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LP laboratoriopubblico se ripercorriamo la storia dell’umanità / caso antenna, catapano sapeva dagli atti emerge che il sindaco era a conoscen- za dell’installazione del nuovo ripetitore / quanto è trasparente il comune? approvato il regolamento che rende pubblici gli stipendi dei politici / commento consiglio / quindici nuovi sangiuseppesi come se la passano i rifugiati abbandonati dalle istituzioni / la riconvesione dei tracciati ferroviari: un’opportunità di crescita / i fondi strutturali europei: uno strumento per rilanciare le regioni del sud / cineforum / liberazione vesuviana il 25 aprile raccontata dalla penna di un testimone / il fotovoltaico traina la crescita delle rinnovabili in italia / e-cig, leggere attentamente il foglio illustrativo attuali divieti nel mondo e prospettive future della sigaretta elettronica / la strage “lenta” da esposizione alla diossina / ombre cinesi anno I - n.due riqualificazione / sviluppo / territorio

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LPlaboratoriopubblico

se ripercorriamo la storia dell’umanità / caso antenna, catapano sapeva dagli atti emerge che il sindaco era a conoscen-za dell’installazione del nuovo ripetitore / quanto è trasparente il comune? approvato il regolamento che rende pubblici gli stipendi dei politici / commento consiglio / quindici nuovi sangiuseppesi come se la passano i rifugiati abbandonati dalle istituzioni / la riconvesione dei tracciati ferroviari: un’opportunità di crescita / i fondi strutturali europei: uno strumento per rilanciare le regioni del sud / cineforum / liberazione vesuviana il 25 aprile raccontata dalla penna di un testimone / il fotovoltaico traina la crescita delle rinnovabili in italia / e-cig, leggere attentamente il foglio illustrativo attuali divieti nel mondo e prospettive future della sigaretta elettronica / la strage “lenta” da esposizione alla diossina / ombre cinesi

anno I - n.due

riqualificazione / sviluppo / territorio

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tutte o quasi le maggiori città hanno avuto dei periodi di splendore seguiti da altri di decadenza. Alcune hanno saputo ritrovare la spinta propulsiva per riacquistare gli antichi fasti, altre invece non hanno saputo reagire di fronte ai periodi di crisi fisiologici che colpiscono gli stati e le rispettive metropoli. Tutte quelle che ce l’hanno fatta, hanno avuto come stella polare la riqualificazione territo-riale.

Fabbriche dismesse, aree abbandonate, luoghi pubblici lasciati all’incuria e al degrado, sono il segnale evidente del decadimento di una comu-nità. Per di più, si prestano a far da base sicura a criminali e spacciatori, e a diventare discariche a cielo aperto. Intervenire radicalmente su queste aree, significa non solo restituire ai cittadini uno spazio per vari tipi di attività, che possono essere sportive, culturali, abitative, ma anche aumen-tarne la sicurezza. Una volta riqualificate, vengono vissute e controllate dai cittadini stessi. In socio-logia la chiamano la teoria delle finestre rotte: se un teppista danneggia la finestra di un palazzo e questa non viene riparata in breve tempo, è molto probabile che a quel danno se ne aggiungeranno altri fino a rendere l’intero quartiere insicuro. Se invece la teoria viene applicata al contrario, gli abitanti tendono a uniformarsi al “nuovo corso” e a rispettare gli ambienti e gli spazi che gli vengono messi a disposizione.

Camminando per le cittadine dell’area vesuviana è facile imbattersi in zone dove l’incuria ha deter-minato un crollo evidente della qualità della vita e della bellezza di aree che se riqualificate po-trebbero dar lustro ai comuni che ne dispongono. Nell’area della pineta di Terzigno, per esempio,

erano stati creati dei percorsi ad hoc per chi amava correre, passeggiare o semplicemente trascorrere una giornata all’aria aperta. L’intera zona era stata ripulita, era stata creata un’area giochi per i più piccoli, i vigili urbani si recavano costantemente a controllare che tutto fosse in ordine. Chi ci va oggi, trova quei sentieri pieni di spazzatura, quei percor-si con le assi divelte o bruciate, quell’area giochi abbandonata al tempo che passa e alle intemperie.

A San Giuseppe Vesuviano, qualche timido seg-nale di recupero c’è stato. L’ex asilo Croce Rossa è stato inaugurato dai commissari prefettizi, ma ha bisogno ancora di essere terminato per essere restituito alla cittadinanza. Al palazzetto dello sport, teatro negli anni Ottanta dei successi della pal-lavolo locale e di incontri di pugilato valevoli per il titolo mondiale, sono stati fatti dei lavori, ma non è ancora agibile, impedendo così la fondazione di associazioni sportive che possano svolgere attività al proprio interno. Per non parlare dello stadio comunale, vittima anche di una disputa legale irrisolta.

Qualche giorno fa dalla pagina ufficiale Facebook si è venuto a sapere che il comune ha ottenuto 700.000 euro per l’ammodernamento dell’asilo di Piano del Principe. Questa è un’opportunità da non lasciarsi scappare. Purtroppo le amministrazioni comunali e regionali campane che si sono suc-cedute negli anni, non hanno saputo sfruttare ap-pieno le occasioni concesse dai miliardi di fondi eu-ropei stanziati per le aree depresse, sfruttandone una piccola parte. San Giuseppe Vesuviano non fa eccezione e detiene, anzi, un triste primato negati-vo. Fino a oggi, nessun progetto di riqualificazione ottenuto con fondi comunitari è stato realizzato.

La scadenza ultima per ottenere i finanziamenti è quest’anno, il 2013, anche se si parla di una proro-ga fino al 2020.

Il sindaco Catapano ha avuto come slogan della campagna elettorale la discontinuità col passato, sostenendo la profonda differenza di approccio alla cosa pubblica che ci sarebbe stata tra la sua amministrazione e quella di Antonio Agosti-no Ambrosio. Ebbene, quale occasione migliore di dimostrarlo se non attraverso interventi che tendano al cambiamento profondo e sostanziale di una cittadina che sta sprofondando nell’incuria e nel degrado urbanistico e ambientale? Fa bene questa amministrazione ad avere un occhio vigile sulla raccolta differenziata (stando attenta a non creare un clima di terrore, ma di collaborazione attiva e consapevole), ma non basta. Se si vuole far davvero rinascere questa città, c’è bisogno di un progetto completo e organico che comprenda non solo il centro, ma tutti i quartieri, soprattutto quelli periferici.

Con lo spostamento di molte attività al Cis di Nola, se non in altri luoghi della Campania o dell’Italia, San Giuseppe Vesuviano ha perso per strada parte delle proprie caratteristiche che la contra-ddistinguevano fin dalla sua nascita, diventando da zona industriale e commerciale a residenziale. Questo cambiamento ha fatto perdere parte di quella vivacità che il paese aveva fino alla fine del secolo scorso, proprio perché chi ci ha governato non ha saputo o voluto affrontarlo. E’ arrivato il momento di rimboccarsi le maniche.

