L'ORIGINE DELLA “TRIPOLITANIAN SIGILLATA” / “PRODUZIONE A ...

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L'ORIGINE DELLA “TRIPOLITANIAN SIGILLATA” / “PRODUZIONE A DELLA BAIA DI NAPOLI” * Introduzione In un precedente lavoro uno degli scriventi ha presentato una serie di frammenti in terra sigillata, definiti "Produzione A della baia di Napoli", dalle caratteristiche omogenee, di buona qualità e facilmente distinguibili dalle altre ceramiche a vernice rossa, italiche o extra-italiche, che contemporaneamente ad essa circolavano nella regione del golfo di Napoli. Diversi elementi ne suggerivano la possibile origine locale: gli elevati valori percentuali ottenuti in contesti della prima età augustea a Pompei, in taluni casi superiori a quelli della sigillata italica; il rinvenimento a Napoli di due possibili scarti di fornace; i risultati di analisi a "sezione sottile" eseguite su alcuni frammenti rinvenuti a Pompei. Da queste ultime si ricavava che le argille dei campioni analizzati erano originarie di una regione vulcanica e che almeno per uno di essi la presenza di inclusi vulcanici ne suggeriva la provenienza da questa regione; per gli altri campioni analizzati era ugualmente proponibile una origine campana, possibilmente dall'area della baia di Napoli (SORICELLI 1987a). L'edizione della ceramica fine di Berenice (Benghazi) consentiva di identificare la "Produzione A" con la "Tripolitanian Sigillata" (in seguito indicata sigillata "tripolitana"), una produzione ceramica ben rappresentata a Berenice, lungo la costa nord-africana, a Cartagine, ove era identificata con la "Imitation of Terra Sigillata" individuata negli scavi dell'Università di Michigan, e in Sicilia (KENRICK 1985, pp. 283-302; HAYES 1976, pp. 75-77). L'argomento per attribuire l'origine di questi prodotti alla regione[67] tripolitana era costituito dalla loro relativa diffusione in Libia e dalla minor frequenza con cui essi ricorrono in Tunisia (fatta eccezione per Cartagine) e in Algeria (KENRICK 1985, p. 510; GUÉRY 1990, p. 95). A riguardo, le analisi geochimiche eseguite sulla sigillata "tripolitana" e la Imitation of Terra Sigillata" di Cartagine mostravano che queste potevano provenire dalla stessa area di produzione, senza però chiarire quale questa potesse essere (KENRICK 1985, p. 510). L'identificazione della "Produzione A" con la sigillata "tripolitana" era giustificata dalla corrispondenza sia dei rispettivi repertori tipologici che di alcuni bolli di ceramisti: tra quelli rinvenuti a Berenice su sigillata "tripolitana", infatti, almeno due, recanti le firme di L. Pullius Carpus (KENRICK 1985, p. 301, X164, L.PVLL/CARPI) e di Eros (KENRICK 1985, p. 301, XI 57, EROS), erano attestati a Pompei e a Lacco Ameno (Ischia) su forme della "Produzione A" (SORICELLI 1987a, p. 75, fig. 1.1, L.PVLLI/ CARPI; MONTI 1980, fig- 95 EROS). A questi si aggiungeva il bollo BAACTI/MOYN, rinvenuto a Berenice su sigillata "tripolitana" ma attestato anche nell'area flegrea, a Pozzuoli e a Cuma (KENRICK 1985 pp. 298,300, XI 54 e CVArr. 1033a-b). L'impiego nei bolli di quest’ultimo ceramista sia * Desideriamo ringraziare quanti ci hanno aiutato, con informazioni o mostrandoci i materiali di cui hanno in corso lo studio: i loro nomi sono citati nel testo. Un ringraziamento particolare è dovuto al dott. G. Vecchio che ha permesso il prelievo dei campioni di Campana A e di "Produzione A" rinvenuti negli scavi napoletani, al dott. L. Pedroni che ha fornito i campioni di vernice nera e terra sigillata catene, e alle dott.sse M.L. Perrone (Napoli) ed E. Corvi e L. Neuffer (Museo Nazionale Svizzero, Zurigo) per aver letto e commentato il testo. I lucidi sono della sig.na G. Stelo.

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L'ORIGINE DELLA “TRIPOLITANIAN SIGILLATA” / “PRODUZIONE A DELLA BAIA DI NAPOLI”*

Introduzione

In un precedente lavoro uno degli scriventi ha presentato una serie di frammenti in terra sigillata, definiti "Produzione A della baia di Napoli", dalle caratteristiche omogenee, di buona qualità e facilmente distinguibili dalle altre ceramiche a vernice rossa, italiche o extra-italiche, che contemporaneamente ad essa circolavano nella regione del golfo di Napoli. Diversi elementi ne suggerivano la possibile origine locale: gli elevati valori percentuali ottenuti in contesti della prima età augustea a Pompei, in taluni casi superiori a quelli della sigillata italica; il rinvenimento a Napoli di due possibili scarti di fornace; i risultati di analisi a "sezione sottile" eseguite su alcuni frammenti rinvenuti a Pompei. Da queste ultime si ricavava che le argille dei campioni analizzati erano originarie di una regione vulcanica e che almeno per uno di essi la presenza di inclusi vulcanici ne suggeriva la provenienza da questa regione; per gli altri campioni analizzati era ugualmente proponibile una origine campana, possibilmente dall'area della baia di Napoli (SORICELLI 1987a).

