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- 8 - - Lo studio della struttura delle proteine mediante metodi computazionali - Lo scopo della Bioinformatica e della Biologia Computazionale è quello di offrire strumenti e metodologie capaci di gestire ed analizzare la grande quantità di informazioni prodotte nel campo della ricerca biologica, determinata soprattutto dall‟enorme produzione di sequenze di acidi nucleici e di proteine, che è il risultato degli studi relativi alle due discipline “omiche”, genomica e proteomica. L‟obiettivo dell‟era post-genomica è quello di comprendere i meccanismi molecolari che determinano l‟attività biologica di tutte le proteine codificate da ciascun genoma sequenziato. Per poter raggiungere questo obiettivo, gli strumenti computazionali e bioinformatici sono di grande aiuto, anche se essi devono essere considerati naturalmente complementari e non alternativi alle normali tecniche sperimentali. Questi strumenti sono, infatti, utili per comprendere come le proteine si ripiegano nelle strutture native (“protein folding”), per predire la struttura tridimensionale di una proteina, in modo veloce ed accurato, dalla sola conoscenza della sua sequenza amminoacidica, e per formulare ipotesi sull‟attività biologica della proteina in esame. Tuttavia, è ovviamente da ricordare che qualunque applicazione pratica di quanto ipotizzato può essere realizzata solo mediante ulteriori studi di tipo sperimentale.

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- Lo studio della struttura delle proteine

mediante metodi computazionali -

Lo scopo della Bioinformatica e della Biologia Computazionale è quello di offrire

strumenti e metodologie capaci di gestire ed analizzare la grande quantità di

informazioni prodotte nel campo della ricerca biologica, determinata soprattutto

dall‟enorme produzione di sequenze di acidi nucleici e di proteine, che è il risultato

degli studi relativi alle due discipline “omiche”, genomica e proteomica.

L‟obiettivo dell‟era post-genomica è quello di comprendere i meccanismi molecolari

che determinano l‟attività biologica di tutte le proteine codificate da ciascun genoma

sequenziato.

Per poter raggiungere questo obiettivo, gli strumenti computazionali e bioinformatici

sono di grande aiuto, anche se essi devono essere considerati naturalmente

complementari e non alternativi alle normali tecniche sperimentali. Questi strumenti

sono, infatti, utili per comprendere come le proteine si ripiegano nelle strutture native

(“protein folding”), per predire la struttura tridimensionale di una proteina, in modo

veloce ed accurato, dalla sola conoscenza della sua sequenza amminoacidica, e per

formulare ipotesi sull‟attività biologica della proteina in esame. Tuttavia, è ovviamente

da ricordare che qualunque applicazione pratica di quanto ipotizzato può essere

realizzata solo mediante ulteriori studi di tipo sperimentale.

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1.1 Protein folding

Le proteine svolgono nelle cellule degli organismi viventi un gran numero di funzioni

che vanno dal semplice trasporto e immagazzinamento di piccole molecole e ioni a ruoli

più complessi quali i processi enzimatici che sono necessari per la vita. Queste

macromolecole sono costituite da venti tipi diversi di amminoacidi, legati in

successione mediante il legame peptidico. Le diverse possibili sequenze di amminoacidi

determinano strutture diverse dal punto di vista sia della struttura covalente sia della

conformazione assunta nello spazio dalla proteina. Ed è proprio la struttura 3D di una

proteina che determina la sua funzione.

In realtà, non è realistico ipotizzare una semplice assegnazione sequenza->struttura, dal

momento che sono conosciute molte proteine che, pur avendo un valore di omologia di

sequenza molto basso, hanno strutture tridimensionali molto simili. Il numero di

conformazioni strutturali (struttura tridimensionale di una proteina o fold), osservate

finora, è minore di 700, anche perché queste derivano dalla combinazione di un piccolo

numero di elementi semplici quali i due elementi principali di struttura secondaria

presenti nelle proteine, eliche e foglietti .

Il meccanismo di avvolgimento della catena polipeptidica (folding), mediante il quale

una proteina assume in condizioni fisiologiche la sua struttura tridimensionale

funzionalmente attiva, rappresenta il passaggio conclusivo del trasferimento

dell‟informazione genetica dal DNA al suo prodotto finale (proteina attiva). La

comprensione dei meccanismi, attraverso cui una catena polipeptidica giunge alla sua

struttura tridimensionale attiva, affascina gli studiosi da vari decenni. Nel 1931, quando

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non era noto niente riguardo la sequenza e la struttura tridimensionale delle proteine,

Wu [Wu, 1931] ha analizzato il processo di denaturazione delle proteine ed il loro

ritorno allo stato nativo. Negli anni „30 sono stati pubblicati molti articoli, che mostrano

che il processo di unfolding delle proteine è reversibile, sottolineando in questo modo

che il “protein folding” è un processo spontaneo. Negli anni ‟50 le nuove conoscenze

termodinamiche hanno sottolineato l‟importanza delle interazioni non covalenti

riguardo la stabilità delle proteine; in particolare, Kauzmann ha suggerito che l‟effetto

idrofobico è la forza guida, che dirige il processo del folding [Kauzmann, 1959]. La

determinazione della prima struttura 3D di una proteina (cioè della mioglobina) nel