Biagio Ammirati

Se ripercorriamo la storia dell’umanità,

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È il 6 ottobre 2011 quando la Vodafone s.p.a. invia la richiesta al Comune per l’installazione dell’an-tenna. A questa segue una serie di documentazi-oni che garantiscono la possibilità di installare l’antenna nel luogo scelto. Mi riferisco al parere favorevole rilasciato dall’Arpac, all’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune e l’autorizzazi-one sismica rilasciata dal Genio Civile di Napoli. Il 23 novembre 2012 la Vodafone s.p.a invia al comune la comunicazione di inizio lavori corredan-dola di tutta la documentazione necessaria. Pochi giorni dopo, precisamente il 26 novembre, venen-do a conoscenza della problematica, il Collettivo Vocenueva invia una nota alla Commissione prefettizia e al sindaco in pectore al fine di otte-nere dei chiarimenti. A seguito di questo sollecito il responsabile del servizio, l’ingegnere Gustavo Anaclerio, invita la Vodafone s.p.a a fornire idonea documentazione comprovate la conformità di quan-to realizzato con il progetto approvato dall’Arpac ed il rispetto dei limiti dell’impatto elettromagnetico. Il 4 dicembre il neo sindaco Vincenzo Catapano appone una nota a penna all’atto presentato dal Collettivo Vocenueva invitando il responsabile del servizio a sospendere il progetto nel rispetto di ogni normativa vigente, ma al Collettivo Vocenue-va non viene data alcun tipo di comunicazione. Dopo una settimana, l’ingegnere comunale invia al sindaco una circolare, nella quale conferma che la Vodafone s.p.a. ha presentato tutta la docu-mentazione necessaria e avvisa che ha invitato la stessa società e l’Arpac a fornire la documentazi-one comprovate la conformità di quanto realizzato con il progetto approvato e il rispetto dei limiti dell’impatto elettromagnetico. Il 17 dicembre 2012, non avendo ricevuto alcuna risposta, il gruppo consiliare Vocenueva Libera PD presenta una

interpellanza chiedendo chiarimenti sull’iter segui-to dalla Vodafone s.p.a.. Il primo febbraio 2013 è l’Arpac ad affermare che il tutto si sta svolgendo nel rispetto della normativa vigente e dopo qual-che giorno il nuovo responsabile del servizio, il geometra Arturo Vanessa, chiede di effettuare le rilevazioni delle onde elettromagnetiche prima e dopo l’installazione. Sta di fatto che tra il 21 e il 23 febbraio, approfittando del silenzio-assenso, il “mostro” compare tra lo sbigottimento della gente, che, preoccupata, chiede al sindaco un incontro. Il 27 febbraio i cittadini di via Ceschelli vengono ricevuti nella sala consiliare. Il sindaco afferma di non essere a conoscenza della questione e di chiedere subito la sospensione dei lavori per la realizzazione dell’antenna e l’avvio del procedi-mento finalizzato all’annullamento e/o revoca del provvedimento silenzioso formatosi con la comuni-cazione di inizio lavori. Nella seconda riunione (6 marzo) il sindaco afferma di essere a conoscenza della questione e dichiara che il 4 dicembre 2012 ha chiesto all’ingegnere incaricato di provvedere alla sospensione del procedimento. A tutta questa serie di atti segue l’invito al comando della polizia municipale a verificare il rispetto di quanto disposto nell’atto della sospensione e di fermare qualsiasi intervento volto a mettere in funzione il ripetitore.

Si può ben notare che le contraddizioni sono abbastanza evidenti. Durante la prima riunione il sindaco ha affermato di non essere a conoscenza del problema; durante la seconda riunione, invece, ha affermato che il 4 dicembre 2012 ha invitato il responsabile del servizio a sospendere il proced-imento. Questa richiesta non è stata protocollata, ma come detto in precedenza è presente sola-mente una nota a penna sotto l’atto presentato dal

Collettivo Vocenueva il 26 novembre 2012. A ciò si aggiunge che non è stata data alcuna informazione al Collettivo Vocenueva, né ai consiglieri comunali Agostino Casillo e Antonio Borriello. Avendo scritto quella nota il 4 dicembre 2012 in maniera piuttosto irrituale, perché l’11 dicembre 2012 quando gli è stata inviata la comunicazione dal responsabile del servizio, Gustavo Anaclerio, il sindaco non si è preoccupato di ottenere informazioni circa la sospensione? E soprattutto, non avendo ricevuto alcun tipo di atto relativo alla sospensione, perché non ha provveduto a sollecitare il responsabile? Vanessa, il nuovo responsabile del servizio, il 6 febbraio 2013, prima di richiedere le verifiche circa l’emissione delle onde elettromagnetiche dell’im-pianto, ha controllato tutta la documentazione precedente? Ha chiesto spiegazioni su quella nota scritta a penna? Se lo ha fatto, quali risposte ha ricevuto?

Va anche detto che un regolamento è stato appena approvato in consiglio comunale, ma le numer-ose sentenze del Consiglio di Stato ci insegnano che questi regolamenti che individuano delle aree senza alcuna base tecnica sono alquanto inutili. Due possono essere le strade da seguire: si può provvedere ad aprire dei tavoli con le compagnie telefoniche o si può procedere alla redazione di Piani di localizzazione. Visto che la seconda soluz-ione comporta dei costi ingenti da parte dell’am-ministrazione, si può intraprendere il percorso dei protocolli d’intesa al fine di salvaguardare la salute dei cittadini, contenere le spese e garantire la gius-ta copertura della rete.

Pasqualina Russo

Caso antenna, Catapano sapeva Dagli atti emerge che il sindaco era a conoscenza dell’installazione del nuovo ripetitore

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Il 18 febbraio scorso, il Consiglio comunale ha approvato il “Regolamento per la disciplina inte-grata dei controlli interni”. Il regolamento introduce alcune procedure che l’Ente comunale è tenuto ad osservare nell’esercizio della funzione ammin-istrativa (controllo strategico, di gestione, conta-bile, di bilancio, sulla qualità dei servizi erogati e sull’operato dei dirigenti). Al di là dei tecnicismi, il regolamento dovrebbe rendere più efficiente e trasparente la funzione operativa della cosa pub-blica. E’ interessante però leggere quanto previsto dall’art.2, che ribadisce quanto già indicato dall’art. 41bis del Testo Unico degli Enti locali: il sindaco, gli assessori e i consiglieri comunali sono tenuti a presentare all’inizio del mandato una dichiarazione che contenga i dati reddituali e patrimoniali, incluse quote societarie, titoli azionari e obbligazionari. Con l’approvazione del regolamento, il termine per la presentazione è stato prorogato al trentesimo giorno successivo alla sua entrata in vigore. I dati saranno poi pubblicati sul sito internet del Comune, nella sezione “Trasparenza, valutazione e meri-to”. La legge prevede inoltre una sanzione fino a 20.000 euro per gli amministratori che si sottrarran-no all’obbligo.

