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IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE 6|2015 giugno luglio cem.saverianibrescia.it ® Numero programmatico Liberare l’umano. Chi non si rigenera degenera Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LIV - n. 6 - Giugno-Luglio 2015 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - contiene I.R. LO SPECCHIO DEI DESIDERI LA PRIMA GUERRA MONDIALE AL CINEMA CULTURA E RELIGIONE

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Numero programmaticoLiberare l’umano. Chi non si rigenera degenera

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I.R.

LO SPECCHIO DEI DESIDERI

LA PRIMA GUERRA MONDIALE AL CINEMA

CULTURA E RELIGIONE

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editorialeIn nessun altro tempo 1Brunetto Salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

l’altroeditorialeTunisia. Un contributo per il dialogo 3Adel Jabbar

plusvaloriPrevidenza sociale. Solo vintage? 4Gianni Caligaris

Sommarion. 6 / giugno-luglio 2015

ascuolaeoltre

bambine e bambini

Lo specchio dei desideri 6Sebi Trovato

ragazze e ragazzi

Scuola-famiglia: allievo, pensaci tu! 8Sara Ferrari

generazione y

L’inquietudine della colomba 10Antonella Fucecchi

ora delle religioni a scuola

Crisi della religione? 12Marco Dal Corso

intercultura dalla psyco(loga)

Metodo e sensibilità 13Francesca Galloni

in cerca di futuro

Il Tfa, la buona scuola, la testa ben fatta 14Martina Vultaggio

l’educazione ai tempi del col(l)era

Intercultura dove vai? 15Riccardo Olivieri, Silvia Satira

saggezza folle

Cultura e religione 16Marco Valli - Osel Dorje

agenda interculturale

Una guida per la mondialità 33Alessio Surian

mumble mumble

Essere o non essere Charlie 34Chiara Colombo, Fiorenzo Ferrari

ecologia e intercultura

Riconnettersi con la saggezza 35della Terra Marco Valli

letterature migranti

Il magico mondo della letteratura 36Elisabetta Sibilio

domani è accaduto

I nazifascisti conquistano la Galassia? 38a cura di Dibbì

spazio CEM 39

crea-azione

Festival Laboratorio interculturale 40di pratiche teatraliNadia Savoldelli

mediamondo 41

nuovi suoni organizzati

Toto Bona Lokua, 43tre figli della Cultura Nera Luciano Bosi

saltafrontiera

Nutrirsi (anche) con le storie 44Lorenzo Luatti

cinema

Il cinema racconta la Grande Guerra 45Lino Ferracin

i paradossiChiesa del Brasile 47Arnaldo De Vidi

la pagina dei girovaghi 48Massimo Bonfatti

cem.saverianibrescia.it

Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967

Editore: Centro Saveriano Animazione Missionaria - CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 - 25121 Brescia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127 in data 19/02/1993.

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegno di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 250 del 7 agosto [email protected]

Intercultura dove vai?Dalla scuola alla città 29prima puntata

a cura di Antonella Fucecchi, Antonio Nanni

Liberare l’Umano 17chi non si rigenera degeneraAntonella Fucecchi

Generatività 18Non ci è concesso lasciareil mondo così com’è

Generatività e crisi 21Generatività ed età della vita 22Generatività ed educazione 24Generatività e religione 25Generatività e mass media 27Generatività ed economia\lavoro 28

Amministrazione - abbonamentiCentro Saveriano Animazione MissionariaVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3772781 [email protected]

Quote di abbonamentoCopia singola cartacea € 5,00Cartaceo 10 numeri - annuale € 30,00On line 10 numeri - annuale € 20,00Abbonamento triennale € 80,00Abbonamento d’amicizia € 50,00

Abbonamento CEM / esteroEuropa € 60,00Extra Europa € 70,00

Per le modalità di abbonamento consul-tare il sito cem.saverianibrescia.it

Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

Direzione e RedazioneVia Piamarta 9 - 25121 Brescia tel. 0303772780 - fax 030.3772781

DirettoreBrunetto [email protected]

Condirettori Antonio Nanni ([email protected]) Lucrezia Pedrali ([email protected])

Segreteria e sitoMichela [email protected]

Redazione Federico Tagliaferri (caporedattore)[email protected]

Daniele Barbieri, Gianni Caligaris, MarcoDal Corso, Antonella Fucecchi, ElisabettaSibilio, Marco Valli

Collaboratori CEM dell’annata 2015-2016Lubna Ammoune, Silvio Boselli, LucianoBosi, Massimo Bonfatti, Paola Bonsi, Fran-cesco e Giacomo Caligaris, Patrizia Cano-va, Chiara Colombo, Stefano Curci, Agne-se Desideri, p. Arnaldo De Vidi, FiorenzoFerrari, Sara Ferrari, Lino Ferracin, Fran-cesca Galloni, Adel Jabbar, Lorenzo Luatti,Maria Claudia Olivieri, Riccardo Olivieri,Roberto Papetti, Candelaria Romero, Na-dia Savoldelli, Alessio Surian, Aluisi Toso-lini, Sebi Trovato, Roberto Varone, MartinaVultaggio

Hanno collaborato a questo numeroSilvia Satira

Direttore responsabileMarcello Storgato

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il sole. In altri termini, egli percepiva il bisogno di liberarel’umano che è in noi e che pure, spesso, tendiamo a di-menticare e nascondere: ed è quello che egli fece, fon-dando la piccola Chiesa confessante (l’unica che in Ger-mania osò operare attivamente contro i progetti di Hitler),gridando a favore degli ebrei in un tempo di antisemiti-smo generalizzato, e sognando la realizzazione di ungrande concilio ecumenico capace di dire al mondo laparola della pace e del rifiuto di ogni odio razzista. Bonhöffer non poté vedere la realizzazione di questo so-gno: tuttavia il suo messaggio è ancora vivissimo oggi,e attraversa confessioni e appartenenze. In lui, ciò che più mi colpì, da subito, è lo strettissimorapporto fra testimonianza intellettuale e impegno esi-stenziale, presente come in poche altre figure del secolobreve. Fino a fargli scrivere, nonostante tutto: «Abbiamoimparato che non possiamo concepire progetti nemmenoper l’indomani, che quanto abbiamo costruito viene di-strutto la notte successiva e che la nostra vita, a differenzadi quella dei nostri genitori, è diventata informe e fram-mentaria. Posso comunque soltanto dire che non vorreivivere in nessun altro tempo che il nostro, anche se essoè così indifferente al nostro benessere esteriore» (letteradel 23 febbraio 1944).Il suo è un esempio plastico di come un evento inevitabilecome la morte possa paradossalmente risultare gene-rativo e fecondo; e di come si possa essere nel contempofedeli alla terra e a Dio, alle cose penultime non menoche a quelle ultime. Perché lui sapeva bene, avendoloappreso nei suoi brevi ma intensi giorni terreni, che «chinon si rigenera, degenera» (E. Morin). È di questo che CEM rifletterà nei prossimi mesi, perchérestiamo convinti che, perfino in una situazione planetariacomplicata e urticante come quella che stiamo attraver-sando, si possa e si debba lottare per essere generatividi speranza.

In nessun altro tempo

«Solo quando si ama a tal punto la vita e la terra,che sembra che con esse tutto sia perduto e finito,si può credere alla resurrezione dei mortie a un mondo nuovo»Dietrich Bonhoeffer, «Resistenza e resa»

Molti anni fa, ho letto (ma sarebbe meglio diredivorato) un libro che mi avrebbe cambiato lavita. S’intitola Resistenza e resa, e in realtà si

tratta di un volume che il suo autore, il pastore e teologoluterano Dietrich Bonhöffer, non ha mai saputo di averescritto: perché è la raccolta delle sue lettere inviate a di-versi destinatari dai vari campi di concentramento in cuifu di volta in volta rinchiuso; ma soprattutto perché glitoccò di morire, per impiccagione, prima che alcuni amicidecidessero di raccoglierle, il 9 aprile 1945, a pochi giornidalla fine della seconda guerra mondiale. Nella sua cellafurono trovate poche cose, gli effetti personali e un paiodi testi emblematici di valori all’apparenza opposti, unacopia della Bibbia e un’antologia di poesie di Goethe: ilmassimo del sacro e il massimo del profano. Un annoprima, rivolto all’amico di sempre, Eberhard Bethge,aveva firmato alcune frasi che ogni tanto, nei momentipiù difficili, mi tornano in mente: «Per me il discorso suilimiti umani è diventato assolutamente problematico... Iovorrei parlare di Dio non ai limiti, ma al centro, non nelledebolezze, ma nella forza, non dunque in relazione allamorte e alla colpa, ma nella vita e nel bene dell’uomo.Raggiunti i limiti, mi pare meglio tacere e lasciare irrisoltol’irrisolvibile... La Chiesa non sta lì dove vengono menole capacità umane, ai limiti, ma sta al centro del villaggio»(lettera del 30 aprile 1944). Bonhöffer, che sarebbe morto neppure quarantenne, nelpieno della maturità umana e culturale, segnalava inquel modo un disagio profondo, che era sì personale egenerazionale, nei confronti di una Chiesa che non avevaavuto il coraggio di opporsi al regime nazista né di tentaredi fermare la Shoà; ma che in realtà sottintendeva la ne-cessità e l’urgenza di andare oltre le letture standardiz-zanti e banali di quali compiti spettino all’umanità sotto

brunetto salvarani | direttore [email protected]

editoriale brunetto salvarani | direttore [email protected]

T @BSalvarani

editoriale

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Il presente «numero programmatico» intende essere una

finestra aperta su ciò la rivista offrirà nell’anno scolastico

2015-2016. È anche un’opportunità per presentare le non

poche novità in arrivo. Tra le novità, nella prima parte della

rivista, la rubrica «FAQ», osservatorio critico di economia e fi-

nanza, prende il nome di «Plusvalori» e continuerà ad essere

curata da Gianni Caligaris. Marco Dal Corso offrirà una ri-

flessione sull’«Ora delle religioni» a scuola, mentre Francesca

Galloni si occuperà di intercultura in una prospettiva psico-

logica in «Intercultura dalla psyco(loga)». Martina Vultaggio

subentra a Aluisi Tosolini nella cura della rubrica «In cerca

di futuro»: ad Aluisi, che per molti anni ha animato da par

suo questa pagina di CEM, va il nostro grazie. Infine, Riccardo

Olivieri offrirà ai lettori una nuova rubrica intitolata «L’edu-

cazione ai tempi del col(l)era»: un gioco di parole che, par-

tendo dal titolo di un famoso romanzo di Gabriel Garcìa Mar-

quez, intende offrire un panorama militante e «dal basso»

del mondo dell’educazione.

La parte centrale della rivista ospiterà sette «dossier» mono-

grafici, che nell’annata 2015-2016 continueranno la riflessione

sul tema del Convegno 2015 di CEM, «Liberare l’umano. Chi

non si rigenera degenera». Scrive Antonella Fucecchi, cura-

trice del «dossier programmatico»: «Il tema della generatività

che abbiamo scelto come percorso si iscrive in un momento

cruciale in cui il CEM si accinge a raccogliere le intuizioni

formative maturate nel cammino degli ultimi anni dedicati

ad affrontare la sfida di educare nella società del rischio.

[...] Abbiamo identificato come guida una frase che riassume

il significato della nostra opzione: “Non ci è concesso lasciare

il mondo così com’è”. È un imperativo ed un monito che ci

proviene da Janusz Korczak [...]. Sono parole - continua l’au-

trice - che contengono molti aspetti della generatività: richia-

mano alla responsabilità, al dovere, ma anche alla creatività

che ogni impresa educativa comporta. Pongono di fronte al

limite della nostra esistenza - lasciare il mondo - e al dovere

di spargere i semi di un cambiamento positivo del quale non

vedremo i frutti. Il «dossier programmatico» offre un’anteprima

dei temi che verranno trattati nel corso della nuova annata.

Il tradizionale inserto al centro del dossier viene collocato nella

parte finale, per non interrompere la lettura del dossier stesso.

Nella nuova annata ci aiuteranno nella riflessione Antonella

Fucecchi e Antonio Nanni, affrontando un percorso a tutto

campo sull’intercultura, partendo dalla considerazione che

oggi il principale obiettivo educativo e politico dovrebbe essere

quello di costruire la convivenza civile nella città plurale, nella

consapevolezza che costruire intercultura è un lavoro paziente,

faticoso e permanente, simile alla democrazia.

Due nuove rubriche caratterizzeranno la terza parte della ri-

vista, «Ecologia e intercultura», a cura di Marco Valli, che in-

tende anticipare i nuovi programmi di educazione ambientale,

e «Letteratura migrante», a cura di Elisabetta Sibilio, che si

propone di far conoscere alcuni capolavori letterari e la magia

di cui essi sono capaci: far nascere nell’immaginazione di chi

lo legge ciò di cui parla, cioè di creare qualcosa dal nulla! La

rubrica bimestrale «Mumble Mumble» di Chiara Colombo e

Fiorenzo Ferrari passa in questa parte della rivista e si alternerà

con la rubrica 2G di Lubna Ammoune. Ringraziamo di cuore

Patrizia Canova e Maria Maura per il loro contributo, nell’an-

nata della rivista appena chiusa, con la rubrica «App-Grade»,

che ha rappresentato una occasione per immergersi nel mon-

do dei social network e nel loro utilizzo a scopo educativo.

Cari lettori, ci auguriamo che continuiate ad apprezzare CEM

Mondialità e che le novità introdotte incontrino il vostro inte-

resse! nnn

I disegni che illustrano il «dossier» sono di Silvio Boselli

Questo numeroa cura di Federico [email protected]

Cari lettori, vi ricordiamo che potete seguire le attività di CEM sul nostro sito internet cem.saverianibrescia.itSiamo inoltre presenti su Facebook f all’indirizzo cemsav

2 | cem mondialità | giugno-luglio 2015

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La partecipazione alconvegno scientifico a Soussein Tunisia intitolato «Ilcristianesimo in Tunisia -Presenza e ambiti di attività»(27-28 maggio 2015) è stataun’esperienza significativa siasul piano intellettuale sia sulpiano sociale.

Il convegno, giunto alla sua quarta edizione, è statoorganizzato dal «Centre de Recherches et des Étu-des pour le Dialogue des Civilisations et des Reli-

gions comparées» facente capo al Ministero dell’edu-cazione superiore e della ricerca scientifica della Re-pubblica della Tunisia, si è posto la finalità di considerareil significato della presenza cristiana in Tunisia nel corsodei secoli. In questo solco i contributi di illustri studiosie ricercatori di diverse università e istituti tunisini hannospaziato dall’ambito storico a quello archeologico e an-tropologico, senza scordare quello religioso e politico.Ho avuto modo di apprezzare l’ampia conoscenza daparte dei relatori, i quali hanno saputo creare un climadi confronto franco e coraggioso in un paese che stavivendo una fase di transizione molto delicata. Uno degli aspetti che merita di essere evidenziato èquello della vivacità che ha caratterizzato i numerosi in-terventi da parte di un pubblico attento e partecipe, com-posto da uomini e donne (velate e non). Ciò a dimostrarela molteplicità di idee e pensieri presenti in una societàspesso rappresentata come monolitica e uniforme.Il mio intervento riguardante il ruolo della Chiesa catto-lica nel rapporto con le comunità di musulmani in Italia,e in particolar modo con la comunità tunisina, ha destatointeresse, tanta curiosità e tante domande, soprattuttosulla natura delle azioni della Chiesa in termini socialie educativi. In questo ambito il mio personale intento,spero riuscito, è stato quello di contribuire alla media-zione e alla trasmissione di conoscenza - in un periodosicuramente non facile - rispetto ad un’esperienza im-portante come quella esercitata dal mondo cattolico.

L’evento mi ha offerto prima di tutto un’opportunitàmolto stimolante, ma anche una sfida non indifferentein quanto per la prima volta dopo tanti anni mi sono ri-trovato a parlare nella mia madrelingua in un contestoaccademico. La possibilità di affrontare e discutere inlingua araba temi sensibili e delicati come quelli trattatidurante i lavori del convegno è stato un generoso donoregalatomi dagli amici tunisini.Infine tengo a sottolineare l’autenticità di un confrontodi cui si sente la necessità, all’interno del quale creareulteriori occasioni per maggiori legami tra le realtà di-sponibili a costruire conoscenze ed a scambiare espe-rienze nell’ambito del dialogo. Spero che il CEM inquesto momento di passaggio e di rinnovamento possafarsi interprete di questo bisogno. nnn

l’altroeditoriale

Tunisiaun contributo per il dialogo

adel [email protected]

P.S. Un giorno dopo aver scritto questo intervento è giuntala tragica notizia dell’attentato a Sousse. Sono le ennesimeimmagini di una carneficina causata dall’impresa multi-nazionale del terrore. Un’impresa che nell’ultimo periodoha presto di mira anche la Tunisia, l’unico paese che finoad ora è riuscito a impostare un percorso di cambiamentoe di riforma necessario per tutto il mondo arabo. Tuttaviasembra che ci sia una volontà di alcuni poteri di impedirela crescita democratica in quella parte del mondo. L’espe-rienza vissuta in Tunisia con l’amico Brunetto Salvarani ac-quisisce perciò un particolare significato e importanza.

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4 | cem mondialità | giugno-luglio 2015

Previdenza sociale. Solo vintage?

Cari amici vecchi e nuovi, eccomi an-cora qui. Anche quest’anno ho cam-biato look e «Plusvalori» prende il

posto di «FAQ», ma sono sempre io, il «mez-ze-maniche» che vi racconta storie di vitae di soldi.La puntata di oggi prende spunto da duefatti, abbastanza recenti, che provengonoda casa nostra e dalla Gran Bretagna, mane parlo dopo. Prima, secondo il mio noiosocostume, vorrei fare un po’ di storia. Occorrerebbe dedicare qualche seria rifles-sione sulla bellezza semantica di un’espres-sione che oggi sembra quasi blasfema:«previdenza sociale». La previdenza, anticavirtù familiare, era diventata consapevolezzapubblica, pratica comunitaria. Le teorie delwelfare, da Keynes a dopo Galbraith , aldilàdelle varie applicazioni pratiche, si fonda-vano sul concetto che la comunità dovessepre-occuparsi delle sorti dell’individuo.Leggiamo la Treccani: «La previdenza so-ciale può definirsi un complesso di attivitàche lo Stato direttamente o indirettamentesvolge per eliminare negl’individui il bisognodi ricorrere alla beneficenza. Suo scopo èprevenire gli effetti della miseria medianteparticolari istituzioni, alle quali vengono in-teressati gli stessi destinatari, attraverso ilrisparmio. Le forme con le quali si compie

l’attività preventiva sono diverse, e ognunarisponde a un fine proprio: ma tutte conver-gono verso le finalità dello Stato che, tra isuoi doveri, comprende anche quello di for-mare la coscienza della previdenza collegatacon lo spirito del risparmio». Si uniscono,quindi, obiettivi sociali e pedagogici.Dal 1898 al 1935, più o meno, viene messoa punto il sistema pensionistico come lo co-nosciamo oggi. Le modifiche recenti, con ilprevedibile codazzo di polemiche, ne hannomodificato le tecnicalità e ridotto spessol’efficacia, ma la filosofia non è cambiata.Durante quei decenni il regime dei contributidivenne obbligatorio ed esteso anche ai la-voratori autonomi e vennero apportati in-numerevoli ritocchi che tuttavia non ne in-taccavano lo spirito.Il quale partiva da un dato di fatto: nel mo-mento in cui un lavoratore doveva abbando-nare l’attività, per il peso degli anni e dellafatica o per infortunio o malattia, sulla portadi casa si stagliava lo spettro della miseria.In quegli anni le donne in grado di percepireun reddito di sussistenza erano un’esiguaminoranza, e per lo più vergognosamentesfruttate. Se non c’era una rete familiare ef-ficace, i vecchi sperimentavano la povertà.Il meccanismo nasceva dall’esempio delleprime Casse Mutue (su base volontaria)

OCCORREREBBE DEDICARE QUALCHE SERIA RIFLESSIONE SULLA BELLEZZA SEMANTICA DI UN’ESPRESSIONE CHE OGGI SEMBRA QUASI BLASFEMA: «PREVIDENZA SOCIALE»

CHI CUSTODISCE ILFUTURO DEI GIOVANISE NÉ L’EDUCAZIONE,NÉ I MODELLICULTURALI, NÉ LELEGGI LI GUIDANO SULSENTIERO CHE PORTAALL’APPREZZAMENTODELLA PREVIDENZA?

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gianni [email protected]

giugno-luglio 2015 | cem mondialità | 5

Italia | Dal primo marzo 2015, i lavoratoridipendenti delle aziende private hanno lapossibilità di farsi liquidare sullo stipendiouna parte del Tfr. L’operazione «Tfr in bustapaga» entra dunque nella fase operativasecondo l’art. 1 della L. 190/2014 (Legge distabilità 2015). Il via libera definitivo, però,arriverà solo con la pubblicazione sulla Gaz-zetta Ufficiale. Precedentemente era giàpossibile avere anticipi sul Tfr (inizialmentesolo per l’acquisto della prima casa o curedentarie della famiglia, poi le maglie si sonoallargate) oppure dirottarlo in parte su fondipensionistici complementari (ma questa erauna scelta «tecnica»). Così invece si puòlucidamente consumare subito una partedi quel «tesoretto» di cui parlavo prima.Entrambe le misure hanno lo scopo con-clamato di incrementare i consumi al finedi accelerare l’uscita dalla recessione checi ha azzannato i talloni negli scorsi anni.In entrambi i casi si istigano i lavoratori aconsumare di più oggi, rinunciando alla pre-videnza per gli anni in cui i loro redditi ca-leranno bruscamente.

nate dal mondo cooperativo, con l’aggiuntadeterminante del contributo delle impresee della gestione statale, centralizzata. Il ri-sultato era che il lavoratore, a fine attività,aveva diritto ad un vitalizio (in parte rever-sibile al coniuge ed ai figli minorenni) pro-porzionato agli anni di lavoro ed all’importodei contributi versati.Nel 1927 fu introdotta una novità: il Tfr (Trat-tamento di fine rapporto). Si aggiungeva unnuovo tassello: per ogni lavoratore dipen-dente ogni anno si doveva accantonare l’im-porto pari ad una mensilità che sarebbestato liquidato (da qui il termine correntedi «liquidazione») a fine lavoro. Al vitaliziopensionistico si aggiungeva quindi un «te-soretto» di risparmio forzoso.Dopo i primi tempi, questo meccanismo alleaziende non dispiacque, poiché l’accumulodel fondo Tfr era per loro una piccola banca,una riserva di liquidità che riduceva il biso-gno di ricorso al credito.Che barba, che noia, che noia, che barba,sbufferà qualcuno. Ma siete sicuri che i no-stri figli ventenni conoscano l’origine e laratio di queste istituzioni?E adesso veniamo alle notizie ed alle con-siderazioni che ne scaturiscono.

