L'ipocrisia dei numeri dispari

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Teo Nutella L’ipocrisia dei numeri dispari Editori Abusivi Riuniti

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Raccolta di poesie

Transcript of L'ipocrisia dei numeri dispari

Teo Nutella

L’ipocrisia dei numeri dispari

Editori Abusivi Riuniti

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I poeti tascabili 1

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TEO NUTELLA

L’IPOCRISIA DEI NUMERI DISPARI

© 2010 by Mistampodasolo.srl, Manila, Corso Italia 22

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Le astuzie del vivere

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I

Un tono cupo nel cuore

ininterrotto, un tono cupo

un’abitudine al vivere

un nastro rosa su di un ramo bruciato.

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II

L’estate macina nubi su nubi

in un prato

un libro si sfoglia leggero:

abbandonato

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III

Ma chi per anni ancora

trascina spenti giochi

in disadatte sere

o chi fra noi

ascolta ancora il vento

sa.

e nel saperlo la sera si rabbuia lenta.

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IV

Ho imparato che il tempo

non ha un senso obbligato

né sottofondi d‟argento.

Si procede a balzi

come giovani puledri in un circo.

9

A noi che chiedemmo

A noi che chiedemmo fu dato

questo deserto di ceneri

cinto d‟ansia e di spini roventi

per nostra mercede

aver gli occhi cuciti di raffia:

arsi non scorgono

ciò che è stato lasciato cadere.

Alla nostra sete

fu data l‟acqua che in pozzi sprofonda

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e la notte che calma trasuda singhiozzi di nafta.

A noi che aspettammo fu dato

di fruttificare veleno.

Le vesti… le tue vesti da ladro

si muoveranno a loro agio nel buio

sopra il nostro secco respiro

d‟insonni dormienti in vite d‟affitto.

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Ufficio oggetti smarriti

(modulo da compilare)

Perderti non fu quel grosso incidente che pensavo

(eppure ho sempre detto che non si può perder niente).

Chi entra dentro un cuore non ne può uscire intatto.

Così il mio cuore s’è trasformato in bozzolo e, curioso,

aspetto di vederne uscire un giorno la luce delle tue nuove

ali.

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Detti memorabili di Fred Astaire

Ora che il suono delle tue labbra, impercettibilmente, è

rotolato via nel sordo bisbiglìo della notte che avanza;

ora che, dimessi gli stracci d’uomo, cullo ancora tra le dita

l’ultima reliquia rimastami di te, corrosa dalle polveri di

chissa quante estati;

ora che abbandonarti dunque sarebbe così semplice,

rimane un respiro annaspante sopra scure acque

profonde.

Riconoscerlo per mio è l’unico incenso adatto a pregarti.

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Un collezionista d’ombre

Da un‟altalena d‟ansie

si guardava, tu ed io,

un mare come specchio in frantumi:

metafora adatta a noi quanto nessuna.

Quanti sassi nel respiro!

Riscoprirsi immutati correre per strade di cenere.

Era, autunno, un lungo corteo che inciampava.

Con muta risposta ai miei gridi

Sbranavi petali con gli occhi

Gli occhi che conobbi un tempo.

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Dedalo

Incontrerò altri muri

in cui immergere gli occhi,

poggerò con disincanto

le mani nelle loro calci

e ti penserò, un ultima volta,

dietro ognuno di essi.

15

Cosa pensò il piccolo Alfredino?

Rivedo il dio che ti avvolgeva mentre una luce gialla

accompagnava lenta l‟agonia di un ultimo meriggio.

Alle finestre, tranne il mio, nessun sorriso per guardarti

correre nel mondo spinta da una corrente aurata.

Eri il battito del sole, l‟acqua che disfavilla chiara nel

ricordo, il silenzio dei cortili d‟agosto.

