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LITURGIA“CULMEN ET FONS”

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n.1- 2016 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

IN QUESTO NUMERO

3 IL DIRITTO LITURGICO

don Enrico Finotti

8 LE DOMANDE DEI LETTORI

a cura della Redazione

10 I DIRITTI DI DIO

dott. Daniele Nigro

14 IL CANTO DEI MINISTRI NELLA CELEBRAZIONE

EUCARISTICA

maestro Aurelio Porfiri

17 IL RITO DEL DONO DELLA PACE

Congregazione del Culto

______________________

LITURGIA “CULMEN ET FONS”

Rivista trimestrale di cultura religiosa a cura della Associazione

Culturale Amici della Liturgia via Stoppani n. 3 - Rovereto.

Registraz. Tribunale di Trento n. 1372 del 13/10/2008

Direttore Responsabile: Massimo Dalledonne.

Tipografia “Centro Stampa Gaiardo” Borgo Valsugana (TN)

Redazione: Liturgia ‘culmen et fons’ - Editrice FEDE & CULTURA

viale della Repubblica n. 15, 37126 - VR

REDAZIONE

d. Enrico Finotti, Sergio Oss, Marco Bonifazi, Ajit Arman, Paolo

Pezzano, Mattia Rossi, Giuliano Gardumi, Fabio Bertamini.

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Liturgia ‘culmen et fons’ - via Stoppani, 3 - 38068 Rovereto

(TN) - Posta elettronica: [email protected]

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LE IMMAGINI DI QUESTO NUMERO

A pag. 10-11: Prove di Mosè, affresco (348,5x558 cm)di Sandro Botticelli e aiuti, 1481-1482, decorazione delregistro mediano della Cappella Sistina. A pag. 1, 4, 7,9, particolari dello stesso.“Nei racconti dell’uscita di Israele dall’Egitto, emergonodue differenti finalità per l’Esodo. Una, a noi tutti nota,è il raggiungimento della terra promessa, nella qualefinalmente Israele potrà vivere su una terra propria (…).A fianco si colloca però ripetutamente un’altraindicazione di obiettivo. Il comando originario di Dio alFaraone suona: “Lascia partire il mio popolo, perchépossa servirmi nel deserto!” (Es 7, 16)...“Israele esce dal Paese non per essere un popolo cometutti gli altri; esce per servire Dio. La meta dell’Esodo èla montagna di Dio, ancora sconosciuta, il servizio diDio” (...). Infatti, sul Sinai Dio “parla al popolo, nelledieci sante parole (Es 20, 1-17) gli comunica la suavolontà e per mezzo di Mosè conclude l’alleanza (Es24) che si concretizza in una forma di cultominuziosamente regolata. Così si è adempiuto lo scopodel pellegrinaggio nel deserto comunicato al Faraone:Israele impara ad adorare Dio nel modo da lui stessovoluto. A questa adorazione appartiene il culto, la liturgianel suo senso specifico; ad essa appartiene però anchela vita secondo la volontà di Dio, che è un aspettoirrinunciabile della vera adorazione. Però “la vita diventavera vita solo se riceve la sua forma dallo sguardo chea Dio si orienta. Il culto esiste proprio per questo, perpermettere questo sguardo e così rendere possibile unavita che diventa gloria a Dio” (cf. Josef Ratzinger,Introduzione al Cristianesimo).

A pag. 12, 13, 16-17: Punizione di Datan e Core e ribelli,affresco (348,5x570 cm) di Sandro Botticelli e aiuti,1480-1482, registro mediano della Cappella Sistina.La rivolta di Datan, Core e Abiràm si colloca nel contestodell’esodo (Numeri 16) quando un consistente gruppodi Leviti contesta l’autorità di Mosè e di Aronne: “Bastacon voi! Tutta la comunità, tutti sono santi e il Signoreè in mezzo a loro; perché dunque vi innalzate sopral’assemblea del Signore?” (Nm 1, 3). Dopo il rifiuto alravvedimento (Nm 16, 12-13) segue la punizione:Datan, Core e Abiràm verranno inghiottiti dalla terra chesi apre sotto i loro piedi e 250 leviti verranno consumatidal fuoco. Il fuoco che esce dalla presenza del Signoree colpisce gli uomini con l’incensiere sul quale c’è unfuoco illegittimo (Cf. Lv 10,1-2), dimostra che il loroomaggio a Dio è falso. L’immagine della terra cheinghiottisce vivi gli avversari di Dio è ripresanell’Apocalisse a proposito dell’annientamentodell’Anticristo (Ap 20,20).

Nell’ultima pagina, la Purificazione del Tempio di CarlHeinrich Bloch, 1874, Olio su rame, 97 x 86 cm,Frederiksborg Slot, Hillerød. Gesù è il vero Messiad’Isarele preannunciato dai profeti che purifica il Tempio,(Ml 3,1ss) per farne la cattedra del suo insegnamento(Lc 19,45-48).

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Il diritto liturgicodon Enrico Finotti

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1. Canone o Anafora?

La più importante tra tutte le orazioni (eucologie)liturgiche è la prece eucaristica, nella quale emediante la quale si compie sacramentalmente neltempo il mistero della nostra Redenzione. Ilsacrif icio incruento della Croce, infatti, si attuanel cuore di questa grande prece ed è questo ilmotivo che la eleva ad una dignità eccelsa e lacirconda di tanta venerazione e cura in tutti isecoli.

Nella liturgia romana l’unica prece sempre in usof ino al Vaticano II è il Canone Romano e ancoroggi è, fra le altre di nuova composizione, quellapiù eminente ed occupa il primo posto.

Il termine latino Canone signif ica regola eprecisamente regola di azione (Canon actionis),ossia norma da seguire per elevare a Dio un cultoconveniente e per realizzare un complesso di azionirituali conformi e degne del Sacrif iciosacramentale istituito e comandato dal Signore.

In Oriente, invece, la medesima prece è dettaAnafora, che signif ica elevazione orante dellamente e del cuore a Dio e che trova il suo perfettocompimento nell’offerta a Lui del Sacrif icioincruento del Suo divin Figlio.

E’ evidente che i due termini sottolineano duediversi aspetti del medesimo mistero: mentrel’Oriente col termine Anafora (oblatio - offerta )fa’ riferimento al movimento interiore dell’azionesacrif icale quale spirituale elevazione rivolta adPatrem per Filium in Spiritu Sancto, l’Occidentecol termine Canone (Canon actionis sacrif icii)indica le regole esteriori necessarie per l’attuazionevisibile ed integra di tale Sacrif icio.

E’ migliore la prospettiva orientale o quellaromana?

Si tratta di due sensibilità diverse, ma complemen-tari. L’Oriente, più incline alla mistica, contemplai contenuti misterici della prece, che si eleva nelsuo moto ascendente ad Deum. In tal senso iltermine Anafora ne è adeguata espressionelinguistica. Roma, invece, conforme al suo geniopratico e alla sua determinazione giuridica,considera la prece sotto l’aspetto concreto del suo

attuarsi rituale e delle leggi liturgiche che essoimpone per essere un atto sotto ogni aspetto validoe legittimo. Il termine Canone quindi è il più adattoad esprimere quella prassi liturgica, che garantiscela rationabilis oblatio istituita dal Signore.

Ogni prece sacramentale, orientale o romana, portain sé sia la dinamica ascendente del sacrif icio(Anafora), sia le norme liturgiche (Canone) checonf igurano la sua forma valida e legittima perpoter accedere alla Maestà divina.

Questa spiccata attenzione giuridica non è soloconsona al genio romano in quanto tale, ma lo èpure al ruolo della Chiesa Romana, quale Chiesache presiede a tutte le Chiese. Infatti alla ChiesaRomana compete tener saldi i termini basilariaff inché ogni Chiesa possa verif icare il suo esserenella comunione cattolica riguardo alla professionedella fede, alla celebrazione dei sacramenti e alladisciplina universale.

In tal senso a Roma continua ad essere attuale ladecisione che gli Apostoli assunsero nel primoConcilio, quello di Gerusalemme: «Abbiamodeciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvinessun altro obbligo al di fuori di queste cosenecessarie […] » (At 15, 28).

Il termine Canone, quindi, è quanto mai adatto adun ruolo di governo, che richiede, soprattutto peril Sacrif icio divino, norme essenziali e chiare perassicurare la ierarchica communio e verif icarlacontinuamente. Roma, infatti è chiamata aproclamare a tutte le Chiese: In necessariis unitas,in dubiis libertas, in omnibus caritas («unità nellecose necessarie, libertà in quelle dubbie, carità intutte») 1. Anche la nobile semplicità (SC 34) a cuisi ispira il rito romano e che ne costituisce la suagenialità, attesta quella sostanza necessaria deldiritto liturgico, che Roma custodisce e che èrichiesta a tutte le Chiese per attuare sacramental-mente l’opera della nostra Redenzione. Non a casoquindi Roma è scelta dalla divina Provvidenza peressere la sede della Ecclesia omnium urbis et orbisecclesiarum mater et caput2.