Il Consiglio comunale ha accolto il regolamento con il voto favorevole di tutti i consiglieri, ad ec-cezione di Antonio Ambrosio e di Antonio Agostino

Ambrosio del Pdl. Nel corso della discussione che ha preceduto la votazione consiliare, il sindaco Catapano e l’ex Ambrosio sono stati, forse per la prima volta dall’inizio di questa legislatura, in per-fetta sintonia. Entrambi hanno fortemente criticato l’impianto stesso della legge, definendola “feroce”, “violenta”, “cattiva”, questo perché, secondo il primo cittadino, risponderebbe “al vento di anti-po-litica” e ad altro non servirebbe che “a rendere più soporifero il popolo” (sic!). L’attuale sindaco e l’ex, quindi, considerano un peso una norma che intro-duce maggiori controlli, puntando a rendere più ef-ficiente e trasparente la macchina amministrativa. Eppure, molti paesi europei prevedono procedure di verifica dell’azione politica e burocratica negli enti locali ben più stringenti. Per non parlare degli obblighi di trasparenza, anche reddituale, di chi ricopre un incarico pubblico. L’Italia, anche se in ritardo, non fa altro che uniformarsi ad un insieme di prassi considerate acquisite altrove. Quelle stesse prassi che forse, se adottate in precedenza, avrebbero già risposto alla richiesta di maggiore moralità nella gestione della cosa pubblica che è stata benzina nel motore della comunicazione grill-ina. Ma non sorprende che politici come Catapano e Ambrosio manifestino comune fastidio per un sistema di controllo della loro azione politica.

Al momento in cui questo mensile va in stampa,

mancano le dichiarazioni dei consiglieri di mino-ranza Santorelli, Zurino e Antonio Ambrosio. Per la maggioranza, invece, non pervenute quelle dei consiglieri Ghirelli, Ementato, Carillo, Archetti e Parente. Presentante, invece, le attestazioni del sindaco (12.665 euro lordi nel 2011), del Presiden-te del Consiglio De Lorenzo (13.767), del vicesin-daco Leone (11.982) e degli altri assessori Andreoli (19.282), Ferraro (36.522), Miranda (15.650). Man-ca la dichiarazione dell’assessore Gino Ambrosio. Il consigliere comunale più ricco, senza sorprese, è Antonio Agostino Ambrosio (106.000 euro lordi come compenso da Primario all’Ospedale di Nola, un patrimonio mobiliare pari a circa 1,6 milioni più la proprietà del 50% di un appartamento con garage e diversi fondi agricoli).

E’ auspicabile che i cittadini siano sempre più sen-sibili a queste tematiche e facciano pressione sulla classe politica affinché ci sia sempre maggiore accessibilità e diffusione delle informazioni e degli atti amministrativi. Ad esempio il bilancio comunale che, nonostante sia stata creata un’apposita sezi-one nel portale web dell’Ente, ad oggi non risulta ancora stato reso disponibile per gli utenti-cittadini.

Jack Torrance

Quanto è trasparente il Comune? Approvato il regolamento che rende pubblici i redditi dei politici

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Il 28 febbraio scorso si è concretizzato quello che è stato battezzato come il paradosso dell’ospitalità all’italiana: il Ministero dell’Interno ha reso esecu-tivo lo sgombero di tutti i centri di assistenza per richiedenti asilo (i cosiddetti Cara) tra cui anche l’albergo ex Lord Byron di San Giuseppe Vesuvi-ano. Ai 56 ospiti del centro, dopo quasi 2 anni di accoglienza con tanto di vitto e alloggio, sono stati consegnati 500 euro di “buonuscita”, il tutto con un preavviso di pochi giorni e senza dar loro indicazi-oni. Un terzo dei rifugiati ha incassato la modesta somma di denaro e ha lasciato il suolo italiano per recarsi in Francia, Belgio e Germania; un altro 30%, composto da malati e famiglie, ha benefi-ciato di una piccola dilazione di tempo prima di dover abbandonare l’albergo alla volta di non si sa quale destinazione; la restante parte, appena 15 ragazzi, ha deciso di affrontare la sfida di rimanere

qui per cercare un lavoro e provare a iniziare una nuova vita dopo anni di fuga da guerra, peripezie e sofferenze.

La prova si è dimostrata subito molto ardua. Senza il benché minimo interesse da parte dell’amminis-trazione comunale, in soccorso dei 15 ex rifugiati sono intervenute le associazioni cattoliche e laiche sangiuseppesi. Il programma di sostegno si è con-cretizzato in una prima fase in cui sono stati aiutati a trovare gli alloggi, i complementi d’arredo nec-essari per la vita quotidiana, letti, tavoli e sedie ed è stato fornito loro il vitto; nella seconda fase si è provveduto a insegnare ai ragazzi come utilizzare la cucina e la lavatrice, azioni fondamentali per ini-ziare a vivere autonomamente. Al momento, però, solo 5 su 15 sono occupati quasi quotidianamente, mentre gli altri si adattano a fare lavori saltuari.

Le associazioni sangiuseppesi hanno dimostrato ancora una volta di essere presenti quando bi-sogna portare aiuto al prossimo. Purtroppo va con-statata la totale assenza della nuova amministrazi-one comunale per tutta la durata dell’emergenza. Gli immigrati sono stati abbandonati al loro destino dalle istituzioni comunali che avrebbero dovuto dare un supporto fattivo di fronte a un’emergenza che avrebbe potuto trasformare questi ragazzi in senzatetto, col rischio di trovarci di fronte a seri problemi di ordine pubblico. Si sarebbero potuti, ad esempio, organizzare incontri per favorire l’inte-grazione sociale. Ma d’altronde si sa, gli extraco-munitari non portano voti.

Luigi Maria Pesce

Quindici nuovi sangiuseppesi Come se la passano i rifugiati abbandonati dalle istituzioni

In quattro mesi non si cambia il volto di una città, tantomeno di un paese come San Giuseppe Vesu-viano afflitto dai problemi enormi che tutti conos-ciamo. Tuttavia, si possono e si devono dare da subito dei segnali di cambiamento. L’amministrazi-one Catapano in questo inizio di legislatura ha dato dei segnali, ma tutti in linea ed in chiara continuità con la vecchia mala politica di cui hanno fatto parte molti uomini dell’attuale maggioranza, compreso il primo cittadino. Si potrebbe fare del facile umor-ismo sui segnali stradali installati e subito dopo rimossi come metafora della confusione dell’am-ministrazione, ma preferisco affrontare questioni più importanti.

Nell’ultimo consiglio comunale del 25 marzo il sindaco ha presentato le linee programmatiche che dovrebbero ispirare la sua azione politica. Mentre parlava di trasparenza, dimenticava che alla prima occasione in cui avrebbe potuto marcare disconti-nuità col passato ha ignorato la nostra proposta di sorteggio degli scrutatori per le elezioni politiche e ha nominato, come al solito, gli amici degli amici. Lo smemorato, inoltre, parlando di tagli di spesa sorvolava sul fatto che nei primi giorni ha assunto ben tre risorse nel suo staff che costeranno ai citta-

dini decine di migliaia di euro all’anno.

Anche sul tema della partecipazione alla vita della comunità i proclami del sindaco sono risultati in palese contrasto con gli strumenti fino a qui messi in campo. Su questo punto la risposta la stanno dando i cittadini che ormai disertano la riunione del mercoledì in cui l’amministrazione non fa altro che comunicare le proprie intenzioni ed al massimo rispondere a qualche richiesta dal pubblico con un approssimativo “lo faremo”. L’obiettivo che voglia-mo raggiungere è, invece, quel bilancio partecipato attraverso il quale i cittadini potrebbero decidere democraticamente come impiegare le risorse finanziarie del comune. Dai banchi dell’opposizione abbiamo lanciato la proposta, ora l’amministrazi-one risponda con i fatti.

