Facebook “ci sono tutti”, e credo che sia davvero l’unico social per cui questa affermazione è vera.Ma è davvero così? Ci sono due risposte sbagliate, e sono “sì”, e “no” — senza avere prima risposto ad alcune domande.

STRUMENTI E TECNOLOGIA

Vendere di più - 7776 - Vendere di più

Una delle migliori definizioni

di intelligenza è proprio

“flessibilità”.

(Piero Angela)

Manager eclettico, dopo 15 anni di consulenza informatica, fonda la web agency Jusan Network come supporto alle aziende. È presidente e fonda-tore di TurinIn, associazione con 2.500 iscritti che aiuta i professionisti a trovare nuove opportunità di business.

SAMUELECAMATARI

Un albero incapace di piegarsi si spezza.

(legge del Tao)In uno scenario di continua inno-vazione tecnologica andiamo as-sistendo a una realtà che cambia e si muove a un ritmo talmente frenetico, dinamico e veloce da in-fluenzare il consumatore e il suo rapporto con il mercato, anch’esso soggetto a infinite trasformazioni.

Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio Multicanalità 2013, il 78% de-gli italiani si affida a internet quale strumento principale per ottenere informazioni su prodotti o servizi, confrontare prezzi, approfondire parti-colari questioni, in un percorso di studio volto a usufruire del maggior numero di strumenti pos-sibile.

Questo orientamento di ricerca e acquisto può in-serirsi agilmente nel concetto che, in questi ultimi tempi, va ricoprendo un ruolo di primo piano: la multicanalità.

L’IMPORTANZA DI FAVORIRE L’INTERAZIONE TRA IMPRESE E CLIENTI CON STRUMENTI DIVERSI

VIVERE LA MULTICANALITÀ

Lo shopping (ma anche la vita) è multicanaleChe cosa si intende per multicanalità? Non è altro che l’interazione tra l’impresa e i clienti attraverso molteplici canali: internet, come già accennato, e tutti i suoi corifei maggiori (applicazioni, forum, social network).Stando a uno studio condotto dal centro di ricer-ca Ask dell’Università Bocconi di Milano, oltre il 70% delle aziende italiane ha investito nella co-municazione multicanale e interattiva, dietro la convinzione che, così operando, avrebbe molte più occasioni di presentarsi a nuovi target di rife-rimento e contare su una panoramica di vendita più vasta.La percentuale testimonia il grado di rilevanza che la multicanalità ha finito per assumere e va rafforzando momento dopo momento, all’interno di uno scenario dominato soprattutto dai media digitali.Si potrà chiarire il concetto facendo leva su un esempio semplice ma grandioso. Prendiamo il caso della piattaforma Storify: si basa sull’intera-

zione tra azienda e pubblico di riferimento, quindi sulla multicanalità, in una maniera, però, talmen-te accessibile e immediata da lasciare meraviglia-ti. Come? Consentendo di ricercare contenuti su ben 19 diversi social media e di organizzarli in una pagina web elegante, sgombra da qualsivoglia ar-tificio o abbellimento fine a se stesso, strutturata come fosse una storia. Una storia composta da un insieme di tante altre storie spezzettate a loro volta in decine di post, hashtag, tweet, citazioni, rigorosamente aggiornate e in linea con le novità dell’ultimo minuto, dove l’interazione tra molte-plici canali feconda il terreno di un racconto glo-bale divulgabile ovunque e in tempi brevissimi.Risulterà chiaro, quindi, come per un’impresa intenzionata a promuovere il lancio di un nuovo prodotto, un evento, o la propria storia, Storify sia sicuramente una piattaforma essenziale.Naturalmente, è sempre la strategia a determi-nare il successo o meno di un progetto. Nel caso della multicanalità, è essenziale riuscire a gesti-re i vari canali via via più numerosi e particola-reggiati, adottando una strategia di marketing adattabile a ognuno, evitando di creare conflitti con altri strumenti di promozione e stimolando il rapporto con i clienti in maniera intelligente e puntuale, analizzandone le abitudini di acquisto, ascoltando le loro esigenze e interagendo con loro in tempo reale.

Online e offline insiemeA oggi, molti cambiamenti sono in atto, sia nei ne-gozi offline che in quelli online. Un esempio di in-terazione efficace tra i due è il cosiddetto “mobile payment”, con il quale si concludono le transazio-

ni tramite smartphone, tablet o telefoni cellulari. Lo stesso mobile commerce (o m-commerce) è in crescita con un’incidenza del 20% sull’e-commer-ce complessivo.Per quanto riguarda le piattaforme di commercio elettronico, l’ostacolo maggiore è rappresenta-to da coloro che guardano il virtuale ancora con sospetto, specialmente da un punto di vista degli acquisti.Da dove si deve partire, allora? Occorre fornire materiale informativo con immagini, spiegazioni, dettagli tecnici, guide, informazioni sulla funzio-nalità del servizio clienti e sulle politiche di reso, le quali si rivelano spesso i punti deboli della ri-uscita di tutte le transazioni via web, contraria-mente a quanto avviene nel punto vendita, dove ci si può rivolgere a qualcuno.I rivenditori sono tenuti a migliorare sia i tempi di consegna che le procedure di acquisto, tali da controbilanciare i vantaggi che si hanno nel po-ter vedere da vicino il prodotto di interesse. In tal modo le differenze tra i due canali risulteranno meno critiche per i consumatori.

In conclusioneLa multicanalità, in conclusione, è la chiave del futuro sviluppo del commercio online, sia a livello di connessione tra mondo reale e mondo virtuale, che a livello di interazione tra utenti e imprese, in una realtà dove il web 2.0 si sta sviluppando in maniera esponenziale. Una sfida sicuramente interessante e impegnativa, alla quale i rivendito-ri dovranno far fronte cercando nuove soluzioni innovative per offrire un’esperienza d’acquisto soddisfacente su ogni tipo di canale.