Possiamo allora dire che se il termine Anaforarichiama il sacro, ossia il mistero in essa contenutoe attuato, il termine Canone, invece, richiama ildiritto, ossia quell’insieme di norme, checonsentono al mistero di essere adeguatamentecelebrato nello spazio e nel tempo e comunicato,qui ed ora, per la salvezza dei credenti.

Ed ecco i due pilastri basilari su cui si erge l’edif icioliturgico: il sacro e il diritto. Senza il sacro il dirittorimane un involucro vuoto e senza il diritto il sacroperde la sua identità, la sua forma e la sua stessasussistenza. Sono dunque due termini indissolubilicome, per analogia, l’anima e il corpo nell’uomo ola natura divina e la natura umana nel Verboincarnato.

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Ecco perché né all’Oriente può mancare il diritto,né a Roma il sacro.

2. Il diritto liturgico nella RivelazioneMa il diritto liturgico è una creazione romana, o,come oggi si dice, un’inculturazione operata dallaChiesa di Roma, oppure ha radici più remote?

Il diritto liturgico ha le sue origini nella stessaRivelazione, anzi è radicato f in dalla Creazione. Ildiritto liturgico insomma è stabilito da Dio stessoche consegna all’uomo il modo giusto di adorarloe di rendergli un culto gradito ed eff icace.

Nel comando che Dio f in dal principio diedeall’uomo «dell’albero della conoscenza del bene edel male non devi mangiare» (Gen 1,17) éintegralmente già contenuta la sostanza del dirittoliturgico, che nella successione dei secoli subiràmolteplici sviluppi e determinazioni, qualiapplicazioni diversif icate e contingenti nellemutevoli situazioni storiche e culturalidell’umanità.

All’uomo non è consentito servire il Signore ‘aruota libera’, ma soltanto osservando quelle leggiche il Signore stesso ha posto alla libertà dell’uomoper riguardo all’immensa dignità divina delCreatore e per l’autentica salvezza dell’uomo stesso,sua creatura.

L’intera vita di Adamo, appena uscito dalle manidel Creatore, doveva essere un culto integrale,soave e gradito a Dio; ma la condizione di questogradimento era l’adorazione, che Adamo dovevaal suo Creatore, non tentando di usurpare la Suamaestà divina, pretendendo di stabilire da se stessoil bene e il male, ossia man-giando indebitamente del fruttodell’albero della vita.

Questa regola (Canone),originale e imprescindibile,stabiliva il diritto liturgico pertutti i tempi: l’adorazione, ossial’obbedienza totale, nobile ef iliale della creatura al Creatore.

Adamo avrebbe dovuto renderea Dio un culto secondo ciò cheDio stesso aveva stabilito inmodo che i diritti di Dio e i dirittidell’uomo fossero nel giustoequilibrio, per la gloria di Dio ela felicità dell’uomo.

‘Essere come Dio’ fu in realtà un voler celebrare ilculto in affronto a Dio, senza Dio, al posto di Dio.Qui sta il crollo originale della liturgia, checoincide col crollo di tutta l’esistenza dell’uomo.Un rapporto errato con Dio, ossia un cultosbagliato inquina e debilita tutto il panorama dellavita dell’uomo e dell’universo a lui aff idato esottomesso.

Ogni abuso liturgico, ossia ogni culto inventatodalla fragile ed eff imera creatività dell’uomo senzaalcuna obbedienza alle disposizioni divine, ha nelpeccato originale il suo referente sorgivo.

Questo ruolo divino nel disporre il diritto liturgicosi manifesta con crescente eloquenza emagnif icenza in tutto il corso della successivastoria della salvezza.

Già Mosè nella sua risposta al faraone d’Egittodichiara la competenza esclusiva di Dionell’indicare le modalità per tributargli un cultolegittimo: «Andremo nel deserto, a tre giorni dicammino, e sacrif icheremo al Signore, nostro Dio,secondo quanto egli ci ordinerà!» (Es 8, 23).

Poi sul monte Sinai la legislazione liturgica cheDio consegna a Mosè è alquanto estesa e precisaanche nei particolari: «Guarda - disse - di fare ognicosa secondo il modello che ti è stato mostrato sulmonte» (Eb 8, 5; Es 25, 40).

Tale legislazione è descritta con cura in ben settecapitoli del libro dell’Esodo (Es 25 - 31). Anche laconcreta realizzazione delle disposizioni liturgichericevute da Dio sul Sinai occupa ben sei capitoliinteri (Es 35-40). L’intero libro del Levitico riguardale norme e l’organizzazione del culto. Ulteriorideterminazioni della legislazione liturgicaoccupano consistenti parti di alcuni libri biblici (es.Nm 28-30; Dt 12. 15. 16; ecc.).

Sandro Botticelli, Le prove diMosè, particolare: Mosè difendele figlie del sacerdote di Madian

Jetro (Cf. Es. 2, 16-12).

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Tutte queste indicazioni divine saranno reseoperative nella lunga marcia del popolo errante neldeserto, che appare quanto mai simile ad unaprocessione in tutto conforme alle norme sacre diun diritto liturgico stabilito da Dio, che avrà il suoapogeo nella presa di Gerico (Gs 6, 1-16).

Giunti nella terra promessa e terminata la vitanomade si sa quanta cura Davide e il f iglioSalomone abbiano impiegato nella costruzione deltempio e nell’organizzazione delle solennicelebrazioni liturgiche (1 Re 5-9; 1 Cr 22-26; 2 Cr 1-8).

Ebbene possiamo affermare, senza tema diesagerazione, che l’intera vita del popolo eletto èimpostata sul diritto liturgico, rivelato da Dio sulSinai e attuato da Mosè, da Davide, Salomone edalle classi sacerdotali (1 Cr 24) f ino all’avvento delMessia. In particolare, le modalità dellaricostruzione e dedicazione del tempio da partedei fratelli Maccabei testimoniano quanto siafondamentale l’osservanza del diritto liturgico inpiena continuità con la tradizione dei padri (2 Mac10, 1-8).

Nella pienezza dei tempi il Signore Gesù in personainterviene con estremo rigore nella purif icazionedel culto e del luogo santo: «Portate via queste cosee non fate della casa del Padre mio un luogo dimercato» (Gv 2, 13-22). Egli ammonisce i suoiascoltatori aff inché non sostituiscano il cultostabilito da Dio con «un imparaticcio di usi umani»(Is 29, 13): «Invano essi mi rendono culto,insegnando dottrine che sono precetti di uomini»(Mt, 15, 9).

Il Signore insomma vuole che i suoi discepoli,ritornino al vero culto delle origini ed esige chetale culto, sulla scia dei profeti, sia autentico:«Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suocuore è lontano da me» (Mt 15, 8).

Sarebbe non conforme a verità ritenere che ilSignore abbia semplicemente abolito le forme delvero culto stabilito da Dio, in nome di una creativitàspontaneistica del tutto aliena dalla Rivelazionebiblica. Infatti Egli venne per purif icare il culto eriportarlo alla santità delle origini, ma non perabolirlo o spogliarlo di quelle leggi che sono ilriflesso stesso della legge eterna di Dio: «Non sonovenuto per abolire ma per dare compimento» (Mt5, 17).

Il Signore, stabilendo la sostanza del Sacrif icio edei sacramenti, f issa le linee portanti del dirittoliturgico, che poi saranno ulteriormente esplicitatedalla Chiesa. Senza l’osservanza di questo dirittosostanziale e originario si annichilisce l’azionesalvif ica di Cristo verso di noi. Senza tale dirittodivino, che def inisce i ‘santi segni’ nella lorooggettività, i gesti salvif ici (sacramenti) delSalvatore cadono nel nulla e il Suo Sacrif icioincruento si riduce appena ad un vago ricordopsicologico di un evento passato. Senza un preciso

diritto liturgico il rito diventa evanescente, liquido,indef inito ed anche il suo contenuto evapora inun soggettivismo sterile e deviante.

3. Il diritto nella liturgia della Chiesa

Il diritto liturgico, proprio della liturgia cattolica,si rivela nel suo esordio nelle parole disant’Agostino, che afferma: Christus sacramentisnumero paucissimis, observatione facillimis,signif icatione praestantissimis, societatem novipopuli colligavit3. Cristo Signore, istituendopochissimi sacramenti, molto facili da celebrare equanto mai adeguati a ciò che devono signif icare,ha posto le basi fondamentali e suff icienti perl’intero complesso del diritto liturgico della Chiesaper tutti i secoli.

La Chiesa poi attualizza la salvezza quando celebrai sacramenti unendo la parola agli elementi (acqua,olio, pane, vino): accedit verbum ad elementum etf it sacramentum4. Cosa signif ica questa unionedella parola all’elemento se non la realizzazione delsacramento secondo le leggi stabilite dal dirittoliturgico, che def inisce ciò che san Tommasod’Aquino chiama la materia, la forma e il ministrorelativi ad ogni azione liturgica, che intenda essereeff icace in ordine alla Grazia e valida per ascenderealla Maestà divina?

Da ciò si comprende la superf icialità e lapericolosità di quella mentalità anti-giuridica cheha suscitato un certo fascino verso la creatività, lospontaneismo e la libera formulazione delle precie dei riti. Senza l’osservanza del diritto liturgico viè la precarietà di una natura debilitata dal peccato,che esprime una religione decaduta priva dell’operadella Grazia.