Un generico “lo faremo” lo abbiamo ascoltato an-che in seguito all’interpellanza che abbiamo pres-entato nello stesso consiglio comunale sulla grave situazione del quartiere Piano del Principe dove regolarmente vengono sversati e dati alle fiamme rifiuti speciali. Alla nostra richiesta di intensificare il controllo del territorio con pattugliamenti frequenti, di completare il sistema di videosorveglianza e di

illuminazione non è seguito alcun impegno in tempi certi.

Un dato importante emerso dal consiglio comu-nale è l’ammissione da parte del sindaco e della maggioranza del ritardo con cui si sono mossi sulla questione ripetitore Vodafone. Tuttavia, grazie alla battaglia che stiamo portando avanti con i cittadini di Via Ceschelli e non solo, siamo riusciti a otte-nere l’approvazione di un regolamento comunale sull’installazione di antenne per la telefonia mobile. Un intervento sicuramente non risolutivo, data la prevalenza della normativa nazionale, ma comun-que una base su cui lavorare.

In questi primi quattro mesi abbiamo voluto dare il nostro segnale ai cittadini su come svolgeremo il ruolo di opposizione. Continueremo a portare i problemi dei quartieri, delle famiglie e delle im-prese in consiglio comunale e avanzeremo le nostre proposte per risolverli. Metteremo la mag-gioranza di fronte alle proprie responsabilità e alle tante promesse fatte in campagna elettorale, sfidandola ancora sul terreno della politica.

Agostino Casillo

Segnali di fumo I primi passi di un’amministrazione in continuità con il passato

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Nel corso degli ultimi vent’anni, il patrimonio insito nelle reti ferroviarie dismesse è diventato oggetto di una rinnovata attenzione, dato l’enorme poten-ziale socio-culturale e urbano che rappresentano. La loro riconversione offre la possibilità di riqualifi-care e riconsegnare alla comunità ampie porzioni di città e di territorio. L’esempio presente nel Comune di San Giuseppe Vesuviano, città sfregiata dal passaggio di una linea ferroviaria statale ormai non più necessaria e abbandonata a se stessa, è visibile a tutti: un “non-luogo” che rappresenta la sintesi di un siste-ma gestionale incapace di creare poli attrattivi sia in termini socio-culturali che economici. Dato ques-to per assodato, c’è da riflettere sul fatto che questi spazi “fintamente pubblici” possano trasformarsi nell’asse sul quale fondare l’idea di cambiamento radicale, rivalutando queste aree così da destinare e riconsegnare interamente alle comunità locali nuove forme di urbanizzazione. Le riconversioni si presentano come l’opportunità per poter donare, attraverso la progettazione di nuovi spazi pubblici, una nuova identità alle città eliminando le obso-lete antropizzazioni e progettando spazi a misura d’uomo. Iniziative tali sono state già portate avanti con successo laddove ci sia stata la volontà pubblica di ridare lustro ad aree ormai in declino, dove ci si è resi conto che una riconversione di aree decadenti o abbandonate era diventata inevitabile. Possono

essere richiamati casi emblematici come New York, Parigi, Chicago, dove, attraverso il concetto di recupero sostenibile, è stato possibile da parte dell’intera comunità riappropriarsi di aree comuni e consolidare i rapporti socio-culturali. Nel recente passato la nostra linea ferroviaria, che parte da Torre Annunziata e arriva a Cancello, è stata oggetto di interesse da parte delle associ-azioni politiche e culturali per la realizzazione di una lunga pista ciclabile dedicata al collegamento di tutti i paesi che attraversa, riscontrando però l’immane difficoltà nella realizzazione a causa della necessaria sinergia tra i comuni interessati e alla essenziale sostenibilità economica dell’opera stessa una volta ultimata. E’ in questo contesto che la proposta di realizzare solo una porzione di tale tracciato rende l’operazione più snella dal punto di vista burocratico e più sostenibile dal punto di vista economico. L’intera area della stazione delle ferrovie dello sta-to di San Giuseppe Vesuviano può essere oggetto di una riqualificazione urbana di circa 2000 mq. Le ipotesi progettuali che abbiamo promosso e pre-sentato il 24 marzo 2012 nella sede del Collettivo Vocenueva nel corso dell’evento 2Q12 prevedono una serie di interventi mirati al recupero sosteni-bile, attraverso la realizzazione di un percorso pedonale che circoscriva l’intera area. L’obiettivo è favorire l’adesione alla disciplina podistica pre-sente sul territorio, predisponendo uno specifico

arredo urbano tale da ricreare l’idea di una palestra all’aperto. A questo va aggiunto l’inserimento di aree destinate ad orti sociali che possono avere un ruolo importante nella società come luoghi di incontro e di integrazione tra giovani ed anziani, scolaresche, famiglie, lavoratori, disoccupati, persone di diversa origine e nazionalità, ma so-prattutto per dare una sostenibilità concreta di tipo economico-ambientale all’area. Inoltre, è possibile dedicare aree da destinare alla personalizzazione urbana mediante un’area murales dove esprim-ere la propria creatività. Tutto questo deve essere supportato da una reale sostenibilità economica basata sulla riconversione dei fabbricati in disuso per la creazione di attività di ristoro, culturali e organizzative, così da auto-promuovere lo sviluppo del settore edilizio-commerciale presente dell’in-tera zona. Si può così immaginare di sostituire binari morti, erbacce, una discarica a cielo aperto in un quadro fatto di verde, di specie arboree autoctone e final-mente un posto dove ritrovare la gioia di ridefinirsi cittadini. Migliorarsi, si può?

Antonio AmaroAntonio Carillo

Francesco ChiocchettiAndrea Giordano Buono

La riconversione dei tracciati ferroviari: un’opportunità di crescita

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“Per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme della Comunità, questa sviluppa e persegue la propria azione intesa a realiz-zare il rafforzamento della sua coesione eco-nomica e sociale. In particolare la Comunità mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite o insulari, comprese le zone rurali”. Articolo 158 Trattato Unione Europea

Dal questo estratto del trattato Ue risulta chiaro che all’epoca della stesura del testo la scelta ricadde su un approccio che mira-va alla riduzione dei divari come paradigma economico-sociale dell’Unione. Cosa non affatto scontata dato il peso politico di nazioni che soffrivano e soffrono molto meno di noi gli squilibri economici fra le proprie regioni. Da qui nasce la politica di coesione europea e i conseguenti strumenti per metterla in atto, ovvero i fondi strutturali.

Molto spesso in Italia la discussione su questo tema si riduce al racconto degli errori e dei ritardi nell’uso delle risorse e talvolta su alcuni scandali che hanno messo in luce delle irregolarità. Tutto ciò ha generato luoghi comuni e false credenze che ovviamente alimentano l’euroscetticismo. Ricordiamo tutti le infelici uscite di un leader politico oggi in auge, Beppe Grillo, che si recò a Strasburgo per chiedere all’Europa di estromettere l’Italia da queste dotazioni finanziarie perché non facevano altro che alimentare la corruzione.