1958 ad opera di John Kendrew mediante il metodo di diffrazione ai Raggi X ha fornito

una nuova base per l‟analisi della struttura delle proteine e per lo studio del processo di

folding. Anfinsen ha dimostrato che alcune proteine in vitro possono essere sottoposte,

introducendo agenti denaturanti quali la guanidina e l‟urea, ad un processo reversibile di

denaturazione, durante il quale perdono la loro struttura tridimensionale [Anfinsen et al.,

1961; Anfinsen et al., 1962; Anfinsen, 1973]. Rimuovendo questi agenti denaturanti si

riottiene la struttura tridimensionale attiva caratterizzata da una struttura tridimensionale

compatta [Figura 1.1]. Questa osservazione ha consentito ad Anfinsen di affermare che

l‟informazione necessaria per ottenere la conformazione nativa (N) di una proteina in

una data condizione fisiologica è contenuta nella sua sequenza amminoacidica. Ciò, da

un punto di vista termodinamico, si traduce nella possibilità di affermare che lo stato N

nelle condizioni fisiologiche costituisce un minimo dell‟Energia Libera di Gibbs.

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Figura 1.1 Schema relativo all‟esperimento di Anfinsen.

Le osservazioni di Anfinsen sono state ulteriormente ampliate e discusse da Levinthal,

che si pose il problema del tempo necessario affinché un sistema potesse raggiungere il

suo stato di equilibrio [Levinthal, 1968]. Infatti, supponendo che il numero di

conformazioni accessibili al singolo amminoacido sia uguale a due (elica e foglietto

beta), per una catena polipeptidica di 100 amminoacidi il numero totale di

conformazioni possibili è 2100

, che corrisponde a più di 1030

. Se noi assumiamo che il

tempo di interconversione da una conformazione alla sua alternativa è pari a 10-11

Schema dell’esperimento di Anfinsen

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secondi, il tempo necessario per una ricerca casuale di tutte le conformazioni è di 1011

anni. Dato che i tempi di folding spaziano da qualche secondo ad alcuni minuti è

evidente che l‟evoluzione ha trovato una soluzione efficace a questo procedimento. La

soluzione di Levinthal a questo paradosso, ampliata e portata avanti anche da altri

autori, è stata che il meccanismo di folding è sottoposto ad un controllo di tipo cinetico,

ovvero che esistono dei veri e propri percorsi definiti, che conducono dalla struttura

casuale e lineare (U) alla struttura nativa e funzionale (N). Da questo momento molti

autori cominciarono a valutare se gli stati parzialmente strutturati, evidenziati

sperimentalmente, rappresentassero degli intermedi produttivi (on pathway), cioè delle

tappe fondamentali nel percorso del folding, o degli intermedi improduttivi (off

pathway). Agli inizi degli anni ‟80 è stato evidenziato che gli intermedi on pathway

hanno una struttura secondaria in grado di formare un nucleo compatto, ma più espanso

della proteina nativa a causa dell‟assenza di specifiche interazioni terziarie (molten

globule) [Figura 1.2].

Gli studi sono poi continuati negli anni fino ad arrivare ad una nuova visione del

“protein folding” (folding funnel). In questa nuova visione, il concetto di percorso di

folding, costituito da eventi sequenziali, è stato sostituito dal concetto di imbuto (funnel)

di eventi paralleli rappresentato da diagrammi energetici [Figura 1.3]. In questi

diagrammi l‟asse verticale rappresenta l‟energia libera interna di ogni specifica

conformazione mentre gli assi orizzontali rappresentano le coordinate conformazionali

necessarie per specificare ogni singola conformazione (ad esempio gli angoli diedri). La

forma ad imbuto descrive la progressiva riduzione dello spazio conformazionale

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accessibile, a partire dai molti gradi di libertà disponibili per le catene denaturate, fino

ad arrivare alla proteina nello stato nativo che è caratterizzata, in prima

approssimazione, da un unico sottostato conformazionale. Nella Figura 1.3a è

rappresentato l‟imbuto che descrive il panorama energetico (energy landscape) più

semplice cioè quello di una reazione a due stati, in cui non c‟è nessuno stato intermedio.

Se si prendono in considerazione la formazione di intermedi, di trappole cinetiche e la

presenza di barriere energetiche, il panorama diviene più vario [Figura 1.3b]. Il

modello ad imbuto supera il paradosso di Levinthal, in quanto, pur ammettendo un gran

numero di diversi cammini, alcuni dei quali possono dare origine ad intermedi

inizialmente improduttivi, non consente un campionamento completamente casuale ma

spinge il sistema verso il suo minimo di energia favorendo alcuni riarrangiamenti che

portano verso lo stato nativo e rendendo estremamente improbabili i percorsi che

risalgono l‟imbuto energetico.

La nuova visione sul folding ha fornito uno spunto per altri studi, che si propongono di

comprendere la relazione esistente tra le caratteristiche intrinseche di una proteina e la

sua velocità di folding allo scopo di identificare parametri utili a predire l‟una in base

alle altre. Qualche anno fa, da un‟analisi di proteine appartenenti a famiglie non

omologhe, per le quali era disponibile una grande quantità di dati strutturali e cinetici, è

emersa una correlazione tra la distanza media nella sequenza fra i residui che

interagiscono nello stato nativo e la velocità di folding.