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Senza darmi toni da imprenditore illuminato, mi sembra di vedere segnali chiari, anche se deboli, di ripartenza del mercato.Non ho poteri magici, e come ognuno di voi sono solo a contatto ogni giorno con clienti e fornitori.Né V+ né questa pagina sono preposti a sviluppare in-dicatori economico-sociali o dotte tesi statistiche. Pro-viamo, io in particolare in queste righe, a riportare nel magazine quello che viviamo sulla pelle. Lo dico per sgomberare il campo da critiche di faciloneria e pres-

sapochismo. Chiarito questo, finalmente dopo diversi anni di smarrimento, posso dirmi testimone di una consapevolezza sempre più diffusa: ci è chiesto di fare delle modifiche al nostro modo di pensare e di operare, perché solo così le nostre aziende hanno qualche possibilità di vivere bene il “nuovo pre-sente”. E ripeto: in tanti siamo consapevoli di questo.

Ma qual è il modo migliore per cambiare, migliorandolo, il nostro modo di pensare e di agire? Io non ne ho trovato un altro: imparando. Qualcosa da tutto e da tutti.

Ormai non posso più fare a meno del taccuino che mi porto sempre dietro e dove appunto il pensiero di un cliente che non voglio dimenticare o l’idea di una attività che è riuscita particolarmente bene.

Leggo tanto, tutti gli articoli di giornale che riesco e che si focalizzano sul miglioramento di un’area dell’azienda o della persona. Quelli che preferi-sco li ritaglio e li archivio, col proposito, un giorno, di arrivare ad avere un “dossier” su ogni argomento. Una volta al mese, prendo il materiale che ho selezionato e, con i miei collaboratori più vicini, rifletto sulla messa in prati-ca immediata di quanto ho raccolto. Creiamo un piano, ne testiamo il funzio-namento nella nostra realtà, teniamo quello che funziona, buttiamo quello che non ci serve. Un metodo che penso possa aiutarmi ad assorbire l’impres-sionante molte di informazioni che mi viene addosso ogni giorno. Adesso stiamo ipotizzando di allargare questi momenti anche ad altri collaboratori, per condividere le rispettive “intuizioni” e avere un risultato ancora migliore.Piccole cose generano spesso enormi cambiamenti, ha detto tale Cialdini.Ognuno scelga la sua strada. I risultati diranno se la scelta è stata efficace. Di certo, non sarà la strada che usavate anche solo pochi anni fa.

Se quello che ho scritto è di vostro interesse, se avete delle propo-ste, potete scrivermi direttamente: [email protected].

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80 - Vendere di più

OGNUNO È ALLA RICERCA DEL MODO MIGLIORE PER NON CADERE NEL “SI È SEMPRE FATTO COSÌ”

Ci sono persone che non vivono

il presente, ma si preparano con grande zelo

come se dovessero vivere una qualche altra vita,

e non quella che vivono. Intanto il tempo

si consuma e fugge via.

(Antifonte)

PILLOLE

Vendere di più - 83

VALERIA TONELLA Giornalista, è responsabile del coordinamentoeditoriale della rivista V+. Ha lavorato come addettastampa in un’agenziadi comunicazione e collaborato con Blu,trimestrale premiato a livello nazionale, scrivendo articoli storico-culturali.Svolge attivitàdi comunicazioneper associazioni,enti comunali e privati.

PILLOLE

82 - Vendere di più

Nuovo lettore? Online puoi chiedere gli arretrati V+

C’era una volta un australiano che decise di portare in America una calzatura con lana di pecora. Da allora – erano gli anni ’80 – le vendite hanno toccato il miliardo di dollari in tutto il mondo. L’australiano si chiama Brian Smith, e il brand UGG. Que-gli stivali ormai un must in inverno, dei moon boot ma molto più fashion (questa è l’opinione femminile; devo ancora trova-re un uomo che li apprezzi). Gusti o non gusti, UGG è un successo imprenditoriale. Smith ne ha parlato in un libro intitola-to The birth of a brand. Nel libro, Smith dà alcuni consigli derivati dalla sua espe-rienza. Primo, guàrdati attorno. «Mentre lavoravo in California, su un magazine di surfisti trovai l’annuncio per degli stiva-li con lana di pecora. Tutti in Australia li portavano, in America nessuno. Mi venne la pelle d’oca! Cominciai proprio col ven-derli ai surfer, e da lì partì il business». Se-condo, trova un “turning point” (un punto di svolta) per il tuo prodotto. «Non potevo continuare a restare nel mondo del surf, così lessi le riviste femminili e di moda, e inviai un campione degli stivali agli stili-sti di Hollywood. Le star cominciarono a indossarli in tv e camminando per strada. Diventarono un’icona». Terzo, essere de-gli imprenditori richiede una certa dose di ignoranza e innocenza. «Quando comin-ciai, negli anni ’80, non avevo computer o dati di mercato così precisi come oggi. Col senno di poi, se li avessi avuti, non avrei nemmeno provato a penetrare il mercato americano. Se conosci tutti gli ostacoli che hai davanti, potresti spaventarti. A volte è meglio… cominciare e basta».

Se cercate su Google “professional orga-nizer”, escono più di 8 milioni di risulta-ti: dai siti www.tutto-aposto.com all’As-sociazione professional organizer Italia (Apoi). Si tratta di una figura professio-nale che ti mette letteralmente a posto la vita (in inglese “decluttering”). Nasce ne-gli anni ’80, più come aiuto alle aziende per organizzare meglio sistemi e proces-si; poi il suo operato si amplia all’esisten-za privata delle persone che, vuoi per la quotidianità frenetica, vuoi per pigrizia, vivono nel completo disordine. Un pro-fessional organizer sistema gli armadi, dirige traslochi, mette a posto gli album

fotografici; dà consigli sull’agenda o sulla suddivisione degli spazi; archivia email e documenti, riduce pile di fogli, riviste e cartelline che ingombrano case e uffici. La sua missione: l’ordine. Il suo motto: Sistemare, Pulire, Analizzare, Contenere (il casino!), Estendere l’ordine nel tempo (l’acronimo di “space”, “spazio”). Curiosi-tà: sono stati creati programmi tv, come Life Laundry, e magazine, come Real Simple; negli Usa è un lavoro diffuso; non servono titoli di studio, e ci si può specia-lizzare (c’è chi si dedica alle casalinghe, chi ai manager, ai ragazzi, agli anziani). I consigli? Ricordati di mettere sempre le cose al loro posto. Non scaricare trop-pe app. Non tenere tutto a mente. E non rimandare le decisioni. Si accumulano come panni sporchi.