Per rispondere a queste superficiali affermazi-oni basta pensare che il nostro Paese, grazie ai fondi europei, ha beneficiato di circa 27,4 miliardi di euro nel periodo 2000- 2006 e di 29 miliardi nel periodo 2007-2013, di cui la gran parte impiagati nelle regioni del Sud. Secon-do i dati della Commissione europea, grazie ai fondi circa 20.000 imprese nelle regioni dell’Italia meridionale e 15.000 Pmi in tutto il resto della penisola hanno ricevuto un sosteg-no. Tra le altre cose, sono stati realizzati importanti progetti di riqualificazione urbana, modernizzati 350 km di strade ferrate, costru-iti 690 km di strade, creati 63 nuovi impianti di smaltimento dei rifiuti.

Insomma, non possiamo permetterci, ancor più in un momento di grave crisi economica, di rinunciare a queste opportunità. Certo bisogna fare meglio ed aumentare l’effica-

cia nell’impiego dei soldi pubblici. La nuova programmazione 2014-2020 che pone le sue basi sul documento Europa 2020, mette in campo una quota inferiore di risorse rispetto alla passata programmazione ma fissando alcuni obiettivi ambiziosi rimette al centro lo sviluppo locale a partire dalle regioni, le città e i comuni.

Ci sono comunità piccole e grandi che hanno saputo avviare processi virtuosi di crescita socio economica dei propri territori grazie ai fondi europei. Mi piace ricordare l’esempio di Ercolano che del buon utilizzo dei fondi è una bandiera nella nostra regione. Circa quaranta milioni di euro nell’attuale programmazione, molti dei quali già impiegati.

Va sottolineato che il funzionamento dei fondi prevede un meccanismo di erogazione dopo la rendicontazione delle spese. Questo vuol dire che i soldi del cofinanziamento europeo (l’altra metà deve metterli lo Stato italiano) arrivano all’ente locale solo se il progetto è realmente realizzato. Quando si legge sui giornali di fondi persi perché inutilizzati è pro-prio a causa della lentezza e delle inefficienze delle amministrazioni.

Il nostro comune purtroppo nel corso di un’ in-tera programmazione 2007-2013 non è stato in grado di realizzare nemmeno un progetto. Ad oggi (aggiornamento al 19/03/2013) sul sito ufficiale del Por Campania Fers ne risulta soltanto uno per l’ implementazione di servizi online al cittadino per un importo di 700 mila euro, che ovviamente deve essere realizzato per ottenere i pagamenti delle spese attual-mente fermi sullo zero.

Il nuovo ciclo di programmazione può sicura-mente essere un volano di sviluppo per gli Enti locali della nostra regione e una boccata d’ossigeno per le aziende che si aggiudicher-anno gli appalti, tuttavia è necessario mettere in campo competenze, buona amministrazi-one e soprattutto una visione di sviluppo chiara e lungimirante.

Agostino Casillo

I fondi strutturali europei: uno strumento per rilanciare le regioni del Sud

Cineforum25 aprile semprea cura di Francesco Cutolotutte le settimane presso la sede del Collettivo Vocenueva-Libera in Via L. Murialdo 7San Giuseppe Vesuviano

15 Aprile / 21.30Cari fottutissimi amici Mario Monicelli Con partenza da Firenze il 26 agosto 1944, dopo l’arrivo degli Alleati, un anziano ex pugile mette insieme un quartetto di giovanotti affamati allo sbando, portandoli a tirar pugni nelle sagre di paese. Film corale picaresco di svelta protervia e apparente futilità in una miscela di disincanto e buffoneria, pathos e ironia, crudeltà e tenerezze di contrabbando.

22 Aprile / 21.30Il partigiano Johnny Guido ChiesaRientrato in divisa nella natia Alba (CN) dopo l’8 settembre l’universitario Johnny va nelle Langhe e si unisce prima a una banda di comunisti, poi a una formazione di monarchici. Disilluso da entram-bi, si ritrova a passare da solo il duro inverno del ‘44, ma scopre la vera ragione d’essere partigiano, rimanendo sé stesso. Dal romanzo postumo e incompiuto di Beppe Fenoglio.

29 Aprile / 21.30La strategia del ragnodi Philippe LioretAthos Magnani, figlio e omonimo di un eroe antifascista, torna trent’anni dopo a Tara, il suo natio paese della Bassa, e, scoperta la verità sulla morte del padre, non può più uscirne. In bilico tra realtà e irrealtà, impressionismo e surrealismo, liev-ito di follia e concretezza padana, sfocia alla fine in una dimensione onirica. Il ballo all’aperto al ritmo di Giovinezza è una pagina d’antologia, e non è la sola.

6 Maggio / 21.30L’uomo che verràGiorgio DirittiAlle pendici di Monte Sole, sui colli bolognesi, la comunità locale vede i propri territori occupati dai nazisti e molti giovani decidono di organizzarsi in una brigata partigiana. Da quando ha visto morire il fratellino fra le sue braccia, Martina ha smesso di parlare e vive unicamente nell’attesa che ne nasca un altro. Il concepimento avviene una mattina del dicembre ‘43, esattamente nove mesi prima che le SS inizino al rastrellamento degli abitanti della zona. L’eccidio di Marzabotto è uno degli episo-di che premono sulla grandezza della Storia per stringerla dentro alla dimensione del dolore del singolo.

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I miei ricordi del 25 aprile, giornata dell’insurrezi-one popolare e della liberazione del paese dal nazifascismo, sono strettamente legati alle Quattro Giornate di Napoli e in particolare al loro svolgi-mento a Ponticelli, il quartiere dove sono nato, che sino al 1926 era un comune autonomo. All’avven-to del fascismo il comune era governato da un sindaco socialista, il dottor Cirillo, funzionario delle Ferrovie dello Stato, che fu subito allontanato. Nel-lo stesso anno il fascismo sciolse i consigli dei co-muni che circondavano la città e anche i circondari, istituzione murattiana con la quale erano organiz-zati tutti i territori del Regno delle due Sicilie.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, in prefettura con i pieni poteri si insediò il colonnello Scholl il quale emanò un proclama che invitava i giovani a presentarsi nei luoghi deputati per essere inviati in Germania. Così ebbe inizio la resistenza ai nazisti per non essere deportati. Essa fu dapprima pacifi-ca, poi armata, sfociando nelle Quattro Giornate e liberando la città dai tedeschi prima dell’arrivo delle armate anglo-americane.

La mia famiglia abitava in via Ottaviano, una strada che collega Ponticelli a Cercola. A Ponticelli c’era-no già stati scontri con i tedeschi e alcuni resistenti erano stati fatti prigionieri. Consigliati dai fascisti, i nazisti evitarono di entrare nel quartiere. Un’unica volta ci provarono, ma furono respinti con le armi. I patrioti erano capeggiati dal capitano Caso, uno sfollato che abitava nella villa Masseria Visconti. Al proclama risposero pochissimi giovani, così iniziarono le retate. In via Ottaviano un’unica retata sorprese dieci giovani, gli altri tentativi andarono deserti. A metà settembre, con lo sbarco delle truppe alleate a Salerno, si aggravò lo scontro con i tedeschi, che cominciavano a ritirarsi per attestare la difesa lungo il Volturno, dove c’erano già due divisioni corazzate. Avevo circa sedici anni quando il 22 settembre l’ultimo reggimento della divisione

Goering di tedeschi si acquartierò in via Censi dell’Arco, uno stradone lungo la ferrovia circumve-suviana. Il 29 mattina andarono a razziare animali da macello nella masseria Morabito, dove sono nato e ho vissuto sino al 1938 con la mia famiglia e quella dei nonni paterni. All’uscita dalla masseria furono accolti dal fuoco incrociato dei patrioti. Negli scontri morirono due partigiani e due tedeschi.