L'edizione della ceramica fine di Berenice (Benghazi) consentiva di identificare la "Produzione A" con la "Tripolitanian Sigillata" (in seguito indicata sigillata "tripolitana"), una produzione ceramica ben rappresentata a Berenice, lungo la costa nord-africana, a Cartagine, ove era identificata con la "Imitation of Terra Sigillata" individuata negli scavi dell'Università di Michigan, e in Sicilia (KENRICK 1985, pp. 283-302; HAYES 1976, pp. 75-77). L'argomento per attribuire l'origine di questi prodotti alla regione[67] tripolitana era costituito dalla loro relativa diffusione in Libia e dalla minor frequenza con cui essi ricorrono in Tunisia (fatta eccezione perCartagine) e in Algeria (KENRICK 1985, p. 510; GUÉRY 1990, p. 95). A riguardo, le analisi geochimiche eseguite sulla sigillata "tripolitana" e la Imitation of Terra Sigillata" di Cartagine mostravano che queste potevano provenire dalla stessa area di produzione, senza però chiarire quale questa potesse essere (KENRICK 1985, p. 510).

L'identificazione della "Produzione A" con la sigillata "tripolitana" era giustificata dalla corrispondenza sia dei rispettivi repertori tipologici che di alcuni bolli di ceramisti: tra quelli rinvenuti a Berenice su sigillata "tripolitana", infatti, almeno due, recanti le firme di L. Pullius Carpus (KENRICK 1985, p. 301, X164, L.PVLL/CARPI) e di Eros (KENRICK 1985, p. 301, XI 57, EROS), erano attestati a Pompei e a Lacco Ameno (Ischia) su forme della "Produzione A" (SORICELLI 1987a, p. 75, fig. 1.1, L.PVLLI/ CARPI; MONTI 1980, fig- 95 EROS). A questi si aggiungeva il bollo BAACTI/MOYN, rinvenuto a Berenice su sigillata "tripolitana" ma attestato anche nell'area flegrea, a Pozzuoli e a Cuma (KENRICK 1985 pp. 298,300, XI 54 e CVArr. 1033a-b). L'impiego nei bolli di quest’ultimo ceramista sia

*Desideriamo ringraziare quanti ci hanno aiutato, con informazioni o mostrandoci i materiali di cui hanno in corso lo studio: i loro nomi sono citati nel testo. Un ringraziamento particolare è dovuto al dott. G. Vecchio che ha permesso il prelievo dei campioni di Campana A e di "Produzione A" rinvenuti negli scavi napoletani, al dott. L. Pedroni che ha fornito i campioni di vernice nera e terra sigillata catene, e alle dott.sse M.L. Perrone (Napoli) ed E. Corvi e L. Neuffer (Museo Nazionale Svizzero, Zurigo) per aver letto e commentato il testo. I lucidi sono della sig.na G. Stelo.

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del greco (esemplare di Berenice e CVArr. 1033a-c) che del latino (CVArr. 1033d, BLASTI MVNATI, da Tarragona; bollo BLAST da Pompei, su "Produzione A"), sembrava suggerire, inoltre, che questi prodotti provenissero da un'area culturalmente bilingue, caratteristica che ben si adatta alla regione del golfo di Napoli. Un ultimo elemento a favore dell’origine campana della "Produzione A" era costituito dai gentilizi documentati dai bolli ed in particolare dal nomen Pullius, ben radicato in Campania e non altrove (SORICELLI 1987a, pp. 81-82).

Le conclusioni avanzate circa l'identità “Produzione A”/sigillata “tripolitana” e la sua provenienza campana erano nel complesso accettate. Si osservava, tuttavia, che il rinvenimento dei due supposti scarti di fornace non era sufficiente per collocare proprio a Napoli uno dei possibili centri di produzione, auspicandosi ulteriori indagini per una più precisa localizzazione delle sue officine (KENRICK 1987); inoltre, non era esclusa la possibilità che una versione della sigillata "tripolitana" fosse stata prodotta anche m Sicilia (WILSON 1990, p. 254). L'equivalenza "Produzione A" / sigillata "tripolitana" era, invece, respinta da altri studiosi secondo cui la distribuzione dei bolli presenti sulla sigillata "tripolitana" non si sarebbe accordata con l'ipotesi dell'origine campana ma ne avrebbe confermato l’origine tripolitana (GUÉRY 1990, p. 95).[68]

