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04 Dicembre 2013 LUIGI ZINGALES ITALIA: LE MANCATE OPPORTUNITÀ SPECIALE ATENEI GIOVANI, UNIVERSITÀ, RICERCA RODOLFO FALCONE CHECK POINT: UN FUTURO IN SICUREZZA STEFANO MORIGGI COMINCIAMO A PENSARE CON LE MACCHINE! CULTURA&TECNOLOGIA IL NUOVO MUSEO-IMPRESA FISCO&LAVORO L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO IL VIAGGIO STUDENTI OLTRE LE FRONTIERE SPORT ELISA DI FRANCISCA: DALLA PEDANA DEL FIORETTO AL MONDO PERCORSI LUCA BADOER: IN PISTA PER PASSIONE incontri con IL FUTURO CI ASPETTA I GIOVANI, L’UNIVERSITÀ, LA RICERCA Gruppo Eurosystem Sistemarca scenari stile libero

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I giovani, l’università e la ricerca rappresentano le chiavi fondamentali per la crescita della nostra società e la costruzione di un futuro migliore.

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n°04Dicembre 2013

LUIGI ZINGALES ITALIA: LE MANCATE OPPORTUNITÀ SPECIALE ATENEI GIOVANI, UNIVERSITÀ, RICERCA RODOLFO FALCONE CHECK POINT: UN FUTURO IN SICUREZZA

STEFANO MORIGGI COMINCIAMO A PENSARE CON LE MACCHINE! CULTURA&TECNOLOGIA IL NUOVO MUSEO-IMPRESA FISCO&LAVORO L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

IL VIAGGIO STUDENTI OLTRE LE FRONTIERE SPORT ELISA DI FRANCISCA: DALLA PEDANA DEL FIORETTO AL MONDO PERCORSI LUCA BADOER: IN PISTA PER PASSIONE

incontri con

IL FUTURO CI ASPETTA I GIOVANI, L’UNIVERSITÀ, LA RICERCA

Gruppo Eurosystem Sistemarca

scenari stile libero

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Nel corso di questi difficili anni Unindustria Treviso è stata pro-

tagonista di una grande trasformazione che ha seguito due

grandi direttici: la ricerca di una sempre maggior capacità di

comprensione delle esigenze espresse dalle imprese e la messa

a punto di una nuova generazione di servizi. Per sottolineare

questo impegno nasce il marchio “Unindustria c’è”. Non si tratta

di una semplice campagna di comunicazione, ma di un impegno

morale e operativo che l’Associazione assume nei confronti di

ciascuna impresa associata. “Unindustria c’è” è anche lo slogan

e il segno grafico attraverso il quale verranno identificate le

iniziative di promozione e di informazione riferite ai nuovi servizi.

In un momento storico, in un mercato e in una società segnati

dalle incertezze, come anche dalle opportunità, Unindustria c’è!

Gli imprenditori trevigiani ci possono contare.

una opportunità da condividere

Inserzione Unindustria c'è 210x280_Inserzione Unindustria c'è 210x280 10/10/12 11.21 Pagina 1

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È trascorso un anno dalla nascita di Logyn. Per l’ultimo numero del 2013 la nostra Community ha voluto volgere lo sguardo alle università e ai centri di ricerca, al loro rapporto con il mondo del privato e soprattutto con quello dei nostri giovani.

Poiché istruzione e innovazione sono due chiavi essenziali per la crescita di una società, ci siamo posti delle domande e le abbiamo rivolte ai responsabili di alcuni istituti di istruzione riconosciuti come eccellenze. Realtà che dovrebbero contribuire a immaginare scenari e orizzonti nuovi per la cultura nazionale. E che, ai tanti studenti, dovrebbero trasferire conoscenze, skill e relazioni con il mondo del lavoro: ovvero reali opportunità e l’abilità di essere competitivi e appetibili, in Italia come all’estero.

Siamo, dunque, alla ricerca di esempi che realmente offrano alta istruzione, calibrata ai tempi che viviamo, includendo un rapporto diretto tra formazione e lavoro, con attenzione alle nuove professioni e all’innovazione.

Sembra, infine, che esista nel nostro Paese un gap netto tra università nuove e storiche. Da una parte centri moderni, nati dallo stimolo di professionisti in costante aggiornamento, che trasferiscono saperi e promuovono relazioni con il mondo del lavoro. Dall’altra centri chiusi in tradizioni secolari, dove non mancano esempi d’eccellenza, ma legati spesso alle capacità e alla passione del singolo.

Augurando ai lettori di Logyn un sereno Natale e un nuovo e migliore anno, lascio in sospeso questa considerazione: i risultati della ricerca non dovrebbero mai restare patrimonio di una ristretta cerchia, ma declinarsi e spendersi per il bene di tutta la collettività. Perché proprio dallo sviluppo della comunità nascono le opportunità per i nostri giovani, che andrebbero inclusi fin da subito nel processo di evoluzione e non lasciati come spettatori marginali in attesa del loro turno!

Gian Nello Piccoli

GIAN NELLO PICCOLI Gruppo Eurosystem Sistemarca

editoriale

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IL VIAGGIOPROGETTO ERASMUS: STUDENTI

OLTRE LE FRONTIERE

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LUIGI ZINGALESL’ITALIA

DELLE MANCATE OPPORTUNITÀ

SPECIALE ATENEIGIOVANI, UNIVERSITÀ, RICERCA

STEFANO MORIGGI PENSARE CON LE MACCHINE!

DIGITALIZZARE LA SCUOLA?

CULTURA&TECNOLOGIACON IL NICOLIS

NASCE IL MUSEO-IMPRESA

incontri con

scenari

I giovani (figure umane), l’università (portale) e la ricerca (elica DNA) rappresentano le chiavi fondamentali per la crescita della nostra società e la costruzione di un futuro migliore.

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LUCA BADOER PERCORSISEMPRE IN PISTA PER PASSIONEE PROFESSIONE

IL VIAGGIOPROGETTO ERASMUS: STUDENTI

OLTRE LE FRONTIERE

stile libero

SOMMARIOeditoriale di Gian Nello Piccoli

incontri con LUIGI ZINGALES L’Italia delle mancate opportunitàSPECIALE ATENEI Giovani, Università, RicercaRODOLFO FALCONE Check Point: un futuro in sicurezza

focusIl futuro ci aspetta

scenariLa crisi come acceleratore del cambiamento nelle impreseSTEFANO MORIGGI

PENSARE CON LE MACCHINE!

Con il Nicolis nasce il Museo-ImpresaAlternanza scuola-lavoroRicerca e sviluppo: credito d’imposta e finanziamenti agevolatiApertura ai mercati internazionaliLa riforma del condominio

storiesLa strada per il progressoIT e ICT per innovare la formazioneCome volare alto con l’ERP

spazio a yViaggiando sui binari invisibili del softwareLungo la strada dell’intelligenza

stile libero CONOSCIAMOCI Lavorare con IT e ICTMEDICINA E LAVORO La medicina del lavoro tra ricerca e burocraziaIL VIAGGIO Studenti oltre le frontierePERCORSI Luca Badoer: sempre in pista per passione e professioneSPORT Elisa Di Francisca: dalla pedana del fioretto al mondoCUCINA L’acqua di mare & l’erba voglioUFFICIOVERDE Natale a misura di ambienteFUMETTI La matita di Sue

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DICEMBRE 2013

La situazione economica Italiana: esistono barlumi di

ripresa?

Si, c’è un barlume di ripresa ma industriale non finanziaria,

nel senso che la fase più difficile è forse alle spalle. Eppure le

speranze che circolano sono un po’ troppo ottimiste. Ci sarà probabilmente un rallentamento generale della crisi, ma non un miglioramento chiaro. Esiste un problema di recessione globalizzata, in cui il nostro Paese si inserisce con alcune difficoltà più specificatamente italiane che purtroppo si sommano.

“Il problema in Italia è il ricambio generazionale, nella classe politica come in quella dirigenziale. Nel

pubblico, come nel privato. Ai giovani che vanno all’estero spesso non viene data possibilità di rientrare”.

Luigi Zingales, economista e accademico, ci regala un quadro della situazione italiana e ci racconta

perché ha scelto di insegnare all’University of Chicago Booth School of Business.

L’ITALIA DELLE MANCATE OPPORTUNITÀIntervista al professor Luigi Zingales

DICEMBRE 2013

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incontri conIl sistema imprenditoriale attuale in Italia: in crisi irreversibile? È possibile una politica “pro-business”?

Non è giusto dire che tutto il modello imprenditoriale italiano è in crisi. Esistono delle aree di eccellenza nel Paese, come quella della moda, che funzionano ancora molto bene. In realtà, il problema italiano è dato da una classe dirigente troppo mischiata con quella politica e che spesso non ha competenze sufficienti. Così, oggi, le grandi imprese spesso non funzionano perché troppo dipendenti dalla politica. Diversamente, le difficoltà maggiori della piccola e media impresa sono dovute all’inadeguato utilizzo delle nuove tecnologie, in particolar modo internet e il digitale, indispensabili per crescere e aumentare la produttività. Le Pmi hanno, cioè, un problema di scala da risolvere.

È possibile in Italia un’agenda politica “pro-popolo” in grado di sostenere la ripresa economica e non solo?

Fondamentalmente il Governo precedente ha avuto le funzioni di evitare il default e far ripartire l’Italia. Quello attuale ha fatto delle cose positive, come ad esempio il pagamento dei debiti che la Pubblica Amministrazione ha nei confronti delle imprese. Però, al momento, non vedo delle grandi iniziative per rilanciare la crescita, se non dei piccoli interventi a margine. A mio avviso per rilanciare l’economia c’è bisogno di una rivoluzione culturale che né questo Governo né quelli precedenti sono stati in grado

di fare. Il futuro, soprattutto in vista del voto, dipende da chi si candiderà e da quali saranno le sue prospettive. In questo momento è difficile a dirsi. Quello che penso con certezza è che c’è bisogno di un ricambio sia della classe politica sia di quella dirigenziale. Ricambio di classe dirigenziale nella PA, ma anche nelle fondazioni, nelle banche e nelle grosse imprese che, pur essendo private, sono influenzate dal pubblico e dalle banche. Rimane da vedere se si riuscirà ad operare questa rivoluzione...

Si parla spesso di ricambio generazionale, ma nell’Italia attuale è possibile? C’è spazio per i giovani?

No, c’è pochissimo spazio per i giovani. Purtroppo a chi mi chiede consiglio tristemente devo dire che le prospettive migliori, al momento, sono all’estero. Il rischio che questo Paese si impoverisca di persone, di cervelli e di risorse è molto grande! Purtroppo dal punto di vista sociale, io vorrei dire a tutti “state qua

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e combattete”. Però io sono stato il primo ad emigrare all’estero. Dal punto di vista razionale la scelta migliore per una persona di talento è quella di andare via. Spero in un futuro cambiamento per cui le persone emigrano, fanno esperienze importanti, per poi poter tornare indietro. Infatti, il problema non è tanto andare all’estero, che è un passaggio essenziale per acquisire del capitale umano in un mondo globalizzato, quanto piuttosto in che misura le persone riescono, poi, a ritornare e a integrarsi professionalmente in maniera effettiva. E dovremmo tutti noi combattere per questa possibilità.

L’Italia in Europa: una scelta spinta da pochi o una necessità inevitabile?

Sicuramente l’Euro è stato introdotto troppo presto, per l’Europa ma soprattutto per l’Italia: non era allora il momento giusto. Eppure dato che le altre nazioni europee avevano deciso di introdurlo, era ragionevole per l’Italia fare altrettanto, ma forse sarebbe stato meglio ritardare l’ingresso in modo da poter fare dei cambiamenti più radicali. Purtroppo, l’Euro ci ha dato, sì, dei

Luigi Zingaleseconomista e accademico

Luigi Zingales, classe ’63, si è laureato in Economia summa cum laude nel 1987 all’Università Bocconi di Milano, ottenendo poi un Ph.D. in Economia al Massachusetts Institute of Technology nel 1992. È membro di numerosi think tank e centri di ricerca americani ed europei, in passato ha collaborato con l’ONU in tema di microfinanza ed ha diretto la American Finance Association. Attualmente insegna alla University of Chicago Booth School of Business. È editorialista per Il Sole 24 Ore e ha una rubrica sul settimanale L’Espresso. Inoltre, siede come amministratore indipendente nel consiglio di amministrazione di Telecom Italia. Nel 2012 è stato inserito nella lista redatta dalla rivista Foreign Policy dei 100 pensatori più influenti al mondo, unico italiano presente oltre al presidente della BCE Mario Draghi.

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incontri con

benefici immediati molto elevati, ma questi benefici sono stati completamente sprecati dalla classe politica. Nel senso che, se il risparmio degli interessi che abbiamo ottenuto entrando nell’Euro fosse stato utilizzato per ripagare il debito e non per aumentare la spesa, noi oggi avremmo un rapporto debito-Pil dell’80% piuttosto che del 130%. Quindi, noi abbiamo perso quei benefici dell’ingresso ed oggi ci troviamo in una situazione ancora più difficile rispetto a prima che entrassimo.

E per il futuro: quali i passi da compiere secondo Lei?

Intanto io distinguo Europa ed Euro. Perché Europa non è soltanto l’Euro, bensì un mercato comune in cui noi siamo e abbiamo tutta l’intenzione di rimanere. La domanda più specifica da porsi è se l’Italia riuscirà a rimanere dentro l’Euro e se l’Euro sopravvivrà. E la risposta penso che sia positiva, ma non ne sono poi così sicuro. E soprattutto non sono sicurissimo che il mantenimento dell’Euro sia la soluzione più giusta nel lungo periodo. È quella che dà più possibilità, ma è anche quella che crea maggiori rischi in due direzioni: da un lato un’uscita forzata in un momento di crisi sarebbe devastante, dall’altro creerebbe una meridionalizzazione dell’intera Italia. Esiste, infatti, una parallelismo molto forte tra l’unificazione italiana e quella europea. L’unificazione italiana fu una scelta giusta, ma fu voluta da poche menti illuminate che in qualche modo forzarono i tempi e imposero ad un Sud, non ancora pronto, una omogeneizzazione alle leggi e alla moneta del Nord. Per quanto riguarda l’Europa unita è più o meno simile. E noi conosciamo il risultato dell’unificazione italiana: una sorta di desertificazione del Sud, con poi tutti i danni che vediamo ancora oggi. Il rischio è che succeda adesso la stessa cosa per l’Intero Paese.

Lei cosa pensa dell’attuale crisi politica?

È difficile pensarci, la guardo come si guarda da lontano uno spettacolo tragicomico. Posso dire che da un punto di vista economico ci vorrebbe uno slancio di riforme e di cambiamento che non è certo quello che ho visto mettere in atto dall’attuale Governo.

Lei accademico di successo, quando e perché ha deciso di lasciare l’Italia?

Io ho lasciato l’Italia circa due decenni fa perché volevo studiare all’estero. E quando partii dissi a mia madre che sarei tornato uno o due anni dopo... e invece ne sono passati 25. Il motivo è dovuto in parte al fatto che lì mi sono trovato bene, in parte al fatto che le opportunità che mi si sono presentate in Italia sono sempre state inferiori a quelle avute negli Stati Uniti: ogni volta che qui mi offrivano qualche cosa, negli USA mi offrivano 3 volte di più, e non mi riferisco solo al salario ma anche alle opportunità

di fare ricerca e di lavorare in un certo tipo di ambiente. Quindi nel tempo è stato sempre più difficile pensare di rientrare. Infatti, o siamo in grado di riportare in Italia i ragazzi giovani che, dopo qualche anno di esperienza curriculare all’estero, decidono di tornare oppure perdiamo la partita.

L’Italia secondo Lei ha punti di eccellenza a livello di studi e ricerca?

Sicuramente ci sono, e io li trovo eroici perché riescono nonostante abbiano tutto contro di loro. Però in alcuni casi sono centri legati alle capacità straordinarie di una o due persone, che nascono o muoiono con queste persone. Non c’è un’istituzione o una tradizione che permettano a queste eccellenze di costituire uno status consolidato piuttosto che eccezioni.

In questo numero di Logyn si parla di università, fondazioni di ricerca e opportunità per i giovani: ci parli della University of Chicago Booth School of Business. Che opportunità offre ai giovani?

L’aspetto maggiormente caratterizzante dell’università in cui insegno è il livello di discussione scientifica che avviene con regolarità. Noi abbiamo seminari settimanali dove docenti, grandi menti e studenti si confrontano, e anche l’ultimo degli studenti può porre la sua domanda ad esperti che hanno ricevuto il Premio Nobel. Perché il principio fondamentale è che la persona conta per le sue idee, non per i suoi titoli. Questo è un aspetto meraviglioso della mia università. E questa tradizione le permette di essere un’eccellenza, perché costringe ogni giorno tutti a confrontarsi con il collega su idee diverse. Distinguendo tra il programma di Under graduate e quello di Master, per tutti e due i percorsi esistono numerose borse di studio. Inoltre, per gli studenti americani esistono molte più opzioni di finanziamento - come prestiti - perché chi esce dal nostro master riceve spesso offerte di lavoro molto interessanti anche dal punto di vista economico e quindi può ripagare il prestito chiesto nei primi anni di lavoro.

Un ricordo legato alla sua esperienza di dottorato al MIT (Massachusetts Institute of Technology).

Ricordo ancora distintamente, del mio arrivo negli Stati Uniti, l’eccitazione mista a paura, date dalla presa di coscienza di essere in un posto in cui il futuro è completamente nelle tue mani. Perché in un mondo in cui contano di più la relazioni, è maggiormente difficile emergere, ma meno costoso cadere, mentre negli USA ci sono grandi opportunità però anche un rischio più elevato.

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I giovani, l’università, la ricerca

L’idea che la coltivazione e la trasmissione del sapere richiedano uomini e luoghi espressamente

dedicati a queste finalità è presente fin dall’antichità e rappresenta uno dei fattori determinanti per la

nascita e lo sviluppo della civiltà umana. Eppure l’università è creazione del tutto originale: caratterizzata

da un’organizzazione istituzionalizzata, articolata in distinte aree disciplinari, aperta a studenti di

eterogenea provenienza ed estrazione sociale e finalizzata all’ottenimento di un titolo riconosciuto al di là

dei confini locali.

IL FUTURO CI ASPETTA

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focus

Fin dall’antichità sono esistite istituzioni di educazione superiore come l’Accademia platonica, vari simposi culturali e scuole di insegnamento superiore di diritto organizzate secondo cicli di studio prestabiliti in epoca romana. In seguito la Chiesa, che raggiunse una grande egemonia intellettuale, spirituale e culturale nel mondo occidentale, si rese tramite del trasferimento del sapere grazie anche al lavoro di riscoperta della cultura classica del mondo antico. Nel XII secolo l’importanza delle cattedrali come centro pulsante della vita religiosa di ogni città divenne massima, nel contempo le scuole annesse alle cattedrali ebbero analogo impulso, divenendo tanto importanti da vivere di vita autonoma. Così nacquero le prime università in Europa: Salerno, Bologna e Parigi, famose per gli studi rispettivamente di Medicina, Diritto e Teologia. Dopo Bologna, dalla secessione di alcuni insegnanti, venne fondata Padova.

Le università di questo periodo segnarono una svolta decisiva nel campo della diffusione della cultura, che cessò di essere riservata quasi esclusivamente agli ecclesiastici e cominciò a diffondersi anche presso i laici. Formate inizialmente da professori e studenti riuniti insieme in una specie di associazione o corporazione, detta per l’appunto universitas, funzionarono ben presto sulla base di quattro ordini di studio diversi o facoltà: le Arti (lettere e scienze), la Teologia, il Diritto e la Medicina. In seguito, durante il XIV secolo, gli atenei entrarono nell’orbita dei poteri pubblici e si snaturarono. L’università divenne, difatti, un’istituzione al servizio del potere, e ciò influì sotto ogni profilo, dato che all’idea di studio e di ricerca si andava sostituendo quella della formazione professionale. A partire dal XVI secolo, lo spirito universitario originario si allenta: con i riformisti tedeschi ed Enrico VIII le università diventano sempre più a carattere nazionalistico. In questo manifesto mutamento va constatato il primato che durante il Rinascimento l’università italiana riuscì a raggiungere a livello europeo. Ciò non toglie comunque che,

rispetto all’età medioevale, le principali università italiane, con gran parte dell’autonomia persero anche il proprio ruolo di centri di rinnovamento intellettuale. L’università non fu più all’avanguardia nel progresso culturale. I grandi cambi politici e culturali avvenuti nell’Europa del XVIII secolo causarono effetti sensibili anche sulla concezione dell’università e sull’ordinamento degli studi: il rapido sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica cambiò anche la specializzazione degli studi nelle università. In seguito gli indirizzi furono sempre più di carattere empirico, governati comunque da una nuova stagione di ricerca.

Oggigiorno le università operano in un contesto sempre più globalizzato e in persistente evoluzione, caratterizzato da una concorrenza crescente per attirare e conservare i talenti migliori, e dal delinearsi di nuovi bisogni nella società, ai quali va data una risposta. In generale si assiste ad una riduzione di strumenti e mezzi finanziari. Da qui la necessità degli atenei di trovare quelle soluzioni per restare competitivi sul mercato. Infine, anche in questo periodo di difficoltà si ravvisa quasi universalmente la necessità di avere comunque almeno un ristretto vertice di istituti eccellenti, capaci e dedicate anche alla ricerca, oltre che ad una formazione di qualità.

G. Tanzella-Nitti, «Breve storia dell’Università», in Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, a cura di G. Tanzella-Nittie A. Strumia, Urbaniana University Press-Città Nuova Editrice,Roma 2002, 2 voll., sez. I-III della voce “Università”.

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STEPBYSTEP

VIII - X sec. La diffusione del cristianesimo aveva promosso scuole esegetiche e luoghi di istruzione catechetica o teologica, ma nessuna di queste forme di istruzione o studio presentava i tratti di riconoscimento della vera università.

Costituzione delle prime scuole esegetiche

IV sec. A.C.Per il filosofo greco l’approfondimento del sapere e la sua trasmissione dovevano realizzarsi solo all’interno di una “scuola”, intesa come una comunità di vita e di dialogo fra maestri e alunni. L’obiettivo era quello di formare uomini capaci di riflettere e di governare secondo verità e giustizia.

Accademia di Atene fondata da Platone

Storia della ricerca e delle università

Nascita dell’università

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focus

XII sec. In questo secolo c’è il risveglio dell’interesse per gli studi in tutta Europa. Maestri e studiosi iniziano a spostarsi fra le varie città del continente e si comincia ad avere notizia di concentrazioni di studenti. Le prime a Salerno, Bologna e Parigi in corrispondenza della presenza di rinomati studi, rispettivamente di medicina, di diritto e di teologia. Studenti e docenti si riuniscono in specifiche organizzazioni, di carattere corporativo.

Nascita dell’università

XIV sec. In questo secolo le università lavorano in un clima inedito con ampia divulgazione della cultura, una significativa circolazione dei docenti e una legislazione chiara che protegge gli studi, dando vita ad un nuovo fenomeno sociale e intellettuale.

Periodo rinascimentale

XVI sec. Lo spirito universitario che aveva accompagnato le fondazioni medioevali ha una battuta d’arresto. La suddivisione operata nella cristianità dai riformatori tedeschi e da Enrico VIII trascina dietro le università accentuandone il carattere nazionalistico e confessionale.

L’epoca dei riformatori

XVIII sec. I grandi cambiamenti politici e culturali in Europa causano effetti anche sulla concezione delle università e sull’ordinamento degli studi. Il rapido sviluppo della ricerca scientifica e le scoperte dai risvolti applicativi, preludio della rivoluzione tecnico-industriale del sec. XIX, portano ad una crescente specializzazione degli studi nelle università. Anche le Scienze Umane si differenziano: pensiero filosofico e storico, studi filologici ed esegetici delle scienze sociali.

L’Europa moderna

XIX sec.Mentre in Germania le università mantengono vivi gli ideali di libertà di ricerca e l’apprezzamento per le discipline speculative, proteggendo l’istruzione da una involuzione pragmatica. In Inghilterra la tradizione empiristica conduce la concezione dell’università verso approdi pragmatici. In questo periodo di assiste anche alla nascita delle università cattoliche.

Le università empiriche

XXI sec.In molte università d’Europa viene ribadito il ruolo della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica, come centrale, strategico e propulsivo.

Il ruolo della ricerca scientifica

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Cosa pensa della situazione economica generale e quali saranno i futuri sviluppi secondo Lei?

Il contesto economico attuale sta ancora risentendo della crisi generale iniziata nel 2008. La durata di questo trend negativo ha purtroppo sorpreso un po’ tutti ma è innegabile che un tale

shock sia stato un’ottima palestra per capire quanto il nostro sistema fosse sufficientemente forte e reattivo. Per il futuro rimango comunque ottimista e fiducioso perché credo nelle capacità di fare impresa dei nostri imprenditori e perché siamo consapevoli del ruolo determinante che le banche dovranno giocare in questa delicata partita.

Intervista a Leonello Guidetti, Divisione Banca Popolare di Verona

Dinamicità, volontà di investire in ricerca e sviluppo, attenzione ai nuovi mercati, capacità di fare rete:

nella visione del direttore della Divisione Banca Popolare di Verona le aziende che, nonostante la difficile

situazione economica, si muovono in queste direzioni possono farcela e cavalcare la ripresa.

LA CRISI COME ACCELERATORE DEL CAMBIAMENTO NELLE IMPRESE

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Un commento sulla situazione locale: le imprese in questo periodo di crisi.

Le imprese risentono molto del momento di difficoltà generale. I consumi sul mercato interno sono crollati, con conseguenti ricadute negative sul fatturato delle diverse filiere produttive. Stanno meglio le imprese che possono fare affidamento sulle esportazioni. Il segnale positivo è che la situazione ha impresso un’accelerazione verso il cambiamento da parte delle imprese. Chi ha voluto stare sul mercato ha reagito, cercando di fare sistema, come le Reti d’impresa, un percorso che approviamo e che stimoliamo, grazie al quale si possono ottenere forti economie di scala, facilitazioni ad ottenere credito, maggiore forza nell’ingresso in nuovi mercati.

Vede un segnale di ripresa?

Sì, soprattutto per le aziende che hanno aperto il loro sguardo ai mercati esteri e non solo a quelli domestici.

In un periodo in cui si sente parlare spesso di stretta del credito, come opera il Vostro istituto rispetto alle imprese del territorio locale?

A livello di gruppo abbiamo fatto una scelta industriale chiara diminuendo progressivamente il nostro impegno verso il

Large Corporate e tornando a focalizzare il nostro interesse in particolare sulle Pmi. Questo ha permesso di non ridurre gli impieghi complessivi. È altrettanto vero che, alla luce della situazione economico-finanziaria generale, il criterio di valutazione del merito creditizio è diventato più premiante per quelle aziende che stanno dimostrando dinamicità, volontà di investire in ricerca e sviluppo, attenzione ai nuovi mercati.

In particolare, qual è la politica dell’istituto verso i giovani?

Abbiamo da sempre una grande attenzione per i giovani. Finanziamo da molti anni gli studenti delle medie superiori più meritevoli e con le banche del territorio sosteniamo centinaia di borse di studio per gli studenti promossi con i voti migliori; mentre in ottica futura abbiamo promosso un concorso dedicato ai ragazzi in cui sono state premiate le idee più innovative per avviare una start up. Un’esperienza, quest’ultima, che ci ha confermato come i nostri ragazzi siano molto originali nelle idee, attenti al presente, sensibili ai potenziali cambiamenti, molto più di quanto si possa pensare.

Leonello Guidettidirettore Divisione Banca Popolare di Verona, Banco Popolare

Leonello Guidetti, reggiano, classe 1960, è stato recentemente chiamato alla guida della Banca Popolare di Verona - S. Geminiano e S. Prospero, gruppo Banco Popolare. Nel gruppo da oltre trent’anni, Leonello Guidetti, ha assunto negli anni incarichi di crescente responsabilità che lo hanno portato a ricoprire, dal 2001 al 2005, il ruolo di responsabile Area Affari per la Banca Popolare di Verona - S. Geminiano e S. Prospero, prima a Castiglione e poi per l’Area Emilia Sud, ed infine a Roma, sempre per una banca del Gruppo, la Banca Popolare di Novara. Profondo conoscitore del tessuto economico e imprenditoriale dei territori di riferimento della Banca, nel gennaio del 2006 è stato nominato responsabile della Direzione Banco S. Geminiano e S. Prospero e nel luglio 2008 vice direttore generale di BPV-SGSP. Nel settembre 2010 arriva la nomina a condirettore generale di BPV-SGSP con funzione di direttore generale pro tempore e dal luglio 2011 ricopre la carica di direttore generale della Banca Popolare di Verona - S. Geminiano e S. Prospero Spa. Da fine 2011 ad oggi dopo il processo di fusione delle Banche del Territorio nel Banco Popolare assume il ruolo di direttore di Divisione Banca Popolare di Verona.

scenari

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Quali sono le strategie e le azioni della Banca Popolare di Verona per supportare i giovani in tutte le sfere, da quella personale a quella professionale, con uno sguardo in particolare alle condizioni esistenti per avviare un’attività imprenditoriale?

A livello di servizi è ovviamente un target di nostro interesse e proponiamo di conseguenza prodotti specifici sia per la raccolta sia per esigenze di credito. A livello imprenditoriale l’attenzione è sempre legata al progetto, alle competenze, e non ultimo all’entusiasmo che il potenziale giovane imprenditore fa emergere in sede di presentazione del progetto.

Avete in essere progetti o programmi a supporto della ricerca e dell’innovazione?

Riteniamo la Ricerca, lo Sviluppo e l’Innovazione il futuro delle nostre imprese, pertanto abbiamo studiato plafond ed iniziative mirate che premino gli imprenditori sensibili a questo tipo di strategia. È uno degli elementi cardine che ci permette di capire come l’azienda stessa vede il proprio futuro.

L’istituto e la responsabilità sociale d’impresa: i rapporti con il territorio e con le istituzioni del territorio.

Nell’attuale contesto sociale è indispensabile che le istituzioni si impegnino per la tutela dei più deboli, per incentivare tra i

giovani l’impegno allo studio, la diffusione della cultura, che diventa sinonimo di ricchezza spirituale e libertà. La Banca Popolare di Verona è consapevole di questo ruolo, è lontana da modelli di business prettamente speculativi. Si identifica con una società composta da famiglie e piccola imprenditoria che chiede un rapporto più diretto, di prossimità. È una filosofia di tipo imprenditoriale e sociale che fa parte del nostro modo di essere. Il principio della sussidiarietà, della vicinanza al territorio, del rispetto delle tradizioni sono gli elementi nei quali continueremo ad identificarci.

Banca Popolare di Verona e ICT...

La tecnologia dell’informazione e della comunicazione è ormai una risorsa essenziale nell’ambito dell’organizzazione aziendale in generale, e bancaria in particolare. Il tipo di servizi che offriamo sono indissolubilmente legati a questo tipo di “veicolo”. È nostro dovere garantire al cliente la massima sicurezza, puntuali informazioni ed il migliore dei servizi. È dunque, per il settore bancario, di fondamentale importanza mantenere alta l’attenzione agli aggiornamenti ed alle innovazioni che questo settore propone.