Un culto che ha l’odore della creatura, così comeattualmente è, non penetra i cieli: l’odore dell’uomo,dopo il peccato originale, è odore di morte perchésiamo peccatori e mortali. Al cielo sale soltanto unculto che abbia il buon profumo di Cristo, il Giustoe il Vivente, il quale non copre l’odore del peccato,- perché non vi è «intesa tra Cristo e Beliar» (2 Cor6, 15) – ma estinta alla radice ogni traccia dipeccato, infonde nell’uomo, rigenerato nelbattesimo (o rivif icato nella riconciliazione), ilprofumo della Grazia di Cristo.

Ebbene l’osservanza del diritto liturgico assicurache oggettivamente l’atto di culto sia in tutto e pertutto conforme al culto del Figlio unigenito, il soloche può introdurre nell’intimità con l’unico e veroDio. Celebrare la liturgia signif ica innanzituttoaccettare una profonda purif icazione per deporreil ‘corpo del peccato’ e l’odore della morte e rivestirsidi Cristo, assumere i suoi sentimenti, far propriele sue virtù, entrare nella sua religionesoprannaturale e perfetta, che ci riscatta dallareligione naturale ormai inquinata a causa delpeccato d’origine.

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Certo occorre sempre mantenere l’equilibrio:all’osservanza del diritto liturgico devecorrispondere l’adesione del cuore. Se il solo dirittosenza interiorità può portare ad un freddorubricismo, l’interiorità soggettiva senza la formadel diritto liturgico porta al relativismo religioso eall’idolatria.

Tuttavia se devono coesistere ambedue glielementi, la legge e il cuore, si deve riconoscereche lì dove viene a mancare la corrispondenzainteriore, anche la mera osservanza del diritto hacomunque un valore fondamentale, perchéassicura che il mistero nella sua realtà oggettivasia reso presente e disponibile, almeno per tuttigli altri che partecipano al rito liturgico. Invece secade l’osservanza del diritto, anche se vi fosse unainteriore e sincera corrispondenza dell’animaall’azione liturgica, verrebbe meno nella suaoggettività l’evento soprannaturale della Grazia, il

mistero sacramentale, che si attua soltanto lì doveil diritto liturgico è osservato almeno nelle suedimensioni sostanziali.Non si tratta qui di scegliere tra la legge oggettivae la cosciente e libera adesione soggettiva, ma,pur esigendole ambedue per una celebrazione chesia fruttuosa in ordine alla salvezza, è necessariosaper quanto sia delicato, pericoloso e talvoltafatale alterare il diritto liturgico: si tratta diincontrarsi o meno con l’oggettività del misterodivino. Qui sta la garanzia più alta che il dirittoassicura alla validità delle azioni liturgiche.I fedeli, se chiedono sacerdoti santi che vivanointimamente ciò che celebrano, chiedono ancorprima e con maggiore forza, anche seinconsciamente, sacerdoti fedeli al dirittoliturgico, perché solo a questa condizione essisanno di ricevere la realtà viva del Cristo, del suoSacrif icio, dei suoi gesti salvif ici e della sua

preghiera.

Il ricorso alla retta intenzione eall’inf lusso della Grazia per viaextrasacramentale dà certamenteconforto ai fedeli semplici e ignariche partecipano a celebrazionimancanti o gravemente alterate,tuttavia quando il diritto liturgico èinfranto coscientemente non si puòpresumere in colui che lo infrangené la retta intenzione, né l’eff icaciadella Grazia.

4. Per ritus et preces

Il Concilio Vaticano II ha avuto ilmerito di condensare in unaespressione lapidaria e ormai nota -per ritus et preces (SC 48) - l’interocomplesso del diritto liturgico nellesue due componenti essenziali: i ritie le orazioni, i gesti e le parole.

Il termine ritus, infatti, raccoglieuna vastissima molteplicità dielementi propri del linguaggiosimbolico: gesti, espressioni emovimenti; abiti, insegne, oggetti,simboli e libri; luoghi, edif ici edambienti sacri; tempi, memorie,feste e solennità; ecc.

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Sandro Botticelli, Cappella Sistina, Leprove di Mosè, particolare: Mosè da-vanti al rocveto ardente. “Togliti i san-dali perché il luogo che calpesti èsanto” (Es 3,5).

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Il termine preces, si declina in un ventaglioamplissimo di modalità diverse del linguaggioverbale: orazioni, lezioni, didascalie e saluti; canti,acclamazioni, musiche e suoni; il sacro silenzio;ecc.

Non è marginale il collegamento tra l’espressioneper ritus et preces e l’altra «con eventi e paroleintimamente connessi» (DV 2). L’analogia affermala continuità della storia della salvezza nell’oggidella celebrazione liturgica. Gli eventi, connessi alleparole con cui Dio operò f in dall’inizio nella storiadella nostra Redenzione, continuano ancor oggicon la medesima modalità («con eventi e parole»- per ritus et preces) nei riti e nelle preci dellecelebrazioni liturgiche della Chiesa.

Inoltre l’espressione per ritus et preces dichiaral’inadeguatezza di una liturgia incline o ad unaeccessiva didascalia o ad un esclusivo simbolismoermetico. La ricchezza del linguaggio al contemposimbolico (ritus) e verbale (preces) è egregiamentedichiarata dai due termini e reclamata comecomponente essenziale del diritto liturgico.

Tuttavia l’elemento più profondo di questaespressione sta nel porre il diritto liturgico, raccoltonella sua totalità in ritus et preces, a fondamentodella natura stessa di un’azione liturgica, che è talenella misura che riconosce la sua identità edeff icacia nella fedeltà ai riti e alle preci stabiliti dallaChiesa. Infatti, senza la mediazione del dirittoliturgico (ritus et preces) non si accede alla Graziapropria della celebrazione liturgica. Il per ritus etpreces è la porta necessaria per entrare nellaliturgia e senza questo ‘giogo’ non si accede, néalla preghiera di Cristo, né al suo Sacrif icio, né aisuoi gesti salvif ici. Fuori di questa mediazionel’uomo rimane allo stadio fragile di una religiositànaturale e di un culto soggettivo debilitato dalpeccato. A questo livello si comprende quanto siabasilare e necessario il diritto liturgico e quantoinvece sia precario un culto pur creativo, libero eanche geniale, ma eff imero, debole e insuff iciente,come è la nostra situazione di uomini peccatori.

5. La lettera e lo spirito nella liturgia

Il diritto liturgico ha subito un notevole attacconell’attrito tra la legge (la lettera) e lo spirito. Questadiscussione, sempre più accesa dal postconcilio adoggi, ha inf luito non poco su una equivocainterpretazione dei documenti del ConcilioEcumenico Vaticano II e ha creato un clima disfavore e di sospetto su ogni normativa e inparticolare riguardo al Codice di Diritto Canonico.L’insegnamento del magistero ha costantementeindicato la giusta via mantenendo l’equilibriocattolico dell’et-et e rifuggendo dall’aut-autprotestante. Quindi la legge deve sempre comporsicon lo spirito e lo spirito trova la sua interpretazionepiù autentica nella lettera della legge.

L’interdipendenza necessaria ed indissolubile tralegge e spirito viene chiaramente affermata dalConcilio a proposito della liturgia in unaraccomandazione importante:

«[I chierici] imparino ad osservare le leggiliturgiche, di modo che la vita dei seminari e degliistituti religiosi sia profondamente permeata dispirito liturgico» (SC 17). Non vi è alcun dubbioquindi che una vera formazione liturgica implichiche lo spirito liturgico sgorghi dall’osservanza delleleggi liturgiche e ad esse si alimenti. Infrante leleggi liturgiche cade lo spirito liturgico, non piùformato e garantito dall’oggettività del diritto.

Anche l’attuale diatriba tra dottrina e pastorale,quasi che ci possa essere una vera pastoraledifforme dai principi dottrinali, incide negativa-mente sulla fedele osservanza del diritto liturgico,indulgendo ad una creatività soggettiva, talvoltadifforme dalla leggi liturgiche, giustif icata in nomedell’inculturazione, delle mutevoli situazioni localie personali e dei continui mutamenti eff imeri della‘cultura’ dominante. Da ciò nasce un costume dicreatività selvaggia che si abbassa totalmente aduna attenzione antropologica senza più alcunadipendenza dal diritto, fosse anche il diritto divino.

In realtà già il Vaticano II nella nota apposta allaCostituzione Gaudium et spes ha offerto il modogiusto di interpretare il rapporto dottrina-pastorale: «La Costituzione Pastorale “Sulla Chiesanel mondo contemporaneo” consta di due parti,ma un tutto unitario. La Costituzione detta“Pastorale” perché, basata sui principi dottrinali,intende esporre l’atteggiamento della Chiesa versoil mondo e gli uomini d’oggi. Non manca dunquené l’intento pastorale nella prima parte, né l’intentodottrinale nella seconda […] ».

Alla luce di questo equilibrio possiamo affermareche nella liturgia vera, né al diritto manca lo spirito,né allo spirito è estraneo il diritto: lo spirito ispirail diritto e il diritto def inisce, interpreta e difendelo spirito.

