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L'Intonazione in italiano L2 di arabofoni, studio sociolinguistico e analisi prosodica. Tesi Dottorato di Dalia Gamal Ibrahim Abou-El-Enin 2005

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Gabriele: Leggi! Muhammad: Non so leggere Gabriele lo strinse fortissimamente e insistette:

Leggi! Muhammad: Non so leggere Gabriele: Leggi! Muhammad: Non so leggere “Leggi in nome del tuo Signore che ha creato * ha creato l’uomo da un’aderenza * leggi, ché il tuo Signore è il Generosissimo * che ha insegnato mediante il calamo * ha insegnato all’uomo quello che

non sapeva”. (Corano, XCVI: 1-5).

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Università di Ain Shams Facoltà di Lingue Al-Alsun

Dipartimento d’Italiano

Tesi di dottorato in lingua italiana

L’INTONAZIONE IN ITALIANO L2 DI

ARABOFONI

Studio sociolinguistico e analisi prosodica

Candidata: Dalia Gamal Ibrahim Abou-El-Enin Docente associato presso il Dipartimento d’Italiano

Relatore: Ch.mo Prof. M. Saìd Salem El-Bagury

Professore ordinario di linguistica presso il Dipartimento d’Italiano

Correlatore: Ch.mo Prof. Emad H. El-Baghdady Professore di linguistica presso il Dipartimento d’Italiano

Il Cairo – 2005

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Durante questo lavoro di ricerca ho avuto l’opportunità di conoscere molte persone per la prima volta e di conoscerne altre per

la seconda volta. Il lato sociolinguistico e la natura sperimentale della ricerca mi hanno consentito il contatto proficuo con una sfera

più larga di persone, ma la mia famiglia e il mio professore rimangono i miei punti di riferimento cardinali.

Nella mia famiglia, soprattutto nei miei genitori, ho apprezzato l’ambizione scientifica e da mia madre, tra mille cose inestimabili,

ho imparato ancora una volta la costanza e la dedizione alla ricerca.

Con il professor Saìd El-Bagury ho contratto un debito speciale non solo per l’attenzione con cui mi ha sempre seguito, ma anche

per i suoi insegnamenti e la sua personalità che hanno inciso sulla mia carriera.

Desidero esprimere la mia riconoscenza alla professoressa Sausan Zein-El-Abedin, capo del Dipartimento, sempre disponibile e comprensiva. E ringrazio sentitamente il mio gentile e generoso correlatore, il professor Emad El-Baghdady.

Devo anche ringraziare la dottoressa Adelia Rispoli, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura al Cairo, per la gentile

partecipazione alla commissione d’esame. Sono riconoscente al professor Federico Albano Leoni che mi ha

seguito in Italia per la seconda volta e mi ha accolto nuovamente al CIRASS all’Università degli Studi di Napoli, mettendomi a

disposizione tutte le ricche risorse del laboratorio.

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Ringrazio di cuore le professoresse Miriam Voghera e Renata Savy per il loro sostegno e per i loro suggerimenti preziosi.

Devo ringraziare i professori che mi hanno dato i loro consigli a distanza: la professoressa Anna Giacalone Ramat, la professoressa

Marina Chini e il professor Massimo Vedovelli. Con tanto affetto ricordo gli amici del CIRASS che mi hanno dato

una mano forte durante la mia permanenza in Italia. Desidero inoltre ringraziare tutte le addette nelle biblioteche italiane ed

egiziane e nell’IIC al Cairo per la gentilezza e la collaborazione che hanno mostrato.

Il presente studio non sarebbe stato possibile senza la generosa collaborazione dei docenti, dei professori del dipartimento e anche degli assistenti e degli studenti che si sono offerti come informatori.

Un ringraziamento particolare è dedicato

ai lavoratori egiziani in Italia

e a coloro che mi hanno messo in contatto con loro

per la ricca esperienza umana che mi hanno regalato

e per avermi dato la certezza e la speranza in un futuro migliore.

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SIGLE E ABBREVIAZIONI

AG apprendente/i guidato/i AS apprendente/i spontaneo/i AVIP Archivio delle Varietà di Italiano Parlato (cfr.