***

Le indagini archeometriche

Per ottenere un'ulteriore conferma circa l'identità della "Produzione A" con la sigillata "tripolitana" e verificare se l'attribuzione di tale vasellame alla Campania, proposta sulla base dei dati archeologici ed epigrafici, era corretta, si è proceduto all'analisi mediante "fluorescenza a raggi x" di 10 frammenti di "Produzione A" da Pompei e da Napoli e di 21 frammenti di sigillata "tripolitana" da Monte Iato (HEDINGER 1991) e da Cartagine (HEDINGER in prep.). Di ciascuno di essi, nella Tabella 1, sono indicati il numero d'ordine dell'analisi, la firma del ceramista per i frammenti bollati, la forma vascolare (con riferimento alla tipologia elaborata dal Kenrick) e il riferimento bibliografico per i frammenti già pubblicati. Per disporre di adeguati termini di confronto da quella che si riteneva essere l'area di origine, sono state campionate ed analizzate anche altre ceramiche fini di sicura produzione campana, e cioè: a) il materiale ceramico proveniente da uno scarico di officina scavato negli anni scorsi in vico S. Marcellino a Napoli e comprendente, oltre alla ceramica a vernice nera ("Campana A") fabbricata dall'officina (nn. 7901-7909), anche due distanziatori (nn. 7910-7911) e un blocco di argilla parzialmente cotto (n. 7912); b) alcuni frammenti di terra sigillata decorata a rilievo puteolana (nn. 5365-5369, SORICELLI 1992, nn. 13, 31, 33, 35, 37, firmati o attribuibili all'officina di N. Naevius Hilarus), "tardo-puteolana" (nn. 5370-5371; SORICELLI 1992, n. 43; COMFORT 1982, Taf. XV, 3-4; sulla "tardo-puteolana decorata a rilievo vd. SORICELLI 1987b) o genericamente campana (nn. 5372, Soricelli 1992, n. 18); e) il materiale ceramico, raccolto in superficie, proveniente da alcuni scarichi di officina individuati a Cales (PEDRONI 1986; 1990) e che, oltre alla vernice nera fabbricata sul sito (nn. 7913-7922), comprende anche due distanziatori (nn. 7924-7925) e una matrice per vasi decorati (n. 7923; PEDRONI 1989);

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d) provenienti da questi stessi scarichi, alcuni frammenti pertinenti ad una produzionecalena di terra sigillata (MOREL 1989); i campioni analizzati (nn. 7926-7932, 7934-7936, 7939-7943) comprendono alcuni dei bolli segnalati dal Morel (M. LOLLI,ARRETI). Ad essi sono stati aggiunti altri tré frammenti che per le loro caratteristichemorfologiche sembravano attribuibili alla "Produzione A" (nn. 7933, 7937-7938).I risultati ottenuti possono essere sintetizzati come segue: i frammenti di "ProduzioneA" da Napoli e da Pompei e quelli di sigillata "tripolitana" da Monte Iato e Cartaginepresentano la stessa composizione chimica, come mostrano le Tabelle 2 e 3 con irisultati delle analisi, le concentrazioni medie e la deviazione standard degli elementiprincipali e di quelli in traccia.[69]

Tab. 1 – Elenco dei campioni analizzati di “Produzione A”/sigillata “tripolitana” dalla regione della baia di Napoli, da Monte Iato a Cartagine. [70]

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Tab. 2 – Risultati delle analisi condotte mediante “Fluorescenza a raggi X” sui campioni di “Produzione A”/sigillata “tripolitana”dalla regione della baia di Napoli, da Monte Iato e da Cartagine (campioni portati alla temperature di 850 °C; elementi principali in valori percentuali secondo il peso e ricondotti ad un valore costante de 100%; sono indicati la perdita di peso avvenuta nella fase di incandescenza (GV) e le somme totali). [71]

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Elementi maggiori (percentuale degli ossidi per peso) [72]

Tab. 3 – Concentrazioni medie e deviazione standard dei campioni di “Produzione A”/sigillata “tripolitana” della regione della baia di Napoli, da Monte Iato e da Cartagine e della ceramica “Campana A” da Napoli. [73]

Tali valori sono analoghi a quelli ottenuti dal gruppo principale (cluster 10, cfr. la Tabella 2) della sigillata “tripolitana” di Berenice, al cui interno sono compresi, tra gli altri, i bolli EROS e L. PVLL/ CARPI (KENRICK 1985, pp. 510 e 512). Da notare che i campioni cartaginesi hanno risentito maggiormente delle alterazioni chimiche causate dalle condizioni di seppellimento come mostrano gli elevati valori del fosforo (P2O5) correlati a quelli dello stronzio (Sr). G1i alti valori di piombo (Pb) sembrano essere una caratteristica di gran parte degli esemplari analizzati dalla baia di Napoli. Non è chiaro quale valore si debba attribuire a queste deviazioni che, comunque,

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potrebbero essere la conseguenza di contaminazioni; una risposta più precisa a riguardo potrà essere fornita dall'analisi di nuovi campioni.

Nessuno dei campioni da Napoli, Pompei e Monte Iato rientra, invece, in un terzo gruppo di argille di composizione molto diversa, cui appartengono alcuni campioni da Cartagine (nn. 5248, 5250, 5258) che, pur presentando delle affinità con la “Produzione A”/sigillata “tripolitana”, sono probabilmente da attribuire ad una produzione locale (cfr. i diagrammi 1-2). I bolli presenti su questi prodotti, BA[], NA[], TEBR, non sono documentati sul vasellame in sigillata “tripolitana”/”Produzione A” e a suffragare la possibilità dell'origine africana potrebbe concorrere la diffusione del bollo TEBR, attualmente attestato soltanto in territorio africano (GUÉRY 1990. p. 94; per il bollo BA[] cfr. HAYES 1976, p. 76, che cita un esemplare al museo di Cartagine con bollo BARSI).