---------------------------1 Espressione attribuita a sant’Agostino d’Ippona.2 Scritta sulla facciata della basilica di san Giovanni inLaterano a Roma.3 S. AGOSTINO, Epist., 54, 1.Cfr. Contra Faustum, 19, 9.4 S. AGOSTINO, Hom. 80, 3 in Joan.; PL 35, 1840.

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1. Sono un sacerdote, della diocesi di […] vi seguoe leggo sempre con grande interesse cercandodi attuare nella parrocchia a me aff idata levostre preziose indicazioni. Vorrei aprire il mioanimo per dirvi quale è stata la formazioneliturgica che abbiamo avuto noi f in dalseminario e poi ai corsi di aggiornamento […]Ci veniva spiegato che i libri liturgici nondovevano essere tassativi, ma dovevano essereusati come una indicazione di massima perorientare la nostra creatività. Insomma non sidoveva leggere il libro, ma ricrearlo con lenostre parole a seconda dell’assemblea per laquale si celebrava. Tutti noi avevamo paura diessere ritenuti dei ‘rubricisti’ e ci sentivamo (inbuona fede) autorizzati a rifare con libertà ritie testi. Sembra che questo non sia stato ilpensiero della Chiesa […] Chiedo a voi…

Il concetto di libro liturgico come ‘canovaccio’, ossiaindicazione di massima piuttosto che normatassativa per la celebrazione dei riti, è stato fortementelesivo del diritto liturgico e causa non trascurabiledi una creatività avulsa dall’oggettività delle azioniliturgiche e perciò motivo di molteplici abusi.

In realtà la tradizione liturgica della Chiesa si sviluppanel senso della determinazione sempre più precisa edettagliata delle leggi rituali, passando dalla relativalibertà dei primi secoli alla precisione rubricale delConcilio Tridentino.

Questo processo non è da ritenere negativo, quasiche la monumentale costruzione del diritto liturgicoavvenuta nell’arco del tempo, sia stata underagliamento dalla ‘libertà dello spirito’ edall’autenticità del culto, come si presume esserestato in origine. E’ nella natura intrinseca dellaliturgia esigere la precisione del diritto ed esplicitarecon determinazioni sempre più def inite il tenore eil senso dei riti e delle preci. Dal momento che ilsoggetto della liturgia é il Cristo, indissolubilmenteunito alla Chiesa suo mistico corpo, è necessarioconoscere con sicurezza il contenuto del suo pensieroe della sua preghiera e individuare la forma specif icadei suoi atti salvif ici. La legge dell’oggettività è in talsenso fondamentale in liturgia, ed è questa cheassicura al popolo cristiano di aderire con certezzaal culto integrale che Cristo capo in indissolubileunione con la Chiesa sua sposa elevano alla divinaMaestà. Per raggiungere questa realtà sopran-naturale sono necessarie leggi mirate, che diano laforma alla liturgia in modo da distinguerla

Le domande dei lettoriA cura della Redazione

nettamente dal soggettivismo mutevole deisentimenti umani. La liturgia scrive le sue paginemigliori non nella indeterminazione giuridica deisuoi atti, ma nella fedele adesione al suo apparatogiuridico, quale composizione organica, coerentee nobile riflesso del diritto divino. L’intervento diriforma non deve indulgere per principio ad unaspericolata riduzione del diritto e delle sue sapientinorme, ma piuttosto tendere ad una indefessa esempre più alta perfezione del diritto liturgico inmodo da riflettere con la maggior fedeltà possibileil culto stesso dell’unigenito Figlio di Dio. La forzasegreta e sublime della liturgia sta nell’aggancio alculto di Cristo, sommo sacerdote, e non nell’as-sumere con presunzione i nostri fragili e ineff icacibalbettii di creature debilitate dal peccato.

Certo che la mentalità antropocentrica dominante,ispirata al soggettivismo, all’individualismo e alsentimentalismo, non può che sentirsi minacciatadalla solenne imponenza di una liturgia def inita,stabile, chiara, oggettiva nei suoi contenuti,perenne nella sua sostanza e vagliata nel crogiuolodella tradizione dei secoli.

Il libro liturgico allora è un dono che la Chiesamette a disposizione dei suoi sacerdoti e di tutto ilpopolo di Dio e va seguito in modo precettivo econ animo grato. La Chiesa inoltre stabilisce il gradodi obbligatorietà delle varie leggi liturgiche econsente adeguati spazi di scelta e libertà, chetuttavia vanno impiegati con una intelligenzaformata liturgicamente.

2. In passato i sacerdoti mostravano unrispetto sacro delle norme liturgiche etraspariva in loro il timore di non averleosservate in modo preciso. Questo loroesempio suscitava anche in noi fedeli imedesimi sentimenti e si stava in chiesa insilenzio e con devozione. Oggi non esiste piùniente di questo. Va bene tutto e il suocontrario e qualora si dovessero fare delleosservazioni si è pure rimproverati (Unsacrista).

Questa situazione è il sintomo della caduta totaledel diritto liturgico, che non risparmia gli edif ici ei luoghi di culto; i ministri sacri nel loroabbigliamento, linguaggio e comportamento; i riticon le loro leggi, ritmi e simboli; ecc. Tutto èabbandonato ad uno spontaneismo senza freno,che viene pure ritenuto liberante e autentico. Inrealtà il sacrum liturgico viene sostituito fatalmentedal più gretto costume profano intessuto disecolarizzazione e di luoghi comuni propri dellamentalità mondana e terrenista. Il collasso delsoprannaturale è drammatico e il respirodell’eterno è estinto. Il funzionalismo esasperatodi una prassi sociologica travolge ogni prospettivamistica e la salus animarum lascia il posto alla‘promozione umanitaria’ di un mondo senza Dio echiuso nell’orizzonte materiale.

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Come uscire da questa situazione? Con unacoraggiosa e precisa osservanza del diritto liturgico.Quando in un campo riarso la terra sterile nonproduce più niente se non sterpi, basta una copiosairrigazione perché riprenda vita e la vegetazionediventi rigogliosa. Così se sul terreno sterile di unaliturgia profanata e secolarizzata si riprende condeterminazione ad osservare il diritto liturgico inogni sua parte subito la celebrazione si rianima, siriveste di sacralità e trasmette con mirabile eff icaciala Grazia divina. Il diritto liturgico, infatti, è il canaledella grazia soprannaturale, che si riversa copiosaattraverso le mediazione dei riti e delle preci stabilitedal Signore e dalla sua Chiesa.

Allora quando i luoghi sacri saranno avvolti dalsilenzio, i sacri ministri rivestiti con i loro nobili abitiliturgici, i riti svolti con gravità interiore ed esteriore,le preci elevate con solenne maestà, i canti e la musicaispirati alla verità e alla santità del dogma; quandoogni cosa sarà resa docile al diritto stabilito da Dio econforme alla tradizione ricevuta dai Padri comeparte sostanziale del depositum f idei; allora il popolocristiano sarà rispettato nei suoi diritti di popolosacerdotale e sarà condotto da pastori fedeli a risaliredalle cose visibili f ino alla contemplazione di quelleeterne.

3. Sono un seminarista mi piace molto la vostralinea editoriale precisa e moderata, vi pongola seguente domanda: ma il Concilio non hasemplif icato la liturgia e tante altre cose?Perché di nuovo voler complicare con unritorno ad un ‘rubricismo’ ormai passato?

E’ questa la domanda d’obbligo che vien fattaquando si insiste con unacerta energia per riproporre ilvalore delle norme liturgiche.E’ vero che il ConcilioVaticano II ha disposto unaopportuna semplif icazionedei riti, secondo le noteindicazioni della Costituzioneliturgica SacrosanctumConcilium: «I riti splendanoper nobile semplicità; sianotrasparenti per il fatto dellaloro brevità e senza inutiliripetizioni; siano adattati allacapacità di comprensione deifedeli né abbiano bisogno,generalmente, di moltespiegazioni» (SC 34).

Occorre dire con chiarezzache questa disposizione non ècontro il diritto liturgico, maa favore del medesimo.Infatti, se in determinati casiè necessario integrare unanormativa insuff iciente ocorreggere leggi mancanti o

aggiornarne altre non più attuali, in altri casi è ladignità del diritto stesso e la sua eff icacia cheimpongono una semplif icazione, ossia un togliereil ‘troppo e il vano’. Tale procedimento però èattuato per migliorare il complesso giuridico,renderlo più qualif icato, più spedito e più adatto araggiungere il f ine stesso della legge.

Ora la disposizione del Vaticano II è da intenderein questa prospettiva: una normativa liturgica il piùpossibile adeguata, sia ad esprimere fedelmente ilmistero divino, sia a trasmetterlo eff icacemente alpopolo per elevarlo all’incontro col mistero.Semplif icare la legge per renderla più chiara edeff icace non signif ica svuotarla del suo contenutomisterico o privarla del suo intento ispirato amaggior eff icacia pastorale per la santif icazione deifedeli.

Che la riforma liturgica abbia realizzato unasemplif icazione eccessiva o insuff iciente, a secondadei diversi pareri, si dovrà valutare in uno studioapprofondito dei vari riti. La Chiesa potrà sempreemendare ciò lei stessa ha operato, se vi è una giustamotivazione.