E SE TI METTESSI A POSTO LA VITA?

Ricordate il ragazzo francese che decise di vendere in lattina l’aria buona del suo paesino di campagna, guadagnando uno sproposito? Una storia simile viene dal-la California: degli studenti universitari hanno messo sul mercato lattine conte-nenti… l’essenza del relax.Relax in lattina: in America ne stanno parlando tutti. Si chiama “Just Chill”, e ha aperto la strada a un vero settore, quello delle “bevande rilassanti”, che si oppone agli “energy drink”. Una Red Bull al contrario, con estratti di tè, vitamine e un apporto calorico medio, “per calmare i nervi, senza assopirsi, e concentrarsi, senza ricorrere alla caffeina”.«Una volta ero all’aeroporto – racconta uno dei creatori di “Just Chill” – e nac-que un diverbio mentre eravamo in coda per essere imbarcati. Mi guardai intorno e vidi che la maggior parte delle persone aveva in mano un caffè o una bibita ener-getica. Noi americani siamo così: passia-mo un sacco di tempo con dei bicchie-roni in mano per darci la carica». “Just Chill” vuole rompere questo trend. C’è domanda? Sembra di sì. Il “Chill Group” sta lavorando con i grandi distributori, e potrebbe essere il pioniere di una nuova industria che cresce velocemente. In Cali-fornia, il mercato delle bevande rilassanti è cresciuto del 30% negli ultimi 5 anni, con un guadagno di 153 milioni di dolla-ri solo nel 2014. Secondo uno studio del National Health Institute, gli americani che fanno fatica a dormire sono ormai 70 milioni; le “bevande rilassanti” sono una soluzione “cool” e poco costosa.

IL RELAX… IN LATTINA

UGG: LA VENDITA CHE “CALZA” A PENNELLO

NON SERVE ESSERE DONNEPER VENDERE ALLE DONNELa “cliente” delle riviste femminili è una donna alla ricerca del principe azzurro, che vuole perdere “7 chili in 7 giorni” e im-parare a camminare sul tacco 12. C’è chi grida allo stereotipo, incolpando i giorna-listi di creare una donna che nel mercato non esiste (anche se queste testate conti-nuano a vendere).In controtendenza la storia di un maga-zine americano: Bust è stato fondato nel 1993 con l’obiettivo di “proporsi come al-ternativa a Vogue, Cosmo, Madamoiselle e Glamour, un’alternativa intelligente e divertente, come le donne vere”.Solo le donne capiscono le donne? Le or-ganizzazioni si sono evolute, su questo piano: non è più impossibile trovare uo-mini in grado di comprendere le donne.HelloFlo (helloflo.com) è un servizio che seguo e che mi piace per qualità delle cam-pagne e assistenza al cliente. Anzi, alla cliente, perché è nato dal bisogno della sua fondatrice, Naama Bloom, di gestire meglio i giorni del suo ciclo mestruale. Sul sito, la Bloom racconta, in maniera buffa, di come prima “quel periodo” la cogliesse di sorpresa, e la sottoponesse a inconve-nienti pratici. Perché, allora, non offri-re un aiuto? Ce n’è per tutte: ragazzine,

donne, mamme in post-parto. HelloFlo ha creato un “kit” per ogni gruppo, uno spazio di confronto (“Chiedi al dottor Flo”) e video su Youtube. L’ultima novità è una newslet-ter personalizzata: se le utenti hanno poco tempo per leggere, HelloFlo ha ideato tre diverse news in base al tempo di lettura a di-sposizione (due, cinque e sette minuti) con contenuti di diversa lunghezza.«Non basta avere delle donne nello staff di vendita; – ha specificato Naama Bloom – restereste meravigliati dalla conoscenza che i nostri tecnici maschi hanno dell’universo femminile. Le aziende devono riflettere, nel-le strategie aziendale, le conversazioni che le donne intrattengono tutti i giorni. La voce di HelloFlo è la mia voce di donna, che è la voce delle donne e delle ragazze della mia vita. Una voce autentica. La missione del nostro brand è dare alle donne quello di cui hanno bisogno quando ne hanno bisogno. Non possiamo cambiare la biologia femmi-nile (e i fastidi che ne conseguono), ma pos-siamo renderla più colorata e divertente».

Vendere di più - 85

Costruire una campagna pubblicitaria è molto meno facile di quanto si creda. Si tratta di un pro-cesso sistematico e articolato, che richiede lo sfor-zo congiunto di diversi specialisti. L’autore, che ha lavorato in numerose agenzie internazionali in Italia e New York, descrive le varie fasi e gli stru-menti utilizzati per centrare l’obiettivo e ridurre le probabilità di errore (dalla fondamentale strate-gia al timing di produzione di uno spot), in modo sintetico ma preciso, con casi, esempi, tabelle e un

utile glossario.Il libro in pillole: “Quella pubblicitaria non è una creatività libera, com’è sostanzialmente quella ar-tistica… Si tratta invece di una creatività applicata, indirizzata sì a catturare l’attenzione dell’osserva-tore, ma per convogliarla subito verso il prodotto e la sua promessa”.Come si realizza una campagna pubblicita-ria, Enrico Lehmann, Carocci editore

Come si realizza una campagna pubblicitaria

Dal post-it al push-up

Viviamo dentro un mondo in cui la comunicazio-ne è sempre più ricca nelle sue forme, veloce e globalizzata.Chi è avvantaggiato? Non tanto chi sa molte cose (non si può comunque mai sapere tutto), ma chi sa inquadrarle al meglio. Storia, arte, musica, scienza, filosofia, invenzio-ni… Questo volume vuole offrire, nella forma più semplice e alla portata di tutti, quella “cultura generale” che può tornare più utile per lavorare,

confrontarsi, capire, crescere. Senza dover con-sultare sempre Google. Il libro in pillole: “L’8 dicembre 2009, durante una trasmissione tv, l’allora ministro del Turismo dichiarava che la ripresa della prima della Scala era stata trasmessa in ben 250 Paesi. Peccato che in quell’anno i Paesi ufficialmente riconosciuti fossero solo 194...”.Cultura generale for dummies, Virginio Sala, Hoepli

Cultura generale for dummies

Pare che oggi una persona su dieci lavori nelle vendite: ma anche le altre nove! Che ci piaccia o no, siamo tutti venditori, e Pink smonta pregiu-dizi e luoghi comuni, presentando una visione ri-voluzionaria dell’arte di vendere. Ma anche prag-matica, perché il libro fornisce – in modo nuovo e, cosa che non guasta, gradevole – concetti, sup-porti e strumenti necessari, ma soprattutto mira-ti, per concludere ogni “vendita” con successo e grande soddisfazione.