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DICEMBRE 2013

DIGITALIZZARE

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Nell’articolo pubblicato sullo scorso numero di Logyn (settembre, 2013), ho cercato di prospettare una logica di investimento funzionale a evitare sprechi di denaro pubblico (e/o privato) e inoltre in grado di consentire una transizione al digitale graduale e ragionata agli istituti scolastici intenzionati ad avviare una sperimentazione di classi 2.0. Poste, dunque, seppur per sommi capi, le condizioni materiali per riprogettare la scuola che verrà, tenterò questa volta di focalizzare l’attenzione sull’evoluzione metodologica necessaria affinché le nuove tecnologie possano integrarsi in un progetto didattico che non si riduca - come frequentemente accade - al tentativo disperato quanto vano di trovare una rassicurante quadratura del cerchio tra innovazione (informatica) e tradizione (pedagogica). Per avviare una realistica comprensione e una analisi articolata degli stili di apprendimento aumentati dalle tecnologie occorre, infatti, uscire dal dualismo tra contenuti (nozioni, concetti, valori, ecc.) e dispositivi (strumenti a disposizione del docente); e comprendere così, una volta per tutte, che un’aula infrastrutturata a dovere in cui la tipologia di lezione rimanesse quella cosiddetta trasmissiva (uno a molti) non rappresenterebbe in alcun modo un esempio di “classe 2.0”. L’evoluzione delle macchine - occorre ribadirlo usque nauseam - non consiste in un progresso tecnologico

assimilabile semplicemente con un aggiornamento informatico. Le interazioni con le nuove tecnologie inducono profondi cambiamenti nelle pratiche formative e nel lavoro che vede protagonisti alunni e insegnanti, tanto a scuola quanto a casa. E di tali evidenze empiriche e concettuali deve tener conto una pedagogia che voglia farsi carico della rilevanza del mutamento antropologico a cui stiamo assistendo - oltre che, ancora più radicalmente, della complessità del rapporto tra soggetto e oggetto, tra individuo e strumento.Ma caliamoci senza indugio nel concreto della realtà scolastica: quali rivolgimenti dovrebbe produrre sul piano della didattica questa inedita relazione con le tecnologie che investe tutti gli ambiti della vita dei nativi digitali - dal gioco ai rapporti sociali, fino appunto alle modalità con cui si approcciano al sapere? Anzitutto, si tratterebbe di mandare in soffitta proprio quella lezione frontale cui si faceva cenno qualche riga sopra. L’insegnamento trasmissivo ed enciclopedico dovrebbe lasciare sempre più spazio a modelli di apprendimento in grado di “attivare” gli studenti, di stimolare la loro curiosità nelle forme tipiche e proprie della ricerca: imparare a far domande, formulare ipotesi, sottoporre le congetture proprie ed altrui a una rigorosa prova dei fatti, ecc. Il che, inevitabilmente, provocherebbe - per la prima volta a livello planetario - lo

STEFANO MORIGGI

Apprendere è ricercare! Fine della didattica nozionistica...

PENSARE CON LE MACCHINE! DIGITALIZZARE LA SCUOLA?

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scardinamento degli schemi tradizionali costruiti e impostati sulla tecnologia-libro!La ragione principale di tale svolta epocale è stata recentemente ribadita in modo piuttosto efficace da Michel Serres nel suo Non è un mondo per vecchi (Bollati Boringhieri, Torino 2013), quando - condensando in poche righe il portato culturale di pratiche consolidate nei secoli, scrive: “Da molto tempo e fino a poco fa, insegnare consisteva in un’offerta. [...] Ecco qua il sapere, stoccato nelle pagine dei libri: il portavoce parlava così, esibiva il sapere, lo leggeva, lo declamava; adesso ascoltate, leggete dopo, se vorrete. In ogni caso, fate silenzio”. E questo modello non funziona più. Perché?Il sociologo francese non ha dubbi: “I ragazzi non leggono, né intendono ascoltare l’esposizione orale di ciò che è scritto. [...] Ridotti al silenzio da tre millenni, i ragazzi producono in coro un rumore di fondo che sovrasta il megafono della scrittura”. E aggiunge: “Perché chiacchierano, nel vocio dei compagni chiacchieroni? Perché questo sapere annunciato ce l’hanno già tutti. Per intero. A disposizione. Sottomano. Accessibile tramite il Web, Wikipedia, il palmare con qualsiasi mezzo portatile. Spiegato, documentato, illustrato con una quota di errori analoga a quella delle migliori enciclopedie”.Ebbene sì, non c’è più bisogno di un “docente-sacerdote” che si erga a portavoce del sapere, ma piuttosto di un “compagno di ricerca” che abiliti i discenti alla pratica della ricerca, fornendo loro i mezzi della critica dell’analisi attraverso cui navigare consapevolmente nel mare magnum della rete. Ecco, quindi, che la pedagogia dell’insegnamento deve cedere il posto a quella dell’apprendimento; ecco, quindi, che lo studio non è più assorbimento di contenuti calati dall’alto, ma una successione di progressive scoperte e approfondimenti nell’orizzonte aumentato delle tecnologie - in cui i libri continueranno a “vivere”, sebbene non più come paradigma unico e costitutivo dell’esperienza formativa.

In passato, l’apprendere attraverso il fare e lo scoprire (learning by doing) era riservato a pochi contesti di élite; mentre, per ragioni economiche e strutturali, la scolarizzazione di base nei paesi occidentali si è svolta - come si è detto - secondo un modello trasmissivo ed enciclopedico. Oggi, invece, le tecnologie digitali garantiscono l’opportunità - se sostenute da adeguate politiche di welfare dell’apprendimento (diritti di cittadinanza digitale, accesso universale, ecc.) - di estendere all’intero sistema formativo dei paesi sviluppati (dalla Scuola Primaria all’Università) questo tipo di approccio. Per almeno tre ragioni:

1) le tecnologie digitali “naturalmente” inducono a un metodo interattivo e sociale nell’accostarsi alla conoscenza (Point; Click and Share);

2) gli alunni e gli studenti nativi digitali praticano spontaneamente fuori da scuola questo tipo di comportamenti attraverso social-network e strumenti di comunicazione istantanea cui accedono attraverso notebook, consolle per video giochi, smartphone;

3) i costi della infrastrutturazione tecnologica sono calati vertiginosamente negli ultimi dieci anni.

L’insieme di questi fattori sta producendo un concreto ed evidente cambiamento nel setting didattico e nella stessa costituzione materiale della scuola (in Europa, tale cambiamento è già stato recepito e formalizzato negli Obiettivi di Lisbona per l’armonizzazione dei sistemi formativi - http://www.

scenari

Si occupa di teoria e modelli della razionalità, di fondamenti della probabilità, di pragmatismo americano con particolare attenzione al rapporto tra evoluzione culturale, semiotica e tecnologia. Già docente nelle università di Brescia, Parma, Milano e presso la European School of Molecular Medicine (SEMM), attualmente svolge attività di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e l’Università degli Studi di Bergamo. Esperto di comunicazione e didattica della scienza, è consulente scientifico Rai e su Rai 3 è uno dei volti della trasmissione “E se domani. Quando l’uomo immagina il futuro”. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: “Le tre bocche di Cerbero. Il caso di Triora. Le streghe prima di Loudon e Salem” (Bompiani, 2004); (con E. Sindoni) “Perché esiste qualcosa anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero” (Itaca 2004); con P. Giaretta e G. Federspil ha curato “Filosofia della Medicina” (Raffaello Cortina, 2008). Più recentemente (con G. Nicoletti) ha pubblicato “Perché la tecnologia ci rende umani. La carne nelle sue riscritture sintetiche e digitali” (Sironi, 2009); (con A. Incorvaia) “School Rocks. La scuola spacca”, (San Paolo, 2011).

Stefano Moriggistorico e filosofo della scienza

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indire.it/db/docsrv//PDF/raccomandazione_europea.pdf; per quanto concerne invece lo stato di attuazione di tali obiettivi si veda: http://ec.europa.eu/education/policies/2010/doc/progressreport06.pdf).Ma vediamo ora più dettaglio come potrebbe riformularsi una pratica didattica in un contesto digitalmente aumentato che tenesse conto delle logiche sottese alle nuove tecnologie e delle pratiche emergenti dalle relazioni che con esse intrattengono i nativi digitali. Delineerò di seguito, seppur in modo sintetico e qualitativo le tre fasi in cui si articola il tempo-scuola secondo il modello formulato dal professor Paolo Ferri e da chi scrive:

a) Tool Box (cassetta degli attrezzi)È l’avvio del processo didattico: si tratta di una attività, solo apparentemente vicina alla didattica frontale tradizionale. In realtà, l’insegnante si vedrà impegnato nel delineare i tratti concettuali essenziali alla comprensione dell’area tematica da affrontare, evidenziando - tanto sincronicamente quanto diacronicamente - le connessioni interdisciplinari e i nuclei problematici fondamentali (anche utilizzando i materiali digitali precedentemente caricati negli ambienti virtuali di apprendimento - VLE/LCMS). Il tutto, facendo emergere le logiche di indagine e le metodologie di ricerca di volta in volta funzionali al contesto in questione. L’applicazione di un tale approccio didattico, già a questo primo livello, richiede: 1) una inevitabile selezione dei contenuti da proporre alla classe; 2) un approccio metodologico e critico all’indagine nei differenti campi del sapere.

b) Problem Solving CooperativoQuesta fase rappresenta il momento centrale della nostra proposta. Gli studenti saranno organizzati dall’insegnante in piccoli gruppi e abilitati a lavorare all’interno di una classe virtuale (LCMS/VLE) con il notebook sia in classe sia a casa. Quindi, sulla base di una scelta di e-tivieties (attività cooperative on-line), analizzare ed eventualmente risolvere i problemi emersi durante la Tool box. In questa seconda fase, gli studenti agiranno appunto come piccoli ricercatori, sostituendo lo studio tipicamente concepito come sforzo mnemonico con un’indagine razionale modellata sulla logica della scoperta scientifica e implementata dagli strumenti di simulazione digitale dell’esperienza e/o di esplorazione e documentazione di fenomeni reali all’interno o all’esterno della scuola. Una tale metodologia è possibile solo attraverso le funzioni di condivisione e oggettivazione della conoscenza consentite dagli strumenti di rappresentazione digitale dei saperi.

c) Situation RoomL’insegnante, in questa terza fase, consulterà i suoi “esperti” e “ricercatori” di fiducia (ovvero, gli studenti) per chiedere loro ragione delle metodologie e dei risultati ottenuti, favorendo

dunque, attraverso un ulteriore confronto, una metariflessione mediante la quale i gruppi di lavoro possano accrescere, rivedere razionalmente e sedimentare maggiormente le (migliori) evidenze o soluzioni conseguite nella fase del Problem Solving Cooperativo. In questa terza fase, l’insegnante stabilisce, quindi, un momento di discussione/valutazione che condivide e approfondisce i risultati del lavoro dei singoli team di ricerca, anche attraverso l’utilizzo delle fonti disponibili su Internet come elemento di critica e controllo delle congetture altrui. È la fase più dialettica del processo didattico, quella in cui i risultati ottenuti dai singoli gruppi si rendono “pubblici” - proprio come avviene nel dibattito interno alla comunità scientifica. Si tratta, in sintesi, del momento della valutazione cooperativa “di processo”, cui faranno seguito le “valutazioni sommative individuali”. In questo modo - al di là dell’acquisizione di competenze tematiche e contenutistiche - gli studenti acquisiscono nel tempo la consuetudine 1) al lavoro di gruppo; 2) all’onestà intellettuale di sottoporre al controllo pubblico le proprie idee e congetture sul mondo e sui saperi; 3) a chiedere conto delle ragioni altrui, esercitando come un diritto/dovere il pensiero critico nell’interesse proprio e del gruppo. Questo processo di confronto pubblico e di revisione razionale dei risultati è di fatto reso possibile dall’opportunità di lavorare simultaneamente all’interno di una classe reale e di un ambiente virtuale per l’apprendimento (LCMS/VLE). Un tale ambiente, pensato per la gestione condivisa della conoscenza (Knowledge Management) e per il supporto alla conduzione del processo didattico, rende infatti praticabile una serie di operazioni irrealizzabili nei modi sopra indicati all’interno di un contesto gutemberghiano.

Questo tipo di setting didattico mette dunque in evidenza una grande opportunità di “ritorno al futuro” per i sistemi scolastici e formativi - permette, cioè, attraverso le tecnologie digitali dell’apprendimento, di concretizzare su larga scala la “buona utopia” del learning by doing di John Dewey, rivisto alla luce di un approccio logico-metodologico incentrato sulle logiche della scoperta scientifica. Stiamo sperimentando questo modello in percorsi formativi che coinvolgono docenti provenienti da istituti di ogni ordine e grado sul territorio nazionale. I risultati attuali sono incoraggianti e convergono con i dati emersi da analoghe esperienze condotte nel nord Europa e negli Stati Uniti. Ci sarà modo di aggiornare (anche in questa sede) gli esiti delle sperimentazioni in corso; tuttavia una cosa è già evidente: senza un ripensamento del sistema scolastico italiano (incluso quello universitario) sarà sempre più difficile per le prossime generazioni riuscire a competere - anche sul fronte occupazionale - con quei loro coetanei stranieri allenati fin da piccoli a pensare - come diceva Sir Karl Popper - che “tutta la vita è risolvere problemi”...

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informazione pubblicitaria

CHECK POINT SI CONFERMA ALL’AVANGUARDIA NELLA SICUREZZA IT E RINNOVA LA SUA NUOVA SUITE SOFTWARE ALL’INSEGNA DELLA THREAT EMULATION

Check Point presenta la nuova suite R77. La software blade Threat Emulation innalza i livelli di sicurezza e permette di difendersi con successo da nuove vulnerabilità, minacce sconosciute e attacchi mirati

È particolarmente ricca di novità Check Point R77, release più recente della Software Blade Architecture di Check Point Software Technologies. Con questa nuova versione della sua suite software, l’azienda conferma la sua leadership tecnologica e di mercato nel settore della sicurezza Internet, offrendo una serie di nuove funzionalità avanzate, con cui i clienti possono affrontare con successo anche le minacce più insidiose.

Oggi, i cybercriminali operano ad un ritmo serrato, sviluppando continuamente nuovi attacchi e prendendo di mira in modo accurato le proprie vittime grazie a malware personalizzato. Le ricerche stimano tra le 70.000 e le 100.000 le nuove varianti di malware create e distribuite ogni giorno . Già il semplice volume del malware rende evidente la quantità di attacchi avanzati ed ancora sconosciuti che le aziende si trovano ad affrontare. Allo stesso tempo, alle reti vengono richieste performance sempre più avanzate a supporto del business. Questo scenario richiede una combinazione tra capacità di prevenire le minacce, velocità dell’infrastruttura di sicurezza, e possibilità di rispondere in modo automatizzato alle necessità di compliance. Check Point R77 porta ai gateway esistenti funzionalità di sicurezza preventiva, monitoraggio della compliance e miglioramenti delle performance reali.

Emulazione delle minacce per una sicurezza superiore

Tra le innovazioni principali apportate in questa nuova release, spicca la nuova Threat Emulation Software Blade, che previene le infezioni da vulnerabilità sconosciute e attacchi zero-day e mirati. Si tratta di un’innovativa soluzione che identifica velocemente i file sospetti, emula il loro modo di operare per individuare comportamenti malevoli e prevenire che il malware acceda alla rete. Check Point Threat Emulation invia immediatamente i report relativi a nuove minacce al servizio ThreatCloud di Check Point per proteggere in automatico gli altri clienti.

“Vulnerabilità sconosciute e exploit zero-day sono alcuni dei vettori di attacco più diffusi al giorno d’oggi, principalmente perché hanno la capacità di evitare le barriere tradizionali, rendendo molto difficile per le aziende restare al passo con il volume delle minacce”, commenta Dorit Dor, vice president products in Check Point Software Technologies. “La nostra nuova software blade di Threat Emulation non sono identifica, ma è la prima soluzione a prevenire le infezioni dal contatto iniziale, abilitando i clienti a bloccare attacchi sconosciuti prima che minaccino la sicurezza di rete o disturbino il flusso aziendale”.

Check Point Threat Emulation previene gli attacchi verificando file scaricati e allegati ai messaggi di posta elettronica quali PDF o Microsoft Office. I file sospetti vengono aperti all’interno del sandbox di Threat Emulation e monitorati per comportamenti anomali tra cui modifiche ai registri, connessioni di rete o processi di sistemi - fornendo una valutazione in tempo reale del comportamento del file. Se questi ultimi sono malevoli, vengono bloccati al gateway. Nuove signature vengono immediatamente condivise con Check Point ThreatCloud e distribuite ai gateway degli abbonati per una protezione automatica da nuovi malware. Check Point Threat Emulation è parte integrante della nota soluzione di Threat Prevention stratificata a marchio Check Point. Questa suite complementare di blade software comprende IPS Software Blade che blocca gli exploit di vulnerabilità note, Anti-Bot Software Blade che identifica e

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previene danni da bot, e Antivirus Software Blade che blocca download di file infetti da malware.

Check Point Threat Emulation offre ai clienti diverse opzioni di implementazione all’interno di appliance dedicate o attraverso il servizio basato su cloud. Emulazione e reporting possono essere gestiti con la console di amministrazione di Check Point da qualunque gateway, mentre il device management locale è disponibile per appliance dedicate.

Una suite sempre più ricca di funzionalità

Oltre alla citata Threat Emulation, Check Point R77 presenta oltre 50 novità di prodotto, tra cui la tecnologia Check Point HyperSpect per migliorare le prestazioni, la software blade Check Point Compliance, un Central Device Management centralizzato, livelli più elevati di user identity awareness grazie all’integrazione con RADIUS e IF-MAP, e miglioramenti al sistema operativo unificato Check Point GAiA.

R77 è la prima versione della suite ad includere Check Point HyperSpect, un avanzato engine adattivo di ispezione dei contenuti in grado di massimizzare l’utilizzo dell’hardware grazie ad un ampio spettro di ottimizzazioni ed accelerazioni, comprese tecnologie di hyper threading. Grazie a HyperSpect, le organizzazioni possono ottenere prestazioni significativamente superiori, con un miglioramento delle performance reali sulle piattaforme high-end che può arrivare al 50%.

Con il semplice upgrade del software alla versione R77, le aziende possono consolidare la loro sicurezza sulla stessa piattaforma utilizzando le protezioni software blade multilivello Check Point, sperimentando prestazioni costantemente elevate.

HyperSpect incrementa la potenza di elaborazione e ottimizza le capacità di ispezione diretta al traffico Internet più comune, come lo streaming multimediale e la comunicazione http, che consumano la maggior parte dell’ampiezza di banda su Internet.Compliance Software Blade di Check Point verrà resa generalmente disponibile con la suite R77. Presentata lo scorso marzo, è la prima soluzione di monitoraggio della compliance integrata ad un firewall di nuova generazione e completamente automatizzata, che sfrutta una conoscenza approfondita dei requisiti normaltivi ed oltre 300 best practice di sicurezza. La Check Point Software Blade riduce la complessità legata ai requisiti di conformità imposti dall’esterno e dalle necessità interne di security, offrendo una notifica istantanea delle modifiche alle policy, controllando costantemente la situazione di sicurezza su tutte le software blade Check Point e fornendo raccomandazioni concrete su come migliorare compliance e sicurezza.

Check Point R77 offre una serie di ulteriori nuove funzionalità, quali un nuovo Central Device Management centralizzato: le organizzazioni possono gestire e mantenere con efficacia numerosi gateway di sicurezza grazie alla nuova funzione di Central Device Management. Le nuove opzioni di provisioning nella console di gestione SmartDashboard aiutano ad eliminare errori di configurazione in ambienti complessi e riducono i costi operativi legati alla gestione ed al mantenimento di degli ambienti di sicurezza. Queste funzionalità non richiedono una licenza aggiuntiva per la loro implementazione. Miglioramenti al sistema operativo sicuro unificato Check Point GAiA, che permettono upgrade e update più veloci, con una diminuzione del downtime del 90%, oltre a una migliorata user experience sull’interfaccia di GAiA per gli amministratori della sicurezza. Integrazione con la Identity Awareness: gli aggiornamenti prevedono una maggior accuratezza nell’identificazione degli

utenti in ambienti non-Windows, acquisendo le identità dall’integrazione con RADIUS e IF-MAP.

Infine, è stato generalmente rivisitato il licensing: Check Point R77 è più semplice da organizzare e gestire, con la possibilità di effettuarne il retrieval in modo automatizzato e la sincronizzazione dei dati tra lo UserCenter di Check Point e la console di security management.

Per ulteriori informazioni:www.checkpoint.com www.opsec.com

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I giovani, l’università e la ricerca per Eurosystem

La parola “ricerca”, trova la sua origine nel latino tardo: “ri” (fare di nuovo) e “circare” (andare in torno),

e indica ogni attività di studio che abbia come fine l’acquisizione di nuove conoscenze. Da quella di base

alla applicativa, la ricerca scientifica costituisce da sempre un fattore chiave per il progresso della società

e, perché continui ad essere così, forte deve essere il suo legame con le università e le menti più giovani.

LA STRADA PER IL PROGRESSO

STEFANO BACCI [email protected]

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La ricerca da sempre è stata legata alla curiosità e al desiderio di “sapere” propri dell’essere umano, a differenza della tecnologia che nasce piuttosto dall’arte del “saper fare”, dalla capacità di ideare e costruire utensili che migliorino la vivibilità dell’uomo, e che più spesso è un’applicazione deliberata di conoscenze scientifiche nuove. È della seconda metà del secolo scorso, infatti, l’idea che le innovazioni siano il completamento di un ciclo che dalla ricerca di base porta al mercato. E oggi la ricerca è ritenuta uno dei fattori chiave per la crescita e lo sviluppo della società, proprio per la sua capacità di creare innovazione attraverso l’applicazione tecnologica delle scoperte scientifiche.

Nell’informatica, nel lungo e complesso processo dall’indagine pura, a quella applicata, alla progettazione e industrializzazione di nuovi prodotti si colloca anche Eurosystem, da oltre trent’anni impegnata nello studio, nello sviluppo e nella produzione di un software gestionale che ha come obiettivo migliorare la vita dei lavoratori-utenti all’interno delle aziende.

Il processo di realizzazione ed evoluzione del prodotto software di Eurosystem necessita di avviare continuamente progetti di ricerca appplicata, con l’intento di indagare l’esistenza di eventuali modelli teorici o pratici che, se introdotti nel sistema gestionale proprietario, potrebbero migliorarlo risolvendo delle problematiche e rendendolo più utile all’uomo. Questo tipo di progetti sono presi in carico dal reparto Ricerca,

Ingegnerizzazione e Sviluppo Software che si occupa di scoprire modelli o tecnologie già esistenti, studiarne il meccanismo alla base, valutare la possibilità di introdurre quei modelli o quelle tecnologie all’interno del prodotto software e realizzare concretamente la componente innovativa all’interno della soluzione attraverso le fasi di ingegnerizzazione e sviluppo.

Nello svolgimento di alcuni di questi progetti Eurosystem fa ricorso al supporto delle università favorendo lo scambio e il confronto scientifico tra le proprie risorse più giovani e quelle dell’ente formativo al fine di realizzare una collaborazione fruttuosa e individuare la strada verso il miglioramento. L’apporto universitario è, infatti, fondamentale per attingere ad un bagaglio di conoscenze che l’azienda non ha proprio in virtuà del sua natura produttiva e legata al mercato. Le università, invece, sono centri di ricerca a tutto tondo, generatori di cultura e incubatori di innovazione, ed è da qui che prima di tutto dovrebbe passare la ricerca scientifica, per poi incanalarsi nell’applicazione pratica e nello sviluppo industriale, favorendo il progresso di tutta la comunità.

A. Ruberti, C. Gori Giorgi, «Ricerca scientifica e tecnologica», in Enciclopedia del Novecento II Supplemento, Treccani, 1998, (http://www.treccani.it/enciclopedia/ricerca-scientifica-e-tecnologica_(Enciclopedia_del_Novecento)/).

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Eurosystem nell’arco del tempo ha ricercato e sviluppato varie opportunità di relazione con dipartimenti universitari di diversi atenei. Il rapporto più duraturo e portatore di vari benefici è sicuramente stato negli anni più recenti quello con l’Università degli Studi di Padova, in particolare con il Dipartimento di Matematica Pura e Applicata della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali.

La collaborazione con l’università è sempre stata inquadrata nell’ambito di progetti finanziati per i quali Eurosystem ha concorso a bandi emanati da istituzioni, come ad esempio la Regione Veneto, finalizzati alla formazione e all’aggiornamento professionale oppure alla realizzazione di progetti di ricerca e sviluppo precompetitivo delle piccole e medie imprese.

Se da una parte la collaborazione con l’università è stata spesso anche un obbligo prescritto dai vincoli posti dai bandi di concorso, dall’altra per Eurosystem ha sempre costituito un’opportunità vera di conseguimento di obiettivi che diversamente non sarebbe stato possibile raggiungere. Questo dimostra che la concezione di fondo delle leggi regionali o nazionali (che spesso recepiscono direttive e intercettano finanziamenti europei), che fanno da sfondo ai suddetti bandi di concorso prescrivendo una quota di partecipazione di istituzioni universitarie, risulta fondamentalmente equilibrata e lungimirante. L’approccio più corretto, quindi, per l’azienda che desideri finanziarsi nelle proprie iniziative di

aggiornamento interno o di sviluppo precompetitivo di progetti che un domani daranno vita a nuovi prodotti o servizi, è sfruttare questo “obbligo” come una opportunità vera di cambiamento e di svolta e non sprecare energie e tempo per assolverlo solo in termini formali.

Tuttavia il percorso non è mai facile per diversi aspetti. Innanzitutto quello burocratico e amministrativo, che non è mai né snello né perfettamente lineare, logico o coerente, fatto solo in parte spiegabile con le garanzie, giustamente pretese dagli enti erogatori, di corretto impiego dei fondi di cui l’azienda selezionata dal bando beneficia. Il sospetto è che a volte la “traduzione” italiana o regionale di leggi o direttive europee ne complichi in modo incomprensibile l’attuazione, costringendo tra l’altro a ricorrere a consulenze esterne al fine di interpretare e destreggiarsi nei vincoli, nelle condizioni e nelle scadenze previste dalle varie fasi di concorso, svolgimento del progetto, sua rendicontazione e relative relazioni intermedie e finale, sempre sottoposte regolarmente a verifiche programmate da parte di incaricati degli enti erogatori.

Anche nell’ambito della collaborazione con l’università è possibile che si verifichino alcune difficoltà. Vi sono degli ambiti nei quali l’apporto competente e di alto livello dell’università in azienda è sicuramente insostituibile, come ad esempio la formazione. Eurosystem grazie al suddetto dipartimento universitario ha

La collaborazione con l’università, spesso utile, a volte indispensabile, non è sempre facileALESSIO VOLTAREL

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potuto erogare ai propri analisti del software un corso completo in materia di Business Process Management (BPM) che ha generato un salto qualitativo rilevante nelle capacità professionali e consulenziali presso le aziende clienti. Si è dovuto tuttavia “sintonizzare” a più riprese il programma di formazione proposto dal dipartimento perché si avvicinasse il più possibile alle esigenze pragmatiche e applicative di Eurosystem. La difficoltà iniziale è stata comprendere che certi contributi teorici ritenuti importanti dai docenti che hanno curato il corso BPM, dato il taglio più pragmatico richiesto da Eurosystem, potessero essere trascurati o trasferiti in modo meno formale, più intuitivo. Pur conservando qualche contenuto forse ancora troppo teorico durante lo svolgimento del corso, il dipartimento alla fine è riuscito a lasciare un segno indelebile di cambiamento culturale nei prefessionisti Eurosystem di età, formazione ed esperienze piuttosto eterogenee.

Proseguendo con i casi vissuti, quando Eurosystem ha chiesto al dipartimento supporto fattivo su alcuni progetti software materia dei propri sviluppi di ricerca è emersa la necessità di sincronizzarsi meglio sul piano della comprensione e dell’ottenimento dei risultati conclusivi accordati. Un esempio su tutti è stata la progettazione dell’algoritmo di calcolo del Low Level Coding (LLC) delle distinte di produzione, noto problema chiave nei sistemi di calcolo del Material Requirements Planning (MRP), che Eurosystem ha dovuto affrontare nel produrre il proprio nuovo sistema MRP in quanto si tratta di un problema di non

facile soluzione in termini prestazionalmente accettabili. In questo progetto, essenziale per Eurosystem, il dipartimento ha associato non una propria risorsa interna con esperienza, ma piuttosto un tesista laureando. La cosa di per sé non è da considerarsi errata, ma con questa scelta sarebbero stati necessari maggiori coordinamento e supervisione da parte del dipartimento. Anche in questo frangente il contributo da parte dell’università si è comunque rivelato indispensabile, ma solo la tenacia nel richiedere i risultati conclusivi e l’autonoma azione di revisione sistematica e prolungata a cura di Eurosystem sui “semilavorati” consegnati dal tesista hanno permesso di arrivare in fondo e ottenere il risultato voluto. Successivamente, nell’ultimo progetto software che Eurosystem ha commissionato - un prototipo di visualizzazione grafica del grafo di assegnazione fabbisogni-disponibilità calcolato da MRP (detto full-pegging) - il dipartimento ha invece messo a disposizione direttamente una propria professionalità interna e il risultato è stato eccellente, un prodotto finito senza pecche, funzionale e “funzionante al primo colpo”.

Per concludere si può dire che il bilancio complessivo del rapporto con l’università per Eurosystem è stato sicuramente positivo, anche se ha richiesto di essere alquanto chiari e schietti nelle richieste, e di vigilare sulla continuità e sulla adeguatezza dei risultati consegnati.

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Il Politecnico di Milano è riconosciuto nel mondo come scuola d’eccellenza? Quali le politiche adottate negli anni?

Il Politecnico di Milano, per vocazione, ha sempre lavorato a stretto contatto con il mondo produttivo in un rapporto di reciproca collaborazione e crescita. Una scelta che continua a pagare e che ovviamente continuiamo a perseguire. Negli ultimi anni abbiamo inoltre impresso un forte impulso all’internazionalizzazione: ormai i nostri studenti e docenti devono avere a che fare con una realtà mondiale nell’ambito dello studio, della ricerca e professionale.

In cosa si distingue in particolar modo il Politecnico di Milano? In quali settori e per quali servizi?

Oggi il Politecnico di Milano è la più grande scuola di architettura, design e ingegneria d’Italia. Il nostro ateneo continua a scalare la classifica QS World University Rankings e quest’anno si attesta al 28° posto al mondo nell’area disciplinare dell’“Engineering and Technology” guadagnando ben 20 posizioni rispetto al 2012.L’ateneo è la prima università italiana nella storia dei rankings QS a entrare tra le 30 migliori università tecnologiche del mondo. Secondo la QS World University Rankings 2013/14, la

Intervista al rettore Giovanni Azzone

150 anni di storia, di formazione a studenti provenienti da tutto il mondo e di stretto contatto con

il settore produttivo: oggi il Politecnico di Milano è la più grande scuola di architettura, design e

ingegneria d’Italia. Tant’è che - come ci spiega il rettore Giovanni Azzone - si trova al 28° posto

nell’area disciplinare dell’“Engineering and Technology” della classifica QS World University Rankings.

POLITECNICO DI MILANO: 150 ANNI DI RICERCA E FORMAZIONE

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incontri con

principale classifica delle università internazionali, il Politecnico di Milano migliora e rafforza la propria presenza anche nella graduatoria generale. L’ateneo milanese si colloca quest’anno al 230°posto guadagnando 14 posizioni rispetto al 2012. Un trend positivo che negli ultimi 9 anni ha fatto salire il Politecnico di Milano di ben 129 posti.