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Figura 1.2 Rappresentazione schematica del molten globule a confronto con la struttura

dello stato nativo.

Figura 1.3 Rappresentazione schematica attraverso diagrammi energetici a tre

dimensioni („folding funnels‟) del processo di folding a due stati (a) e multistato (b).

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Questo parametro è stato definito contact order. A questi lavori sperimentali si sono

affiancati una serie di lavori teorici di Dinamica Molecolare, con il fine di simulare le

proprietà strutturali fondamentali degli intermedi, che si formano durante il folding e

che sono risultate essere correlate alle proprietà topologiche dello stato nativo [Clementi

et al., 2000]. Inoltre, è stato anche determinato il ruolo giocato dalla posizione

geometrica degli amminoacidi nel processo del folding in alcune proteine.

Il “protein folding” è un argomento di grande interesse soprattutto dopo che è stato

completato il sequenziamento del genoma di vari organismi (732 Batteri, 44 Archea e

786 Eucarioti). Infatti, il problema maggiore dell‟era post-genomica è quello di

individuare i singoli geni e le proteine da essi codificate e, soprattutto, di avere

informazioni sulla loro struttura tridimensionale, perché è essa, più della sequenza, che

definisce la loro funzione biologica. La comprensione approfondita dei meccanismi

molecolari, che sono alla base del folding delle proteine, rappresenterebbe un traguardo

per tutta la comunità scientifica, in quanto essa fornirebbe la possibilità di curare molte

patologie associate ai processi di misfolding e di aggregazione di proteine, quali le

encefalopatie spongiformi, che si possono originare in seguito a disordini genetici

sporadici e/o infettivi, che coinvolgono il cambiamento conformazionale della proteina.

Ad esempio, quella del prione è una proteina di cui non si conosce ancora la funzione.

Essa è presente nella cellula nella sua conformazione normale PrPC, che è costituita

principalmente da -eliche, e si converte nella forma patologica PrPSC

in cui parte delle

-eliche si trasforma in foglietti . Il meccanismo dell‟azione infettiva del prione

sembra essere quello di agire come stampo per la conversione di altre proteine sane

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nella forma patologica. In pratica, le proteine patologiche sono in grado di indurre in

proteine sane una cambiamento conformazionale che produce un riarrangiamento

conformazionale (misfolding). Come il prione si converte dalla forma normale a quella

patologica e cosa favorisce questo processo è ancora sconosciuto.

La pubblicazione della sequenza completa del genoma di vari organismi, ha portato alla

scoperta delle sequenze di molte proteine, di cui non sono note né le strutture né le

funzioni. Al momento sono riportate nella banca dati GenBank 32 549 400 sequenze

nucleotidiche, in UniProt/Swiss-Prot 1 585 764 sequenze proteiche e in PDB 27 761

strutture proteiche. Come si vede da questi dati, il numero di proteine, di cui è stata

determinata sperimentalmente la struttura 3D, è molto più basso di quello delle

sequenze note; ciò è dovuto certamente sia al fatto che i metodi sperimentali non sono

sempre applicabili sia al fatto che il loro utilizzo richiederebbe troppo tempo.

1.2 Metodi di predizione della struttura delle proteine

La struttura di una proteina può essere ottenuta sperimentalmente mediante

Spettroscopia di Risonanza Magnetica (NMR) e mediante diffrazione ai Raggi X (RX).

L‟NMR permette di esaminare una proteina in soluzione e di generare anche un quadro

della sua dinamica ma è applicabile solo a proteine che non superano i 250-300 residui.

La diffrazione ai Raggi X offre dati molto precisi ma le strutture costrette in cristalli non

sempre rappresentano immagini fedeli di proteine nella loro conformazione attiva.

Questi metodi sperimentali spesso non possono essere utilizzati dal momento che non

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tutte le proteine sono cristallizzabili o solubili nelle quantità sufficienti per misure

NMR.

In alternativa ai metodi sperimentali, si sono sviluppati dei metodi computazionali

aventi lo scopo di predire la struttura tridimensionale di una proteina, in modo veloce ed

accurato, dalla sola conoscenza della sua sequenza amminoacidica e di comprendere

come le proteine si ripiegano nelle strutture native. Attualmente ci sono vari metodi di

predizione di struttura secondaria delle proteine e di struttura terziaria, tra i quali si

possono distinguere tre categorie: modellamento per omologia, riconoscimento di fold e

metodi ab-initio.

1.3 Metodi di predizione di struttura secondaria

Negli ultimi anni le tecniche di predizione di struttura secondaria sono arrivate ad

offrire un alto grado di affidabilità. In generale, si possono distinguere due tipi di

metodi: metodi statistici e metodi connessionistici. Essi si propongono di assegnare

gli elementi di struttura secondaria a sequenze proteiche partendo dalla conoscenza

della struttura di proteine, utilizzate come campioni esemplari, delle quali siano note sia

la sequenza sia la conformazione tridimensionale.

Una delle tecniche di predizione su base statistica più usate è quella elaborata da Chou

e Fasman, che va a valutare la propensità di ciascun amminoacido a trovarsi in una

particolare struttura secondaria (elica, -strand e coil) [Chou & Fasman, 1974]. Questo

metodo fornisce una tabella nella quale ciascun amminoacido viene classificato con un

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coefficiente, che riflette la frequenza con la quale esso forma, interrompe o è

indifferente alla formazione di ciascun tipo di struttura secondaria.