Per rappresaglia i nazisti arrivarono con autoblin-do e carri armati e diedero vita ad una strage di inaudita violenza. Furono trucidate 38 persone, fra cui anche quattro ragazzi tra i tredici e i quattordici anni. Tutti i cortili lungo la strada avevano cancelli che davano accesso alla campagna. Entravano nelle case e chiunque trovassero veniva trascinato in campagna e fatto fuori con un colpo alla nuca. Il mio palazzo aveva la soffitta dove, per sfuggire alle retate, si erano nascosti cinque giovani. I tedeschi mi acciuffarono e mi chiesero se c’era qualcuno nella soffitta. La risposta pur titubante e impaurita fu negativa. Poi mi costrinsero a prendere una scala, con la quale salirono a ispezionare e trovar-ono materassi, piatti e vettovaglie. I cinque giovani riuscirono a fuggire e a salvarsi. Uno dei soldati mi afferrò e mi stava portando verso la campagna per farmi fuori, quando arrivò un ufficiale, credo un suo superiore, che lo intrattenne per qualche istante. Con prontezza di riflessi, approfittai di quell’atti-mo di distrazione e scappai con tutte le forze che avevo. La sventagliata di mitra fu assorbita da tre enormi alberi di nespole. Fuggendo per le cam-pagne, notai i corpi di tre persone amiche, tutte con il volto nel solco e un coagulo di sangue dietro la nuca. Vagai senza meta per ore nella campagna e a sera mi nascosi nel deposito di Raffaele “‘O cantiniere”, il cui figlio Michele frequentava la scu-ola media con me. Per lo spavento mi venne una febbre da cavallo.

Il 25 aprile lo festeggiai nella fabbrica dove lavora-vo da un mese. Il direttore era il padre di Massimo

Caprara, segretario di Togliatti, un democratico vero e il vice era Gino Bertoli, un ingegnere triesti-no che aveva trascorso alcuni anni in carcere per reati politici e alla liberazione era rimasto a Napoli. Sarà prima consigliere comunale e poi senatore eletto nelle file del Pci nell’Italia repubblicana. A sera vi fu grande festa nel quartiere con corteo e banda musicale per le strade, noi intonavamo “Bandiera Rossa” e l’inno nazionale.

Dopo la liberazione nella mia mente si accavalla-vano contrastanti stati d’animo. Da un lato la gioia per la liberazione del Paese e per il contributo dato dai partigiani all’insurrezione nazionale, dall’altro tutto il vissuto dei cinque anni di guerra, le bombe, i bombardamenti, i ricoveri, la fame, le carte an-nonarie, le razioni di pane di 150 grammi al giorno e la morte di un mio fratellino, Peppino, per denu-trizione. Comunque, lo stato d’animo prevalente era positivo: il paese era libero, la guerra era finita, iniziava una nuova vita. Si incominciò a parlare di costruire un’Europa unita senza più guerre. Il Vec-chio Continente era stato a lungo senza pace, il più guerrafondaio del pianeta: aveva subìto guerre di espansione, economiche e di religione.

Dal 25 aprile 1945 molte cose sono avvenute, noi italiani da sudditi siamo diventati cittadini. Il paese si è sviluppato, ma non tutte le speranze si sono realizzate e molte aspettative sono andate deluse. Da alcuni anni il paese attraversa la crisi econom-ica e politica più grave dal dopoguerra. La nostra classe dirigente degli ultimi vent’anni, di destra, centro e sinistra, ha fallito. Il Paese ha bisogno di uscire da queste gravi difficoltà. L’augurio di un ottantaquattrenne che ha speso 70 anni della sua vita in politica è che, al più presto possibile, si dia al paese una guida che abbia l’obiettivo di costru-ire un’Europa dei popoli che possa competere al meglio sul mercato mondiale globalizzato.

Aniello Borrelli

Liberazione vesuviana Il 25 aprile raccontato dalla penna di un testimone

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Soltanto pochi anni fa sembrava impossibile che la produzione di energia da fonti rinnovabili sarebbe arrivata a ricoprire quote importanti del fabbisogno nazionale. Invece, l’ultimo rapporto statistico del Gse (Gestore dei Servizi Energetici) dimostra che il 24% (81 TWh) dei consumi nazionali di energia (313,8 Twh) è ricoperto dalle rinnovabili. Circa la metà di questa energia pulita è prodotta dai vecchi impianti idroelettrici presenti da lungo tempo sul territorio nazionale la cui potenza è rimasta sostan-zialmente costante negli anni. Ma l’ascesa delle rinnovabili, che a partire dal 2008 ha avuto una straordinaria accelerazione, è stata trainata dal fotovoltaico, dall’eolico, dal geotermico e dalle bi-oenergie che ora pesano nel loro complesso tanto quanto l’ idroelettrico.

La fonte rinnovabile che ha avuto lo sviluppo più impressionante è stata senza dubbio quella fotovoltaica che a livello nazionale è passata da una potenza installata di 87 MW prodotta da 7.647 impianti nel 2007 agli attuali 16.438 MW prodotti da 488.412 impianti (fonte Gse dati aggiornati al 20 Febbraio 2013). Questa crescita è stata spinta dal Conto Energia, il meccanismo d’incentivazione che valorizzando l’energia prodotta ha reso vantaggi-oso sia per le famiglie che per le imprese l’investi-mento nel fotovoltaico. In sostanza il costo dell’im-pianto si ripaga con la tariffa che lo Stato eroga per ogni kW prodotto a chi lo realizza sul proprio tetto, oltre che con il risparmio in bolletta dato dalla riduzione del prelievo dalla rete.

La distribuzione territoriale vede la Puglia come prima regione in termini di potenza installata (2450 MW) seguita da Lombardia ed Emilia Romagna, mentre per quanto riguarda il numero di impianti è la Lombardia ad avere il primato. La Campania è al dodicesimo posto con circa 560 MW e 17.000 impianti. Questa geografia del fotovoltaico è data da una prevalenza di impianti di taglia più piccola al Nord rispetto al Sud, dove il maggiore irrag-giamento solare ha spinto alla localizzazione dei grandi campi fotovoltaici. Benché ci siano ancora grosse differenze in termini di potenza installata e di percentuale sui consumi, in circa il 95% dei comuni italiani è presente almeno un impianto.

