L'Odigitria a Lercara

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DANILO CARUSO L’ODIGITRIA A LERCARA

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Saggio storico di DANILO CARUSO / Palermo, settembre 2012

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DANILO CARUSO

L’ODIGITRIA

A LERCARA

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La pietra scartata dai costruttori

è divenuta testata d’angolo.

Salmo 117, 22

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L’ODIGITRIA A LERCARA Danilo Caruso

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a lastra di pietra con il graffito di Maria Odigitria (= che indica la Via, Cri-

sto) è, a Lercara, dal 1807, anno del ritrovamento da parte dell’undicenne

Oliva Baccarella, oggetto di grande venerazione.

Chi originariamente ci dà notizia stabile della scoperta di Oliva è un manoscritto

del Lercarese Marcello Furitano (1829-92), che ha attinto indubbiamente alle per

lui recenti tradizioni orali. Il racconto ci dice che l’icona è stata trovata nei pressi

del torrente degli oleandri: questa ha avuto un edotto committente e con buona

probabilità è credibile che sin dal 1734 (data della sua fattura) fosse legata a Lerca-

ra, tanto da immaginare che costui fosse in quel periodo in paese.

Conosciamo chi ha realizzato – e quando – l’immagine perché c’è scritto sopra:

Mercurio Ricotta.

A Lercara il culto di santi orientali, dopo i miei studi sulle chiese riconducibili

all’orma dei Lercari, è un fenomeno che non stupisce più. L’humus su cui si poteva

sovrapporre la devozione alla Madonna di Costantinopoli nel ’700 è questo, e il no-

stro graffito poteva stare tranquillamente in una di quelle chiese (san Gregorio

Taumaturgo, sant’Anna, san Gregorio Patriarca d’Armenia).

Niente di strano che da detti edifici, diroccati e abbandonati, qualche piccolo arre-

do sacro andasse perduto (pensiamo al salvataggio in extremis dei dipinti posti in

queste chiese): l’immagine al nostro esame sembra in più incisa su un concio di co-

struzione.

Il confronto della nostra icona con il quadro dell’Odigitria che si trova a Bari fa e-

videnziare notevoli differenze: la Madonna barese (la tela fu ridimensionata) era

seduta su un trono, la Nostra è in piedi sotto un baldacchino tenuto da quattro an-

gioletti.

La conclusione risultante è che non ci siano diretti legami né sostanziali né formali,

vale a dire che la quantomeno settecentesca ipotizzata presenza lercarese avrebbe

avuto una causa prossima situata altrove e mediatrice.

La Madonna Odigitria in altri casi è raffigurata in una pala del 1526 dipinta da

Pier Francesco Sacchi avente collocazione in una chiesa di Genova, in un quadro di

Bernardo Strozzi (1581-1644) in una di Rapallo, e in un disegno di Aurelio Lomi

fatto mentre si trovava tra la fine del ’500 e l’inizio del ’600 nel capoluogo ligure.

Lo spunto per queste rappresentazioni ha la sua sorgente nel fatto che dei monaci

basiliani furono nel 1308-1650 a Genova tenendo in principio la chiesa di san Bar-

tolomeo degli Armeni: questi erano esuli, come i Lercari, a causa dell’invasione tur-

ca dall’Armenia, regione che fu nella sfera d’influenza bizantina. La tradizione

vuole che coloro che nel 733 portarono la primigenia immagine di Maria Santissima

di Costantinopoli a Bari furono proprio dei basiliani.

Il comune modello figurativo riprodotto da Aurelio Lomi (la Vergine con il Figlio

emergenti da una cassa portata a spalla da due monaci) si è radicato nella Cristia-

L

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L’ODIGITRIA A LERCARA Danilo Caruso

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nità occidentale, particolarmente nel sud Italia, dal termine del XVI sec., ed è sta-

to più volte ripreso da Gaspare Bazzano – Zoppo di Gangi. La nostra rappresenta-

zione di Maria Santissima con in braccio Gesù Bambino sotto un baldacchino è

molto probabilmente la riproposizione del tema del corteo processionale che ve-

drebbe appunto sotto un baldacchino l’icona costantinopolitana. Questa specifici-

tà, che del resto de facto si attualizza ogni 20 agosto, è indice di un diretto legame,

anche se mediato, con la causa remota e originaria bizantina.

Il cerchio si chiude: ha centro a Costantinopoli, e la circonferenza passa da Genova

a Lercara.

I Lercari, fondatori di Lercara Friddi, famiglia genovese provenuta dall’Armenia,

sono la causa prossima che cercavamo grazie alle chiese in precedenza menzionate.