Quali opportunità offre il Politecnico ai giovani, non solo come offerta formativa, ma anche a livello di contatti con il privato?

Il Career Service è il servizio che in ateneo offre costante supporto e guida ai propri studenti e laureati per tutti gli aspetti legati al futuro professionale, ponendosi come canale diretto di comunicazione con il mondo del lavoro. Il servizio offre supporto per la ricerca del lavoro, CV on-line, colloqui individuali con esperti per indirizzarsi ad un settore o profilo professionale e un database di offerte di lavoro e stage sia per l’Italia che per l’estero aggiornato quotidianamente. Organizza eventi e attività con aziende italiane e internazionali ogni giorno direttamente in ateneo, oltre a 3 fiere del lavoro ogni anno e fornisce informazioni su stage nazionali e internazionali.

Avete qualche forma di talent management per indentificare studenti capaci?

Abbiamo una serie di programmi che mirano a fornire opportunità addizionali ai talenti, sotto forma di sviluppo di competenze progettuali e interdisciplinari, capacità interculturali ed esperienze in impresa (Unitech, Alta Scuola Politecnica, Time). L’accesso a questi programmi seleziona gli studenti in base alla qualità del curriculum scolastico ma anche alle soft skills e alle esperienza extrauniversitarie.

Quali gli obiettivi prefissati nel futuro?

Rafforzare la nostra community di studenti internazionali e riuscire ad attrarre sempre più docenti di livello dall’estero. Riuscire a mantenere e migliorare costantemente gli standard didattici e di ricerca conquistati.

Il Politecnico e la ricerca…

Investiamo gran parte delle nostre risorse nella ricerca scientifica di punta nelle aree dell’Architettura, Design e Ingegneria, avvalendoci anche di collaborazioni importanti con altre università, enti scientifici e imprese di valore

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internazionale. Solo in questo modo possiamo continuare a crescere e rimanere competitivi, oltre a dare un contributo importante al Paese.

State investendo anche per attrarre giovani da altri Paesi?

Il Politecnico di Milano si pone come obiettivo primario quello di formare capitale umano di qualità in un contesto internazionale per rispondere sia alle esigenze delle imprese che a quelle degli studenti che vogliono essere spendibili sul mercato del lavoro mondiale. Il Politecnico di Milano offre corsi di studio innovativi a tutti i livelli e partecipa a numerosi progetti di ricerca e di formazione collaborando con le più qualificate università europee, dal Nord America al Sud-Est Asiatico all’Est Europeo. La consapevolezza di questa posizione lo ha portato a potenziare la propria politica di internazionalizzazione e ad istituire 2 corsi di Laurea Triennale, 19 corsi di Laurea Magistrale, 18 corsi di Dottorato di Ricerca con percorsi interamente in lingua inglese riuscendo ad attirare un significativo numero di selezionati studenti, pari a circa il 16% degli iscritti a livello della laurea magistrale.

L’università italiana attuale sta vivendo una fase di ripensamento dei propri modelli... Quali le scelte adottate al Politecnico di Milano?

Ci stiamo trasformando da ateneo italiano con studenti stranieri in ateneo internazionale con forti radici italiane; questo significa che vogliamo offrire ai nostri studenti non solo le tradizionali competenze tecniche, ma anche lo sviluppo delle loro capacità di operare in contesti “crossculturali”, di essere promotori di innovazione e responsabilità sociale.

Spesso si discute sulle opportunità che offrono alcuni

atenei, rispetto ad altri. Un Suo commento.

L’autonomia universitaria ha voluto dire passare da un modello standard di università a tante proposte formative differenti; mi sembra positivo, lascia agli studenti la possibilità di scegliere le opportunità più coerenti con la propria vocazione.

Università e impresa: esiste ancora un gap? Se si, come colmarlo?

Si sta riducendo, oggi il Politecnico di Milano, ad esempio, acquisisce finanziamenti alla ricerca su base competitiva per circa 95 milioni di euro l’anno, prevalentemente dalle imprese o partecipando con le imprese bandi europei o nazionali. Il nostro Career Service riceve e soddisfa circa 5.000 offerte di lavoro ogni anno per i nostri studenti. Sono numeri che testimoniano, credo, un rapporto vitale tra università e impresa.

Come si immagina il sistema universitario italiano nel futuro prossimo?

In profonda trasformazione. L’effetto della globalizzazione della ricerca e della formazione, da un lato, e l’attenzione delle grandi università internazionali per le nuove forme della didattica (MOOCs, Open Distance Learning) modificheranno sicuramente il panorama attuale, riducendo probabilmente il numero delle università significative a livello internazionale.

L’innovazione passa ancora rigorosamente dall’università?

Il Politecnico di Milano è convinto che per contribuire alla crescita del Paese sia indispensabile innovare insieme alle imprese e che per farlo sia necessario attrarre e trattenere capitale umano di qualità. Nel 2003, il Politecnico di Milano ha creato la Fondazione Politecnico di Milano che funge da motore di sviluppo favorendo l’innovazione nel mondo imprenditoriale e incentivando la competitività a livello internazionale, grazie al trasferimento tecnologico all’industria e al settore terziario. Insieme ad alcuni soggetti di rilievo appartenenti al settore industriale, sono stati avviati due Joint Research Centre nei campi dell’energia e dei trasporti, che hanno come obiettivo la definizione di scenari nel lungo periodo, sostenendo la ricerca pre-competitiva e dando vita a filoni di ricerca a lungo termine. L’imprenditorialità innovativa trova sostegno in Polihub, che nel corso del 2013 non è più solo un incubatore aziendale che offre ai neo-imprenditori le infrastrutture e i servizi di cui hanno bisogno per crescere ma vero e proprio start up district con un moderno spazio di co-working e servizi aggiuntivi completamente attrezzato e aperto alle migliori start hi tech italiane e internazionali che attualmente ospita 28 start up.

Giovanni Azzone

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Lo IED è riconosciuto nel mondo come scuola d’eccellenza...

L’Istituto ha mezzo secolo di storia, ma è in costante evoluzione. All’origine del suo successo l’idea che il “sapere” e il “saper fare” devono crescere insieme, nel rispetto delle logiche del mercato e dei principi della formazione di alto livello. Negli anni questo sistema è stato ripreso anche da altre realtà universitarie italiane, anche se un po’ a fatica... Quindi, i docenti sono tutti professionisti operanti nel privato e aggiornati costantemente

Numerose sedi in tutto il mondo - una in Cina di prossima apertura - studenti internazionali

provenienti da quasi 100 Paesi, IED nasce nel 1966 grazie a Francesco Morelli. Oggi è un’eccellenza

internazionale di matrice italiana, che opera nel campo della formazione e della ricerca, nelle discipline

del Design, della Moda, delle Arti Visive e della Comunicazione. È Carlo Forcolini - direttore scientifico

Gruppo IED - a descrivere il “sistema” IED.

L’ITALIA CULTURALE CHE INTERNAZIONALIZZAIntervista al direttore scientifico dello IED - Istituto Europeo di Design spa

Carlo Forcolini

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incontri con

sugli sviluppi del mercato di riferimento. Inoltre, fin dalla sua costituzione, IED lavora a stretto contatto con le imprese, già a partire dal triennio... attraverso workshop, stage aziendali, e altri tipi di collaborazione e progetti. Sono 200 le industrie con cui collaboriamo ogni anno a livello nazionale e internazionale fra grandi gruppi e piccole aziende. L’Istituto nasce come scuola di design diversamente declinato: dal prodotto, alla grafica, ai servizi, quindi la moda e la comunicazione in generale - da alcuni anni anche quella digitale.

Inoltre, abbiamo una serie di attività mirate alle aziende, come i corsi annuali di formazione al personale ex cathedra, o via internet. La didattica è articolata: il cuore centrale sono i corsi triennali (che rilasciano Diplomi di I livello), a seguire Master e Corsi di specializzazione e aggiornamento. Si tratta di un modello pragmatico vicino a quello americano. Infatti, oltre il 90% dei nostri studenti neo diplomati dai corsi triennali viene inserito immediatamente all’interno delle aziende, anche grazie al servizio Stage & Partnership che offriamo. È una dimensione universitaria fino a qualche anno fa piuttosto sconosciuta nel nostro Paese. Il design è una disciplina teorica, ma soprattutto pragmatica e laboratoriale.

Tant’è che esiste una forma di talent management per identificare studenti capaci...

Ogni anno IED attiva concorsi di merito con i quali seleziona, premia e valorizza il talento creativo delle nuove generazioni di designer, sostenendone la formazione attraverso borse di studio per i Corsi Triennali e Master nelle varie sedi italiane ed

estere. Sul sito creativecontexts.com si possono trovare tutte le informazioni. Accanto a queste iniziative, segnalo la borsa di studio a copertura totale per il corso triennale di Fashion Design presso IED Milano assegnata da Condé Nast America ad un nostro studente, selezionato per la categoria Moda Donna. Il progetto è il risultato di una partnership avviata a luglio tra Condé Nast America e cinque tra le più importanti scuole e università Italiane, tra cui IED, con l’obiettivo di dare avvio a un programma di borse di studio per supportare la futura generazione di artisti italiani.

E per il futuro prossimo...

Una maggiore internazionalizzazione del gruppo perché con il forte calo demografico in Europa il futuro sta nei Paesi emergenti. E quindi, la nostra strategia va verso quelle nazioni, senza dimenticare l’Italia in cui abbiamo 6 sedi... ma anche Sudamerica e Cina - dove stiamo aprendo una nostra struttura. La nostra strategia è sicuramente quella di portare il design italiano nel mondo e siamo l’unico gruppo italiano di proprietà italiana che fa questo lavoro. Infatti, negli ultimi anni c’è stato uno “shopping” di scuole italiane, che ora fanno parte di fondi di investimento americani.

IED negli anni ha investito molto per attrarre giovani da altri Paesi.

Il 47% dei nostri studenti in Italia sono stranieri provenienti da circa 100 Paesi. In generale nel nostro network abbiamo 11mila studenti, di questi circa 3mila sono solo in Italia. Anche se fino a due anni fa, quando siamo stati riconosciuti dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), abbiamo avuto anche problemi burocratici per fare entrare studenti stranieri

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non essendo ancora riconosciuti come ateneo. I ragazzi non potevano entrare in Italia se non attraverso il coinvolgimento dell’ambasciata.

La ricerca come sorgente continua di pragmatica applicazione...

Per fare un esempio, in previsione di Expo stiamo portando avanti un progetto denominato “Ingegno Italia” che si propone, attraverso il coinvolgimento di enti pubblici e privati, di mappare il profilo del nuovo “made in Italy”, ovvero le realtà peculiari presenti sui territori. Perché una grande carenza che abbiamo è la non conoscenza delle realtà e delle eccellenze. Questa iniziativa l’abbiamo avviata assieme alla associazione Symbola, che da alcuni anni porta avanti questo tipo di attività ma non in modo sistematico. È un progetto inclusivo che va portato avanti sui territori facendo rete per il bene del Paese - racconta Carlo Forcolini che quando va all’estero spesso nota come manifestazioni ed eventi italiani siano sempre ricollegabili in maniera nostalgica alla cultura della “vecchia Italia”, una cultura forte ma ancorata al passato - il nuovo non viene altrettanto promosso.

L’università nazionale attuale sta vivendo una fase di ripensamento dei propri modelli...

In effetti in Italia ci sono ancora delle scorie ideologiche che sono drammatiche, che fanno del privato una realtà lontana e tremenda... noi siamo un ente privato, riconosciuto dalla Costituzione ma che non può avere alcun finanziamento pubblico. Quindi, da quasi 50 anni lottiamo per stare sul mercato. L’università italiana non ha mai avuto questo problema, perché gode di finanziamenti pubblici. Nel Paese spendiamo soldi negli atenei per ricerche che alla prova dei fatti servono solo ai docenti per ottenere il punteggio per andare avanti nella loro carriera personale, senza valutare le ricadute concrete. L’università italiana soffre di irrazionalità ideologica. Al contrario dovrebbe pensare che esiste per creare opportunità nel Paese, e per i cittadini, per trovare lavoro, per creare imprenditoria, etc. Anche se spesso sentiamo di personaggi di grande qualità, che fanno grandi cose malgrado il sistema, ma solo perché hanno intelligenza e passione. Il Paese deve rendersi conto che per galleggiare nel mercato globale deve essere competitivo: questo riguarda anche le strutture pubbliche dello Stato, senza perdere di vista il fatto che la nostra cifra culturale è anche il nostro legame con la storia, e questo legame va vissuto positivamente. Il problema attuale del Paese è che, da una parte la qualità è insita nel DNA e nell’educazione italiana, dall’altra si nota, di contro, come in certe strutture non ci sia una ricerca di standard qualitativamente elevati.

Quindi, le università italiane sono in grado di far uscire studenti con skill specifiche...

Dipende dal tipo di formazione che si dà: si dovrebbe insegnare che il sapere è qualcosa che serve al collettivo, e non è soltanto qualcosa che afferisce alla persona. Altrimenti è normale che poi ci siano grandi problemi di inserimento. Noi in Italia siamo andati avanti pensando che con la Laurea, il così detto “pezzo di carta”, si riuscisse poi a far qualcosa... È con il sapere, ma anche con la conoscenza del contesto sociale in cui si opera e vive, che si può migliorare. Nell’università italiana spesso non c’è questa cultura, e quando avviene è per iniziativa privata dei singoli, non del sistema.

Università e impresa: esiste ancora un gap?

Ci tengo a portare un esempio pratico per rispondere a questa domanda. Questa mattina parlando con i rappresentanti di Confindustria Como abbiamo discusso della problematicità della formazione sul territorio. Perché negli anni si è sviluppata la filiera del tessile di alta qualità, grazie anche a scuole tecniche innovatrici e specializzate, che nel tempo sono state però marginalizzate a seguito della promozione delle università. Ora le aziende per avere lavoratori specializzati di settore spesso devono assumere stranieri. Questa è la dimensione del declino di un Paese che non ha rinnovato le sue strutture rispetto a come si stava sviluppando il resto del mondo. Siamo la nazione che ha il minor numero di laureati nella UE, ma abbiamo anche un problema di assenza di tecnici.

Il problema italiano...

Spesso è nella classe dirigente che prende decisioni miopi per tamponare l’emergenza e non pensa ad un futuro meno prossimo... Eppure esempi straordinari ne abbiamo: in termini quantitativi abbiamo diminuito l’export, ma in valore lo abbiamo aumentato malgrado la crisi. Vuol dire che c’è un pezzo d’Italia che ormai non funziona più e c’è un altro pezzo che ormai supplisce a quello.

Infine, l’innovazione passa ancora rigorosamente dall’università...

Dipende anche dagli ambiti. Ci sono delle eccellenze come il Politecnico di Milano che ha un dipartimento di nanotecnologia molto avanzato. Il problema vero è che, quando i ricercatori completano le analisi, è molto facile che poi vadano a realizzare l’applicazione pratica dei propri studi fuori dall’Italia, perché fuori c’è il contesto applicativo che spesso manca qua. Spesso le ricerche eseguite qui, vengono tesaurizzate altrove.

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DALLE SCIENZE UMANE ALLE SCIENZE TECNOLOGICHE: IL PASSATO E IL FUTURO DELLA RICERCAIntervista al pro-rettore vicario Francesco Gnesotto, Università di Padova

L’Università degli Studi di Padova è fra le più antiche del mondo, fondata nel 1222, oggi conta oltre

65mila studenti e più di 2.400 docenti. Sulla base dei risultati dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di

Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca), Padova è prima tra gli atenei italiani in 7 aree

scientifiche: Fisica, Scienze della Terra, Biologia, Medicina, Agraria e Veterinaria, Ingegneria Industriale

e dell’Informazione, Economia e Statistica.

L’Università degli Studi di Padova è riconosciuta nel mondo come scuola d’eccellenza? A cosa si deve questo risultato?

Credo che questo risultato sia il frutto di una politica che ha sempre promosso la massima integrazione tra attività formative ed attività di ricerca. La ricerca scientifica negli ultimi anni è stata supportata anche da cospicui contributi provenienti dal proprio bilancio. L’eccellenza nella didattica si è in particolare concretizzata nell’istituzione, nel 2004, della Scuola Galileiana

di Studi Superiori, che a pochi anni dalla sua istituzione ha raggiunto un notevole prestigio a livello nazionale.

In cosa si distingue in particolar modo?

L’Ateneo è fedele al suo carattere di Gymnasium Omnium Disciplinarum e persegue una strategia di equilibrato sviluppo delle sue tre macro-aree disciplinari: quella delle scienze esatte ed ingegneria, quella delle scienze della vita e quella delle scienze umane e sociali. Pur nell’ambito di stretti vincoli di bilancio, negli

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incontri con

ultimi anni si è intensamente lavorato, anche in collaborazione con l’Ente Regionale per il Diritto allo Studio, per migliorare i servizi agli studenti; sono stati recentemente completati un grande complesso didattico per la biologia e la biomedicina e la cosiddetta “Cittadella dello Studente”, che include tra l’altro un’ampia e moderna residenza.

Non solo offerta formativa di qualità, ma anche opportunità in termini di contatti con il privato per l’Università di Padova...

Il nostro Stage and Career Service costituisce un ponte efficace con le aziende: nello scorso anno accademico sono stati organizzati circa 15.000 stage e tirocinii, sia in Italia che all’estero. È stato creato un database di circa 25.000 aziende ed enti. Ogni anno si svolge la manifestazione “Università aperta” in cui circa un centinaio di aziende interagisce con migliaia di studenti e neolaureati.

Avete formule particolari per identificare studenti capaci?

L’Ateneo organizza da diversi anni il premio Start Cup Veneto, in collaborazione con gli altri atenei veneti. Inoltre, in collaborazione con Confindustria Padova e il Parco Scientifico Tecnologico Galileo, ha creato una Business Angel Network. L’Ateneo supporta inoltre numerose iniziative studentesche di promozione dell’imprenditorialità e del lavoro di gruppo.

E nel futuro...

L’Ateneo mira a qualificarsi come una moderna “Research University”. I principali obiettivi strategici sono: offrire un contributo distintivo in termini di diffusione dei saperi, formazione di capitale umano e trasferimento di risultati scientifici e culturali utili al territorio e alla comunità tutta per uno sviluppo economico, sociale e culturale sostenibile; fornire un’offerta didattica di elevata qualità ad ampio spettro disciplinare, in particolare nelle lauree magistrali e nei dottorati, favorendo sinergie fra le diverse discipline anche attraverso un’efficace strutturazione e valorizzazione delle Scuole di Ateneo; rafforzare la vocazione internazionale dell’Ateneo e creare relazioni internazionali efficaci e durature; aumentare l’attrattività verso studenti, ricercatori

Francesco Gnesotto

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e professori di elevata qualità, dall’estero e da aree regionali diverse dal Veneto; potenziare la realizzazione di progetti di ricerca innovativi e competitivi a livello internazionale; adeguare l’organizzazione dell’amministrazione e i processi organizzativi e gestionali alle nuove esigenze dell’Ateneo; come conseguenza di queste azioni, migliorare la posizione nei ranking internazionali.

State investendo anche per attrarre giovani da altri Paesi?

Sì, è uno dei nostri obiettivi strategici. Abbiamo già alcuni corsi di studio interamente offerti in lingua veicolare e intendiamo ampliare l’offerta; stiamo semplificando le procedure per l’iscrizione e soprattutto per la partecipazione a selezioni di ammissione e prove di concorso. Abbiamo un International Welcome Office che aiuta efficacemente gli studenti stranieri nel loro inserimento nell’Ateneo e nella città.

Padova e la ricerca...

Qui la risposta è particolarmente semplice: sulla base dei risultati della recentissima Valutazione della Qualità della Ricerca da parte dell’ANVUR, Padova è risultato il primo tra i grandi atenei d’Italia in ben sette aree scientifiche: Fisica, Scienze della Terra, Biologia, Medicina, Agraria e Veterinaria, Ingegneria Industriale e dell’Informazione, Economia e Statistica. Per confronto, nessun altro ateneo in Italia ha ottenuto il primato in più di una area scientifica. È inoltre significativo l’incremento di produttività dei ricercatori reclutati negli ultimi anni.

L’università italiana attuale sta vivendo una fase di ripensamento dei propri modelli... che ne pensa?

L’Università di Padova si è adeguata tra le prime in Italia alle norme della legge di riforma 240/2010. I dipartimenti sono stati ridotti da 65 a 32, sono state soppresse le facoltà, sono state create 8 nuove scuole, sono stati creati 12 poli multifunzionali di servizi. Abbiamo già introdotto il Bilancio Unico di Ateneo e siamo pronti a partire dall’anno prossimo con la contabilità economico-patrimoniale. Nel complesso, un enorme sforzo di riorganizzazione.

Spesso si discute sulle opportunità che offrono alcuni atenei, rispetto ad altri. Un Suo commento.

L’Università di Padova offre ai suoi studenti strutture didattiche complessivamente adeguate alle esigenze formative, un corpo docente formato in maggioranza da professori e ricercatori interni, una città di medie dimensioni in cui l’Università è fortemente integrata nel tessuto urbano.

Il gap tra università e impresa: come colmarlo?

Certamente i rapporti tra università e imprese possono essere migliorati, sia da parte degli atenei, con una maggiore attenzione alle mutevoli esigenze del mercato del lavoro, sia da parte delle aziende con una maggiore propensione all’innovazione sia di prodotto che di processo e con una maggiore consapevolezza della necessità di assumere laureati di alto livello, in particolare dottori di ricerca, per vincere sul terreno della competizione globale.

Come si immagina il sistema universitario italiano nel futuro prossimo?

Mi auguro che a livello politico cresca la consapevolezza che l’Italia può uscire dall’attuale crisi soltanto investendo molto sul suo “capitale umano” e quindi sulla formazione a tutti i livelli. Il sistema universitario può migliorare, non attraverso nuove riforme (ne abbiamo già avute abbastanza negli ultimi decenni), ma attraverso maggiori risorse, sia di origine ministeriale che europea o privata, unite ad una razionalizzazione dell’attuale sistema.

L’innovazione passa ancora rigorosamente dall’università?

Non sarei così drastico, le aziende e gli enti pubblici di ricerca possono e devono essere anch’essi forti poli di innovazione. Ritengo invece che sia essenziale promuovere forti sinergie tra questi attori dell’innovazione, soprattutto sui progetti che richiedono grossi investimenti pluriennali. L’università possiede certamente le competenze per dare un decisivo contributo al progresso del Paese.

Il ruolo dei servizi informatici e in generale dell’IT nell’Università di Padova?

La nostra Università investe sistematicamente e significativamente per assicurare infrastrutture e servizi informatici in supporto alla didattica, alla ricerca e all’amministrazione. Con decine di migliaia di studenti e tanti e diversi stakeholder interni ed esterni, l’efficienza delle funzioni applicative digitali deve coniugarsi con la trasparenza dei processi, garantendo al contempo la massima sicurezza delle informazioni. Particolarmente strategiche nell’area IT sono attualmente le attività di “dematerializzazione”, interpretata non solo come sostituzione del documento cartaceo, ma anche come occasione per una profonda revisione e ottimizzazione dei processi, per creare un reale vantaggio competitivo negli ambiti istituzionalmente centrali della didattica e della ricerca.

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Intervista al professor Paolo Ferri dell’Università di Milano-Bicocca

Nata 10 anni fa, come sorta di spin off dell’Università Statale di Milano, la Milano-Bicocca, diretta oggi

dalla neoeletta rettore Maria Cristina Messa, fin dalla sua costituzione si è contraddistinta per alcune

peculiarità: lauree innovative e docenti professionisti, intercettati dal mondo del privato, molto motivati e

propensi alla ricerca applicata e all’innovazione. Per questo mix di ragioni, l’Ateneo nel 2013 è arrivato

secondo tra le università italiane nella valutazione dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema

Universitario e della Ricerca (ANVUR) che valuta tutti gli enti di ricerca italiani (170).

LA SCUOLA 2.0: LA NUOVA FRONTIERA DELLA DIDATTICA

Tra i docenti, che contribuiscono a rendere nota la Milano-Bicocca, grazie alla loro ricerca, anche il professore di Teoria e Tecniche dei nuovi media e Tecnologie didattiche, Paolo Ferri, fondatore dell’Osservatorio Nuovi Media NuMediaBios: «l’innovazione è di sicuro una delle nostre priorità, che portiamo avanti all’interno degli ambiti di competenza. Ricerca, tra l’altro, applicata, anche per il fatto stesso che solo il 60% dei

finanziamenti deriva dallo Stato, mentre per il restante 40% lo intercettiamo dall’esterno grazie a convenzioni e lavori realizzati con enti e mondo del privato».

Quindi, un rapporto aperto e di interscambio con il territorio, «si senz’altro, e questo contribuisce a un buon placement degli studenti. Si pensi che il nostro bacino di riferimento è la Nord

incontri con

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In pubblicazione la nuova ricerca del professore Paolo Ferri, La scuola 2.0. Verso una didattica aumentata dalle tecnologie (Spaggiari, 2013), in cui è spiegato e approfondito il tema della rivoluzione digitale. Ferri spiega come si tratti di «una rivoluzione che sta trasformando in maniera radicale il mondo della scuola e della formazione in tutti i Paesi sviluppati e non. Attualmente, oltre alle ormai tradizionali tecnologie - tablet, lim, notebook - stanno varcando le porte della scuola diversi strumenti digitali interattivi legati a Internet: gli ambienti virtuali per l’apprendimento (classi virtuali), i video (lezioni o materiali di approfondimento), i forum, i data base di contenuti digitali ecc... Questi strumenti didattici innovativi permettono allo studente di fruire del sapere e della formazione anche al di fuori delle mura della scuola, con i tempi e i ritmi che egli stesso può determinare. Contemporaneamente la didattica dentro l’aula diventa più attiva, le esercitazioni e i lavori di gruppo si spostano in classe, con la supervisione e il supporto del docente. Le implicazioni pedagogiche di questa inversione sono

di grande rilievo, cambia il ruolo degli insegnanti e gli studenti diventano il centro del processo di apprendimento. La classe non è più il luogo di trasmissione delle nozioni ma lo spazio di lavoro e discussione dove si impara a utilizzarle nel confronto con i pari e con l’insegnante, in questo modo si realizza l’“inversione” del setting tradizionale e si può parlare di flipped classroom». Il testo si sofferma ad analizzare gli ambienti virtuali per l’apprendimento, le diverse soluzioni software, i device hardware; i nuovi setting d’aula che riguardano la progettazione e l’organizzazione della didattica e le metodologie di apprendimento/insegnamento. Ampio spazio è dato anche a un tema oggi molto dibattuto e recentemente divenuto legge: come pensare e progettare i nuovi contenuti digitali per la scuola 2.0, implementando i contenuti digitali disciplinari dell’editore con i materiali realizzati nel corso del tempo dall’insegnante e link o contenuti reperibili liberamente sulla rete all’interno di basi dati freeware riconosciuti e validi (Kahn Academy, Ted, Wikipedia).

LA SCUOLA DEL FUTURO PROSSIMO

Milano, riconosciuta come una delle aree più produttive del Paese, che produce circa 1/5 del PIL italiano».

E per il futuro, l’obiettivo è quello di continuare il lavoro di ricerca avviato con le istituzioni e con le aziende, soprattutto nelle discipline della sociologia, delle biotecnologie, e della medicina. Altro settore di grande rilievo è quello delle scienze ambientali: è stato avviato anche un centro di ricerca e formazione su un atollo delle Isole Maldive per affrontare tematiche riguardanti lo sviluppo sostenibile. Il centro e il master collegato sarà per studenti italiani e stranieri. «Per quanto riguarda il mio settore, delle tecnologie didattiche - specifica Paolo Ferri - continueremo l’affiancamento alle

scuole nella transizione al digitale e tutto il lavoro di ricerca e formazione. Oltre che, all’attività progettuale in collaborazione con aziende e istituzioni».L’Osservatorio NuMedia Bios, coordinato dal professor Paolo Ferri, nasce nel 2001 all’interno del Corso di Dottorato di Ricerca internazionale in Società dell’Informazione (Progetto QUA_SI - Quality of Life in the Information Society). La struttura offre servizi di ricerca e consulenza, supporto alla progettazione e alla creazione di servizi, prodotti e applicazioni incentrate sull’utilizzo dei nuovi media in diversi settori applicativi: dei beni culturali, editoriale, informativo, educativo o dell’entertainment. «Prima del mio arrivo non c’era nessuno che si occupasse di tecnologie didattiche e nuove tecnologie. Fu l’allora preside di Facoltà, il professor Massa, a chiamarmi in Bicocca e a istituire dapprima il LISP (laboratorio informativo di sperimentazione pedagogica), grazie al quale abbiamo avviato l’operazione del passaggio on line della didattica di tutto l’Ateneo. E da questo laboratorio, in seguito sono gemmati 4 filoni di ricerca: quello sui bambini e la tecnologia (0-6 anni, ovvero della procreazione mediale dei piccoli); quello sui consumi mediali degli studenti universitari; sulle tecnologie per l’apprendimento; infine sulle trasformazioni del mercato editoriale. In quest’ultimo caso ho fatto tesoro della mia precedente esperienza in un’azienda che

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incontri con

progettava testi scolatici anche multimediali. L’Osservatorio, in generale, ha l’obiettivo di capire le trasformazioni generate dall’introduzione delle tecnologie nell’apprendimento e nella trasmissione dei saperi. La nostra ricerca si estende, nelle collaborazioni, e viene finanziata da enti pubblici e da privati - per fare alcuni esempi Mondadori Education e Atlantyca società che realizza Geronimo Stilton. Negli anni abbiamo partecipato anche a bandi europei anche se, in genere, sono maggiormente vincolati. In particolare, con il Ministero della Pubblica Istruzione abbiamo istituto convenzioni per il progetto Scuola 2.0. Per quanto riguarda la fascia d’età 0-6 anni siamo l’unico centro di studio in Italia».

Cosa si intende, oggi, per nativi digitali lo spiega sempre il professor Ferri: «attualmente si condivide che trattasi di una nuova forma di intelligenza (intelligenza digitale) e che il suo peso è destinato a incidere sulle sorti dell’apprendimento dei prossimi anni, e quindi dell’istruzione nel suo complesso, o se vogliamo, per l’appunto sull’Education (come azione complessa non solo pedagogico relazionale ma anche e soprattutto disciplinare). I “nativi” attraverso il loro “stile di apprendimento digitale” suggeriscono oggi una nuova modalità didattica ai loro insegnanti: richiedono di essere indipendenti e costruire le forme e i risultati del loro apprendimento. Per colmare il gap tra i nuovi stili di apprendimento dei giovani e le strategie di insegnamento, ancora molto tradizionali e improntati al puro trasferimento di conoscenze, occorre una trasformazione

radicale che implica la riprogettazione dell’intero sistema scuola, ovvero una scuola ‘aumentata’ dalle tecnologie».