Gran Bretagna | La riforma delle pensioni,varata dal governo Cameron, permette aciascun lavoratore, arrivato a 55 anni, di ri-tirare tutto il montante dei contributi previ-denziali annui da lui versati nella propriacarriera. Un quarto del montante sarà taxfree (esentasse), mentre i restanti tre quartisaranno sottoposti a tassazione ordinaria.I critici della riforma Cameron sostengonoche i lavoratori che ritireranno tutti i propricontributi correranno seriamente il rischiodi trovarsi completamente spiantati in etàavanzata.

LA TRAPPOLA DELDOPPIO STIPENDIONella cultura contadina delle mieterre, ciò si definisce: «Magnèr alvitél in t’la pansa d’la vaca»,ovvero mangiare il vitello quandoè ancora nella pancia della mucca.Credo sia autoesplicante.Quanto ciò sia in linea con lacitazione della Treccani, lo lasciogiudicare a voi. Tutto ciò mi porta alla mente unfenomeno rilevato negli USA neiprimi anni 2000, ben prima dellagrande sberla. Nel 2004 duericercatrici americane, ElizabethWarren e Amelia Warren Tyagi,pubblicarono una ricerca intitolataTwo income trap (Ed. Kindle, maitradotta in Italia), «La trappola deldoppio stipendio». La ricercaevidenzia che gli statunitensitendono ad investire in consumi,anche a lungo termine, la maggiorparte dei loro introiti, a volteanche di più, facilitati dall’accessoai mutui ed al credito al consumo.È una versione domestica di unadelle più famose leggi di Peter, inbase alla quale, in un’azienda, «icosti si espandono fino a coprire iprofitti». Una famiglia dellamiddle class con due stipendiaccende il mutuo, cambia lamacchina, manda i figli al college,compra l’home theatre e va invacanza in luoghi esotici, siindebita fino al limite delle propriecapacità di rimborso. La trappolascatta feroce quando uno dei duestipendi viene a mancare el’economia familiare va in default. In estrema sintesi, si rilevava cheuna grande maggioranza di quellefamiglie tendeva a spingere i loroconsumi fino all’estremo limitedella loro piattaforma reddituale,mettendosi in bilico edesponendosi a qualsiasi soffio divento o bradisismo.I nostri giovani già sperimentanola disoccupazione, la precarietà, lacontrazione dei redditi. Giàpossono prefigurarsi l’uscita dalmondo del lavoro in tempi biblici,ma è giusto che ora non ci pensino,negli anni delle energie, degliobiettivi, dei sogni. Ma nelfrattempo chi custodisce il lorofuturo se né l’educazione, né imodelli culturali, né le leggi (e quiscattano le gravose responsabilitàdello Stato) li guidano sul sentieroche porta all’apprezzamento dellaprevidenza?

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bambine e bambinisebi [email protected]

ascuolaeoltre

6 | cem mondialità | giugno-luglio 2015

Dicono che i bambini del terzo millennio siano più fragili di un tempo, qualcuno che non osa dirlo a voce alta li crede superficiali. A me, invece, paiono molto saggi, consapevoli e fiduciosi.

deri in una qualsivoglia formaartistica.Lavorando con una quinta,non mi è stato difficile rac-cogliere le idee. Ho trovatomeravigliose (nel senso chedanno meraviglia) le indica-zioni dei bambini, considera-to che pensiamo che i nostrifigli vivano tranquilli e beatiin una realtà immersa nellabambagia: 28 risposte, 28perle di saggezza, non instil-lata dalla sottoscritta, ma cheuscivano dal cuore e che, ap-pena espresse, potevano ve-nir bocciate dal gruppo inbrainstorming, o confermatein toto. I miei bambini desi-derano essere sani e non mo-rire giovani e questo ci sta,confermato da studi psicolo-gici sulle principali paure nel-l’infanzia; vogliono una fami-glia i cui genitori non litighinoe che non si separino, amicidi cui fidarsi; desiderano nonincontrare mai un bullo ed

«T he broken mirror»(trad. it. «Lo spec-chio dei desideri»)

è un breve romanzo per ra-gazzi dai 10 anni ai 13 anni,il cui autore è Jonathan Coe,nato a Birmingham (RegnoUnito) nel 1961. Attualmen-te vive a Londra, ha insegna-to poesia inglese all’Univer-sità di Warwick, ha scrittomusica jazz ed ha fatto ilcorrettore di bozze, prima didiventare scrittore e giorna-lista freelance.Narra le vicende di una bam-bina di nome Claire lungo ilpassaggio dall’infanzia al-l’adolescenza. A otto anni,tornata dalle vacanze, scappaper non sentire i genitori liti-gare, giungendo ad una di-scarica dove trova il fram-mento di uno specchio. Si ac-corge che ha il magico poteredi trasformare tutte le cosesquallide in un mondo fiabe-sco. Così la casa di Claire di-venta un castello, se osservatanel frammento. La bambinacresce, ma continua a servir-sene. Poco più avanti neglianni, le pare di scorgere inun pub la madre e il padre

che non litigano, anzi si ab-bracciano. Nella realtà, tut-tavia, la persona abbracciataal padre è la sua nuova com-pagna. In breve, infatti, il ge-nitore lascia la loro casa e labambina, un tipetto alla con-tinua ricerca di giustizia chemai crede di ottenere, si ri-trova sola insieme alla mam-ma che, per un certo periodo,è ovviamente bella scontro-setta. Nello stesso tempo, ilragazzo che le piace sta conla sua peggiore nemica,Amanda, che anni primal’aveva fatta sospendere. Clai-re sta, allora, per buttare vialo specchio perché ha capitoche le crea solo illusioni. A

Lo specchiodei desideri

quel punto s’inserisce nellanarrazione Peter, ex compa-gno delle medie, che le mo-strerà il frammento che ap-partiene a lui...

Lo specchio dei desideriva in frantumi

Il racconto intende essere siauna parabola per ragazzi siauna fiaba per adulti, forse ad-dirittura un romanzo di «for-mazione». Appare chiaro ilmessaggio dell’autore: unen-do le forze si può migliorareil mondo e non si deve maismettere di sognare. Questolibro è stato scelto da un bi-bliotecario della mia città cheha chiesto ad un gruppo diinsegnanti di proporlo nelleclassi e di raccogliere i desi-

Ho trovatomeravigliose leindicazioni dei

bambini,considerato chepensiamo che i

nostri figli vivanotranquilli e beati

in una realtàimmersa nella

bambagia

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Bambini del terzo millennioAbbiamo lavorato l’intero anno sul sociale: ilvolontariato, i rifugiati, il razzismo, i Premi Nobel, leorganizzazioni internazionali che si occupano deiproblemi del mondo, così ho deciso di farlipartecipare anche alla riflessione proposta daEmergency sul concetto di benessere, sempresull’onda dello specchio dei desideri. Occorrevacommentare l’affermazione tratta dalla Costituzionedell’Organizzazione mondiale della sanità (Ginevra 22luglio 1946): «La salute è uno stato di benesserefisico, psichico e sociale e non semplice assenza dimalattia». Saranno anche bambini del terzomillennio, quei nativi digitali di cui si dice che, puressendo innatamente esperti di tecnologia, mancanodi contatto con la realtà, ma a me sono parsitenerissimi come o forse più di sempre: il benessere diun bambino secondo loro è la normalità, intesa comequotidianità; che non succeda mai nulla che turbi laserenità (come dargli torto, ma io ho 5 volte i loroanni!); non pare possibile, ma lo spirito di avventuranon è mai stato inserito nel quadro. Benessere èpoter non essere mai preoccupati: nel disegnoillustrativo c’è la macchina della mamma che statornando e il figlio, in casa, che si chiede se arriveràsana e salva (i miei bimbi mi stupiscono per la loroconsapevolezza: sanno di potersi davvero fidare dipoche persone, che i loro genitori sono per lorofondamentali e temono per la loro incolumità). A dieci anni amano incondizionatamente i loro cari:benessere è avere la propria famiglia, aiutare i grandi,sentirsi utili, ricevere apprezzamenti e affetto,imparare a cucinare; è avere un tetto sulla testa ed un letto caldo, fare una gita con i genitori e giocareall’aperto con gli amici, poter confidare i proprisegreti, essere capiti nelle proprie paure; benesseresono la tranquillità, il buon cibo, gli amici, rivedere ipropri cari, stare all’aperto in una giornata di sole,vivere in un posto sereno, cantare, giocare con lanatura, non essere discriminato, poter studiare.

bambine e bambini

andare bene a scuola alle Medie;vorrebbero avere un animale. Tuttosembra semplice, ma poi arriva quel-lo che dice che vorrebbe che i politicifossero onesti e tu credi che gli altribocceranno la sua proposta, inveceno, anzi, tutti d’accordo e ti tiranofuori la storia che i proconsoli romaninelle colonie rubavano tanto quantofanno i politici adesso e tu resti alli-bita di tanta disillusione; tu che lihai fatti scrivere al Presidente dellaRepubblica e che gli hai insegnato iprincipi della Costituzione, purtropponon hai nel tuo arco frecce per scon-figgere questa certezza, che ascol-

Hanno dieci

o centoanni?

Hanno occhi cheguardano

ed orecchieche

ascoltano e sono

inquieti

Una canzone con parole nuove

Avevamo ascoltato un’interessantecanzone di un non sempre originalecantante italiano e, per concludere inbenessere (il cantare lo crea, come hadetto un’alunna), abbiamo cambiato leparole a modo nostro e creato unanuova versione: andate su Youtube,accedete a Esseri umani di MarcoMengoni, però poi cantate i versi che vi suggeriamo qui sotto.Dicono che i bambini del terzomillennio siano più fragili di un tempo,qualcuno che non osa dirlo a voce altali crede superficiali. A me, invece,paiono molto saggi, consapevoli efiduciosi. Non credete? Datevibenessere e cantate con noi.«Ogni persona ha diritto/ alla suaserenità/ deve trovare il benessere/ inogni cosa che fa/ deve goder di unrifugio/ di un letto caldo per sé/ equando a sera ritorna/ trovar buon ciboe anche te/ Credo negli esseri umaniche hanno interesse, interesse per gliesseri umani/ che hanno interesse diessere umani./C’è una giornata di sole,vieni a giocare con me? Sono unbambino qualunque, uno dei tanti,uguale a te. Basta una scatola ampia ela tua fantasia, se ti diverti giocando, ibrutti ricordi potrai mandar via./ Credonegli esseri umani che sanno, chesanno di essere umani/ Credo negliesseri umani che sanno, che sanno siessere uguali./ Per essere umani!/Uncane, una famiglia, la salute serviran/L’amore degli amici sempre allegro tifaran/Un canto, un ballo, un goal e lagiornata brillerà/ e l’odio e la tristezzamolto in fretta spariran/ Credo negliesseri umani, ecc.

tano ogni giorno in tv. Lo specchio deidesideri va in frantumi: un’altra ag-giunge che desidererebbe, da grande,avere un lavoro e dei figli, ma che hasentito che già da adesso è difficiletrovarlo e si chiede come farà. Hannodieci o cento anni? Hanno occhi cheguardano ed orecchie che ascoltanoe sono inquieti. Il più ottimista con-clude il quadro chiedendo la cittadi-nanza per tutti i bambini, intendendocon questa uno scudo protettivo che,a suo pare, li salverà e disegna un pre-sidente che distribuisce passaporti di-cendo «Così sei tranquillo». Quantecose gli ha già insegnato la vita?

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ragazze e ragazzisara [email protected]

ascuolaeoltre

La nostra professione non è per niente facile da svolgere in una società frantumata e composta da individui incattiviti e incapaci di elaborare la complessità.

Scuola-famiglia:allievo, pensaci tu!

no per approfondire ilrapporto Scuola-Famiglia ab-biamo tenuto una serie di in-contri, noi docenti ne senti-vamo la necessità, evidente-mente solo noi. Ci abbiamoprovato: è venuto il Vescovo,un esperto di genitorialità aitempi dei social, ci ha fattovolare Marco Valli del CEMtra Eros e Telemaco, ma tuttosembra invano a fine anno,ci ritroviamo con le pochebadilate di fango che oscu-rano i pochissimi «Grazie».Ho letto troppi post e mes-saggi di genitori amorevoliche mi hanno spinta a sele-zionare la voce «Non seguirepiù» per evitare il «Segnala».

A Paolo B.

«Signora sono preoc-cupata per suo fi-glio: ogni mattina

entra in ritardo in lieve statodi ebrezza...». «Professoressa,si limiti a chiedermi la giusti-ficazione per il ritardo di miofiglio, quello che fa fuori dallascuola non la deve interessa-re». Avevo 14 anni in meno,era uno dei miei primi incari-chi e non sapevo ancora co-me reagire, mi limitai a rac-comandarle la puntualità. Ri-dicolo vero? I dirigenti delle scuole di Par-ma hanno pubblicato un’in-tera pagina sul quotidiano lo-cale per segnalare ai genitoril’uso improprio (o illegale odossessivo) che i loro figli fan-no dei social network, in par-ticolar modo della messaggi-stica via WhatsApp, ma io so-no più tentata di scrivere unalettera ai loro figli. Quest’an-

Io ho un fortelimite: riesco adinsegnare solo

se mi sentomotivata da te,

caro alunno,altrimenti sono

solo un esecutoredidattico, una

dispensatrice dinozioni

Il complessodi Telemaco I ragazzi attuali [...]vivono in questadimensione: nonhanno piùun’autorità con cuiincontrarsi e/oscontrarsi, ne sonoalla ricerca, nelsenso che se sonofortunati trovanoqualcosa, il più dellevolte non trovanouna rispostadefinitiva, il loroOdisseo non torna enello stesso temponon c’è neanche unposto per loro: è una situazioneassolutamentedisperata.

Questione diAutorevolezza

Caro allievo,ti scrivo questa lettera, fer-mati tre minuti, il tempo dellatua attenzione a fine anno,per pensare a come aiutare ituoi genitori e i tuoi docenti,o a scegliere di imparare daloro (o da solo). «Una volta quando ero inquarta elementare ho dettouna brutta parola alla mae-stra. Lei, una buona donna,ha fatto chiamare mia mam-

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giugno-luglio 2015 | cem mondialità | 9

ragazze e ragazzi

gnazione nei confronti delmondo, se augurano male-dizioni alle persone a cui ticonsegnano per la tua edu-

rato che avrei letto i loro post,avrei saputo quanti omicidiavrebbero risolto, quante im-magini simpatiche di gufi in-solenti avrebbero diffuso,quante ricette bioenergeticheavrebbero suggerito, quantedolci parole avrebbero scrittosul mondo, scuola compresa.Stai vicino ai tuoi genitori,sembra che stiano subendoprofonde ingiustizie per espri-mere una così grande indi-

cazione per 5, 8, 13 anni del-la tua vita. Se qualche ma-laugurio ci prende, loro sa-ranno ripagati con una giu-stizia che non conosco, evi-dentemente noi abbiamo col-pe non trascurabili. Alloraaiutaci a capire. La nostraprofessione non è per nientefacile da svolgere in una so-cietà frantumata e compostada individui incattiviti e inca-paci di elaborare la comples-sità. Spiegarti come si è pas-sati dalla mamma di papaFrancesco alla tua non è sem-plice, e temo che se ti scrivessiche è il risultato di anni e annidi attacchi alla scuola e allacultura, al nostro lavoro di in-segnanti e di intellettuali infunzione di un condiviso econtinuo azzeramento delbene comune e dello statosociale.. mi capiresti? Siamoarrivati al paradosso che ri-sorse insostituibili come lascuola e la cultura sono vis-sute da tanti come nemici dacombattere. Ma essere vitti-me della disinformazione sen-za avere la possibilità o la ca-pacità di elaborare un propriopensiero autonomo non sem-pre è giustificabile. Quindi, se a qualcosa sonoservita, spero di averlo fattoperché tu possa dire: «Hopreso una nota mamma, scu-sami, dammi un sarucco (indialetto=sberla in testa) cheme lo merito» anziché restareimpotente davanti a tuo pa-dre che dichiara altisonantedi andare dalla dirigente a la-mentarsi per un tale scanda-lo! Che ora una così potrannofinalmente licenziarla, cam-biarla di sede! nnn

Siamo arrivatial paradosso

che risorseinsostituibili

come la scuolae la cultura

sono vissute datanti comenemici da

combattere

Gratitudine e gratificazioneCaro alunno,

quado siamo scesi dal pullman della gita siete tutti corsidai vostri genitori e solo io e una collega ci siamo dovutefermare 15 minuti perché un genitore era in ritardo, datutti abbiam ricevuto un saluto veloce, di grazie soltantodue, una percentuale un po’ bassa, e quando l’ho fattonotare in classe proprio il tuo compagno di banco mi harisposto «Grazie di cosa? Avevamo pagato per la gita!»,bene, il prossimo anno metteremo in conto lasorveglianza e la responsabilità per la quale non siamopagati, nemmeno una diaria, nemmeno un grazie, cibastava quello. Ma io ti auguro che i tuoi genitori e i tuoiprofessori sappiano guardarti davvero, che, come diceValli, sappiano vedere in te l’unicità che ticontraddistingue, che ti mostrino le tue ombre e le tueluci, che siano lì per te, ma non per difenderti dal mondo,per sgridarti, con amore, accoglienza e disponibilità. Unmio caro professore ci disse un giorno: «Studierete contanto impegno solo quando dovrete prendere lapatente!» invece non è solo così: tu imparerai quando tiinnamorerai di una disciplina, di un autore, di un modo diinsegnare, di sentir pronunciare una formula, un verso,quando riuscirai a capire che il docente che hai davanti èlì per condividere qualcosa con te e non per fregarti comepensa qualcuno. Io ho un forte limite: riesco ad insegnaresolo se mi sento motivata da te, anche da un solo «te»,altrimenti sono solo un esecutore didattico, unadispensatrice di nozioni. So accontentarmi di un grazie e sono pagata per il mio lavoro.Caro allievo, ti auguro di incontrare qualcuno che siacredibile e che tu possa difendere anche davanti alla tuafamiglia. La tua Proffe.

ma. Mia mamma è venuta ilgiorno dopo, hanno parlatotra loro e poi sono stato chia-mato io. Mia mamma davantialla maestra mi ha spiegatoche io ho fatto una cosa brut-ta e mi ha chiesto davanti alei di chiedere perdono allamaestra. Io l’ho fatto e sonorimasto contento, perché erafinita la storia... Ma quelloera il primo capitolo: quandosono tornato a casa, è comin-ciato il secondo capitolo...immaginatevi voi». Lo ha rac-contato Papa Francesco, tisembra un racconto surrealeforse? Se tu avessi una mam-ma come Bergoglio! Dovrestiessere così felice e grato allavita, ma sii paziente, puoi aiu-tare anche tu gli adulti ad es-sere educatori più efficaci ecompetenti.Mi hai scritto ieri che ti sentitirato da due parti, un bracciolo tira la famiglia, l’altro lascuola e tu ti senti spesso la-cerato in due senza poter an-dare avanti, poi mi hai pre-sentato un bellissimo disegnoche ti rappresenta sotto for-ma di freccia: la mamma è lamano che tende la corda eio prof sono l’arco che si flet-te, tutte e due lavoriamo perproiettarti verso il tuo futuro.Io ci provo, te lo garantisco.Ma non è facile. Ti faccio unesempio: sono io ad occupar-mi della pagina Facebook del-la tua classe e, essendo neo-fita, mi ero preoccupata solodi proteggere la vostra privacyselezionando le impostazioni«Visibile solo agli amici», at-tivando amicizie solo tra al-lievi e genitori che me lo chie-devano. Non avevo conside-

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generazione yantonella [email protected]

ascuolaeoltre

Il giornalista Hrant Dink è la voce di chi ha scelto di essere armeno e cittadino turco, adoperandosi per la costruzione di una società inclusiva e plurale.

L’inquietudine della colombaIl martirio di Hrant Dink

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Pietre sul cuore

Il centenario del GrandeMale, il genocidio armenoavvenuto nel 1915 ad

opera del partito nazionalistadei Giovani Turchi, ha susci-tato reazioni contrastanti: do-lore di aver rimosso nel silen-zio un evento terribile, maanche varie resistenze a rico-noscerne la natura di proget-to attuato con spietata fero-cia. La prima vera strategia disterminio pianificata comepulizia etnica non può essereconsiderata un effetto colla-terale della Grande Guerra,ma l’espressione di un nazio-nalismo destinato a produrreeffetti tragici nel secondoconflitto. Negare questa ve-rità storica significa evitare difare i conti con la realtà. IGiovani Turchi aspiravano alrecupero dell’identità nazio-nale turca attraverso un pro-cesso di brutale eliminazionedelle minoranze fastidioseche avrebbero intralciato laloro riunificazione con gli an-tenati dell’Asia centrale. Gliarmeni cristiani, colti, agiati,espressione di una élite intel-

Il libro«L’inquietudinedella colomba»documenta unavita interamentespesa per favorirela convivenzapacifica traturchi, curdi earmeni

ascuola

eoltre

lettuale vivace, ben voluti aCostantinopoli, erano la vit-tima ideale. Il genocidio fuattuato per gradi e con pre-meditazione: prima la sop-pressione dei maschi adulti,poi la deportazione delledonne, dei vecchi e dei bam-bini e delle bambine, desti-nate a sorti orribili. Sfrattatidalle loro abitazioni, i carricarichi di profughi vengonospinti alla cieca verso il de-serto siriano di Deir Zor. È ladeportazione circolare: non

esistono campi di concentra-mento: la strada e il viaggionel nulla uccidono senza trac-cia. Un milione e duecento-mila armeni hanno subitol’annientamento così o sonostati spinti dalle montagnecon i loro carri nell’Eufrate. Isoli dervisci e i sufi di Konia,grazie alla loro santa autore-volezza, imposero alle popo-lazioni locali di offrire soccor-so ai deportati, come ricordaAntonia Arslan nel romanzoLa masseria delle allodole1.