L'esame petrologico, mediante analisi su “sezione sottile”, eseguito sui campioni di “Produzione A” da Napoli (nn. 5360 e 5362, Figg. 1-2) e di “Produzione A”/sigillata “tripolitana” da Monte Iato (n. 5073, Fig 4) e da Cartagine (nn. 5247 e 5251, Figg.5 e 7) ha rivelato, la presenza di inclusi vulcanici, già a suo tempo individuati da D. Williams nei campioni di “Produzione A” da Pompei (samples 2-6 in SORICELLI 1987a, p. 82) e presenti anche in altri materiali ceramici provenienti da Napoli (n. 7912, Fig. 3); inclusi analoghi ricorrono anche in piatti “a vernice rossa interna” da Cartagine (n. 5280, Figg. 6 e 8). Nessuno dei campioni di “Produzione A”/sigillata “tripolitana” analizzati sembra corrispondere, invece, al sample 1 del Williams.

Come i campioni pompeiani di “Produzione A”, quelli da Napoli, Monte Iato e Cartagine contengono assai poco pirossene, in genere meno significativo dei vetri vulcanici giacché può derivare da un’ampia varietà di rocce. I vetri vulcanici, talora contenenti rocce e minerali come gli inclusi alle Figg. 7 e 8 che provengono da rocce trachitiche quali quelle che hanno caratterizzato le prime eruzioni del Somma, possono provenire da vulcani geologicamente recenti come il Vesuvio. Poiché vulcani di questo tipo sono assenti nell'Africa settentrionale, l'ipotesi di una provenienza della “Produzione A”/sigillata “tripolitana” da questa area può essere scartata definitivamente.

Chimicamente, la “Produzione A”/sigillata “tripolitana” può essere chiaramente distinta dagli altri gruppi ceramici considerati. I1 diagramma 1 mostra la distribuzione dei campioni analizzati in base alle concentrazioni del potassio e del sodio: i clusters della “Produzione A”/sigillata “tripolitana”, della sigillata puteolana e delle produzioni calene, della campana A e dei frammenti di probabile produzione cartaginese sono nettamente separati, mentre minima è la distanza tra la prima e i campioni di ceramica “a vernice rossa interna”.

Quest’ultima può comunque essere chiaramente distinta dalla “Produzione A”/sigillata “tripolitana” come mostra il diagramma 3, dove sono considerati, oltre a queste due classi ceramiche anche i campioni di "Campana A". Da notare che al gruppo composizionale della "Produzione A"/ sigilata "tripolitana" appartengono almeno due campioni di campana A (analisi M. Picon). Il dendrogramma evidenzia, inoltre, come i campioni di “Produzione A” /sigillata "tripolitana" si ripartiscano in due gruppi (A e B) sulla base del minore (gruppo principale, A) o maggiore (gruppo secondario, B) contenuto di calcio (cfr. la Tabella 2). Entrambi, chiaramente distinti nel diagramma 2 ove i campioni si distribuiscono in base alle concentrazioni del calcio e del magnesio, sono attestati nell'area della baia di Napoli e a Cartagine, mentre a Monte Iato è documentato solo il primo. [76]

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Diagramma 1 – Distribuzione dei campioni dei diversi gruppi ceramici in base alla concentrazione di potassio in funzione della concentrazione di sodio.

Diagrammma 2- Distribuzione dei campioni dei diversi gruppi seramici e distinzione dei sottogruppi A e B della “Produzione A” / sigillata “tripolitana” in base alla concentrazione di calcio. [77]

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Diagramma 3 – Dendrogramma relativo ai campioni di “Campana A” e di “Produzione A” / sigillata ‘tripolitana”.

All'interno del gruppo A sono compresi i due potenziali scarti di fornace napoletani, nn. 5360 e 5359, ed il campione di "Produzione C" (n. 5358, SORICELLI 1987a, 74, 82, sample5), mentre nel gruppo B ricadono l'esemplare da Monte S. Angelo (Pozzuoli) bollato NIFEP e gli esemplari da Cartagine con i bolli di Pullius (Fig. 9.8) e Cornelius.

Se i due supposti scarti di fornace napoletani sono realmente tali e non frammenti, eventualmente importati da fuori, sottoposti ad una seconda cottura, si può supporre che l'intero gruppo sia stato fabbricato nella regione della baia di Napoli.[78]È importante osservare a questo proposito che i frammenti di TS puteolana e "tardo-puteolana" esaminati (nn. 5365-5371) hanno una composizione geochimica simile a quella del materiale puteolano conservato al Louvre e analizzato da M. Picon, e molto vicina a quella della ceramica a vernice nera e della terra sigillata prodotte a Cales. Viceversa, essa risulta così diversa da quella della "Produzione A", da sembrare che queste ceramiche non siano state prodotte nella stessa area. Il confronto

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tra le composizioni della "Produzione A" e della "Campana A" prodotta a Napoli mostra, invece, che pur trattandosi di gruppi chimicamente diversi, questi presentano somiglianze tali da giustificare l'ipotesi che l'una e l'altra siano state prodotte nella stessa area (cfr. la Tab. 3 e i diagrammi 1-3).