La Scuola 2.0 e una rivoluzione culturale sono possibili in Italia? «Siamo diversi anni indietro rispetto gli atri Paesi d’Europa. Basti pensare che la predisposizione al digitale nella scuola italiana non è mai avvenuta. Nel ’96, l’allora ministro all’istruzione Luigi Berlinguer avviò un piano seriamente finanziato per cablare e infrastrutturare le scuole. In seguito, l’attenzione del Governo è stata destinata altrove, fatta eccezione all’istituzione dell’Indire, l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa che ha portato avanti, anche se con risorse assai ridotte, con alcuni piani di lavoro - lim, scuola 2.0, etc.- Il piano Scuola 2.0, in particolare, è andato avanti per qualche anno, ma il limite fu che abilitavano una classe per istituto. Quindi, un’operazione a macchia di leopardo. In Italia è stato fatto veramente poco se si pensa che in Inghilterra, Stati Uniti e Corea la trasformazione è stata gestita con un processo Top Down: a un certo punto si è deciso di infrastrutturare la scuola, cablandola completamente e formando adeguatamente gli insegnanti. Nel Regno Unito, ad esempio, il governo ha imposto i libri digitali a scuole e editori. Un investimento ingente, ma necessario. Con il Governo Monti è stato avviato nuovamente qualcosa come l’adozione dell’agenda digitale, attiva in altri Paesi dell’UE già dal biennio 2005-2006».

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IL LEADER DEI FIREWALL DI NUOVA GENERAZIONE

Il Firewall Check Point dinuova generazione ha illivello più alto di efficaciain termini di sicurezzadella sua categoria

NSS Labs

©2013 Check Point Software Technologies Ltd. Tutt i i d i r i t t i r iservat i .

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Un riconoscimento importante quello del SIR e di carattere internazionale, che premia il Politecnico per il terzo anno consecutivo...

Il SIR World Report si concentra sulle eccellenze nella ricerca misurando, oltre alla quantità di articoli pubblicati sulle riviste internazionali (che dipende dalla dimensione della singola istituzione), anche la loro qualità scientifica, attraverso l’Impatto Normalizzato (rapporto tra le citazioni ricevute dalle singole

pubblicazioni e il numero medio mondiale di citazioni per ogni ambito di ricerca). Per questo motivo, ci fa estremo piacere risultare primi in Italia all’interno di questa classifica. Di recente, inoltre, uno dei nostri docenti, il professore Nicola Giglietto è stato annoverato tra i primi 50 scienziati italiani operanti nel mondo, secondo la classifica mondiale “TOP100 Italian Scientists” che evidenzia il maggior impatto scientifico di docenti e ricercatori attraverso le loro pubblicazioni.

Prima università tecnica del Mezzogiorno, il Politecnico di Bari, a 70 anni dalla sua istituzione e pur tra

le mille difficoltà di operare in un territorio disagiato, si conferma motore di sviluppo e di innovazione

del Sud d’Italia, e non solo. Il SIR (SCImago INSTITUTIONS RANKINGS) 2013 World Report, la più

completa e autorevole classifica delle istituzioni di ricerca nel mondo, lo ha di recente incoronato

l’università statale italiana con le più elevate performance nella ricerca scientifica. Ce lo racconta il

professor Eugenio di Sciascio, rettore dell’istituto.

incontri con

Intervista al professor Eugenio Di Sciascio, rettore Politecnico di Bari

MERITO SCIENTIFICO E APERTURA AL BUSINESS PER ESSERE COMPETITIVI

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Ottenere questi risultati richiede perseveranza e una forte vocazione alla ricerca, difatti tra le strategie adottate dal Politecnico ci sono in primis...

L’incentivazione del merito scientifico come veicolo per la professione di carriera, il riconoscimento e la valorizzazione delle eccellenze. Le nostre risorse accademiche sanno che, solo attraverso la migliore qualità nella ricerca, il percorso di carriera può essere meritato e riconosciuto. Gli studi di punta che cerchiamo di portare a termine devono poi riverberare nella formazione per i nostri giovani: non esiste buona didattica senza buona ricerca, d’altra parte è nell’ambito della didattica che nasce la passione per l’indagine scientifica.

I giovani primi di tutto per il Politecnico di Bari...

Oltre a presentare un’offerta didattica completa e concentrata sulle principali discipline tecniche, dall’ingegneria all’architettura, all’informatica, incentiva forme di contatto e collaborazione con il tessuto imprenditoriale locale realizzando moltissimi progetti e consulenze specialistiche nelle aziende del territorio. In particolare l’ufficio ILO (Industrial Liaison Office) veicola la domanda di innovazione che arriva dalle aziende verso i ricercatori. Questo si riflette positivamente sui nostri studenti sia per quanto riguarda la qualità degli elaborati di tesi sia per il placement: pur essendo in anni di crisi, nell’ingegneria industriale siamo al primo posto per occupazione a 6 mesi dalla laurea. Di recente abbiamo realizzato anche il progetto Energy Factory Bari (EFB), una joint venture con AVIO S.p.A. per l’attuazione di attività di ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione in ambiti di comune interesse, nei settori dell’aerospazio e dell’energia. Si tratta di un

laboratorio sperimentale realizzato all’interno del Politecnico, con la collaborazione di 50 nostri ricercatori direttamente coinvolti nelle attività previste dall’accordo. Il progetto ha l’obiettivo di coordinare attività di ricerca comuni, individuare temi di interesse per la crescita del Distretto Tecnologico dell’Aeronautica pugliese, monitorare il panorama scientifico internazionale per l’individuazione di spunti di innovazione, creare un settore di competenze e risorse umane integrate. Credo sia un modello innovativo di come si possa fare collaborazione fruttuosa tra ateneo e azienda in una situazione “win-win”, perché si fa ricerca di alto livello e allo stesso tempo si sviluppano soluzioni per l’industrializzazione

Politecnico e imprese fanno rete: un gap finalmente superato?

È chiaro che un gap esista ancora e, in parte, è giusto che sia così. L’università deve mantenere un respiro sulla ricerca di base più ampio di quello che le richieste delle aziende imporrebbero. Il sistema produttivo ha un time to market molto più breve di quello che può permettersi un’università statale nelle sue attività di analisi scientifica. La stessa ricerca di base, se condotta ad alto livello, richiede anni di studio, spesso decenni. Eppure, soprattutto nel Sud, quello che manca nelle aziende sono le risorse, persino per fare ricerca applicata, per cui le imprese necessitano delle università. Stiamo inoltre cercando di integrare una collaborazione fruttuosa con il privato anche in fase di formazione del curriculum scolastico in modo che le aziende possano venire a insegnare direttamente in Politecnico ciò che interessa ai nostri studenti.

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Il tutto cercando di mantenere un ruolo di ascensore sociale...

Già, perché il Politecnico ogni giorno combatte per mantenere livelli elevatissimi, nella ricerca come nella didattica, continuando nel contempo a mantenere la tassazione più bassa d’Italia. Mi piace tracciare un identikit della nostra istituzione, descrivendola come una piccola università tecnica unica nel Meridione perché, tra mille difficoltà date dal fatto di operare in un tessuto territoriale disagiato, mantiene il suo ruolo di motore dell’innovazione locale e globale, fornendo ai giovani uno spazio per crescere. A questo proposito curiamo laboratori per seguire laureati con particolari capacità e, in più, sosteniamo le forme di imprenditorialità dei nostri giovani con servizio di ‘mentoring’: abbiamo studenti brillanti e cerchiamo di aiutarli nello sviluppo delle loro idee fornendogli consulenze interne sugli aspetti pratici, amministrativi, finanziari e di gestione, per avviare delle start up.

Studenti italiani, ma anche oltre frontiera...

La natura del Politecnico, come quella del territorio in cui opera, è di essere punto di contatto tra culture e studi diversi, per questo lavoriamo con tutta l’area ed in particolare stiamo puntando ad attrarre studenti e ricercatori asiatici. Realizziamo delle forme di scambio piuttosto promettenti invitando i giovani a condurre da noi un percorso di post-dottorato per svolgere delle ricerche coordinate con il Politecnico.

Anche questo fa parte di un ripensamento dei modelli che l’università italiana attuale sta vivendo.

Il problema fondamentale è la riduzione del budget che

ogni anno ci costringe a ripensare e modificare la nostra organizzazione pur di continuare a offrire formazione di qualità, mantenendo bassa la tassazione. Abbiamo già affrontato negli ultimi anni un processo di dimagrimento e razionalizzazione dell’offerta formativa e di orientamento alla sostenibilità e oggi teniamo solo corsi che abbiano un’alta spendibilità sul mercato del lavoro. Ma ci sono sempre più vincoli sulle assunzioni, e la difficoltà è riuscire a mantenere qui quei giovani brillanti che diventano spesso il nostro orgoglio da lontano, all’estero. In questo cercano di aiutarci le istituzioni del territorio come la Regione Puglia che sta attualmente finanziando un progetto di inserimento per una tipologia di ricercatori.

Uno sguardo verso il futuro: l’innovazione passa e passerà ancora dall’università?

Deve necessariamente continuare a passare dall’università, anche se questa non rimarrà probabilmente l’unico veicolo. Occorre considerare che la ricerca di base comporta studi che possono durare 20, anche 30 anni prima di dare i loro risultati, ma che sono questo tipo di indagini a realizzare realmente salti quantici nella conoscenza. E allora è davvero importante che l’università sia incubatore e motore del progresso e che questo sapere venga poi tramutato in offerta didattica per la crescita anche professionale degli studenti. Io mi auguro che in futuro si continui a parlare di università in termini di sistema, ossia di complesso di strutture coordinate e all’unisono, e non di realtà di serie A e di serie B come in parte si verifica oggi. Perché il Paese ha bisogno di investire in una conoscenza diffusa. Oggi l’Italia conta un numero bassissimo di persone impiegate nella ricerca ma senza di questa e senza innovazione è impossibile sperare di crescere, anche come economia.

incontri con

Eugenio Di Sciascio

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DICEMBRE 2013

L’ALTA FORMAZIONE E LA RICERCA NEL REGNO UNITOA confronto con la London Met

THE HIGH EDUCATION AND RESEARCH IN THE UK

Meeting with the London Met

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incontri con

In che cosa si distingue la London Met in particolare? In quali settori e per quali servizi?

London Metropolitan è molto nota perché offre una formazione di qualità a prezzi accessibili, grazie al grande impegno in tal senso, ovvero nel rendere l’istruzione a disposizione di tutte le fasce della società. Siamo un istituto innovativo, con studenti e personale provenienti da tutto il mondo. Anche nell’attenzione che mettiamo all’occupabilità, in modo che i nostri studenti laureati abbiano skill adeguate per il mercato del lavoro. Non a caso ospitiamo il più grande laboratorio scientifico in Europa, il cosiddetto “SuperLab”, che dispone di oltre 280 postazioni di lavoro individuali. Un centro di ricerca da 30milioni di sterline con laboratori specializzati nella ricerca della coltura dei tessuti di e in microbiologia, ed anche con una camera di risonanza magnetica nucleare.Tra gli ambiti di interesse anche specializzazioni in IT attraverso l’Agenzia WOW, che prevede e promuove, per i nostri studenti migliori, progetti di ricerca applicata retribuiti. Questo include lo sviluppo di siti web, di progetti di animazione e di sistemi di business. L’Agenzia WOW ha in passato collaborato con EMI Records, TimesOnline e Comic Relief. Gli studenti, così, imparano a lavorare su progetti concreti, che possono anche portare a professioni e occupazioni una volta terminata la laurea, per via dei contatti realizzati con le aziende. Quali opportunità per i giovani? Non solo per quanto riguarda l’offerta formativa, ma anche in termini di contatti con il settore privato?

La London Met ha molti collegamenti con le principali aziende, promuovendo sia un insegnamento di qualità sia contatti nel settore che possono trasformarsi in opportunità di lavoro. Per esempio, abbiamo una partnership con IBM che mette a disposizione dei nostri studenti l’accesso ad un software all’avanguardia nel nostro laboratorio IBM (vedi: http://www.computerweekly.com/news/2240206682/How-London-Met-improves-students-job-prospects-with-IBM-Academic-Skills-

Cloud). Abbiamo anche un piano di trading Bloomberg, che offre agli studenti l’opportunità unica di acquisire esperienza pratica e la conoscenza che servirà loro anche dopo la laurea. Recentemente abbiamo aperto una redazione giornalistica, dotata di elevata tecnologia hardware e software per preparare gli studenti al mondo del giornalismo. Recentemente è stato inaugurato ufficialmente da Alan Rusbridger, direttore del Guardian.

Quali sono gli obiettivi dell’ateneo per il futuro?

La London Met continuerà a trasformare vite, soddisfare le esigenze e costruire le carriere dei nostri studenti.

State investendo anche per attrarre i giovani di altri paesi?

Sì, London Met accoglie studenti provenienti da tutto il mondo che vogliono sfidare se stessi e crescere in una delle città più interessanti sulla terra.

London Metropolitan University e la ricerca...

La ricerca e lo scambio di saperi sono fondamentali per la cultura della ricerca intellettuale. Più di due terzi della nostra ricerca è stata giudicata essere di “livello internazionale”, “internazionalmente eccellente” o “leader mondiale” nel più recente Research Assessment Exercise. La ricerca, non a caso, è promossa e condotta in tutte e quattro le facoltà, organizzando gruppi di studio per indagare e affrontare importanti sfide sociali, economiche, politiche, culturali, scientifiche e tecnologiche.

La London Metropolitan University, comunemente conosciuta come

London Met, è un’università di ricerca statale. È stata fondata il 1°

agosto 2002 dalla fusione della University of North London (già Politecnico di

North London, fondato nel 1896) e la London Guildhall University (fondata nel

1848). La London Met comprende più di 34.000 studenti, di cui quasi 7.000

provenienti da 190 paesi, e più di 3.300 fra docenti e dipendenti. Infatti, all’Ateneo è stato assegnato nel

2011 dalla Quality Assurance Agency il massimo riconoscimento per i suoi standard accademici e di studio.

Meeting with the London Met

SPECIALE ATENEI

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DICEMBRE 2013

Why does it stand out in particular? Which areas and services are highly competitive?

London Metropolitan is the champion of affordable quality

education, with a strong commitment to access and making education

available to all segments of society. We are a very diverse institution with students and

staff from all over the world. We also put employability at the heart of all we do, so that our students are well equipped for the graduate job market when they finish their studies. We are home to the largest teaching laboratory in Europe, the so-called ‘Superlab’, which has over 280 workstations. The £30million science centre houses specialist laboratories for tissue culture research and microbiology and a nuclear-magnetic resonance room. We also have IT specialisms in the form of the WOW Agency, which sees our top digital, multimedia and IT students work on real, paid projects. This includes website development, animation commissions and business modeling systems. The WOW Agency has in the past worked with EMI Records, TimesOnline and Comic Relief. Students get to work on live projects which can lead to jobs upon their graduation due to the contacts they have made.

Which opportunities does it offer for young people? Not only regarding the

educational offer, but also in terms of contacts with the private

sector?

London Met has many links with major businesses which both feed into teaching and

help develop students’ employability and industry contacts. For example, we have a partnership with IBM which gives our students access to cutting edge software in our IBM Lab (see here: http://www.computerweekly.com/news/2240206682/How-London-Met-improves-students-job-prospects-with-IBM-Academic-Skills-Cloud). We also have a Bloomberg trading floor which gives our students a unique opportunity to gain practical experience and knowledge that will serve them well when they graduate. We recently opened a journalism newsroom, complete with top specification IT hardware and software to prepare students for the world of journalism. It was officially opened by Alan Rusbridger, Editor of The Guardian.

What are University objectives for the future?

London Met will continue to transform the lives, meet the needs and build the careers of our students.

Are you investing also to attract young people from other countries?

Yes, London Met welcomes students from all over the world who want to challenge themselves and develop in one of the most exciting cities on Earth.

Metropolitan University and the research...

Research and knowledge exchange are central to the culture of intellectual enquiry at London Met. More than two-thirds of our research was judged to be “internationally recognised”, “internationally excellent” or “world-leading” in the most recent Research Assessment Exercise. Diverse research is conducted within our four faculties. We have established research groupings to investigate and address important social, economic, political, cultural, scientific and technological challenges.

London Metropolitan University, commonly known as London Met, is a public

research university. It was established on 1 August 2002 by the union of

the University of North London (formerly the Polytechnic of North London,

established in 1896) and London Guildhall University (formerly the City of

London Polytechnic, established in 1848). The London Met includes more than

34,000 students, including nearly 7,000 international visitors from 190 countries, its faculty and

more than 3,300 employees. London Met was awarded the highest accolade from the Quality Assurance

Agency in 2011 for its academic standards and learning opportunities.

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DICEMBRE 2013

Silvia Nicolis è attualmente la presidente del Museo Nicolis di Villafranca di Verona, una delle più

importanti realtà museali italiane e internazionali, che ospita straordinarie collezioni di storia dei mezzi

di trasporto e della società degli ultimi due secoli. Nato da una famiglia di imprenditori, il Nicolis è un

Museo-Impresa strettamente legato al territorio e alle sue risorse giovanili, ai quali ha dedicato due

onorevoli premi.

Con il Nicolis nasce il Museo-ImpresaIntervista alla presidente Silvia Nicolis

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Quando e come nasce l’idea del Museo Nicolis?

Il Museo è il coronamento del sogno di mio padre, Luciano Nicolis, che era un imprenditore nel settore cartario, un appassionato di meccanica e un collezionista dotato di un fiuto particolare che gli è sempre stato riconosciuto, e cioè la capacità di vedere dei gioielli là dove altri vedevano solo rottami. Questo lo ha aiutato non poco nella ricerca che lo ha portato a scovare in tutto il mondo oggetti d’epoca e a riunire in una struttura moderna e creativa un patrimonio culturale che altrimenti sarebbe andato irrimediabilmente perduto.

A chi si rivolge? E con quale filosofia e scopo?

Il Nicolis è uno dei più importanti musei privati del nostro Paese, ma la scelta fatta sin dalla sua inaugurazione, nel 2000, è stata quella di aprirlo al pubblico, per farne una attività imprenditoriale e culturale destinata ad ampliarsi e a svilupparsi ma anche finalizzata a condividere con altri una passione che non volevamo restasse confinata e riservata solo a pochi. E così è stato da sempre, anche grazie a un modello innovativo di Museo-Impresa che è stato la chiave della sua affermazione e del suo successo . Come si lega la storia della sua famiglia a quella del Museo?

La storia della mia famiglia e quella del Museo sono

intrinsecamente e indissolubilmente legate e i legami sono imprenditoriali, culturali e ovviamente affettivi.Il principio che ci ha guidato nella creazione e nella successiva attività è stato la passione per il recupero, in tutte le sue forme. E questo spiega molte cose. I Nicolis sono da 80 anni industriali nel recupero di materie prime e secondarie e l’azienda della nostra famiglia, la Lamacart di Verona, è leader europeo nel recupero e lavorazione della carta da macero. Concetti quali “raccolta” e “riutilizzo”, che hanno animato le attività imprenditoriali di mio padre Luciano e guidato la crescita dell’impresa cartaria, sono gli stessi che hanno portato alla creazione del Museo e che Luciano ha condiviso con me e mio fratello Thomas. Purtroppo nostro padre è mancato lo scorso anno, ma la sua visione del “fare impresa” e la sua eredità etica e morale ci hanno consentito di continuare a gestire tutte le attività del Gruppo nel segno della continuità. Per quanto mi concerne io ho assunto la direzione del Museo sin dalla sua apertura, nel 2000; ovviamente la figura e la presenza di mio padre hanno rappresentato in questi anni un punto di riferimento e di condivisione preziosi; ma anche dopo la sua scomparsa i progetti cui ci eravamo impegnati sono

scenari

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proseguiti senza modifiche e con la certezza, per quanto mi concerne, che lui avrebbe condiviso ogni nostra decisione e li avrebbe pienamente approvati!

Le collezioni e i pezzi unici conservati nel Museo: da dove arrivano e come sono stati raccolti nel tempo?

La storia di molti oggetti risale a tanti, tanti anni fa; in un certo senso sono stati proprio la quantità e il valore di questi pezzi a spingere Luciano a coronare il sogno del Museo. Sono stati raccolti un po’ dovunque, in tutto il mondo, e le modalità sono quelle attraverso le quali tutti i collezionisti cercano e trovano: dai mercatini, alle aste internazionali, alle segnalazioni, alle intuizioni che - a volte - hanno consentito di arrivare anche là dove altri avevano fallito. Oggi il Museo Nicolis custodisce ben 7 collezioni: auto storiche, moto e biciclette d’epoca, strumenti musicali, macchine fotografiche e per scrivere, addirittura alcuni piccoli velivoli sul tetto del Museo... I pezzi sono centinaia e per quanto concerne le auto che costituiscono un po’ il “cuore pulsante” del Museo, sono tutte perfettamente funzionanti!

Il patrimonio del Museo rappresenta una vera e propria eredità culturale: che cosa racconta questa eredità del passato e qual è il suo insegnamento per il futuro?

Anche in questo caso mi rifaccio a mio padre che soleva dire: “noi non siamo proprietari di tutto questo, siamo i custodi per il futuro”. È un’affermazione saggia ma, nel contempo, molto visionaria. Questi oggetti raccontano la storia di persone, luoghi, stili di vita che sono mutati nel tempo, ma parlano anche di progettualità, ingegno, talento creativo, lavoro industriale. Questi valori sono immutati ed è per questo che ritengo che dalle opere straordinarie del passato si possa attingere a piene mani per guardare al futuro. Il “brand heritage” ha attraversato la storia di questo Paese e mai come in questo caso mi pare una definizione azzeccata.

Il progresso tecnologico come filo dell’evoluzione culturale e sociale: cosa racconta il Museo a questo proposito?

Tutti gli oggetti, dalle auto, agli strumenti musicali, alle macchine fotografiche, raccontano di come erano, come vivevano, come si spostavano gli uomini e le donne in un determinato periodo; per questo sono uno specchio affascinante della società e della sua evoluzione. Il motorismo, una delle aree nelle quali siamo più competenti, ha impresso una formidabile accelerazione all’evoluzione dell’uomo e della società degli ultimi due secoli. Per questo, quando parliamo di progresso tecnologico, facciamo implicito riferimento ai cambiamenti, ai miglioramenti, alle soluzioni che ha portato nella vita delle persone. Anche per questa

Il Museo Nicolis, fin dalla sua fondazione ha mantenuto uno stretto legame con il territorio di appartenenza, diventando promotore ed anche polo di attrazione turistica e culturale e realizzando negli anni collaborazioni e sinergie con le istituzioni. A tal fine rientrano anche l’istituzione dei due premi: “Premio Museo Nicolis” e “Sfide d’impresa”. «Le solide basi di questi premi sono legate saldamente al territorio e i suoi imprenditori, quelli che si sono affermati sui mercati internazionali, senza rinnegare le proprie radici» sottolinea la presidente Silvia Nicolis. Il Premio Museo Nicolis è di norma destinato a un imprenditore “Senior” di particolare rilievo - nell’ultima edizione è stato conferito a Giovanni Rana - Il Premio Sfide d’impresa, nato in tempi più recenti, viene assegnato ad aziende e imprenditori giovani che sfideranno il mercato in modo innovativo. Lo scorso anno assegnato alle Pleiadi. «Vuole essere un riconoscimento alle forze giovani che hanno un sogno, che ci credono, non si scoraggiano, provano e riprovano e, di norma, ce la fanno», dice Silvia Nicolis.

IL NICOLIS A SOSTEGNO DELLE IDEE GIOVANI

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Silvia e Thomas Nicolis premiano le Pleiadi

Silvia e Thomas Nicolis premiano Giovanni Rana

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scenari

ragione abbiamo strutturato il Museo secondo percorsi storici e culturali. Basta seguirli con attenzione e curiosità, per trovare tante risposte e tante conferme!

Innovazione e sperimentazione: in che modo il Museo le promuove?

Guardando al mondo, al mercato, alle persone, alle innovazioni, in modo aperto e indipendente, senza pregiudizi, senza vincoli, senza barriere. Attraverso le persone che ogni giorno visitano il museo, nel rapporto con le Istituzioni e la business community, con le innumerevoli iniziative che promuoviamo direttamente, o alle quali partecipiamo, sosteniamo contemporaneamente innovazione e sperimentazione. Dal Museo verso il mondo e dal mondo verso il Museo.

Cosa significa per lei dirigere un Museo-Impresa? Quali sono i suoi obiettivi di crescita e sviluppo per questa realtà?

La risposta sta proprio nella definizione di Museo-Impresa, cioè

di una attività culturale, di conservazione e valorizzazione di beni gestita però con un’ottica imprenditoriale, di un’azienda che ogni giorno deve conquistare il proprio mercato e il proprio pubblico. L’idea del Museo-Impresa è nata in una famiglia di imprenditori, l’ho condivisa e portata avanti facendola diventare la mia attività professionale, mi ha consentito di sviluppare relazioni e alleanze, (come, ad esempio, l’associazione al network nazionale Museimpresa) e mi ha portato a ricoprire ruoli istituzionali che mi hanno dato grandi soddisfazioni (presidente della sezione turismo di Confindustria Verona, vicepresidente di Federturismo Veneto, etc).

C’è un pezzo del Museo a cui è particolarmente affezionata? Perché?

La Lancia Astura 1000 Miglia, perché è una macchina unica e meravigliosa e uno dei pezzi preferiti di mio padre. Perché con questa auto ho personalmente partecipato ad emozionanti Mille Miglia e ad altri raduni... proprio per questo la abbiamo anche adottata, in una rielaborazione grafica stilizzata, come marchio del Museo. È un gioiello di cui sono davvero orgogliosa.

Luciano e Silvia Nicolis

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Intervista a Rodolfo Falcone, country manager Check Point Italia

Una delle più importanti aziende al mondo nel settore security in termini di fatturato da diversi anni,

con decine di filiali nel mondo e un headquarter in Israele, a Tel Aviv: Check Point porta avanti la cultura

della sicurezza con tenacia. Il suo claim: “People, Policy, Enforcement”, ovvero formazione delle persone,

dotazione di regole per la sicurezza e acquisto delle tecnologie più idonee. Il giovane country manager

per l’Italia, Rodolfo Falcone, ci parla delle politiche aziendali e dello sguardo che Check Point rivolge al

futuro.

CHECK POINT: UN FUTURO IN SICUREZZA

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Partiamo dal rapporto di Check Point con i giovani...

I ragazzi sono sicuramente una risorsa imprescindibile e l’azienda da sempre ha attivato delle politiche di collaborazione con le istituzioni scolastiche, soprattutto universitarie per mantenere un legame stretto con la realtà giovanile. In particolare con l’ateneo di Torino collaboriamo da alcuni anni: ci fa da Beta Tester, ovvero quando rilasciamo dei nuovi prodotti l’università ci testa le versioni beta. Inoltre, proprio quest’anno abbiamo attivato un programma speciale che prevede l’assunzione, dopo un’alta formazione negli Stati Uniti, di un centinaio di neolaureati individuati in tutto il mondo. In Italia, dopo un’attenta selezione ne abbiamo identificati due che stanno facendo a New York training on the job, fino a metà novembre, per essere poi inseriti effettivamente nell’organico italiano. I giovani contattati - provenienti dalla migliori università italiane e internazionali con indirizzi economici o tecnologici - erano studenti estremamente preparati, con master ed esperienze all’estero. Facendo il calcolo di tutti i paesi in cui siamo presenti, nel 2013 Check Point ha assunto circa 200 giovani neolaureati, sfruttando questa formula. Ci racconta il suo percorso personale?

Ho cominciato a lavorare nel campo dell’informatica a metà degli anni ’90 nel gruppo Intel, in seguito nel 1998 sono passato ad un distributore che allora si chiamava Cielo. Lavoro nella security dal 2000, in quell’anno sono passato a Microsoft® come capo canale e all’inizio del 2006 sono diventato country manager nella stessa azienda. Quindi, nel 2009 sono diventato amministratore delegato di una delle aziende del gruppo Reply che aveva acquisito dal Gruppo Unicredit una società specializzata in sicurezza. In queste ultime due esperienze mi sono specializzato nel reboot delle aziende in crisi. Infine, nel luglio 2011 sono arrivato in Check Point Italia per fare il reboot completo della country che soffriva allora di una flessione del fatturato a dispetto dell’andamento positivo degli altri paesi. Nel 2013 in Italia siamo cresciuti del 50% rispetto all’anno precedente contro un 25% della media corporate. Questa è la storia celere che ha caratterizzato il mio percorso professionale fino ad oggi. Sono tutte esperienze che mi hanno fatto crescere come professionista ma anche come persona.

Esiste una cultura della sicurezza nelle aziende italiane? A che punto siamo?

Esiste certamente una cultura, eppure non è sufficiente. È importante, però, fare una distinzione tra le aziende, in base anche alle loro dimensioni. Infatti, nelle grosse imprese esiste una maggiore attenzione verso la problematica della sicurezza informatica, ma man mano che diminuisce la dimensione si

riscontra sempre meno conoscenza e attenzione. Le grandi aziende a volte per necessità devono avere attenzione per la security e spesso hanno personale interno specializzato e dedito solo a questo ambito. Le medie e piccole sono troppo interessate da altre problematiche e hanno una sensibilità ridotta. Queste ultime, che non sono in grado di realizzare una infrastruttura propria, necessitano innanzitutto di qualcuno che porti la connettività, che deve essere il più possibile pulita e sicura, e che si occupi di formare il personale interno del cliente. Facendo un’ulteriore segmentazione: il settore IT - cioè chi si occupa specificamente di sicurezza aziendale - ha cultura e conoscenza, ma fa fatica a trasmettere tale sensibilità al proprio management. In generale è anche la cultura del personale che spesso manca: il 50% dei problemi derivano, infatti, dai dipendenti e dall’uso improprio che fanno dei sistemi tecnologici, sovente nelle aziende manca una regolamentazione sull’uso degli strumenti aziendali. Un esempio: spesso il pc portatile aziendale diventa per comodità anche quello di famiglia, quindi siamo di fronte ad un uso promiscuo che rischia di portare dei problemi esterni all’interno della rete aziendale. È opportuno regolamentare il comportamento dei dipendenti formandoli per il corretto utilizzo degli strumenti informatici. Le reti moderne sono caratterizzate da un livello senza precedenti di complessità tecnica, conseguenza diretta della crescita esponenziale di dati, applicazioni e dispositivi mobili connessi. Inoltre, gli attacchi stanno diventando sempre più evoluti e continuano a minacciare le infrastrutture aziendali.

Il problema sicurezza coinvolge trasversalmente l’intera azienda con tutte le sue funzioni...

La security deve essere condivisa con tutta l’azienda, dalla parte tecnica alle vendite, perché la minaccia riguarda tutti. La sicurezza è frutto di una politica di condivisione dei giusti comportamenti da adottare.

La figura del security manager in Italia è riconosciuta e inserita in tutte le strutture aziendali?

Questa figura professionale esiste solo nelle grande organizzazioni, che possono essere maggiormente strutturate. Nelle medie e piccole imprese esiste spesso il tecnico dell’IT che si occupa di tutto, dall’installazione della stampante alla

incontri con

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tecnologia più avanzata. In quel caso devono essere i fornitori e fare formazione mirata e adeguata, ed anche individuare i bisogni dei clienti. Con Eurosystem stiamo portando avanti un progetto, cioè un’analisi di sicurezza gratuita su alcuni clienti.

Quindi, il tema della sicurezza è complesso... cosa propone Check Point?