§ 2.1.4.3.). API Archivio del Parlato Italiano (cfr. § 2.1.4.3.). G nel metodo di elicitazione Map Task (Instruction)

giver (cfr. § 3.1.). F nel metodo di elicitazione Map Task (Instruction)

follower (cfr. § 3.1.). INTSINT International Transcription System for INTonation

(cfr. § 3.5.2.3.1.). IPA International Phonetic Alphabet (cfr.

appendice 7). ToBI Tone and Break Indices (indici di tono e

disgiuntura) TU (Tone Unit) unità tonale

X-SAMPA extended SAM (Speech Assessment Methods) Phonetic Alphabet (cfr. appendice 7).

I tre correlati acustici dei componenti prosodici:

d durata f0 (si pronuncia effe con zero) la frequenza fondamentale I intensità Per i codici dei dialoghi si veda appendice 4.

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INTRODUZIONE

Questa tesi rappresenta uno studio cerniera fra tre ambiti

della ricerca linguistica: la linguistica acquisizionale, la sociolinguistica e la fonetica. L’idea a base della ricerca nasce da una lunga esperienza maturata all’interno della nostra facoltà nel campo dell’insegnamento della lingua italiana. Di fatto, la diversità degli sfondi socioculturali degli studenti e degli esiti del processo di insegnamento e soprattutto la grande variazione della competenza fonologica raggiunta dai discenti, nonché la mancanza di studi approfonditi sulle prosodie delle lingue seconde ci hanno stimolato a percorrere questa strada poco battuta nella ricerca fonetico-fonologica. Per offrire un primo contributo all’argomento mai prima esplorato in maniera sistematica ci proponiamo nella presente indagine di condurre un’analisi prosodica dell’italiano lingua seconda di apprendenti egiziani che hanno sviluppato la loro conoscenza della lingua italiana in ambiti sociali e culturali diversi (laureati in lingua italiana al Cairo e immigrati in Italia).

È ben saputo che la sociolinguistica ha tentato la ricostruzione di una struttura sociolinguistica dei vari livelli linguistici, ma, poiché è stato più realizzabile, ha rivolto maggiore attenzione ad altri livelli linguistici quali la morfologia e il lessico (cfr. BERRUTO, 20016: 159-161; EL-BAGURY, 1976) a scapito della prosodia.

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Infatti, gli studi sociofonetici sono a uno stato iniziale, o forse sono ancora allo stato embrionale come affermano CALAMAI et al. (2003: § 1.):

“negli studi di fonetica sperimentale la variabilità sociolinguistica è di fatto azzerata, vuoi per l’ancora relativa ‘novità’ dell’approccio, con la conseguente esigenza di ampliare l’entità delle conoscenze nel settore, vuoi per la quantità di tempo necessario a campionare ed analizzare acusticamente i dati di un campione di parlanti sociolinguisticamente e statisticamente significativo”.

Le autrici osservano, del resto, che i pochi contributi finora apparsi da un lato si sono interessati solo alla variazione diatopica a scapito degli assi di variazione diastratico e diafasico e dall’altro partono da un’ipotesi che “sembra riconoscere un ruolo primario e fondamentale alle varianti segmentali e solo secondario e succedaneo alla variazione melodica” (ibidem). Tale posizione, in effetti, non è condivisa né dalle autrici né da chi scrive.

La complessità dell’argomento e la diversità degli ambiti di ricerca coinvolti determinano l’articolazione dei capitoli. Innanzitutto, la lingua seconda degli apprendenti risente dei loro sfondi socioculturali, così come costituisce il mezzo di comunicazione con i parlanti nativi e per gli immigrati rappresenta anche uno strumento di autorealizzazione nella società ospite. La tesi inizia, dunque, con una premessa sociolinguistica che evidenzia il rapporto tra lingua e società; introduce ai repertori linguistici arabo e italiano che sono appunto i componenti della variazione linguistica con cui un apprendente arabo dell’italiano deve fare i conti; presenta

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presupposti e concetti di fondo che saranno un punto di riferimento nella raccolta del materiale vocale e nel delineamento dello sfondo socioculturale degli apprendenti egiziani della lingua italiana.