Le tre parti in cui Pink divide il libro sono un programma e dicono tutto: La rinascita del com-messo viaggiatore, Come bisogna essere, Cosa bisogna fare.Il libro in pillole: “Trascorro buona parte della giornata a cercare di convincere gli altri a com-prarmi qualcosa. Ma la maggior parte delle volte cerco di ottenere dagli altri qualcosa di ben diver-so dai soldi”.Venditi bene, Daniel Pink, Tea

DALEGGERE

IN VENDITA TRA GLI SCAFFALI

84 - Vendere di più

Venditi bene

Perché qualcosa diventa virale? Perché si paga di più credendo di risparmiare? Perché gli escursio-nisti parlano di aspirapolvere?Nonostante tutto il denaro investito in pubblicità e marketing, sono pochi i prodotti che diventano famosi.Questo giovane ma stimatissimo professore uni-versitario riassume qui dieci anni di ricerche, in un saggio davvero… contagioso sul viral marke-ting – sia “classico” (il passaparola!) che “3.0”.

Utile per tutti, perfetto per chi ha l’obiettivo di farsi conoscere con un budget limitato o limitate risorse.Il libro in pillole: “La maggior parte dei ristoranti fa fiasco, la maggioranza delle aziende fallisce e le iniziative sociali raramente riescono ad attecchi-re. E comunque spesso, anche se contribuiscono al successo di prodotti e idee, la qualità, il costo e la pubblicità non bastano a spiegare tutto”.Contagioso, Jonah Berger, Sperling & Kupfer

Contagioso

Chi conosce Mario Tozzi, geologo del Cnr, lo as-socia ad antiche civiltà, al clima, ai vulcani. Com-petenze che, unite alle capacità di divulgazione, ci guidano in un racconto che comprende bussola e gps, vinile e mp3, obsolescenza programmata e… wc elettrici. La domanda di base è se la tecnologia aiuti per definizione a migliorare le nostre vite e sia sempre semplice, utile ed educativa, o se, inve-ce, spesso sia fine a se stessa, generatrice di impat-to sia sull’ambiente che sui nostri livelli di stress.

“Barocca”, appunto.Il libro in pillole: “La tecnologia spaziale a suppor-to dell’astronauta è un modello da seguire: vince l’attrazione di gravità grazie a un carburante che non produce inquinanti o scorie (l’idrogeno) e il fabbisogno energetico in orbita viene soddisfatto solo da pannelli fotovoltaici molto più efficienti di quelli usati a terra (rendimento del 40% contro quasi il 20)”.Tecnobarocco, Mario Tozzi, Einaudi

TecnobaroccoDall’inesauribile vena di Sloan, showman e inse-gnate di inglese ormai notissimo, una raccolta di tutto l’inglese che serve per lavorare: con chi par-la inglese, certo, ma anche per non fare svarioni usando concetti inglesi in contesto italiano – vi-sto l’uso quotidiano che, volenti o nolenti, se ne fa. Quindi: come mandare email, fare telefonate, condurre trattative, cavarsela in una fiera (o in hotel, o al ristorante), scrivere un cv, sostenere un colloquio. Con link a supporti audio per ripas-

sare i capitoli, tracce di conversazioni complete da seguire, test, glossari e utili…”maccheroni alert” per segnare i nostri più frequenti errori.Il libro in pillole: “Come sempre, ho aggiunto an-che una storia. Perché? Perché così diventa più divertente, più leggero e ti rimane in testa, my friend.”English al lavoro, Tutto quello che ti ser-ve per lavorare in inglese, John Peter Sloan, Oscar Mondadori

English al lavoro

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Una guida non convenzionale ai colpi di genio più bizzarri, audaci o improbabili nella storia della creatività umana.Gli oggetti che hanno rivoluzionato il nostro modo di vedere il mondo e di vivere: insomma la storia e (quando identificabili) gli ideatori di cento piccole e grandi cose non trascendentali, ma fondamenta-li. Dal cerotto al pane a fette, dal velcro alla mati-ta, dall’elastico al cotton fioc: idee di successo che ognuno di noi, ogni giorno, potrebbe avere e che

ognuno di noi ha il grande, grandissimo rimpianto di non aver pensato.Il libro in pillole: “Nel 1905 l’undicenne Frank Epperson dimenticò sul tavolino del portico della sua casa di Oakland un bicchiere pieno che rimase fuori tutta la notte. La bibita si ghiacciò e il baston-cino che aveva usato per mescolarla rimase confic-cato dentro. Nel 1928 Epperson incassò royalties per oltre 60 milioni di ghiaccioli”.Dal post-it al push-up, Anthony Rubino Jr, Bur

A cura della REDAZIONE

SILVIA TONELLA Avvocato civilista, dopo la laurea in Giurisprudenza conseguita all’Università di Padova, svolge oggi la libera professione ad Asolo (Treviso). Si occupa anche di controversie nell’ambito del diritto commerciale e in materia di contratti e compravendita.

IL PARERE DELL’AVVOCATO

86 - Vendere di più

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“RECUPERO”: LE NOVITÀLA TUTELA DEI CREDITORI GRAZIE ALLE BANCHE DATI TELEMATICHE E ALLA NUOVA PROCEDURA PER IL PIGNORAMENTO DEI VEICOLI

La crisi. I mancati pagamenti. I debitori. I creditori. Le difficoltà di recuperare ciò che spetta. Quanti pro-fessionisti, inclusi venditori, non riescono a portare a casa il corrispettivo della merce già consegnata o di un servizio prestato? Dal 2008, con l’avvento della crisi economica, sempre di più.Con l’entrata in vigore della legge n. 162/2014, il legislatore ha introdotto nuove procedure per acce-lerare e rendere più agevole il recupero dei crediti. L’impatto della riforma è evidente: da un lato, i mag-

giori poteri di “investigazione” conferiti all’ufficiale giudiziario consentono, tramite l’accesso diretto alle banche dati pubbliche telematiche, di ampliare e rendere più fruttifere le ricerche dei beni del debitore, potendo individuare facilmente i mezzi allo stesso intestati; dall’altro, la procedura ad hoc previ-sta per il pignoramento dei veicoli, in luogo di quella precedente che seguiva le norme dei pignoramenti mobiliari, consente una notevole semplificazione e una maggiore efficacia, risolvendosi in una sorta di fermo auto dei mezzi di proprietà del debitore, ivi compresi quelli aziendali.