È molto verosimile che il graffito lercarese – che è del 1734 – sia stato commissio-

nato da un rettore di una di queste tre chiese nell’anno millenario (1733) dall’arrivo

in Puglia del ritratto che si attribuiva all’evangelista san Luca. Non escludo che

questo graffito potesse riprodurre la scena di un dipinto coevo all’epoca dei Lercari:

di tre tele lercaresi dello Zoppo di Gangi, oggi non più esistenti, ignoriamo i sogget-

ti.

Nell’archivio parrocchiale di Lercara non esistono memorie che parlano di Oliva

Baccarella e di quel 1807 – si dice che ve ne fosse stata una (scomparsa) sulla bene-

dizione delle campane della chiesa della Madonna di Costantinopoli –, comunque

questo archivio è stato ugualmente utile.

Un altro versante delle mie ricerche ha ricostruito lo schema genealogico dei Bac-

carella a ritroso da Oliva al loro arrivo a Lercara nel ’600, il paese da cui sono ve-

nuti è Prizzi: capostipiti locali Cosimo (n. 1626) e Francesca.

Oliva Natala Felicia Baccarella fu battezzata il 18/10/1795 da Don Nicola Franzi-

no, padrini Filippo e Felicia Caltabellotta, e cresimata durante le confermazioni

che furono amministrate il 2/3 maggio 1809; da quest’ultimo momento si perdono

le sue notizie: non morì a Lercara Friddi.

È da notare la presenza in paese di un Don Stefano Baccarella (n. 1661, non era di

Lercara – m. 7/6/1746, sepolto nel Duomo), ignoro se fosse un loro parente.

Le chiese a Lercara scomparse nel tempo sono quattro: 1) san Gregorio patriarca

d’Armenia (edificata da Leonello Lercaro tra il 1573 e il 1580), 2) Madonna del Ro-

sario (edificata da Baldassare Gomez de Amezcua tra il 1595 e il 1604), 3)

sant’Anna (edificata da Francesca Lercaro tra il 1605 e il 1610), 4) san Gregorio

Taumaturgo (edificata da Raffaella Lercaro de Amezcua tra il 1627 e il 1640) / san

Nicolò (comparsa tra il 1740 e il 1747) / san Gregorio Taumaturgo “lo Novo” (com-

parsa prima del 1811).

La cronaca dell’abbandono della Chiesa del Rosario è nota poiché risale al Nove-

cento, e anche quella relativa a san Gregorio “lo Novo” che una frana colpì nel

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1850. Perché san Gregorio di Via dei martiri e sant’Anna si fossero perse, al di là

del fatto di essere state centri di due modelli di sviluppo urbano diversi e passati

che furono accantonati con la signoria degli Scammacca (sorte urbanistica che toc-

cò pure alla Chiesa del Rosario), non mi era molto chiaro: si trattava pur sempre di

edifici di culto attivi nel ’600 e nel ’700, e se ci aggiungiamo la prima fase di san

Gregorio Taumaturgo constatiamo un segnale di crescita e un tentativo di diffusio-

ne della spiritualità cristiano-orientale. Mi pare possibile ritenere verosimile l’ipote-

si che queste tre chiese, ricondotte dalle mie analisi all’impronta dei Lercari (porta-

tori di questo tipo di religiosità), potessero essere probabilmente cattoliche di rito

greco (e non latino). È lecito pensare che i Lercari fossero di rito bizantino(-

armeno?) dato che Francesca Lercaro sposò il barone de Amezcua secondo tale

formula: quest’aspetto apparentemente accidentale è, sotto questo profilo, molto

significativo perché ci suggerisce quella che doveva essere una loro tradizione fami-

liare, che, dopo il mio studio sulla loro famiglia (dalle origini armene alla fondazio-

ne di Lercara Friddi), è apparsa per più versi legata alla Cristianità d’oriente. Pos-

sono dunque esserci state a Lercara tre chiese di rito greco (senza che la cosa possa

stupire), il cui abbandono forse indicherebbe latentemente nella loro specificità ri-

tuale la causa del fenomeno.