Il capitolo 1 è dedicato all’acquisizione della lingua e alle

condizioni socioculturali in mezzo alle quali si sviluppa il processo di apprendimento della lingua italiana sia in Italia che in Egitto. È ovvio che l’immigrato affronta una realtà e un contesto culturale diversi dall’ambiente nativo in cui si colloca l’apprendente guidato in patria. Si presume inoltre che la permanenza nel paese straniero abbia un esito linguistico migliore dello studio in classe, ma la questione non è semplice come scopriremo dall’esposizione dei ritrovamenti degli studi linguistici sugli immigrati. Nel corso della preparazione di tale rassegna sociolinguistica abbiamo affrontato lo scoglio dell’assenza di riferimenti sulle condizioni di vita degli studenti egiziani e lo abbiamo superato tramite la costruzione di un questionario per consentire la raccolta dei dati necessari (§ 1.3.2.2.1.).

Nelle ricerche di linguistica acquisizionale la conoscenza della tipologia e della cultura linguistica dell’apprendente è un fatto basilare per l’elaborazione e l’interpretazione dei dati ricavati dalle loro L2. Le spiegazioni che si riscontrano in letteratura di alcuni comportamenti linguistici degli arabofoni trapelano di una conoscenza minima e frammentaria della lingua araba; è solitamente a tali scarse notizie che lo studioso non arabofono né arabista ricorre nella ricerca di un quadro esplicativo dei fenomeni che rinviene. Ma data l’insufficienza

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delle conoscenze sulla lingua araba nella cultura linguistica occidentale, alcune interpretazioni risultano errate per chiunque conosca bene le varietà linguistiche che si affacciano a Sud del Mediterraneo. Nel corso della tesi troveremo alcuni esempi di tale lacuna negli studi sugli arabofoni (cfr. § 1.4.2.3.).

Nel capitolo trattiamo anche dell’acquisizione linguistica che più ci sta a cuore, quale l’acquisizione fonologica. Purtroppo, la fonologia e la fonetica sono tra le aree meno studiate nell’acquisizione dell’italiano come lingua seconda. Altri aspetti della lingua, meglio studiati in italiano L2, sono la temporalità (BERNINI & GIACALONE RAMAT, 1990), la flessione nominale (CHINI, 1995; CHINI & FERRARIS, 2003), la modalità (BANFI, 1993; GIACALONE RAMAT, 1993), la sintassi della frase semplice e la subordinazione (ANDORNO et al., 2003) e, infine, la testualità (CHINI et al., 2003). Le ragioni di tale situazione verranno comunque trattate nel corso del paragrafo 1.4.2.

Nel capitolo 2 passiamo alla dimensione fonetico-fonologica nello studio linguistico e ci soffermiamo sulla prosodia dell’italiano. Lo scopo dello spoglio prosodico nel capitolo è quello di introdurre a una serie di termini e di nozioni basilari nello studio intonativo, nonché presentare una varia gamma di impostazioni nella ricerca intonativa in una introduzione teorica all’indagine sperimentale nel capitolo 3.

In realtà, l’applicazione delle teorie linguistiche nell’ambito dell’acquisizione di lingue seconde non deve essere un’operazione meccanica. MAJOR (2001: 26-27) ricorda da una parte l’aiuto che le teorie più aggiornate forniscono nell’interpretazione dei vari fenomeni rilevati in L2 e la ricca risorsa di dati che queste produzioni costituiscono per la

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linguistica, ma, dall’altra parte, sottolinea la necessità di non considerare gli studi acquisizionali subordinati alla teoria linguistica e, quindi, di non adottare fedelmente modelli astratti che potrebbero essere inadeguati, dato che sono stati originariamente modellati su lingue prime. Nel nostro caso, vista la situazione degli studi prosodici in L2, dovremmo ricorrere prima ai metodi fonetici di analisi; successivamente, dopo la costruzione di un quadro descrittivo esaustivo, possiamo impiegare modelli di analisi fonologica. Tale ragionamento giustifica la nostra scelta delle analisi puramente fonetiche o foneticamente orientate (cfr. §§ 2.1.4. e 3.5.2.5.2.).