Lo slogan di Check Point è la “3D Security”, dove per D si intendono le tre dimensioni da cui è costituito: People, ovvero la formazione alle persone che è indispensabile perché le persone devono conoscere i rischi; Policy ovvero la definizione delle regole di comportamento aziendali. Quando si sono formate le persone e si sono definite le regole per la sicurezza, allora si può scegliere la tecnologia più adatta. Quindi, Enforcement: ognuno deve organizzare la propria sicurezza in base alle proprie esigenze. Un prodotto che va bene per tutti non esiste. E gli investimenti da sostenere su questo fronte, di conseguenza, sono conformati al core business aziendale e da proteggere: un conto sono i rischi che può correre una banca in caso di frodi o se cade il sito per mezza giornata bloccando l’home banking, altra cosa è una piccola azienda magari manifatturiera con diverse problematicità e minori rischi di attacchi esterni, e con la necessità di una infrastruttura meno complessa. Il nostro team di ricerca e sviluppo personalizza il prodotto per il cliente specifico con l’obiettivo di garantire la continuità del suo business.

Quante aziende da voi analizzate adoperano policy adeguate?

Una, al massimo due, ogni 10 visitate. Di queste, sono poche quelle in grado di metterle davvero in pratica. Definire una policy di sicurezza significa aver ridotto il rischio già del 50%.

Le motivazioni sono diverse: poca sensibilità al tema, problemi di tempo e priorità.

Qual è la percezione delle aziende rispetto ai rischi per la sicurezza informatica?

Sicuramente i security manager delle grandi aziende hanno una sensibilità elevata perché conoscono effettivamente rischi e pericoli e le tecnologie esistenti per contrastarli, ma al di là degli addetti ai lavori la conoscenza è poca e poco diffusa. Per fare qualche esempio, una volta i virus si diffondevano con i floppy disk, poi in seguito attraverso la posta elettronica, oggi con la rete hanno trovato una modalità molto capillare di diffusione. Altro esempio, uno dei 5 virus più diffusi, Zeus, è di qualche anno fa, ma è ancora pericolosissimo per le aziende. Gli strumenti tecnologici, oggi, hanno una modalità di utilizzo ibrida. Il problema non dipende tanto dal fatto che circolano più malware ma dal fatto di esporre molto di più i device sulla rete, una vera e propria autostrada multi corsia.

Rodolfo Falconecountry manager Italia Check Point Software Technologies

Rodolfo Falcone vanta oltre 15 anni di esperienza nel settore della sicurezza informatica. Entra in Check Point Software nel 2011 con l’obiettivo di guidarne la crescita presso clienti e prospect e dopo aver ricoperto la carica di amministratore delegato di Security Reply, società del gruppo Reply specializzata in Managed Security Services. In passato Falcone ha ricoperto incarichi con crescenti responsabilità in importanti aziende del mercato security fino a diventare, nel 2006, country manager Italia di Trend Micro. Check Point Software Technologies Ltd. è tra i leader mondiali della sicurezza su Internet ed è in grado di offrire sicurezza totale a reti, dati ed endpoint, unificata in una singola infrastruttura di gestione

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incontri con

Come agisce oggi, nello specifico, il cyber-criminale?

Rispetto al passato, in cui c’erano manifestazioni generali di attacchi di hacker, oggi esiste una sorta di un mercato nero di attacchi, che sono meno evidenti ma più finalizzati. Infatti, gli obiettivi sono sempre a scopo di lucro: rubare numeri di carte di credito, comprare numeri, “craccare” giochi, film, musica. Girano miliardi di dollari intorno a questo mercato e tutto ciò mi fa pensare che la terza guerra mondiale sarà una cyber-war.

Come vi comportate di fronte alle diverse situazioni aziendali?

Check Point dedica molta attenzione all’analisi preliminare. Grazie al nostro “3D Security Report”, ad esempio, possiamo effettuare nelle aziende clienti una serie di analisi gratuite che fotografano il comportamento dei dipendenti e i buchi rilevati all’interno dei diversi dipartimenti aziendali. Tutte le invulnerabilità riscontrate a livello infrastrutturale e di rete vengono poi sintetizzate in un Report che la macchina da sé elabora e che viene fornito successivamente alla direzione aziendale per valutare azioni correttive. Per noi il 3D Security Report è uno strumento che aiuta il cliente a prendere

consapevolezza dello stato di salute della sua azienda. Tanti pensano di essere al sicuro - invece non lo sono affatto - e tipicamente sono gli ultimi a scoprirlo.

Come si evolverà in futuro la tematica della sicurezza?

Per il futuro la sicurezza si evolverà in base a come si incrementerà l’informatizzazione nel mondo. Ora siamo tutti collegati grazie agli smartphone, attraverso Facebook, chat e altro, mentre fino a qualche anno fa non era possibile. In generale le App sono il nuovo mezzo di diffusione dei malware: più del 50% del tempo che un utente medio dedica al web è speso nell’utilizzo di applicazioni. Nelle applicazioni il creatore di minacce trova terreno fertile. Passiamo tutti molto più tempo sulla rete rispetto al passato... pensiamo a dove saremo fra altrettanti anni. Chissà quali saranno gli attacchi che inventeranno e che si potranno diffondere attraverso i cloud. Non è un caso che Check Point faccia sicurezza non solo nelle aziende, ma in alcuni casi anche nelle scuole. Perché la cultura della sicurezza si deve respirare sin da giovani. Tendo conto, poi, che i nostri ragazzi navigano su internet e vivono on line con più facilità di noi.

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informazione pubblicitaria

L’azienda ottiene il 300% di crescita nei clienti Enterprise rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso e presenta in occasione del VMworld 2013 Backup & Replication v7, la soluzione con caratteristiche specifiche per la virtualizzazione a livello Enterprise

Veeam® Software, innovativo fornitore di soluzioni di backup, replica e gestione degli ambienti virtualizzati VMware vSphere e Microsoft Hyper-V, annuncia un crescente successo nel mercato Enterprise, dimostrando come sempre più aziende stiano scegliendo la Modern Data ProtectionTM continuando ad adottare la virtualizzazione a una velocità record. Rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso, nel Q2 2013 Veeam ha registrato una crescita del 220% dei contratti Enterprise1 e ha chiuso il trimestre più positivo di sempre per quanto riguarda le acquisizioni di clienti enterprise, con il 300% di crescita rispetto al trimestre precedente.

Tra i nuovi clienti enterprise di Veeam spiccano il Gruppo Ferretti, Jack Henry & Associates, Inc. (NASDAQ: JKHY), Vestas Wind Systems A/S, BNP Paribas, Swiss Re, TrendMicro, Norwegian Cruise Line, il Roswell Park Cancer Institute, REHAU AG& Co. e la School District of Palm Beach County: tutte queste aziende hanno scelto Veeam, che ora protegge più di 4 milioni di macchine virtuali in tutto il mondo.Il Gruppo Ferretti è uno dei protagonisti a livello mondiale per il design, la costruzione e la vendita di yatch. La sede dell’azienda è a Forlì, ma molti dei suoi 2.000 dipendenti lavorano in remoto da tutto il mondo. “Dopo aver testato molti prodotti di backup specifici per la virtualizzazione, abbiamo scelto Veeam Backup & Replication. In base alla nostra esperienza, questa soluzione si è dimostrata la più potente, scalabile, produttiva e semplice del mercato”, afferma Guido Angelo Ingenito, IT Infrastructure & Security Manager, Gruppo Ferretti. “Ottenere i massimi benefici dalla virtualizzazione è semplice con Veeam Backup & Replication”. Il team IT supporta quattro data center (tre in Italia e uno a Miami, in Florida) e porta a termine backup e repliche giornalieri di circa

quattro terabyte. “Veeam ha garantito il recupero completo dei quattro data center, facendone quindi un componente chiave della continuità dell’attività e del nostro piano di disaster recovery”.

“I prodotti di Veeam hanno dato risultati eccellenti durante una migrazione chiave di data center, fornendo ottime prestazioni a livello di replica, backup e ripristino dei nostri ambienti virtuali”, afferma Michael Brittenham, Director of Corporate Systems di Jack Henry & Associates, un’azienda quotata nell’indice S&P 400 che supporta più di 11.300 istituti finanziari grazie a soluzioni complementari e core processing. “La possibilità di gestire l’implementazione dei prodotti a livello aziendale da una console centrale è stato un fattore decisivo nella scelta di Veeam come soluzione di modern data protection per le nostre oltre 4.000 macchine virtuali”.

Vestas Wind Systems A/S è leader a livello mondiale per lo sviluppo e produzione di turbine eoliche. Con sede ad Århus, in Danimarca, Vestas ha 19.000 dipendenti e un’infrastruttura tecnologica che include due datacenter. “Veeam Backup & Replication è potente, flessibile e facile da utilizzare in ogni moderno ambiente aziendale vSphere”, dichiara Alan Madsen, Technical Lead, Hardware & Framework / Group Finance & Operations presso Vestas Wind Systems. “Ogni volta che effettuiamo un backup o un ripristino siamo positivamente colpiti dalle prestazioni e dall’efficacia di questo prodotto”. “Il successo di questo periodo e l’aumento della nostra market share derivano da importanti risultati ottenuti a livello enterprise, dal rafforzamento dei rapporti con partner importanti come Softchoice, da una generale crescita dell’azienda e da numerosi premi di settore e di prodotto”, spiega Ratmir Timashev, President e CEO di Veeam. “Con l’88% delle aziende che fanno parte della classifica di Fortune 500 già clienti Veeam e una crescita del 74% delle macchine virtuali protette rispetto all’anno precedente, la Modern Data Protection sta spingendo l’adozione a livello enterprise di una nuova generazione di soluzioni di backup per le applicazioni critiche”.

Per ulteriori informazioni visitate il nostro sito

http://www.veeam.com/blog/?p=3322

Veeam annuncia un’importante crescita nel mercato enterprise e l’acquisizione di nuovi clienti: il Gruppo Ferretti adotta la Modern Data Protection

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Formazione continua per uscire dalla crisi. Per imparare a fare rete, a internazionalizzare, a utilizzare gli aiuti economici resi disponibili dallo Stato e dalla Comunità Europea. Per acquisire e internalizzare specializzazioni rinvigorendo le risorse aziendali, rendendole competitive, permettendo loro di lavorare al meglio per garantire la concorrenzialità del business. L’acquisizione di competenze aggiornate e lo sviluppo di nuove capacità sono due condizioni determinanti perché le piccole e medie imprese rinascano. Oltre a ripensare il proprio modello aziendale sulla base delle potenzialità offerte dalle moderne tecnologie. Di tutto questo dovrebbe tener conto l’associazionismo privato, ambasciatore del sistema produttivo locale.

Lo fa, ad esempio, l’Unione degli Industriali della Provincia di Treviso, meglio nota come Unindustria Treviso che nel luglio 2012 ha integrato la sua società Formazione Unindustria Treviso e Iniziative Unindustria in Unindustria Treviso Servizi & Formazione (UNIS&F), un unico interlocutore per garantire risposte tempestive, competenti ed efficaci alle esigenze informative e formative delle aziende del territorio. UNIS&F si propone di supportare le imprese con servizi altamente specializzati per risolvere complesse procedure legate ad adempimenti obbligatori e a problematiche aziendali; erogare formazione a lavoratori dipendenti, liberi professionisti, dirigenti e manager in tutti i settori del mondo aziendale; ricercare finanziamenti da fondi regionali e interprofessionali (Fondimpresa, Fondirigenti) per realizzare attività formative, di studio, progettazione e

Per rinnovare e consolidare i propri sistemi informativi Unindustria Treviso Servizi & Formazione sceglie la

consulenza di Ekipment e Sistemarca. E realizza un progetto di virtualizzazione dei desktop delle proprie

aule corsi tramite la soluzione VMware Horizon View. Per un servizio

sempre più efficiente e tecnologicamente avanzato.

IT E ICT PER INNOVARE LA FORMAZIONE L’esempio di Unindustria Treviso Servizi & Formazione

stories

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DICEMBRE 2013

Unindustria Treviso Servizi & Formazione: quando nasce e a quale scopo?

Unindustria Treviso Servizi & Formazione Scarl, UNIS&F, è la Società di Servizi e Formazione dell’Unione degli Industriali di Treviso. Nata nel 2012, UNIS&F continua senza interruzioni l’esperienza ventennale di Formazione Unindustria Treviso, unendola alle attività di consulenza di Iniziative Unindustria, per offrire ai propri interlocutori un servizio sempre più competente, efficace e puntuale.

Che tipo di servizi offre?

Unindustria Treviso Servizi & Formazione significa competenza ventennale per la formazione e lo sviluppo professionale e know-how specifico per la realizzazione di progetti su misura rivolti alle aziende e ai lavoratori. Servizi, Formazione e Finanziamenti queste le tre macroaree della nostra attività. Proponiamo la soluzione migliore per utilizzare i finanziamenti per la formazione e assistere le aziende in tutti gli step connessi alla gestione dei progetti formativi. Le attività formative possono essere finanziate con bandi e avvisi pubblici (FSE, FESR) o con i fondi interprofessionali (Fondimpresa, Fondirigenti).Oltre alla formazione classica, la nostra metodologia formativa

comprende anche corsi in modalità e-learning, percorsi esperienziali e in outdoor training, coaching individuale, formazione attraverso la metafora sportiva e teatrale, workshop ed eventi con personalità di spicco ed esperti nazionali e internazionali, per far sì che l’offerta formativa sia sempre più in linea con le esigenze delle aziende e dei nostri interlocutori.

Quali sono i principali fabbisogni formativi delle aziende oggi? E come sono cambiati rispetto al passato?

Le aziende oggi vogliono avere di fronte quello che potremmo definire un “microimprenditore” autonomo, in grado di gestire le proprie attività e di ricercare gli strumenti per farlo. Non si cerca qualcuno che sappia tutto, ma persone in grado di essere proattive e autonome. Ecco perché oggi i percorsi formativi legati alla “lean” e all’organizzazione snella sono tra i più richiesti dalle aziende. Parallelamente forte è la volonta di realizzare percorsi “esperienziali”, attività non solamente legate a lezioni frontali in aula, ma sempre più incentrate sul “fare”. Esperienza e lavoro in team: oggi è sempre più percepita la necessità di creare rete, fare squadra, coinvolgendo nel cambiamento tutte le persone che lavorano in azienda. C’è la consapevolezza che il singolo non ha da solo la forza di trasferire ciò che ha imparato. Non è più sufficiente pensare alla formazione come uno strumento che fornisce nozioni, ma come un modo per

INTERVISTA A GIUSEPPE ANTONELLOAMMINISTRATORE DELEGATO UNINDUSTRIA TREVISO SERVIZI & FORMAZIONE

rendicontazione di attività finanziate a vantaggio di imprese e di giovani. In particolare nell’ambito della formazione, UNIS&F elabora programmi, di base e avanzati, per tutti i settori professionali, organizzando corsi e seminari nella sede centrale di Treviso, dotata di 7 aule totalmente informatizzate e in grado di garantire fino a 84 posti massimo, e nelle filiali di Oderzo e Caerano di San Marco, oppure costruendo percorsi appositi e personalizzati di formazione a distanza (FAD). Alla base del sistema di erogazione della formazione un assetto informatico moderno e tecnologicamente avanzato, realizzato di recente con la consulenza di Sistemarca ed Ekipment, società del Gruppo Eurosystem Sistemarca specializzate in progetti di ottimizzazione dell’infrastruttura informatica, grazie alle quali UNIS&F ha potuto migliorare le attività formative predisponendo servizi maggiormente qualificati e all’avanguardia.“L’idea di consolidare i nostri sistemi informativi - racconta il l’amministratore delegato della società, Giuseppe Antonello - nasce dalla necessità di rinnovare un parco server obsoleto e

ridurre i costi di manutenzione e gestione dello stesso. A questo si sono aggiunte l’esigenza di allestire nuove aule informatiche sul territorio in tempi brevi e con costi ridotti, aumentando la possibilità di controllo delle attrezzature e dei loro eventuali problemi; e la volontà di gestire una rete di consulenti esterni utilizzando lo stesso sistema gestionale per monitorare attività formative e consulenziali. Infine, occorreva raggiungere una totale integrità e riservatezza dei dati rendendoli disponibili tra la sede principale e le diverse sedi esterne. Per tutti questi motivi, abbiamo deciso di ricercare la competenza di un partner solido e certificato che ci permettesse di raggiungere gli obiettivi prefissati entro i costi preventivati”.Il progetto di revisione dei sistemi informativi di UNIS&F inizia contestualmente al trasferimento della sede dai vecchi uffici di Villorba al nuovo centro di Treviso, integrato con la nuova sede di Unindustria, e vede coinvolti i consulenti tecnici di Ekipment nell’elaborazione di un piano strategico con l’obettivo di realizzare la migrazione dell’intera infrastruttura dall’ambiente fisico a

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quello virtuale (server e client) e l’introduzione della “virtual desktop infrastructure” a servizio delle postazioni client delle aule corsi.

Con il supporto di Ekipment e Sistemarca il vecchio assetto hardware, composto da diversi server fisici deputati ciascuno a vari servizi, è stato consolidato ed integrato in un modernissimo datacenter basato su tecnologia IBM_BladeCenterH e SAN EMC, che vede condivise le risorse (BladeServer & Storage) per una quota dedicate ai servizi Unindustria e per un’altra dedicate ai servizi UNIS&F. Inoltre, l’adozione della virtualizzazione basata su tecnologia VMware come assetto strategico, ha contribuito al raggiungimento definitivo degli obiettivi prefissati. In particolare, oltre che per i servizi “server” (oggi erogati da un cluster vSphere 5.1), è stata determinante la scelta della virtualizzazione della piattaforma client-desktop, affidata a HorizonView, la soluzione VMware per la virtualizzazione dei desktop che ha permesso di ottimizzarne il controllo, e di centralizzare l’amministrazione di

applicazioni e dati gestendoli da un’unica console. Il fatto di aver virtualizzato le aule corsi ha contribuito in modo determinante allo sviluppo efficace e “privo di sorprese” di nuove sedi ed aule, e alla gestione rapida, versatile e sicura dei servizi erogati da UNIS&F.

Il progetto IT realizzato ha permesso ad UNIS&F di aumentare l’affidabilità del sistema, ottenendo una maggiore sicurezza dei dati che non risiedono più nei pc ma in un sistema centralizzato, e di risparmiare i costi di gestione grazie alla possibilità di effettuare interventi di manutenzione da remoto. Infine, è stata raggiunta la massima produttività e praticità sul lavoro per gli utenti finali che, sia online che offline, su desktop o dispositivi mobili, con connessione LAN o WAN, possono ora accedere ai loro dati e servizi, disponibili sempre, da qualsiasi luogo e con qualsiasi supporto. UNIS&F, dunque, ha scelto l’innovazione tecnologica per eccellere nella formazione e fornire alle aziende un servizio sempre più qualificato.

stories

ampliare competenze generali che vanno oltre la mansione svolta e che possono aumentare la competitività delle imprese. Le aziende, inoltre, preferiscono realizzare i corsi direttamente presso la propria sede: sia per un contenimento dei costi, sia per fornire una risposta immediata e applicabile al proprio contesto.

Formazione e innovazione: che rapporto? Quanto è importante la componente tecnologica nell’organizzazione di un progetto di formazione?

Innovazione come cambiamento, questo crediamo sia l’elemento che lega fortemente la formazione e l’innovazione. Stare al passo con il mondo che cambia è importante soprattutto dal punto di vista della tecnologia, dove i mutamenti sono veloci e continui. È importante quindi proporre dei percorsi che sfruttino gli strumenti che la tecnologia offre, in termini soprattutto di velocità e di possibilità di mettere in rete più persone.

I giovani e la formazione in azienda: che opportunità ci sono?

Tirocinio, apprendistato e Work Experience, iniziativa finanziata dalla Regione Veneto e dal Fondo Sociale Europeo con l’obiettivo di favorire l’inserimento in azienda di soggetti inoccupati o disoccupati che coniuga formazione e tirocinio, queste le principali opportunità che un giovane ha per inserirsi in una realtà aziendale. In particolare le Work Experience consentono di organizzare la formazione sulla base delle necessità delle aziende che poi ospiteranno i tirocini, essendo esse coinvolte già

in fase di progettazione dell’attività. Formazione che si coniuga quindi con i bisogni aziendali e che mira a fornire ai giovani competenze da spendere concretamente nel mondo del lavoro. Tirocinio come possibilità di sperimentarsi in una realtà lavorativa concreta, di conoscere le dinamiche aziendali e di cominciare la propria carriera lavorativa. Apprendistato dove ancora la formazione è al centro del percorso dei giovani.

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Nelle aziende gli acquisti rappresentano un fronte sul quale è necessario controllo, verifica di adeguatezza, approvazione, pianificazione, ottimizzazione della spesa, attuazione. I processi che hanno luogo in questo ambito sono trasversali ai reparti e uffici, sono stimolati non solo dagli ambiti di produzione, ma anche dai bisogni che a vario titolo l’utenza aziendale interna avanza per erogare adeguatamente i propri servizi e espletare le proprie mansioni.

L’applicazione della metodologia orientata al BPM (Business Process Management) consente di disegnare il flusso più adeguato in termini di responsabilità e stadi di approvazione, di regole di business che determinano l’instradamento verso questo o quel livello di responsabilità per l’approvazione, in considerazione di chi e da quale ufficio o reparto una richiesta di acquisto è giunta, la tipologia di bene o servizio richiesto e relativo valore economico, non trascurando infine aspetti inerenti

la riservatezza delle istanze di acquisto avanzate nel processo (Vision & Methodology).

Dotando il software della possibilità di essere configurabile nelle suddette variabili e rendendo sensibile a questo apparato l’esecuzione del processo di acquisto da parte dell’orchestrazione di workflow (Software Architecture & Design), il sistema in modo affidabile porta in approvazione ai responsabili individuati le richieste di acquisto avanzate dagli utenti, reitera agli stessi le richieste che necessitano di chiarificazione o revisione, trasforma le richieste definitivamente approvate in veri e propri ordini di acquisto che a loro volta verranno convalidati e inseriti opportunamente nel piano degli acquisti (Infrastructure & Technology). Il ricevimento dei beni o dei servizi attesi, la relativa contabilizzazione delle fatture dei fornitori chiudono il processo.

Automazione e monitoraggio tramite workflow nel processo di acquisto

Freeway® Skyline con naturalezza accompagna l’utente nel suo percorso, lungo binari invisibili,

permettendogli di agire liberamente nel rispetto di regole, vincoli e responsabilità stabilite dall’azienda.

Grazie ad un sistema di workflow altamente flessibile e configurabile, gli utenti partecipano al processo

di gestione degli acquisti aziendali che ha inizio proprio dalle loro richieste, un percorso caratterizzato da

chiarificazioni, perfezionamenti, reiterazioni e approvazioni a più stadi.

ALESSIO VOLTAREL [email protected]

VIAGGIANDO SUI BINARI INVISIBILI DEL SOFTWARE

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L’INIZIO DEL PROCESSO DI ACQUISTOVISION & METHODOLOGY

Gli acquisti in azienda sono motivati da molteplici necessità, dall’approvvigionamento primario di materie prime per i reparti di produzione alla ricambistica, all’utensileria e ai servizi di manutenzione degli apparati e delle macchine in tali reparti; dai materiali e strumenti per la prototipazione di nuovi prodotti; dal parco dei mezzi di trasporto o delle macchine operatrici e relativa manutenzione, riparazione o sostituzione; ma anche dai materiali e dalle dotazioni strumentali d’ufficio, i relativi servizi di approvvigionamento e manutenzione periodici e così via. Come già discusso in Spazio a y di Logyn n°1, gli approvvigionamenti di materie prime o semilavorati per alimentare il processo primario di produzione nelle aziende che adottano sistemi software di pianificazione sono automaticamente generati dal calcolo del piano MRP (Material Requirements Planning), e innanzitutto vengono vagliati dal pianificatore della produzione, il quale li seleziona e li avanza sotto forma di richieste di fornitura a un responsabile pianificatore degli acquisti. Normalmente queste istanze di acquisto seguono un instradamento specifico e preferenziale trattandosi di sostenere i processi produttivi primari dell’azienda.

Ma tutti gli altri citati fabbisogni di acquisto, come vengono raccolti e trattati in modo efficiente? Naturalmente dipende da diversi fattori della realtà aziendale.

Spesso il flusso di gestione della richiesta di acquisto dipende dalla tipologia della richiesta stessa, così come il numero degli stadi di approvazione che essa deve attraversare, il gruppo di approvatori che ad ogni livello intercetta le richieste da approvare, le condizioni di valutazione a cui ogni livello sottopone la richiesta per individuare non solo gli approvatori a cui inoltrare l’attività di approvazione, ma eventualmente per saltare lo stadio di approvazione se risulta superfluo dato il contenuto della richiesta. Ogni approvatore può rimandare al richiedente la richiesta perché la revisioni o la perfezioni, può altresì rigettarla dando una spiegazione del motivo del rifiuto.

A valle dell’analisi BPM che ha sviscerato questo scenario, Eurosystem con Freeway® Skyline propone un workflow di gestione delle richieste di acquisto altamente configurabile che consente di cogliere le diverse esigenze e sfumature necessarie.

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DICEMBRE 2013

Nella piattaforma Freeway® Skyline è possibile configurare, per ciascuna tipologia definita di richiesta di acquisto (RDA), i parametri di struttura che il workflow deve considerare per svolgere il processo nel caso specifico. Alla base di tutto vi è la definizione di un sistema gerarchico di responsabilità e autorizzazione che riguarda gli utenti richiedenti, i loro responsabili diretti e gli approvatori. Stabilito il numero di stadi di approvazione che caratterizzerà il workflow per la specifica tipologia di RDA, si definisce il gruppo degli utenti di ruolo Richiedenti RDA che hanno facoltà di sottoporre RDA di questo tipo, si definiscono quindi quali sono i diretti responsabili, del ruolo Approvatori RDA di primo livello, che vaglieranno per primi le RDA sottoposte ad approvazione. Per ciascun livello di approvazione successiva al primo, è possibile configurare delle condizioni di valutazione personalizzabili che individueranno la cerchia degli utenti del ruolo di approvazione associato al livello ai quali verrà materialmente mandata in approvazione la richiesta, potendo provocare l’esclusione del livello con automatico avanzamento al prossimo. Tipicamente il tipo di regole per livello che si codificano per produrre questi effetti si basano sul contenuto della RDA medesima, come la natura dei beni o servizi richiesti, il relativo valore, chi è il richiedente e così via.

Ad esempio se si valuta che le RDA di un importo inferiore a 1000 Euro possono essere considerate automaticamente approvate dalla Direzione dell’azienda (ultimo livello di

approvazione configurato), il workflow farà in modo di dichiarare automaticamente approvata la RDA senza “importunare” alcun esponente della Direzione con inutili attività.

Vengono infine definiti per ciascun livello lo stato specifico che il documento RDA assume nel gestionale Freeway® Skyline man mano che attraversa positivamente gli stadi di approvazione. In questo modo sarà possibile poi monitorare costantemente a che punto di approvazione una RDA è giunta semplicemente osservandone lo stato assunto in qualsiasi applicazione del gestionale che ne dia visione.

Un’altra importante opzione di configurazione, disponibile a ciascun livello di approvazione, è la modalità con la quale la si effettua. Si va dalla modalità di approvazione semplice, che prevede che l’approvatore prema il button “Approva”, alla più rigorosa approvazione mediante acquisizione documentale, che prevede che l’approvatore estragga il documento in forma cartacea o di file, lo firmi in calce oppure apponga la propria firma digitale e lo riacquisisca mediante scannerizzazione o archiviazione documentale diretta.

Si può ben comprendere quindi quante possibili combinazioni capillari di workflow si possano generare combinando tipologie di RDA, numero di livelli, scelta del gruppo di utenti per i ruoli associati ai vari livelli, regole di valutazione delle RDA e modalità di approvazione impostabili in ciascuno di essi.

SOFTWARE ARCHITECTURE & DESIGN

ORCHESTRAZIONI SOGGETTE A CONFIGURAZIONE

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Il motore di orchestrazione, l’architettura a servizi, l’infrastruttura del service bus e il portale della piattaforma Freeway® Skyline sono le fondazioni sulle quali eseguono le istanze di workflow scaturite dalle diverse tipologie di RDA sottoposte ad approvazione e si svolge il dialogo di approvazione dell’utenza.

Ciascun utente di ruolo Richiedente RDA ha la possibilità di creare una nuova RDA da un’apposita pagina del portale, lavorarci a lungo per definirla opportunamente, anche in differenti sessioni di lavoro. Fino a questo momento la RDA è visibile solamente dalla pagina di riepilogo delle RDA all’utente richiedente e ai suoi responsabili diretti. Quando la RDA è pronta per essere sottoposta ad approvazione, semplicemente l’utente la inoltra con un’azione esplicita.

A questo punto ha inizio il workflow che porterà l’attività di approvazione alla prima cerchia di approvatori, diretti responsabili di primo livello. Da questo momento in avanti la RDA può essere solo ritirata dal workflow da parte dell’utente richiedente (se cambia idea oppure ritiene di aver commesso degli errori) ma non la potrà più modificare per non alterarne lo stato durante le attività di approvazione.

Negli stadi di approvazione il portale offre due modalità duali di utilizzo di sé, a beneficio della user experience. È infatti possibile accedere alla pagina di consultazione generale delle RDA e mediante selezione entrare direttamente nell’applicazione di manutenzione, la quale consente di accedere alla scheda di approvazione, ma solo se l’utente in questo momento ha un’attività da svolgere su di essa; oppure, se l’utente predilige una visione per attività per lui programmate dal sistema, utilizza la working list del portale mirando direttamente alle attività da svolgere. Anche in questo caso, una volta aperta l’attività l’utente si ritrova nel medesimo luogo di manutenzione RDA ove può effettuare la sua attività inerente l’approvazione. Il primo dei responsabili di un livello che prende una decisione

diretta sulla RDA (approvazione semplice o mediante scannerizzazione e/o acquisizione documentale, o rifiuto, oppure reiterazione al richiedente per revisione) l’attività viene automaticamente ritirata dalle working list degli altri approvatori.

Chi ha facoltà di prendere una decisione diretta su una RDA, non è detto che possa intervenirvi per modificarla, dipende dal sistema di privilegi impostati per utente. Normalmente chi non è il richiedente o un suo responsabile diretto non può effettuare modifiche alla RDA, può solo svolgere le attività che il workflow gli ha formulato. Quando un approvatore rimanda in revisione la richiesta al richiedente con l’opportuna motivazione, quest’ultimo ritorna in possesso della facoltà di modificarla e, dopo averlo fatto la immette nuovamente nel workflow di approvazione.Quando un approvatore invece rifiuta una RDA, ha l’onere di mettere agli atti la motivazione con un commento alla decisione presa, che verrà così notificato al richiedete stesso.

Tutte le azioni svolte dagli utenti possono essere motivate con commenti durante lo svolgimento del workflow, gli utenti coinvolti hanno visibilità su tutti i passaggi così commentati.Quando la RDA infine viene approvata definitivamente all’ultimo livello, il sistema genera automaticamente una proposta di ordine di acquisto, che a sua volta verrà sottoposta a un suo proprio ciclo di approvazione, nel quale l’ordine verrà o meno convalidato da un responsabile, dopo averlo eventualmente manipolato per venire incontro a esigenze di pianificazione o ottimizzazione degli acquisti.

Qualora l’ordine derivato dalla RDA non fosse approvato, anche in questo caso il richiedente iniziale verrà notificato della motivazione. Se, infine, l’approvazione viene data, il ciclo complessivo a cui la RDA ha dato inizio avrà termine quando il ricevimento della merce o dei servizi e la relativa contabilizzazione delle fatture del fornitore con controllo di quadratura avranno avuto luogo.