Dal 2006 Legambiente pubblica ogni anno il rapporto “Comuni 100% rinnovabili” che fotografa la diffusione della produzione di energia pulita a livello comunale e stila la classifica degli enti locali più virtuosi. Quest’ultima prende in considerazione soprattutto il mix delle varie fonti ed il rapporto tra produzione e consumo di energia. Il primo classifi-cato, che meglio è riuscito nell’intento di produrre tanta energia quanto ne consuma è il comune di Badia (BZ) seguito da Brunico (BZ) e Calvanese (TN). Inoltre, il rapporto stila anche le classifiche differenziate per ogni tipologia di fonte rinnovabile. In merito al fotovoltaico il comune che si piazza al primo posto è Meliti (LO) che con 2.1 MW di poten-za installata è arrivato a 4,4 kW per abitante.

Ad oggi a San Giuseppe Vesuviano sono connessi alla rete soltanto 45 impianti fotovoltaici per una potenza di 521 kW che su una popolazione di 28.000 persone vuol dire 0,018 kW per abitante. Purtroppo, il nostro comune ha perso parecchie oc-casioni per spingere sulle rinnovabili. Tra le ultime il progetto “il sole a scuola” finanziato dal Ministero dell’Ambiente attraverso il quale avremmo potu-to dotare a costo zero cinque edifici scolastici di impianti fotovoltaici, abbinando al risparmio per le casse dell’ente corsi di formazione per gli alunni sul tema delle rinnovabili. L’amministrazione può e deve fare di più anche alla luce della recente approvazione da parte del Consiglio Regionale di una legge di iniziativa popolare che fissa l’obiettivo di ricoprire il 30% dell’attuale fabbisogno energeti-co campano con le rinnovabili (il 60% entro 2021), oltre a predisporre strumenti come i Piani Energeti-ci Solari Comunali.

Il nostro territorio, che più di altri soffre l’acuirsi della crisi economica, potrebbe trovare nelle rin-novabili e nella green economy in generale un’oc-casione di rilancio economico e riqualificazione ambientale. C’è bisogno di una visione chiara e della volontà politica di realizzarla.

Agostino Casillo

Il fotovoltaico traina la crescita delle rinnovabili in Italia

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Una domenica qualsiasi, di ritorno a Milano da Napoli in treno, ascolto il solito annuncio in filodif-fusione del train manager: “Si avvisano i signori passeggeri che su questo treno non è consentito fumare”. Vabbè, penso, scenderò a Roma a pren-dere una boccata d’aria (si fa per dire) e accenderò la mia solita Marlboro. “Il divieto si applica anche alle sigarette elettroniche, grazie”. Anche alle siga-rette elettroniche? Voglio approfondire e nelle 4 ore di viaggio rimanenti mi metto alla ricerca su internet per verificare la ragione del divieto. Credevo che le sigarette elettroniche fossero esenti dal divieto di fumare in tutti i luoghi pubblici introdotto nell 2002 in Italia dalla Legge Sirchia. Su Google, mi si apre un mondo a me sconosciuto. Un viaggio interessante! La sigaretta elettronica (e-cig per gli Inglesi) è stata inventata in Cina nel 2003 con lo scopo di imitare il sistema di inalazione della nicotina con sigaret-ta convenzionale senza avere gli effetti dannosi da combustione del tabacco. Il liquido contenente

nicotina o gli aromi e le sostanze chimiche presenti nel tubo di plastica sono scaldate e un nebulizza-tore le trasforma in vapore che può essere inalato o aspirato. Il vapore entra nelle vie aeree e rilascia i principi attivi. Grazie a uno smart chip controller, si attiva solo quando si aspira. Ci sono cartucce e liquidi a base di nicotina (o senza), zero o diversi aromi: mentolo, vaniglia, liquirizia e tutti i tipi di frut-ta, ma anche dolce, caffè, tabacco di varie marche. Addirittura, qualche liquido può contenere vitamine, collagene e coenzima Q10. Vatti a fidare! Negli ultimi anni la sigaretta elettronica si è diffusa soprattutto grazie a Internet. Vengono pubblicizzate come ”il modo più sicuro, più saggio ed econom-ico di fumare nicotina”, “non ingialliscono i denti”, “contengono solo poche sostanze chimiche meno pericolose rispetto a quelle contenute nella sigaretta tradizionale”, “ti aiutano a smettere di fumare”. Sem-brerebbe che i fumatori usino la sigaretta elettronica come auto medicamento. Ma non è così. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rac-comandato a tutti i Paesi nei quali è in commercio le stesse restrizioni ai fini dell’utilizzo nei luoghi pubblici di quelle previste per la sigaretta con-venzionale. Paesi come l’Australia, il Canada e la Norvegia hanno vietato le sigarette elettroniche in attesa di una valutazione definitiva della sicurezza, mentre in altri Paesi europei come Belgio, Danimar-ca e Germania le sigarette elettroniche contenenti nicotina sono gestite integralmente o parzialmente come prodotti farmaceutici. Da noi il Ministero della

Salute e l’Istituto Superiore della Sanità (Iss) hanno recentemente sollevato e messo per iscritto dubbi sulla loro sicurezza e anche sulla scarsità di infor-mazioni date al consumatore: l’Iss ha stimato che i livelli di assunzione giornaliera di nicotina attraverso la sigaretta elettronica risultano superiori ai limiti considerati accettabili dall’Efsa, l’autorità europea per la sicurezza alimentare (0,0008 mg/kg). Ad oggi, non esiste evidenza scientifica sufficiente a stabil-irne la sicurezza d’uso e l’efficacia come metodo di dissuefazione dal fumo ed essa andrebbe apposi-tamente regolamentata come dispositivo medico o prodotto farmaceutico e non come derivato del tabacco (attuale classificazione in Italia). La stagione delle regole zero potrebbe in realtà chiudersi presto: la Commissione Europea ha appena varato una direttiva per trasformare la quasi totalità delle sigarette elettroniche in prodotti medic-inali. Quando la norma diventerà effettiva, nel 2014, porterà tutti i vaporizzatori di nicotina con capacità superiore a 2 mg (il 90% del mercato) in farmacia, sottoponendoli alla stessa regolamentazione dei prodotti medicinali. L’intero business dei 1.500 negozi specializzati spuntati in Italia come i funghi, soprattutto negli ultimi tre anni, rischia dunque di chiudere i battenti. Consumatori e piccoli imprendi-tori sono avvisati.

Alberto Catapano

E-Cig, leggere attentamente il foglio illustrativo Attuali divieti nel mondo e prospettive future della sigaretta elettronica

Amo la routine e come ogni mattina ho aperto la finestra per poter ammirare il panorama. Anche oggi, come sempre, ho visto all’orizzonte la solita colonna nera a darmi il buongiorno. Non è un albero altissimo che si staglia sullo sfondo, né una scultura d’arte contemporanea che si dirama nel cielo, ma una colonna altissima di fumo nero denso ed acre frutto della combustione illegale di rifiuti di ogni ge-nere. Ogni mattina mi chiedo cosa contenga questo fumo dato che è così nero da offuscare tutto ed ha un “odore” pestilenziale. Lentamente intorno alla colonna muore tutto. Muoiono gli alberi, l’erba, gli animali e persino gli uccelli non vanno più a nidifi-care laggiù. Poi tutto diventa arido ed assume una triste colorazione grigiastra. Ho deciso di cercare in internet le risposte alle mie domande.