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generazione y

La trebbiatrice e il solco del dialogo

Il libro, una raccolta di articoli ed in-terviste, documenta una vita intera-mente spesa per favorire una crescitacomune che aprisse spazi di condivi-sione e di convivenza pacifica tra tur-chi, curdi e armeni. Dink lo sostiene inmolte dichiarazioni nelle quali emer-gono trasparenza e onestà intellettua-le: «Deve esserci libertà di espressione.Una Turchia che non riesce a parlarecon se stessa non avrà nulla da direagli armeni» (13 febbraio 2006).La sua testimonianza trae la forza e laresilienza nella grande saggezza delpopolo armeno, sintetizzata in unaneddoto che tante volte il CEM hausato per illustrare in chiave narrativale tematiche affrontate nelle ultimeannate. In un villaggio presso Sivasnell’aprile del 1915 arriva il decreto diespulsione; ma un anziano sta ripa-rando la sua trebbiatrice. I figli lo invi-tano a prepararsi per la partenza. «Su,papà, andiamo», poi arrivano le nuore.«Papà, è tardi, dai!». Ma l’anziano re-

plica: «Figli miei, se la trebbiatrice re-sterà qui, resteranno qui anche le mes-si. Non va bene lasciare questa treb-biatrice rotta. Noi partiremo, e al no-stro posto arriverà qualcun altro, bi-sogna tagliare le biade. Forse quelliche verranno non sapranno ripararla,e il raccolto andrà perduto, figlio mio».In questo aneddoto è condensato tut-to l’iter filosofico del secondo Nove-cento: l’etica della responsabilità (H.Jonas), la capacità di cura (E. Pulcini),l’umanizzazione del lavoro, la preoc-cupazione per il futuro, la generatività,una incrollabile fiducia nell’umanità, ilsenso del limite, la generosità, l’estremadignità nel fare il passo indietro senzaserbare rancore. C’è l’umiltà di una vitanobilitata dal farsi carico del rapportotra le generazioni e dal passaggio diun testimone di pace e di rispetto.Questi racconti, sottolinea Dink, «pu-rificano l’anima». Se la gente di Tur-chia, i curdi, gli armeni avessero usatola trebbiatrice di quel vecchio falciandole messi, ora non esisterebbe più nes-suna questione armena o curda. Nelsuo cammino verso una società inclu-siva, Dink s’impegna per il riconosci-mento del genocidio armeno e dei di-ritti delle minoranze ed incappa nellemaglie del famigerato art. 301 del Co-dice penale turco, che prevede il car-cere per chi offenda l’identità turca,rimanendo in prigione sei mesi. Dinkaffronta con inesausta passione perla verità anche questo passo: «Possovedere me stesso nell’inquietudine psi-cologica di una colomba, ma so chein questo paese gli uomini non toc-cano le colombe. Le colombe condu-cono la loro vita fin nel cuore dellacittà, tra le folle umane. Sì, con unpo’ di paura, ma con quale libertà».Sono le sue ultime parole scritte il 12gennaio. Muore raggiunto da tre colpialla gola presso la redazione di Agosil 19 gennaio 2007. nnn

1 Edito da Rizzoli, Milano 2004. Dal romanzo iregisti Paolo e Vittorio Taviani hanno tratto un filmdal medesimo titolo, uscito nelle sale nel 2007.2 Edito da Guerini e associati, Milano 2008.

I testimoni Il silenzio è stato infranto tardivamenteda libri che hanno consegnato alla Storiale storie di sopravvissuti, eredi del dolore.La cortina della rimozione ha cedutoliberando le memorie sommerse eavviando finalmente una laboriosarielaborazione. L’urlo muto delle vittimeha prodotto una serie di testi disorprendente e rara efficacia. Uno diquesti, Il mio nome è Heranush, Aletedizioni 2007, descrive la vicendaavvenuta alla giornalista turca FethiyeCetin, che scopre la vera identità dellanonna soltanto quando sta per morire:era armena, scampata al genocidio dabambina, adottata da una famigliamusulmana per farne una cameriera.Questa storia getta una luce inquietantesulla sorte delle orfane chiamate «il restodella spada» o «il sangue guasto».Heranush per sopravvivere ha accettato lasua condizione rimanendo se stessa, conresistenza e resilienza straordinarie, finoin fondo. Ma la nipote è costretta arivedere tutti i suoi parametri identitari,ripercorrendo le tappe esistenziali diHeranush, islamizzata a forza, ma nelprofondo cristiana ed armena. La nonnaha conservato con tenacia il suo segreto,decidendo di consegnare solo in extremisla sua eredità alla nipote più amata.Nonostante il Grande Male abbiaoriginato una diaspora nel continenteeuropeo e in quello americano, moltiarmeni superstiti e figli di scampatihanno accettato la sfida di restare inTurchia: il giornalista Hrant Dink è la vocedi chi ha scelto di essere armeno ecittadino turco, adoperandosiincessantemente per la costruzione diuna società inclusiva e plurale: pionieredel dialogo interculturale, necessariosoprattutto al popolo turco oppressodalla censura e dal controllo, Dink creauna testata giornalistica, Agos (Il solco),che ha diretto fino al giorno della suamorte avvenuta per mano di un fanaticoturco nel 2007. Il primo giornale armenoturco ha visto crescere il numero diredattori, giovani, impegnati, turchi edarmeni insieme, a rigenerare la società,offrendo una speranza al futuro.Un’occasione straordinaria che èsopravvissuta al suo fondatore, il cuisacrificio è stato narrato in un testo, daltitolo L’inquietudine della colomba. EssereArmeni in Turchia2.

Il genocidioarmeno fu attuato per gradi e conpremeditazione

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ora delle religionimarco dal [email protected]

ascuolaeoltre

Perché parlare di religioni (anche a scuola)

Serve ora dire le ragionidi questa interpellanzaeducativa rappresentata

dal pluralismo religioso. Lofacciamo con le parole im-prestateci da Rubem Alves.Esse ci aiutano a capire nonsolo l’inevitabilità del mondodelle fedi, ma anche la suaimportanza educativa.In primo luogo, la religione èdestinata a permanere: inquanto esperienza di senso,di fortezza, di salvezza, comeappello alla speranza. Essa,

La religione è destinata a permanere: in quanto esperienza di senso, di fortezza, di salvezza, come appello alla speranza.

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Crisi della religione?

infatti, con le parole di Alves:«Non si elimina con l’astinen-za dagli atti sacramentali el’assenza di luoghi sacri, cosìcome il desiderio sessualenon si elimina con il voto dicastità. Quando il dolore bus-sa alla porta e le risorse dellascienza si esauriscono, nellepersone si risvegliano i veg-genti, gli esorcisti, i maghi, icuratori, i benedicenti, i sa-cerdoti, i profeti, i poeti… Ilmondo non si è secolarizzato,piuttosto gli dei e le speranzereligiose hanno assunto nuovinomi, nuovi sviluppi e i lorosacerdoti e profeti nuovi pa-ramenti, nuovi luoghi e nuoviimpieghi».Se è così, in secondo luogo,non c’è crisi della religione,quanto piuttosto delle formestoriche delle religioni, perché«l’uomo permane come es-sere-di-desiderio perché ca-rente, privato di qualcosa equalcuno; oltre al bisogno difame, di sesso, c’è in lui an-che quello di senso, perchénon è il dolore che disintegrala personalità, ma la dissolu-zione degli schemi di senso...Fino a quando questo desi-derio non si realizza all’uomonon resta che cantarlo, dirlo,celebrarlo, scrivergli poesie,

ecco allora la sfera dei simboliche rispondono ad un tipo dibisogno forte quanto il sessoe la fame: il bisogno di viveredentro un mondo che abbiasenso».Allora la fame spirituale del-l’umanità è vera, viva e pre-sente nel mondo attuale. In-fatti: «Ai fedeli poco importache le loro idee siano corretteo no, l’essenza della religionenon è l’idea, ma la forza. Ilfedele che è entrato in comu-nione con il suo Dio non èsemplicemente un uomo chevede verità nuove che il mi-scredente ignora, egli è di-ventato più forte, sente in sépiù forza sia per affrontare lesofferenze della vita che persuperarle, il sacro non è uncircuito di saperi, ma di po-teri»2.Siamo, quindi, di fronte adun cambiamento d’epoca, adun futuro iscritto nei sognireligiosi. nnn

Non c’è crisidella

religione,quanto

piuttosto delleforme

storiche dellereligioni

1 Ci riferiamo al dibattito sul pluralismoreligioso e la scuola ospitato dai media(radio e giornali) dopo i fatti parigini diinizio anno a cui anche il CEM ha pro-vato a dare il suo contributo, vedasi ilnumero del mese di febbraio 2015.2 Le citazioni qui liberamente riportatesono tratte da Rubem Alves, Religione,EMI, Bologna 2007.

A leggere le cronache, sembra questa la stagione incui il dibattito attorno al pluralismo religioso e, comesua declinazione pedagogica, all’insegnamento dellereligioni a scuola, non si limiti ad auspici, ma siachiamato a fare proposte da sperimentare1. Anche ascuola, dove le sperimentazioni non mancano. Dopo,infatti, aver provato a descrivere e confrontare «isaperi religiosi nelle scuole del mondo» (2014-15),questa rubrica intende approfondire la «pedagogicainterreligiosa» come contribuito al dibattito in corso.Cui anche il CEM partecipa, e non da ora, in vistadella scuola che verrà: quella dove la diversità, anchereligiosa, è diventata paradigma educativo. Ma perquesto occorre formarsi.

ascuola

eoltre

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giugno-luglio 2015 | cem mondialità | 13

Metodoe sensibilità

È auspicabile irrobustire una sensibilità volta all’inclusione per chi potrebbe già incarnare la diversità, in quanto non-italiano e/o alunno problematico.

vinzione) intenti educativi di-versi che rispondono a piùcomplessi sistemi valoriali: lalibertà d’espressione dei bam-bini e la co-costruzione di co-noscenza per la maestra sem-brano richiedere l’accettazio-ne di qualunque pensiero,mentre per la famiglia il ri-spetto delle differenze fon-dato sul non-etichettare e sulvalorizzare le risorse di tuttiè non solo una priorità, maanche un traguardo a cui glieducatori devono tendere. Igenitori si aspettano che i do-centi guidino gli alunni tantonell’apprendimento linguisti-co quanto in comportamentiprosociali, così come cercanodi fare con pazienza nell’am-bito familiare. Come si noterà, tuttavia, ladimensione interculturale siaffaccia anche dal momentoin cui i commenti - veritierima negativi - sono riferiti aminori di origine straniera.Non sappiamo quali siano laragioni dei comportamenti di

intercultura dalla psyco(loga)francesca [email protected]

ascuolaeoltre

Aziz e Zoe, né gli effetti ditali frasi a livello psicologico(come loro e le loro famigliepossano vivere tutto ciò) ededucativo (il lavoro scolastico,se visto, diventa lo spunto peraffrontare la questione o as-sume valore punitivo? E mol-te altre domande si aprireb-bero al proposito). Pensandoagli studi sul minor peso so-ciale delle famiglie immigratenelle scuole italiane3, si puòipotizzare che i genitori deibambini citati non contestinoquanto scritto. Tuttavia, sel’attenzione alle profezie chesi autoavverano e alle rappre-sentazioni sociali che possanogenerarsi riguarda tutti glialunni, a maggior ragione perchi potrebbe già incarnare ladiversità, in quanto non-ita-liano e/o alunno problemati-co, è auspicabile irrobustireuna sensibilità volta all’inclu-sione. Dando per certa labuona fede della maestra, ladomanda che resta aperta èquanto basti affidarsi ad unbuon metodo educativo oquanto serva accompagnarloa una riflessione costante elucida. nnn

1 La storia è reale, i nomi sono inventati. 2 F. Gobbo, a cura di, Il cooperative le-arning nelle società multiculturali, Uni-copli, Milano 2010; C. Pontecorvo etal., a cura di, I contesti sociali dell’ap-prendimento, LED, Milano 1995.3 R. Ricucci, Andare a scuola nell’eradella knowledge economy, in F. Galloni,R. Ricucci, Crescere in Italia, Unicopli,Milano 2010.

bilmente, se ci fosse questoconfronto, potrebbe stupirsiper il fatto che non si apprez-zi un lavoro collettivo e par-tecipativo della classe, fruttodell’elaborazione di impor-tanti modelli teorici2. Potremmo già fin qui definireinterculturale la portata di ta-le fatto: maestra e madre, ita-liane, fanno propri (presumi-bilmente con passione e con-

Maestra e madre,italiane, fanno propriintenti educatividiversi che rispondonoa più complessisistemi valoriali

Lia1, una brillante bimbadi prima elementare,legge dal suo quader-

no: «Lia ha i pattini; Aziz nonfa i compiti; Zoe disturba»…Vi è un pensiero per ognicompagno, inventato daglialunni e dettato dalla mae-stra. La madre è contrariataperché alcuni tratti salienti in-dicati dai bambini non sonopositivi, anzi le paiono giudi-zi, antitetici al rispetto del-l’altro. La donna chiede: «Chilegittima il bullismo?» La suanon è una provocazione, èuna domanda allarmata dichi nota un crescente aumen-to di prepotenze e intolleran-za e crede che gli adulti deb-bano prevenirlo. Poiché Liaprecisa che le frasi rappresen-tano la realtà (Aziz davveronon fa i compiti e Zoe distur-ba), la famiglia teme pure chesi crei uno stigma già in primaelementare. La mamma ha lasensazione che il metodo sco-lastico stia offuscando il suoe la rabbia non le permettedi confrontarsi con la mae-stra: neppure immagina unaragione plausibile per un taledettato. La docente, proba-

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Il Tfa, la buona scuola,la testa ben fatta

in cerca di futuromartina [email protected]

ascuolaeoltre

Forse ci voleva la frenesia della mia vita di questi ultimi anni per capire appieno le parole di Edgar Morin: «meglio una testa ben fatta che ben piena».

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vi sottostava: inclusione, di-ritti, welfare. Con la crisi pur-troppo alcune delle realtàcooperative in cui ho lavoratohanno mostrato il loro verovolto: la mission sulla carta èla dignità dell’utente, ma perquanto riguarda il lavoratore,la sua retribuzione e i suoi di-ritti, sono affari suoi. Ho vistoconquiste date per assodatediventare dei privilegi: malat-tie, ferie, maternità. Potevoscegliere: rimanere a combat-

Faccio parte, da dicem-bre, della schiera di per-sone che «fanno il Tfa»:

si stanno abilitando per averequalche chance di accedereall’insegnamento, a quelmondo che oggi porta inpiazza le proprie ragioni e cheio, da novellina, posso solointuire. Noi nella riforma cheverrà, la «buona scuola», nonsiamo nemmeno citati.Il mio approdo al porto dellascuola non è stato indolore.Ho sempre fatto l’educatrice,lavorando in contesti varie-gati: minori difficili, famigliea rischio, disabili, anziani. Hocercato linguaggi per metterein comunicazione il mio mon-do e quello dei miei utenti;per motivare a pensare che aqualsiasi problema ci fosseuna via d’uscita, non sempreriuscendovi. Nell’ultimo anno,sempre meno: difficile riuscirea comunicare la speranza ver-so il futuro quando la preca-rietà dei miei contratti nonpermetteva di sapere nem-meno se io e la persona cheavevo davanti ci saremmo vi-sti il mese successivo. Hoamato il mio lavoro e l’ideadi giustizia che a mio parere

tere senza nemmeno i pre-supposti contrattuali per far-lo, o guardare ad altro. Hoscelto di darmi altre possibi-lità e ho tentato il primo,grande test a crocette voltoa scremare i futuri professori.Contro ogni previsione l´hopassato! Ho studiato mesi emesi per uno scritto ed unorale tesi ad appurare le mieconoscenze su tutto lo scibileumano in materia di psico-logia, pedagogia, filosofia,sociologia e antropologia; adaspettare il decreto governa-tivo che dava il via libera aicalendari accademici delleprove, a partecipare ad an-siogeni gruppi facebook peraspiranti tieffini. Infine l’iscri-zione (2500 euro), e i corsi,l’esame sui suddetti corsi, iltirocinio a scuola. Il tirociniodi 190 ore, no 75, no solo20, che in ogni caso è tardiper iniziare, chiudiamo in oc-chio, ah no lo prevede la leg-ge, tranquilli. In ogni caso,ho scelto una scuola serale,dove gli alunni che ho cono-

Ho tentato ilprimo, grandetest a crocette

volto ascremare i

futuriprofessori.

Contro ogniprevisione l’ho

passato!

sciuto non sono altro che tan-te belle persone in cerca diuna chance per potersi diplo-mare: anche loro in cerca difuturo.La testa ben fatta: ho iniziatoad apprezzare Edgar Morinsolo ultimamente. Mi è sem-pre stato antipatico in quantoincomprensibile. Forse ci vo-leva la frenesia della mia vitadi questi ultimi anni per ca-pire appieno le sue parole:meglio una testa ben fattache ben piena. In altre parolela mia generazione di inse-gnanti, la 3.0, deve saper co-gliere complessità, inadegua-tezza, ed espansione incon-trollata dei nostri saperi. Ladomanda principale che misi pone è: Edgar, intendevianche per caso il fatto che seuno ha in mente le cento co-se che deve fare per tirare acampare, non ha tempo perpensare se non all’immediatacontingenza, e quindi nonriuscirà ad avere una testaben fatta, con ogni cosa alsuo posto?Riflettiamoci. Nel mentre, sein sala insegnanti trovate uncollega disteso sul divano (inogni sala insegnanti c’è undivano, ho imparato!) con gliocchi persi nel vuoto, o sul-l’orlo di una crisi di nervi, ab-biate pietà: sta facendo il Tfa,e probabilmente ha anche lagran fortuna di riuscire adavere una supplenza nel men-tre. Non ti curar di lui, maguarda e passa. nnn

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verso i quali l’individuo ritrovanella propria azione quell’oriz-zonte più ampio in grado didotarla di senso, offrendole lanecessaria dimensione proget-tuale. Bisogna rafforzare la co-munità, ricostruirla, rianno-dandone i fili: la scuola in que-st’opera è insostituibile. Edu-care non è solo formare. Edu-care è costruire insieme iden-tità e futuro.Una comunità educante èdunque una comunità checonsente tempi e luoghi ove

«Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madrili danno alla luce, ma [...] la vita li costringeancora molte volte a partorirsi da sé»

Gabriel García Márquez,«L’amore ai tempi del colera»

L’educazione intercultu-rale pare abbia persole coordinate, aggredi-

ta dalle stragi francesi, dal cy-berbullismo, dalla mafia ci-nese, dai naufragi nel medi-terraneo e dal corollario me-diatico che le spinge in testaal nostro immaginario. Perdirla come Marianella Sclavi1,la mancata esplicitazione del-le domande implicite, che na-scondono iceberg culturali dicui riusciamo a cogliere soloepifenomeni emersi, è l’osta-colo contro il quale sta im-pattando il vecchio Titanicdell’identità culturale occi-dentale. Perse nel naufragioappaiono mission e vision, inuna scuola che sembra tra-

giugno-luglio 2015 | cem mondialità | 15

processi (di confronto e dibat-tito) possano avere luogo3. Èuna comunità ove al concettodi solidarietà si affianca, finoad integrarlo, quello di parte-cipazione. Allora il legame checi lega all’altro non è solo cu-ra, ma è curiosità, desideriodi conoscenza, responsabilità.La responsabilità diffusa diuna società di relazioni. Unacomunità ed una città edu-cante è quella che educa i pro-pri cittadini, ma che si fa an-che educare, cambiare daipropri cittadini.Da tale riflessione nasce que-sta rubrica che parla di co-munità, di ricostruzione dellereti, della voglia di condivide-re, conoscere e relazionarsicon l’altro, dell’importanza dialimentare la nostra socialitàe vivere i territori, il costruireun modo di vivere altro cheparli di mutuo/aiuto, che met-ta in relazione competenze econoscenze, supporto e so-stegno, che riaffermi la par-tecipazione attiva alla costru-zione di comunità, alla ricercadi un sistema virtuoso che su-peri il concetto di integrazionee costruisca l’immaginario delfuturo. nnn

1 M. Sclavi, Arte di ascoltare e mondipossibili. Come si esce dalle cornici dicui siamo parte, Bruno Mondadori, Mi-lano 2003.2 F. Ravaglioli, prefazione, in G. DalleFratte, Studio per una teoria pedagogicadella comunità, Armando, Roma 1991,pp. 9-15; p. 12).3 H. Gardner, Cinque chiavi per il futuro,Feltrinelli, Milano 2014.

Intercultura dove vai?ripartire dalla comunità

Una comunità ed una città educante è quella che educa i propri cittadini, ma che si fa ancheeducare, cambiare dai propri cittadini.

l’educazione ai tempi del col(l)erariccardo olivieri - silvia [email protected]

ascuolaeoltre

volta da incalzanti sollecita-zioni vissute spesso comesuoni misteriosi (e paurosi) inun bosco notturno. La scuola per ritrovare il suosenso profondo e la sua le-gittimità più piena deve ritro-vare il suo ancoraggio alla co-munità. La comunità è una ri-sorsa pedagogica fondamen-tale che la scuola deve coglie-re come tale facendola diven-tare pienamente opportunitàformativa. Radicando la scuo-la nella comunità, la si rituffa«nel mondo vitale degli inte-ressi e delle emozioni»2.La scuola diventa istituzione ingrado di rivitalizzare la comu-nità, sorreggendo i processi didemocrazia comunitaria attra-

Educare non èsolo formare.