INFRASTRUCTURE & TECHNOLOGY

DUALITA’ TRA ACCESSIBILITA’ FILTRATA E WORKING LIST

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informazione pubblicitaria

La semplicità delle soluzioni Data Domain

La soluzione EMC Data Domain è in grado di risolvere molte delle problematiche riscontrate dalle aziende durante i processi di backup, recovery e ripristino tradizionali. Grazie alle funzionalità di deduplicazione in linea ad alta velocità, con compressione locale, il sistema Data Domain registra su disco solo dati univoci. La tecnologia di deduplicazione riduce il sovraccarico e i requisiti di capacità del disco, aumentando contemporaneamente l’accessibilità e l’affidabilità e rendendo la soluzione di storage Data Domain, con funzionalità di deduplicazione, un’alternativa conveniente alle soluzioni basate su nastro.

I sistemi Data Domain trasferiscono sulla rete IP solo le modifiche deduplicate e compresse, impiegando una frazione della larghezza di banda, del tempo e dei costi associati ai metodi di replica tradizionali. I sistemi Data Domain utilizzano, inoltre, tecnologie di integrità e verifica dei dati avanzate, sfruttando al contempo gli upgrade delle CPU per offrire vantaggi diretti in termini di throughput e scalabilità del sistema.

Funzionamento della deduplicazione dei dati sui sistemi Data Domain

La tecnologia di deduplicazione Data Domain segmenta il flusso di dati in entrata, identifica in modo univoco i segmenti di dati, quindi confronta i segmenti con le informazioni archiviate in precedenza. Se un segmento di dati in entrata è un duplicato di quanto è già in archivio, il segmento non viene archiviato nuovamente, ma viene creato un riferimento ad esso. I segmenti univoci vengono archiviati sul disco.Ad esempio, i file o i volumi sottoposti a backup ogni settimana generano numerosi dati duplicati. Algoritmi di deduplicazione analizzano i dati e consentono di memorizzare solo gli specifici elementi modificati dei file, in forma compressa. Questo processo è in grado di fornire una riduzione media dei requisiti di capacità di storage pari a 10-30 volte o più, con policy di conservazione dei backup medie sui normali dati aziendali. Ciò significa la possibilità per le aziende di archiviare da 10 a 30 TB di dati di backup su 1 TB di capacità fisica del disco, con immensi benefici in termini economici.

Architettura per l’invulnerabilità dei dati

I sistemi di storage Data Domain con funzionalità di deduplicazione sono incentrati sull’integrità e la ripristinabilità dei dati. Data Domain Data Invulnerability Architecture offre il rilevamento e la correzione continua degli errori, così come la verifica della scrittura; ciò assicura la memorizzazione accurata dei dati di archiviazione e di backup, oltre alla loro costante disponibilità e recuperabilità.

Le principali aree di interesse sono quattro:

Verifica completa al momento del backup: i dati vengono letti dopo la scrittura per verificare che siano corretti e raggiungibili attraverso il file system. La maggior parte dei ripristini ha luogo entro uno o due giorni dal backup. I sistemi che verificano e correggono l’integrità dei dati lentamente, nel tempo, saranno in ritardo per la maggior parte dei ripristini.

Prevenzione e contenimento degli errori: i dati verificati non vengono mai sovrascritti da nuovi dati. I sistemi Data Domain utilizzano un numero inferiore di strutture di dati complesse e RAM non volatile (NVRAM) per un riavvio veloce e sicuro. Non sono consentite scritture di striping parziali.

Rilevamento e correzione continua degli errori: il livello RAID 6 di Data Domain offre doppia protezione contro i guasti del disco, correzione degli errori di lettura, rilevamento e correzione immediata degli errori, scrubbing per l’individuazione e la correzione dei difetti sul disco, prima che possano diventare un problema.

Ripristinabilità del file system: i dati vengono scritti in formato autodescrittivo. Se necessario, il file system può essere ricreato analizzando il registro e ricostruendolo dei metadati archiviati con i dati.

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Software gestionali che imparano a rispondere automaticamente all’utente

Sviluppata da una branca dell’intelligenza artificiale, la disciplina nota con il termine “apprendimento

automatico” in Eurosystem è al centro di ricerche finalizzate a migliorare l’esperienza utente nell’utilizzo

di un software gestionale, rendendo il sistema in grado suggerire automaticamente le risposte cercate

dall’utente, massimizzandone la soddisfazione e minimizzandone i tempi nello svolgimento del lavoro.

DIEGO TOSATO - STEFANIA PAVAN [email protected]

LUNGO LA STRADA DELL’INTELLIGENZA

Migliorare l’esperienza utente nei software gestionali

Come nella miglior tradizione dei meeting aziendali creativi e propulsivi, ci siamo lasciati nello scorso numero con un interrogativo aperto sulla possibilità o meno di sfruttare le tecniche di apprendimento automatico per migliorare l’esperienza utente nell’utilizzo di software gestionali come Freeway® Skyline, dove con apprendimento automatico si intende una famiglia di tecniche che automaticamente ricavano informazioni interessanti (in gergo “pattern”) da dati in un qualsiasi formato elettronico contenuti in un pc o un server. Ebbene, perché l’interrogativo non rimanga lettera morta, ma si traduca in esperienza viva, Eurosystem in questi due anni

ha sviluppato e testato diversi prototipi per validare la bontà di alcune tecniche di apprendimento automatico nell’ambito di diversi campi di gestione.

Il piano di codifica nelle aziende di produzione

Generalmente all’interno di un’azienda di produzione in buona salute, che pianifica e avvia ogni giorno centinaia di ordini di produzione, diventa prioritario per l’ufficio tecnico realizzare un piano di codifica attento e completo, che spesso costa tempo e fatica, e che serve ad identificare con degli opportuni codici una serie di elementi necessari all’esecuzione di tutto il processo produttivo: progettazione, codifiche prodotti, strutture

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di distinte, regole e varianti di configurazione di prodotto, di listino prezzi, di composizione dei colli. Il piano deve essere poi trasmesso a tutte le persone che hanno la necessità di lavorare con questo complesso di informazioni, costituito da collezioni di dati molto estese che vengono visualizzate e utilizzate migliaia di volte al giorno. All’interno dell’ufficio tecnico, infatti, ogni utente si ritrova a dover inserire quotidianamente centinaia di variabili per creare le distinte di produzione necessarie a mandare avanti i processi produttivi. La complessità di lavoro è tale che se il piano di codifica non è abbastanza chiaro e corretto, può essere alto il tasso di errore legato ad una codifica e quindi la possibilità di compromettere l’intero flusso di lavoro. Una problematica simile può insorgere anche quando l’ideatore della codifica lascia l’azienda senza che sia stato documentato come funziona lo schema. L’obiettivo di un’azienda come Eurosystem, che realizza un software di gestione dei processi aziendali, è arrivare a sviluppare un sistema che, grazie a tecniche di apprendimento automatico, faciliti l’utente nell’accesso, nella consultazione e nell’utilizzo di una numerosità di dati enorme richiedendogli di effettuare solo poche operazioni per creare, visitare o ispezionare oggetti complessi. A questo si aggiunge la necessità di creare un ambiente unico e integrato nel sistema gestionale, all’interno del quale l’utente possa gestire tutte queste operazioni senza dover ricorrere all’apertura di diversi moduli applicativi oppure di altri software, magari di carattere dipartimentale.

Apprendimento automatico e piano di codifica

Le tecniche di apprendimento automatico, una volta introdotte in Freeway® Skyline, possono rendere il sistema in grado di facilitare la realizzazione di un piano di codifica corretto mediante l’inserimento di pochi esemplari rappresentativi . Questo significa che in fase di ricerca l’utente, immettendo nel sistema poche indicazioni relative allo schema di prodotto, distinta, listino o collo, trova immediatamente l’informazione o l’oggetto cercato. La capacità selettiva del sistema - detto per questo motivo “intelligente” - restringe notevolmente la numerosità delle informazioni visualizzate e gli consente di trovare facilmente le informazioni desiderate. L’utente si trova così nella condizione di poter svolgere efficientemente i compiti che si è preposto. Questo agevola il suo lavoro considerando che l’abilità del sistema visivo umano è abbastanza limitata ed è probabile che un utente, trovando all’interno di un’unica pagina web gruppi di oggetti sostanzialmente identici, non riesca ad identificare l’oggetto della sua ricerca a causa delle numerose informazioni.

In particolare, la soluzione studiata da Eurosystem è quella di raggruppare automaticamente i codici articolo e le strutture delle distinte del piano di codifica all’interno del sistema, che assimila

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automaticamente il piano e quindi permette di arrivare alla distinta base o all’informazione cercata con pochi click. Inoltre, il sistema, che è addestrato a proporre nuove codifiche in base a caratteristiche immesse, con i codici datigli in pasto potrebbe essere esso stesso il motore di un piano di codifica per le nuove anagrafiche. Il beneficio di tale soluzione è triplice: (1) offrire un modo alternativo per navigare efficientemente il piano di codifica che può esser particolarmente utile agli utenti che non lo conoscono o lo conoscono poco; (2) offrire un metodo guidato di costruzione del piano di codifica; (3) minimizzare la probabilità di errore nella ricerca o nell’inserimento di nuove codifiche, sgravando quindi l’utente dal peso di dover sempre ricordarne la struttura.

Al fine di raggiungere questi benefici la soluzione elaborata da Eurosystem è stata l’implementazione di un algoritmo di addestramento non supervisionato noto in letteratura come dual k-means [1], il cui compito è quello di confrontare i codici e di raggrupparli in un insieme gerarchico di cluster (o segmenti). All’interno dello stesso cluster si trovano distinte simili tra loro. Il risultato si può apprezzare, ad esempio, in quei casi in cui, a partire da un insieme di distinte, si ottiene una segmentazione il cui onere (opzionale) per l’utente è quello di assegnare un nome intuitivo a ciascun cluster per facilitare ulteriormente la navigazione. Per evitare casi limite, per i quali una distinta base può appartenere a più di un cluster, si è deciso di includere la stessa nei primi due cluster più rappresentavi. Un esempio di caso limite è quello della produzione di un “divano-letto” per il quale è ragionevole sia l’appartenenza della distinta al cluster delle distinte per i “divani”, sia a quelle dei “letti”.

Apprendimento automatico e portale

Un altro caso di applicazione di tecniche di apprendimento automatico è quello di dare soluzione al problema della proposizione dei contenuti per un portale. In questo caso, si vuole dare al software la capacità di adattarsi alle abilità e all’esperienza dell’utente nello svolgere i compiti di ogni giorno mostrandogli solo ciò che è per lui rilevante e utile a svolgere efficacemente il suo lavoro. L’idea alla base di questa soluzione è la costruzione di un motore di supporto alla visualizzazione dei contenuti, il quale tenga conto dell’utilizzo o dei feedback da parte dell’utente per suggerire ciò che è probabilmente rilevante e scartare ciò che il sistema ha dedotto non esserlo. Posto in tali termini il problema può esser definito come problema di apprendimento supervisionato. Il motore potrebbe essere in grado di proporre funzionalità o scorciatoie per svolgere i task più efficientemente. Ciò vale nell’ipotesi ci siano possibilità di completare un certo compito

in modo più efficiente rispetto a quello utilizzato dall’utente. In tal caso il portale si riconfigura per rendere visibile il modo più efficiente. Analogamente il motore cerca di aiutare l’utente nel caso in cui si perda, suggerendo il modo di arrivare comunque a svolgere il task desiderato. Questa funzionalità è sicuramente utile per gli utenti alle prime armi la cui probabilità di smarrirsi tra le pagine del portale è abbastanza elevata. Di conseguenza la soluzione proposta diminuisce i tempi di addestramento dell’utente all’utilizzo del prodotto adattandolo alle sue abilità. Da una prospettiva opposta, il motore aiuta gli utenti esperti a svolgere task ripetitivi, come l’immissione o compilazione di dati richiesti, sfruttando l’esperienza che il sistema ha già acquisito. Deve poter far ciò utilizzando sorgenti dati eterogenee: statistiche di utilizzo del software, dati presenti nell’ ERP/MRP o nel repository documentale, ecc... Le funzionalità più avanzate del motore possono offrire la possibilità di automatizzare le decisioni gestionali non strategiche (di livello intermedio) al fine di sgravare l’utente dal tipo di lavoro che generalmente ne peggiora l’esperienza e massimizza la probabilità di errore, ottimizzando invece i tempi.

Per realizzare le funzionalità descritte è necessario combinare svariate tecniche di apprendimento automatico. La famiglia di tecniche che meglio servono agli scopi di visualizzazione, filtraggio e proposizione dell’informazione discusse sopra sono note come modelli generativi. Oggi, istanze di tali modelli sono efficacemente utilizzate da applicazioni come Google news, Bing o Zite. Particolarmente degno di nota è un metodo conosciuto come Restricted Boltzmann Machine [2], evoluzione delle ormai storiche reti neurali, che nel campo della proposizione automatica dei contenuti si presenta come una vera e propria rivoluzione in termini di esperienza utente.

I due esempi di applicazioni mostrano come sia possibile lavorare nella direzione del miglioramento dell’esperienza utente, senza intervenire esplicitamente sull’interfaccia e affrontando esplicitamente le tematiche tipiche dell’interazione uomo-macchina. Proseguendo per questo percorso, Eurosystem svilupperà alcune delle soluzioni che diventeranno parte integrante del nuovo rilascio di prodotto Freeway® Skyline 3.0.

[1] Shawe-Taylor, J., & Cristianini, N. (2004). Kernel Methods for Pattern Analysis. doi:10.1017/CBO978051180968

[2] Murphy, Kevin P. Machine learning: a probabilistic perspective, pg. 996. The MIT Press, 2012.

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Solidità e alta configurabilità del software per Helicopters Italia

Introdurre un ERP (Enterprise Resource Planning) significa ripensare, semplificare, uniformare il modello

con cui un’azienda gestisce il business, prima di rendere quel modello un processo automatico all’interno

di un sistema informatico. Automatizzare l’impresa sulla base di processi standard non è semplice, ma

con una soluzione solida e altamente configurabile può essere determinante per performare. Anche per

un’azienda appartenente ad un settore complesso ed esclusivo come quello dell’aeronautica.

VOLARE ALTO CON L’ERP

Il cambiamento del sistema informativo, pur avendo l’obiettivo di migliorare il funzionamento aziendale, crea non poche perplessità, soprattutto nelle imprese che operano in mercati particolari, offrono servizi più che prodotti, e hanno esigenze diverse da quelle del settore manifatturiero. È molto probabile che titolari e responsabili dei sistemi informativi si chiedano allora: avrà il sistema ERP caratteristiche tali da adattarsi alle peculiarità dell’azienda? Sarà sufficiente un prodotto standard o serviranno personalizzazioni? Qualora si debba personalizzare,

il fornitore avrà le competenze necessarie a farlo?

Eurosystem negli anni è entrata spesso in contatto con realtà appartenenti a settori di nicchia con esigenze peculiari, riuscendo sempre a garantire progetti ERP consistenti e altamente adattabili ai singoli contesti. Tra le storie di maggiore successo si colloca la collaborazione con Helicopters Italia, principale fornitore di servizi di assistenza nella fase post vendita di elicotteri a marca Eurocopter. Nata nel 1981

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stories

Solidità e alta configurabilità del software per Helicopters Italia

su iniziativa del gruppo Aersud Elicotteri, di cui oggi fa parte, Helicopters Italia oggi supporta il cliente fornendo manutenzione e revisione di aeromobili, pezzi di ricambio e servizi a corredo, come la formazione alla stessa manutenzione. Altissima professionalità ed efficienza sono le caratteristiche distintive dell’azienda, unica in Italia nel suo genere, capace di dare con prontezza le risposte necessarie all’immediato ripristino dell’efficienza al volo di un elicottero. Un business esclusivo e complesso quello di Helicopters Italia che, a seguito di una crescita consistente, nel 2005 ha deciso di investire in nuovi strumenti informatici e di individuare una soluzione e un partner consoni a gestire il cambiamento.

“Tra i requisiti che abbiamo preso in considerazione ai fini della scelta finale - racconta il presidente e amministratore delegato Vittorio Morassi - c’erano il fatto che il partner fosse una società ben organizzata con struttura propria e almeno 15 anni di esperienza nel campo amministrativo, in particolare nelle transazioni intracee e extracee, disposto ad importare tutto lo storico dei dati aziendali all’interno del nuovo sistema di gestione. Abbiamo quindi effettuato una ricerca di mercato e un benchmark di prodotto con SAP e con l’ERP Microsoft dell’epoca, per poi individuare in Eurosystem un partner disponibile e affidabile e in Freeway® Skyline il prodotto con la maggior copertura dei nostri bisogni primari, proprio perchè più accessibile alle parametrizzazioni e alla flessibilità che il nostro business comporta”.

All’avvio del progetto ERP si evidenzia la necessità di realizzare una parametrizzazione di prodotto per la gestione della commessa di manutenzione. Tra gli aspetti critici riscontrati con la stessa azienda: il fatto che tutti i dati relativi alla commessa di lavoro, alle ore impiegate e all’approvvigionamento materiali fossero inseriti in un database separato e slegato dal gestionale, e che quindi dovessero essere recuperati manualmente per formulare nel sistema la fattura finale al cliente; la mancanza di condivisione delle informazioni tra i vari dipartimenti che rendeva ridondante l’organizzazione; l’assenza, infine, di una gestione del ciclo passivo e attivo che peggiorava ulteriormente la situazione.

“L’introduzione - spiega Vittorio Morassi - di un gestionale standard e il suo rigoroso utilizzo da parte di tutte le persone in azienda ha di fatto risolto queste criticità. Le funzionalità presenti in Freeway® Skyline, associate alle nuove modalità di accesso ai dati tramite un portale web personalizzato con le regole di business aziendali e costruito su un unico database, hanno migliorato il lavoro degli utenti dell’intera organizzazione”. Infine, la possibilità di affiancare all’ERP la

Eurosystem ha realizzato per Helicopters Italia

Progetto ERPArchiviazione documentaleGestione della commessaAnalisi dei costiTracciabilità lottiScheda elicotteroPortale internoPortale clientiBusiness Intelligence

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DICEMBRE 2013

gestione automatizzata dei documenti aziendali (fatture, ordini, documenti specifici del settore aeronautico, etc.) tramite l’applicativo Freeway® Document Server (FDS) ha permesso di eliminare l’utilizzo di supporti cartacei negli uffici e migliorare la condivisione dei documenti rendendoli sempre disponibili nelle varie applicazioni.

Dal 2007, anno in cui veniva effettuato il kickoff di Freeway® Skyline, Helicopters Italia ha meccanizzato il ciclo attivo, quello passivo, la gestione magazzino e la gestione commesse. Ha poi informatizzato le comunicazioni tra magazzino e ufficio logistico al fine di garantire ai clienti la consegna di ricambi e la fornitura di servizi entro i tempi preventivati. Ha, inoltre, introdotto la contabilità analitica, il controllo del fido e indicatori atti a monitorare il risultato dei singoli uffici e dell’azienda. Infine, Eurosystem ha creato per Helicopters Italia un portale clienti, collegato al gestionale, attraverso il quale l’azienda propone agli esterni la propria offerta di ricambi e la possibilità di visionare gli articoli disponibili, richiederne di nuovi, verificare le giacenze in magazzino, valutare i relativi preventivi e avanzare richieste di materiale che vengono visualizzate direttamente nel portale interno generando l’apertura di ordini cliente nel software di gestione Freeway® Skyline.

Con il nuovo ERP Helicopters Italia riesce oggi a tracciare puntualmente tutto il processo di gestione di una commessa di manutenzione, che a seconda dei casi può durare settimane o mesi, consentendo agli utenti di poterlo controllare in qualsiasi momento e di accedere a dati di sintesi riguardanti ore lavorate, materiali utilizzati, fatture emesse relativamente ad una stessa commessa. Infatti, quando un’offerta al cliente è confermata, viene presa in carico dall’ufficio tecnico che apre un rapporto di lavoro al quale associa una o più commesse e prepara tutta la documentazione necessaria per lo svolgimento della manutenzione richiesta. La documentazione stilata viene poi fornita ai tecnici che si occupano della manutenzione e che hanno la possibilità, nel portale personalizzato, di dichiarare i prelevamenti di materiale dal magazzino ed effettuare eventuali richieste per materiale mancante. Queste richieste giungono

all’ufficio acquisti che le valuta e le tramuta in ordini al fornitore agganciati sempre alla specifica commessa di lavoro. Una volta arrivati gli item ordinati, il tecnico ne è immediatamente al corrente.

Fondamentale nella gestione del magazzino e delle commesse di lavoro è stata poi l’introduzione della tracciatura dei lotti/sublotti e l’etichettatura puntuale di ogni articolo di ricambio posto a magazzino. Questo ha permesso, non solo di monitorare il semplice carico e scarico del magazzino per lotto, ma anche di identificare subito il materiale prossimo alla scadenza, consentendo all’ufficio tecnico di poter effettuare, nell’ambito delle commesse, una “mappatura” puntuale di quali articoli vengono installati in un aeromobile e di quali cambiamenti avvengono nel tempo.

Inoltre, grazie all’introduzione di applicazioni specifiche all’interno del portale Freeway® Skyline, è possibile gestire tutte le informazioni relative agli aeromobili su cui sono state aperte commesse di lavoro attraverso la funzionalità di creazione e consultazione di Schede elicottero. La scheda di un aeromobile è formata da varie informazioni di carattere tecnico e commerciale e da una serie di rilevazioni effettuate su alcune parti sensibili (motori, moduli motore, pale ecc.) nell’ambito delle stesse commesse di lavoro. Prima di introdurre l’ERP di Eurosystem queste informazioni erano presenti in database separati e, quando era necessario, venivano reperite manualmente. Adesso attraverso l’interfacciamento, invisibile all’utente, di più pannelli di dati è possibile creare una scheda di sintesi che traccia la storia puntuale di tutto quello che viene revisionato negli anni in un aeromobile.

Helicopters Italia può finalmente contare su un modello fortemente strutturato, automatizzato ed efficiente, grazie all’introduzione di una soluzione software che si distingue per la sua capacità di fare propria l’anima organizzativa dell’azienda, con tutte le sue particolarità, supportandola nel raggiungimento dell’efficienza e della solidità, prerogative fondamentali per ambire al successo del business.

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TIROCINI CURRICULARINell’alveo delle attività di tirocinio formativo previste dal nostro ordinamento si distinguono i “tirocini curriculari”, la cui finalità non consiste nel fornire al soggetto tirocinante un primo imprinting professionalmente formativo che possa guidarlo verso la vita lavorativa, come avviene per i classici tirocini formativi di orientamento, ma bensì nell’integrare il percorso di istruzione che il tirocinante sta ancora compiendo, stabilendo a tal scopo una “alternanza” tra studio e attività pratica. Il Ministero del Lavoro ha fornito una chiara definizione dei tirocini curriculari descrivendoli come tirocini promossi da soggetti ed istituzioni formative - quali università e istituti scolastici - a vantaggio dei propri studenti ed allievi, al fine di realizzare un percorso di formazione integrata in cui si avvicendino studio e lavoro.

I fondamentali criteri senza la sussistenza concorsuale dei quali non è possibile aversi tirocinio curriculare, si identificano in:

• promozione dell’attività da parte di una università o istituto di istruzione universitaria abilitato al rilascio di titoli accademici, di una istituzione scolastica che rilasci titoli di studio aventi valore legale, di un centro di formazione professionale operante in

regime di convenzione con la regione o la provincia;

• soggetti destinatari dell’iniziativa identificati in studenti universitari, studenti di scuola secondaria superiore, allievi di istituti professionali e di corsi di formazione iscritti al corso di studio e di formazione nel cui ambito il tirocinio venga promosso;

• svolgimento dell’attività di tirocinio all’interno del periodo di frequenza del corso di studi o del corso di formazione.

Fattori di pregio sono inoltre legati all’alleggerimento burocratico: i tirocini curriculari, infatti, sono da considerarsi esclusi dagli obblighi di comunicazione preventiva previsti per le altre tipologie di tirocini e tipici della generalità dei rapporti di lavoro all’atto della loro instaurazione. Il Ministero del Lavoro ha inoltre rimarcato l’esclusione dei tirocini curriculari dai livelli essenziali di tutela dei quali all’art. 11 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138.

APPRENDISTATO DI ALTA FORMAZIONELa seconda tipologia negoziale legata in modo imprescindibile all’alternanza scuola-lavoro è l’apprendistato di alta formazione e ricerca, già introdotto dal D.Lgs 276/2003 senza essere però molto utilizzata negli anni successivi per

la difficoltà delle Regioni nel completare la regolamentazione. Il Testo Unico sull’apprendistato in vigore dal 2011, però, ha riformato in toto la materia, permettendo l’avviamento dei rapporti di apprendistato di alta formazione e ricerca, sulla base di semplici accordi quadro definibili tra istituzioni formative (università, istituti tecnici o altro) ed aziende intenzionate ad assumere. Un’importante semplificazione, quindi, che assiste la necessità delle aziende di alleggerire il carico burocratico, da sempre vero limite alla crescita.Questa forma di apprendistato può essere avviata per il raggiungimento di titoli di studio universitari e di alta formazione (compresi i dottorati di ricerca), o per il raggiungimento di una specializzazione tecnica superiore. Tutti questi titoli possono essere raggiunti sulla base di specifiche intese tra le parti che andranno a definire le ore di studio e quelle di lavoro da svolgersi, nonché il metodo di coordinamento tra l’istituzione formativa e l’azienda ospitante. La forza di questo strumento si paleserà quando l’azienda, che ha partecipato alla costruzione del piano formativo e ha avuto modo di toccare con mano l’evoluzione professionale del giovane, si riconoscerà fortemente incentivata a stabilizzare il rapporto alla fine del percorso.

Oggi l’avviamento al lavoro dei giovani accende molti dibattiti politici e mediatici, da cui non è sempre facile estrapolare le reali risorse disponibili nel nostro ordinamento. Con l’idea che l’alternanza scuola-lavoro possa realmente agevolare l’ingresso dei giovani in azienda, si illustrano tra gli strumenti già attivi e fruibili i tirocini curriculari e l’apprendistato di alta formazione.

Alternanza scuola-lavoroChe strumenti ci sono e come utilizzarli

RICCARDO GIROTTO [email protected]

scenari

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Ricerca e sviluppo: credito d’imposta e finanziamenti agevolati Le facilitazioni per chi investe in ricerca e sviluppo

Di quali agevolazioni può usufruire un’azienda che vuole investire in attività di ricerca e sviluppo finalizzate all’innovazione del proprio business? Con la legge di stabilità del 2013, che regolamenta anche il credito d’imposta per le aziende che decidono di investire in questo ambito, si introduce un importante cambiamento rispetto alla precedente normativa, offrendo nuove possibilità di accesso al credito d’imposta.

ELENA GIOCO - RUGGERO PAOLO ORTICA [email protected]

La legge di stabilità del 2013 (legge n. 228/2012) ai commi 95 - 97 aveva previsto l’erogazione di un credito d’imposta “alle imprese e alle reti di impresa che affidano attività di ricerca e sviluppo a università, enti pubblici di ricerca o organismi di ricerca, ovvero che realizzano direttamente investimenti in ricerca e sviluppo”. Il precedente intervento del Legislatore, operato con l’art. 1, D.L. 70/2011, la cui efficacia si estendeva fino al 31.12.2012, prevedeva la concessione di un credito d’imposta per gli anni 2011 e 2012, “a favore delle imprese che finanziavano progetti di ricerca, in università ovvero enti pubblici di ricerca”.

Come si evince dal tenore letterale della norma, dunque, il credito d’imposta aveva per oggetto il finanziamento di investimenti in progetti di ricerca affidati esclusivamente ad università ed enti pubblici. La nuova norma si differenzia positivamente in quanto ampia il range di interventi ammessi ad usufruire del credito d’imposta includendo gli

investimenti in ricerca e sviluppo realizzati direttamente dalle imprese. Anche dal punto di vista dei soggetti beneficiari la legge di stabilità per il 2013 definisce un ambito soggettivo assai ampio, privilegiando, in caso di scarsità di risorse finanziarie, le piccole e medie imprese. Per la definizione delle modalità applicative, la Legge aveva rinviato ad un successivo decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico. Di fatto, allo stato attuale, l’unica disposizione attuativa inerente la concessione di un credito d’imposta per le attività di R&S è contenuta nella bozza di “Decreto del Fare Bis”. Secondo le prime stesure di decreto è riconosciuto un credito d’imposta in misura pari al 50% degli incrementi annuali di spesa nel settore ricerca e sviluppo, registrati in ciascuno dei periodi d’imposta a decorrere del periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013 e fino alla chiusura del periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016, fino ad un importo

massimo annuale di 2.500.000 euro per ciascun beneficiario.

Il credito d’imposta è riconosciuto ai soggetti di cui sopra che, in ciascuno dei periodi d’imposta considerati, iscrivono in bilancio spese per attività di ricerca e sviluppo almeno pari a 50.000 euro.Sono agevolabili le attività di ricerca fondamentale, ricerca industriale, e sviluppo sperimentale.

Le spese sostenute nel settore ricerca e sviluppo riguardano:

• personale impiegato nelle attività di ricerca & sviluppo;

• quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e attrezzature di laboratorio;

• costi relativi a progetti di ricerca svolti in collaborazione con le università e gli organismi di ricerca;

• costi per la ricerca contrattuale, le competenze tecniche e i brevetti.

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Sembrano inclusi tra i destinatari del beneficio fiscale solo i soggetti IRES (Società di capitali).Nella bozza viene inoltre specificato che la fruizione del credito d’imposta spetta in generale, nel limite di spesa annuale a carico dello Stato di 200.000.000 euro.Se l’ammontare delle richieste supererà tale limite, le relative risorse saranno distribuite in base ad una graduatoria elaborata dal Ministero dello Sviluppo Economico sulla base della maggior percentuale di incremento annuale delle spese nel settore ricerca e sviluppo e, a parità di incremento percentuale, sulla base della data d’invio dell’apposita istanza.Sarà infatti necessario presentare un’istanza telematica per il nuovo credito d’imposta alle imprese che investono in ricerca e sviluppo con le modalità che dovranno essere stabilite con apposito decreto attuativo.

Sul fronte dei finanziamenti agevolati, invece, si segnala che con Decreti del Ministero dello Sviluppo Economico del 20 giugno 2013 pubblicati in Gazzetta Ufficiale n. 228 del 28 settembre 2013, prende il via il primo intervento del nuovo “Fondo per la crescita sostenibile”, per un ammontare di 300 milioni di euro di risorse stanziate. L’iniziativa è rivolta ad agevolare progetti di ricerca e sviluppo di piccola e media dimensione nei settori

tecnologici individuati nel programma quadro comunitario Orizzonte 2020. È quindi un intervento ad oggi rivolto prevalentemente alle PMI. Il bando, attuato con procedura valutativa “a sportello”, accoglierà progetti di R&S di importo compreso fra 800.000 euro e 3 milioni di euro. L’agevolazione concedibile è rappresentata da un finanziamento agevolato per una percentuale delle spese ammissibili complessive (70% per le piccole imprese, 60% per le medie e 50% per le grandi), con tasso pari al 20% del tasso di riferimento vigente alla data di concessione, fissato sulla base di quello stabilito dalla Commissione Europea. In ogni caso il tasso agevolato non può essere inferiore a 0,8%. Il termine iniziale e le modalità per la presentazione delle domande, nonché le condizioni, i punteggi massimi e le soglie minime per la valutazione delle domande stesse, saranno definiti con un successivo decreto del direttore generale per l’incentivazione delle attività imprenditoriali.

scenari

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La protezione del progetto di innovazione digitaleL’elaborazione di una idea, di un marchio, di un software, così come qualsiasi forma di espressione creativa, merita di essere protetta, onde scongiurare una possibile usurpazione da parte di terzi, con ciò vanificando anni di duro lavoro ed i relativi investimenti. Per questo è fondamentale per qualsiasi azienda dotarsi di quegli strumenti idonei a proteggere i titoli di proprietà intellettuale. Gli startupper in particolare propendono per il deposito del brevetto di innovazione, ma i costi collegati alla procedura di registrazione potrebbero negativamente incidere sul bilancio della società neo costituita, limitandone le disponibilità economiche e di conseguenza lo sviluppo. Una soluzione più economica, e molto efficace nei confronti di tutti i soggetti che a qualunque titolo entrano in contatto con le espressioni creative, consiste nel dotarsi di strumenti che permettono la protezione delle informazioni segrete.