L’accesso alle banche dati pubbliche onlineIl nuovo art. 492-bis Codice procedura civile introdotto dal d.l. n. 132/2014 prevede che su richiesta del creditore procedente, il presidente del tribunale del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore, autorizzi l’uffi-ciale giudiziario alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. Al fine di acquisire tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre a esecuzione, all’ufficiale è consentito l’accesso diretto alle banche dati delle pubbliche amministrazioni e degli enti previdenziali, nonché all’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanzia-ri, e al pubblico registro automobilistico. Una volta terminate le operazioni, l’ufficiale dovrà redigere verbale, nel quale indicare tutte le banche dati in-terrogate e i risultati ottenuti.

Il pignoramento dei veicoli: la nuova proceduraApplicabile a tutti i procedimenti iniziati a partire dal 30° giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione, la nuova forma di pignoramento, unitamente alla possibilità di accedere alla banca dati del Pra (Pubblico registro automobilistico), dovrebbe portare a una semplificazione della procedura esecutiva di recupero del credito.Fino a oggi la difficoltà per gli ufficiali giudiziari era quella di rintracciare il veicolo oggetto di pignoramento, con necessità di autorizzazioni particolari se lo stesso si trovava in strada anziché nell’area di proprietà del debitore. Con le nuove norme queste difficoltà sono superate. Esse prevedono infatti la notifica al proprietario/debitore di un atto di intimazione a consegnare il veicolo entro 10 giorni all’istituto vendite giudiziarie del luogo, decorsi i quali l’eventuale circolazione con lo stesso è punibile con il sequestro e suc-cessiva consegna all’istituto vendite giudiziarie. La procedura infatti prevede che il pignoramento venga iscritto al Pra e che da quel momento il veicolo non possa più circolare, come per il fermo amministrativo.Dalla notifica del pignoramento, sino alla consegna del mezzo e dei titoli all’Ivg, il debitore è costituito custode dei mezzi pignorati e dei relativi ac-cessori, ivi comprese pertinenze e frutti, senza diritto ad alcun compenso; successivamente, è l’Ivg ad assumere la custodia, dandone immediata comu-nicazione, ove possibile, al creditore pignorante.

Qualora il debitore, scaduto il termine di 10 giorni, non ottemperi all’obbligo di consegna, saranno gli organi di polizia che accerteranno la circolazione del bene pignorato a procedere al ritiro della carta di circolazione (e dei relativi e documenti di proprietà del mezzo), consegnando il tutto all’Ivg competente per territorio.Nelle more, il creditore, ricevuto l’atto di pignoramento dall’ufficiale giudi-ziario, dovrà trascriverlo nei pubblici registri.

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opo l’inserimento dello “split payment” (si veda V+ precedente), arriva con anticipo rispetto alla scadenza originariamente prevista per giugno 2015, l’obbligo della fatturazione elettronica nei confronti della Pubblica amministrazione.La ratio della norma trae origine da un progetto comunitario e si propone di automatizzare i flussi documentali tra le Pubbliche amministrazioni e i rispettivi fornitori, sostituendo i documenti cartacei con documenti informatici.

Attenzione, non si tratta banalmente della classica fattura in formato “pdf”, trasmessa tramite email, stampata da chi la invia e da chi la riceve e conservata in forma cartacea. Direi quasi che sia una rivoluzione: una fattura in formato elettronico, “xml” che deve essere trasmessa attraverso un sistema complesso denominato “Sistema di interscambio” (Sdi) e deve essere conservata in archiviazione elettronica sostitutiva per ben 10 anni.Il sistema di interscambio è un postino elettronico che provvede a recapitare la fattura elettronica al destinatario e a notificare l’esito della trasmissione al mittente ma non alla conservazione.Per quest’ultima fase, sono molti i servizi che si trovano sul mercato, proposti da varie società a cui bisogna, gioco forza, rivolgersi per poter ottemperare all’obbligo, non solo di trasmissione, decisamente più facile, ma soprattutto di conservazione.In questo caso la cautela è d’obbligo: allo stato attuale, dieci anni sono un lasso di tempo lungo in relazione sia allo sviluppo tecnologico sia agli andamenti economico-finanziari. In altri termini, la società a cui sono affidate le nostre fatture elettroniche devono essere solide e tali da garantire sicurezza dei dati informatici e servizio di conservazione per un così lungo tempo. Inoltre, dobbiamo essere certi che sia possibile, e non proibitivo in termini di costo, estrarre i tracciati delle nostre fatture per affidarli eventualmente in conservazione ad altri soggetti più strutturati o a buon mercato.La circolare che ha chiarito almeno in parte i molti dubbi su questo nuovo strumento e sui destinatari dell’obbligo all’interno della PA è la 1/df del 9 marzo 2015 che, rinviando a norme del 2007, del 2009, del 2012 e del 2013, individua le seguenti categorie:1. amministrazioni dello stato;2. istituti e scuole di ogni ordine e grado;3. aziende dello stato a ordinamento autonomo;4. enti territoriali (Regioni, Provincie, Comuni);5. Università, Camere di commercio, istituti case popolari;6. amministrazioni ed enti del servizio sanitario nazionale;7. agenzia delle entrate e delle dogane;8. Coni (Comitato olimpico nazionale italiano).

Inoltre si considerano le amministrazioni indicate nell’elenco Istat annuale pubblicato entro il 30 settembre.

ERMANNO CERVONE Dottore commercialista ed esperto di fiscalità delle imprese. Amministratore delegato di un progetto internazionale biomedico (FER Hearth), si occupa di pratiche agevolate e di direzione e amministrazione nelle imprese. È direttore generale della Evam Spa, società di imbottigliamento di acque minerali.