Tuttavia la semplif icazione del diritto liturgico è, alivello di principio, nella mente della Chiesa, infavore del diritto e non certamente in contrastocon esso.

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Sandro Botticelli, Cappella Sistina, Le prove di Mosè,particolare: Mosè conduce il popolo fuori dall’Egittoaffinchè esso possa servire il Signore nel culto in pie-na libertà (cf. Es 7, 26; 9,1; 9,13; 10,3).

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I diritti di DioIntervista al dott. Daniele Nigro

In relazione al tema di questo nostro numero dellarivista: Il diritto liturgico, segnaliamo ai lettori unprezioso libro del dott. Daniele Nigro dal titolo: Idiritti di Dio – La liturgia dopo il Vaticano II, ed.Sugarco, 2012.

Il libro ha la prefazione del card. Raymond LeoBurke, ed in esso si afferma che: «Sembra che lariforma liturgica abbia inferto un duro colpoall’osservanza delle norme fondamentali dellaliturgia romana, se non al principio stessodi diritto liturgico. Cosa è successo? […]Papa Benedetto XVI ha precisato adesempio che “il nuovo messale veniva intesocome un’autorizzazione o perf ino come unobbligo alla creatività, la quale portò spessoa deformazioni della Liturgia al limite delsopportabile”».

A Nigro abbiamo rivolto alcune domandeper comprendere il signif icato e il valoredel diritto liturgico e illuminare su questoargomento, alquanto incompreso etrascurato, i nostri lettori. A Nigro quindiun grato ringraziamento per questo suoprezioso e competente contributo, checertamente sarà letto con interesse e confrutto.

1. Cosa si deve intendere perdiritto liturgico?

Per rispondere in maniera esaustiva aquesta domanda, occorrerebbero tempo espazio che, purtroppo, qui non abbiamo,anche perché negli ultimi tempi si è scrittoe dibattuto molto su cosa debba intendersiper diritto liturgico; tuttavia cercherò disintetizzare gli aspetti più importanti dellaquestione. In generale, la maggior partedella dottrina, intende per diritto liturgicol’insieme delle norme che regolano laLiturgia. Senza condannare del tutto taledef inizione di diritto liturgico, occorre direche essa è solo parziale, e rischia diingenerare l’idea che il diritto sia liturgiconon per essenza, ma solo per appartenenza.In realtà si ritiene il diritto come qualcosadi esterno alla Liturgia, come qualcosa chenon è parte della realtà liturgica, ma che siutilizza perché, come tutte le azioni umane,

anche la Liturgia ha bisogno di essere ordinata eregolata.

Allora, per capire più in profondo il legame tradiritto e Liturgia, conviene recuperare la nozionetomista di diritto, acquisita dal patrimonio romano,secondo la quale il diritto è la ipsam rem iustam, lacosa giusta in se stessa, ciò che è giusto. Così, daquesta prospettiva, il punto di partenza non è piùla legge o norma che regola la Liturgia, che pure èimportante, ma la dimensione di giustizia della“cosa liturgica”, in altre parole ciò che è giusto nellaLiturgia. Più che regola, il diritto è una componentesostanziale strutturante e conf igurante dell’azionesacra. L’orizzonte positivista, nel quale siamo statiabituati a muoverci, lentamente si allarga, per esserepoi abbandonato e poter penetrare nell’essenza dellecose.

Inf ine bisogna sempre ricordare che il dirittoliturgico è in stretta correlazione con l’essenza

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pubblicistica della Liturgia, ascrivibile allasistematicità istituzionale della Chiesa. Essa è il“culto pubblico totale del Corpo mistico di Cristo”.Puntuali e profonde sono, a tal proposito, le paroleutilizzate dal Servo di Dio Pio XII nell’enciclicaMediator Dei: «La Sacra Liturgia è il culto pubblicoche il nostro Redentore rende al Padre come Capodella Chiesa, ed è il culto che la società dei fedelirende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all’EternoPadre. È, per def inirla più brevemente, il cultointegrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè delCapo e delle sue membra». Esse compongono, amio avviso, la più compiuta ed eccelsa def inizionedi cosa la Chiesa intenda per Liturgia.

2. Come si manifesta il dirittoall’interno delle celebrazioniliturgiche?

Se si segue l’impostazione poc’anzi delineata, lemanifestazioni del diritto nella Liturgia sono

molteplici. Una buona parte di queste, anche se nonva assolutizzata, riguarda per esempio i diritti deifedeli, derivanti dal diritto enunciato nel n°12dell’Istruzione Redemptionis sacramentum: «Tutti ifedeli, invece, godono del diritto di avere una liturgiavera e in particolar modo una celebrazione della santaMessa che sia così come la Chiesa ha voluto e stabilito,come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi enorme».

Tuttavia, lo stesso numero dell’Istruzione, fariferimento a quella che potrebbe ritenersi lamanifestazione più nota ed evidente del diritto nellaLiturgia, ovvero le rubriche. Senza addentrarci tropponella questione, ricordiamo che le rubriche, in ambitoliturgico, sono le prescrizioni che regolano losvolgimento del culto. Il loro nome è dovuto al fattoche, per distinguerle meglio dai testi che regolavano,si cominciò a vergarle in rosso, da qui rubricae. Essesi possono trovare o raggruppate in particolari libri,

o riunite all’inizio dei libri liturgici o alprincipio delle singole parti, oppure, inf ine,incluse tra un testo e l’altro.

È bene ricordare che l’individuazione di unrito e la possibilità di distinguerlo da un altro,ovvero l’identità dell’esecuzione liturgica,sono date dalla f issazione normativa dellosvolgimento di tutti i movimenti. La rubri-cistica cattolica ha regolato ciò in modominuzioso, a motivo dell’importanza notevoledegli atteggiamenti del corpo nella Liturgia,impedendo così il personalismo del cele-brante e nello stesso tempo riducendo quellodei fedeli ad una gamma ristretta di gesti fattiin gruppo. Alla base di tale processo diformazione rubricale, spontaneo ed auspicatosin dai primi tempi della Chiesa, vi è lapreoccupazione fondamentale dell’autoritàecclesiastica di salvaguardare l’identità del ritoromano non tanto come espressionecerimoniale, ma come manifestazione delcredo della Chiesa Cattolica. Sebbene oggi coltermine “rubricismo” le si voglia condannare,e nella pratica si è giunti addirittura adignorarle generando un effetto caoticonell’ambito liturgico - effetto riscontrabile datutti in questi tempi - in realtà senza lerubriche il rito romano non avrebbe i suoiconnotati dottrinali, culturali e spirituali chelo contraddistinguono in special modo dairiti orientali e, con le dovute distinzioni, daglialtri riti occidentali ancora in vita oscomparsi.

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Prove di Mosè, affresco (348,5x558 cm) diSandro Botticelli e aiuti, 1481 - 1482 ,decorazione del registro mediano della CappellaSistina.

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3. Il diritto liturgico è parte facoltativa onecessaria dei riti liturgici?

Alla luce di quanto asserito nella risposta alla primadomanda, ovvero che il diritto è una dimensioneintrinseca e connaturale del fenomeno liturgico,esso non può assolutamente essere considerato unaparte facoltativa della Liturgia, salvo, in casocontrario, perdere il senso vero ed autentico delculto pubblico della Chiesa. Ovviamente con ciònon si vuole affermare che il diritto sia tutto o lacosa più importante, ma solo far comprendere comeesso sia parte integrante della Liturgia, e cooperialla compiutezza, complessività e perfezione delculto. Infatti l’elemento giuridico costituisce unaspetto o dimensione contingente di una realtà benpiù complessa, misterica, soprannaturale,trascendente, che supera abbondantemente lasemplice concretizzazione e realizzazione dellagiustizia nel popolo di Dio. Serve ancora una voltaricordare quanto dichiarato nella Redemptionissacramentum circa l’arbitrarietà, che è l’espressionemassima di chi ritiene meramente facoltative leprescrizioni dell’autorità in ambito liturgico: «Attiarbitrari, infatti, non giovano a un effettivorinnovamento, ma ledono il giusto diritto dei fedeliall’azione liturgica che è espressione della vita dellaChiesa secondo la sua tradizione e la sua disciplina»(n°11).

Del resto una conferma di questo caratterenecessario del diritto si può desumere anche dalla

lettura del n°22 § 3 diSacrosanctum con-cilium, poiché in esso sistabilisce che «nessunaltro, anche se sacer-dote, osi, di sua inizia-tiva, aggiungere, toglie-re o mutare alcunché inmateria liturgica».

4. Chi stabilisceil diritto liturgico?

Il can. 838 del Codice diDiritto Canonico, ri-prendendo Sacrosan-ctum concilium n°22,prescrive che: «§1.Regolare la sacra liturgiadipende unicamentedall’autorità dellaChiesa: ciò competepropriamente alla SedeApostolica e, a normadel diritto, al Vescovodiocesano. §2. È dicompetenza della SedeApostolica ordinare lasacra liturgia della

Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici eautorizzarne le versioni nelle lingue correnti,nonché vigilare perché le norme liturgiche sianoosservate fedelmente ovunque. §3. Spetta alleConferenze Episcopali preparare le versioni dei libriliturgici nelle lingue correnti, dopo averle adattateconvenientemente entro i limiti def initi negli stessilibri liturgici, e pubblicarle, previa autorizzazionedella Santa Sede. §4. Al Vescovo diocesano nellaChiesa a lui aff idata spetta, entro i limiti della suacompetenza, dare norme in materia liturgica, allequali tutti sono tenuti».

