Loredana Di Biase, PROVE DI GRIDO NERO

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Maldoror Press PROVE DI GRIDO NERO Loredana di biase

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Poesia e arte visuale. :: Per chi ancora crede nella possibilità di una vita poetica, anche (e soprattutto) contro la "poesia" storicamente determinata e asservita alla logica delle conventicole e del sistema culturale; per chi privilegia l'ironia come grimaldello sovrano per scardinare la bruttezza del quotidiano; per chi sopporta il freddo agli occhi e l'amarezza inventandosi piccole comunità ingovernabili ogni giorno; per tutte le forme-di-vita perdutamente umane che si ostinano a gridare, a ridere e a gioire nel deserto emozionale delle metropoli. In appendice: Carmine Mangone, "L'odio della poesia".

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M a l d o r o r P r e s s

PROVE DI GRIDO NERO

Loredana di biase

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Tumulti04

NER

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Prove di grido neroEbook Maldoror Press, giugno 2010Testi e opere visuali: Loredana Di BiaseLayout (tipo)grafico: Carmine Mangone

CvvvbvvvnvvvdzQuest’opera è rilasciata sotto licenza Creative CommonsAttribuzione‐Non commerciale‐Non opere derivate 3.0 Italia:http://creativecommons.org/licenses/by‐nc‐nd/3.0/deed.it

Indirizzi web dell’autrice:www.loredanadibiase.ithttp://processoallaparola.splinder.comhttp://diotima47.blog.tiscali.it www.myspace.com/loredana.dibiase In copertina e a pag. 16: Prove di grido nero, foto di Eroderba [LucaBenedetti] e rielaborazioni di L.D.B.

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PROVE DI GRIDO NERO

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M a l d o r o r P r e s s

con un’appendice “antinichilista” diCARMINE MANGONE

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* * *

conosco il sentieroche la parola percorre

prima di diventare talei nonni dei miei nonni me lo lasciarono in eredità

quel sentiero a ritrosoche ho visto diramarsi stradine‐stradine

come le attaccature dei capellie venirmi incontro con altre eredità di sogni sognati

e di incubiNon sono capace di fare onore a tale lascito

la visione che ne ho è di un orifiziodal quale fuoriesce il “verbo” proveniente dai piedi

e il suono che cerco di volgere umanomi cambia i connotati.

Soffro a parlare:qualcuno disse a una bambina

“ti fai brutta quando parli”

Loredana di biaseprove di grido nero

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La sosta degli esclusi

diamanti di stradanei crepuscoli appesi ai balconia un tiro di schioppocome quaglie

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Meretrice per caso

fuori dalla storiacome tutti i perdenti

ma ioin più

batto mattonelle a specchiomi fletto

fortuna i capelli che frapponendosi avvinghiano il fiatosu ll’usciomi entranoin boccanel

nasoli sputoche buonoche gustoche cazzostu pendo…La…mattonella mia è maculata zigrinata

di bianco stancocongela il tempo a rasoiate

esige il buio fitto quel buio che non serve quando lavoro in autonomia

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La luce riflessa dei roghi

dove siamo diretti?In piazzaa tagliare le funi ai campaniliSi schianti sui selci l’ingannodel bronzo e dell’argento!

E via su un’altra piazzaa creare i crateri della disobbedienzaa inghiottire i roghisottraendo l’ariaalle preghiere incappucciate!Regaleremo librilibri pieni d’immaginicambiando il finale alle storie

e non arriverà il sibilodel forever di AxelNoi ci spareremo alle tempiecon le pistole ad acqua

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Voglio essere solo ascolto

bisbigliare una veritàè simulare il fischio del treno perso nel deserto dei viaggianti

perché viaggiare non serve

Restiamo immobili a occhi semichiusi!perché vedere non serve

Plasmiamoci di puro ascolto!perché la litania della quotidianità sommergeciò che ci viene proferitosenza emissione di suoni

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OUTSIDER, nel pianeta degli uomini spenti

disperatamente fuori posto nelle discariche della sopravvivenza intorno al rullo compressore diamo inizio alla danza di guerra. Voi agitate i manganelli sugli spigoli dei mendicanti!