IL FISCO DEL VENDITORE

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NON C’È PACE PER I FORNITORI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI, CHE DOVRANNO CONSERVARE LE FATTURE PER 10 ANNI IN FORMATO “XML”

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«HA UN INIBITORE DELLA POMPA?»

Visita di controllo dal gastroenterologo. M’ispira fiducia la dottoressa. Mi visita; i suoi colleghi, in-contrati finora, non l’avevano mai fatto. Poi si sie-de alla scrivania, e con la stessa naturalezza usata poco prima per chiedermi nome e cognome, mi domanda quali antibiotici ho preso nella mia vita. Snocciola qualche nome, mi pare: amoxicillina, cefalosporine, tetracicline. Mi sento colta in fallo, prendo raramente antibiotici, non ho tutta questa confidenza, non li conosco per nome. Colgo, nel

suo sguardo, malcelata sufficienza.Senza parlare, riempie due ricette di farmaci. Sembra voler colmare, subito e tutta, la mia lacuna. Mi suggerisce di dire al mio medico che non si spaventi per l’alto numero di pasticche prescritte. Ma forse è a me che dovrebbe dirlo. Bè, io mi sono già spaventata, dopo che mi ha chiesto se lavoro, se guido la macchina, e ha suggerito di prestare molta attenzione durante l’assunzione. Sono un po’ provata, ma non è finita. A bruciapelo, mi chiede: «In casa ha un ‘inibitore della pompa’?». Ora, chi non tiene in casa uno o più inibitori? Visualizzo il garage: valigie, un tubo di gomma per annaffiare, qualche cac-ciavite, una bici con relativa pompa. Nient’altro. Volendo attrezzarmi per il futuro, devo rivolgermi a una ferramenta o è meglio un’officina meccanica?

M’ispirava fiducia la dottoressa. Ha usato, però, una lingua che non conosco e non ha neanche parlato direttamente con me, ma al mio medico tramite me.Fine della fiducia.Esco, straccio le ricette e penso: ma se quello che dici non è comprensibile a chi lo dici, che senso ha?Le parole devono essere dei ponti non dei muri.

Per mestiere vendo. Ho subito pensato a quante volte noi che facciamo questo lavoro usiamo un linguaggio ricerca-

to, complicato, che ci rende più sicuri, ma che il nostro cliente fatica a comprendere o non capi-

sce per niente. Ho pensato a quanta distanza crei questa incomprensione, tra venditore e cliente. A volte siamo così concentrati nel mostrare quanto siamo bravi e preparati, che perdiamo di vista lo scopo principale del nostro lavoro, cioè poter essere una so-luzione ai problemi del cliente.Se il mio cliente non comprende il mio linguaggio, non posso aspettarmi che me lo dica apertamente, permettendomi così di correggere il tiro. Si limiterà a dire che non è interessato al mio prodotto o ser-vizio, e tantomeno a me. E, di nuovo, fine della fiducia.Poco importa se sono convinta di avergli proposto un buon prodotto o un buon servizio: non c’è futuro per nessuno. Ma mentre lui, il cliente, non saprà mai di aver perso un’opportunità, io da subito so di aver perso un cliente.

Le parole sono importanti, il linguaggio è im-portante, né troppo, né troppo poco. Il clien-te merita rispetto, sempre. Ed essere chiari, semplici ma esaustivi, è il modo migliore per mostrare rispetto al cliente e anche alla nostra professione. Come dice Giorgio Ar-mani: “L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”, e visto che, noi vendito-ri, non siamo così spesso ricordati per la nostra eleganza, proviamo a usarne un po’ per ridare lustro al nostro lavo-ro, così bello, così difficile e così poco apprezzato.

LAURA PILONI

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NEWS DAL MONDO (DELLA VENDITA)

92 - Vendere di più

A cura diVALERIA TONELLA

Crescono due volte più veloce-mente delle altre, e il numero di posti di lavoro creati aumen-ta di circa otto volte. Stiamo parlando delle piccole e medie imprese che hanno messo al centro delle loro attività le tec-nologie mobile, che hanno visto crescere del 50% le ricerche web da smartphone e ta-blet e che valutano que-sti strumenti respon-sabili delle loro entrate per una percentuale che va dall’11 al 45%.È tutto scritto nello studio The mobile re-volution: how mobile technologies drive a trillion-dollar impact.Avete letto bene: tre trilioni di dollari, cioè 3 mila miliardi di dollari. Tanto valgono gli appa-recchi mobili per le Pmi nei sei Paesi dove è stata condotta la ricerca (Sta-

LE AZIENDE “MOBILI” CRESCONO DUE VOLTE DI PIÙTECNOLOGIE

Vendere di più - 93

NEL PAESE DEL TÈ, LA START UP CHE VENDE4 MILA PACCHI DI CAFFÈ IN UN GIORNO

AZIENDE

In Inghilterra si bevono 70 milioni di tazze di caffè ogni giorno; per la maggior parte, però, si tratta di prodotti istantanei venduti al supermercato. Il “vero” caffè, torrefatto, è disponibile non così diffusamente. Eppure gli amanti della nera be-vanda ci sono, e sono parecchi. A loro si rivolge Pact Coffee, fortunata start up creata nel 2012 da un trentatreenne, Stephen Rapoport, che ha ben pensato di spedire pacchi di caffè coltivato in fat-torie di tutto il mondo via Royal Mail, con conse-gna espressa. «Ce lo facciamo arrivare e lo tostia-mo qui, nel nostro quartier generale di Londra. Se ordini prima dell’una, il caffè ti arriva la mattina dopo per colazione».Una delle sfide è stata vincere lo snobismo che la patria del tè sembra nutrire verso il caffè. «La gen-te in Inghilterra rinuncia a bere caffè perché pen-sa che non sia di qualità, o, se lo è, che sia troppo costoso. Ho voluto invece dimostrare che il caffè è facile da preparare e gradevole da bere (“easy to make, easy to drink”), e soprattutto che non è una bevanda “lussuosa”. Da patito del caffè, non pote-vo fare altrimenti».Vende? Vende. In un giorno “buono”, dice Rapo-port, i corrieri di Pact Coffee – che a Londra circo-lano in bicicletta per inquinare meno l’ambiente