La tutela giuridica del segreto industriale e/o aziendale: cos’è?Tutte le informazioni commerciali confidenziali che favoriscono un vantaggio

competitivo sono da considerarsi segreto industriale e/o informazioni segrete, e come tali inserite nel novero dei titoli di proprietà industriale. Il concetto di tutela delle informazioni segrete opera nei confronti di tutte le categorie di soggetti che ne entrano in contatto, non solo di quei soggetti che si possono considerare dei concorrenti. Nell’ordinamento italiano, quindi, il segreto industriale e/o aziendale riceve una tutela tout court, scevra da eventuali condotte di concorrenza sleale poste in essere dal soggetto terzo.

Cosa si intende per informazioni segrete?Il contenuto dei segreti aziendali può avere natura tecnica (segreti e processi produttivi, industriali, ecc.), oltreché commerciale (metodi di vendita, distribuzione, profilazione della clientela e dei consumatori, strategie di comunicazione, elenchi di fornitori e clienti, ecc.). Il perimetro delle informazioni segrete si valuta caso per caso in relazione all’attività aziendale. L’insieme delle informazioni segrete costituisce il know how aziendale, vale a dire quell’insieme di nozioni aziendali che integrano e migliorano lo stato della

tecnica normalmente conosciuta in un determinato settore. Il know how in senso stretto assume rilievo come autonomo elemento patrimoniale suscettibile di utilizzazione economica da parte del possessore. In questo senso, infatti, il know how può essere considerato un asset aziendale ed oggetto di veri e propri accordi di cessione e trasferimento, indipendentemente dal resto dell’azienda.

Quali sono gli strumenti utili e necessari per tutelare il patrimonio aziendale? È necessario precostituire forme e strumenti di tutela innanzitutto verso l’interno dell’azienda, per poi passare alla tutela verso l’esterno. I collaboratori dell’azienda devono sottoscrivere apposite policy, predisposte dall’azienda, atte ad individuare le condotte scorrette e le conseguenze derivanti dalle violazioni intervenute. Parimenti sarà buona pratica dell’azienda far sottoscrivere un NON-DISCLOSURE AGREEMENT (NDA) o ACCORDO DI RISERVATEZZA a qualsivoglia interlocutore esterno che per disparate ragioni entri in contatto con le informazioni riservate. Attraverso questi due fondamentali strumenti le parti

Il fenomeno della creazione di start up per la produzione e lo sviluppo di prodotti tecnologici è stato agevolato dal legislatore con D.L. n. 179/2012, poi convertito nella Legge n. 221/2012. Si tratta di una normativa importante ma non sufficiente ad affrontare le sfide della concorrenza internazionale, soprattutto quando si tratta di interagire con le multinazionali dell’ICT, per valutare e negoziare forme di collaborazione o partnership.

Apertura ai mercati internazionaliTutela del know how e suggerimenti operativi LUCIA BRESSAN [email protected]

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scenarisi impegnano a mantenere segrete le informazioni scambiate, pena la violazione dell’accordo stesso, ed il conseguente esercizio del diritto sottostante le specifiche clausole di risarcimento del danno, ivi contenute e predisposte dalle parti.

Quando un accordo di riservatezza si rivela necessario?Un accordo di riservatezza è sempre consigliato, dal primo momento di instaurazione di una trattativa commerciale. In particolare, quando due o più soggetti intendono esplorare la fattibilità circa la realizzazione di un preciso affare, oppure valutare le potenziali relazioni d’affari, che implichino innanzitutto la comprensione dei processi commerciali dell’altra parte, un NDA si rivela di fondamentale importanza.

Nelle relazioni internazionaliNelle relazioni internazionali, è buona prassi oltreché consuetudine sottoscrivere

sin da subito accordi di NDA e LOI (LETTER OF INTENT, lettere di intenti) atte a circoscrivere il perimetro delle informazioni riservate e delle reali intenzioni delle parti. Solo successivamente si passa alla redazione di un MOU (MEMORANDUM OF UNDERSTANDING - contratto preliminare) che anticipa e definisce in maniera puntuale gli obblighi contrattuali e soprattutto le condizioni cui sottoporre la conclusione del contratto definitivo. Lunghe trattative poi abbandonate, con pacifica divulgazione delle idee e strategie aziendali, poi utilizzate dal potenziale partner non troveranno mai tutela, se non espressamente previste e disciplinate da tali strumenti.

ConcludendoL’analisi dei rischi che una qualsiasi azienda corre nelle relazioni commerciali e la predisposizione di strumenti giuridici atti a scongiurarli si rivela di fondamentale importanza.

Ciò è ancora più vero nel mondo dell’imprenditoria giovanile e nelle start up innovative, posto che l’entusiasmo e la creatività portano a condividere istintivamente l’idea creativa col mondo, con pacifica divulgazione delle originalità e del patrimonio aziendale.Nelle relazioni internazionali gli strumenti della NDA, LOI e MOU sono oltremodo necessari, posto che l’istituto giuridico della responsabilità precontrattuale presente nel nostro codice civile non trova applicazione nelle relazioni internazionali se non convenzionalmente e minuziosamente previsto.

Studio Legale Bressan

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La riforma del condominio La Legge 220/2012: un’occasione perduta?

Andare d’accordo è difficile, soprattutto in condominio. Con la recente Legge del 11.12.2012 n. 220, il Legislatore ha introdotto alcune novità nella normativa che regola la vita di condominio cercando di renderla più facile e pacifica.

ANDREA MANUEL

Chiunque abbia avuto una minima esperienza di vita condominiale sa che le possibilità per instaurare litigi sono infinite. Alcuni condomini sono rumorosi o maleducati, vi possono essere animali che disturbano e non parliamo dei parcheggi sui quali ogni condominio ha, sempre, qualcosa da ridire. Andar d’accordo è difficile ma forse lo sarà (o almeno dovrebbe esserlo) un po’ meno con la riforma del condominio: arrivata in porto dopo un confronto serrato tra le varie forze politiche che hanno fatto arenare più volte la riforma nelle sabbie mobili delle commissioni parlamentari. Poi è intervenuta la Legge 11.12.2012 n. 220 che ha inciso, significativamente, sulle norme che regolano la vita nel condominio.

C’è da dire che la normativa sul condominio risaliva al 1942 ed era stata ampiamente superata dalla evoluzione della proprietà in condominio e dall’affermarsi di nuove tecnologie: il che imponeva un intervento da parte del Legislatore a salvaguardia degli interessi dei condomini che, per primi, risentivano di tale inadeguatezza. L’amministratore, l’assemblea, la stessa natura giuridica del condominio richiedevano una più precisa regolamentazione. Interviene la Legge e, come purtroppo spesso accade, la lunga attesa non è stata - certamente - premiata anche se qualche passo avanti

certamente è stato fatto. In questa sede ci limiteremo ad affrontare alcuni aspetti e segnalare alcuni mutamenti rilevanti che possono incidere nella vita del condominio.

La riforma incide su tante cose: sulle parti comuni, sulla definizione di condominio e sulle varie possibilità. In particolare è stata modificata sensibilmente la figura dell’amministratore. Modifica divenuta sempre più necessaria anche a causa del sempre più rilevante impegno economico che regola l’amministrazione del condominio. La nomina dell’amministratore è obbligatoria quando i condomini sono almeno 9, dura in carica 1 anno e alla scadenza l’incarico si intende automaticamente rinnovato per eguale durata. L’amministratore è nominato, in assemblea, dalla maggioranza degli intervenuti che possieda almeno la metà dei millesimi. Ora l’art. 71 bis delle Disp. di attuazione stabilisce che possono svolgere l’incarico di amministratore anche le società di capitali (ad es. spa, srl...) nonchè le società di persone (ad es. sas, snc). Tale precisazione è stata quanto meno opportuna attesa la gestione di un condominio può essere particolarmente complessa e le società garantiscono un’affidabilità superiore a quelle della singola persona fisica potendo contare sul lavoro di più soggetti specializzati

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nella gestione di beni immobili. L’affidamento dell’incarico ad una società, pertanto, è sempre più frequente ed è in linea con l’evoluzione della figura dell’amministratore che, un tempo, veniva conferito agli stessi condomini che avessero tempo a disposizione: spesso anziani e/o pensionati. Ciò non è assolutamente possibile, soprattutto non avrebbe logica alcuna, attese le numerose e gravi responsabilità attribuite all’amministratore dalle Leggi in materia di edilizia, di sicurezza degli impianti e degli obblighi tributari. Almeno in questo vi sarà, per effetto della riforma, maggiore chiarezza.

Un aspetto assolutamente particolare e rilevante in capo all’amministratore riguarda la riscossione dei contributi condominiali. La Legge di riforma è intervenuta in modo incisivo e radicale precisando che per la riscossione delle somme dovute l’amministratore può attivare la procedura di ingiunzione senza dover richiedere una preventiva autorizzazione all’assemblea. L’amministratore deve comunicare ai creditori non soddisfatti i dati dei condomini morosi, affinchè questi possano agire in prima battuta nei loro confronti, rivolgendosi solo in un secondo momento ai condomini in regola per i pagamenti. Secondo l’orientamento prevalente, a tal fine, si segnala come il principio della ripartizione delle spese pro quota tra i condomini abbia valore solo interno mentre nei confronti dei terzi la responsabilità è necessariamente

solidale, nell’applicazione del principio generale sancito dall’art. 1294 del c.c.. L’amministratore, inoltre, può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato se la mora si protrae per 6 mesi. L’amministratore, pertanto, dovrà - necessariamente - attivare procedure giudiziali nei confronti dei condomini morosi: ciò se da un lato potrà aggravare la condizione di chi non è in grado di far fronte tempestivamente ai pagamenti, potrà certamente essere inteso come una norma di “salvaguardia” nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti. Ciò, pur tuttavia, comporterà non pochi problemi all’amministratore del condominio che si troverà, molto spesso, a dover attivare costose attività giudiziarie a fronte di inadempimenti.

La conclusione che si può trarre da questo sommario esame della figura dell’amministratore è che lo stesso dovrà essere un tecnico, preparato e responsabile e che dovrà vigilare costantemente la situazione economica del condominio ed intervenire prontamente al fine di evitare il protrarsi di esagerate morosità. Almeno sotto tale profilo la riforma è sicuramente apprezzabile: specie ove indica chiaramente che la figura dell’amministratore di condominio deve sempre più essere caratterizzata da requisiti di professionalità e garanzia di competenza.

Studio Legale Nordio-Manuel

scenari

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LAVORARE CON IT E ICTSpazio ai costruttori del software

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La divisione Sviluppo di Eurosystem si inserisce nella più estesa area Ricerca, Ingegnerizzazione e Sviluppo software, al cui interno si svolgono tutte le attività finalizzate alla produzione di Freeway® Skyline. Tra codici, procedure e linguaggi di programmazione, i costruttori del software si occupano di implementare il prodotto ERP (Enterprise Resource Planning) standard, realizzando nuove funzionalità e adeguamenti tecnologici, e di sviluppare i singoli progetti cliente con le varie personalizzazioni e verticalizzazioni del prodotto standard.

S. Bacci, responsabile area Sviluppo software di Eurosystem: di cosa si occupa esattamente?

S. Bacci: «Il mio compito è quello di supervisionare tutto il ciclo di vita del software stando attento a verificare due cose: che gli obiettivi e la metodologia necessari ad eseguire il processo di produzione siano chiari all’intero team, e che i tempi di sviluppo preventivati siano pertinenti alla complessità delle attività e vengano rispettati. Ma, soprattutto, cerco di avere una visione a lungo termine e segnalare le nuove tecnologie da studiare per avere un prodotto sempre al passo con i tempi e orientato al futuro».

Come vengono definite le linee di sviluppo software? Quali sono gli indirizzi per il futuro?

S. Bacci: «Lo sviluppo del software viene pilotato dal reparto Progetti, in particolare dai PDM (Product Development Manager) per quanto riguarda le evoluzioni del prodotto standard, e dai PJS (Project Specialist) in relazione allo sviluppo dei progetti cliente. Entrambe le figure segnalano modifiche da effettuare in base a priorità di carattere esterno (ad esempio cambiamenti nelle normative che impattano sul funzionamento del prodotto) o a esigenze maturate nel confronto con i clienti. Le segnalazioni generate dal reparto Progetti vengono poi verificate dall’area Ricerca e Ingegnerizzazione, che si occupa di suggerire eventuali variazioni di natura tecnologica e che affida allo Sviluppo tutti gli interventi. In futuro lo sviluppo del software si orienterà sempre di più verso due direzioni: l’utilizzo di tecnologie mobili e touch screen e il ricorso alla User Experience, da cui derivano tecniche che permettono di sviluppare software sempre più “intelligenti” e “usabili” ».

Come si garantisce la migliore qualità possibile di un prodotto software?

S. Bacci: «Attraverso un monitoraggio continuo e varie attività di testing mirate a provare la correttezza tecnica, formale, e di contenuto degli interventi apportati. Di solito, infatti,

programmiamo diverse fasi e tipologie di verifica all’interno del processo di produzione: una serie di test automatici vengono lanciati subito dopo la fase di programmazione vera e propria, seguono poi test manuali che vengono svolti direttamente dallo sviluppatore, infine PDM e PJS effettuano un ultimo test di verifica».

Come team di Sviluppo software, con quali aree aziendali collaborate maggiormente? E in che modo?

M. Perissinotto: «Collaboro con diverse figure a seconda delle necessità: mi interfaccio con l’area Ricerca e Ingegnerizzazione per gestire modifiche all’infrastruttura del software, con i PDM per approfondire le nuove funzionalità da implementare nel prodotto standard, e con i PJS per risolvere segnalazioni di anomalie su progetti cliente. Un aspetto tipico del nostro lavoro è proprio la necessità di confrontarsi continuamente per arrivare ad ottenere il risultato migliore».F. Camillo: «Essendo impegnato nello sviluppo del prodotto standard, in particolare del sottosistema MRP (Material Requirements Planning), mi relaziono soprattutto con i PDM che, dopo aver individuato gli interventi da eseguire, si confrontano con noi sull’impostazione tecnica dello sviluppo. È un rapporto molto collaborativo, soprattutto nella fase di analisi ma anche nella risoluzione di eventuali problematiche insorte durante i test o dopo l’installazione: spesso capita di riuscire ad individuare aspetti di cui non si era tenuto conto in fase di analisi e realizzazione solo unendo le nostre diverse competenze».L. Marchetti: «La mia specialità è sviluppare per i progetti cliente, che richiedono molta flessibilità mentale e operativa, sia per la varietà delle tecnologie con le quali si lavora sia perché i tempi di realizzazione richiesti dai clienti sono sempre molto stretti. Oltre, quindi, a collaborare con i PJS, per gestire le molteplici necessità faccio riferimento alla figura responsabile della Pianificazione progetti, che stabilisce le priorità con cui affrontare le varie richieste, consentendo a tutti di procedere secondo un’organizzazione ben definita».

Sviluppo prodotto standard e sviluppo progetti cliente: che differenza?

A. Robecchi: «Molto spesso si tratta di lavorare in due ambienti che richiedono un diverso approccio.

conosciamociSTILE LIBERO

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Sviluppare per un progetto cliente significa, infatti, realizzare una componente di sistema che, pur andando ad inserirsi in un contesto standard come il prodotto Freeway® Skyline, non dovrà essere del tutto confacente alle regole di produzione dello stesso perché destinata a soddisfare le esigenze di uno specifico cliente. È un lavoro certosino che riusciamo a realizzare solo grazie alle caratteristiche di alta flessibilità e

configurabilità del nostro software gestionale».S. Maurizio: «Pur trattandosi di attività diverse, le due cose non sono poi così nettamente separate. Capita, infatti, di doversi chiedere: “il software che sto sviluppando è specifico per il cliente o potrà essere riutilizzato?” Occorre sempre tenere presente quali funzionalità sono specifiche e quali sono invece generiche (e quindi possibilmente condivisibili fra più progetti). I due aspetti devono essere sempre ben separati, anche all’interno di uno stesso progetto».W. Bet: «A differenza di quanto succede con i progetti cliente, quando si lavora per il prodotto standard si considera che ogni modifica verrà inserita in un contesto già esistente, predisposto e sviluppato in un certo modo, per cui bisogna essere sicuri che l’inserimento effettuato possa dialogare in modo coerente con tutte le altre componenti dello standard».

Quanto conta avere un contatto diretto con l’utilizzatore finale del software che andate a sviluppare?

R. Lorenzon: «Lavorare a stretto contatto con il cliente permette di capire realmente com’è organizzata un’azienda. Occupandomi di implementazioni di sistemi workflow in progetti personalizzati, ho capito che nessuno riesce, meglio del cliente stesso, a raccontare come funziona il processo produttivo di un’azienda in modo tale che questo processo possa essere implementato correttamente e reso, eventualmente, generico per ogni caso d’uso. Il confronto con il cliente permette insomma di arricchire e consolidare la soluzione che progettiamo». M. Fumagalli: «Conta moltissimo perché aiuta a vedere molto più chiaramente le possibilità di miglioramento del prodotto e l’evoluzione che in futuro potrebbe avere. Confrontandosi direttamente con i referenti dell’azienda cliente si comprende quale utilizzo del software viene fatto nella pratica e in quali passaggi gli utenti incontrano difficoltà che in fase di analisi o progettazione non erano state previste. Si riesce così ad essere molto più efficaci in fase di modifica, miglioramento, o risoluzione di un’anomalia».A. Serio: «Un interfacciamento diretto conta molto, è importante per la realizzazione di un prodotto di qualità e per una crescita professionale. Solo a partire da un confronto con l’utilizzatore finale è possibile comprenderne esigenze, dinamiche ed individuare eventuali punti critici. Affrontare queste criticità ed individuarne la migliore soluzione è parte di un percorso di crescita, aumenta la propria esperienza e il bagaglio di casi d’uso».

Com’è cambiato il vostro lavoro nel tempo?

F. Abbi: «Rispetto a quanto avveniva in passato, quando lo

Gli intervistati, da sinistra in alto: Stefano Bacci, responsabile area Sviluppo software Eurosystem, e gli sviluppatori Alberto Serio, Annalisa Zarpellon, Simona Curtolo, Federico Zanin, Stefano Speltra, Fulvio Abbi, Luca Marchetti, Adriano Robecchi, Massimo Fumagalli, Walter Bet, Sue Maurizio, Marina Perissinotto, Flavio Camillo, Riccardo Lorenzon

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conosciamoci

sviluppo di prodotto era focalizzato sull’utilizzo di un numero limitato di tecnologie ben note all’intero team, ho riscontrato la crescente spinta a sperimentare strade tecnologiche nuove ricorrendo ad un numero sempre più ampio di soluzioni inedite e fra loro differenti. Questa apertura, se da una parte ha generato l’indubbio beneficio di realizzare un prodotto innovativo e moderno, dall’altra ha creato la necessità di aggiornare le competenze comuni al team di sviluppo e indirizzare alcuni di noi verso precise specializzazioni. In questo cambiamento è venuta meno una certa interscambiabilità esistente tra i componenti del reparto, a favore di una maggiore qualificazione. Oggi possiamo dire che cerchiamo di mantenere competenze all’avanguardia su molte e più varie materie rispetto al passato, pur non rinunciando del tutto a quell’interscambiabilità. La possibilità di impiegare le stesse persone su più progetti e tecnologie consente, infatti, un più esteso passaggio di conoscenze all’interno di tutto il gruppo».S. Speltra: «L’importanza che nel tempo ha acquisito l’informazione, il modo in cui viene strutturata, sintetizzata e visualizzata dall’utente finale, ha in un certo verso modificato anche il nostro approccio al lavoro. Oggi l’utente finale deve essere al centro del sistema ed il software che andiamo a sviluppare deve partire da questo concetto, aldilà delle tecnologie che si sceglie di impiegare per realizzarlo. Sviluppare un software sempre più vicino al ruolo aziendale che lo utilizzerà porta, dunque, ad uno sforzo maggiore nel far sì che la stessa informazione sia presentata in modo diverso a seconda del profilo utente che voglia consultarla. Per ottenere questo risultato occorre avere una grande padronanza delle logiche di funzionamento dell’azienda cliente e orientare le attività di sviluppo, già nella fase di progettazione, sulla base delle priorità di accesso e utilizzo del software individuate con la stessa azienda. Se si parte da questo requisito il risultato non potrà essere che ottimale, oltre che pienamente accettato dall’utilizzatore finale».F. Zanin: «Oggi utilizziamo un numero maggiore di tecnologie e dobbiamo affrontare conseguenti problematiche di integrazione. Il fatto stesso di orientare lo sviluppo verso un software web based, come appunto è Freeway® Skyline, ha aumentato la complessità del lavoro perché occorre far confluire in un’unica interfaccia, quella di un portale web connesso al sistema gestionale, funzionalità eterogenee dal punto di vista tecnico che devono essere presentate nello stesso modo dal punto di vista formale».

Qual è l’aspetto che caratterizza maggiormente il vostro lavoro?

S. Curtolo: «La raccolta e la condivisione di informazioni. Ad

esempio, se devo sviluppare una nuova funzionalità all’interno di un progetto cliente, devo prima raccogliere l’analisi funzionale del PJS, verificare con il PDM che lo sviluppo non vada ad impattare negativamente sul prodotto standard, condividere le linee di sviluppo con il reparto Ingegnerizzazione. Solo quando tutte le informazioni si integrano perfettamente tra di loro e il circolo - virtuoso in questo caso - si è concluso, posso iniziare davvero il mio lavoro di sviluppo». A. Zarpellon: «Occupandomi specialmente di implementazioni relative all’area contabile del nostro prodotto software, mi capita spesso di sviluppare nuove funzionalità in seguito a cambiamenti legislativi, cosa che in Italia si verifica continuamente e che costringe a lavorare in tempi stringenti (come nel caso della recente normativa sullo “spesometro” che ne prevede l’introduzione entro novembre). Ma l’aspetto più importante da considerare in questo ambito è la capacità di guidare il cliente nel districato rompicapo normativo e burocratico, offrendo adeguamenti e funzionalità che rispondano in maniera efficiente, certa e confacente a quanto richiesto dalla legge».

Aggiornamento e formazione: quanto è importante?

F. Abbi: «È fondamentale, non solo per quanto riguarda l’utilizzo di tecnologie più avanzate all’interno del prodotto, ma anche per acquisire quelle competenze necessarie a rendere più efficiente il processo di sviluppo dello stesso. Al riguardo, di recente, Eurosystem ha sponsorizzato l’acquisizione da parte mia della certificazione Microsoft relativa al prodotto Team Foundation Server, che ha l’obiettivo di supportare il processo di produzione del software secondo i dettami dell’ingegneria del software. Grazie a questa certificazione sto contribuendo a definire le procedure che ci permettano di collaborare in maniera più coordinata ed efficiente, migliorando la misurabilità e la qualità dello sviluppo».F. Zanin: «La necessità di rimanere costantemente aggiornati su tecnologie e metodologie è uno degli aspetti più impegnativi e stimolanti di questo lavoro; nel nostro settore la formazione continua non è un modo di dire ma una neccessità, perché le informazioni in circolazione a livello globale sono tante e si diffondono velocemente, e bisogna quindi saper cogliere quelle più utili, significative e promettenti. Allo stesso tempo, poiché difficoltà o problematiche che si presentano sono spesso riconducibili a situazioni già note e necessitano di soluzioni già collaudate, risulta assai utile documentare e condividere con i colleghi l’esperienza maturata singolarmente, a favore di una più estesa e approfondita conoscenza di gruppo».

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Il ruolo del Medico competente aziendale, così come inquadrato

all’interno del DLgs 81/08, è stato definito nel corso di un lungo

processo evolutivo della legislazione in materia di salute e

sicurezza sui luoghi di lavoro.

La moderna medicina del lavoro è stata fondata da Bernardo

Ramazzini che, nel 1700, pubblicò il primo elenco delle malattie

professionali, frutto di elaborazione di illustri medici e pensatori

precedenti e della sua esperienza sul campo. L’intuizione e

l’innovazione del Ramazzini fu proprio quella di portare il medico

a lavorare in ambienti “sporchi”, nelle fabbriche, fuori dal suo

Dall’intuizione di Bernardo Ramazzini (1700) alla moderna definizione stabilita dal Testo Unico 81/2008: in

tre secoli di storia la Medicina del Lavoro ha assunto un ruolo centrale nella tutela della salute aziendale,

migliorandone la qualità e contribuendo al suo progresso.

LA MEDICINA DEL LAVORO TRA RICERCA E BUROCRAZIAIn collaborazione con il Centro di Medicina

LUCIANO SALVADORI

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medicina e lavoroSTILE LIBEROambulatorio clinico convenzionale, per valutare in prima persona

la condizione professionale lavorativa in modo da poter risalire alle cause dei disturbi lamentati dai lavoratori. Con il Testo Unico in materia di sicurezza e salute sul lavoro (Dlgs 81/ 2008) il Medico competente assume un ruolo centrale tra le figure preposte alle attività di prevenzione in azienda, con le sue capacità professionali frutto delle conoscenze scientifiche e dell’esperienza costruita a contatto con lavoratori e aziende.Questo lavoro deve essere svolto in collaborazione con i Servizi Pubblici di Prevenzione delle ASL (SPISAL), ma tenendo sempre in considerazione che questi rapporti devono essere opportunamente finalizzati alla prevenzione e alla tutela della sicurezza e delle salute dei lavoratori. In questo lavoro comune, i servizi della ASL hanno lo scopo istituzionale di vigilare e di coordinare l’attività del medico competente, ma anche il compito di informare e formare il medico competente con linee di indirizzo omogenee e standardizzate e con attenzione agli aspetti di sostanza a scapito di quelli meramente formali o documentali. L’eliminazione di adempimenti inutili o ridondanti permette al medico competente di spostare il baricentro della sua attività, dal riempimento di “carte” troppo attente alla precisione formale, ad adempimenti sostanziali ed effettivamente orientati alla tutela ed alla promozione della salute. Infatti, carichi burocratici, obbligatori per legge, troppo spesso condizionano il lavoro del medico sia di fronte all’azienda che al lavoratore stesso. Il medico è così obbligato a concentrare la sua attenzione sulla “carta” da riempire piuttosto che sulle “evidenze” e sull’applicazione delle sue conoscenze professionali, che danno qualità al suo lavoro di tutela della salute dei lavoratori e non solo della sicurezza. A tale proposito non sono certamente venute in aiuto le cosiddette norme di “semplificazione” che il governo ha recentemente emanato, né il tentativo di passare dal cartaceo al supporto informatico. Il medico competente da quest’anno deve farsi carico di un ulteriore impegno burocratico, peraltro spropositatamente sanzionato in caso di inadempimento: la compilazione e l’invio annuale, su piattaforma informatica prestata dall’INAIL agli Spisal, del nuovo allegato III B al DLgs 81/08. Questo compito è in capo al medico aziendale, ma coinvolge il datore di lavoro in quanto deve fornire una serie di dati aziendali di tipo amministrativo e formale.

Pur con buone intenzioni di partenza, questo ulteriore adempimento si è rivelato un’occasione perduta per la creazione di una sinergia tra settore pubblico e privato finalizzata, ad esempio, per raccogliere dati epidemiologici di sostanza sulle patologie professionali, che sono la base di partenza indispensabile per ogni buona ricerca scientifica in medicina e

soprattutto in medicina del lavoro.

Questi dati in Italia attualmente sono insufficienti e poco

affidabili statisticamente perché affidati unicamente alle

denunce di malattia professionale afferenti all’INAIL (tranne

qualche caso particolare che riguarda il registro tumori). I dati

richiesti con l’attuale modello III B non possiedono invece alcun

valore epidemiologico, né da essi è possibile estrarre risultati

scientificamente validi; inoltre, vengono inutilmente richiesti in

quanto già acquisiti dalla Pubblica Amministrazione.

Dal fronte normativo arriva però anche una buona notizia: il

Comitato “Procedure Standardizzate”, che lavora all’interno

dell’ISPELS/INAIL, ha predisposto una procedura semplificata

standard per la valutazione dei rischi, utilizzabile dalle imprese

con meno di 10 dipendenti. Queste realtà sono spesso impegnate,

anche come ditte appaltatrici, in comparti lavorativi ad alto

indice infortunistico come l’edilizia, la metallurgia, l’agricoltura,

la logistica. È questo un supporto informativo semplice, ma

tecnicamente rigoroso, che supera il precedente concetto di

“autocertificazione”, che spesso rappresenta un problema per il

datore di lavoro e risulta poco efficace e rigoroso dal punto di vista

tecnico. La valutazione dei rischi è il processo fondamentale del

sistema di prevenzione aziendale ed è la disposizione obbligatoria

principale del T.U 81/2008. Avere a disposizione delle schede di

rischio per mansione / professione strutturate in maniera semplice

si rivela perciò come strumento agile e standardizzato molto utile

per ottemperare a tale obbligo in maniera corretta anche da parte

delle imprese di medie e piccole dimensioni.

Luciano SalvadoriMedico del lavoro

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Lo scambio con realtà geografiche, linguistiche e sociali differenti rappresenta un momento chiave

per la crescita personale e professionale di giovani che possano sentirsi innanzitutto cittadini del

mondo. L’Ufficio Erasmus dell’Università di Venezia da oltre 20 anni offre a studenti in entrata e uscita

la possibilità di vivere un periodo all’estero, che spesso cambia inevitabilmente la visione del mondo a

favore di una maggiore sensibilità verso il contesto europeo ed extra-europeo.

Quando è stato istituito l’Ufficio Erasmus a Ca’ Foscari? Con quali obiettivi?

L’Ufficio Erasmus, all’interno dell’Ufficio Scambi Culturali, è nato nel 1987. L’obiettivo principale di questo ufficio è stato, fin dall’inizio, predisporre accordi con le università più prestigiose in Europa per attuare una mobilità docenti e studenti di alto livello.

In cosa si distingue in particolar modo? Quali le politiche adottate rispetto ad altri atenei?

La mobilità Erasmus a Ca’ Foscari è gestita dal Settore Mobilità Internazionale e Partenariati dell’Ufficio Relazioni Internazionali, per un totale di tre tecnici amministrativi, e dall’International Welcome Desk, tramite due collaboratori. In linea di massima, vista la particolarità del programma Erasmus, come programma

Studenti oltre le frontiereIntervista a Università Ca’ Foscari Venezia

PROGETTO ERASMUS

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comunitario, gli uffici Erasmus tendono a lavorare in sinergia e con procedure comuni dettate dalla Agenzia Nazionale LLP Italia.