Educare è costruire

insieme identità e futuro

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dovrebbero essere inseriti mo-duli di cultura religiosa, per-ché non si può capire Dante,piuttosto che Mafhuz, senzaavere, almeno, le conoscenzefondamentali delle religioni diappartenenza.La cultura è anche cultura re-ligiosa, perché le religioni per-meano le nostre società, nelbene e nel male, e non pos-siamo prescindervi. Se noi eu-ropei «non possiamo non dir-ci cristiani», altri potranno di-

saggezza follemarco valli - osel [email protected]

ascuolaeoltre

L’analfabetismo religioso è un ostacolo al dialogo interculturale e interreligioso, ma anche allo sviluppo di una coscienza critica nei confronti delle religioni e della società.

Poco tempo fa ho assi-stito ad un buffo e tra-gico dialogo fra un ra-

gazzino delle scuole medie emio figlio (che ancora fre-quenta le elementari). Il ra-gazzo, reduce dalla prima co-munione o dalla cresima,spiegava il sacramento rice-vuto in questo modo: «Hofatto quella cosa, sai, quellache serve per potersi sposarein Chiesa…».Che un ragazzino non abbiacapito nulla di ciò che stavafacendo è plausibile, il pro-blema è che questa ignoran-za è diffusissima e coinvolgetutte le generazioni, senza ec-cezioni, dando la sensazionedi un vero e proprio analfa-betismo religioso. I miei stu-denti sanno poco o nulla del-le religioni altrui e pochissimo(e spesso mal compreso) dellaloro (che magari praticanopure), ma i miei colleghi nonsono messi meglio, spesso ca-pita di sentire banalizzazionio scorrettezze lapalissiane.Vito Mancuso ha propostol’introduzione dell’ora di reli-gioni, io ritengo che anche intutte le discipline umanistiche

Culturae religione

re altrettanto dell’islam, del-l’induismo, ecc. Che credia-mo o pratichiamo oppure noè ininfluente, le religioni fan-no parte del nostro bagaglioculturale e del nostro incon-scio collettivo, quindi sarebbesaggio conoscerle per megliocapire noi stessi e il mondoche ci circonda.Spesso mi trovo, in classe, adovermi soffermare a spiegareil cristianesimo o l’islam, perpoter far comprendere autorio passaggi storici, a fronte diuna completa ignoranza an-che degli aspetti più comunidel credo religioso. Eppurequesti ragazzi hanno seguitoil catechismo, spesso frequen-tano l’ora di religione cattoli-

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ca… perché non sanno nulladi cosa è un dogma o dellagerarchia ecclesiastica? Comeposso spiegare la riforma diLutero se non sanno quali era-no i punti controversi?È tempo di riflettere su que-sto analfabetismo religioso,che diventa un ostacolo aldialogo interculturale e inter-religioso ma anche allo svi-luppo di una coscienza criticanei confronti delle religioni edella società. Questa cancel-lazione della cultura religiosafiglia, forse, di un laicismomiope o di una superficialitàottusa, è dannosa e sicura-mente impoverisce le nuovegenerazioni che finisconosempre più per vivere in unmondo monodimensionalesenza saper più cogliere lesfumature.Io, come insegnante, conti-nuerò a fermarmi a spiegarei principi basilari delle varietradizioni religiose... ma forseè il caso che tutte le agenzieeducative comincino a farsenecarico e a pensare seriamentea questo problema. nnn

Che crediamo opratichiamooppure no èininfluente, lereligioni fannoparte del nostrobagaglioculturale e delnostro inconsciocollettivo

Come possospiegare la

riforma diLutero ai miei

studenti senon sanno

quali erano ipunti

controversi?

ascuola

eoltre

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NUMEROPROGRAMMATICO2015-2016

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Il tema della generatività che abbiamo scelto come per-corso della rivista si iscrive in un momento e in una fasecruciale in cui il CEM si accinge a raccogliere le intuizioni

formative maturate nel cammino degli ultimi anni dedicati adaffrontare la sfida di educare nella società del rischio. Abbiamoindividuato, di volta in volta, stili di comportamento e scelte divita: la resilienza come capacità di fare tesoro di un traumasuperato, reagendo con passione; il bisogno di rifondare unpatto generazionale per ritrovare una alleanza tra età anagra-fiche sempre più lontane; abbiamo attraversato la stagionedell’indignazione per affermare l’urgenza dell’impegno attra-verso una ridefinizione della cittadinanza glocale.L’ispirazione artistica ci ha permesso di oltrepassare le tenebreper cogliere i presagi dell’alba, mentre gli ultimi temi dei benicomuni e dei beni relazionali hanno accentuato la consape-volezza di dover assumere nei confronti del reale e del presente

un atteggiamento che coniughi responsabilità e cura perchéle nostre relazioni, le nostre reti di senso sono preziose efragili, hanno bisogno di una custodia assidua e di una atten-zione costante, specie in tempi di crisi protratta.Abbiamo identificato come guida una frase autorevole cheriassume il significato della nostra opzione: «Non ci è concessolasciare il mondo così com’è». È un imperativo ed un monitoche ci proviene da Janusz Korczak, il pedagogista, educatoredeportato a Treblinka dal ghetto di Varsavia con gli orfani chenon aveva voluto abbandonare, pur essendogli state apertemolte vie di scampo grazie alla sua fama internazionale. Sonoparole che contengono molti aspetti della generatività: richia-mano alla responsabilità, al dovere, ma anche alla creativitàche ogni impresa educativa comporta. Pongono di fronte allimite della nostra esistenza - lasciare il mondo - e al doveredi spargere i semi di un cambiamento positivo del quale nonvedremo i frutti. Rimandano alla necessità di non operare dasoli perché siamo nel mondo non come monadi, ma comecomunità responsabile e vigilante. Il cuore vigile è il titolo diun testo di Bruno Bettelheim dedicato al totalitarismo ed èl’unico antidoto alla narcosi collettiva, all’appannamento dello

NUMEROPROGRAMMATICO2015-2016

ANTONELLA FUCECCHI

GENERATIVITÀNON CI È CONCESSO LASCIARE IL MONDO COSÌ COM’È

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spirito critico: nei momenti di maggiore sofferenza, (il mondocosì com’è) ci vuole una maggiore dose di coraggio, la ca-pacità di osare e di acuire la vista profetica, unita alla sag-gezza di saper lasciare, sia come ritiro volontario, sia comeconsegna. Lasciare è anche trasmettere una eredità, pre-occuparsi responsabilmente di chi verrà dopo.L’appello di Korczak ha, quindi, una grande forza generativa:scuote dal torpore, impedendo due atteggiamenti e duetentazioni: adeguarsi al clima imperante trasformandoci incomplici apatici della dissoluzione, oppure ripiegarsi inuna dimensione elitaria privata, rinunciando alla parteci-pazione e alla condivisione.

INVERTIRE LA ROTTA

Dove i più vedono crollo, rovina, abisso, Korczak vede im-pegno e cambiamento, parole adatte ai nostri tempi diso-rientati dal vuoto che le crisi croniche e strutturali aprono:

ABBIAMO IDENTIFICATOCOME GUIDA UNA FRASEAUTOREVOLE CHERIASSUME IL SIGNIFICATODELLA NOSTRA OPZIONE:«NON CI È CONCESSOLASCIARE IL MONDO COSÌCOM’È». È UN IMPERATIVO E UN MONITO CHE CI PROVIENE DA JANUSZ KORCZAK, IL PEDAGOGISTA,EDUCATORE DEPORTATO A TREBLINKA DAL GHETTODI VARSAVIA CON GLIORFANI CHE NON AVEVAVOLUTO ABBANDONARE,PUR ESSENDOGLI STATEAPERTE MOLTE VIE DISCAMPO GRAZIE ALLA SUAFAMA INTERNAZIONALE

dossierNUMERO PROGRAMMATICO 2015-2016

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dossierLIBERARE L’UMANO. CHI NON SI RIGENERA DEGENERA

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la voragine inghiotte sistemi, abitudini, atteggiamenti conso-lidati. È la fine delle certezze, il tracollo di un modello inter-pretativo del reale e delle reti di senso che incessantementecostruiamo; il vuoto è risultato di una deflagrazione a volte ra-pida, a volte approdo di una lunga agonia. Eppure proprio inquesta afasia, nel dolore della fine, nello squarcio è attuabileun’opera di rigenerazione profonda dell’immaginario, una ri-significazione, una nuova costruzione di senso. Solo nel vuotoè possibile generare ancora e si può essere di nuovo liberi.In questa condizione si ha la concreta opportunità di invertirela rotta, di riprogettare modelli alternativi di socialità, di eco-nomia, di politica, sgombrando il campo dalle macerie, utiliper capire come e dove si è aperta la crepa. La prima opera-zione da compiere è riprendersi il tempo, rallentare il ritmo,mollare la presa, accettare il necessario cambio di passo perripartire.Rigenerarsi non è salvare il salvabile, o riformare o guarireun tessuto necrotizzato: ripristinare il vecchio illudendosi diprogettare il nuovo è un pericolo se non si ha il coraggio e lalibertà di osare.La generatività è fortemente collegata con la libertà: ne rinnoval’immaginario individuando percorsi di liberazione e di rico-struzione. Fondata sulla scelta di un volontario decentramento,essa è generosa e geniale insieme: sceglie di dare e non diprendere, e lo fa con piglio creativo, innovativo.

BIBLIOGRAFIA MINIMA

Sono reperibili una serie di fonti nei siti www.generatività.it inwww.benecomune.net, www.welfaregenerativo.it

L. Bruni, Ripensare la natura e la funzione del profitto per un’eco-nomia di mercato post capitalistica, in www.generatività.it

P. Cappelletti, Il lavoro generativo in www.benecomune.net (14luglio 2014)

S. Gheno, La formazione generativa, Franco Angeli, Milano 2010

M. Magatti, L.Gherardi, Una nuova prosperità. Quattro vie peruna crescita integrale, Feltrinelli, Milano 2014

M. Magatti, C. Giaccardi, Generativi di tutto il mondo unitevi! Ma-nifesto per la società dei liberi, Feltrinelli, Milano 2014

F. Mello, Un altro blog è possibile, Imprimatur, Reggio Emilia 2014

L. Toschi, La comunicazione generativa, Apogeo, Milano 2011

LA GENERATIVITÀ SI TRADUCE IN UN MODO DI VIVERE E DI EDUCARE CHE È:

z METODO DI FECONDITÀ (NON INTESA COMEPROLUNGAMENTO DELL’EGO) z STILE DI CREATIVITÀ (NON FINALIZZATOALLA PRODUTTIVITÀ CONSUMISTICA)z COSTRUZIONE DI ALTERNATIVE POLITICHE,ECONOMICHE E SOCIALI A PARTIRE DALBASSO, DA NOI.

L’IO GENERATIVO È LIBERO DALLA DITTATURADELL’EGO E DEL CONSUMO: FA COINCIDEREAUTOREALIZZAZIONE E PROMOZIONE DELLECONDIZIONI CHE PERMETTONO ALLA VITA DIESPRIMERSI E DISPIEGARSI, CREANDO LEPREMESSE PER LA VALORIZZAZIONE DELLESUE POTENZIALITÀ. È DISPOSTO ARINUNCIARE PER ARRIVARE AD UNA IDEA DICRESCITA DIVERSA, PIÙ SOBRIA, FRUGALE, MA CAPACE DI FELICITÀ.È CON QUESTA CURVATURA CHE LA RIVISTAINTENDE DECLINARE IL TEMA DELL’ANNATA,ARTICOLANDOLA IN SETTE DOSSIER CHEESPLORANO CONDIZIONI E SITUAZIONI,AMBITI E CONTESTI IN CUI È NECESSARIOTORNARE AD ESSERE FECONDI, PERSCOPRIRE CHE SOTTO LE MACERIE STA GIÀ PER GERMOGLIARE IL SEME DELLA RINASCITA.

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GENERATIVITA’E CRISI

NESSUNA PAURACHE MICALPESTINO,CALPESTATA,L’ERBA DIVENTA UNSENTIERO BLAGA DIMITROVA poetessa bulgara

noranza, ha trasformato il piacere in godimento sfrenato e co-atto. La crisi è il tempo del discernimento: il verbo greco krinoda cui deriva significa anche giudicare, evidenziare una lineadi discrimine. Coniugare crisi e creatività è una opportunitàda cogliere, in ambito sociale e politico perché offre possibilitàche nessuna riforma garantisce. Il salto della discontinuitàsgombra il campo e indica un panorama svuotato. È il regnodel caos, inteso nella sua accezione etimologica come spazioaperto, dal verbo spalancare. La crisi ci libera dall’autarchiae dall’autosufficienza, dalla solitudine monadica, ci rende ge-nerativi perché ci restituisce il desiderio sano di futuro: «ge-nerare implica saper vedere… riconoscere ciò che ha un po-tenziale, capire in quali condizioni si può sviluppare e poiesercitare l’immaginazione e la speranza, con competenzaed attenzione» (Chiara Giaccardi). Essere fecondi, capaci diprogetti, di permettere al nuovo di realizzarsi tramite noi, pro-prio attraverso la rinuncia ad una visione autocentrata, il co-siddetto «nichilismo sorridente» dell’individualismo (M. Ma-gatti, C. Giaccardi). Solo in questo modo possiamo esseredavvero liberi: la libertà non è compiuta finché non è condivisa,è un progetto relazionale, si costruisce insieme.

dossierNUMERO PROGRAMMATICO 2015-2016

V iviamo una fase di metamorfosi radicale che sta attac-cando il tessuto antropologico sul quale abbiamo co-struito una rete di riferimenti, coinvolgendo in un gorgo

unico scenari sociali e culturali. Tutto ci costringe di fatto acambiare. In questo consiste l’aspetto generativo della crisi:ci rende più liberi e ci offre la possibilità della ricostruzione.La libertà è un tema da risignificare perché siamo prigionieridi un mito della libertà identificata con l’illusione dell’illimitataespansione del Sé. La libertà, dopo aver animato le grandibattaglie del ventesimo secolo, si è trasformata in una nuovae più radicale forma di schiavitù che ha ucciso il desiderio,confondendo la sua carica eversiva con lo spreco, l’abuso eil consumo. Questo accade quando viene meno la vigilanza eun processo creativo all’inizio non ha mantenuto la rotta e lacarica in modo inerziale. L’eterogenesi dei fini fa sì che unprocesso non rettificato seguirà una traiettoria curva e ricadràsu se stesso, pervertendosi: un abuso della libertà ha reso idiritti conquistati privilegi acquisiti e appannaggio di una mi-

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dossierLIBERARE L’UMANO. CHI NON SI RIGENERA DEGENERA

GENERATIVITA’ ED ETA’DELLA VITAHO PENSATO DI VOLER MORIRE\MA POI HO INIZIATO A SCRIVERE POESIE….\ SI PUÒ AMARE ANCHE A NOVANTOTTO ANNI!\VORREI ANCHE SOGNARE\ E SALIRE SULLE NUVOLE! SHIBATA TOYO, poetessa giapponese

Si può tornare ad essere generativi solo attraversoun percorso di liberazione da altri falsi miti, quellidell’adolescenza e della giovinezza infinita. La crisi

infrange lo specchio delle mie brame e costringe ad os-servare i segni del passaggio della vita, accettando tuttele sue stagioni feconde. Saggezza impone di vivere il li-mite come opportunità di essere se stessi al tempo giustoe al momento giusto. Il limite è il punto dal quale si iniziaad esistere, perché definisce e rende capaci di interve-nire sulla realtà. Non abbiamo un altro tempo. Se nonora, quando? In un’ottica di generatività, è fondamentaleavere la coscienza dei passaggi, delle stagioni esisten-ziali. Questa è un dimensione che il mito greco affida algrande potere del femminile adulto. Le tre Parche oMoire sono le tre dee delle leggi della vita che esse am-ministrano attraverso la tessitura. Cloto intreccia, Lachesistabilisce la parte, Atropo, l’ultima, l’Inflessibile, recideil filo. Sta a noi decidere come rendere significative lestagioni della nostra vita, tutte uniche, ricche di poten-zialità e generose. Dobbiamo reimparare a farlo, smaltitala sbornia dell’individualismo egoistico, per recuperareil senso della vita:

z accogliere tutte le età e la saggezza che contengono,valorizzandole con empatia come espressione di un per-corso unico ed irripetibile.z aggiornare la nostra idea di humanitas troppo legataalla verticalità dell’uomo vitruviano, includendo nel nostroimmaginario altre icone di umanità: quella del neonato,quella dell’anziano che ha bisogno del bastone, quellacurva, femminile, della madre che si volge al bambino:essere inclinati verso l’altro, spostare il baricentro, caricala nostra umanità di generatività.

Dan Mac Adams individua tre caratteristiche della ge-neratività: è comportamento e scelta di vita: dare e farcrescere; un valore per offrire e trasmettere quanto siproduce; la matura consapevolezza di essere inseriti inun anello della sequenza generazionale.

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Generare è una caratteristica dell’età adulta maschile efemminile, la fine della condizione di chi attende solo sod-disfacimento: è un passaggio difficile se l’io è preda delmito dell’autocontemplazione. Come Narciso e Telemacoil puer non cresce mai: invecchia senza diventare maturo,conservando tratti di infantilismo e dipendenza e nonriesce a vivere una relazione piena. Per essere generativioccorre farsi carico: Ulisse che accoglie il padre Laertecon pazienza rispetta la vita anche nella sua ultima stagioneed è capace di riconoscenza, di gratitudine, onorando latarda età del genitore. Occorre riconciliarci con le fasiestreme della vita, apprezzando la ricchezza della me-moria, il dono del racconto. Avere dei nonni biologici oadottivi da accudire non limita la nostra produttività, maaumenta la nostra umanità. Si può essere fecondi solo fa-cendo morire l’ego prepotente per imparare a lasciarespazio all’altro: mettere al mondo indica una feconditànon solo biologica, e non è appannaggio di un sola età,perché ogni età ha la sua stagione di produttività, di gra-tuità. La poetessa giapponese scopre la vena poetica anovantotto anni con il suo libro Se sei triste, guarda ilcielo. Muore nel 2013 piena di vita, a 101 anni. In Giapponeha venduto due milioni di copie.

PER ESSEREGENERATIVI OCCORREFARSI CARICO: ULISSE

CHE ACCOGLIE ILPADRE LAERTE CONPAZIENZA RISPETTA

LA VITA ANCHE NELLASUA ULTIMA

STAGIONE ED ÈCAPACE DI

RICONOSCENZA, DIGRATITUDINE,

ONORANDO LA TARDAETÀ DEL GENITORE

dossierNUMERO PROGRAMMATICO 2015-2016

LA GENERATIVITÀ ÈFORTEMENTECOLLEGATA CON LALIBERTÀ: NERINNOVAL’IMMAGINARIOINDIVIDUANDOPERCORSI DILIBERAZIONE E DIRICOSTRUZIONE.FONDATA SULLASCELTA DI UNVOLONTARIODECENTRAMENTO,ESSA È GENEROSAE GENIALEINSIEME: SCEGLIEDI DARE E NON DIPRENDERE, E LO FACON PIGLIOCREATIVO,INNOVATIVO

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dossierLIBERARE L’UMANO. CHI NON SI RIGENERA DEGENERA

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Educare è un’attività generativa per definizioneperché è collegata con il verbo duco, che si-gnifica guidare; il prefisso e, ex indica l’idea

di uscita da una condizione, e di conquista di unospazio di autonomia: l’apprendistato per diventareadulti ha nella specie umana un livello tale di com-plessità da richiedere un investimento di risorse pro-tratto per anni. In questo campo i formatori sono chia-mati alla difficile impresa di rimettere al mondo moltevolte le persone in crescita affidate alle loro cure. Edu-care è un’impresa titanica che esige una capacità diaccoglienza e di dono quasi inesauribile. Eppure iformatori sperimentano il limite e il termine delle ri-sorse necessarie. Non si può essere sempre generosisenza ricaricarsi e rigenerarsi: la generatività diventauno stile formativo se sappiamo partire da noi stessie rimetterci al mondo, rieducandoci incessantemente.In questa particolare congiuntura storica significaprendersi cura dell’altro là dove è più urgente, dovela sofferenza è maggiore.

PER ESSERE GENERATIVI OCCORRE:

z assumersi la responsabilità del dialogo educativoresponsabile, autorevole e non compiacente;

GENERATIVITA’ ED EDUCAZIONEL’AUTORITÀ OGGI NELL’ERAORIZZONTALE,NON PUÒ CHE PASSAREDALL’AUTOREVOLEZZA DELLA TESTIMONIANZA. NON MANCANO CERTO GLIESPERTI, GLI SPECIALISTI. MA OGGI ASCOLTIAMO IMAESTRI SOLO SE SONOTESTIMONI. SOLO SE PARLANO CON LA LORO VITA.M. MAGATTI, C. GIACCARDI

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Nel ventunesimo secolo il fattore R dimostra che Dionon è morto e che il potere del sacro è estremamentevitale. La globalizzazione, il meticciato di civiltà, e i

fenomeni reattivi del localismo e del neotribalismo stanno in-terpretando le religioni come baluardi identitari di straordinariapotenza simbolica e forza di aggregazione; sono i monoteismiad essere più drammaticamente colpiti dall’accelerazione deiprocessi di cambiamento. Le fedi, e non le teologie, sonochiamate ad un confronto obbligato che impone di contrastareil fanatismo e l’uso strumentale del divino chiamato in causanell’esplosione di conflitti di natura politica o economica cuila diversità delle confessioni religiose può offrire una coperturaideale. In queste congiunture tragiche gli educatori, i respon-sabili e le autorità sono chiamate a molte sfide che richiedonocreatività e generosità:

z operare una decostruzione dell’identità religiosa fanaticache s’impone come unica depositaria della verità, ammettendo

z alfabetizzare emotivamente gli adolescenti peraiutarli ad elaborare criticamente le turbolenze dellaloro fase evolutiva, cercando con loro «le parole perdirlo»; z sostenerli nel percorso di identificazione perchéapprendano a contenere e gestire l’aggressività ele pulsioni violente, a sopportare i distacchi e le se-parazioni, a reagire dopo un insuccesso;z acquisire le competenze per riuscire a sostenereil conflitto, rivalutandolo senza rimuoverlo.