In un primo momento della ricerca si aspirava a sviluppare una presentazione ampia dei sistemi intonativi sia in arabo sia in italiano in base alle eventuali risultanze degli studi finora condotti nelle due lingue; invece, è risultato, purtroppo, che gli studi sulla prosodia araba sono molto di meno e molto diversi di prospettiva e d’interesse rispetto ai lavori sull’italiano. Inoltre, ci siamo resi conto che in questo lavoro non possiamo permetterci di contare tanto sulla letteratura prosodica in nessuna delle due lingue per una serie di motivi. Innanzitutto, gli studi sulla prosodia araba e italiana allo stato attuale non consentono il confronto tra le due lingue, sia perché i due mondi linguistici non seguono la stessa linea nella raccolta dei dati e nelle analisi sia perché mancano ancora descrizioni sistematiche ed esaurienti dell’intonazione nelle due lingue. In secondo luogo, come vedremo nel corso del capitolo gli informatori nei vari studi italiani sono a livelli più o meno medi d’istruzione e di cultura, quindi i risultati non sono necessariamente validi per i ceti più bassi, quei ceti che appunto hanno più contatto con i lavoratori

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stranieri e possono essere considerati i loro insegnanti d’italiano. In altre parole, l’input degli apprendenti egiziani non è identico alle varietà indagate dai prosodisti; lo stesso discorso vale anche per gli apprendenti guidati, che hanno decisamente meno accesso alla lingua parlata. Si aggiunga, infine, il problema interrelato della variazione diatopica con tutte le difficoltà che pone alla raccolta di corpora omogenei e rappresentativi.

Per affrontare tale problematica abbiamo deciso di limitare il campo d’indagine e di ovviare alla mancanza di dati sull’intonazione araba analizzando l’intonazione e l’accento negli atti illocutivi direttivi in un materiale appositamente raccolto in italiano (lingua seconda) e nell’arabo cairota (lingua prima) registrato con apprendenti guidati al Cairo e apprendenti spontanei in Italia. Intendiamo condurre confronti prosodici tra la realizzazione fonetica nelle due varietà linguistiche allo scopo di scoprire in quali proporzioni la prosodia della L1 influenzi la L2 e di verificare, almeno parzialmente, se la prosodia costituisca un campo di palese interferenza dalla lingua prima. Ci proponiamo anche di condurre un confronto, qualora possibile, tra le prestazioni dei due tipi di apprendenti per indagare se le differenze socioculturali tra i nostri soggetti si riflettano sulle loro prosodie.

La presentazione del corpus e delle analisi trovano luogo nel capitolo 3 in cui cerchiamo di rilevare le differenze e le somiglianze prosodiche tra le due lingue in un primo approccio scientifico e cauto alla questione.

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PREMESSA

FATTORI SOCIALI E STUDI LINGUISTICI

In una ricerca sulle produzioni linguistiche di apprendenti appartenenti ad ambienti diversi non si può prescindere da una trattazione anche sintetica dei legami tra il codice linguistico e i suoi utenti, i quali, con il proprio retroterra storico, culturale e sociale, determinano il comportamento linguistico delle comunità. La lingua, a sua volta, rappresenta per i parlanti lo strumento di acquisizione di conoscenza, di sviluppo delle capacità intellettuali e di scambio di idee; oltre ad essere il mezzo di espressione dei propri sentimenti e delle proprie esigenze, la lingua è il mezzo di comunicazione per eccellenza tra gli esseri umani e in quanto tale essa è il mediatore nei rapporti sociali; quindi, essa è un fenomeno sociale da vari punti di vista e “per quanto società e linguaggio siano due concetti ben distinti, il loro nesso è strettissimo: non pare che possa costituirsi ed esistere una società senza linguaggio, o meglio senza lingua, e certamente non può esistere lingua che non sia usata da un gruppo sociale” (VARVARO, 1978: 5).

Per tale relazione fatale la lingua assolve a un’altra funzione sociale diventando una chiave di identificazione dei gruppi sociali (cfr. HUDSON, 1998: 11).