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Alberi declinanti

giungeremo al bivaccosenza saper distinguere

tra un sole o una luna lo strano sonno degli alberi

stracciati ci tingerà di giallo l’attesa

di nuove parole mutel’impossibilità

di ritrovare le traccein un estremo cammino a ritroso

* * *

Drenaggio dei sensiNebulizzati

Tra foglie seccheMigranti

Nelle putredini del sottobosco Melodie a stormi

Di note giallognole Di flussi rallentati

Appartenenze indistinte Di parole che hanno svenduto il senso

E i cromatismi della mia atipicità

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Eccomi...

e ritrovare finito il giornole solitudini allineate ciascuna accanto al suo letto d’ombra. E la luce debole che guarda altrovequasi a contenere lo scornodi essere superflua

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Non voglio vedere

dai buchi fuoriesce l’invertebratodunque

fra gli ansimi degli altiforni si forgiano chiavistelli

Voi della cristiana demenza

non vorrete sapere di certe creature

inindividuabili soggiogati come siete

dalla forma delle forme

dalla pretesa del colore

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Prove di grido nero

e avrei voluto che tu amassi il mio corpo così com’èdesiderando le mie deformità facendo penetrare i baci nelle pieghe dell’orrido So no lo spi ri to della bam bo la rot taaa non crederai alla storia dei colori pastello i fiori durano per me l’ascolto di un capriccio diabolico finché tremano le corolleaffiatate e ricurve E il mare è muto in queste mie prove di grido nero che abortisce vomitando un pàiodi smorfieee

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Un peccato non compendiato

guardare è peccatoperché è l’unica possibilità

di infrangere le leggi della moralerestando impuniti

a meno chedavanti

non ti si pariil santo

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Sovrastrutture

se la bellezza va a posarsi sulla spiovenza d’un’ala non può esserci aggiunta di peso il volo librato sparirà a vista d’occhio Di cosa faccia la distinzione è parlare superfluo di sovrastrutture di attribuzioni in declino di ombre già precipitate a terra

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Ora come siamo

veniamo a capo degli anni

allineati in nuvole di fumo

noi degli esordi paralleli noi delle notti contro

noi dell’alleanza che tanto sapeva di carne

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Anemia mediterranea

all’età di 2 anni ero sanguigna e abbisognavo di salassi dall’età di 6 anni presi a soffrire di continue epistassi a 12 anni arrivò il Rosso e fu tutto un arginare di mattanze gocce all’ingresso dei gesuiti sul grembiule della scuola sull’elicottero sull’aliscafo e all’arrivo del primo cane l’anemia un bel taglio orizzontale e recisione dei peli del pube Ora chi volesse cercarmi rimesti nel fondodi un wc di sangue

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Il disco rotto

e te lo dico adesso della tua non presenza

a due cancelli aperti e prendimi sul serio sull’uscio scivoloso dei sogni in libertà

dove il piovere assiduo fa colla delle maschere

e strappami i vestiti e il trucco che mi fa allergia

e vestimi di te che ti sto dentro

Ectoplasmi

popolano le discese tra polveri di parietarie

a ruota di bava trasportano clienti d’albergo

talora passano in ronde frettolosea senso unico

Non li si vede salire

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Essere dentro

turgidità della gemma che non si schiudenelle reti del freddo sopraggiunto staffilata con stile tra sterno e costato Anch’io posso dire di noprovocare implosioni di odoritrattenere i colori ai cancelli crudele regina Tra i canali di sangue raggrumato dove ancora un respirocompie il cammino a ritroso fondo la mia nuova utopia

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Fuggiamo

prima che i nostri figli

e i nostri nipoti dicano di noi“non connette più”

Essi non sapranno mai quanto l’ululato

della bestia solitaria irrori le fratture dei monti

come appaiano gli occhi di un caneche ha pianto tanto

Essi sperimentano la filosofia dei contrattilo stridìo dei neologismi

gli scioperi fasulli a braccetto col nemico Essi racconteranno al bebèla favola del tempo libero

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Figura di lunarespiro di notte veloce stanchezza abbattuta tra i muri...Come la casa saprebbe cospargere di stelle gli assiti traballanti!Al sogno stranamente manca il teporedell’umano...