Quali i servizi offerti agli studenti? E come sono organizzati i viaggi?

L’Ufficio si occupa della mobilità in entrata e in uscita a tutto campo. Per quanto riguarda gli studenti Erasmus in uscita, si comincia dall’orientamento prima dell’uscita del bando e si prosegue con un servizio di assistenza agli studenti selezionati nelle pratiche di preparazione alla mobilità anche tramite colloqui individuali, pubblicazioni ad hoc, eventi e seminari a tema. Agli scambi di email durante la mobilità, segue il colloquio al rientro degli studenti e il supporto nella fase di riconoscimento esami in collaborazione con i docenti coordinatori. Inoltre, gli studenti selezionati vengono messi in contatto con gli studenti partiti l’anno precedente per la stessa destinazione creando così una rete di “students helping students”. Gli studenti in entrata godono di un supporto amministrativo in ogni fase del percorso di mobilità a Ca’ Foscari, grazie anche all’attività di accoglienza dell’International Welcome Desk (organizzazione delle giornate di accoglienza “welcome days” e stampa della welcome guide) e all’Housing Office, che aiuta gli studenti nella ricerca di alloggio a Venezia. Gli studenti internazionali sono seguiti dal punto di vista amministrativo durante la loro permanenza a Ca’ Foscari, sia per email che tramite colloqui, e godono dell’appoggio dei Ca’ Foscari Buddies e di ESN Venezia (Erasmus Student Network), due programmi di supporto alla mobilità che incoraggiano gli internazionali a far parte della comunità studentesca cafoscarina. Durante il corso dell’anno, si organizzano eventi ad hoc per l’accoglienza e il supporto alla mobilità internazionale (es.: Caffè in lingua, gite con ESN...). Gli studenti in uscita organizzano le loro partenze in modo autonomo e compatibilmente con le date di inizio corsi/eventi di accoglienza presso l’università ospitante.

Quali sono le mete più richieste dagli studenti? E per quali ambiti di studio?

Le mete più richieste sono il Regno Unito, la Spagna, la Francia e la Germania. Si nota un ampliamento nella scelta delle destinazioni, che include sempre più di frequente l’Est Europa. L’area disciplinare che produce maggiore mobilità studenti è l’area linguistica, a seguire l’area economica.

il viaggioSTILE LIBERO

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Quanti studenti, in media, partecipano all’anno ai progetti Erasmus?

In media ogni anno gli studenti in mobilità sono circa 350 a fronte di circa 700 candidature. Gli “Erasmus incoming” sono circa 250 per anno. La durata media della mobilità è di un semestre. Si tratta comunque di un trend in crescita.

Quali nazionalità chiedono maggiormente di venire in Italia, a Ca’ Foscari?

Gli studenti incoming a Ca’ Foscari provengono, per la maggior parte, dalla Spagna, dalla Turchia, Regno Unito e Germania.

Quali opportunità offre il progetto Erasmus?

Di principio, il programma Erasmus dà l’opportunità agli studenti di proseguire il loro percorso di studio presso un’università partner riconoscendo, al loro ritorno, le attività svolte all’estero come parte integrante della loro carriera accademica. La componente linguistica è certamente una parte importante dell’esperienza Erasmus, così come il contatto culturale con una realtà diversa da quella di provenienza. L’Erasmus aiuta a crescere in un contesto europeo e ad acquisire competenze utili di flessibilità e organizzazione per il proprio percorso personale e professionale anche a favore di una maggiore cooperazione tra le università e gli studenti.

Che requisiti servono per partecipare a un progetto di studio all’estero?

Per partecipare all’Erasmus, gli studenti di Ca’ Foscari devono risultare regolarmente iscritti ad un corso di laurea all’Università Ca’ Foscari e durante l’anno di mobilità devono essere almeno al secondo anno di corso. La conoscenza linguistica della lingua del paese ospitante, pur non essendo un requisito, è un punto a favore insieme con la motivazione. Ogni anno, il bando (in uscita a gennaio) specifica i dettagli e le scadenze.

Quali gli obiettivi prefissati nel futuro?

Per il futuro, grazie al passaggio al nuovo programma Erasmus+, si auspica una mobilità anche verso i paesi terzi e un ampliamento degli accordi in essere, per poter garantire un livello sempre più alto di una mobilità di qualità. Altri temi che sicuramente saranno importanti negli anni a venire: una sempre maggiore trasparenza nel riconoscimento delle attività svolte all’estero, un crescente coinvolgimento degli studenti internazionali nelle attività dell’università, l’incremento dei programmi di internazionalizzazione a casa per l’orientamento prima della partenze e il reinserimento al rientro dei programmi di mobilità.

I contatti per avere informazioni

Ufficio Relazioni InternazionaliSettore Mobilità Internazionale e PartenariatiUniversità Ca’ Foscari Venezia,Dorsoduro 3246 - 30123 Veneziatel.+ 390412347570/7564 email [email protected] www.facebook.com/internationalcafoscariinternet www.unive.it (sezione mobilità internazionale)

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Intervista all’ex pilota automobilistico italiano Luca Badoer

Luca Badoer, trevigiano, classe ’71. Debutta nelle competizioni motoristiche all’età di 14 anni, vincendo

due gare e classificandosi terzo nel Campionato Italiano Cadetti Kart. Dopo cinque stagioni di vittorie,

passa alle monoposto di F3 nel Campionato Italiano del 1990: nella prima stagione vince la gara di

Vallelunga e nel 1991 ne vince quattro, piazzandosi quarto su 50 concorrenti nella classifica tricolore.

Sempre in pista per passione e professione

percorsiSTILE LIBERO

“Seguivo con attenzione e passione la Formula 1 in TV assieme a mio padre già a 3 anni, prendendo da allora la ferma decisione di diventare pilota - ci racconta scherzando Luca - e così è stato, anche se ho potuto iniziare un po’ tardi rispetto alla media dei piloti perché fino ai miei 13 anni non c’erano piste vicino casa. Ma poi una volta partito è stata tutta una corsa in salita”.

Infatti, il pilota trevigiano gareggiando inizialmente nella categoria Kart diventa presto campione regionale Veneto nella classe 100cc; poi nel 1986 arriva al primo podio del campionato nazionale nella stessa categoria, ripetendosi nel 1988 nella Super-10. In F3000 vince la categoria davanti a piloti che poi ritrova anche in F1: Montermini, Coulthard, Panis e Barrichello. “Si è capito presto che fisicamente ero

IL PERSONAGGIO: LUCA BADOER

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predisposto a questo tipo di sport. E questa caratteristica mi ha permesso di andare avanti finchè alla fine non sono arrivato in Formula 1. Tra le gare più belle che ho fatto, ricordo in particolar modo quando ho vinto il campionato go kart, direi in modo quasi incredibile: per una serie di incidenti sono partito al 32° posto e, in due giri, non solo ho superato tutti ma ho tagliato per primo il traguardo! Altro ricordo indelebile: la vittoria del campionato in Formula 3000 (campionato di Formula 2), che mi ha proiettato poi in Formula Uno. E ovviamente lì nuove soddisfazioni di ogni genere: anche il sapere di aver contribuito allo sviluppo delle vetture che nei primi anni 2000 conquistavano mondiali uno di seguito all’altro”.

L’anno della definitiva consacrazione è il 1992, quando conquista nettamente il titolo intercontinentale di Formula 3000 con quattro vittorie e cinque pole position, “comunque è stata una strada difficile ed impegnativa che non mi ha permesso

di abbassare mai la guardia - ammette Luca - in questo sport c’è molta competizione: ci provano in tanti e sono tutti ben determinati! Quindi, è molto difficoltoso non solo vincere ma anche far emergere le proprie potenzialità. Ogni gara che si vince, comunque, lascia un bel ricordo e regala soddisfazioni e nuova grinta”.

Arriva presto in Formula 1, dove disputa 35 Gran Premi, debuttando nel Gran Premio del Sudafrica del 1993 al volante di una Lola-Ferrari della Scuderia Italia. In seguito, nel 1998, diventa collaudatore Ferrari, ruolo che occupa fino al 2010. Luca torna in pista nel 2009 per sostituire l’infortunato Felipe Massa alla Ferrari: ha corso a Valencia e in Belgio. “Oggi continuo ancora ad essere in Ferrari: collaudo e testo le vetture stradali, che sono l’altra anima - accanto a quella sportiva - dell’azienda di Maranello”.

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percorsi

Una competizione automobilistica è lunga e richiede molta concentrazione, Luca Badoer spiega quanto questa sia fondamentale e necessaria, “anche se è un aspetto soggettivo come lavorare per ottenerla e mantenerla. Sicuramente andando avanti nelle competizioni e nelle sfide progressivamente si impara a resistere allo stress. L’allenamento fisico, ad ogni modo, è determinante, ma come in numerosi sport. In particolar modo nell’automobilismo serve una grande preparazione atletica che permetta di governare la vettura. Indispensabili sono allenamenti specifici per rinforzare i muscoli del collo: infatti, il tratto cervicale del driver è sottoposto a sollecitazioni di tipo longitudinale (come ad esempio quando il baricentro del pilota si alza contro la forza di gravità per effetto dell’urto contro un cordolo) e soprattutto di tipo trasversale (per effetto di curve e brusche frenate). Inoltre, la massa del casco costituisce un ulteriore peso per la muscolatura del collo, la quale deve sopportare giro dopo giro stimoli dell’ordine di 3-4 G”.

Parlando di tecnica e sviluppo, poi, Badoer spiega come sia cambiato moltissimo nelle vetture a partire dal semplice volante delle monoposto: “ai miei esordi col volante ci giravi le ruote, e al massimo chiamavi ai box... Ora è un vero computer, anche tanto sofisticato per me. E poi ogni azione che compie la vettura viene registrata grazie alla telemetria che emette anche le letture stradali e che migliora la sicurezza per il pilota”.

Infine, l’ex pilota di Formula 1 ci parla dei valori che uno sport come l’automobilismo lascia, “tenacia, coraggio e tanta passione! Ai giovani che vogliono avvicinarsi a questa disciplina io posso solo suggerire di crederci nonostante tutte le difficoltà. Sicuramente oggi è ancora più difficile rispetto a quando ho iniziato io. Eppure, la volontà e la grinta permettono il raggiungimento di qualsiasi sogno. Un giovane deve individuare chiaramente e serenamente, innanzitutto, gli obiettivi che vuole raggiungere”.

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Ad iniziare alla scherma Elisa Di Francisca è il maestro Triccoli, ad affinarla sono Giulio Tomassini e Stefano Cerioni. Nel 1995 si laurea campionessa italiana “ragazze”. L’anno dopo è medaglia d’argento ai Campionati Italiani Allievi. Il cammino è promettente. Nel 2000 è seconda nei Campionati Italiani Giovani e terza in quelli Assoluti. Nel 2003 è di nuovo sul podio sia dei Campionati Italiani Giovani che Assoluti. È ora del grande salto nel fioretto che conta. Nel 2004 è quinta ai Campionati Europei. L’anno dopo conquista il quinto posto ai Mondiali di Lipsia, cui segue un settimo posto a Torino 2006. Nell’anno 2010 esplode definitivamente il suo talento. In coppa del mondo conquista un primo, due secondi e tre terzi posti. Il 28 luglio 2012 compie il suo capolavoro alle Olimpiadi di Londra. Vince la medaglia d’oro nel concorso individuale di fioretto femminile, battendo la sudcoreana Nam Hyun-hee in semifinale e la connazionale Arianna Errigo in finale (sul podio andranno tre italiane, con la Vezzali terza).

Quando ha iniziato questa disciplina?

Ho iniziato a 7 anni, accompagnata da mio padre nella celebre

scuola di scherma di Jesi del maestro Triccoli. Prima avevo fatto danza ma non era quello il mio percorso sportivo, la mia vera passione.

Perché ha scelto la scherma?

Forse perché Jesi è la culla del fioretto e ha dato i natali a tanti campioni del calibro della mia maestra Giovanna Trillini e di Valentina Vezzali. Direi che è stata una scelta naturale.

Quanto sacrificio comporta arrivare ai suoi livelli?

Come in tutti gli sport, per arrivare ai massimi livelli servono molta determinazione, sacrificio, voglia

Elisa Di Francisca: eleganza e determinazione per colpire il bersaglio

Sale presto in pedana, Elisa, e dalle prime stoccate è già promessa del fioretto jesino dietro - e

presto insieme - alla Trillini e alla Vezzali. Elegante, determinata e appassionata: questo il ritratto della

campionessa di fioretto nell’intervista rilasciata a Logyn.

DALLA PEDANA DEL FIORETTO AL MONDO

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di mettersi continuamente in discussione e soprattutto duri allenamenti.

Che tipo di allenamenti fa e con che frequenza?

Mi alleno tutti i giorni, per circa 5 ore, dal lunedì al sabato mattina, tra preparazione atletica e tiro di fioretto. Oltre all’allenamento costante, curo anche l’alimentazione e da ormai un anno seguo la dieta a zona che riesce ad assicurarmi la

giusta energia nei momenti decisivi, oltre a farmi stare in forma.

Ci racconta il momento più bello della sua carriera sportiva?

Sicuramente la vittoria dei due ori olimpici, individuale e a squadre, alle ultime Olimpiadi di Londra 2012.

Olimpiade di Londra 2012 nel fioretto femminile individuale: poteva trovarsi di fronte chiunque e invece c’era un’altra italiana. Come è stato gareggiare in finale con una connazionale?

Molto difficile, anche perché Arianna è anche un’amica oltre che una sportiva come me. In quell’occasione era la mia avversaria; la posta in gioco era troppo alta e quindi ho dovuto far affidamento completo al mio sangue freddo. La voglia di vincere era troppa. Ero andata a Londra con l’unico obiettivo di rientrare in Italia con una medaglia d’oro. Ne ho riportate due.

La sua attuale allenatrice è una ex-campionessa: vi capita di duellare ogni tanto?

In allenamento ci capita spesso di tirare insieme perché Giovanna deve correggermi alcune posizioni, provare le strategie e tenermi sempre motivata e con la guardia alta!

Quanto incide in questo sport la componente tecnologica?

Abbastanza direi, soprattutto per le gare. Conteggio dei punti e monitor con i replay sono solo due di queste componenti tecno.

Cosa direbbe a dei bambini che si avvicinano alla scherma? Che valori le ha trasmesso questo sport e può ancora trasmettere ai più giovani?

Per me la scherma è lo sport più bello del mondo e grazie anche alla sua eleganza, permette ai più giovani di riprovare sensazioni e conoscere movimenti e valori di altri tempi. Direi ai ragazzi di iniziare per gioco e di continuare cercando sempre il divertimento. È questa la chiave giusta per continuare a praticare sport negli anni e magari vincere, tenendo vive ed alte le motivazioni.

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DALLA PEDANA DEL FIORETTO AL MONDO

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DICEMBRE 2013

di Luisa Giacomini cuoca per passioneluisagiacomini.com

L’acqua di mare& l’erba voglioLa cucina a modo mio: cucina trendy, facile o un po’ elaborata, ma alla portata di tutti e di tutte le situazioni.

C’era una volta... il baccalà alla vicentina e oggi la tradizione continua con una ricetta tratta dal meglio delle versioni di due autentiche massaie e cuoche sopraffine. Ora il baccalà si veste di nuovo, si reinventa in uno sfizioso muffin salato servito come antipasto con una composta di zucca, zenzero al profumo di cardamomo.

Il baccalà usato per queste due ricette è lo stoccafisso “Gadus Morhua” Skrei, qualità Ragno, dal nome del famoso esportatore Ragnar, ed è quello che mi regala più soddisfazioni in tutte le sue innumerevoli preparazioni. Il merluzzo artico norvegese

essiccato è opportunamente pestato e rullato per abbreviare i tempi dell’ammollo da 12/15 giorni a 3 soltanto. Nel Veneto da tempi remoti chiamiamo Baccalà lo stoccafisso, creando un po’ di confusione per gli esterni, tuttavia se lo chiamassimo con il suo vero nome non ci sembrerebbero nemmeno le stesse ricette. Dello stoccafisso si acquista la parte superiore dorsale e ventresca per le preparazioni che richiedono la polpa corposa, occorrono trance intere per ricette tipo il baccalà alla vicentina o simili. La parte inferiore dorsale e la coda servono per lavorazioni sminuzzate, tipo le insalate di baccalà, baccalà mantecato o i muffin qui citati.

C’era una volta: il baccalà alla vicentina e la tradizione reinventata

• 600 g di stoccafisso Ragno ammollato, un pezzo unico • 90 g di acciughe • 150 g di farina 00 • 40 g di capperi sotto sale• ½ l di latte fresco intero • 2 cipolle bianche • 40 g di prezzemolo tritato• 30 g di Parmigiano Reggiano • 2 spicchi d’aglio • noce moscata qb. • Olio evo qb., sale qb., pepe nero al mulinello

*Il segreto delle spezie è quello di usarne in dosi piccolissime, non devono prevalere sugli altri aromi ma accompagnarli per creare assieme un aroma ed un sapore delicato, stuzzicante e molte volte originale, senza riempire il palato e le narici in modo intenso da diventare stomachevole. Cominciare con minime dosi, si fa sempre tempo ad aggiustarne il sapore; a freddo è più facile perché a caldo l’aroma è volatile e può ingannare. Tutte le spezie insolite si trovano presso erboristerie, negozi del biologico e sempre più spesso nei grandi supermercati.

Ingredienti x 4 persone

Vino da abbinare: Vespaiolo di Breganze - Monti Lessini di Durello - Tocai Rosso di Barbarano

Baccalà alla vicentina

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Ingredienti x 12 muffin circaMUFFIN

• 300 g di farina 00• 250 g di stoccafisso Ragno ammollato• 100 g yogurt bianco intero• 4 uova - 125 ml olio evo• 2 acciughe• ½ bustina di lievito per preparazioni salate• 1 rametto di rosmarino• 1 spicchio d’aglio• 1 cucchiaino di fieno greco• 1 cucchiaino raso di bicarbonato• 1 cucchiaino di zucchero • olio evo qb., sale e pepe al mulinello qb

esecuzione

cucinaSTILE LIBERO

• Lavare più volte i capperi e metterli ammollo in acqua pura. • Tagliare con una forbice le eventuali pinne del baccalà, tagliare

lungo i due bordi laterali del pezzo e, sollevando un piccolo lembo della pelle del pesce, spellare staccandola per intero; uguale procedimento sull’altro lato del baccalà. Dividere il pesce in due trance aprendolo a libro, spinare accuratamente e tagliarlo in pezzi regolari circa 4 x 7 cm. Stenderli infarinati su di un canovaccio.

• Tagliare la cipolla in pezzetti grossolani, porli in una terrina, tritare i capperi ben strizzati con le acciughe e aggiungerli alle cipolle, profumare con un pizzico di noce moscata grattugiata, una macinata di pepe e mescolare il tutto. Assaggiare per valutare il giusto equilibrio degli aromi* e salare appena se necessario.

• In una padella con un filo d’olio mettere alcune cucchiate di cipolle e alcuni pezzi di baccalà e dorare dolcemente a fuoco medio/basso, assicurandosi che le cipolle non si bruciacchino. Porre i

trancetti soffritti con la cipolla in una pirofila. Ripetere proseguendo sino al termine e infine soffriggere le due pelli intere. A lato le pelli, infilzare con uno stuzzicadenti gli spicchi d’aglio e metterli ai due angoli opposti della pirofila, facili da trovare da cotti. Coprire a filo con il latte, spruzzare di Parmigiano e prezzemolo. Coprire con carta stagnola opportunamente ben forata con una forchetta.

• Cuocere nel forno a 160 °C per 2 ore, proseguire se necessario ancora di mezz’ora per asciugare un condimento troppo liquido (eventualmente togliere la stagnola). Verificare la cottura, il baccalà deve esser tenero ma al tempo stesso saldo, non deve risultare sbriciolato perché stracotto. Sfornare, togliere le pelli e gli spicchi d’aglio, tritarli finemente sul tagliere fino a che diventino una soffice crema, distribuirla amalgamandola al sugo fra i tranci dorati del baccalà in pirofila. Servire in mono porzione all’italiana con uno specchio di polenta morbida esclusivamente bianca.

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Muffin di baccalà e composta

di zucca, zenzero

al profumo di cardamomo

MUFFIN• Tritare molto finemente 8 aghi di rosmarino con le acciughe. • Profumare l’olio con l’aglio schiacciato e quattro cimette di

rosmarino, eliminarli successivamente. • Mettere a rosolare dolcemente lo stoccafisso sbriciolato, le

acciughe e rosmarino e il fieno greco. Aggiustare di sale e pepe e portare a cottura (aggiungere poca acqua se necessita).

• In una terrina sbattere le uova con una frusta, aggiungere l’olio evo e amalgamarlo bene, poi aggiungere lo yogurt ed incorporare sbattendo. Aggiungere il baccalà intiepidito.

• Miscelare a parte la farina con il lievito, un pizzico di sale, lo zucchero e il bicarbonato.

• Versare la miscela sulle uova e baccalà e incorporarla con un mestolo, definire bene con la frusta un composto omogeneo.

• Imburrare 12 stampini per muffin e passarli con la farina, togliere l’eccesso, versare il composto fino a ¾ dello stampino. Infornare a 160 °C per 20 minuti, poi per 180°C per altri 10 minuti.

COMPOSTA• Pelare e tritare finemente lo zenzero. • Mettere la zucca tagliata a cubetti a macerare in una terrina

almeno un’ora con lo zucchero (meglio una notte), il succo di limone, lo zenzero, un pizzichino di peperoncino in polvere o tritato. Versarli in uno pentolino dal fondo pesante, aggiungere l’acqua e portare al bollore.

• Nel frattempo pestare nel mortaio o con un batticarne le bacche di cardamomo, versare in un passino, eliminare le bucce e profumare la composta, aggiungere la worchestershire sauce.

• Cuocere per circa 30 minuti, passare finemente al miniper, aggiungere acqua se necessario e portare a bollore, non deve risultare troppo densa.

• Servire il muffin accompagnato da una sagoma di composta di zucca, eseguita con uno stampino e una cimetta di rosmarino.

COMPOSTA

• 300 g di polpa di zucca• 90 g di zucchero• ½ limone • 15 g di zenzero • 3 bacche di cardamomo• 1 bicchiere di acqua• 1 cucchiaino da the di

Worcestershire sauce• peperoncino qb., sale qb.

Vino da abbinare: Lugana Superiore oppure Etna Bianco.

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informazione pubblicitaria

LenovoEMC™ e ACRONIS®: soluzioni di backup per la protezione efficiente dei dati basate sulla serie px diskless

LenovoEMC Ltd, la joint venture tra i leader di mercato Lenovo e EMC che include le attività legate ai prodotti Iomega per lo storage di rete, ha annunciato a livello mondiale una soluzione completa per il backup e il ripristno dei dati grazie ad un accordo globale con Acronis, società tra i principali fornitori di soluzioni di accesso e condivisione dei file, disaster recovery e protezione dei dati.

La serie px di soluzioni per lo storage di rete di LenovoEMC offre ora la possibilità di utilizzare i software di Acronis per il backup e il ripristino dei dati in un’unica soluzione ad alte prestazioni per la più completa protezioni dei dati aziendali.Caratteristica della soluzione è quella di sfruttare le soluzioni di storage di rete px DISKLESS che completano l’offerta affiancandosi alle versioni vendute già con dischi standard (serie px PRO) o server class (serie px SERVER CLASS) pensate per le aziende che richiedano prestazioni ulteriormente migliorate. Le soluzioni px diskless di LenovoEMC consentono l’utilizzo di dischi di terze parti previa consultazione di lista di compatibilità pubblicata sul sito del Supporto dell’azienda, permettendo così un ulteriore risparmio nell’acquisto di unità di storage di rete garantite dalla qualità LenovoEMC.Le licenze del software di Acronis fornite, ma è possibile acquistarne altre separatamente, con le soluzioni di storage

LenovoEMC permettono di effettuare un backup automatico e continuo dei dati, garantendone la protezione a livello di Nas, di Server e fino a tre client pc Windows e sono la soluzione ideale per quelle realtà aziendali che necessitino di una soluzione facilmente implementabile all’interno della propria rete.

Backup da Nas a NasSoluzione garantita dal software Backup & Recovery (ABR) di Acronis per le soluzioni NAS di LenovoEMC, si installa direttamente sul NAS LenovoEMC serie px e consente il backup dei dati su un’altra unità di storage di rete px, permettendo il backup dell’intero volume supportandone le funzionalità incrementali e programmate ed offrendo capacità di ripristino a livello di file.

Backup da Server a NasIl software di Acronis Backup & Recovery (ABR) 11.5 OEM Server permette di effettuare il backup dei dati da un server Windows e da un server Linux (2 licenze separate incluse) su un’unità di storage LenovoEMC serie px per la protezione completa del server: in caso di ripristino viene recuperata l’intera immagine del server.

Backup da PC a NasIl software Acronis True Image Lite 2013 protegge il contenuto di un PC Windows effettuandone il backup su un NAS LenovoEMC serie px, senza costi aggiuntivi: la soluzione include 3 licenze del software per la protezione di altrettanti PC.

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“Oggi più che mai, la protezione dei dati è fondamentale per le aziende”, ha dichiarato Eric Arcese, presidente e general manager di LenovoEMC Ltd. “Le aziende vogliono una soluzione economica per il backup e la protezione dei dati che offra funzionalità avanzate. In questo senso, Lenovo EMC px Acronis Backup Appliance offre un eccellente connubio tra hardware all’avanguardia e software innovativo per il backup, il tutto in una singola soluzione a elevate prestazioni che non richiede hardware aggiuntivo o altro software di terze parti. Abbiamo messo tutto ciò in un unico prodotto che crediamo sia la soluzione per il backup più affidabile e semplice da utilizzare, attualmente disponibile sul mercato”.

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Natale a misura di ambienteAlternative sostenibili per addobbare il nostro ufficio CARLA SBICEGO [email protected]

È arrivato il momento di pensare agli addobbi per le feste del nostro ufficio e in particolare all’albero di Natale. L’albero di plastica inquina, quello vero fa male alle foreste, cosa fare?Per me l’albero sostenibile è quello che abbiamo già, il caro vecchio Pino sintetico che è con noi da tanti anni. È sufficiente dargli una bella ripulita, trovare un vaso adatto all’ambiente a cui è destinato (lasciamo perdere i sostegni a treppiede e trattiamolo come una pianta vera) e poi via con gli addobbi. Una validissima alternativa è quella di utilizzare piante già esistenti in ufficio, siano queste piante d’arredo oppure che abbiamo in terrazzo. Il ficus benjamina si presta ad essere addobbato, come anche la yucca, purché siano di dimensioni adatte. Possiamo anche predisporre una gradevole composizione di piante diverse.

Se invece dobbiamo procedere ad un nuovo acquisto, sia perché il vecchio Pino è troppo spelacchiato, oppure non l’abbiamo e non ci piacciono le varie proposte di materiale riciclato o di cartone, direi di evitare l’abete di plastica e optare per una pianta vera. Il consiglio più importante è quello di acquistare la pianta presso un vivaio a km zero, per essere sicuri che provenga dalla normale attività agricola di tipo vivaistico e non da disboscamenti magari abusivi, o dall’estero. Su questo argomento ho trovato molte informazioni nel sito del Corpo Forestale dello Stato dove ci sono consigli per un successivo riutilizzo ecologicamente corretto. Prima di scegliere il tipo di pianta concentriamoci su cosa possiamo farne dopo, visto che non vogliamo che muoia ma faremo di tutto per mantenerla in buona salute. Non pensiamo di utilizzarla per rimboschimento, piantare alberi fuori delle zone naturali può creare inquinamento genetico. Il giardino e il terrazzo

vanno bene, ma dipende da dove abitiamo, per esempio gli abeti hanno bisogno di una determinata altitudine e di climi particolari; piantarli nel giardino di casa potrebbe provocare un’inutile sofferenza a queste piante già stressate da addobbi, caldo e mancanza di luce.Possiamo optare per i nostri alberi tipici, oppure per delle piante che opportunamente riparate possano poi stare in terrazzo: il ginepro o altre aghifoglie, l’alloro, il bosso, il corbezzolo, l’agrifoglio. Sono bellissimi gli agrumi.

Quale che sia la pianta prescelta, per prima cosa verifichiamo che abbia un vaso ben capiente. Collochiamola alla luce e in un posto fresco lontano da fonti di calore, al riparo da correnti d’aria. Come tutte le piante controlliamo che il terriccio sia costantemente umido ma senza ristagni. Evitiamo di addobbarla eccessivamente, di spruzzarla con neve artificiale, di appendere oggetti troppo pesanti che possono spezzare i rami.

Terminato il periodo natalizio togliamo con delicatezza gli addobbi e tagliamo con le forbici i rametti spezzati. Se si tratta di piante d’appartamento spruzziamo per bene le foglie con l’apposito spruzzino per togliere più di un mese di polvere.Se sono piante da esterno possiamo posizionarli in terrazzo oppure piantarli direttamente in giardino, ricordando che sono piante che possono crescere parecchio. Infine poniamo attenzione, nel caso di piante mediterranee, a non far loro subire bruschi sbalzi di temperatura ma facendole acclimatare gradatamente in angoli riparati finché la temperatura non diventa più mite.

Pini, ginepri, alberi di alloro, bossi, corbezzoli, e agrifogli: alberi e piante locali, da poter riutilizzare anche in seguito in modo ecologicamente corretto, sono l’ideale per creare l’atmosfera natalizia anche a lavoro!

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N. 04 - Dicembre 2013pubblicazione bimestrale

Registrazione Tribunale di Treviso n. 201 del 09/11/2012

ROC n. 22990/2012

direttore responsabileLeonardo Canal

coordinamento editorialeMita Cipriani Franco

hanno collaboratoGian Nello Piccoli, Stefano Moriggi,Giovanna Bellifemine, Stefano Biral, Stefano Bacci, Alessio Voltarel, Diego Tosato,

Stefania Pavan, Riccardo Girotto, Elena Gioco, Ruggero Paolo Ortica, Lucia Bressan, Andrea Manuel, Luciano Salvadori, Carla Sbicego, Luisa Giacomini, Sue Maurizio.

sviluppo, coordinamento editoriale e progetto grafico

claim brand industry claim.it

realizzazione graficaFranco Brunello

segreteria e sede operativaVia Newton 21, 31020 Villorba (TV), telefono 0422.628711, fax [email protected]

editoreGruppo Eurosystem Sistemarca Srl, via Newton 21, 31020 Villorba (TV)

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stampaMediagraf SpaViale della Navigazione interna 89, 35027 Noventa Padovana (PD)

Nell’eventualità in cui immagini di proprietà di terzi siano state qui riprodotte, l’Editore ne risponde agli aventi diritto che si rendano reperibili. Porrà inoltre rimedio, su segnalazione, a eventuali involontari errori e/o omissioni nei riferimenti.

n.02: L’illustrazione in copertina rappresenta l’idea imprenditoriale (lampadina) generata dall’uomo: dalla sua cultura (cervello) e dal suo profondo legame con il territorio e le tradizioni d’origine (radici).

n.03: L’illustrazione in copertina rappresenta l’innovazione tecnologica (ingranaggi) e gestionale (processi aziendali): le sfide per le aziende che cercano il successo (grafico).

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Buon Natale da tutti noi.

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