Non è da escludere, infine, la presenza di officine che hanno prodotto vasellame a vernice rossa simile alla nostra "Produzione A" anche nella regione di Cales. Il gruppo di composizione caleno comprende, infatti, alcuni campioni (nn. 7933 e 7938) preliminarmente attribuiti per le loro caratteristiche morfologiche alla "Produzione A" (risulta, invece, appartenente alla "Produzione A" il campione 7937, cfr. la Tabella 1). È probabile che da queste officine provengano tanto l'esemplare con bollo a losanga da Pompei (inv. 37136), attribuito in precedenza alla "Produzione A" (SORICELLI 1987a, p. 81) e di cui è noto un secondo esemplare su "presigillata" da Capua (BENCIVENGA 1976, p. 88, n. 7), quanto l'esemplare da Roma (SCHINDLER KAUDELKA 1984, p. 24, n. 81). La losanga del primo ricorre su piatti a vernice nera da Roma (MOREL 1965, p. 115, n. 257, pl. 18) e dalla villa di Posto (COTTON 1979, fig. 30.19); quella del secondo è ugualmente attestata su ceramica a vernice nera calena (PEDRONI 1990, p. 172, fig. 10,tav. 32.979).

La cronologia

La cronologia proposta per l'inizio di questa produzione ceramica - intorno alla metà del I a.C. (SORICELLI 1987a) - sembra essere suffragata da recenti rinvenimenti in Campania che documentano la presenza di "Produzione A" in contesti databili verso la metà o entro la seconda metà del I a.C. (cfr. infra). A questa fase precoce di produzione appartiene certamente il fondo con bollo a losanga dallo scavo napoletano dei Girolamini (SORICELLI 1987a, fig. 3.22) che le analisi hanno confermato appartenere alla "Produzione A" (n. 7900, cfr. le Tabelle 1 e 2).

Non è del tutto chiaro, invece, il momento in cui tale produzione si sarebbe esaurita. Si deve innanzitutto rilevare che questi ceramisti hanno fatto uso di bolli radiali e rettangolari e che, per il momento, non sono noti,[79]ne in Campania, né a Monte Iato, Berenice e Cartagine, bolli in planta pedis (tuttavia KENRICK 1985, p. 285 ne segnala due esemplari a Tripoli e Lepcis); È possibile che l'assenza (o la rarità) dei bolli planta pedis rivesta un significato cronologico, e cioè che la "Produzione A" abbia cessato di essere prodotta negli anni in cui le officine italiche sostituivano il bollo rettangolare con quello in planta pedis. Non devono escludersi, comunque, altre eventualità, quali una preferenza di questi ceramisti per il bollo rettangolare anche dopo l'introduzione del cartiglio in planta pedis, o la possibilità che presso costoro l'uso di bollare i vasi sia progressivamente venuto meno e abbandonato prima che l'impiego del bollo m planta pedis si generalizzasse. È interessante osservare, a riguardo, che tra le forme della “Produzione A” rinvenute a Pompei nei livelli del 79 d.C. solo due recano il bollo del ceramista.

Il repertorio tipologico mostra affinità soprattutto con le forme della sigillata italica di età augustea e tiberiana, anche se non mancano forme che potrebbero essere posteriori (cfr. KENRICK 1985, p. 291 forma 411 e infra). Ai primi anni del I secolo riporta anche un frammento di calice da Monte lato con una decorazione in appliquessotto l'orlo. È generalmente accertato che questo tipo di decorazione appare alla fine dell'età augustea o all’inizio di quella tiberiana.

Se consideriamo i dati di scavo, a Pompei la "Produzione A" ottiene ancora valori percentuali di rilievo in un gruppo ceramico di età claudia (scavo Impianto Elettrico, circa il 33% delle sigillate e non il 19% come indicato in SORICELLI

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1987a, p. 76, fig. 4) e ciò induce a credere che in quegli anni le sue officine fossero ancora in attività. La situazione sembra diversa nei livelli del 79 d.C.: agli esemplari già citati come in uso al momento dell eruzione (SORICELLI, 1987a, p. 76) si possono aggiungere almeno un altra scodella B417 (inv. 9224), un piattello apodo (inv 12421) e due esemplari di una coppa a parete svasata troncoconica e orlo a sezione triangolare (inv. 1555 e 39558). Quest'ultima forma, assente nei contesti di età augustea e tiberiana, ricorre a Pompei nel già ricordato gruppo ceramico di etadaudia del o scavo Impianto Elettrico e potrebbe rappresentare un ultima creazione delle officine della "Produzione A". Si tratta, nel complesso, di un numero ridotto di vasi, soprattutto se confrontato con la sigillata italica presente in quegli stessi livelli. È probabile che si tratti di materiale residuo e che la produzione di questo vasellame fosse nel 79 d C già da tempo interrotta. Indicazioni analoghe sembrano desumibili dagli scavi napoletani dove nei contesti della seconda metà del I d.C. la "Produzione" A registra valori decisamente inferiori (SORICELLI 1987a p 80 fig. 4; cfr. BRAGANTINI 1991 associato a monete del 72/74 d.C., la "Produzione A" è presente con uno o due frammenti vd. infra).[80]