Un altro criterio statistico di predizione è quello di Garnier, Osguthorpe e Robson.

L‟idea basilare su cui tale metodo è fondato è che lo stato conformazionale di un dato

amminoacido è determinato non solo dalla sua stessa natura ma anche da quella degli

altri amminoacidi ad esso adiacenti. Quindi un dato amminoacido R nella posizione j+m

esercita un‟influenza sullo stato confomazionale del residuo j-mo misurata come I(Sj,

Rj+m), dove Sj è lo stato conformazionale del residuo j . Ciò significa che se il residuo

nella posizione j-1 si trova in un dato elemento strutturale, è probabile che anche il

residuo j faccia parte di esso. In pratica si considera significativa l‟influenza di 8 residui

amminoacidici a sinistra ed a destra di quello considerato.

La probabilità che il residuo j adotti la conformazione S viene calcolata come

L(Sj) = I(Sj,Rj+m) dove m = -8, …., +8

e per il residuo j viene predetto lo stato conformazionale al quale corrisponde il

maggiore valore di probabilità.

Questi metodi statistici non raggiungono un‟accuratezza maggiore del 65%.

L‟informazione evolutiva presente nell‟allineamento multiplo di un insieme di proteine

omologhe può consentire un incremento significativo dell‟accuratezza della predizione

delle strutture secondarie. Infatti, il metodo connessionistico più utilizzato è PHDsec

(a Profile fed neural network system from Heidelberg for secondary structure

prediction). Esso utilizza l‟informazione evolutiva derivante dall‟allineamento multiplo

di un insieme di sequenze di proteine omologhe. In particolare, sottomessa una singola

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sequenza, il programma cerca in modo automatico nella banche dati proteine omologhe

a quella di partenza, ne esegue l‟allineamento multiplo e procede all‟applicazione

dell‟algoritmo. Questo algoritmo di predizione utilizza una rete neurale a più strati

tarata da una fase di apprendimento effettuata su una serie di proteine a struttura

tridimensionale nota. Questo metodo connessionistico raggiunge una accuratezza media

del 72%.

1.4 Modellamento per omologia

Il modellamento per omologia è il metodo più affidabile per ottenere una predizione

della struttura tridimensionale di una proteina ed è applicabile quando la percentuale di

identità di sequenza tra la proteina da modellare e quella di riferimento è compresa tra il

20-40%.

Infatti, due proteine omologhe, cioè derivanti da uno stesso progenitore per un processo

evoluzionistico, hanno subito durante l‟evoluzione solo mutazioni che non hanno

distrutto nè la loro funzione biologica né la loro struttura 3D. Da ciò consegue che,

quando due proteine hanno sequenze simili e la stessa funzione, avranno sicuramente

anche strutture 3D simili.

Si può, inoltre, sottolineare che esiste una relazione non biunivoca tra la similarità di

due sequenze proteiche (numero di amminoacidi identici o simili) e la somiglianza tra le

rispettive strutture tridimensionali; infatti, sono anche note proteine che, pur non avendo

sequenze simili, hanno strutture simili.

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Dal momento che il modello per omologia si basa sull‟osservazione empirica che la

similarità fra le sequenze di due proteine implica una similarità nella loro struttura, le

coordinate della catena principale degli amminoacidi della proteina presa come

riferimento (template) possono essere usate come un‟approssimazione delle coordinate

delle regioni corrispondenti (secondo l‟allineamento) della proteina da modellare

(target).

Il modellamento per omologia si articola in vari stadi:

identificazione della proteina di struttura nota che si userà come riferimento

(template);

identificazione delle regioni che ci si aspetta siano strutturalmente conservate tra

il template e la proteina target;

allineamento delle sequenze amminoacidiche di queste regioni;

costruzione del modello delle regioni conservate usando come coordinate quelle

della catena principale della proteina template secondo la corrispondenza dettata

dall‟allineamento delle sequenze;

costruzione del modello delle regioni strutturalmente variabili: regioni in cui ci

sono delezioni ed inserzioni;

modellamento delle catene laterali del modello;

rifinitura del modello.

È ormai ben noto, che la similarità della catena principale nel “core” (nucleo

strutturalmente conservato tra proteine omologhe) di due proteine aumenta

all‟aumentare della somiglianza tra le loro sequenze. Qualche anno fa, Cyrus Chothia e

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Arthur Lesk (1986) hanno analizzato una trentina di coppie di proteine omologhe di

struttura nota e sono andati a valutare la relazione tra l‟RMSD (deviazione quadratica

media) del “core” delle due strutture sovrapposte e la percentuale di identità tra le loro

sequenze. Questa analisi è stata fatta nel 1986 ma i risultati ottenuti sono stati

successivamente confermati da vari autori che hanno utilizzato un numero maggiore di

strutture proteiche [Hilbert et al., 1993]. È stato visto che l‟RMSD degli atomi della

catena principale del “core” tra due proteine con identità di sequenza maggiore del 50%

è minore di 1.0 Angstrom ed il “core” comprende il 90% delle strutture. Inoltre per

coppie di proteine con identità di sequenza minore del 20%, la regione del “core” può

comprendere non più del 50% delle strutture con una RMSD della catena principale in

questa regione maggiore di 1.8 Angstrom; fuori dal “core” le deviazioni possono essere

significative. Infine, coppie di proteine con identità in sequenza tra il 20% ed il 50 %

hanno un grado di similarità intermedio [Figura 1.4].