Come afferma Ugo Morelli, «le luci e le ombre del-l’anima devono essere guardate in faccia e compresese si vuole creare una scienza ed una prassi delconflitto». Mettere in evidenza la generatività delconflitto è un prospettiva educativa poco praticata,invece nelle dinamiche gestionali del conflitto edu-cativo le differenze in gioco possono accedere aduna visione ulteriore che ridefinisce entrambi gli at-tori, a patto che l’educatore sia in grado di ricono-scere in sé anche le emozioni negative, le sue proprieombre: aggressività, cinismo, a volte indifferenza.Un educatore è sempre solo e fuori tempo e nonpuò cavalcare le mode: come la scuola, è necessa-riamente anacronistico, ma impegnato in uno scam-bio relazionale intenso e continuo; un adolescentedifficile è in grado di metterci al tappeto con mossesemplici, mirando dritto alla nostra vulnerabilità. Laprospettiva generativa permette di rialzarsi e di con-tinuare ad esserci. Come sostiene Pietropolli Char-met, il giovane Narciso, fragile e spavaldo, non trovapiù padri da abbattere, ma solo figure complici senon rivali. Per essere generativi occorre, invece, es-sere credibili e autorevoli. Occorre sgombrare il campo da alcuni equivoci: ilfilm L’attimo fuggente ha reso indimenticabile il do-cente che salta sui banchi incitando i ragazzi alla ri-volta in nome della passione antiautoritaria; eppurela sua è una scelta non generativa. Vediamo perché:il docente spinge i ragazzi alla ribellione che luistesso alla loro età non è riuscito a portare a compi-mento; agisce tramite loro i conflitti irrisolti con l’au-torità, pur sapendo che il prezzo più alto lo paghe-ranno gli ipersensibili (uno di loro si suiciderà). Nonsolo: l’espulsione dal college libererà lui, ma non isuoi alunni che, privi di una guida, sono esposti aduna solitudine senza conforto. Un educatore generativo sarebbe rimasto accantoa loro per sostenerli nel difficile percorso, rinuncian-do al protagonismo per condividere lo sforzo di re-silienza, e promuovere la loro autostima ed autoef-ficacia, ben sapendo che l’apprendistato al collegerappresenta l’occasione per imparare ad affrontarnealtri nel corso della vita.

dossierNUMERO PROGRAMMATICO 2015-2016

GENERATIVITA’ E RELIGIONEUN’ESPERIENZA UMANAINTEGRALE DEVECONTEMPLARE TUTTE E TRE LE DIMENSIONI DI CUI È COSTITUITA: SENSIBILE,INTELLETTUALE E SPIRITUALE.SENZA APERTURA AL MISTERO, NON C’È ECCEDENZA EDUNQUE NON C’ÈGENERAZIONE, NÉ BIOLOGICA,NÉ SIMBOLICA. RAIMON PANIKKAR

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quali è migliorare se stesso, piuttosto che imporre conversioniforzate ad altri;z rinnovare l’immaginario di pace che ogni messaggio reli-gioso porta con sé, valorizzando il grande tesoro di saggezzacui le fedi possono attingere nella loro tradizione, ridandovoce ai mistici, ai poeti, agli asceti, a coloro che hanno praticatola meditazione, o hanno compiuto gesti di straordinario co-raggio, come Francesco d’Assisi in Terra Santa.

Fare proprie le convinzioni di base stabilite dal Parlamentomondiale delle religioni nel 1993:

z nessuna sopravvivenza del nostro pianeta senza un ethosglobalez nessuna pace tra le nazioni senza pace tra le religioniz nessuna pace tra le religioni senza dialogo tra le religioniz nessun dialogo tra religioni e culture senza ricerca di base z nessun ethos mondiale senza un mutamento di coscienzadi religiosi e non religiosi.

LA GLOBALIZZAZIONE, IL METICCIATO DI CIVILTÀ, E I FENOMENI REATTIVI DEL LOCALISMO E DEL NEOTRIBALISMOSTANNO INTERPRETANDO LE RELIGIONI COMEBALUARDI IDENTITARI DI STRAORDINARIA POTENZASIMBOLICA E FORZA DI AGGREGAZIONE; SONO I MONOTEISMI AD ESSERE PIÙDRAMMATICAMENTE COLPITIDALL’ACCELERAZIONE DEIPROCESSI DI CAMBIAMENTO

che nessun messaggio religioso esaurisce la complessitàdell’umano così come nessuna cultura può pretendere di direl’ultima parola sull’uomo. Assorbire la grande lezione dei pio-nieri del dialogo interreligioso come Panikkar e acquisire unavisione planetaria come suggerisce il Parlamento delle religioni(1993) promosso da Hans Küng;z fare proprio il primo precetto fondamentale: non uccidere,ma difendere la vita in quanto comunque dono, energia erogatagenerosamente da un ente creatore e non proprietà privata,puntando non sulla disputa dottrinaria, ma sull’identificazionedei tratti comuni e condivisibili di un’etica planetaria (la Wel-tethos) scegliendo la nonviolenza;z rigenerare il dialogo interreligioso attraverso una quotidianapratica di ascolto e di rispetto reciproco che coinvolga nonsolo i teologi o le grandi autorità, ma alimentata anche dalbasso tra ministri del culto e fedeli nei luoghi di incontro e discambio;z non usare l’appartenenza religiosa come arma letale innome di un malinteso senso dell’identità, ma educare allaconvivenza e alla gestione condivisa e responsabile delle ri-sorse, degli spazi pubblici, dei tempi del sacro e della festain sinergia con le autorità e con la società laica, sapendo disvolgere un ruolo spesso insostituibile nella tenuta della coe-sione sociale;z non impostare sul proselitismo attivo e militante il proprioservizio: un buon fedele ha altre e più impegnative responsa-bilità sul fronte della testimonianza, la più importante delle

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dossierNUMERO PROGRAMMATICO 2015-2016

GENERATIVITA’ E MASSMEDIAHO VISSUTO IL SOGNOCHE IL WEB CON LE SUECARATTERISTICHE DIORIZZONTALITÀ,TRASPARENZA,COLLABORAZIONE,PARTECIPAZIONE,POTESSE CAMBIARE IL MONDO. FEDERICO MELLOgiornalista e blogger

E ssere generativi in questo ambito non significa incrementarel’avanzamento tecnologico o sviluppare app, ma piuttosto in-terrogarsi sul ruolo e sul servizio che i mass media possono

svolgere per favorire la rigenerazione sociale della quale si ha bisogno.Le reti virtuali possono tramutarsi in reti sociali poi operative? Possonoessere impiegate per definire nuova rotte educative? Siamo davveropiù informati o più frastornati? Come difendersi dal diluvio di falsenotizie, fake che hanno però il potere di muovere consensi o sollevareonde di disapprovazione? Ma soprattutto: esiste una vera democraziadella Rete? Viviamo in un’epoca che i social network hanno abbondan-temente colonizzato se non infestato, imponendosi come new media ecome infaticabili produttori di notizie, ma spesso ci sfuggono i rapidicambiamenti del web: infatti, «da strumento di conoscenza orizzontalee aperto a tutti sta sempre più diventando il motore del turbocapitalismoin cui il marketing è la cifra di tutto», come afferma Federico Mello nelsuo testo Un altro blog è possibile, Imprimatur editore 2014. L’apparenteprotagonismo partecipativo che i social permettono stanno rendendoquasi obsoleta la funzione del giornalista di professione che appare«lento» perché opera una scelta critica, vaglia le fonti, controlla, analizzae poi divulga. Questi passaggi selettivi non possono avvenire nelle dif-fusioni di tipo virale. Di fronte all’incalzare dei fatti o fattoidi e dellainarrestabile diffusione di ogni tipo di dato che, vero o falso, fa scaturirereazioni a catena, è necessario produrre anticorpi. Per un uso generativodei media occorre tenere presente che:

z non è possibile un impiego neutrale dei cosiddetti new media: un like o ununlike possono provocare effetti dalle ricadute imprevedibili;z nel web nulla si cancella ma tutto fluttua e può essere recuperato: i nostridati sono di fatto pubblici: siamo mappati, tracciati, identificati e catalogati;z dal punto di vista educativo lasciare un minore solo a spasso per la reteequivale a farlo camminare di notte sul ciglio di un’autostrada; occorre un’eticadella navigazione che fornisca bussole e strumenti di orientamento;z gli adolescenti sono particolarmente vulnerabili: il cyberbullismo crea disaginotevoli e può operare nell’anonimato; proteggendo i responsabili e isolandole vittime, produce una tale onda di vergogna e sofferenza da indurre alsuicidio chi ne è colpito.

I new media rappresentano una nuova frontiera dell’educazione in-giustamente sottovalutata per scarsa avvedutezza dai formatori sfa-voriti dal digital divide e restii a considerare il web un nuovo ambito,a navigare per educare. Occorre favorire un approccio ben ponde-rato all’uso responsabile dei media dei social attraverso l’alimenta-zione di uno spirito critico e selettivo che operi una cernita accuratadelle informazioni:

z formare ad un impiego eticamente corretto di tali strumenti, valorizzando illoro potere pervasivo e la carica creativa che possono sprigionare;z disciplinare l’impiego compulsivo di questi mezzi, sia per informarsi siaper comunicare ed alternare la loro fruizione con il ricorso a fonti di informazionediversa;z riscoprire il valore di un contatto diretto, visivo, tattile, con l’interlocutore e imembri dei social: un emoticon non basta, neppure una nuova serie di stic-kers;z imparare a elaborare i propri vissuti emotivi, specie se negativi, ricorrendoad una verbalizzazione più articolata dei 140 caratteri, imparando il buon usodella discrezione e non diffondendo dati personali, immagini che potrebberomettere a repentaglio o in pericolo la propria reputazione o quella degli amici;z imparare a disconnettersi.

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La generatività si coniuga efficacemente anche con altri ambitidi costruzione e di relazione più duramente colpiti dal tracollo:l’economia e il lavoro. Un approccio generativo sprona al-

l’innovazione e alla gestione responsabile delle risorse e delle op-portunità. In questi settori la generatività può esplicare meglio ilsuo potenziale innovativo che, grazie alla crisi, consiste, piuttosto,in una revisione radicale dei principi e delle fondamenta dell’im-presa. Recuperare il senso del lavoro, rigenerarlo in una formaspazio/tempo nuova, sono secondo alcuni autori, obiettivi importantiper declinare la prospettiva generativa: Luigino Bruni sottolineala necessità di conciliare realizzazione ed autorealizzazione, maanche di scegliere un approccio olistico perché buon tenoreeconomico e salute finanziaria coincidano anche con il benessereglobale del lavoratore non degradato a mero strumento produttivo.La crisi offre l’occasione per riformare lavoro ed economia, de-caduto il capitalismo selvaggio e il neoliberismo.

dossierLIBERARE L’UMANO. CHI NON SI RIGENERA DEGENERA

L’istituto Luigi Sturzo nel suo sito www.generatività.it evidenziaquali sono i criteri della generatività:

valore ed intraprendenza: consiste nell’iscrivere lo slancio imprenditorialeall’interno del cerchio dei valori orientati al vero, al bello, al buono morale;coniuga profitto ed utilità comune, rivitalizzando la radice etimologica del-l’interesse come esse-inter, stare dentro, immergersi nella fatica e nel rischio.Recuperare il senso della communitas, della partecipazione dal basso;innovazione e mobilitazione: dopo la crisi la ripartenza deve far leva nonsul ripristino del vecchio, ma sulla promozione del nuovo, delle risorsedimenticate, rimuovendo tutti gli ostacoli che ne hanno impedito l’efficacia,significa fare il passo indietro, essere disposti a ricominciare in una pro-spettiva diversa;fedeltà e fiducia: sono termini impiegati in ambito economico soltanto nel-l’ottica di mercato, come espressione di un’attività finalizzata al profitto; ilpensiero generativo, invece, li risignifica capitalizzando le risorse umane,considerando ricchezza vera il benessere delle relazioni che è un bene nonacquistabile, ma si moltiplica dividendolo. Non separa il lavoro dalle storie,dalle memorie e fa tesoro delle esperienze, alimenta una visione del futuronon fondata sulla rottamazione, ma sulla solidarietà generazionale;adeguatezza e riformismo: sono atteggiamenti che permettono di operarecon un’ottica di confronto con la realtà, attraverso un’autoanalisi che mo-nitori dinamicamente i processi in corso riconducendo entro limiti eticiaccettabili la competitività;affettività e desiderio: si tratta di requisiti raramente declinati in modovirtuoso in ambito lavorativo, spesso la carica pulsionale è piegata aduna circolarità egoistica: la rivalità, l’invidia sfrenata, il cinismo, l’ambizionecorrodono le reti relazionali favorendo mobbing ed emarginazione dellavoratore più anziano o introducendo discriminazione di genere;sensibilità e sostenibilità: è il lavoro concepito come atteggiamento dicura e di rispetto per i beni comuni, la loro fragilità e la loro non rinnovabilità,non considera opzionali le scelte etiche che consentono di evitare sprechi,che sanno investire in progetti calibrandone l’impatto ambientale;resistenza e sacrificio: sono aspetti dell’impresa spesso sottovalutati ointerpretati come ostacoli, espressione di un successo mancato o di unadisfunzione; in realtà sono il lievito di ogni autentica impresa che abbiail futuro come orizzonte, come obiettivo l’umanizzazione dei processi ela partecipazione come valore aggiunto. Solo il sacrificio e la correttapercezione del limite possono garantire una vera duratura rinascita.

GENERATIVITA’ ED ECONOMIA/LAVOROLA SOSTENIBILITÀ SOCIALE,FINANZIARIA ED AMBIENTALEDELLA CREAZIONE DI VALOREECONOMICO È LA SFIDAPRINCIPALE DELLA SOCIETÀGLOBALE. È SU QUESTO TERRENOCHE DOBBIAMO MISURARE LANOSTRA CAPACITÀ GENERATIVA. L. BECCHETTIdirettore del sito www.benecomune.net

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Bisogna, insomma, prendere atto – come ha affermatoLucrezia Pedrali – che la parola «intercultura» non è piùdi moda e che a scuola prevalgono «dispositivi» di ognitipo, piuttosto che «pensieri» di apertura, perché ormaila preoccupazione più diffusa è quella di controllare in-vece che di accogliere.Lo stesso Davide Zoletto ha confidato di usare sempredi meno la parola intercultura perché è diventata «vuota»e rischia forse di legittimare anche certe impostazionisemplificatrici che risultano, alla fine, controproducenti.Dobbiamo guardarci bene soprattutto dal «culturalismo»poiché il ricorso alla cultura non dovrebbe essere maiutilizzato come una demarcazione della differenza, so-prattutto nel tempo delle «seconde generazioni».Oggi il principale obiettivo educativo e politico dovrebbeessere quello di costruire la convivenza civile nella cittàplurale, nella consapevolezza che costruire interculturaè un lavoro paziente, faticoso e permanente, molto similealla democrazia. Facendo ricorso ad un’efficace metafora,Alessio Surian ha affermato che l’intercultura dovrebbeavvalersi non tanto dell’illusionismo di Don Chisciottequanto del realismo di Sancho Panza. L’intercultura si

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a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI14

DALLA SCUOLA ALLA CITTÀ… AL MONDO DIGITALE

Gli inserti che verranno pubblicati nella prossimaannata CEM 2015-2016 si propongono di ri-prendere un cammino iniziato oltre 20 anni fa,

se è vero che fin dal 1995 abbiamo promosso la fortunatacollana EMI dei «Quaderni dell’interculturalità» (trentaagili volumetti con la copertina blu), cui fece seguito lacollana «Interculturarsi» (una dozzina di volumi).I nostri lettoti sanno bene che la rivista CEM Mondialitàreca come sottotitolo, non a caso, «il mensile dell’edu-cazione interculturale», e che più volte il nostro movi-mento si è interrogato con seminari di studio e di for-mazione sullo sviluppo dell’interculturalità oltre e aldi là della scuola. Anche recentemente (18 aprile 2015)a Brescia si è tenuto un incontro con numerosi parte-cipanti intitolato proprio «Intercultura, dove vai?»1, conl’intervento di Davide Zoletto (Università di Udine) edi Alessio Surian (Università di Padova). Aprendo l’in-contro Brunetto Salvarani ha osservato, opportunamen-te, che la cosiddetta «fase due» dell’intercultura cheera stata annunciata dieci anni fa, nel 2005, non solonon è mai decollata ma negli anni successivi si è re-grediti alla «fase zero»!

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l’accoglienza, ma la cultura della cittadinanza attiva edemocratica.Sarebbe del tutto anacronistico e anti-storico cercare diarrestare il meticciamento in corso facendo leva sul ri-torno alle identità monolitiche e alle culture separate. Ilmeticciato segna la fine di ogni apartheid culturale.Dobbiamo aprirci ad una nuova visione del mondo e la-sciarci alle spalle la mentalità che faceva coincidere illuogo con l’identità e il territorio con la cultura. È tempodi aprirci all’inedito, senza paura.

L’intercultura per il CEM non è un «optional», ma la sua «mission»Sotto la pressione dei flussi migratori, delle tecnologiedigitali e della globalizzazione tutte le città italiane sonosempre più caratterizzate dal pluralismo culturale, etnicoe religioso. A questo pluralismo indiscutibile non corrisponde, però,ancora una ben definita via italiana all’integrazione in-terculturale. Sappiamo invece con certezza che altrove imodelli sperimentati, in Europa e nel mondo fino ad oggi,come il multiculturalismo o l’assimilazionismo, si sonorivelati approcci non adatti alla gestione delle differenzeculturali. Dobbiamo avere, dunque, il coraggio di puntaresull’interculturalità, consapevoli però che le strategie in-terculturali sono efficaci soprattutto quando evitano diseparare gli individui in mondi culturali autonomi e im-permeabili, promuovendo invece il confronto, il dialogoed anche la reciproca trasformazione, per rendere possi-bile la convivenza ed affrontare gli eventuali conflitti.

costruisce coltivando il «sentimento dell’ignoranza», noncerto la spavalderia di chi pretende di insegnare qualcosa.Per questo il CEM deve evitare di abbandonarsi ad uno«schiacciamento buonista», perché un simile atteggia-mento finisce soltanto per incoraggiare il clima di rigettoverso gli «stranieri» e peggiorare la situazione.

Il giro di boa dell’intercultura:dalla scuola alla cittàDeve essere chiaro che se oggi rilanciamo ancora unavolta il tema dell’intercultura dobbiamo evitare di ripeteregli errori del passato. Ad esempio, l’educazione e la scuolasono momenti importanti per costruire l’intercultura,ma assolutamente insufficienti. Occorre chiamare incausa la politica (le politiche di integrazione) e la città.Bisogna traslocare il compito di costruire interculturadalle aule scolastiche a tutti i luoghi della città, poichéil cambiamento sociale non avviene nell’educazione manella vita quotidiana. In questo senso non basta più de-finire l’intercultura (riduttivamente) come «nuova nor-malità dell’educazione», ma come spazio plurale e acco-gliente della convivenza civile. Ad essere centrale non èpiù la pedagogia, ma la politica; non più la cultura del-

Deve essere chiaro che il CEMMondialità per le sue caratteristiche

costitutive e identitarie tiene asottolineare che l’interculturalità ha

un fondamento teologico, oltre cheantropologico e pedagogico

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comunità diverse tra loro: famiglie provenienti dall’Eu-ropa orientale si affiancano a migranti, profughi, rifugiati.La condivisione di luoghi e di servizi può costituire unafonte di attrito e di conflittualità pericolosa: le varierealtà presenti sul nostro territorio, infatti sono chiamatead interagire in primis con istituzioni e realtà italiane,ma sono impegnate anche a rapportarsi tra loro in uncrescendo di potenziale estraneità ed incomprensioneche soltanto la sottoscrizione di un ethos pubblico con-diviso può regolare per impedire che si trasformi in an-tagonismo distruttivo. Tra le competenze necessarie ricordiamo: alimentare il dialogo e sceglierlo come unica strategia

possibile nel tempo; sviluppare abilità negoziali nel caso di controversie; rispetto dei principi della Costituzione; abitare il conflitto per contenere le derive antagoni-

stiche senza temerlo.

Acquisire le competenze interculturali necessarie peraffrontare queste aree di condivisione diventa indispen-sabile per prevenire lacerazioni difficilmente reversibilidel tessuto sociale e per abitare una polis plurale, me-ticcia, postmoderna. Molti sono gli ambiti in cui possonosorgere dispute o perplessità ermeneutiche: permettereo no ai sikh di portare il kirpan, il coltello rituale? Qualirichieste di riconoscimento dei diritti culturali possonoessere accolte e quali respinte? In che misura tenereconto di alcune restrizioni o consuetudini o tabù relativial corpo in caso di interventi chirurgici o cure mediche?Come affrontare il complesso patrimonio simbolico dipazienti psichiatrici ed individuare efficaci strategie te-rapeutiche?Tali competenze richiedono una formazione costanteed un aggiornamento continuo in ambiti non necessa-riamente formativi: le carceri, le questure, i centri sportivi,gli ambulatori, i luoghi di sepoltura. È in queste situazioniche si giocano le sfide più urgenti: permettere la parte-cipazione, esercitare responsabilmente la cittadinanza,

In definitiva, si tratta di costruire un nuovo approcciointerculturale orientato a realizzare l’integrazione delleculture nel reciproco riconoscimento. Deve essere chiaro che il CEM Mondialità per le sue ca-ratteristiche costitutive e identitarie tiene a sottolineareche l’interculturalità ha un fondamento teologico, oltreche antropologico e pedagogico. Tale consapevolezzafa dell’interculturalità un imperativo etico da perseguirein ogni modo.Il fondamento teologico dell’interculturalità si radica –a pensarci bene – sul modello «trinitario», ossia di unDio che è «comunione» e che è al tempo stesso unitàassoluta e relazionalità fra le tre Persone uguali e distinte. Il fondamento antropologico dell’interculturalità, in con-tinuità con quello teologico, si radica sulla concezione del-l’uomo come essere relazionale e capace di aprirsi e di do-narsi agli altri secondo le dimensioni dell’eros, della philiae dell’agape. Vogliamo dire che l’elemento essenziale edecisivo dell’humanum sta proprio nel suo essere-in-rela-zione (a immagine e somiglianza del Dio trinitario).Infine, il fondamento pedagogico si radica nella convin-zione che l’interculturalità, essendo essenzialmente re-lazione, non consiste tanto in un rapporto tra culture,quanto in un rapporto tra persone e, attraverso di esse,fra diverse tradizioni culturali e comunità etniche.