Se l’apprendimento della lingua nativa garantisce la comunicazione e la socializzazione all’interno della propria

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società, sarà lecito pensare che l’apprendimento di un’altra lingua, o ancora di più lingue, consenta l’allargamento del proprio spazio sociale e, di conseguenza, anche quello culturale. Ma questo stesso aspetto, apparentemente positivo, dell’acquisizione multilinguistica non è del tutto pacifico. Come cercheremo di mostrare rapidamente nelle pagine successive e come sembrerebbe, in fin dei conti, intuitivo, la lingua è considerata un deposito della cultura dei suoi parlanti, il che rende l’incontro di due lingue nella mente dell’apprendente un raffronto di due culture; e se il comportamento linguistico diventa con gli anni un’abitudine, il cambiamento o la modificazione di alcune abitudini è sicuramente tutt’altro che semplice. Dunque, a parte i vantaggi sociali e culturali, per niente messi in dubbio, della conoscenza plurilinguistica, tale conoscenza, qualora si possa considerare, con un termine per nulla scientifico, ‘buona’, rappresenta l’esito di un processo istruttivo che si sviluppa man mano in funzione degli sforzi e della volontà dell’individuo, che ne costituisce il perno, e insieme in relazione alle condizioni generali, prevalentemente sociali, in cui si colloca l’apprendente, come vedremo a suo tempo (cfr. § 1.2.). Infatti, la grande variazione degli esiti dell’insegnamento linguistico a parità di condizioni e di procedure didattiche è un semplice esempio che dimostra che l’apprendimento di una lingua seconda è proprio il processo che mette in evidenza la valenza della persona e delle sue condizioni di vita nella formazione della lingua da lui usata.

Per evitare il più possibile la superficialità, si dovrà nel corso di questa premessa trattare alcune delle nozioni e dei

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postulati della disciplina che proclama di occuparsi del binomio lingua e società, ossia la sociolinguistica. I trattati di sociolinguistica presentano una gamma di concetti e di termini tecnici corredati di tanto in tanto da esempi di vita reale, ma la letteratura sociolinguistica generica a nostra disposizione sembra incentrata per lo più sui parlanti nativi, pur senza tralasciare del tutto un certo segmento di apprendenti, come vedremo più oltre (cfr. § 0.3.). Considerazioni di tipo sociolinguistico relative al processo di apprendimento si riscontrano nei lavori dedicati all’acquisizione di lingue seconde (L2).

0.1. CENNI ALLA SOCIOLINGUISTICA

0.1.1. Definizione

Rientrano nei rapporti tra lingua e società vari fenomeni come per esempio la variazione di pronuncia e di assegnazione di significato da una persona ad un’altra; i cambiamenti linguistici; le differenze linguistiche tra le generazioni; la variazione della lingua nel contenuto e nella forma con la variazione delle circostanze, della stratificazione sociale e delle attività professionali; la presenza di parole interpretabili solo in funzione di particolarità culturali. Di questi e altri argomenti si occupa la sociolinguistica, il cui raggio di azione è molto ampio e copre una vasta gamma di tematiche eterogenee che si sovrappongono ai domini di altre discipline (cfr. BERRUTO, 20016: §§ 1.1., 1.2.).

Questa disciplina ha varie definizioni e persino diverse designazioni. FISHMAN (1975) parla di ‘sociologia del

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linguaggio’ che si occupa dell’interazione tra “l’uso del linguaggio e l’organizzazione sociale del comportamento” e quindi considera tutti gli “argomenti connessi all’organizzazione sociale del comportamento linguistico, comprendendovi non solo l’uso del linguaggio in quanto tale, ma anche gli atteggiamenti linguistici e i comportamenti palesi verso la lingua e i suoi utenti” (p. 65).

La sociologia del linguaggio come studio della società in rapporto con la lingua è, secondo HUDSON (1998), l’inverso della sociolinguistica, che egli definisce come “lo studio della lingua in rapporto con la società”, uno studio che “ci può dire molto sia sulla natura del linguaggio sia sulla natura della società” (p. 9).

Invece, BERRUTO (20016: pp. 6-7) ritiene che queste due definizioni siano molto generiche e attribuiscano alla disciplina un ambito molto vasto di applicazione e di analisi. Secondo la sua definizione la sociolinguistica è “un settore delle scienze del linguaggio [e non della sociologia] che studia le dimensioni sociali della lingua e del comportamento linguistico, vale a dire i fatti e fenomeni linguistici che, e in quanto, hanno rilevanza o significato sociale” (p. 10).