Da ciò consegue che per costruire un modello il migliore template è quello che ha la

maggiore identità di sequenza con la proteina target. Quando esistono più di una

proteina di struttura nota con la stessa percentuale di identità di sequenza con la proteina

target, è consigliabile scegliere la migliore, in base alla completezza ed alla risoluzione.

Deciso quale o quali proteine possono essere utilizzate come riferimento, è necessario

allineare le sequenze in modo da rendere massima la loro identità di sequenza (cioè il

numero di amminoacidi identici in posizioni corrispondenti) o la loro similarità

(assegnando un punteggio che descriva in qualche modo la similarità di ciascuna

possibile coppia di amminoacidi).

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Figura 1.4 Relazione tra la percentuale di identità di sequenza di coppie di proteine ed i

valori di RMSD relativi ai Carboni alfa (C), ottenuti dopo aver sovrapposto le loro

strutture tridimensionali [Hilbert et al., 1993].

Gli algoritmi di allineamento di sequenze permettono di misurare ed ottimizzare

l‟identità e la similarità fra sequenze in modo sufficientemente accurato. Questo però

non corrisponde alla migliore sovrapposizione strutturale fra proteine, che è quello di

cui abbiamo bisogno per costruire un modello accurato. Pertanto dopo aver allineato le

sequenze in modo automatico, è necessario controllare manualmente l‟allineamento

ottenuto sfruttando informazioni varie quali la predizione di struttura secondaria, le

sequenze di altre proteine della stessa famiglia della proteina target, la struttura

tridimensionale della proteina template ed informazioni sperimentali su una o tutte le

proteine. In particolare, le inserzioni e le delezioni, che sono le regioni più difficili da

modellare, determinano variazioni strutturali locali. Pertanto tenendo presente la

struttura tridimensionale della proteina di riferimento, bisogna controllare che le

delezioni e le inserzioni non capitino in elementi di struttura secondaria, e aggiustare

manualmente l‟allineamento. Spesso è utile allineare tutte le sequenze appartenenti alla

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

0 20 40 60 80 100

Identità [%]

RM

SD

(C

) [Å

]

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famiglia della proteina di riferimento; ciò permette di verificare quali regioni sono più

conservate strutturalmente nella famiglia, anche perché queste saranno probabilmente

conservate anche nella proteina target. Infine, le informazioni sperimentali sono

importanti perché se la proteina target e quella di riferimento hanno la stessa funzione,

gli amminoacidi del sito attivo devono essere allineati. Ottenuto un buon allineamento è

possibile modellare le regioni strutturalmente conservate (SCR) della proteina target ma

rimane il problema di come modellare i loop e le catene laterali.

I loop, definiti come regioni strutturalmente variabili, non possono essere costruiti per

omologia. Essi sono, di solito, regioni che connettono elementi di struttura secondaria,

sono esposti sulla superficie e meno regolari di -eliche e foglietti . Al momento per

modellare i loop vengono utilizzati o metodi di ricerca in banche dati o metodi ab-

initio.

Il metodo di ricerca in banca dati si basa sull‟osservazione che regioni di

conformazione simile si trovano in proteine sia omologhe sia non omologhe e, quindi,

costruite per omologia le strutture delle regioni che fiancheggiano il loop, il numero di

modi per unire tali strutture con un loop di lunghezza nota non può essere infinito e si

possono ricercare nelle banche dati frammenti di proteine che si adattano a queste

regioni, che sono definite stem. In pratica, si va a ricercare nella banca dati di strutture

note delle regioni, che siano simili agli stem e che siano separate da un numero di

residui uguale a quello del loop, che si deve modellare. I metodi ab-initio per la

predizione dei loop si basano su simulazioni energetiche; quindi si generano le

coordinate tridimensionali di tutti i loop (o quasi) che potrebbero congiungere gli stem

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andando a valutare l‟energia dell‟intera proteina nei vari casi e scegliendo il loop, per il

quale l‟energia totale assume il valore minimo.

Per quanto riguarda le catene laterali di ciascun amminoacido si è andati a valutare la

frequenza, con cui ciascun amminoacido viene osservato in una certa conformazione

nelle proteine di struttura nota. Gli angoli corrispondenti a queste conformazioni sono

raccolti in librerie di rotameri, che possono essere utilizzate per assegnare la

conformazione agli amminoacidi della proteina target. Vari studi hanno confermato che

se esiste una relazione evoluzionistica fra la proteina di riferimento e quella target, ci si

può aspettare che anche le catene laterali delle due proteine tendono ad assumere

conformazioni simili e quindi possono essere modellate le une sulle altre. Pertanto,

molti metodi copiano gli angoli della catena dell‟amminoacido del template fin dove la

lunghezza relativa delle catene laterali lo permette ed usano le librerie di rotameri per la

parte restante. Spesso si utilizzano anche calcoli energetici; infatti, assegnato a ciascun

amminoacido il suo rotamero più frequente, l‟energia totale della molecola viene

sottoposta ad un processo di minimizzazione per rifinire gli angoli. L‟accuratezza di

questi metodi diminuisce all‟aumentare della deviazione della catena principale del

modello dalla struttura di riferimento; da ciò si deduce che, se vengono migliorati i

metodi per costruire la catena principale, si riuscirà ad ottenere anche una migliore

predizione delle catene laterali.