Se la Sede Romana, ossia il Pontef ice, è l’autoritàprimaziale che modera la Liturgia romana in tuttala Chiesa Cattolica, lo strumento esecutivo di tale“moderatio” è la competente Congregazione dellaCuria Romana, ovvero la Congregazione per il CultoDivino e la Disciplina dei Sacramenti. La SedeRomana, con le dovute differenze, modera oltre airiti occidentali, anche i riti delle Chiese cattolicheorientali, mediante l’apposita Congregazione. Inoltreè bene segnalare che il compito di mantenere l’ordineliturgico, di rimuovere gli abusi, di preparare i testiliturgici, di esaminare i calendari particolari ecc.sono tutte competenze già appartenenti alla SacraCongregazione dei Riti istituita dopo Trento, allequali si è aggiunta la revisione degli adattamenticompiuti dalle Conferenze Episcopali.

All’autorità della Santa Sede si aff ianca in subordinequella del Vescovo diocesano e delle ConferenzeEpiscopali; il primo e le seconde hanno come

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strumenti le commissioni liturgiche locali enazionali o territoriali, con compiti di dirigere lapastorale liturgica, quindi esecutivi. Va segnalataanche la presenza di commissioni congiunte o misteinternazionali dei maggiori gruppi linguistici, chedovrebbero essere sottoposte alle rispettiveConferenze Episcopali. Purtroppo il lavoro di talicommissioni di esperti, non di rado è stato accusato,e non a torto, di aver preso il posto dell’autorità deiVescovi e “fabbricato” la Liturgia, specialmente perquanto concerne la traduzione dei libri liturgici edalcuni adattamenti.

Resta, inf ine, una questione di fondo - alla qualenon è possibile dare in questa sede una risoluzione- riguardante l’effettiva autorità primaziale dellaSede Apostolica sulla Liturgia: se ed in che misurace l’abbia. In altre parole si pone la domanda, piùvolte sollevata dallo stesso Papa Benedetto XVI, circail diritto del Pontef ice di modif icare un ritorisalente alla tradizione apostolica e tramandatoattraverso i secoli. Questo perché il SommoPontef ice non è il padrone, ma il custode del tesoroistituito dal Signore e aff idato alla Chiesa.

5. … e la creatività liturgica?

Visto che l’impulso alla creatività viene attribuito alConcilio Vaticano II, desidero subito precisare cheil termine “creatività” non compare esplicitamentein Sacrosanctum concilium, a meno che non lo sivoglia ritenere sinonimo di quello ricorrente di“adattamento”. Devo altresì dichiarare chepersonalmente nutro forti dubbi anche sul concettostesso di “adattamenti” e sulla loro reale utilità; anziritengo che tale modo di procedere nasconda unaconcezione di profonda sf iducia nei confronti delrito così come pensato e tramandato dalla SantaMadre Chiesa e della sua forza intrinseca, tanto daaver bisogno di essere “adattato”, non si sa bene poia che cosa. E se è vero che la Costituzione liturgicadel Vaticano II stabilisce che le innovazioni e lemodif iche devono attuarsi solo se lo esige una verae certa utilità della Chiesa, l’Institutio del Messaleprevede la possibilità di introdurre adattamenti -quali la scelta di alcuni testi e riti, canti, letture,orazioni, monizioni, gesti che siano piùcorrispondenti alle necessità, alla preparazione ecapacità di comprensione dei partecipanti - da partedello stesso sacerdote celebrante. Ormai, a furia dicreatività ed adattamenti, si fa fatica a riconoscereil nostro venerabile rito romano ed appare più chemai in pericolo la salvaguardia dell’unità dello stesso,che è parte rilevante del patrimonio liturgico dellaChiesa Cattolica.

In conclusione la norma rituale, da seguireumilmente, non è ciò che limita o impedisce lasignif icatività celebrativa, ma è ciò che rendepossibile l’esistenza stessa di un rito, divenendo

principio creativo, poiché struttura ed organizza lavita dell’uomo. Come mi piace spesso ripetere, nonper mancanza di creatività, ma perché ritengoessere un punto centrale della questione, quantoevidenziato è inoltre essenziale per l’effettivaeff icacia performativa del rito. Infatti, si puòaffermare che i soggetti, nel prender parte allaLiturgia, subiscono un cambiamento di status. Ilcambiamento più rilevante si attua in chi partecipaed in questo può rinvenirsi la creatività vera epropria del rito. Quindi più che di creatività nel ritoio parlerei di creatività del rito, cioè di ciò che ilrito crea e produce nell’uomo che si lascia introdurrenel grande mistero del Santo Sacrif icio dell’Altare.

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Nelle immagini: Punizione di Datan e Core e ribelli,Sandro Botticelli, particolari, Cappella Sistina.Nel comportamento di Core e Datan vi è un esplicitorifiuto dell’autorità di Mosè e di Aronne e quindi delleprescrizioni del culto volute e istituite da Dio.

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Il canto dei ministrinella celebrazioneeucaristicaMo. Aurelio Porf iri

Quando si parla di un argomento come quello delcanto dei ministri nella celebrazione eucaristica, sirischia di vedere questo tema in maniera distorta oincompleta, in quanto spesso ci si concentra sucome e cosa il coro debba cantare, su qualestrumenti sarebbero o no concessi nella liturgia, seil popolo deve cantare ogni cosa o ogni tanto si puòfar riposare; insomma, la risposta a queste domandela saprebbero tutti, basterebbe dare un’occhiata alladocumentazione esistente. Parleremo anche diquesti temi in seguito, in fondo ripetendo quelloche tutti sanno: esiste un Concilio Vaticano II realee uno immaginario; il Concilio reale è quello che silegge dai documenti, quello immaginario è quello

che è mosso dal suo ineffabile “spirito” che,“soff iando dove vuole”, spesso e volentieri nelleintenzioni di molti liturgisti di nuovo conio soff ianella loro direzione. Purtroppo la loro direzioneè impregnata di immanentismo, relativismo,storicismo e chi più ne ha più ne metta, così darendere i veri dettami del Concilio lettera morta.

Ora, soffermandoci sulla questione del canto deiministri nella celebrazione, osserviamo questomirabile dictum della Sacrosanctum concilium:“L’azione liturgica riveste una forma più nobilequando i divini uff ici sono celebrati solennementecon il canto, con i sacri ministri e la partecipazioneattiva del popolo” (113). Ora cerchiamo un attimodi comprendere questo passaggio; si dice chel’azione liturgica ha una forma più nobile quandoi divini uff ici sono rivestiti di solennità. Questasolennità viene raggiunta (anche) attraverso ilcanto; questo canto scaturisce (anche) dai sacriministri e dalla partecipazione attiva del popolo.Ora, si è spesso e molto straparlato sul fatto che ilpopolo deve partecipare e si è ampiamentedisputato su cosa si volesse intendere con questapartecipazione (Porf iri, 2016). Ma quello che misembra anche chiaro e degno di nota è il fattoche il canto dei sacri ministri è necessario come ilcanto del popolo (secondo modalità partecipativeproprie, non secondo il partecipazionismofrenetico in voga negli ultimi decenni). Questo

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canto dei sacri ministri viene ritenuto cosìimportante che, nel paragrafo destinato allaformazione musicale si afferma quanto segue: “Sicuri molto la formazione e la pratica musicale neiseminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose enegli studentati, come pure negli altri istituti e scuolecattoliche. Per raggiungere questa formazione siabbia cura di preparare i maestri destinatiall’insegnamento della musica sacra. Si raccomanda,inoltre, dove è possibile, l’erezione di istituti superioridi musica sacra. Ai musicisti, ai cantori e in primoluogo ai fanciulli si dia anche una vera formazioneliturgica” (115). Come si legge, la formazione neiseminari e negli studentati di religiosi e religiose ècitata per prima rispetto alla formazione, purnecessaria, destinata ad altre categorie. Non si devepensare che questa formazione sia soltanto uninsegnamento di tipo culturale, in quanto in questiambiti tutto tende a formare il sacerdote nel suoruolo di alter Christus, per la celebrazione eucaristica.Infatti si dice “formazione e pratica musicale”,unendo la parte teorica e culturale con la partepratica, di cui il canto dei ministri è elementoessenziale. In effetti questo concetto viene esplicitatoancora meglio dalla Istruzione applicativa MusicamSacram del 1967, che molto chiaramente afferma:“Tra la forma solenne più completa delle celebrazioniliturgiche, nella quale tutto ciò che richiede il cantoviene di fatto cantato, e la forma più semplice, nellaquale non si usa il canto, si possono avere diversigradi, a seconda della maggiore o minore ampiezzache si attribuisce al canto. Tuttavia nello scegliere leparti da cantarsi si cominci da quelle che per loronatura sono di maggiore importanza: prima di tuttoquelle spettanti al sacerdote e ai ministri, cui deverispondere il popolo, o che devono essere cantate dalsacerdote insieme con il popolo; si aggiungano poigradualmente quelle che sono proprie dei soli fedelio della sola «schola cantorum»” (7). Quindi, da ciòche si legge, si consegue che le parti spettanti alsacerdote devono essere considerate le piùimportanti per ciò che riguarda il canto. Unaaffermazione non da poco, che va letta insieme conquanto si dice poco più avanti: “Ogni volta che, peruna celebrazione liturgica in canto, si può fare unascelta di persone, è bene dar la preferenza a coloroche sono più capaci nel canto; e ciò soprattuttoquando si tratta di azioni liturgiche più solenni, dicelebrazioni che comportano un canto più diff icileo che vengono trasmesse per radio o per televisione.Se poi questa scelta non è possibile, e il sacerdote oil ministro non è capace di eseguire convenien-temente le parti di canto, questi può recitare ad altavoce, declamando, l’una o l’altra delle parti più diff icilia lui spettanti; ma ciò non deve favorire solo lacomodità del sacerdote o del ministro” (8). Questoparagrafo va commentato con un pochino più diattenzione. Viene detto che il fatto di recitare adaltra voce non è la situazione da considerarsinormale ma una eventualità qualora il sacerdote oil ministro non fossero capaci di eseguire le parti in