Intercultura, città e mondo digitaleGli scenari all’interno dei quali costruire una società in-clusiva e plurale sono ormai molteplici e la reale possi-bilità di interazione si gioca al di fuori dalle aule scola-stiche ed investe gli ambiti del lavoro, della gestionedella sanità, insomma tutti gli spazi condivisi e i tempidella nostra vita di cittadini. Il nostro paese è abitato da

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DALLA SCUOLA ALLA CITTÀ… AL MONDO DIGITALE

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INTERCULTURA, DOVE VAI?1. Numero programmatico:

Intercultura, dove vai? Dalla scuolaalla città… al mondo digitale

2. Intercultura e luoghi della politica3. Intercultura e luoghi del gioco

e dello sport 4. Intercultura e luoghi della salute 5. Intercultura e luoghi del diritto

e della giustizia 6. Intercultura e luoghi dell’arte

e dello spettacolo7. Intercultura, urbanistica e musei 8. Intercultura, tecnologie digitali

e cyber-cultura 9. Intercultura, luoghi del sacro

e della sepoltura

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di una polis plurale non si radica in un territorio definitoe perimetrabile, ma grazie al Web deve anche considerarele grandi agorà virtuali che accentuano il fenomeno delladelocalizzazione, consentendo di creare vincoli di ap-partenenza e stratificazioni identitarie più tenaci diquelle maturate in uno spazio fisico.Imparare a gestire questa complessità è una sfida cheinveste tutta la polis e obbliga ad un salutare ripensa-mento generativo della communitas sotto ogni puntodi vista: in chiave giuridica, psicoterapeutica, antropo-logica, clinica. Nel nostro cammino annuale di riflessione,vorremmo attraversare spazi simbolici e luoghi fisici incui l’intercultura si rivela un cantiere in progress, conun progetto da elaborare insieme.

1 Gli atti del seminario «Intercultura, dove vai?» verranno pubblicatinel numero di ottobre 2015 di CEM Mondialità.

offrire e godere di pari opportunità, garantire la giustiziasociale. Non si tratta a livello pubblico di concessioni odi opzioni caritatevoli o umanitarie, ma di scelte irre-versibili che ci interpellano perché impongono dellescelte, l’elaborazione di strategie, di negoziazioni o dicompromessi, le cui ricadute sulla costruzione dell’iden-tità sono molto significative, sia per chi appartiene adespressioni culturali e religiose o etniche differenti ri-spetto a quelle maggioritarie sia per chi è costretto, incasa propria a sottoporre a verifica, revisione e salutaredisamina abitudini, consuetudini e modalità acquisitefino al punto di ritenerle ab aeterno esistenti. L’irruzionedell’altro in un’aula di tribunale, in una sala d’aspettoimpone all’intero sistema di rivedere e riconsiderare cri-ticamente il modus operandi tradizionale. Questa ope-razione, temuta ed aborrita dai sostenitori delle identitàchiuse ed arroccate è in realtà una straordinaria occasionedi rinnovamento e di rigenerazione del tessuto sociale.Uno Stato democratico ha il compito di guidare ed ac-compagnare processi d’integrazione che non si avvianospontaneamente e non procedono motu proprio, ma han-no bisogno di progettualità; in questa prospettiva è fon-damentale sostenere gli attori essenziali del cambia-mento: le donne, il cui ruolo di mediatrici familiari e diinterlocutrici non è adeguatamente valorizzato, pur es-sendo un fattore determinante di costruzione e promo-zione di dialogo perché nelle famiglie migranti rappre-sentano la linea di faglia tra passato e presente, tra maritie figli sospesi tra tradizione e futuro, pendolari di mondidissonanti e i giovani che respingono il termine G2, se-conde generazioni perché, giustamente, aspirano a ve-dere riconosciuta come normale la loro italianità. Matu-rare questa appartenenza e condividerla permette lorodi aver un punto di partenza per riorganizzare la propriastoria: sono italiano, ma «pieno di origini» (alunno dipadre egiziano e madre siro-brasiliana delle superioridi un liceo romano).Sul piano educativo occorrono più ampie sinergie anchecon le comunità educanti che ruotano intorno ai luoghidi culto: la laicità dello Stato garantisce il rispetto deldiritto alla professione della propria fede e alla costitu-zione di centri culturali e d’incontro in cui possono, però,attecchire semi di fondamentalismo: anche questo aspet-to è rilevante per evitare di alimentare un nemico internoche nutre un odio profondo nei confronti della societàdi accoglienza percepita come nemico. La costruzione

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agenda interculturale

UNA GUIDAPER LA MONDIALITÀALESSIO SURIAN | [email protected]

giugno-luglio 2015 | cem mondialità | 33

Dove va e dove sarebbe meglio orientare l’edu-cazione? L’Unesco ha provato a rispondere conil Forum Mondiale dell’Educazione1, dal 19 al22 maggio a Incheon (Corea del Sud). Cinquei temi chiave nel momento in cui si «concludo-no» gli Obiettivi di sviluppo del Millennio e leNazioni Unite discutono le priorità post-2015:diritto all’educazione, pari opportunità, edu-

cazione inclusiva, qualità, educazione permanente. Il Forumha coinvolto rappresentanti delle principali agenzie Onu, dioltre cento governi e di numerose organizzazioni non go-vernative. La Dichiarazione di Incheon riparte dalle noteemergenze: i 58 milioni di bambini, anzi, soprattutto bam-bine, che non vedono la scuola, i 250 milioni di bambiniche a scuola non maturano le necessarie abilità di base.Per l’Unesco, il Forum è stato anche l’occasione per pre-sentare la nuova guida per insegnanti ed educatori sul-l’educazione alla cittadinanza mondiale (global), per oradisponibile solo in inglese: Global Citizenship Education:Topics and Learning Objectives. Si tratta del primo testodell’Unesco che esplicitamente offre agli Stati membri unalettura teorico-pratica nel tentativo di integrare una pro-spettiva di mondialità in merito alla cittadinanza nei percorsieducativi sia formali, sia non formali. Un breve testo del2014 viene richiamato nell’introduzione, firmata dal Se-gretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon: l’edu-cazione alla cittadinanza mondiale promuove un senso di

appartenenza ad una comunità ampia e ad una comuneumanità. Mette in luce l’interdipendenza politica, econo-mica, sociale e culturale e l’interconnessione fra i livellilocali, nazionali e mondiale.La guida identifica tre aree di obiettivi nel campo dell’edu-cazione: cognitiva (con un’enfasi sul pensiero critico), so-cio-affettiva (che include aspetti di empatia, solidarietà eattenzione per la diversità) e comportamentale. Per ognunadi queste tre aree di lavoro la guida mette a fuoco dueobiettivi prioritari e tre tematiche:

Cognitive: sistemi e strutture locali, nazionali e mondiali; ifattori che incidono sui rapporti e le connessioni fra le co-munità locali, nazional e mondiale; concetti chiave e rapportidi potere.Socio-affettive: i diversi livelli di identità; le diverse comunitàcui appartengono le persone e come sono connesse fraloro; differenze e rispetto per la diversità.Comportamentali: azioni individuali e collettive; compor-tamenti eticamente responsabili; impegnarsi ed agire.

Per ognuna di queste tematiche la guida offre obiettivi estrumenti per le diverse fasce d’età, individuando anche ifattori che contribuiscono alla riuscita dei progetti: l’integra-zione di questi temi nelle politiche ufficiali a partire dal coin-volgimento di diversi attori sociali e istituzionali; strategie so-stenibili a lungo termine; un approccio olistico, che leghi idiversi sotto-temi in modo sistematico; approfondimenti nelcorso di ciascun anno scolastico e a livello sociale; l’affrontarele tre dimension, locale, nazionale e mondiale; l’integrazionenei percorsi formativi iniziali e durante servizio degli insegnanti;lo sviluppo di attività di collaborazione con le comunità locali;attenzione alla qualità dell’educazione; i processi di feedbackin chiave di monitoraggio e valutazione; la collaborazionecon esperti e una periodica revisione di quanto realizzato. l

La guida è disponibile all’indirizzo http://unesdoc.unesco.org/images/0023/002329/232993e.pdf

1 http://en.unesco.org/world-education-forum-2015/

agenda interculturale

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ESSERE O NON ESSERE

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CHIARA COLOMBO - FIORENZO FERRARI | [email protected] mumble

OSCAR BRENIFIER

OSCAR BRENIFIER È UN FILOSOFOFRANCESE. I SUOI LIBRI FILOSOFICI PERBAMBINI SONO TRADOTTI IN PIÙ DI TRENTALINGUE. PROPONE LA PRATICA FILOSOFICAAI PICCOLI E AGLI ADULTI IN SVARIATICONTESTI E IN MOLTI PAESI. IL SUO SITO ÈWWW.BRENIFIER.COM L’AUTORE, CHE VIVE A PARIGI, HA SCRITTOQUESTO ARTICOLO PER LA RUBRICA CHETIENE SUL POPOLARE GIORNALE OUEST-FRANCE. NELLA RUBRICA SI IMMAGINANOSITUAZIONI QUOTIDIANE NELLE QUALI SIAPRONO DEI DIALOGHI, CON PIÙ DOMANDECHE RISPOSTE.

LA SITUAZIONE

Il padre di due adolescenti, turbatoper l’assassinio dei giornalisti diCharlie Hebdo, ha deciso di par-tecipare alla manifestazione diprotesta. Vorrebbe che i suoi duefigli l’accompagnassero, vedendoin quella manifestazione una buo-na occasione per suscitare in loro

una coscienza civica. Egli pensa infattiche i giovani siano piuttosto chiusi in sestessi e manchino di apertura verso quel-lo che succede nel mondo.

IL PROBLEMA

Il padre ha una visione del mondo che alui sembra buona, perché più obiettiva,razionale, generosa. Poiché è preoccu-pato di educare al meglio i suoi ragazzi,

vorrebbe trasmettere loro valori indi-spensabili alla vita in società, alla dignitàdell’individuo. Ciò fa parte della respon-sabilità genitoriale e nessuno può criti-care questo punto. È necessario proporre

ai nostri figli alcuni principi fondamentaliche guidino l’esistenza sia per costruireuna comunità, sia per uscire dall’emer-genza quotidiana.Ma, sebbene il padre sia cosciente chenella società non tutti condividano i suoivalori, non accetta che i figli possanoessere indifferenti di fronte a questo oche possano opporsi. Se comprende unacerta differenza di sensibilità tra lui stessoe loro, ha invece difficoltà a legittimaredifferenze riguardo ai principi che perlui sono fondamentali. Sfortunatamenteper lui, sia per motivi di personalità, perdifferenza di temperamento o di vedute,per la naturale ribellione di fronte al-l’autorità genitoriale, sia per l’influenzadi un contesto sociale diverso, non ècerto che i suoi figli possano soddisfarele sue attese.

Così il più giovane rifiuta la propostacon le seguenti motivazioni. In primoluogo, sebbene nulla possa giustificarel’omicidio per ridurre la libertà di espres-sione, i giornalisti in questione hannopraticato per anni una provocazionescandalosa, una mancanza di rispettoingiustificata, e hanno mostrato un at-teggiamento aggressivo e un’intolleran-za ideologica. Inoltre, delle istituzionipoco integrate o poco rappresentativeci chiedono di unirsi a loro in una sortadi union sacrée, che assomiglia forte-mente ad una manipolazione. Infine, latotale identificazione con i giornalisti Jesuis Charlie tenta di imporre un com-portamento politico che trascura alcuneminoranze oppresse, che avranno l’im-pressione di essere disprezzate, amplian-do quindi il divario sociale con il suo po-tenziale di violenza. l

Qualche traccia...

Questo padre deluso deveconsiderare che la cosa piùimportante non è convincerei figli a condividere i suoivalori, ma permettere loro diriflettere su questionifondamentali. Non ècambiare il loro modo dipensare, ma invitarli,attraverso il dialogo, asviluppare la capacità dianalisi e di critica. In terminiassoluti, non importa quelloche noi pensiamo ad uncerto punto della nostra vita:la vita stessa è spessoresponsabile delcambiamento delle nostrementi; l’essenziale èprendere l’abitudine disorprenderci e lasciarcicoinvolgere. Soprattutto nondobbiamo cadere in dogmi,ma dobbiamo tenere amente che qualsiasi visionedel mondo rimane un attopersonale di fede, anchequando è condiviso da moltialtri.

LA COSA PIÙ IMPORTANTE NON ÈCONVINCERE I FIGLI A CONDIVIDERE I PROPRIVALORI, MA PERMETTERE LORO DIRIFLETTERE SU QUESTIONI FONDAMENTALI

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Ed eccoci, finalmente, giunti al-l’anno dell’Expo, nonostante lemille difficoltà (e scandali) prontiper parlare di alimentazione, didestino del pianeta e, inevitabil-mente, anche di fame nel mondo.Personalmente non amo moltoqueste grandi vetrine, però l’Expo

è un’opportunità per riparlare della Terra,per cercare di riconnetterci con la sua sag-gezza, perché il rischio di autodistruzionedel genere umano non è esattamente soloun buon spunto per film fantascientifico/apo-calittici. Sull’Expo Vandana Shiva ha detto:«Ad Expo, a discutere di agricoltura e di am-biente, non dobbiamo lasciare solo le multi-nazionali della chimica e dei semi. Entitàsenza volto ma con mille braccia e fortementeimpegnate solo nella difesa dei loro interessi. Expo avrà un senso solo se parteciperà chis’impegna per la democrazia del cibo, per latutela della biodiversità. Solo allora Expo avràun senso che vada oltre a quello di grandevetrina dello spreco. Facciamo entrare le ideedentro Expo e teniamo fuori la cultura delprofitto che danneggia le persone e il piane-ta». Non so come andrà a finire, visti gli in-teressi in gioco, comunque è una possibilità,uno stimolo per tutti noi per fermarci un at-timo a riflettere perché è fondamentale ri-costruire una coscienza/consapevolezza delnostro rapporto col cibo, con la terra, con la

RICONNETTERSICON LA SAGGEZZADELLA TERRA

vita. Enzo Bianchi ha detto: «Noi siamoparte del problema, questa è la consa-pevolezza che dovremmo avere. Non c’èindignazione, ma prima ancora il pro-blema è di educazione. Quando si parladi sobrietà come qualcosa che deve es-sere insegnato a chi si affaccia alla vitadel mondo, noi non siamo capaci di direche sobrietà non è rinuncia ma presa didistanza dall’eccesso. In Italia sprechia-mo 180 chili all’anno di cibo a testa. Aimiei tempi ci dicevano che buttare il pa-ne era peccato. Mangiamo senza con-sapevolezza, senza rispetto. Il pane nonè mai mio, è sempre nostro». Questa paginetta che fa capolino sullanostra rivista nasce dall’esigenza di tro-vare qualche idea guida per costruirequesto percorso educativo, perché se ilrapporto con la terra si è in buona parteperduto o comunque corrotto, è possi-bile ricostituirlo con pazienza e deter-minazione. Nella riforma della scuola siventila l’introduzione dell’«educazioneambientale», termine a dir poco infelice,meglio sarebbe pensare ad una intro-duzione all’ecosofia, magari all’internodegli studi filosofici o letterari. Ri-edu-carci a vivere in un luogo (bio-regione)a conoscerne le potenzialità e le fragilità,trovando un’armonia con quella terrache ha permesso la vita dei nostri avi, èla base della costruzione di un futuroper i nostri figli. È tempo di non pensarepiù in termini di bienni, trienni o decennima di «investire nel millennio», cioè chie-derci in continuazione se ciò che faccia-mo sarà positivo per la Terra fra milleanni o se avrà creato problemi. Non èsolo questione di scelte economiche epolitiche, anche in questo caso c’è dariconvertire le nostre menti, i nostri sche-mi esistenziali per riconnetterli con labase della vita: la Terra. I navajo inse-gnavano ai loro bimbi che ogni giornonasce un sole che alla sera muore e cheper rispetto di quel sole dobbiamo viveresaggiamente la nostra giornata col mas-simo rispetto per la Madre Terra e tuttigli esseri viventi, o quel sole avrà sprecatola sua vita... forse è tempo di re-impararequesta e tante altre lezioni! l

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MARCO VALLI | [email protected] e intercultura

«DIO PERDONASEMPRE, LE OFFESE,GLI ABUSI. GLI UOMINIPERDONANO A VOLTE.LA TERRA NONPERDONA MAI!»PAPA FRANCESCO

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IL MAGICO MONDODELLA LETTERATURA

Eoltretutto la letteratura (equesto forse più che alcunealtre arti) ci parla anche dinoi, del nostro mondo, dellanostra vita, della nostra me-moria. Suscita in noi senti-menti, pensieri, riflessioni malo fa con discrezione, senza

che quasi ce ne accorgiamo. La letturadi un buon libro ci cambia, ci fa crescere,lasciandoci soltanto una sensazione dipiacere. E questo perché lo strumentodel poeta, dello scrittore, è uno dei piùsemplici e diffusi che esistano: la linguafatta delle parole che noi tutti usiamoquotidianamente.In una famosa commedia di Molière, Ilborghese gentiluomo, il signor Jourdain,che è un borghese, vuol essere introdottoa corte, vuol diventare cioè un gentiluo-

mo, che all’epoca significava un nobile(appartenente a una gens). Per far que-sto, dal momento che è ricco, assumeuna serie di maestri che gli insegnino anon sfigurare in società. E il maestro difilosofia cerca di spiegargli, senza suc-cesso, la magia della lingua poetica.

JOURDAIN[…] devo farvi una confidenza. Sonoinnamorato di una dama dell’aristo-crazia e... desidererei che mi aiutastea scriverle qualcosa in un bigliettinoche le lascerò cadere ai piedi.MAESTRO DI FILOSOFIABenissimo.JOURDAINQualcosa di galante naturalmente.MAESTRO DI FILOSOFIACerto. Volete scriverle qualche verso?JOURDAINNo no; niente versi.MAESTRO DI FILOSOFIASoltanto prosa?JOURDAINNo, non voglio né prosa né versi.MAESTRO DI FILOSOFIABisogna pur che sia in uno dei duemodi.JOURDAINPerché?MAESTRO DI FILOSOFIAPer il motivo, signore, che per espri-merci possediamo soltanto la prosao i versi.JOURDAINSoltanto la prosa e i versi?MAESTRO DI FILOSOFIAProprio così: tutto ciò che non è inprosa è in versi; e tutto ciò che non èin versi è in prosa.JOURDAINE quando si parla che cosa è?MAESTRO DI FILOSOFIAProsa.JOURDAINCome? quando dico: «Nicoletta por-tami le pantofole e dammi il berrettoda notte» è prosa?MAESTRO DI FILOSOFIASì signore.JOURDAINPer tutti i diavoli! Sono più di qua-rant’anni che parlo in prosa. Vi sonomolto grato di avermi informato. Vor-rei allora scrivere nel biglietto: «Bella

ELISABETTA SIBILIO | [email protected] migranti

PER LA NUOVA ANNATA DI CEM MONDIALITÀ ABBIAMO DECISO, INREDAZIONE, CHE AVREI TENUTO UNA RUBRICA LETTERARIA. O MEGLIO,CHE PARLASSE DI LETTERATURA, MAGARI ANCHE NON IN MODO«LETTERARIO», MA CERCANDO DI AVVICINARE I LETTORI DELLA NOSTRA RIVISTA A QUESTO MAGICO MONDO. SÌ, PERCHÉLA LETTERATURA È MAGICA, COME DEL RESTO TUTTE LE ALTRE ARTI. È IN GRADO DI PARLARE DI TUTTO CIÒ CHE NON ESISTE, DI RACCONTARETUTTO CIÒ CHE NON È MAI SUCCESSO, DI FARCI VEDERE PAESAGGI CHENON CI SONO SULLA TERRA, DI FARCI CONOSCERE PERSONE CHE NONSONO MAI NATE. COME TUTTI SAPPIAMO, ALCUNI GRANDI POETI,AD ESEMPIO DANTE (CHE HA COMPIUTO 750 ANNI POCHI GIORNI FA), CI HANNO RACCONTATO ADDIRITTURA L’ALDILÀ SENZA ESSERE MORTI. SE NON È MAGIA QUESTA...

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marchesa i vostri begli occhi mi fannomorir d’amore»; ma desidererei fossescritto con galanteria, con eleganza.

Ecco che il poeta e il filosofo non pos-sono che usare quella lingua di cui ciserviamo tutti per farci portare le pan-tofole. Ma Jourdain, nella sua igno-ranza, capisce che c’è qualcosa in più,quello che lui chiama «galanteria» o«eleganza». E il maestro di filosofiagli propone la soluzione: per fare let-teratura o poesia, invece che sempli-cemente comunicare, bisogna usarela retorica. La retorica è fatta di figure,di immagini, di parole che alludonoa qualcosa parlando di qualcos’altroe già il «morire d’amore» di Jourdainè retorica, dal momento che nonmuore affatto, né ne ha la minimaintenzione:

MAESTRO DI FILOSOFIAAggiungete allora che il fuoco deisuoi occhi riduce il vostro cuore in ce-nere; che soffrite giorno e notte perlei le violenze d’un...

JOURDAINNo no e no, niente di tutto questo;voglio soltanto quello che ho detto:«Bella marchesa i vostri begli occhimi fanno morir d’amore».MAESTRO DI FILOSOFIABisogna pur aggiungervi qualche fra-se affettuosa...JOURDAINVi dico di no; nel biglietto voglio scri-verle soltanto le parole che ho dettepoco fa ma espresse per benino, se-condo la moda. Su, vi prego di ripe-termele un po’ per vedere i diversimodi in cui si possono disporre.MAESTRO DI FILOSOFIAAnzitutto come avete detto voi: «Bellamarchesa, i vostri begli occhi mi fannomorir d’amore». Oppure: «D’amoremorir mi fanno bella marchesa i vostribegli occhi». Oppure: «I vostri occhibelli d’amore mi fanno bella marchesamorire». Oppure: «Morire i vostri begliocchi bella marchesa d’amor mi fan-no». Oppure: «Mi fanno i vostri begliocchi morire bella marchesa d’amo-re».