Non si pensi che queste tre chiese in questione si siano disintegrate tutte rapida-

mente nel ’700 lasciando solo ruderi poi rimossi nei secoli successivi: se questo può

apparentemente valere per san Gregorio patriarca d’Armenia e sant’Anna – prose-

guendo sulla base dell’intuizione della possibile presenza del rito bizantino a Lerca-

ra sin dalle sue origini – lo stesso non può dirsi della Chiesa di san Gregorio Tauma-

turgo. Questa ebbe tre fasi e la seconda iniziata tra il 1740 e il 1747 contempla un

patronato di san Nicolò (o Nicola) di Mira (comunemente inteso di Bari). San Nico-

la non sembra spuntare a caso: questo santo visse in Licia nella prima metà del IV

secolo; dal 1087 le sue reliquie si trovano a Bari (ne è patrono); fu venerato come

un grande taumaturgo; si racconta che al Concilio di Nicea del 325 avesse schiaf-

feggiato Ario (nel quadro più antico a Lercara, il “san Gregorio patriarca d’Arme-

nia”, oggi nella Chiesa di san Matteo, c’è scritto un pensiero di san Basilio Magno

contro l’arianesimo). Non c’è contrasto con san Gregorio Taumaturgo, appare una

continuità nel genere di spiritualità. Questa, a mio avviso, è anche il sostrato per

l’inserimento nel nostro contesto dell’icona riproducente la Madonna di Costanti-

nopoli. Non sembra così comparire inspiegabilmente, e niente ci impedirebbe di

pensare a forme devozionali pregresse: volendo utilizzare dei concetti del beato

Giovanni Duns Scoto si direbbe che a Lercara le presenze del presunto rito greco

(che si sarebbe accompagnato a quello latino delle altre chiese locali) e di una evi-

dente religiosità cristiano-orientale sono la quidditas da postulare da cui si potesse

puntualizzare la haecceitas dell’immagine all’Odigitria.

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La superficie di questa lastra di pietra si presenta scabra e non levigata, addirittura

all’incirca nella sua metà orizzontale un leggero solco l’attraversa. Il graffito è im-

percettibile (escludendo la scritta): questo spiega il perché della sovrapposizione di

una pittura. Le dimensioni di altezza e larghezza di questa pietra sono abbastanza

consistenti. I bordi sono irregolari se si fa eccezione per quelli di destra e di sinistra:

l’immagine è inquadrata in questo spazio (la lastra così, com’è, è stata probabil-

mente ricavata prima del graffito: la circoscrizione di questo bordo non ortogonale

non lo intacca perché evidentemente è anteriore). L’inquadramento dell’icona in un

rettangolo poteva consentire la presentazione di un’immagine dal contorno ortogo-

nale con l’apposizione di una cornice (cosa effettivamente realizzata dopo il suo ri-

trovamento del 1807, quindi è lecito pensarlo praticamente possibile anche dal

1734). Il 3 di questo 1734 scolpito nella sua parte inferiore non fuoriesce dall’inqua-

dratura ed è graficamente un po’ incompleto nella parte bassa pur – a pietra sco-

perta – essendoci largo: è come se Mercurio Ricotta avesse graffito l’icona già in-

corniciata nel suo spazio. Poteva essere un concio non destinato originariamente a

tale destinazione di supporto artistico, ma visibile nella sua apparenza ortogonale

in una nicchia di chiesa. Per un graffito ci voleva una superficie levigata e liscia,

però se una nicchia presentava quella descritta non c’era niente da fare: chi l’ha

fatto scolpire avrebbe voluto poter arricchire una chiesa. L’icona reca la scritta del

titolo della Madonna in volgare per rendere comprensibile l’immagine come in un

altare per i fedeli. Il fatto che ci siano abbreviazioni in tutte le scritte testimonia

l’obbligo di ricavare l’icona su quella pietra e in determinati spazi (prassi tipica di

un lavoro su commissione): in più c’è persino una correzione, prima del nome Mer-

curio, un buco di cancellatura molto vistoso che probabilmente ne provocò l’abbre-

viazione. Il graffito in origine doveva presumibilmente essere stato un lavoro molto

raffinato, e di una certa fragilità; la quale negli anni, dopo la sua possibile perdita

dal patrimonio della chiesa in cui si poteva trovare – essendo questo esposto

all’incuria –, causò un processo di progressivo deterioramento che richiese successi-

vamente il restauro creativo di Giacomo Marchiolo.

Partendo dal principio che a Lercara nel ’700 il concetto dell’Odigitria fosse troppo

raffinato per essere stato espresso da un popolano, ho ritenuto nella ricerca del pos-

sibile committente dell’icona che costui fosse strettamente legato alla religione, e

procedendo alla circoscrizione dei possibili soggetti che si siano potuti rendere pro-

tagonisti di ciò ho individuato 1) una famiglia e 2) un religioso.