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Duomo di Palermo

il sogno fugge tra colonne di porfido: vogliono riesumare l’imperatore.

Il sovrano invia messaggeri perché impediscano lo scempio

del suo corpo Ai messaggeri viene negata l’udienza

Federico dà l’incarico a quattro suoi ambasciatori che vengono prontamente intercettati e uccisi

Abbattuti i loro cavalli Trascolora il tempio dal porfido esangue

Le macchine fotografiche si schierano contro le lance in disuso

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Fondali

non conosco i fondali dove rotolano le perle plurifasciate e le porte sbattono a ogni spasimo d’ombra Eppure l’elemento naturale dovrebbe consentire piccole piazze dove ci si possa incontraresenza zavorre

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Dov’era l’uomo con la fionda

Come non riconoscere quel tipo d’inchiostro che t’imbrattava le notti

quando col coraggio di un eroe scrivevi parole di sangue...

Se la parola mi delude è perché non si lascia toccare non è parola di tutti i giorni

parola di pane e sale... Noi non torneremo dov’era l’uomo con la fionda

e il cielo si metteva di mezzo a premerci ai nostri posti

Fatto salvo il capitolo la Legge di Newton merita un epitaffio

un baffo d’ironia su quanto rimane a mezz’aria

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Balconi

dalle finestre di Kavafis escono nuvole a vela ho fumato dell’erba còrsa sul piatto scopato da poco ciaff ciuff ciaff ciuff ciaff ciuff... chissà cosa mostrerebbero le finestrese le maestranze avessero pratica di trafori il mio cane ha la risposta pronta ve lo dico io ma lo smorzo nervosa il poeta beve tristezze a go go uccidilo e poi trascinalo sotto la luna a pecorelle ciaff ciuff domani piove

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Avere in dote

io so dei gelsomini come so del nome di mia madre

e so di tante altre cose che non ho mai messo in fila

né per età né per importanza

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Fastidio nel sedersi

ho offerto una sedia al può darsi con tanto di feltrini e imbottitura: che non si senta il rumore dell’accomodamento... perdio non possiamo cavarcela con questo scrivere corto un sasso lanciato o strisce di pania e noi nel frattempo dove siamoognuno con la sua rivoluzione tra le gambe

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Una strana dedica

il miglior tempo quello che si trucca gli occhi

sul bordo di una scala mobile collassata e il treno ritarda

ché non esistono i binari della fretta

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Carmine Mangonehttp://maldoror67.splinder.com/

L ’ O D I O D E L L A P O E S I A

Non è affatto un esercizio azzardato, né tanto meno le‐zioso, criticare radicalmente la poesia*, sebbene ci sia ladiffusa credenza che la poesia basti a se stessa e chequindi si possa solo falsificarla interpretandola o ponen‐dola di fronte alle sue contraddizioni.

La critica radicale della poesia non è una forma partico‐lare di letteratura, né tanto meno si risolve in una teoria osi limita ad essa.Una tale critica prepara semmai la fine della poesia e ini‐zia là dove la poesia si arresta in quanto dimensione se‐parata, esistente solo a parole.

Ciò che ancora si suole definire poesia non unisce gli uo‐mini, se non in modo fittizio e banalmente culturale, se‐parando in realtà la parola poetica da un mondo direlazioni sociali che ha davvero ben poco di poetico.