– arrivano a consegnare oltre 4 mila pacchi, circa una tonnellata di prodotto.Con questi numeri, ne stanno parlando tutti.«Analizzando il mercato, si vede un potenziale il-limitato per un’azienda come la nostra. Siamo im-pegnati a diventare sempre più flessibili nel ser-vire il cliente, per rendere la customer experience sempre più piacevole. Natale e san Valentino sono due momenti importanti che vogliamo condivide-re con la community di Pact Coffee. Per san Valen-tino, ad esempio, abbiamo consegnato il caffè in speciali pochette rosse e avviato una campagna sui social sul tema “share your love”, invitando i clien-ti a lasciare dei messaggi carini sulle confezioni. C’è, poi, tutto il mercato degli uffici».Fonte: the Guardian

ti Uniti, Germania, Sud Corea, Brasile, Cina e India) e dove queste tecnologie hanno contri-buito, solo nel 2014, al 2-4% del Pil. Addirittura, in Corea del Sud questo dato sale all’11%.In tutto il mondo si sono aperti 11 milioni di posizioni; gli in-vestimenti sono raddoppiati;

IL CANDIDATO GIUSTO? TE LO TROVO CON L’ALGORITMOLAVORO

Cosa serve oggi per trovare lavoro? Le competen-ze? Anche. Ma soprattutto serve un algoritmo. Una “formula intelligente” che faccia incontrare domanda e offerta, per evitare che la montagna dei curriculum non letti arrivi al soffitto.La tendenza è questa: le aziende vanno in cerca di candidati, e non lo fanno più solo attraverso il “re” del networking professionale, Linkedin. Una soluzione alternativa viene da progetti come Jobyourlife, fondatore Andrea De Spirt, 25 anni: utilizza un algoritmo semantico che, con un siste-ma di selezione basato su requisiti professionali e geolocalizzazione, aiuta brand come Boston Consulting, Zara o Coin a trovare i candidati giu-sti. Jobyourlife conta oggi 300 mila utenti e 500 aziende iscritte. Non per niente lo chiamano il “Google dei cv”.Un centinaio di aziende e 4 mila utenti hanno in-vece scoperto Face4Job, che punta sui “videota-lent”: il candidato registra un video rispondendo ad alcune domande dei selezionatori, e, se fa una buona impressione, viene convocato per un collo-quio… sempre in streaming. Un’impronta tecno-logica al tradizionale incontro tra chi offre e chi domanda lavoro.Chi cerca un lavoretto poco impegnativo può ri-volgersi a Tabbid, portale con più di 11 mila iscrit-ti, 2 mila solo nel blog dedicato, che si servono di un sistema a mo’ di “banca del tempo”. Su ogni transazione l’azienda trattiene l’11% per il suo fi-nanziamento, ma, se condividi l’esperienza su Fa-

contenuti e app hanno gene-rato 530 miliardi di dollari lo scorso anno. Nel retail, le ven-dite di dispositivi mobili hanno fruttato 520 miliardi, e quelle registrate dai produttori am-montano a 450. I pagamenti mobile, nel 2014, hanno rag-giunto i 630 miliardi di dollari;

nel 2010 erano 210, un terzo. L’82% delle Pmi intervistate dice di aver guadagnato in flessibi-lità e agilità nel contat-to con i clienti, il 60% di considerare l’investi-mento nel settore una assoluta priorità.Senza contare che, en-tro il 2019, in Italia ogni persona disporrà di una media di tre di-spositivi mobile, contro i due del 2014, come ha previsto un’indagine Cisco.Fonte: digitalic.it

NEL 2014 È CRESCIUTO IL NUMERO DI RASSEGNE E DI ESPOSITORI

FIERE

Le fiere vanno, e vanno bene. Lo riporta l’Osservatorio di As-sociazione esposizioni e fiere italiane (Aefi). Nell’ultimo tri-mestre del 2014 è cresciuto il numero di manifestazioni (su 26 poli fieristici presi in esame, il 42,29% ha ospitato più di una rassegna, e il 50% ha organiz-zato le stesse dell’anno prece-dente); è aumentato il numero degli espositori (+20% rispetto alla fine del 2013), sia italiani (+42%) che stranieri (+15%); crescono anche le superfici oc-cupate (+12% rispetto al 2013). Positivi i dati sui flussi dei visi-tatori, che sono in aumento per più del 53% degli intervistati. Tra i visitatori, ci sono sempre più italiani, seguiti dagli euro-pei e da quelli provenienti da Paesi extraeuropei. Infine, solo

nell’ultimo trimestre 2014, il fatturato del settore fieristico ha segnato un saldo del +12%, decisamente incoraggiante ri-spetto al saldo di chiusura del 2013 che era pari a zero.«È in atto un processo di con-centrazione – ha dichiarato Et-

tore Riello, presidente Aefi, sul Sole 24 Ore – I poli espositivi più deboli scompariranno, e si concentrerà su quelli più com-petitivi. Del resto, se prendia-mo le fiere tedesche, sono meno della metà di quelle italiane».Fonte: Business Community

cebook, è gratis.Infine Egomnia, una piattaforma partita con un investimento (familiare) di 10 mila euro, e che, a tre anni dal lancio, conta 400 mila profili e quasi 900 aziende. Il successo è dato, anche in questo caso, da un algoritmo che classifica i candidati in base a un punteggio, calcolato su esperienze e competenze. Come avviene per il “pagerank” di Google.Fonte: Wired

AGENDA

94 - Vendere di più

EVENTI, FORMAZIONE E APPUNTAMENTI CON LA VENDITA

MAGGIO-GIUGNO 2015

Vuoi inserire il tuo corso o evento nell’agenda di V+? Scrivi a [email protected]