1) Gli IMBORDINO, un gruppo familiare molto diffuso a Piana degli Albanesi,

presenti a Lercara tra l’inizio del ’600 e il ’700, furono una famiglia da cui nacquero

un sacerdote ROSARIO GIOACCHINO (Lercara, 27-9-1695 / altrove, 29-7-1768) e

una suora COSTANZA ELISABETTA (Lercara, 26-10-1699 / 30-11-1771): il padre

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DOMENICO (di Bartolomeo, nato a Lercara nel 1633, e Costanza) aveva qui spo-

sato il 7-9-1694 Maria Nuccio (n. 1667, di Antonio ed Elisabetta) proveniente da

Ciminna. Per quanto attiene a quella parte della loro onomastica orientaleggiante,

ai nomi Bartolomeo e Gioacchino, non mi sembra fuor di luogo pensare che essa

mostri apparenti significativi riflessi che si legano al mio discorso, se poniamo at-

tenzione al fatto che colui (di cognome “Bollaro”) che fu padrino di battessimo di

ROSARIO GIOACCHINO IMBORDINO (con la madre di lui) avesse un nome

slavo (“Casimiro”) di tradizione cattolica: san Bartolomeo fu martirizzato in Ar-

menia; san Gioacchino era il marito di sant’Anna, ed entrambi erano i genitori del-

la Madonna. Mi hanno spinto maggiormente a legare le mie successive analisi alla

storia di Piana degli Albanesi (la cui comunità dalle sue origini è stata di rito gre-

co):

α) l’aver lì rinvenuto le chiese della Madonna Odigitria (patronale, è del 1644) e di

san Nicolò o Nicola di Mira;

β) l’aver qua a Lercara rintracciato oltre agli Imbordino la presenza di altre fami-

glie originarie di Piana. Questa colonia formatasi a Lercara credibilmente poté es-

sere attratta in modo determinante dalla quidditas di cui ho già parlato, conditio

sine qua non è facilmente giustificabile. La reviviscenza bizantina testimoniata dal-

la fase di san Nicolò porterebbe a queste famiglie e a eventuali altri pertinenti sog-

getti (cattolici di rito greco, emigrati da paesi dell’odierna diocesi greco-cattolica in

Sicilia e loro discendenti).

Gli Albanesi erano stati profughi a partire dal ’400 in seguito all’invasione della

propria patria da parte dei Turchi Ottomani e si erano stabiliti nelle seguenti colo-

nie (in cui eressero, tra l’altro, chiese dedicate a san Nicolò di Mira e monasteri

d’osservanza basiliana): Piana dei Greci, Contessa Entellina, Mezzojuso, Palazzo

Adriano, Santa Cristina Gela nell’attuale provincia di Palermo, e San Michele di

Ganzaria in quella di Catania.

Ho ricercato l’onomastica delle famiglie appartenenti ai gruppi greco-albanesi in

Sicilia e ho condotto un raffronto con quella della popolazione lercarese tra la fine

del ’600 e la prima metà del ’700 per mezzo dei cataloghi contenuti in a) Nicolò

Sangiorgio / I cognomi a Lercara Friddi – dal 1685 al 1716 desunti dal registro dei

matrimoni della Parrocchia “Maria SS. della Neve” / Palermo 2006 e per mezzo delle

dichiarazioni di proprietà e redditi dei Lercaresi nel 1747 riportati in b) Giuseppe

Mavaro / Lercara «città nuova» / Palermo 1984.

Le conclusioni emerse da questo raffronto da me operato dimostrano una più che

probabile immigrazione da quasi tutte le colonie albanesi, le quali seguivano tradi-

zionalmente il patrio rito greco. Per cui l’idea di tale rito a Lercara, nata come in-

tuizione, si riveste di una forma maggiormente sostanziale.

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Nella prima metà del ’700 il 7% circa dei Lercaresi (dai riveli del 1747: 118 unità,

41 famiglie) poteva essere di rito bizantino.

Lercara 1685

1716 1747

Contessa

Entellina Mezzojuso

Palazzo

Adriano

Piana

dei

Greci

Santa

Cristina

Gela

BRANCATO X X X

CUCCIA X X X X X X

DOLCE X X X

FERRARA X X X

GUZZETTA X X X X

IMBORDINO X X X

MACALUSO X X X X

NICOLOSI X X

PETTA X X X

2) Il sacerdote GIUSEPPE BADALATO (1702 / Lercara, 10-9-1789) fu rettore del-

la chiesa di san Nicolò a Lercara. Il suo cognome potrebbe essere d’origine greca:

Βαδουλάτον. Non so se anche lui possa essere riconducibile a Piana degli Albanesi,

tuttavia sembra inseribile in questo particolare contesto di religiosità orientale.