A giudicare, dunque, da tali evidenze, le officine della "Produzione A" avrebbero interrotto la loro attività nel corso del terzo venticinquennio del I d.C. e forse, considerato lo scarso numero di esemplari rinvenuti a Pompei nei livelli del 79 d.C., già negli anni intorno alla metà del secolo.

La distribuzione

Nuovi rinvenimenti consentono di ampliare e precisare il quadro della distribuzione conosciuta dalla "Produzione A" in Campania. Nell'area vesuviana, la "Produzione A" è comunemente attestata nei contesti della seconda metà del I a.C. e del I d.C. Le forme B399 e B427 sono presenti ad Ercolano in strati datati alla seconda metà del I a.C. ed agli inizi del I d.C. (PAGANO 1990), mentre alla scodella B417 sono forse riferibili alcuni orli rinvenuti a Pompei in contesti del I d.C. (LAVIZZARI PEDRAZZINI 1984, tav. 124, pp. 13 e 15; VOLONTÈ 1986, p. 108, tav. XLIII, 1-2). Non trovano, invece, riscontro nelle forme definite dal Kenrick (1985) alcuni orli da Pompei (scavo Impianto Elettrico) rinvenuti in contesti del I d.C. (Fig. 9.2-3) o non stratificati (Fig. 9.1 e 4). Questi ultimi sono parte di un gruppo ceramico che, sebbene rinvenuto nel terreno di riempimento di un saggio eseguito dal Maiuri negli anni '40, si presenta molto omogeneo nella sua composizione e con forme databili al più tardi ai primi anni del I d.C. (SORICELLI 1987a, p. 74). Esso comprende anche un piccolo gruppo di frammenti dall'argilla color cannella (Mus 5YR 5/6), granulosa, con minuti grani biancastri (quarzo), mica e scarsi inclusi scuri, e la vernice sottile, opaca, di colore rosso (Mus 2.5YR 4/8) all'interno del vaso mentre sulla superficie esterna varia, sullo stesso esemplare, dal rosso all'arancio (Mus 2.5YR 6/8). Sebbene siano stati inizialmente distinti dalla "Produzione A" e raccolti sotto la voce "Produzione C" (SORICELLI 1987a, p. 74), è probabile, considerati anche i risultati delle analisi geochimiche, che rientrino m tale gruppo. Le forme documentate sono accostabili a quelle della sigillata della prima e media età augustea e l'unico bollo presente (ZETI/CERD) è di forma radiale (Fig. 9.5-7).

Altra "Produzione A" è presente a Napoli in contesti datati provvisoriamente nel corso della seconda metà del I a.C. (scavo di S. Maria Maggiore) e della seconda metà del I d.C. (Carminiello ai Mannesi, SORICELLI 1994, pp. 112-113; Policlinico,

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D'ONOFRIO et al. 1985, fig. 53, R52 e, probabilmente, parte o tutta la ceramicaindicata come sigillata orientale B;Palazzo Corigliano, BRAGANTINI 1991, fig. 22.20 e, forse, 19 mentre le due coppefig. 22.17-18 sono, invece, in Sigillata Orientale A) e nel suo territorio (AA.VV.1987, 69, fig. F).[81]

Piatti confrontabili con le forme B409 o B410 sono presenti a Capua (D’Ambrosio 1971, 208, figg. 9, l0a, 11), mentre altra ceramica a vernice rossa con le caratteristiche della "Produzione A" è documentata a Teano (ex inf. D. Izzo) e a Corigliano, dove diversi frammenti, uno dei quali bollato da un Satrius (CVArr. 1671; esemplari sono noti da Capua PATRONI 1897/98, 168, n. 1314, e da Ordona, VANDERHOEVEN 1988, p. 110, n. 120, p. 172, n. 345, fig. 48) sono presenti in un contesto databile all'età augustea (ex inf. P. Arthur). Da rilevare, comunque, che l'esistenza nel nord della Campania di officine che avrebbero prodotto una ceramica a vernice rossa con caratteristiche morfologiche analoghe a quella della "Produzione A" (cfr. supra), rende problematica la distinzione tra le due produzioni.

Significativa è la presenza della "Produzione A" anche in alcuni centri dell'entroterra campano. Ad Avella diversi frammenti, tra cui un bollo forse riferibile al Demetrius lavorante di L. Pullius, ricorrono in un contesto preliminarmente datato intorno alla metà del I a.C. (ex inf. G. Colucci Pescatore). Pochi altri frammenti sono documentati a Aeclanum (ex inf V. Di Giovanni) e a Frigento (scavo della Cattedrale, due coppe B427)

A sud del golfo di Napoli, la "Produzione A" è attestata a Velia dove un consistente gruppo di frammenti, tra cui un esemplare bollato Demetrius Pulii ricorrono in un contesto di età augustea (ex inf. S Zabehlicky-Scheffenegger e V. Gassner).