1.5 I metodi di riconoscimento di fold

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È noto che ci sono proteine che esibiscono lo stesso fold anche in assenza di una

rilevante similarità di sequenza e che il numero di fold, rappresentati in natura, è

relativamente limitato (meno di 700)Thorntonet al., 1999. Proteine con lo stesso fold

ma con nessun similarità significativa di sequenza possono essersi evolute da un

ancestore comune ma essersi diversificate tanto che la loro origine comune non è più

facilmente deducibile dal confronto tra le loro sequenze, oppure è anche possibile che la

similitudine sia dovuta al fatto che quella architettura è favorita per ragioni chimico-

fisiche.

In presenza di una proteina, che non ha similarità di sequenza con nessuna delle

proteine note, il modellamento per omologia non può essere utilizzato e, quindi, si va a

ricercare se la sua sequenza è compatibile con uno dei fold già noti, valutando la

probabilità con cui la sequenza target possa assumere una delle strutture presenti nella

banca dati, indipendentemente dalla loro similarità di sequenza (target/template).

Questo metodo viene chiamato riconoscimento di fold. I due approcci più usati sono

quelli basati su profili e quelli cosiddetti di threading.

I metodi basati su profili si basano sulla possibilità di dedurre dall‟analisi di proteine

di struttura nota alcune proprietà caratteristiche per ciascun amminoacido, quali la

frequenza relativa con cui ciascun amminoacido è osservato in uno dei tipi di struttura

secondaria (preferibilmente , preferibilmente e nessuna preferenza), la frequenza con

cui è osservato sulla superficie di una proteina (alta, bassa ed intermedia) e la frequenza

con cui è osservato in un ambiente idrofobico (alta, bassa). In questo modo è possibile

- 26 -

associare a ciascun amminoacido una lettera, che rappresenta le modalità con cui esso è

più frequentemente osservato nelle strutture note [Tabella 1.1].

Tabella 1.1 Possibile codifica delle propensità degli amminoacidi

Più spesso in ..

Frequenza

di presenza

in superficie

Altra

Bassa Più frequentemente in

ambiente idrofobico (a)

Più frequentemente in

ambiente idrofilico (d)

Più frequentemente in

ambiente idrofobico (b)

Più frequentemente in

ambiente idrofilico (e)

Più frequentemente in

ambiente idrofobico (c)

Più frequentemente in

ambiente idrofilico (f)

Alta Più frequentemente in

ambiente idrofobico (g)

Più frequentemente in

ambiente idrofilico (j)

Più frequentemente in

ambiente idrofobico (h)

Più frequentemente in

ambiente idrofilico (k)

Più frequentemente in

ambiente idrofobico (i)

Più frequentemente in

ambiente idrofilico (l)

Intermedia Più frequentemente in

ambiente idrofobico (m)

Più frequentemente in

ambiente idrofilico (p)

Più frequentemente in

ambiente idrofobico (n)

Più frequentemente in

ambiente idrofilico (q)

Più frequentemente in

ambiente idrofobico (o)

Più frequentemente in

ambiente idrofilico (r)

Ripetendo questo tipo di analisi per tutte le proteine di struttura nota, la banca dati di

struttura tridimensionale diventa una banca dati lineare come quella relativa alle

sequenze. Mediante i metodi classici di ricerca in banca dati, la sequenza delle

propensità della proteina target può essere confrontata con la banca dati che rappresenta

le caratteristiche strutturali delle proteine note. In questo modo, le proteine, che

mostrano similarità significativamente più alta con la proteina target, sono quelle che

possono essere utilizzate come riferimento.

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Nei metodi di threading si costruiscono tanti possibili modelli della proteina usando

come riferimento (template) le proteine di struttura nota ed esplorando un gran numero

di possibili allineamenti che includono inserzioni e delezioni. Tra questi modelli

vengono scelti quelli che risultano migliori andando a fare per ciascuno di essi una

valutazione energetica a livello degli amminoacidi e non dei singoli atomi.

1.6 Folding ab-initio

I metodi descritti finora (modellamento per omologia e metodo basato sul

riconoscimento del fold) si basano sempre sull‟osservazione di proteine note ma non ci

permettono di capire come fa una proteina a raggiungere la sua struttura nativa in natura

dal momento che “le proteine non consultano banche dati”. Una proteina si struttura

nella sua conformazione nativa perché questa è energeticamente più favorevole di

qualunque altra possibile conformazione; pertanto, se si riuscissero a generare tutte le

possibili conformazioni di una proteina ed a valutare correttamente la loro energia,

basterebbe andare a scegliere la conformazione a energia più bassa. Questo

procedimento, però, non è applicabile poiché richiederebbe troppo tempo.