L’icona della Madonna di Costantinopoli: per chi, perché (il tema della causa fina-

le)? I precedenti punti 1) e 2) a questo punto della mia analisi disegnano l’identikit

del potenziale committente che andavo cercando nelle persone dei sacerdoti Rosa-

rio Imbordino e Giuseppe Badalato, cioè di coloro che avessero più degli altri, se-

condo me, i requisiti richiesti per operare quell’atto:

α′) essere un religioso (un sacerdote più che una suora, l’avere a che fare con Mercu-

rio Ricotta non le si addice dato il suo stato),

β′) piuttosto che un laico (se c’è in un gruppo un sacerdote, per una simile faccenda,

costui ha un primato pratico d’autorità e competenza),

γ′) portatore di caratteri religiosi cristiano-orientali (stando alle informazioni: Rosario

Imbordino avrebbe un canale preferenziale con Piana degli Albanesi e Giuseppe

Badalato la reggenza della locale Chiesa di san Nicolò),

δ′) presente con altri di omogeneo sentire da rendere fruitori dell’icona: il senso della

commissione, a prescindere da una precisa individuazione dell’autore, starebbe nel-

la fruizione dell’immagine, fruizione come momento di richiamo religioso ma anche

come strumento d’identificazione culturale dei membri di un insieme, il che rende-

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rebbe pure comprensibile la comparsa di quest’opera d’arte sacra nel 1734 a Lerca-

ra Friddi.

L’esserci specificato chiaramente il non per noi comune titolo della Madonna che è

raffigurata in questo graffito mostrerebbe queste funzioni semiotiche accanto alla

rievocazione che questo disegno farebbe dell’idea di una processione a Costantino-

poli sotto un baldacchino della tela dell’Odigitria oggi barese. Giuseppe Badalato

risulta presente a Lercara quantomeno dal 1727, Rosario Imbordino invece lasciò il

paese in una data imprecisata.

L’idea di legare la lastra col graffito della Madonna di Costantinopoli all’ambito

culturale siculo-albanese era stata avanzata anni addietro dallo storico locale Ro-

sario Sceusa: vedasi il suo interessante studio pubblicato sul bollettino di Carta-

stampata n. u. set.-ott. 1997 dal titolo “La comunità lercarese custode di una anti-

chissima tradizione” in cui affermava che «è da ritenere […] che l’immagine sia

giunta a Lercara col bagaglio di qualcuno dei componenti le famiglie greco-albanesi

dei Petta, Cuccia e Guzzetta. A tal proposito è da ricordare che la bella chiesa di

Piana degli Albanesi dedicata a Santa Maria Hodigitria […] è stata interamente

edificata per la munificenza dei coniugi Lorenzo e Paolina Petta».

Queste parole contenevano meritevolmente la rilevazione di due notevoli aspetti di

questa storia (ossia l’insediamento di famiglie d’origine albanese a Lercara e il loro

legame con l’Odigitria).

Dal canto mio ho condotto l’indagine diversamente partendo temporalmente da

lontano e da un’altra angolazione: dai Lercari (di provenienza armena) fondatori

del paese e di tre chiese, per giungere da quest’altra via alla postulazione

dell’esistenza in loco del rito bizantino, il quale giustificava in quest’ottica la mia

posteriore constatazione – che non era nuova, ma come visto già nota – dell’immi-

grazione di discendenti dei Greco-albanesi di Sicilia a Lercara. Io sono partito dal

concetto di un committente locale dell’immagine (non da un suo ingresso materiale

da fuori del paese come portato immigratorio) e dall’interno sono andato verso

l’esterno ampliando il campo d’analisi.

In occasione di dialogo col dott. Sceusa sull’argomento costui fu poi molto cortese

nell’informarmi della presenza a Lercara a inizio ’800 di un papas cattolico: Giu-

seppe Cuccia, suocero di Baldassare Massaro (n. 1790, di Filippo e Anna Mavaro).

Da questo preziosissimo spunto allora trovai un ulteriore elemento per rafforzare il

mio postulato sul fatto che fossero esistite in paese chiese greco-cattoliche.

Intrapresi dunque una nuova fase investigativa, e scoprii su questo papas Giuseppe

Cuccia che:

1) era di Mezzojuso;

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2) non era inserito nel locale sillabo ufficiale dei sacerdoti a o di Lercara (forse per-

ché questo sillabo riguardava quelli di rito latino);

3) fu maestro di scuola a Lercara dal 1781 a una data imprecisata (sino al 1785 è

accertato): si può ipotizzare che fosse venuto a Lercara per la chiesa di san Nicolò e

che lasciasse il paese in seguito alla di essa distruzione;

4) fu parroco a La Valletta nel 1789-96: nell’anno d’inizio di questo periodo il 10

settembre 1789 a Lercara morì il sacerdote Giuseppe Badalato (rettore di san Nico-

lò);

5) era presente nelle dichiarazioni dei redditi di Lercaresi nel 1811: forse ritornò a

Lercara in seguito alla comparsa della chiesa di san Gregorio Taumaturgo (“lo no-

vo”);

6) dopo la morte dell’arciprete Stefano Lorenzo Petta, avvenuta il 6 gennaio 1820,

ritornò a fare il parroco a La Valletta nel periodo 1820-21.