I dati relativi alla circolazione della "Produzione A" nelle regioni limitrofe sono decisamente ridotti e insufficienti a delinearne un quadro preciso. In Molise, in aggiunta ai frammenti riconosciuti a Matrice, è possibile segnalare da Venafro un piatto B410 con bollo rettangolare (il nome sopra un ramo di palma, è illeggibile) esposto nel locale museo archeologico.

È probabile che a Ordona i frammenti di sigillata riuniti sotto l'espressione “technique C” (VANDERHOEVEN 1976; 1988) siano da identificare in parte o tutti, con la "Produzione A" (SORICELLI 1987a, p. 85). Il numero ridotto di questi frammenti, uno dei quali con la già ricordata firma di Satrius, sembra infatti escluderne l'origine locale. La possibilità di una loro provenienza dall'area del golfo di Napoli potrebbe essere corroborata dal cospicuo numero di prodotti puteolani, lisci o decorati a rilievo, ivi rinvenuti. Da rilevare che alcuni frammenti di sigillata rinvenuti ad Ordona (dei quali non è specificata la forma e la "tecnica") presentano una composizione chimica vicina a quella della "Produzione A" (PICON 1988, p. 223).

Per quanto riguarda la Sicilia è difficile, allo stato attuale della ricerca, farsi un'idea esatta della reale distribuzione di questa produzione ceramica. Esemplari di "Produzione A" sono documentati in diversi centri della parte orientale dell'isola, a Siracusa, a Catania, a Lentini (dove è documentata, nella forma BAACT/OC, un'altra firma di Blastus Munati, CIANCIO 1967, p. 56, fig. 9), a Morgantina e, forse, a Lipari (BERNABÒ BREA-CAVALIER 1965, tav. i8, B417 ?) dove, peraltro, sono largamente diffusi sia la sigillata puteolana (MANDRUZZATO 1988, pp. 433-434) che i materiali laterizi di produzione campana (CAVALIER-BRUGNONE 1986). [82]

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Fig. 9 – “Produzione A” (nn. 1-4) e “Produzione C” (nn. 5-7) da Pompei (scavo IE); “Produzione A” / sigillata “tripolitana” da Cartagine (n. 8).

Nella Sicilia occidentale, la "Produzione A" risulta attestata, al momento, solo a Monte Iato, sito dell'entroterra palermitano a ca. 40 km a sud della costa e oggetto da oltre 20 anni di indagini archeologiche da parte dell'Istituto di Archeologia dell'Università di Zurigo, Svizzera (ISLER 1991). Negli strati di occupazione del

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periodo tardo-repubblicano e del primo impero sono state rinvenute discrete quantità di "Produzione A", circa il 10 % dell'intero complesso di sigillate precoci (italiche ed orientali, HEDINGER 1991; c.s.), associate ad altra ceramica fine proveniente dalla regione del golfo di Napoli (vasi lisci o decorati a rilievo puteolani e "tardo-puteolani", HEDINGER 1991, p. 82; MANDRUZZATO 1988, tav V.1; BLOESCH-ISLER 1972, Taf. 13.4). Si riscontrano pressoché tutte le forme definite da Kenrick, solo poche varianti sono sconosciute. Inoltre sono rappresentate, come a Berenice, soprattutto le forme augustee della sigillata italica che servivano da modello per la produzione di ceramiche a pareti più spesse e di un colore tendente all'arancio.

Dei 14 bolli ritrovati negli anni 1971-1988 sul Monte Iato, tré sono radiali. I bolli, a volte circolari ma perlopiù rettangolari, recano il nome di alcuni vasai, i più importanti dei quali sembrano essere Pullius, Tertius Pulli e Tertius. Si incontrano pure i nomi di Chissus, Cit[], C. Lic[], []re e quattro bolli anepigrafi con palma o corona. Non sono attestati, come accennato in precedenza, bolli in planta pedis.

L'importazione della "Produzione A" a Monte Iato sembra cessare verso la fine del primo quarto del I d.C. Tale datazione si basa essenzialmente sul fatto che non compare più in quantità ragguardevoli negli strati di distruzione della grande casa a peristilio 1, che vanno fatti comunemente risalire al periodo claudio. Vi sono ambienti con molto materiale archeologico ma senza nessun esempio di quella produzione. In altri vani, pochi frammenti di "Produzione A" sono associati alle forme tipiche della sigillata italica di età claudia. A questo fenomeno si possono dare due possibili spiegazioni: o la produzione è cessata alla fine del primo quarto del I sec. d.C., ma tale ipotesi sembrerebbe contraddetta dall'evidenza pompeiana (vd. supra), o la diffusione di tale vasellame dopo questa data, non ha interessato più la regione di Monte Iato.