canto; si dice anche che il recitare ad alta voce deveessere “declamato”, non una semplice lettura a vocealta. Declamare richiede una recitazione misuratae in alcuna misura anche accompagnata dai gesti,quindi è una recitazione ritualizzata, non unasemplice lettura. Ma ricordiamo, questa èconsiderata una eventualità remota (“non devefavorire solo la comodità del sacerdote o delministro”) rispetto al fatto che il celebrante o ilministro canti la parte che gli è propria. Inoltre sidice che è permesso declamare le parti più diff icili,non tutto ciò che dovrebbe essere cantato. LaMusicam Sacram specif ica in modo ancora piùnetto questo concetto un poco più avanti (16)quando si legge: “Non c’è niente di più solenne efestoso nelle sacre celebrazioni di una assembleache, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la suafede. Pertanto la partecipazione attiva di tutto ilpopolo, che si manifesta con il canto, si promuovacon ogni cura, seguendo questo ordine: a)Comprenda prima di tutto le acclamazioni, lerisposte ai saluti del sacerdote e dei ministri e allepreghiere litaniche; inoltre le antifone e i salmi, iversetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici. b)Con una adatta catechesi e con esercitazionipratiche si conduca gradatamente il popolo ad unasempre più ampia, anzi f ino alla pienapartecipazione a tutto ciò che gli spetta. c) Si potràtuttavia aff idare alla sola «schola» alcuni canti delpopolo, specialmente se i fedeli non sono ancorasuff icientemente istruiti, o quando si usanocomposizioni musicali a più voci, purché il popolonon sia escluso dalle altre parti che gli spettano.Ma non è da approvarsi l’uso di aff idare per interoalla sola «schola cantorum» tutte le parti cantatedel «Proprio» e dell’« Ordinario», escludendocompletamente il popolo dalla partecipazione nelcanto”. Quindi si deve concepire come priorità ilpunto a, che riguarda proprio i dialoghi delsacerdote con l’assemblea. Quali sono questiinterventi dei sacri ministri? Ci viene incontroanche qui la Musicam Sacram. Al numero 28introduce questo criterio per discernere dell’usodella musica nella celebrazione liturgica: “Rimanein vigore la distinzione tra Messa solenne, Messacantata e Messa letta, stabilita dalla Istruzione del1958 (n. 3), secondo la tradizione e le vigenti leggiliturgiche. Tuttavia, per motivi pastorali, vengonoproposti per la Messa cantata dei gradi dipartecipazione, in modo che risulti più facile,secondo le possibilità di ogni assemblea liturgica,rendere più solenne con il canto la celebrazione dellaMessa. L’uso di questi gradi sarà così regolato: ilprimo potrà essere usato anche da solo; il secondoe il terzo, integralmente o parzialmente, soloinsieme al primo. Perciò si curi di condurre semprei fedeli alla partecipazione piena al canto”. Ora, vistaquesta tripartizione dei gradi di partecipazione ciinteressa di sapere cosa specialmente il primocomprende, essendo quello che può essere usatoanche da solo: “Il primo grado comprende: a) nei

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riti d’ingresso: — il saluto del sacerdote celebrantecon la risposta dei fedeli; — l’orazione; b) nella liturgiadella parola: — le acclamazioni al Vangelo; c) nellaliturgia eucaristica: — l’orazione sulle offerte; — ilprefazio, con il dialogo e il Sanctus; — la dossologiaf inale del Canone; — il Pater noster con la precedenteammonizione e l’embolismo: — il Pax Domini;—l’orazione dopo la comunione; — le formule dicongedo”. Ora, è abbastanza semplice capire cheanche qui si sta parlando dei canti propri alsacerdote.

Detto tutto questo, sistemato e chiarito il quadrolegislativo, bisogna però chiedersi perché allora isacerdoti non cantano e anzi, si rif iutano di cantarespesso e volentieri. In effetti è molto singolare cheproprio quei sacerdoti che brucerebbero i branipolifonici perché “escludono l’assemblea dalpartecipare” (dimostrando una concezione “attivi-stica” della partecipazione, non una partecipazioneattiva) sono poi i primi a dire cheloro, però, “non possono cantare”.Questo sarebbe un mistero peralcuni se non fosse invece chiaro chesi tratta di una tragedia, la tragediadella formazione (non solo liturgica)dei sacerdoti negli ultimi decenni,abbeveratisi di false ermeneutichedel Concilio e sostanzialmenteimbevuti di canti “liturgici”sentimentalistici che l’hanno fatta dapadrone (e ancora lo fanno) nellalunga stagione del dopo Concilio.Non servirà scomodare qui leneuroscienze, disciplina che cipotrebbe però insegnare cosa sono ineuroni specchio, quella categoriadi neuroni che si attivano quandouna stessa azione è compiuta da altri.Non serve questo per capire che nonsi può pretendere che gli altricantano quando l’attore principaledel canto sta zitto e muto sull’altaree ti f issa imperterrito. E il sacerdotenon canta perché non è statoformato al canto, come detto inprecedenza, perché è f iglio dellaformazione liturgica e musicale deldopo Concilio che ha spazzato viasecoli di prassi ecclesiale per il niente(no-ens), per il vuoto sentimenta-lismo (che non è il sentimento) chesi è appropriato delle nostrecelebrazioni soffocandole in unabbraccio mortale. Ci sono sacerdotiche cantano, ma essi sono una mino-ranza rispetto alla grande massa.

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Congregazione del Culto Divino e la Disciplina

dei Sacramenti

L’espressione rituale deldono della pace nellaMessaLettera circolare

1. «Vi lascio la pace, vi do la mia pace»1, sono le parolecon le quali Gesù promette ai suoi discepoli riunitinel cenacolo, prima di affrontare la passione, il donodella pace, per infondere in loro la gioiosa certezzadella sua permanente presenza.

2. Dopo la sua risurrezione, il Signore attua la suapromessa presentandosi in mezzo a loro nel luogodove si trovavano per timore dei Giudei, dicendo:«Pace a voi!»2. Frutto della redenzione che Cristoha portato nel mondo con la sua morte erisurrezione, la pace è il dono che il Risortocontinua ancora oggi ad offrire alla sua Chiesariunita per la celebrazione dell’Eucaristia pertestimoniarla nella vita di tutti i giorni.

Nella tradizione liturgica romana lo scambio dellapace è collocato prima della Comunione con unsuo specif ico signif icato teologico. Esso trova ilsuo punto di riferimento nella contemplazioneeucaristica del mistero pasquale - diversamente dacome fanno altre famiglie liturgiche che si ispiranoal brano evangelico di Matteo (cf. Mt 5, 23) -presentandosi così come il “bacio pasquale” di Cristorisorto presente sull’altare3. I riti che preparano allacomunione costituiscono un insieme ben articolato

entro il quale ogni elemento ha la suapropria valenza e contribuisce al sensoglobale della sequenza rituale checonverge verso la partecipazionesacramentale al mistero celebrato. Loscambio della pace, dunque, trova ilsuo posto tra il Pater noster – al qualesi unisce mediante l’embolismo cheprepara al gesto della pace - e lafrazione del pane - durante la qualesi implora l’Agnello di Dio perché cidoni la sua pace -. Con questo gesto,che «ha la funzione di manifestarepace, comunione e carità»4, la Chiesa«implora la pace e l’unità per se stessae per l’intera famiglia umana, e i fedeliesprimono la comunione ecclesiale el’amore vicendevole, prima dicomunicare al Sacramento»5, cioè alCorpo di Cristo Signore.

3. Nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis ilPapa Benedetto XVI aveva aff idato aquesta Congregazione il compito diconsiderare la problematicaconcernente lo scambio della pace6,aff inché fosse salvaguardato il sensosacro della celebrazione eucaristica eil senso del mistero nel momentodella Comunione sacramentale:«L’Eucaristia è per sua naturaSacramento della pace. Questadimensione del Mistero eucaristicotrova nella Celebrazione liturgicaspecif ica espressione nel ritodello scambio della pace. Si trattaindubbiamente di un segno di grandevalore (cf. Gv14,27). Nel nostro tempo,così spaventosamente carico diconflitti, questo gesto acquista, anche

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dal punto di vista della sensibilità comune, unparticolare rilievo in quanto la Chiesa avvertesempre più come compito proprio quello diimplorare dal Signore il dono della pace e dell’unitàper se stessa e per l’intera famiglia umana. [...]Da tutto ciò si comprende l’intensità con cuispesso il rito della pace è sentito nella Celebrazioneliturgica. A questo proposito, tuttavia, durante ilSinodo dei Vescovi è stata rilevata l’opportunità dimoderare questo gesto, che può assumereespressioni eccessive, suscitando qualcheconfusione nell’assemblea proprio prima dellaComunione. E bene ricordare come non tolganulla all’alto valore del gesto la sobrietà necessariaa mantenere un clima adatto alla celebrazione, peresempio facendo in modo di limitare lo scambiodella pace a chi sta più vicino»7.

4. Il Papa Benedetto XVI, oltre a mettere in luce ilvero senso del rito e dello scambio della pace, neevidenziava il grande valore come contributo deicristiani, con la loro preghiera e testimonianza acolmare le angosce più profonde e inquietantidell’umanità contemporanea. Dinanzi a tutto ciòegli rinnovava il suo invito a prendersi cura diquesto rito e a compiere questo gesto liturgico consenso religioso e sobrietà.

5. Il Dicastero, su disposizione del Papa BenedettoXVI, ha già interpellato le Conferenze dei Vescovinel maggio del 2008 chiedendo un parere semantenere lo scambio della pace prima dellaComunione, dove si trova adesso, o se trasferirloin un altro momento, al f ine di migliorare lacomprensione e lo svolgimento di tale gesto. Dopoapprofondita riflessione, si è ritenuto convenienteconservare nella liturgia romana il rito della pacenel suo posto tradizionale e non introdurrecambiamenti strutturali nel Messale Romano. Sioffrono di seguito alcune disposizioni pratiche permeglio esprimere il contenuto dello scambio dellapace e per moderare le sue espressioni eccessiveche suscitano confusione nell’assemblea liturgicaproprio prima della Comunione.

6. Il tema trattato è importante. Se i fedeli noncomprendono e non dimostrano di vivere, con iloro gesti rituali, il signif icato corretto del rito dellapace, si indebolisce il concetto cristiano della pacee si pregiudica la loro fruttuosa partecipazioneall’Eucaristia. Pertanto, accanto alle precedentiriflessioni che possono costituire il nucleo per unaopportuna catechesi al riguardo, per la quale siforniranno alcune linee orientative, si offre allasaggia considerazione delle Conferenze deiVescovi qualche suggerimento pratico:

a) Va def initivamente chiarito che il rito della pacepossiede già il suo profondo signif icato dipreghiera e offerta della pace nel contestodell’Eucaristia. Uno scambio della pacecorrettamente compiuto tra i partecipanti allaMessa arricchisce di signif icato e conferisceespressività al rito stesso. Pertanto, è del tutto

legittimo asserire che non si tratta di invitare“meccanicamente” a scambiarsi il segno della pace.Se si prevede che esso non si svolgeràadeguatamente a motivo delle concretecircostanze o si ritiene pedagogicamente sensato nonrealizzarlo in determinate occasioni, si può ometteree talora deve essere omesso. Si ricorda che la rubricadel Messale recita: “Deinde, pro opportunitate,diaconus, vel sacerdos, subiungit: Offerte vobispacem”8.

Sulla base delle presenti rif lessioni, può essereconsigliabile che, in occasione ad esempio dellapubblicazione della traduzione della terza edizionetipica del Messale Romano nel proprio Paese o infuturo quando vi saranno nuove edizioni delmedesimo Messale, le Conferenze dei Vescoviconsiderino se non sia il caso di cambiare il mododi darsi la pace stabilito a suo tempo. Per esempio,in quei luoghi dove si optò per gesti familiari eprofani del saluto, dopo l’esperienza di questi anni,essi potrebbero essere sostituiti con altri gesti piùspecif ici.

c) Ad ogni modo, sarà necessario che nel momentodello scambio della pace si evitino def initivamentealcuni abusi come:

- L’introduzione di un “canto per la pace”, inesistentenel Rito romano9.

- Lo spostamento dei fedeli dal loro posto perscambiarsi il segno della pace tra loro.

- L’allontanamento del sacerdote dall’altare per darela pace a qualche fedele.

- Che in alcune circostanze, come la solennità diPasqua e di Natale, o durante le celebrazioni rituali,come il Battesimo, la Prima Comunione, laConfermazione, il Matrimonio, le sacre Ordinazioni,le Professioni religiose e le Esequie, lo scambio dellapace sia occasione per esprimere congratulazioni,auguri o condoglianze tra i presenti10.

d) Si invitano ugualmente tutte le Conferenze deiVescovi a preparare delle catechesi liturgiche sulsignif icato del rito della pace nella liturgia romanae sul suo corretto svolgimento nella celebrazionedella Santa Messa. A tal riguardo la Congregazioneper il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramentiallega alla presente Lettera circolare alcuni spuntiorientativi.

7. La relazione intima tra la lex orandi e la lex credendideve ovviamente estendersi alla lex vivendi.Raggiungere oggi un serio impegno dei cattolicinella costruzione di un mondo più giusto e piùpacif ico s’accompagna ad una comprensione piùprofonda del signif icato cristiano della pace e questodipende in gran parte dalla serietà con la quale lenostre Chiese particolari accolgono e invocano ildono della pace e lo esprimono nella celebrazioneliturgica. Si insiste e si invita a fare passi eff icaci su

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tale questione perché da ciò dipende la qualità dellanostra partecipazione eucaristica e l’eff icacia delnostro inserimento, così come espresso nellebeatitudini, tra coloro che sono operatori ecostruttori di pace11.

8. Al termine di queste considerazioni, si esortano,pertanto, i Vescovi e, sotto la loro guida, i sacerdotia voler considerare e approfondire il signif icatospirituale del rito della pace nella celebrazione dellaSanta Messa, nella propria formazione liturgica espirituale e nell’opportuna catechesi ai fedeli. Cristoè la nostra pace12, quella pace divina, annunziata daiprofeti e dagli angeli, e che Lui ha portato nel mondocon il suo mistero pasquale. Questa pace del SignoreRisorto è invocata, annunziata e diffusa nellacelebrazione, anche attraverso un gesto umanoelevato all’ambito del sacro.

Il Santo Padre Francesco, il 7 giugno 2014, haapprovato e confermato quanto è contenuto inquesta Lettera circolare, preparata dallaCongregazione per il Culto Divino e la Disciplinadei Sacramenti, e ne ha disposto la pubblicazione.

Dalla sede della Congregazione per il Culto Divinoe la Disciplina dei Sacramenti, 8 giugno 2014, nellaSolennità di Pentecoste.

Antonio Card. CANIZARES LLOVERA

Prefetto

1 Gv 14,27.

2 Cf. Gv 20, 19-23.

3 Cf. MISSALE ROMANUM ex decreto SS. ConciliiTridentini restitutum summorum pontif icum curarecognitum, Editio typica, 1962, Ritus servandus, X, 3.

4 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI,Istr., Redemptionis sacramentum, 25 marzo 2004, n. 71:AAS96 (2004) 571.

5 MISSALE ROMANUM, ex decreto sacrosanctiOecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritatePauli Pp. VI promulgatum, Ioannis Pauli Pp. Il curarecognitum, editio typica tertia, diei 20 aprilis 2000, TypisVaticanis, reimpressio emendata 2008, OrdinamentoGenerale del Messale Romano, n. 82. Cf. BENEDETTOXVI, Esort. Apost. post-sinod., Sacramentum caritatis,22 febbraio 2007, n. 49: AAS 99 (2007) 143.

6 Cf. BENEDETTO XVI, Esort. Apost. post-sinod.,Sacramentum caritatis, 22 febbraio 2007, n. 49: AAS 99(2007) 143.

7 BENEDETTO XVI, Esort. Apost., Sacramentumcaritatis, n. 49: AAS 99 (2007) 143.

8 MISSALE ROMANUM, Ordo Missae, n. 128.

9 Nel Rito romano non è tradizionalmente previsto uncanto per la pace perché si prevede un tempo brevissimoper scambiare la pace solo a coloro che sono più vicini. Ilcanto per la pace suggerisce, invece, un tempo molto piùampio per lo scambio della pace.

10 Cf. Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 82:«Conviene che ciascuno dia la pace soltanto a coloro chegli stanno più vicino, in modo sobrio»; n. 154: «IlSacerdote può dare la pace ai ministri, rimanendotuttavia sempre nel presbiterio, per non disturbare lacelebrazione. Così ugualmente faccia se, per qualchemotivo ragionevole, vuol dare la pace ad alcuni fedeli»;CONGREGAZIONE PER IL CULTO Divino e la Disciplinadei Sacramenti, Istr., Redemptionis sacramentum, 25marzo 2004, n. 72: AAS 96 (2004) 572.

11 Cf. Mt 5,9ss.

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