0.1.2. La variabilità linguistica

Essendo le definizioni comunque di maglia larga, BERRUTO sottolinea che sarebbe utile discernere tra la sociolinguistica in senso lato e tra il nucleo centrale della sociolinguistica, quale l’indagine della variazione della lingua (cfr. ivi: 12). Infatti, tra gli assiomi della disciplina da lui esposti (cfr. ivi: § 2.4.) si segnala sotto la designazione ‘assioma della variabilità

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linguistica’ che “ogni lingua, al suo interno, è varia, conosce differenziazioni, è diversificata negli usi dei parlanti e si articola quindi in tante varietà di lingua” (p. 60) e, più oltre, che “ogni parlante normale è capace di usare, e usa, più di una varietà di lingua” (p. 61).

La variazione linguistica è appunto il tratto che rende la lingua così espressiva e deposito della cultura di una comunità; a mo’ d’esempio, si osserva che il comportamento e gli usi linguistici dell’individuo sono un buon indicatore del livello sociale. In proposito BERRUTO sottolinea che “il segreto di questa proprietà della lingua…sta nella sua natura intrinseca di sistema con variabilità. Quest’ultima è soggetta alla determinazione culturale […]” (20016: 143).

Nell’esame del fenomeno della variazione, la sociolinguistica definisce la nozione di ‘repertorio linguistico’, quale l’insieme dei sistemi linguistici o le risorse linguistiche a disposizione di una comunità (cfr. ALTIERI BIAGI, 19956: 313; BERRUTO, 20016: 72). VARVARO (1978: 53) lo definisce come “l’insieme di varietà congiuntamente disponibili ad un gruppo sociale adeguatamente omogeneo”. La disponibilità,come spiega Varvaro, non è proprio il potenziale, ma il reale accesso. Si osserva, quindi, che il repertorio linguistico per definitionem non è di natura monolitica, anzi è assai diversificato secondo vari fattori: si suol trattare di variazioni a livello geografico (variazione diatopica), sociale (variazione diastratica) e situazionale (variazione diafasica).

Un’altra dimensione ben nota di variazione è la variazione nel tempo (variazione diacronica), che va scartata in questo discorso, in quanto è un oggetto d’esame della storia della lingua,

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che ALTIERI BIAGI (19956) considera una “sociolinguistica diacronica”, allo stesso tempo in cui ritiene la sociolinguistica “una storia linguistica sincronica” (corsivo dell’autrice; pp. 303-304). Dunque, i tipi di variazione che più stanno a cuore della sociolinguistica sono la variazione diastratica e diafasica, visto che la variazione diatopica riscontra la massima attenzione nella dialettologia (cfr. BERRUTO, 20016: 147).

Traendo esempio della ricca variazione linguistica dal repertorio degli italiani, si osserva che il singolo parlante dispone di più varietà linguistiche all’interno della propria varietà geografica, in quanto il parlante “impara una varietà sociale dell’italiano della propria regione, entro la quale impara diversi registri adeguati a diverse situazioni…” (BERRUTO, 19973: 11). In Italia, inoltre, la maggiore marcatezza diatopica implica spesso marcatezza diastratica, il che dimostra l’interazione delle dimensioni di variazione e la loro sovrapposizione (cfr. ID, 20016: 149-150).

Tale padronanza si può denominare competenza multipla, la quale può essere passiva o di sola comprensione oppure attiva, cioè insieme di comprensione e di produzione (cfr. VARVARO, 1978: 53-54).

0.1.2.1. Variazione diastratica

La variazione diastratica include non soltanto la variazione linguistica per differenze di strato sociale, ma anche in funzione delle differenze di identità sociale, di cui sono tratti salienti la etnia, il gruppo sociale, il sesso e l’età (cfr. BERRUTO, 20016: 147; VARVARO, 1978: 59). È

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un’osservazione unanimemente condivisa che ognuno di noi fornisce tramite il proprio comportamento linguistico informazioni sulla propria posizione sociale (BERRUTO, 20016: 63-64) e che la lingua è un comportamento immediatamente connesso a fattori sociali.