Proseguendo nella personale ricerca mi chiedevo quali fattori avessero potuto gene-

rare l’ultimo periodo della Chiesa di san Gregorio Taumaturgo (“lo Novo”: già at-

testata nel 1811), dopo il patronato di san Nicolò, sempre nello stesso analogo ver-

sante di spiritualità cristiano-orientale.

Quest’ultima fase – come suggerirebbe Baruch Spinoza – esige in quanto effetto

una causa omogenea, cioè ancora una volta un gruppo religioso in linea con queste

particolari radici di Lercara (piantate dai fondatori e da cui non si può prescindere

come condizione generale) e di stampo e tradizione più o meno albanesi.

È possibile che il papas Cuccia potesse essere preposto a san Gregorio Taumaturgo

“lo Novo” ultimo retaggio del rito greco? Non sembra un’ipotesi assurda (questa

chiesa andò in rovina nel 1850 a causa di una frana). Quello che si nota è che a ca-

vallo tra ’700 e ’800 si fosse cercato di sostenere quella religiosità cattolica di stam-

po orientale che Lercara portava da sempre con sé.

Ricercando ancora oltre nel passato ho ricostruito una particolare topografia gene-

alogica comparata che spazia ab 1734 (anno di realizzazione dell’icona da parte di

Mercurio Ricotta) ad 1807 (anno del rinvenimento da parte di Oliva Baccarella): ho

notato che Oliva è in qualche modo legata a un ordito di cui è componente il papas

Cuccia, il cui genero Baldassare Giuseppe Ireneo è certo che nel 1831 abitasse nella

zona dell’odierno “quartiere di Costantinopoli” (lo stesso di Oliva, e dove oggi c’è la

chiesa che custodisce l’icona).

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Nel 1727 a) Filippo Massaro sposò b)

Innocenza Cippo, figlia di Anna Cippo

benestante (uno dei testimoni di nozze

fu Pietro Zizzo n. 1680, un altro bene-

stante: un suo matrimonio ebbe come

testimoni nel 1749 i coetanei sacerdoti

1) Pietro Mavaro e Ferdinando Lo

Boi).

Nel 1745 un figlio Pietro Domenico

Massaro (1728-79) sposò 2) Giovanna

figlia di c) Francesco Zizzo e Rosalia

Castelli (sorella di Don Leonardo fon-

datore della chiesa della Madonna

dell’Aiuto), uno dei testimoni di nozze

fu un Petta.

Nel 1781 un figlio Filippo Massaro

(m. 1794), più volte amministratore

comunale dal 1781 al 1794, sposò, nel-

la chiesa della Madonna dell’Aiuto,

Anna Maria Concetta (n. 1758) di d)

Baldassare Mavaro (n. 1719) ed e)

Giovanna (uno dei testimoni di nozze

fu Gioacchino Caltabellotta coniugato

con Palma Lo Boi di Giuseppe e Bar-

bara); d) era fratello del sacerdote 1)

Pietro Mavaro (1705-85); d) ed e) fu-

rono padrini di battesimo del sac.

Francesco Paolo Orlando (1761-1824;

di Giovanni cugino di 2)), cugino del

sac. Nicolò Petta (1735-1802; vicario

foraneo e terzo beneficiale della chiesa

della Madonna dell’Aiuto).

[Nel contesto delle vicende della no-

mina di un beneficiale nella chiesa

della Madonna dell’Aiuto si noterebbe

un confronto tra due gruppi: Zizzo-

Massaro-Petta e gli Orlando.]

Nel 1724 Cosimo Baccarella (n. 1707)

sposò a Lercara Anna Vallone (1703-

80), uno dei testimoni di nozze fu c).

Un figlio Carlo Giovanni Baccarella

(n. 1727) ebbe come padrini di batte-

simo a) e b).

Stefano Baccarella (1753-1833).

Un fratello di Stefano – Innocenzo –

sposò nel 1774 Santa Lo Boi1, figlia

di Pietro (n. 1729) e Domenica.

Oliva Baccarella (n. 1795), battezzata

dal commerciante Filippo Caltabel-

lotta1 e dalla moglie Felicia.