Mostrare il movimento della poesia – all’opera nello svi‐luppo storico dell’umanità – ci porta dunque ad eviden‐

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* La poesia storicamente determinata, a partire dal superamento dellatradizione orale, si può definire come l’organizzazione delle parole,della loro origine e del loro fine dentro una cornice estetica – fondatasulla valorizzazione delle forme – che ne fissa il senso separandolo dalflusso della vita quotidiana e liquidandone i luoghi comuni senza ne‐cessariamente superarli nella realtà di chi produce o consuma poesia.

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ziarne la progressiva fuga da questo mondo e, allo stessotempo, ad escogitare nuove situazioni per restituirlo con‐cretamente alla bellezza ancora possibile dei rapporti.

Qui non si nega certo che la poesia – in quanto pratica se‐parata o mero genere letterario – possa ancora scatenareun brivido, una sensazione di apertura sovrana sull’esi‐stente, ma questo avviene solo in ciò che la nostra vita e ilmondo hanno di manchevole, di perduto, di non ancoravissuto.

La poesia è una forma del MISTERO – e si rivela parte inte‐grante di un sistema che alimenta o ridefinisce il misteromantenendolo al di sopra degli uomini.Il mistero è una lacuna, un deficit nella nostra capacità divivere e pensare il mondo – genera l’impotenza, la paura,il sacro, la fede, la progressiva inabilità a riconoscere lemanifestazioni autentiche del vivente.Il mistero è la merce, è il denaro – è l’ombra di un Dio li‐cenziato da tempo e che ormai lavora in nero per potersipermettere almeno un finto paradiso a prezzi da discount.

La poesia è e rimane insufficiente finché si limita a imbel‐lettare – e a tollerare – le sufficienze di coloro che la rele‐gano in un mero genere letterario per paura che tutto ilmondo possa diventare improvvisamente poetico e rivol‐tarsi contro di loro. Risolvendo il mistero, l’unità fittizia del mondo va in fran‐tumi. E ogni frammento, ogni dettaglio di ciò che era“mondo” assume un’importanza essenziale e si vive infineper ciò che è: bellezza del possibile – e pratica condivisadella bellezza – a tu per tu con la singolarità dei viventi.

La poesia è un’attività particolare dell’uomo, ma l’uomonon è un’attività particolare della poesia. Non si può con‐

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fondere l’aratro con la mano di chi ara, né credere di poterovviare alle mancanze dell’uomo organizzandole o dicen‐dole in un modo diverso.L’organizzazione delle parole è fondamentale, certo, male fondamenta dell’edificio sono ben più complesse deitanti castelli di parole che se ne diramano. Tali fondazionisono gettate sull’esperienza umana della realtà – espe‐rienza che produce anche le parole e che spesso, parados‐salmente, viene elusa proprio da queste.

La poesia come ambito separato delle conoscenze va ol‐trepassata, realizzata nel suo stesso annientamento.Occorre tornare all’oralità; risparmiare carta, alberi; ri‐scoprire le voci al di qua del Libro; parlarsi addosso, lec‐carsi, urlarsi contro, spidocchiare ogni aggettivosuperfluo.Rimbaud è morto per i suoi peccati, non per i nostri.Bisogna ricominciare da dove si sono fermate le avan‐guardie estetiche e politiche del Novecento (surrealisti, si‐tuazionisti) rifondando in senso libertario le loro pratichedel gruppo, dell’amore, della rivolta.Bisogna metter mano a comunità amorose e ingovernabili– come culmini possibili delle teorie sovversive di ognitempo – a partire dalle ceneri della poesia o per farla ri‐nascere come volontà dentro il mondo che fluisce con noi.L’alternativa – una volta di più – è tra chi difende questomondo, facendosi paladino dei suoi dettagli insignificanti(per quanto lucrosi), e chi si muove invece nel flusso deglieventi e delle parole per cercare di sovvertire la banalitàdell’esistente.

Giugno 2010

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