Il maestro di filosofia, che la sa lunga,avendo fallito con le metafore e lecomparazioni, propone a Jourdainuna serie di «figure» retoriche chequesta volta giocano sulla posizionedelle parole o sul loro suono (rima,allitterazione e simili).

JOURDAINMa di tutti questi modi, qual è il mi-gliore?MAESTRO DI FILOSOFIAQuello che avete detto voi «Bella mar-chesa, i vostri begli occhi mi fannomorir d’amore».JOURDAINEppure io non ho studiato e questafrase l’ho creata così di primoacchito.

Marcel Proust diceva che «i grandicapolavori sono scritti in una specie dilingua straniera». Secondo me volevaproprio dire, con «una specie di», che igrandi scrittori sanno usare la linguasenza aver bisogno di quello che,tecnicamente, si chiama un «referente»:sanno nominare ciò che non esiste efanno parlare chi non è mai nato (o chiè già morto, come i dannati o i beati diDante). Sembra che usino il nostrostesso vocabolario, di noi che «nonabbiamo studiato», ma ci mettono laloro arte.Insomma, un buon testo letterario è ca-pace di far nascere nell’immaginazionedi chi lo legge ciò di cui parla, cioè dicreare qualcosa dal nulla. Per questooggi si dice che gli artisti sono «creativi».

Ma anche noi fruitori, che «consumia-mo» l’arte, quando leggiamo generiamoe ri-generiamo immagini e storie, diamovita ai personaggi, visitiamo città dovenon siamo mai stati.Nei prossimi mesi di questa nuova an-nata di CEM cercherò di presentarvi qual-cuna di queste opere d’arte sperandoche a chi non lo avesse già fatto venissevoglia di leggerle e che chi invece le co-noscesse potesse reimmergersi con lamemoria nel loro magico mondo. l

letterature migranti

UN BUON TESTO LETTERARIO È CAPACE DI FAR NASCERENELL’IMMAGINAZIONE DI CHI LO LEGGE CIÒ DI CUI PARLA, CIOÈ DICREARE QUALCOSA DAL NULLA. PER QUESTO OGGI SI DICE CHE GLI ARTISTI SONO «CREATIVI».

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Ovviamente una fantascienza di estrema destra èsempre esistita; e a onor del vero, ogni tantoqualche libro era interessante da leggere, pur sedisgustoso come idee. Non era mai capitato peròche nazifascisti dichiarati vincessero molti dei piùimportanti premi del settore. Una mutazione ge-netica? Di certo una congiura o un golpe, più ti-picamente, ma forse c’è qualcosa di più.

È accaduto al Premio Hugo 2015. E la destra statunitense hacantato vittoria così: «È finita l’oppressione dei guerrieri dellagiustizia sociale», ovvero l’egemonia della fantascienza «di si-nistra». Portando al voto persone estranee al fandom (cioè al-l’ambiente della science fiction) e pagando iscrizioni per con-sentir loro di votare… quest’anno ha trionfato letteratura raz-zista, maschilista, antigay e religiosamente (nel senso di cri-stianesimo) oltranzista. Uno dei manovratori di fili è Vox Day,alias Theodore Beale, un fondamentalista battista che fra l’altroè contrario al diritto di voto alle donne. Ha commentato Alessandra Daniele (sulla bella rivista Carmilla):«sarebbe consolatorio raccontarsi che i fascisti hanno preso ipremi solo perché hanno imbrogliato; se hanno avuto successoè perché il fandom ha perso gli anticorpi contro il fascismo. Enon è certo l’unica comunità a cui sia successo. Anzi, è un mi-crocosmo che rispecchia il macrocosmo».

I NAZIFASCISTICONQUISTANO LA GALASSIA?

Triste ma doveroso aggiungere che fantascienza e soprattuttofantasy con evidenti simpatie naziste girano anche in Italia:piccola diffusione per ora (il microcosmo) ma vista la rivaluta-zione dell’estrema destra nel macrocosmo forse domani andràpeggio. Tanto per fare un esempio: Gianluca Casseri, il killerdei due senegalesi (a Firenze nel dicembre 2011) attivo in CasaPound, aveva pubblicato La chiave del caos, vagamente fan-tascientifico, con la prefazione del ben più noto GianfrancoDe Turris, fascista anche lui ma «in guanti bianchi». Ma passaqualche mese e Casa Pound torna - presso molti «facitori»della pubblica opinione - al di sopra di ogni sospetto pur se lasua azione squadrista è condannata in qualche tribunale.Tornando al Premio Hugo, Alessandra Daniele aggiunge: «Intutto il mondo le tendenze ur-fasciste sono egemoniche: na-zionalismo, imperialismo, colonialismo, militarismo, leaderismo,razzismo, sessismo, omofobia, xenofobia, integralismo religioso,darwinismo sociale. Quel neoliberismo che traduce l’imperativocategorico vincere con vendere, e che condivide col fascismostorico la dottrina della disuguaglianza - fondamentale trattodistintivo del fascismo - in forma di classificazione degli esseriumani in base al loro prezzo/costo di mercato, come scatolette,o polli surgelati. Un totalitarismo mascherato da democrazia,ormai indiscutibile come una teocrazia». E allora: «A preoccu-parsi della scalata fascista del premio Hugo oggi si rischia disembrare qualcuno che si lamenti d’una mosca nella minestra,in mezzo a uno sciame di locuste. I fascisti non si stanno pren-dendo l’Hugo, si stanno prendendo il pianeta». La conclusionedi Alessandra Daniele però ci ricorda che «un altro mondo èpossibile». Sta a noi prima sognarlo e poi costruirlo.

giugno-luglio 2015 | cem mondialità | 38

DIBBÌ | [email protected] è accaduto

Se volete leggermi sul mio blog: http://danielebarbieri.

wordpress.com

«CHI NON SPERA QUELLO CHE NON SEMBRA SPERABILE NON POTRÀ SCOPRIRNE LAREALTÀ, POICHÉ LO AVRÀ FATTO DIVENTARE, CON IL SUO NON SPERARLO, QUALCOSA CHENON PUÒ ESSERE TROVATO, E A CUI NON PORTA NESSUNA STRADA». ERACLITO

A PREOCCUPARSI DELLA SCALATAFASCISTA DEL PREMIO HUGO OGGI

SI RISCHIA DI SEMBRAREQUALCUNO CHE SI LAMENTI D’UNA

MOSCA NELLA MINESTRA, INMEZZO A UNO SCIAME DI LOCUSTE

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Un «grazie» al CEMdal Festival del Cinema Africanod’Asia e America Latina

Carissimi,      

domenica 10 maggio si è conclusa a Milano la25° edizione del «Festival del Cinema Africano,d’Asia e America Latina».

Preparata con cura e sostenuta con grande im-pegno, questa edizione ha visto una presenzasignificativa di pubblico motivato e una nume-rosa partecipazione delle scuole. L’Associazione Centro Orientamento Educativoringrazia tutte le persone e le Istituzioni chehanno collaborato e reso possibile questa edi-zione.

Un grazie particolare a CEM Mondialità  per lasua partecipazione che è stata importante peril buon esito dell’iniziativa, e nello specifico ungrazie a p. Marco Vigolo, a Brunetto Salvarani,a Michela Paghera e a Silvio Boselli che ha par-tecipato alla serata di premiazione.

Sicuri di avervi accanto anche nel futuro, ringra-ziando inviamo un cordiale saluto

Gabriella Rigamonti

The Dream of a SceneYasser Shafiey, Egitto, 2014

Per un’intrigante combinazionedi meta-film, nella quale la poe-sia, inattesa e sorprendente, sisviluppa a partire da un impiantoin apparenza documentaristicoe che invece innesta nella vicen-da interrogativi che coinvolgonoculture e generazioni: il tutto so-speso tra verità e immagine, tra

sostanza e illusione. Per le testimo-nianze dei due protagonisti princi-pali, i quali con atteggiamenti de-cisi, motivano fortemente la loro sfi-da esistenziale con un gesto cheaccresce a dismisura la loro ricercadi identità.

Il film. Un giovane regista avvertei suoi collaboratori che vuol fare unfilm indipendente sulle donne. Ladifficoltà più grande sta nel trovareun’attrice disposta a rasarsi i capellie andare contro gli standard di bel-lezza della società egiziana. Unaragazza accetta ma poi si tira in-dietro all’ultimo minuto. Per salvareil film, Mariam, l’aiuto regista, de-cide di interpretare la parte.

Hanno consegnano il premio: Massimo Ca-miniti, Silvio Boselli, Michela Manenti, Mas-simo NardinIl premio, che consiste nell’acquisizione deidiritti di distribuzione in Italia, è assegnatoad un cortometraggio africano con valoreeducativo.

a cura della Redazione

Premio CINIT e Premio CEM Mondialità

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Si è svolta dal 12 al 21 giu-gno la tredicesima edizionedel Festival laboratorio in-terculturale di pratiche tea-trali, in collaborazione conInternational School ofTheatre Anthropology. Que-st’anno era prevista una no-

vità assoluta: la possibilità di seguire Pi-no Di Buduo, regista e direttore artisticodel Teatro Potlach con esperienza in al-lestimenti Site Specific in ogni parte delmondo, durante la preparazione e rea-lizzazione dell’evento «Città invisibili».Il laboratorio verteva sull’allestimentodegli spazi urbani di Forano (Rieti) conteli, luci e proiezioni multimediali e si èconcluso con due giorni di rappresen-tazioni. Si è trattato di un progetto ar-tistico interdisciplinare e multimedialeispirato al romanzo di Italo Calvino, cheha inteso far riemergere e restituire unacittà mai vista prima, ma presente neiricordi dei suoi abitanti e in grado perciòdi risvegliare il senso di appartenenza.Gli ambienti e i luoghi naturali presceltihanno determinato la struttura dellarappresentazione. Nei diversi spazi dellacittà sono stati realizzati allestimentiscenici, performance musicali, installa-zioni multimediali, eventi coreografici,ricreazioni di ambienti architettonici,tutti aventi come tematica di fondo lamemoria del luogo, le sue tracce sepol-te, la sua identità. In questo modo lacittà si è trasformata in un cantiere diricerca con artisti, ricercatori, architetti,scenografi, archeologi, antropologi,compagnie teatrali e gruppi musicali,così come abitanti, associazioni e artisti

FESTIVAL LABORATORIOINTERCULTURALEDI PRATICHE TEATRALI

Per la segnalazione di eventi interculturali

scrivere [email protected]

PER INFORMAZIONIWWW.TEATROPOTLACH.ORG

A CURA DI NADIA SAVOLDELLI | [email protected]

locali che contribuiscono attivamente allametamorfosi della loro città. La strutturasociale, il paesaggio culturale e naturalehanno determinato la drammaturgia stessadello spettacolo, rompendo così la logicadegli spazi teatrali convenzionali, rendendolo spazio fisico della città il vero palcoscenicodella rappresentazione. Durante l’evento,gli spazi hanno preso vita simultaneamentee gli artisti e gli spettatori si sono trasformatiin viaggiatori-esploratori, divenendo così«archeologi della memoria». Il Festival è proseguito a Fara Sabina (Rieti)negli spazi del Teatro Potlach con il labora-torio di Hernàn Genè, attore, regista e pe-dagogo argentino specializzato nell’arte delclown: un viaggio personale volto all’esplo-razione di nuove forme di espressione tea-trale, non solo nel campo del comico. Vi ha fatto seguito l’artista indiana ParvathyBaul, che ha coinvolto i partecipanti nellacostruzione di uno spettacolo tipico dellatradizione indiana Baul: dal canto alla danzafino alla pittura delle scene. Si è tenuto ancheil Laboratorio di Commedia dell’Arte conClaudio De Maglio, direttore artistico del-l’Accademia d’arte drammatica di Udine. l

A conclusione del Festival, EugenioBarba fondatore e regista dell’OdinTeatret (Holstebro, Danimarca), figura di spicco del teatro mondialecontemporaneo, ha presentato unaMaster Class sul rapporto attore epersonaggio, con dimostrazioni pratichedi Julia Varley. L’Odin Teatret è statoinoltre presente con lo spettacolo AveMaria, interpretato dalla stessa Varley. Il film La conquista della differenza, eradedicato ai 50 anni del celebre teatro. Il Festival ha offerto opportunità uniche:training con il Teatro Potlach,dimostrazioni di lavoro e incontri conesperti di teatro provenienti da Italia,Usa, Iran, Danimarca, Germania,Spagna, Norvegia, Giappone, Brasile,Ungheria; ogni sera uno spettacolo congruppi teatrali da Messico, Brasile, India,Bali-Indonesia, Danimarca, Italia.

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Giampaolo RugarliManuale di solitudineMarsilio, Venezia 2015, pp. 229, euro 17,50

Che Rugarli sia stato uno dei narratori più profondi degli ultimi anni, semmai ce ne fosse statobisogno, si evince anche da questo romanzo postumo che ben riassume la poetica dell’autore. Giàil titolo ci richiama ad una scelta esistenziale che è stata frutto di un «male di vivere» che è analisiimpietosa delle follie della società attuale, una «impossibilità di vivere» che però non abbandonamai l’imperativo etico, ma anzi diviene critica impietosa, spesso in forma sarcastica. La narrativa diRugarli - i lettori di questo romanzo dovranno prenderne atto -, anche quando deforma comicamente,caricaturalmente, personaggi e comportamenti, non acquieta il tormento, anzi riaccende la rabbiae lo sdegno, sentimenti luciferini, di un uomo dolente e ferito, la sua ribellione all’andazzo dissennatoe perverso di una società che ha perduto la bussola. Un testamento umano e letterario e unalettura che non può lasciare indifferenti. (Marco Valli)

Gloria GermaniA scuola di felicità e decrescita: l’Alice ProjectTerra Nuova, Firenze 2014, pp. 173, euro 13

In pochi in Italia conoscono il nome di Valentino Giacomin, maestro elementare di Treviso, eppureall’estero è apprezzato e stimato come uno dei pedagogisti più innovativi e stimolanti degli ultimianni. Gloria Germani colma il vuoto informativo con questo agile libretto che presenta il progettoeducativo di Giacomin, «Universal Education», che trova la sua attuazione pratica nella scuola AliceProject di Sarnath, in India. «Alice Project» è una scuola interculturale e interreligiosa che pone alcentro del programma la conoscenza di se stessi e l’amore nei confronti del mondo e di ognicreatura vivente. Ha ricevuto in più occasioni l’apprezzamento del Dalai Lama, che gli ha conferitoil suo patrocinio dal 2006. Nel libro le parole e l’esempio di Giacomin s’intrecciano con le voci deimolti pensatori (Terzani, Illich, Latouche) che in questi anni hanno smascherato i limiti e le contrad-dizioni dei modelli di sviluppo e di conoscenza dell’Occidente industrializzato. L’esperienza dell’«AliceProject» è la dimostrazione che si può educare in modo interculturale e interreligioso e che ladecrescita è un percorso valido per il futuro. Varie scuole in Europa e America cominciano ad inte-ressarsi a questo progetto, speriamo sia l’inizio di una nuova sensibilità pedagogica. (m. v.)

Joachim MeyerhoffQuando tutto tornerà a essere come non è mai statoMarsilio, Venezia 2015, pp. 324, euro 19

Si può crescere, avendo vissuto la propria infanzia in un manicomio, diventando un adulto sano ecreativo? Si può maturare a contatto con la diversità più assoluta? Joachim Meyerhoff ci dice di sì,romanzando la sua vita, raccontandoci con ironia, dolcezza, arguzia un’esperienza unica. Per ilpiccolo Josse, figlio del direttore di un ospedale psichiatrico per l’infanzia e l’adolescenza, crescerein mezzo a centinaia di malati di mente è del tutto naturale, anzi, la cosa gli piace moltissimo. I«dementini», come affettuosamente e spietatamente ama chiamare i pazienti, sono parte della suafamiglia; la grande area dell’ospedale è la sua casa. Qui Josse è felice di galoppare sulle spalle di unragazzo gigantesco che se ne va in giro facendo suonare due pesanti campane dorate; qui si ad-dormenta cullato dalle urla tranquillizzanti che ogni sera lo accompagnano nel sonno. Ama l’eccesso,l’isteria festosa, la gioia incontrollata, la normalità per lui ovvia di quel luogo della follia.La storia di una famiglia e di un’infanzia «straordinarie» ove tutti i pregiudizi su anormalità enormalità svaniscono attraverso l’occhio divertito e ironico del protagonista. Un romanzo che cidiverte e ci fa riflettere. (m. v.)

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Marek HalterRiconciliatevi!Marsilio, Venezia 2015, pp. 63, euro 4,50

Ecco un piccolo-grande libro, scritto di getto dallo scrittore ebreo Marek Halter a seguito dei tragicifatti di «Charlie Hebdo». Halter va controcorrente e, non cedendo al risentimento o ai desideri dirivalsa, lancia un accorato appello, che nasce dalla sua stessa esperienza di esule, per una reale ri-conciliazione fra le tre «Religioni del Libro», per un dialogo reale e pacifico.«Vi domandate che cosa mi autorizza a esortarvi alla riconciliazione? Nato a Varsavia poco primadella seconda guerra mondiale, so a cosa può portare un solo insulto, un solo gesto di violenza. Ela storia non ha mai smesso di ricordarcelo. Oh, amici, fratelli. So quanto è difficile vedere la lucenell’oscurità. Spesso l’odio acceca. E basta una mano posata davanti agli occhi per nascondere ilsole. Provateci comunque! Forse, alzando la testa, troverete anche voi una luce». Un testo profondo,poetico e umano che dovremmo tutti leggere e fare leggere ai nostri figli, studenti e amici, perchél’odio non prevalga ancora una volta. (m. v.)

Pasquale FerraraReligioni e relazioni internazionaliCittà Nuova, Roma 2014, pp. 196, euro 16,50

Le religioni in questi ultimi anni hanno ridisegnato il quadro geopolitico mondiale. In tale contestogli analisti di politica internazionale guardano con sempre maggiore interesse alle religioni come adun elemento chiave, quasi un ritorno ad un passato «teocentrico». Alcuni importanti processi chevedono coinvolti come attori importanti le religioni, infatti, ne hanno determinato la riapparizionesulla scena pubblica: come elemento talvolta problematico (ad esempio la rivoluzione islamica inIran, l’11 settembre 2001 e la minaccia del terrorismo di Al Qaeda, fino alle tragiche attualitàlegate all’Isis) o come straordinaria risorsa per il ruolo sempre più rilevante nella promozione diforme organizzate di collaborazione internazionale (basta pensare all’incontro fra israeliani epalestinesi voluto e organizzato da Papa Francesco). L’autore, già diplomatico, offre una lettura ori-ginale, approfondita e ben documentata dell’incidenza delle religioni nelle relazioni internazionaliattuali, ripercorrendo la storia degli ultimi anni e analizzando con profondità e acume i meccanismi«geopolitici» attualmente in atto. Un testo importante per cercare di capire e decodificare il granguazzabuglio politico/culturale/religioso in cui viviamo. (m. v.)

Raimon PanikkarEcosofiaJaca Book, Milano 2015, pp. 96, euro 12

«Ecosofia» significa «saggezza della terra». La terra non è una mera fornitrice di materie prime perl’umanità. È ben di più del palcoscenico e dell’habitat dell’uomo. È il corpo esterno dell’uomostesso, il suo spazio vitale, la sua casa. Ancora di più: è uno dei tre elementi costitutivi della realtà,assieme all’uomo e al divino. La realtà cosmoteandrica (cosmo, uomo, Dio). «Ecosofia» indica lasaggezza di chi sa ascoltare la terra e agire di conseguenza. Se la rivoluzione industriale intendevautilizzare il pianeta nel miglior modo possibile, la rincorsa verso le innovazioni tecnologiche haprodotto una tecnocrazia che ha imposto il proprio ordine al corpo, alla società, alla mente,facendoci perdere i contatti coi ritmi del cosmo e della natura. Panikkar svolge anche in questo vo-lumetto un lavoro interculturale che crea un ponte tra le diverse e comuni essenze ecologiche delpianeta. Ogni cultura è particolare, perciò il discorso sulla terra, cioè sulla natura, deve essere inter-culturale, ogni altro discorso è inutile e pericoloso. Poche intense pagine che tutti dovrebberomeditare in quest’anno dell’Expo, per capire che il discorso ecologico è assai più profondo ecomplesso di quello della kermesse milanese. (m. v.)