Mi sono imbattuto in fuliggine, particolato, acidi, oli minerali, mercurio, metalli pesanti e diossina (con questo termine si fa riferimento al congenere dotato di maggiore tossicità di una famiglia di 210 com-posti policiclici aromatici poli-clorurati di cui solo 7

risultano essere tossici). Il vento trasporta anche per chilometri tutte le schifezze della colonna che poi si depositano al suolo, sull’erba che brucano gli animali, sui frutti della terra che mangiamo, sui fiori e sulle acque. Ho scoperto che la colonna che vedo ogni mattina con le sue schifezze uccide lentamente anche me e i miei cari.

La diossina prodotta dalla combustione dei rifiuti, depositandosi su frutta, verdura e sull’erba brucata dal bestiame, entra nella nostra catena alimenta-re. E’ in questo modo che si verifica più del 90% dell’esposizione dell’uomo alla diossina, perché essa tende ad accumularsi nel latte (37%) e nel grasso degli animali. Per questo motivo la sua con-centrazione nell’organismo di un essere umano può essere anche superiore a quella rilevata nell’ambi-ente circostante.

La diossina può provocare la cloracne, una pato-logia simile all’acne giovanile che si manifesta con eruzioni cutanee e pustole e che può estendersi a

tutto il corpo, mutazioni del sistema immunitario e alterazioni dei livelli ormonali coinvolti nella regolazi-one dell’omeostasi e dei processi riproduttivi. Infine, esposizioni prolungate possono causare gravi danni al sistema nervoso, all’apparato gastrointestinale e al sistema cardiocircolatorio, nonché causare der-matiti. Durante lo sviluppo fetale la contaminazione può condurre a immunosoppressione o ipersensibi-lizzazione anche a lungo termine, alterazioni dello sviluppo del sistema nervoso centrale, mutazioni delle secrezioni ormonali tiroidee e disturbi com-portamentali. Dal 1997 è classificata come agente cancerogeno di tipo 1 dall’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. Non ho parole. Ho deciso che da domani denuncerò alle forze dell’ordine ogni colonna nera, voglio alzare la voce affinché tutti si impegnino per risolvere il problema. Lotterò con tutte le forze affinché sia tutelata la mia salute, per-ché non voglio vivere in un mondo sporco… di tutto.

Camillo Nappo

La strage “lenta” da esposizione alla diossina

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Ombre cinesiLa comunità cinese, insieme a quella magrebina ed ai rifugiati centroafricani, è da alcune settimane sotto i riflettori della cronaca e della politica locale. Nei numerosi articoli apparsi su giornali locali con una marcata e colpevole profilazione razziale (es. “rifiuti speciali: cinese denunciato”) i migranti vengono accusati di violare le leggi dello stato e di contribuire ad aggravare i problemi endemici del nostro paese (rifiuti, sicurezza e diritti sul posto di lavoro, legalità). Per scelta dello stesso sindaco, l’azione di controllo e repressiva si sta concen-trando su questi soggetti che sono stati individuati come la causa di gran parte dei nostri mali.

La comunità cinese in particolare è tornata alla rib-alta dopo alcuni blitz che hanno portato ad arresti e multe. Gli ultimi dati Istat ci dicono che la nell’area vesuviana è in continua espansione. A San Gi-useppe Vesuviano gli immigrati cinesi regolari sono passati da 507 nel 2003 a 830 nel 2011 e rappre-sentano circa il 40% della popolazione migrante. A Terzigno quelli iscritti all’anagrafe nel 2003 erano 768, mentre nel 2011 i regolari sono diventati 1025. Tenuto presente che in tutta la Campania ci sono circa 8200 cittadini cinesi registrati, questi dati saltano ancora di più agli occhi.

La Repubblica Popolare Cinese ha oggi quasi un miliardo e 400 milioni di abitanti e circa 40 mil-ioni sono residenti all’estero disseminati in 150 nazioni in tutto il mondo. La maggior parte degli quelli presenti in Italia è originaria della provincia dello Zhejiang, il cui capoluogo è Hangzhou, una provincia ricca di risorse minerarie, di attività ittiche e con un’agricoltura molto sviluppata. Gli abitanti di

questa regione sono in maggior parte di etnia Han e sono detti Wenzhouren dalla città di Wenzhou, centro culturale ed economico dell’area. Sono conosciuti per la loro intraprendenza e spesso migrano dalla loro terra non per povertà, ma per soddisfare esigenze di realizzazione personale.

E’ da queste terre che più di vent’anni fa ha avuto inizio l’immigrazione cinese nell’area vesuviana, quando nel 1992 un imprenditore italiano ha incor-aggiato alcuni colleghi cinesi ad insediarsi nell’area di Terzigno. Valutate le potenzialità economiche della nuova zona, un primo gruppo ha deciso di insediarsi iniziando ad aprire i primi laboratori per la produzione dell’abbigliamento secondo un mod-ello di organizzazione del lavoro “à façon”, ovvero assemblando varie parti dei capi precedentemente realizzate nelle aziende italiane. L’abbattimento dei tempi di consegna ha decretato un immediato successo per le ditte cinesi, che nel giro di pochi anni hanno allargato i loro orizzonti entrando in competizione con le aziende italiane nel modello produttivo del “pronto moda” (programmazione e realizzazione di capi in tempo breve seguendo le tendenze del momento e la domanda del mercato).

Questo passaggio segna un’importante evoluzione della comunità che nel giro di pochi anni entra in forte competizione con l’imprenditoria locale in-nescando forti conflittualità. Con la crisi del settore tessile, gli imprenditori italiani hanno iniziato ad accusare i colleghi cinesi di concorrenza sleale imputando loro di non osservare le leggi in materia di lavoro, fiscale, contributiva e ambientale. In molti casi si tratta di accuse fondate, con aziende cinesi

che operano da anni sul mercato nella completa illegalità.

A oltre vent’anni dal loro insediamento sul nostro territorio nessuno ha pensato di affrontare seri-amente il problema, contribuendo in questo modo ad alimentare l’illegalità dei cinesi e l’insofferenza degli italiani. A Prato, famoso distretto del tessile con una forte presenza di aziende cinesi, l’amministrazione ha intrapreso un dialogo con l’ambasciata cinese in Italia e con le associazioni presenti sul territorio per cercare di porre fine ai comportamenti scorretti. Il comune di San Giuseppe Vesuviano nel 2003 ha stipulato un protocollo d’intesa con la città di Ruian, nella provincia di Whenzhou, per rilanciare l’economia dei due paesi. Con l’ex sindaco Anto-nio Agostino Ambrosio nella trasferta cinese c’era anche l’ex assessore alle attività produttive Pietro Ferraro, ora assessore al bilancio nella giunta Cat-apano. Il protocollo prevedeva un accordo tra i due comuni per favorire gli investimenti degli impren-ditori italiani in Cina e viceversa. Non è stato mai fatto nessun passaggio con le autorità cinesi per cercare di risolvere il problema della legalità e dei diritti sul lavoro. Al di là delle frasi di propaganda fatte dal sindaco, la strada che porta all’integrazi-one è ancora lunga e difficile, ma è pur sempre l’unica percorribile.

Luigi Ammiratifoto Gaetano Massa

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