Anche riguardo la costa nord-africana, i dati disponibili sono complessivamente pochi. Le ricerche intraprese sui materiali della Libia (KENRICK 1985) e dell'Algeria (GUÉRY 1990) consentono di affermare che la diffusione era concentrata nei grandi centri e che in Africa le importazioni non erano consistenti.

In Algeria, la "Produzione A" è certamente attestata a Tiddis, dove è documentato un bollo del ceramista Amphio, e forse anche a Tipasa e Cherchel (GUÉRY 1990, pp. 92-94). È interessante notare come a Tiddis siano attestati altri bolli probabilmente originari della regione della baia diNapoli.[84] Una provenienza campana (e non tidditana, GUÉRY 1990, p. 99) sulla base della loro diffusione nella regione, può essere, infatti, avanzata per i prodotti dell’atelier degli Octavi i . Dei bolli presenti a Tiddis sono documentati HERM/OCTAV a Ischia (MONTI 1980, fig. 95) e PRIMVS/OCTAV a Nocera, quest'ultimo associato a due altri bolli della stessa officina, SECVD/OCTAV e HELOD/OCTAV (BUDETTA et al. 1984), mentre un altro bollo quasi certamente riferibile a questa officina, IETI/OCTA, è attestato a Qualiano di Napoli (D'AMBROSIO 1974, fig. 15).

Per quanto riguarda Cartagine, è presumibile che, per la sua posizione strategica sulle vie mercantili, essa abbia rivestito un ruolo di primo piano nella distribuzione della sigillata "Produzione A". Discrete quantità di tale ceramica, rinvenute soprattutto negli strati rimaneggiati durante il medio impero, provengono dagli scavi condotti negli anni 1974-1984 dall'Istituto Germanico di Roma nell'area litorale di Cartagine (RAKOB 1991). L'insieme del materiale, il cui studio è ancora in corso, mostra che a Cartagine la "Produzione A" registra valori percentuali superiori a quelli di Monte Iato. Pur rientrando nella tipologia di Kenrick (1985), la maggior parte delle forme rappresentate a Cartagine sembrano essere più precoci. I piatti a parete svasata

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o ad orlo pendente poco pronunciato sono frequenti. La datazione precoce è confermata dagli studi effettuati sulla sigillata italica, dove prevalgono le forme augustee. Dei bolli rinvenuti a Cartagine, uno solo è radiale, mentre gli altri sono perlopiù di forma rettangolare. Alcuni vasai sono conosciuti in altri siti, per esempio Demetrius, Demetrius Pulii, Pullius e Tertius. Vanno inoltre menzionati i nomi di Amur(), Cornelius, C. M(), L. Po() e Repentius. Soprattutto le coppe recano bolli ovali anepigrafi.

Appare significativa l'individuazione di una produzione locale affine alla "Produzione A". Essa suggerisce che le sigillate africane del medio e tardo impero abbiano avuto un precursore più simile alle sigillate importate dalla baia di Napoli che a quelle italiche prodotte nelle officine di Arezzo, Pisa, ecc.

Lungo la costa spagnola, infine, possibili frammenti di "Produzione A" sono stati rinvenuti ad Alleante e Cartagena (ex inf. A. Poveda Navarro).

Conclusioni

I risultati dell'indagine archeometrica ci assicurano, dunque, circa l'identità della "Produzione A" della baia di Napoli con la sigillata "tripolitana" identificata a Berenice, a Cartagine e a Monte Iato, confermando che ci troviamo dinanzi ad una produzione ceramica che ha precocernente (come mostrano i bolli radiali presenti a Monte Iato, Cartagine e Berenice, HEDINGER 1991; c.s.; KENRICK 1985, p. 302, X169, fig. 56) e largamente circolato nel bacino occidentale del Mediterraneo.[85] La relativa fortuna che questo vasellame sembra aver conosciuto sui mercati del Mediterraneo occidentale è certamente legata alla contiguità delle officine che lo producevano al porto di Puteoli ed alla possibilità, dunque, di far circolare tali prodotti nella rete commerciale che faceva capo all'importante porto campano. È significativa, a riguardo, la presenza della "Produzione A" in siti che hanno restituito in discrete quantità altri prodotti ceramici provenienti dall'area flegrea-vesuviana.

La scomparsa della "Produzione A" a Monte Iato intorno al 25 d.C., se non determinata da specifici fattori locali, potrebbe riflettere un più generale centrarsi delle esportazioni di questa ceramica. I pochi dati disponibili e soprattutto la scarsa conoscenza che abbiamo dell'industria ceramica puteolana in quei decenni non consentono di precisare se anche la sigillata prodotta a Puteoli abbia visto allora ridursi, e in quale misura, la sua area di diffusione o se il fenomeno abbia riguardato le sole officine della "Produzione A".

L'accertata provenienza non africana bensì italica, probabilmente campana, di questi prodotti pone il problema di come definire in futuro tale ceramica, risultando inadeguata la formula sigillata "tripolitana". In attesa che ulteriori rinvenimenti possano portare alla localizzazione precisa dei siti di produzione, l'espressione "Produzione A della baia di Napoli" ci appare come la più congeniale.

GIANLUCA SORICELLI, GERWULF SCHNEIDER, BETTINA HEDINGER

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