Malgrado la classe sociale sembri la variabile più influente e rilevante nella diversificazione linguistica, la collocazione sociale di una persona non è un compito semplice così come il concetto di classe (o strato) sociale non risulta facile da individuare, dato che la stratificazione di per sé rappresenta una forzatura concettuale all’interno del corpo sociale, in cui non intercorrono interruzioni nette fra gli strati (cfr. BERRUTO, 20016:120-121). La stratificazione sociale, infatti, serve in sociolinguistica come un’importante nozione descrittiva di valore pratico; comunque, la disciplina non cerca categorizzazioni minuziose come la sociologia, ma si accontenta dell’individuazione di categorie elementari e rudimentali con pochi strati in qualità di “realia di riferimento e non delle entità da studiare” (ivi: 129)1. C’è una duplice ragione a base della macroscopicità nella trattazione delle categorie sociali da parte di questa disciplina: da una parte, la determinazione della posizione sociale è una procedura che comporta grossi problemi a causa della sua multidimensionalità, dato che vari fattori possono correlare a determinare la collocazione sociale, e dall’altra parte per la

1 Converge con questa osservazione l’affermazione di MIONI (1975: 35-36) che a differenza del sociologo, il linguista sceglierebbe una quantità maggiore di varianti linguistiche da correlare con pochi parametri extralinguistici. In altre parole, l’interesse analitico del sociolinguista, che in fondo è un linguista, va sempre focalizzato in primo piano sul livello linguistico.

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mancanza di una correlazione biunivoca tra un certo strato sociale e una determinata varietà linguistica; il rapporto società-lingua, cioè, non è deterministico, ma probabilistico (per una discussione approfondita si veda BERRUTO, 20016: cap. 4).

Detto ciò, alcuni tratti sociali risultano spesso buoni indici del ceto sociale. BERRUTO osserva che, almeno in un paese come l’Italia, l’insieme del grado di istruzione e l’occupazione sembrano degli indicatori migliori per la determinazione della posizione sociale (20016: 129).

0.1.2.2. Variazione diafasica

La situazione comunicativa è un altro concetto importante a livello descrittivo per la sociolinguistica, nella quale si distinguono alcuni elementi cardinali, quali i parlanti (mittente e destinatario), il loro status o posizione nella società e i loro ruoli nella conversazione che sarebbero in questo caso ruoli comunicativi. Le relazioni di ruolo all’interno della situazione comunicativa o sociolinguistica sono molto rilevanti per il sociolinguista. I ruoli degli interlocutori sono il riflesso delle loro posizioni sociali e insieme del rapporto che intrattengono; dalla lingua s’intravvede, cioè, se un individuo ha potere rispetto al partner della comunicazione e se i parlanti condividono caratteristiche e esperienze sociali o fatti intimi e quanta distanza sociale intercorre tra i partecipanti all’atto comunicativo (cfr. HUDSON, 1998: 129). La variazione delle posizioni di mittente e destinatario e dei loro ruoli l’uno rispetto all’altro è responsabile della variazione di registro che

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costituisce, quindi, un indice del grado di formalità dell’interazione. (VOGHERA, 1992: 39; BERRUTO, 19973a: § 3.1.). Un semplice esempio del riflesso linguistico dei rapporti sociali si riscontra nell’uso del pronome personale tu e la sua variante di cortesia lei.

0.1.3. Variabile sociolinguistica e procedimento

d’analisi

La variabile sociolinguistica è ogni variabile linguistica che vari in funzione di una o più variabili sociali. È costituita da un insieme di varianti, ossia modi alternativi che presentano lo stesso elemento linguistico (cfr. BERRUTO, 20016: 158).

Eppure, il concetto stesso di ‘variabile’ presenta alcuni problemi di definizione, in quanto si presuppone che l’insieme di varianti debba essere caratterizzato dall’uguaglianza semantica e funzionale, il che praticamente risulta di difficile realizzazione, specie a livello morfologico e, ancora di più, a livello sintattico, nonché agli altri livelli di una varietà (cfr. la discussione in BERRUTO, 20016: § 5.3.2.).