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«UNA TRADIZIONE PUÒ SOPRAVVIVERESOLAMENTE FINCHÉ CHI LA TRAMANDALA RISPETTA E SI COMPORTA IN MODODA FARLA SOPRAVVIVERE. ALTRIMENTILE TRADIZIONI FINISCONO PERNASCONDERSI DENTRO LE PERSONE, ESI LASCIANO DIETRO SOLO PERICOLOSEIMPRONTE CONFUSE».ISHMAEL BEAH

Ben ritrovate e ben ritro-vati. Recuperato dalla se-zione gli imperdibili in-contri tra culture musicalidiverse, questa volta pro-pongo un capolavoro del2004, nato da un incon-tro casuale e comunque

destinato al desiderio condiviso dai treprotagonisti di organizzare una sezio-ne di lavoro dove scambiarsi idee e ve-rificare ciò che sarebbe stato possibilefare insieme. Fu così che a Parigi, nel2003, il cantante polistrumentista fran-cese Gerald Toto, originario delle An-tille, il bassista e musicista jazz came-runense Richard Bona, e il cantante ecompositore della Repubblica Demo-cratica del Congo Lokua Kanza regi-strarono un cd in soli 5 giorni di lavoro.Toto Bona Lokua, che prende il nomedai tre autori, è un disco di grandequalità, gusto e piacevolezza, dovel’equilibrio e l’interazione tra i tre artistiè perfetta, quasi da manuale per la re-lazione d’ascolto attiva con l’altro. Neidodici brani che lo compongono (conquattro composizioni ciascuno), i no-stri tre cantanti e autori ci conduconoin un viaggio attorno al mondo, o me-glio ai mondi, della vocalità, che nonha precedenti per varietà, sintesi e ri-

generazione di stili. Qui la lista dei rife-rimenti artistici e culturali sarebbe scon-finata, ma vale la pena di citarne alcuniper evidenziare la ricerca e padronanzadi stili che sottendono. I rimandi alletradizioni vocali africane sono diversi:dalle polifonie dei pigmei dell’Africaequatoriale, ai tipici contrappunti coralidel Sudafrica, fino alle rielaborazioni pa-nafricane di Marie Daulne, delle ZapMama. Passando per i giochi ritmico-vocali alla Bobby McFerrin, che ritrovia-mo più volte, sono diversi i riferimentiai vari stili musicali born in the USA, co-me troviamo ben rappresentate le ricchevocalità che ci portano nelle Antille e inBrasile. Non sono pochi gli inserti sparsiad arte, un po’ in tutto il disco, che ciriportano ad una dimensione new agedal sapore delicato. Va infine detto che tutta questa varietàdi stili e forme, anche strumentali, è amal-gamata in modo magistrale, senza ec-cessi: tutte le sonorità delle culture quirappresentate assumono lo stesso spazioe valore, in un equilibrio speciale e raro.Buon ascolto a tutte e a tutti. l

QUI ED ORA... MA NON SOLOKassé Mady Diabaté è una dellevoci più belle e note dell’Africaoccidentale. Griot e depositariodell’antica cultura maliana, ècoinvolto da anni in progettiriservati ai grandi maestri delleTerre Sonore di Mezzo. Tra questiricordiamo la sua partecipazionea Kulanjan, una pietra miliarefirmata da Taumani Diabaté e TajMahal. Con il suo ultimo lavoro,Kiriké, ci regala un disco talmentebello e profondo che nonsmetteresti mai di ascoltare, eriporta la musica tradizionale delMali al centro del mondo. Questoviaggio sonoro è magico,splendidamente e volutamenteacustico, svuotato da ognifronzolo tecnologico finalizzatoalla realizzazione di un prodottoworld del tipo gradevole a tutti ipalati. Il saggio Kassé Mady è quiaccompagnato da Makan «Badjé»Tounkara allo ngoni, dal LansineKouyate al balafon, da BallakèSissoko alla kora e da VincentSegal, che è anche produttore deldisco, al violoncello. Imperdibile!

IL DISCO

Kassè Mady DiabatéKirikéNo Format!, 2014

LUCIANO BOSInuovi suoni organizzati

IL DISCO

Gerald Toto, Richard Bona, Lokua KanzaToto Bona LokuaNo Format!, 2004

TOTO BONA LOKUATRE FIGLI DELLA CULTURA NERA

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saltafrontieraLORENZO LUATTI | [email protected]

Sull’onda lunga di Expo 2015andiamo a vedere alcune no-vità che ci propone l’editoriaper l’infanzia sul tema ciboe alimentazione, sia storie ca-paci di stimolare in modogiocoso curiosità e domandesul piano dell’educazione ali-

mentare, sia narrazioni autentiche conprotagonisti o coprotagonisti frutti, or-taggi e verdure. Per raccontare l’impor-tanza del cibo nell’aspetto fisiologico masoprattutto psicologico, per educare albuon rapporto con il cibo fin da picco-lissimi, le edizioni Carthusia pubblicanoSapore di coccole, un cofanetto pensatoper i genitori e il loro bambino compostoda un libro a fisarmonica, Latte e pappa(pp. 16) una storia dolce dedicata al nu-

NUTRIRSI (ANCHE)CON LE STORIE

solo nascosta, rimpicciolendosi fin quasia scomparire, pregustando il momentodella rivincita. E quel momento arriva:all’improvviso, il coraggioso bambino chesi rifiuta di mangiare la minestra si ritrovaimmobilizzato sulla sedia, in procinto diingurgitare una immonda minestra dilingue di rana, sputazzi di ranocchio,scorzetta di rospaccio e di un graziosoramarro marrone. Ce la farà il nostro eroea salvarsi dalla tremenda vendetta?«Mangia con la bocca chiusa, Nina!».«Non parlare quando hai la bocca pie-na!». Nina non ne può più dei rimbrottidei suoi genitori. A cosa servono tuttequeste buone maniere? E improvvisa-mente, mentre sta mangiando, Nina ri-ceve uno strabiliante invito: andrà a cenadalla regina d’Inghilterra... Stiamo par-lando di A cena dalla regina (Giuntina,pp. 32) dell’illustratrice fumettista RutuModan, un albo per i bambini più grandiche gioca sul rovesciamento delle regole,sull’anarchica genialità dei piccoli, chepuò e deve contagiare gli adulti. E infineun albo che non parla di cibi, pietanze,alimentazione, ma che richiama argo-menti ad essi strettamente correlati econnessi come la deforestazione, il sur-

di… ricette per confezionare torte e bi-scotti, cioccolatini e verdure, ma anchecucinette e banchetti da mercato. «Ri-cette», si è detto, elaborate riciclandomateriali di ogni tipo. Come si fa un cespodi insalata con la carta crespa? Comepreparare appetitose fette di cheese cakecon dei triangoli di spugna gialla? Comesi costruisce una cucina per bambini conle scatole di cartone? Un libro che incen-tiva il gioco imitativo, a «cucinare per fin-ta», esplorando temi importanti dell’edu-cazione alimentare come il gusto, la con-vivialità, il piacere di fare.

trimento e alle coccole di Emanuela Navae Desideria Guicciardiani, e una piccolaguida (pp. 52) di Teresa Bettarello, rivoltaalle neo mamme per guidarle nella for-mazione della relazione che si crea in-torno al nutrimento fra mamma e bam-bino. L’Editoriale Scienza inaugura la col-lana «Ci provo gusto» di cui qui segnaloGiochiamo che ti invitavo a merenda?(pp. 48) di Emanuela Bussolati e FedericaBuglioni, dove sono raccolte idee, espe-rimenti e ricette per giocare «alla cucina».Si tratta di un prezioso manuale, zeppo

riscaldamento del pianeta, la biodiversità,l’inquinamento... L’albo in questione èCari estinti (Kalandraka, pp. 48) di Arian-na Papini, e i cari estinti sono venti specieanimali, scomparse in conseguenza delleazioni umane sul loro habitat o diretta-mente su loro stessi. Papini dà loro vocefacendoli tornare a parlarci dall’aldilàcon poetici e ironici epitaffi accompa-gnati da ritratti. l

Ne La vendetta di Cornabicorna (Babali-bri, pp. 24) di Magali Bonniol e PierreBertrand ritroviamo il piccolo Pietro cheaveva già messo nel sacco la terribile Cor-nabicorna - nell’albo omonimo -, unabrutta strega e un’implacabile dispensa-trice di disgustose minestrine. La vecchiamegera però non era scomparsa, si era

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LINO FERRACIN | [email protected] cinema

Fu la Grande Guerra la prima ad esserepresentata mentre ancora si combatteva;in Europa e negli Usa si realizzaronomigliaia di film, solo in Italia nel 1916 sene produssero 130, film che per motivitecnici, senza sonoro e con mezzi di ripresaimpossibili da portare sui campi di guerra,e per ragioni ideologiche non poteronoraccontare la guerra vera ma solo adattarlaal potere militare e alla propagandapatriottica, ricostruendola e sfruttandolalontano dal fronte. Non si vedevanocadaveri né feriti, né sconfitte o ritirate;obbligatorio era sostenere lo sforzo bellico,esaltare gli eroismi dei nostri e denigrare leatrocità dei nemici. Si dovrà attendere glianni Trenta perché arrivino i primi film(Milestone e Pabst, 1930) dove l’aurapatriottica ed eroica sia ribaltata nellapresa di coscienza di una strage costruitasulla massificazione dell’individuo e sullavacuità della retorica bellicista. Ma solocon i film di Kubrick (1957) e di Losey(1964), e in Italia con Rosi (1970), ildiscorso sulla guerra si farà ideologico eclassista con un crescere di sensibilitàantimilitarista e antibellicista fino all’urlo diTrumbo (1971). Poi i film si sono fatti piùprivati e più meditativi, cercandosoprattutto le ferite dell’anima.

IL CINEMA RACCONTALA GRANDE GUERRA

CHARLOT SOLDATO (SHOULDER ARMS) (CHARLIE CHAPLIN - 1918)Perplessità emergono nel giudicare antimilitarista questo film,dove le sofferenze del soldato sono esclusivamente dovutealla pioggia, dove un cinico Charlot fa il cecchino di diversinemici tenendone sorridendo il conto, dove i nemici sonograndi, grossi, stupidi e comandati da un superiore piccolo einfantile. Una parodia dei film storico-militaristi hollywoodiani,ma ideologicamente non poi così diverso. Che senso potevaavere a guerra non ancora finita un film come questo? E oggi?Un film su cui non basta ridere.

J’ACCUSE (ABEL GANCE - 1919) Monumentale film muto del primissimo dopoguerra, che hanel suo finale una delle sequenze più terribili e famose: migliaiadi cadaveri invocati dal protagonista si alzano e marcianoverso il villaggio alzando il grido di accusa contro la guerra.Da sempre censurato e invisibile, da pochissimo in dvd.

WESTFRONT 1918 (GEORG WILHELM PABST - 1930)Nelle vicende di tre soldati ed un ufficiale sul fronte francese,il regista mostra la guerra: freddo, duro, senza retorica, senzamusica. Alcune sequenza di straordinaria efficacia.

ALL’OVEST NIENTE DI NUOVO (ALL QUIET ON THE WESTERN FRONT)(LEWIS MILESTON - 1930)Dal romanzo di E. M. Remarque. La guerra non uccide nemicima uomini, ragazzi strappati dalla retorica dai banchi di scuolae sognatori di una vita in cui le farfalle volano. Uno stillicidiodi morti con un volto fino all’ultimo, quello che più hai imparatoa conoscere. Bloccato dal Fascismo uscì in Italia solo nel 1956.

ORIZZONTI DI GLORIA (PATHS OF GLORY) (STANLEY KUBRIK - 1957)1916. In una trincea francese un ordine assurdo provoca unastrage senza alcun risultato. Il generale, frustrato nei suoisogni di gloria, esige la punizione dei «vigliacchi». Dopo unprocesso farsa tre saranno fucilati. La guerra è una macchinaterribile nel suo essere perfetta, non è necessario enfatizzarlanei suoi aspetti più crudi né drammatizzarla ancora, diventaoscena nel solo raccontarla. Una delle più celebri opere anti-militariste.

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cinema

ADDIO ALLE ARMI (A FAREWELL TO ARMS)(FRANK BORZAGE, 1932 E CHARLES VIDOR, 1957)Dal romanzo di Hemingway due versioni dellastoria d’amore tra un ufficiale americano euna infermiera inglese sul fronte italiano. Perla prima volta si presenta la disfatta di Capo-retto, per questo proibito dal fascismo comeil romanzo e mai proiettato fino agli anni‘80, la versione del ‘57 fu condizionata dal-l’esercito italiano.

PER IL RE E PER LA PATRIA (KING ANDCOUNTRY) (JOSEPH LOSEY - 1964)Un soldato in un momento di crisi fugge difronte al nemico, deferito alla corte marzialeè condannato a morte. Ancora un processodove sul banco degli imputati ritroviamo piùla guerra che poveri soldati. Utile un con-fronto con Orizzonti di gloria.

E JOHNNY PRESE IL FUCILE (JOHNNY GOT HIS GUN)(DALTON TRUMBO, 1971)Un soldato che un’esplosione ha reso cieco,sordo, muto e privo degli arti, riesce comun-que a comunicare e chiede di essere uccisose non si può esporlo come simbolo dellabarbarie della guerra. I medici rifiutano diascoltarlo, lasciandolo a gridare nella suatomba di carne. Diretto a 65 anni da uno deipiù famosi sceneggiatori hollywoodiani vitti-ma del maccartismo. Film di fortissimo im-patto emotivo, simbolico.

GLI ANNI SPEZZATI (GALLIPOLI) (PETER WEIR, 1981)Nel 1915 gli inglesi tentarono inutilmente diconquistare Gallipoli, porto turco sulla rivasettentrionale dei Dardanelli. Un nutrito con-tingente di australiani partecipò a quella bat-taglia: tra di essi due giovani atleti, innamoratidella corsa. Un macello destinato alla scon-fitta; anche degli ideali e dei sogni.

LA VITA E NIENT’ALTRO (LA VIE ET RIEND’AUTRE) (BERTRAND TAVERNIER, 1989)A due anni dalla fine della guerra sono ancoramigliaia i cadaveri senza nome della battagliadi Verdun: in mezzo a loro si muovono parentialla ricerca dei loro cari e alti ufficiali grotte-scamente intenti a trovare un milite ignotodalle adeguate caratteristiche. A dirigere ilcampo un freddo e burbero ufficiale. La morte

sembra avere tutto ingoiato, la guerra sembraancora affondare le sue radici oltre la suafine, ma la vita...

CAPITAN CONAN (CAPITAINE CONAN)(BERTRAND TAVERNIER, 1996)Se impari ad uccidere con i tuoi soldati nonpuoi più tornare ad essere un civile. Il sanguedella guerra ti resta dentro nonostante glianni.

UNA LUNGA DOMENICA DI PASSIONI (UN LONGDIMANCHE DE FIANÇAILLES) (JEAN-PIERRE JEUNET, 2004)Due anni dopo la fine della guerra, Mathildeparte alla ricerca del suo amore che senteancora vivo anche se Manech è stato fucilatoper lesioni volontarie. Senza paura della veritàsvelerà gli orrori e le responsabilità di quellaguerra e del massacro che fu la battaglia dellaMarna.

JOYEUX NOËL - UNA VERITÀ DIMENTICATA DALLA STORIA (JOYEUX NOËL) (CHRISTIAN CARION, 2005)Natale 1914, Artois, Francia. Durante la vigiliaalla prima strofa di un canto natalizio intonatoda un tedesco risponde uno scozzese e unacornamusa: i «nemici» escono nella terra dinessuno abbracciandosi. Il giorno dopo laguerra riprenderà durissima su esplicito ordinedegli alti comandi irritati e offesi per queimomenti di pace.

WAR HORSE (SPIELBERG, 2011) Un cavallo strappato ai suoi campi ed al suopadrone attraversa con la sua innocenza laguerra. La corsa tra le trincee nella terra dinessuno è una sequenza da antologia.

THE WATER DIVINER (RUSSEL CROWE, 2014)Nei primi mesi dopo la fine della guerra, unpadre australiano ritorna in Turchia per cer-care i suoi tre figli partiti volontari e inghiottitidalla disfatta sulle coste di Gallipoli. Una let-tura di quella guerra con la sensibilità del-l’oggi che vede nell’incontro con l’altro l’unicastrada per una vera pace.

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Chiesa del BrasileTesi, antitesi e sintesi

di epoca» e di «epoca di cambiamenti». Cambia la fami-glia e diminuisce il numero dei figli; il Brasile diventa ur-bano e industriale da agricolo che era; c’è il fenomenodelle migrazioni, con uno sradicamento culturale; si dif-fonde una mentalità anti-istituzione; c’è la rivincita delsacro; i poveri passano a frequentare la chiesetta (evan-gelica) della porta accanto e crescono i cristiani senzaaffiliazione (14%). I vescovi confessano che la Chiesacattolica non ha saputo dare una risposta adeguata alnuovo contesto socio-religioso e urge una nuova evan-gelizzazione.Aparecida decreta il tramonto della «cristianità»: nel do-cumento finale elimina il vocabolo «cristiano» sostituen-dolo con «discepolo/missionario» usato un centinaio divolte. Aparecida ci ricorda che nessuno nasce cristiano(per anagrafe), e che molti fedeli diventano poco a poco«pagani» perché non praticano.Aparecida rilancia le Comunità di Base, ma le mettenello stesso piano di altre comunità e dei movimenti ec-clesiali. Ultimamente la Teologia della liberazione è stata«sdoganata», ma in sordina. Aparecida riconosce la le-gittimità della religiosità popolare, ma senza affrontarnegli eccessi: nel Nord del paese, le devozioni ai santieclissano Dio e sconfinano nel politeismo.Molti vescovi non nascondono il loro feeling col rinno-vamento carismatico. Esso è rampante, converte, speciedonne e giovani, ricorrendo spesso a incontri oceanici.Il movimento non è libero di pericoli come: annacquareil Regno; riunire masse di individui invece di comunità;e fare un’evangelizzazione di risultato sul tipo delle Chie-se evangelicali.

Input finale: il principaleredattore del Documento diAparecida è stato l’alloracardinale Bergoglio, che giàinvitava alla gioia delVangelo. Per noi è motivo di speranza.

arnaldo de [email protected]

i paradossi

Per presentare la Chiesa del Brasile, non c’è schemamigliore della dialettica di Hegel.

Considero «tesi» la Chiesa delle Comunità Ecclesiali diBase (CdB). È la Chiesa frutto del Concilio Vaticano II,inculturato dalle Conferenze episcopali di Medellin(1968) e Puebla (1979). Una Comunità di Base «tipo» èformata da una dozzina di famiglie che si riuniscono set-timanalmente o quindicinalmente, prendono in una manola vita e nell’altra la Bibbia, le confrontano e procedonoalle riforme necessarie per fare che la vita (la società)corrisponda alla Bibbia, cioè alla volontà di Dio. Le CdBfanno capo alla parrocchia che diventa comunità di co-munità. Semplice e efficace! Paolo VI le ritenne provvi-denziali. A loro vanno unite la Teologia della Liberazione(TdL) e l’opzione per i poveri.

Considero «antitesi» la Chiesa della grande disciplina.È la Chiesa che vuole il centralismo e la romanizzazione;essa ha di fatto messo al bando le CdB e la TdL, accu-sandole d’essere marxiste. Ha favorito l’ortodossia tra-dizionale e i movimenti pentecostali. Sotto la spinta diGiovanni Paolo II, la Chiesa «disciplinata» pareva com-patta e uniforme, ma soffrì sfilacciamenti. I cattolici delBrasile passarono da 89% nel 1980, a 73,6% nel 2000, a64,6% nel 2010. Le proiezioni prevedono che, nel 2030 icattolici saranno meno del 50%. La decrescita è stataimputata alle CdB e alla TdL, ma coincise, semmai, conil loro smantellamento; con la nomina di vescovi con-servatori, liturgie romanizzate.

Considero «sintesi» la Chiesa di Aparecida (nel 2007, lacittà-santuario di Aparecida ha ospitato la 5ª ConferenzaEpiscopale Latinoamericana). Dire che Aparecida è sin-tesi, significa parlare di ambivalenza. I vescovi hannofatto la radiografia della situazione, parlando di «cambio

giugno-luglio 2015 | cem mondialità | 47

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dei girovaghila pagina Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi,

una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

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Per ulteriori informazioni e ordiniCEM MondialitàVia Piamarta 9 - 25121 BresciaTel. [email protected]

L’Agenda ha un pratico formato tascabile (cm 10x15), è rilegata con copertina morbidaplastificata e contiene 192 pagine. Il diario,della durata 16 mesi, predisposto per facilitareil lavoro di docenti, educatori e formatori,riporta le feste e le ricorrenze delle principalireligioni mondiali, le date delle giornate civiliinternazionali, e una serie di brevi frasi emassime relative alle grandi religioni.

22 anni di Agenda della PaceL’edizione 2015-2016 è dedicataall’ora delle religioni a scuola

20152016

16MESI

UNA COPIA € 5

COSA FAREMO?Partiamo dal presupposto che ridere insieme fa bene alla salute, apre ilcuore e unisce il gruppo. Qualcosa che migliora la qualità della vita senzaalcun effetto collaterale negativo certamente meriterebbe di essere presopiù sul serio! Nel lavoro del clown le debolezze diventano punti di forza e glierrori base di partenza; ciò che comunemente è messo a margine in unasocietà sempre più veloce e perfezionista si trasforma in poesia.

CHI CI ACCOMPAGNA?Robert Mc Neer, specializzato in mimo e teatro. Nel 1998 ha fondato,insieme alla moglie Pia Wachter, "La Luna nel Pozzo", centro culturale adOstuni [BR], dove fa teatro con piccoli, grandi, persone diversamente abilied educatori.

PER ADESIONI ED ISCRIZIONI

Gegè Scardaccione: 0805343087 - [email protected] Petrucci: 0805344790 - [email protected]

Per altre informazioni visitate il sito:www.gruppoeduchiamociallapace.it

QUOTE DI PARTECIPAZIONE

Quota individuale: € 260, comprendente vitto, alloggio e laboratoriBambini € 170, compresa la quota animazione e baby-sitterPer le famiglie e giovani studenti o senza reddito è prevista una riduzione

Perché vado alla ricerca del clown che è in me?

13-17 luglio 2014 - Villa Speranza - Ostuni (Brindisi)

CAMPO ESTIVO, FORMATIVO E CONVIVIALE

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Essere generativi significa limitare

l’egoismo, produrre con logiche

di sostenibilità, rispettare

i giusti tempi del vivere,

ricomprendendo nel proprio orizzonte

il rapporto fecondo tra passato

e futuro, consapevoli che

«non ci è concesso di lasciare

il mondo così com’è»

(J. Korczak)

Luogo del convegnoHotel della TorreS.S. Flaminia km. 147Località Matigge, Trevi (Perugia)tel. 0742.3971 / fax 0742.391200 www.folignohotel.com [email protected]

Per informazioni e iscrizionitel. [email protected] cem.saverianibrescia.itf cemsav  / t CemMondialita

54° Convegno Nazionale di CEM Mondialità

Trevi (Pg), 23-26 agosto 2015

con la partecipazione di

TONIO DELL’OLIOANTONELLA FUCECCHIMICHELE DOTTI

INCONTRI LABORATORI PER ADOLESCENTI E BAMBINI 6 WORKSHOP PERADULTI PRESENTAZIONE DI LIBRI LIBRERIA MUSICA

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