I metodi ab-initio si basano sulla ricerca dei minimi di energia conformazionale e

necessitano di due requisiti fondamentali: la determinazione della funzione “energia”

che permetta di discriminare la conformazione nativa dalle altre ed un criterio affidabile

ed efficiente di ricerca dei minimi energetici nello spazio delle conformazioni. Per

valutare tutti i contributi energetici coinvolti nel calcolo dell‟energia conformazionale si

deve tener conto sia di fattori intramolecolari (legami chimici, interazioni di van der

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Waals, legami idrogeno, interazioni coulombiane, entropia conformazionale) sia

dell‟interazione con il solvente (polarizzazione del mezzo, formazione di cavità,

interazioni soluto-solvente, variazioni di struttura del solvente).

Un modo per cercare la conformazione a energia minima è di minimizzare la funzione

rispetto alla posizione degli atomi. Praticamente, partendo da una certa conformazione

si variano le posizioni degli atomi e si calcola l‟energia della nuova conformazione. Se

questa è minore della precedente, si ripete il procedimento effettuando un‟altra piccola

variazione, altrimenti si ritorna indietro e si prova una variazione diversa. Mediante

questo procedimento di minimizzazione è possibile trovare il minimo locale ma non

quello globale, cioè quello più vicino alla conformazione di partenza ma non il più

basso possibile nel caso in cui ci sono delle barriere di potenziale tra quest‟ultimo e la

conformazione iniziale. Questo problema può essere superato o esplorando in maniera

casuale lo spazio conformazionale senza preoccuparsi del fatto che esiste un modo

fisicamente permesso per andare da una conformazione all‟altra (metodi stocastici) o

fornendo agli atomi un‟energia cinetica che permetta a questi di superare la barriera di

potenziale (dinamica molecolare).

Molti studi sperimentali e teorici hanno dimostrato che il processo di folding è

influenzato dalle proprietà topologiche dello stato nativo. Baker et al. [Plaxco et al.,

1998] hanno indicato che esiste una correlazione tra le cinetiche del folding e la

complessità topologica dello stato nativo. Koga e Takada [Koga e Takata, 2001] hanno

studiato le relazioni tra la topologia di una proteina ed i folding pathways. Questi autori

sono riusciti a descrivere i folding pathways di piccole proteine a singolo dominio,

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considerando solo i C della catena polipeptidica ed usando una funzione di energia

libera che tiene conto della connettività della catena, delle interazioni e dell‟entropia.

Un interessante approccio topologico al problema del protein folding è stato proposto

recentemente dal gruppo di Banavar e Maritan [Banavar et al., 2002, 2003a, 2003b].

Secondo questo approccio una proteina è modellata come un tubo di spessore non nullo.

Mediante la procedura Metropolis Monte Carlo questi autori hanno simulato delle

strutture di tipo elica e strand simili a quelle presenti nelle proteine. I risultati ottenuti

sono incoraggianti e possono essere utilizzati in studi futuri [].

1.7 CASP

Una valutazione dell‟affidabilità di questi metodi (modellamento per omologia, metodo

di riconoscimento di fold, metodi ab-initio) viene fatta ogni due anni dalla comunità

scientifica internazionale che ha istituito nel 1994 un esperimento chiamato CASP

(Critical Assessment of Methods for Protein Structure Prediction). Questo esperimento

valuta l‟efficacia di un metodo, confrontando la predizione con un risultato

sperimentale. In pratica, ogni due anni viene chiesto a cristallografi ed a spettroscopisti

NMR, che stanno per risolvere la struttura di una proteina, di rendere disponibile la sua

sequenza. Queste sequenze (target) vengono assegnate ad una serie di predittori che

devono depositare i loro modelli prima che la struttura sia resa pubblica. Un insieme di

valutatori (assessors) confronta i modelli e le strutture, appena queste ultime sono rese

disponibili, e cerca di valutare le predizioni e di trarre conclusioni generali. I risultati

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vengono poi discussi in un convegno dove i valutatori ed i predittori si incontrano per

discutere dei risultati.

Dai risultati del CASP5 [Proteins 2003, 53 Suppl. 6, 333-585] si può avere una

valutazione dell‟accuratezza raggiunta dai tre metodi. Il modellamento comparativo è

risultato ancora il metodo predittivo più affidabile. Ottimi risultati sono stati ottenuti

soprattutto per le zone strutturalmente conservate (definite come “core”) della proteina

target. I limiti maggiori restano sempre quelli del modellamento delle catene laterali e

dei loop; infatti, molti metodi sono stati sviluppati ma i risultati non sono ancora

positivi. Sono stati ottenuti buoni risultati, nel caso di bassa percentuale di identità di

sequenza tra la proteina target e quella/e template, migliorando l‟allineamento mediante

i modelli di Markov ed i metodi basati sui profili.

Gli esperimenti del CASP prevedono anche una sezione di valutazione di server

automatici (CAFASP). Molti sono stati i server automatici di modellamento per

omologia, che hanno ottenuto risultati migliori della media dei predittori ma è anche da

sottolineare che per lo stesso target si sono registrate sia predizioni di ottima qualità sia

predizioni completamente improbabili. Lo stesso si può dire per il metodo del

riconoscimento di fold. Alcune volte i modelli ottenuti per riconoscimento di fold sono

risultati più simili alla struttura sperimentale di qualunque delle strutture presenti nella

banca dati.