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L’ODIGITRIA A LERCARA Danilo Caruso

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Intorno al 1814 un figlio Baldassare

Giuseppe Ireneo Massaro (n. 1790)

sposò col rito greco Santa Cuccia

(1782-1828) figlia del papas Giuseppe

Cuccia; costei venne sepolta nella

chiesa di san Giuseppe, dove c’è un

altare con statua, di tonalità cromati-

che orientaleggianti, di san Nicolò di

Mira (o di Bari che dir si voglia) offer-

ta dal sac. Salvatore D’Anna (1718-

68): san Nicolò era un equivalente, nel

rito greco-cattolico, di san Giuseppe,

in quello latino.

nota 1 I Lo Boi e i Caltabellotta di attinen-

za coi Baccarella non hanno comu-

nanza cogli altri omonimi gruppi

menzionati: i primi in questione sono

originari di Prizzi e non di Vicari co-

me gli altri, i secondi perché meno

abbienti.

Leggiamo e analizziamo criticamente dal manoscritto di Marcello Furitano (1829-

92) il testo che la riguarda.

«L’anno 1807 una cittadina di nome Oliva Baccarella portatasi a fare il proprio bu-

cato nel burrone, detto delli Landri, rinvenne una pietra a forma di lastra con graf-

fita l’effigie di Maria SS.ma sotto un baldacchino, sorretto da quattro angeli e re-

cante la scritta: “la Mad.na di Costantinopoli – Mercurio Ricotta – 1734”. La Bac-

carella piena di giubilo trasportò quella pietra in Lercara ed invogliò i suoi conter-

ranei a festeggiare quella solennità. Fu quindi stabilita una festa popolare religiosa

pel 20 agosto d’ogni anno, dedicandola a Maria SS.ma sotto il titolo di Costantino-

poli. Era in quei tempi una festa di ragazzi e femminucce del quartiere, ma nel 1840

una deputazione di villici iniziò la fabbrica d’una piccola chiesa per il culto di quel-

la solennità, che poi, con l’andar del tempo, venne ingrandita e d’allora la festa

cominciò a celebrarsi con grande pompa e decoro da divenire la principale del paese

[…]. [da “G. Canale / Lercara Friddi / 1965” pagg. 51-52]»

Il racconto del Furitano fa intendere che Oliva Baccarella fosse sola fuori del paese

al momento del ritrovamento (perché non parla di altri) e che l’icona fosse stata

trovata sull’asciutto nei pressi del torrente degli oleandri (non specifica una prove-

nienza dall’acqua). Che fosse sola, nell’ottica di questa narrazione, mi pare evidente

allorquando si dice che ella, non con altri (di cui appunto il Furitano non parla),

abbia portato l’immagine in paese; però qui questa versione diventa un po’ incom-

prensibile:

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L’ODIGITRIA A LERCARA Danilo Caruso

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1) l’estrazione della lastra graffita (e poi a fine ’800 dipinta) nell’estate del 2007 –

durante il restauro della chiesa – dal muro in cui era infissa mi ha consentito di ve-

dere che aveva uno spessore di circa cinque centimetri, il che farebbe stimare il suo

peso su una trentina di chili: l’undicenne Oliva era in grado di compiere con le sue

singole capacità fisiche questa operazione di trasporto per giunta in un percorso

non indifferente?

2) Poi il racconto attribuisce a lei una capacità di comprensione superiore alla me-

dia: sapeva leggere e si è resa veramente conto del significato dell’immagine religio-

sa, come è narrato, tanto da coinvolgere degli altri? (E anche una curiosità: tra i

ragazzi della primigenia festa di quartiere c’era pure Baldassare Massaro, futuro

genero del papas Cuccia e residente in quel quartiere nel 1831?)

Se la chiesa della Madonna di Costantinopoli sorse trentatré anni dopo il rinveni-

mento dell’effigie a opera di semplici cittadini ciò dimostra un atteggiamento di

qualche cautela del clero locale di fronte all’evento: se fosse sorta sotto l’arcipretu-

ra (1788-1820) di Don Stefano Lorenzo Petta si sarebbe potuto pensare a una sua

regia in tutta la faccenda del presunto miracolo, ma questo è nettamente smentito

dagli stessi fatti.

Nel 1807 non ci sono stati inoltre immediati vantaggi economici provocati dal ri-

trovamento, e ciò ci fa escludere qualsiasi ipotesi di una losca regia di opportunisti.

Perché dunque rinvenire l’immagine dell’Odigitria quoquo modo se non allo scopo di

salvaguardare e promuovere la spiritualità religiosa?