MAGGIO1-3 maggioCANTALUPA (TO)Memoria Prodigiosa Livewww.matteosalvo.com

7 maggioPESAROLeadership Seminarwww.hrdonline.it

9 maggioMILANOCrea te stessawww.extraordinary.it

12 maggioPESCARAIl potere del cambiamentowww.hrdonline.it

15 maggioBOLOGNAPNL Practitionerwww.hrdonline.it

15-17 maggioROMAMemoria Prodigiosa Livewww.matteosalvo.com

21 maggioMILANOTime Managementwww.gustav-kaeser.com

21-23 maggioMILANOComunicare in pubblicostraordinariamentewww.extraordinary.it

22-24 maggioPADOVAMemoria Prodigiosa Livewww.matteosalvo.com

27-29 maggioMILANOLeadership Training for Managerswww.dalecarnegie.it

28 maggioBOLOGNAPNL Master Practitionerwww.hrdonline.it

30 maggio-2 giugnoRIMINIDinamiche a Spirale Livello 1www.extraordinary.it

GIUGNO4-6 giugnoRIMINIDinamiche a Spirale Livello 2www.extraordinary.it

6 giugnoROMAVendita: la settima rivoluzionewww.performancestrategies.it

8 giugnoMILANOManagementwww.gustav-kaeser.com

11 giugnoMILANOVendita - Negoziazionewww.gustav-kaeser.com

13 giugnoBOLOGNAVendita: la settima rivoluzionewww.performancestrategies.it

14-20 giugnoCANTALUPA (TO)Memo Kid Campwww.matteosalvo.com

18 giugnoBOLOGNAEagleswww.hrdonline.it

3A cura diSTEFANIA AMODEO

Head of Marketing Italy Falkensteiner Hotels & Residences - FMTG Group

ARMANDO DONAZZAN 2

46810

579

1Quali sono le prerogative su cui si fonda il gruppo e che ri-specchiano la sua personalità?Inventiva, audacia, passione, velo-cità.

Cosa si aspetta Orange 1 da un collaboratore?Importante è che osservi il “codi-ce etico”, una carta condivisa che manifesta i valori del gruppo. Alla base c’è la capacità di generare e sviluppare rapporti di fiducia con gli stakeholder. Un nostro colla-boratore è in grado di lasciare un segno indelebile, è un esempio di determinazione e di concretezza.

A cosa tiene di più Armando Donazzan?Alla Persona. Al progetto di vita che ogni individuo può realizzare utilizzando anima, corpo e cervello. Dare il massimo a se stessi, fare il massimo per gli altri con la dignità di chi esegue il proprio compito con responsabilità.

In questo progetto come si inse-risce la formazione?Tendere all’obiettivo significa anche e soprattutto procurare a se stessi e all’azienda gli strumenti giusti per riuscirci. Conoscere a fondo aiuta a “produrre soluzioni” in tempi e metodi che altri player vorrebbero eguagliare.

Ma che tipo di persona deve es-sere la perfetta risorsa umana?Noi amiamo ciò che facciamo, lavo-riamo con passione, siamo capaci di sacrificio. Ottimismo, ambizione, spirito di iniziativa, lavoro di squa-dra. Entrare nel gruppo significa es-sere accreditati come professionisti nel mondo del lavoro internaziona-le.

Un progetto a cui tiene?Trasformare sempre di più l’azien-da, organismo vivente, in una “co-munità d’impresa”, dando spazio ad ascolto e partecipazione, offren-do opportunità di crescita e soprat-tutto un ambiente in cui ci senta accolti. Key Word: benessere.

Un consiglio?Il mercato globalizzato è competi-tivo. È necessario entrare in azione senza esitazioni per offrire al nostro giorno l’opportunità di trascendere il ritmo inflessibile del tempo.

Bisogna lavorare per quale fine? Cosa porta al successo?Lavorare per assicurarsi un’alta qualità di vita non è un fine. Il suc-cesso si ottiene amando ciò che si fa alla radice, quando ti alzi al mattino e ti senti parte di un progetto più ampio. L’effetto di questa condotta è il miglioramento della qualità di vita, non la meta.

Come Orange 1 conquista il cliente?Anticipandone le esigenze, cammi-nando verso il futuro mettendoci un piede per primi, adottando un passo deciso e sicuro.

Un motto vincente.“Cavalcare il tempo” esemplifica perfettamente la nostra mission. Al galoppo sul prato del futuro per ve-dere lontano e oltre la montagna.

10 DOMANDE A...

96 - Vendere di più

AD del gruppo Orange 1, produttori in Europa di motori asincroni

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Il sistema Infinty Pass nasce per aiutare le aziende a:

• vendere di più• fidelizzare di più• ottenere rendite automatiche

COME DARE UN ALTO VALORE PERCEPITO CON UN BASSO INVESTIMENTO

Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo”

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L’ANNUNCIOUna ragazza cerca marito su un sito di incontri, e...

Cameriere, scusi: potrei avere un bicchiere di acqua?

Un po’ di buonumore

Si tenga! Sono le oscillazioni del mercato...

sicuro di aver fatto tutto il possibile per arrivare in tempo?

L’annuncio di leiSono una ragazza bella, anzi bellissima, di 28 anni. Sono intelligente e ho molta classe. Vorrei sposarmi con qualcuno che guadagni minimo mezzo milione di dollari l’anno. Ho già avuto re-lazioni con uomini che guadagnavano 200 o 250 mila dollari, ma vorrei di più. Conosco una signo-ra che fa yoga con me, che ha sposato un ricco banchiere e vive a Tribeca, non è bella quanto me e nemmeno tanto intelligente. Perché non ci rie-sco?

La risposta di un brokerNon sto rubando il suo tempo, dato che guada-gno 500 mila dollari l’anno. Quello che lei offre è semplicemente un pessimo affare. Offre la sua bellezza fisica e io ci metto i miei soldi. Ma la sua

bellezza diminuirà poco a poco e un giorno sva-nirà, mentre è molto probabile che il mio conto bancario aumenterà continuamente. Dunque, in termini economici, lei è un attivo che soffre di de-prezzamento, mentre io sono un attivo che rende dividendi. Lei non solo soffre un deprezzamento, ma è progressivo e aumenta ogni anno! In termini di mercato, oggi è ben quotata, nell’epoca ideale per essere venduta, non per essere comprata. Il matrimonio con lei non è un buon affare a me-dio/lungo termine. In compenso, affittarla per un periodo può essere un affare ragionevole. Anzi, pensandoci meglio, per assicurarmi quanto intel-ligente, di classe e bellissima lei sia, essendo io futuro “affittuario” di tale “macchina”, richiedo ciò che è di prassi: fare un test drive. La prego di sta-bilire data e ora. Cordialmente, il suo investitore.

Buttatevi in picchiata se vedete un nuovo mercato!

800 832 815