Inoltre, i predittori, che hanno ottenuto i migliori risultati, hanno combinato i loro

metodi ed hanno organizzato un paio di workshop per poter discutere dei risultati

ottenuti. Le proteine per cui si è riusciti ad avere risultati migliori, sono state quelle su

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cui uno dei partecipanti lavorava sperimentalmente. Ciò ha fatto dedurre che un

qualsiasi metodo funziona meglio se è abbinato ad una approfondita conoscenza delle

caratteristiche biologiche delle proteine.

Per quanto riguarda i metodi ab-initio, dai risultati del CASP5 si è potuto dedurre che

nessuno dei metodi (minimizzazione, dinamica molecolare, Monte Carlo, algoritmi

genetici) è in grado di trovare la conformazione a minima energia di una proteina. Ma la

combinazione di questi metodi può dare buoni risultati per predire strutture di

frammenti proteici. Il metodo di maggior successo nella categoria dei metodi ab-initio

sia nel CASP4 sia nel CASP5 è stato il metodo ROSETTA. In questo metodo, la

sequenza di una proteina target viene divisa in frammenti contigui di 3 e 9

amminoacidi. Tutti i frammenti di proteine di struttura nota che hanno sequenze uguali

o simili a queste regioni vengono combinati, utilizzando il Metodo di Monte Carlo, al

fine di predire la possibile conformazione della proteina target.

1.8 La Predizione delle interazioni proteina-proteina

Quando è nota la struttura di due proteine e si sa che esse interagiscono, predire la loro

orientazione relativa nel complesso rappresenta un problema non facile da risolvere. La

simulazione fatta in silico della formazione del complesso molecolare a partire dalle

strutture tridimensionali delle proteine, che lo compongono, viene definita con il

termine docking.

Il problema maggiore relativo alla predizione delle interazioni proteina-proteina è che la

struttura delle proteine in un complesso è abbastanza diversa da quella assunta dalle

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stesse proteine nella loro forma libera soprattutto nelle regioni dell‟interazione. Ciò è

certamente dovuto al fatto che le catene laterali dei residui delle proteine sono

relativamente mobili e talora seguono il formarsi del complesso con movimenti che

determinano una migliore complementarità tra i residui delle proteine interagenti.

Questi movimenti coinvolgono non solo le catene laterali dei residui ma talvolta

comportano anche spostamenti di interi segmenti di strutture secondarie.

Diversi metodi di docking sono stati sviluppati (DOCK, AUTODOCK, FlexX,

ESCHER) sia per la ricostruzione di complessi proteina-proteina sia per l‟analisi di

complessi tra proteine e ligandi. Il docking è molto utilizzato anche per la ricerca di

nuovi inibitori di una proteina data mediante l‟utilizzo di banche dati di possibili

ligandi. I metodi, finora sviluppati, si basano o su criteri geometrici o energetici. I

metodi energetici sfruttano il fatto che le proteine formano complessi poiché questi

sono energeticamente favoriti mentre quelli geometrici si basano sulla considerazione

che le superfici di interazione delle due proteine, che formano il complesso, devono

essere complementari.

Una valutazione delle procedure di docking proteina-proteina, finora sviluppate, viene

fatta periodicamente mediante un esperimento, analogo a quello del CASP, denominato

CAPRI (Critical Assessment of PRedicted Interactions). Proprio come per il CASP, le

predizioni vengono fatte e confrontate con le strutture dei complessi, ottenute mediante

diffrazione ai Raggi X, prima che queste vengano rese pubbliche. In una delle ultime

edizioni (CAPRI round 3) è emerso che molti metodi di docking trattano i componenti

molecolari come corpi rigidi, mentre altri fanno ciò solo nei primi passaggi della

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simulazione, in modo da eliminare le soluzioni più improbabili, e poi modellano le

catene laterali e/o il backbone. Il maggiore limite di questi metodi è nel fatto che essi,

quando tentano di predire strutture di complessi, raramente sono in grado di fornire una

sola soluzione. Infatti, la maggior parte delle volte forniscono una lista di possibili modi

di interazioni e scegliere la migliore tra queste non è facile. Recentemente, analizzando

strutture di complessi note, si è cercato di studiare quali possono essere i parametri

legati all‟interfaccia proteina-proteina. Ma eccetto l‟ampiezza dell‟interfaccia, che, in

generale anche se non sempre, tende ad essere più larga nei complessi biologicamente

attivi, altri parametri, come il numero di legami ad idrogeno per unità di superficie e le

propensità di contatto tra residui, non sono risultati discriminatori.

Per la predizione dell‟interazione proteina-proteina sono stati ottenuti buoni risultati

combinando i metodi di docking con i due approcci classici, modellamento per

omologia e threading, i quali rappresentano una strategia integrata, capace di predire i

siti di interazione, i contatti tra i residui e, nei casi più fortunati, anche un modello

dettagliato del complesso. Infatti, questi due metodi usano la struttura di un complesso

noto come riferimento (template) per costruire il modello del complesso target. Però il

limite di questo approccio è certamente legato alla percentuale di somiglianza, che c‟è

tra le proteine target e quelle template. Russell ed i suoi collaboratori hanno

recentemente dimostrato che proteine con una percentuale di omologia pari al 30-40%

interagiscono allo stesso modo mentre il modo di interagire è raramente conservato per

proteine con percentuale di identità di sequenza più bassa.