Al frangersi del traffico aprivi il viso corpo a corpo al

cielo. Per te fui costruito, perché non t‟incontrassi mai e

desiderarti fosse spina nella carne (l‟anima che vomita

polvere e vecchi stracci)… da questo pozzo di rocce,

annegato da anni in una piccola porzione d‟indaco.

Curva su curva rotolava il giorno tenendoti per mano

come fiore già reciso che trascolora e china dolce il capo.

Da questo pozzo di rocce i miei denti, serrati, sentivano il

tuo capo chinarsi docile alla falce.

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Il còntooooooooooo

E‟ forse questa la notte in cui mani giunte da chissà dove

ci presenteranno il conto dell‟esistenza consumata.

So che arricerai il naso come un tempo e, sorridendo,

getterai il tuo profumo fra le braccia del vento vedendo

la mia solita e ridicola farsa cortese (le mie tasche

saranno infatti – come sempre – ripiene di brezze,

rumori indistinti, ritagli di sogni e di canti arrocchiti).

Invano frugherò per rintracciarvi impossibili assegni,

inesistenti contanti, invano il viso mi si tingerà di rosso.

Fissi ai miei che scappano i tuoi occhi allora, spossati da

tanta compassione e ilarità, come sempre pagheranno

un ultima volta anche per me.

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“L‟unico destino che mi aggrada?

Il cane che incolume

attraversa l „autostrada”

(Ignacio Tormento, “Le Ironie”)

Non certo per opporsi a te continua la mia “corsa” (non

possiedo più sostantivi adatti ad afferrarla).

Chi la guida è più paur che voluto senso.

Fuggo dalla vita come un pesce che, passato incolume

attraverso maglie troppo strette d‟una pesca a strascico

corre disperato verso l‟indaco più fondo.

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A domanda balorda….

“Un nuovo verso – gli fu chiesto – aggiunge ancora

qualcosa al Mondo?”

“No! – rispose –Se si esclude appena un infinitesimale

infarto del respiro. Chi riprende tranquillo a respirare

ha già accettato tutto o era, ormai, morto da tempo.”

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Finis mundi

( I quattro cavalieri dell'Apocalisse di A. Dürer)

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I

Qui s‟incagliano solo i destini che per troppo peso o per

caparbia a non voler prostare il capo alla sconfitta non

passano oltre le maglie strette della Vita.

Qui non rimane che pianto e sogni mutilati sparsi

dolorosamente per terra.

II

Ogni grido inascoltato. Ogni lacrima che in questo

istante cada nascosta, ogni strappo quasi inavvertibile

nel passo di qualcuno, ogni mano che si sia tesa invano

ci avvicina di un centimetro alla prossima fine del

mondo.

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III

Viviamo in questa inospitale e crassa finis mundi come

s‟avesse dato tutto in contraccambio ad un gioco che ci

ha da tempo infastiditi.

Viviamo come fuggissimo da un ironia tremenda.

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23

La raccolta di esordio di X.X. meraviglia per la

nitidezza e la maturità del timbro poetico. Un

piccolo mondo, privato ma universale, vi si

raccoglie all‟insegna di una composta

naturalezza venata di morbido pathos. Il passo è

quello delicato del sogno, ma i contorni sono

chiari, i temi e gli oggetti affiorano da una realtà

ordinaria alla portata di tutti ogni giorno:

quella che più vale la pena di imparare a

conoscere e apprezzare attraverso la raffinata

„posa‟ in cui la ritrae un poeta.

Questa realtà si può condensare attorno a

insiemi omogenei, che il poeta sceglie a suo

arbitrio come una sorta di unità di misura, o un

suo speciale scandaglio. Dipenderà dal suo canto

dimostrare che quell‟arbitrio era necessità, che

quegli insiemi erano i giusti strumenti per offrire

una lettura tanto nuova quanto profonda dei

frammenti di visione o di memoria.

(Auguste Felicien de Mongoleau)

P.S.) La recensione e stata presa a caso col copia e

incolla da Internet: Per la serie “E che ci vuole?”

Colonna sonora: R.Sakamoto