Non ci sono ragionevoli motivazioni per scartare l’ipotesi del miracolo: questo stu-

dio è stato elaborato anche per offrire il più lucido quadro storico a una inchiesta

ecclesiastica che unica può risolvere la quaestio de supernaturalitate nel rinvenimen-

to del giovedì 20 agosto 1807 (il martirologio ricorda san Zaccheo); sin quando non

ci sarà una sentenza del genere la tradizione popolare che parla di miracolo va ri-

spettata e curata.

Dopo l’evento del 1807 una nicchia con l’icona dell’Odigitria ritrovata venne im-

piantata sul punto in cui poi sarà costruita la chiesa dedicata a Maria Santissima di

Costantinopoli; se quest’area di periferia non era ricadente all’interno di un terreno

di pertinenza del Massaro citato vi si trovava a ridosso: la vecchia via Giardino

Massaro rievoca il fatto che questa famiglia fosse in quella zona proprietaria di

immobili.

Quello spazio allora era extraurbano e non circondato da abitazioni, tant’è che la

chiesa per un breve periodo non ebbe addossate delle case fin quando l’espansione

urbanistica non la raggiunse nella metà dell’Ottocento.

Si tramanda che quella nicchia fosse stata posta nelle vicinanze della residenza di

Oliva Baccarella, ma perché a centinaia di metri di distanza dal centro abitato?

Le ipotesi possono essere diverse.

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L’ODIGITRIA A LERCARA Danilo Caruso

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Ma volgiamo l’attenzione su un quadro esposto nella sacrestia del Duomo di Lerca-

ra Friddi rappresentante la Madonna del Rosario con i santi Domenico e Caterina.

L’opera, di metà Ottocento, era di proprietà della famiglia Giordano (che risiedeva

nel “rione di Costantinopoli”) e successivamente fu messa nella chiesa della Ma-

donna di Costantinopoli (quindi – come detto – è stata trasferita nella Matrice).

In questa tela si nota in basso al centro una sezione che circoscrive una immagine

allusiva; ci sono: una chiesa raffigurata in assonometria, un sacerdote rivolto verso

un campagnolo e tre bestie.

Questo insieme rinvierebbe alla festività autunnale lercarese della “Madonna delle

mezze sementi”, la cosa che colpisce particolarmente è che la chiesa dipinta po-

trebbe rappresentare con qualche variante quella di Maria Santissima di Costanti-

nopoli, subito dopo la sua erezione, non circondata da case.

Di questa chiesa si tramanda che il campanile fosse stato costruito in un secondo

momento e che vi fosse una memoria dell’epoca (smarrita) sulla cerimonia di bene-

dizione della campana.

Tuttavia è possibile ricostruirne i passaggi liturgici stando alle norme prescrittive

in materia.

L’avvenimento dovrebbe essersi svolto intorno al 1850 sotto l’arcipretura (1824-53)

di Don Gaspare Giglio.

Il rito della benedizione si svolse verosimilmente all’interno della chiesa poiché il

cerimoniale consigliava un luogo appartato e chiuso.

La campana forse pendeva da un sostegno al vertice di tre pali di legno congiunti a

mo’ di spigoli di piramide terminanti a terra su una base triangolare, in modo che

la sua cavità interiore fosse raggiungibile.

Forse qualche serto floreale o di fogliame la ornava.

Non si può dire se ci siano stati dei padrini – come nel battesimo – i quali peraltro

questa liturgia non prevede.

Iniziata la cerimonia l’arciprete di Lercara recitò i sette salmi previsti conclusi o-

gnuno dal “Gloria Patri”: 1) MISERERE (per il pentimento); 2) DEUS, IN NO-

MINE TUO (per la riconoscenza); 3) MISERERE MEI DEUS, MISERERE (per

la richiesta d’aiuto); 4) DEUS MISEREATUR (per l’accoglimento della Grazia); 5)

DEUS IN ADJUTORIUM (per la richiesta di sostegno); 6) INCLINA DOMINE

(per l’elogio della solerzia nell’adorazione); 7) DE PROFUNDIS (per la purifica-

zione delle anime purganti).

Durante una speciale preghiera benedisse la campana.

Dopo aver benedetto inoltre il turibolo con l’incenso seguirono due fasi accompa-

gnate dal canto: l’aspersione con l’acqua santa e l’incensatura, il tutto muovendosi

attorno alla campana.

Alla fine dopo un’altra speciale preghiera le impose un segno di croce.

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Icona

della Madonna

di Costantinopoli

Particolare del dipinto

Madonna del Rosario con

i santi Domenico e Cateri-

na

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Palermo

settembre 2012