A parte il dibattito sulla puntuale definizione della nozione di variabile, si propone che lo studio sistematico della lingua in rapporto a fattori sociali, ossia lo studio delle variabili sociolinguistiche, richieda una base di dati per la cui costruzione e studio occorre una serie di procedimenti, che HUDSON (1998: 158 e segg.) elenca e spiega. Innanzitutto, si parte dalla determinazione del tipo di informanti considerando che la disomogeneità del campione non

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porterebbe a risultati attendibili2. La raccolta dei testi da analizzare non risulta semplice, visto che l’ottenimento di una produzione linguistica naturale e spontanea e una registrazione di buona qualità, con la presenza del registratore e dell’intervistatore nel luogo di rilevazione, richiede fiducia e una certa disinvoltura da parte degli informatori. L’individuazione delle variabili linguistiche da annotare nel materiale registrato è un passo che non dovrebbe porre difficoltà, anche se nel caso di identificazione di varianti foniche potrebbe risentire della soggettività del ricercatore. Il passo successivo è l’elaborazione dei dati, che richiede statistiche percentuali relative alle occorrenze dei fenomeni d’interesse e il confronto dei dati ricavati dai vari testi sotto esame. Alla fine, l’interpretazione dei risultati di per sé consiste di più fasi che iniziano con la descrizione dei fenomeni riscontrati e finisce con la spiegazione di tali fenomeni in termini generalizzabili. Occorre determinare nette differenze tra due o più gruppi di informanti tra cui intercorrono divergenze anche a livello sociale (per esempio, età, sesso o classe sociale) e cercare di superare i singoli casi per determinare se una certa variabile linguistica correla tendenzialmente o sistematicamente con una variabile sociale.

Si è detto ‘tendenzialmente’ perché, in realtà, non si possono verificare correlazioni socio-linguistiche deterministiche e schematiche secondo cui una certa variabile linguistica corrisponde sempre o al cento per cento a una variabile sociale.

2 In merito BERRUTO sottolinea che spesso la sociolinguistica si basa su piccoli gruppi di informanti piuttosto che grandi gruppi (20016: 98).

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Nell’analisi della variabilità sociolinguistica l’atto linguistico costituisce l’unità minima di analisi. La nozione di atto linguistico supera l’interesse nel solo livello della lingua per legarlo al livello dell’azione basandosi sul postulato che il dire costituisce un atto (cfr. AUSTIN, 1974 [1962]; SEARLE, 1976 [1969]). L’atto illocutivo (l’atto eseguito nel dire quale la richiesta, il consiglio, ecc.) e l’atto perlocutorio (l’effetto esercitato sull’interlocutore tramite le parole) sono due dimensioni della teoria degli atti linguistici che rendono conto rispettivamente delle relazioni di ruolo tra parlante e mittente e degli esiti della comunicazione, costituendo in tal modo un riconoscimento esplicito dell’aspetto interazionale e, quindi, il ruolo sociale della lingua. L’atto linguistico è delimitato dalla fine di un’intenzione comunicativa o dall’interruzione da parte dell’interlocutore (cfr. VARVARO, 1978: 25).

0.2. DUE REPERTORI LINGUISTICI

Abbiamo detto che la sociolinguistica ha come preoccupazione centrale la variazione del repertorio, perciò, in questa ricerca che si propone di considerare alcuni aspetti dell’italiano come lingua seconda di arabofoni, ci potremmo, e forse ci dovremmo, chiedere quale sia la natura della variazione sia del repertorio nativo degli apprendenti considerati sia del repertorio a cui questi si avvicinano con l’apprendimento. Visto che ogni tentativo di individuazione delle varietà di un repertorio si conduce in base a criteri

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geografici, sociali e situazionali, il profilo linguistico di una comunità può rispecchiare grosso modo la struttura della vita sociale e della dinamica interazionale della comunità, così come, a livello individuale, la fisionomia socioculturale del singolo può far luce sulle varietà da lui potenzialmente utilizzabili; dunque, nel caso degli apprendenti potremmo pervenire a un quadro generale delle conoscenze linguistiche native di un apprendente qualora abbiamo a disposizione alcuni dati sociogeografici e culturali che lo riguardano e possiamo anche dedurre le varietà italiane cui viene esposto in base al tipo di apprendimento che riceve (cfr. § 1.1.3.) e, qualora impari in Italia, in base alla zona dove abita e lavora e la gente che frequenta e dal contatto con la quale acquisisce la lingua (cfr. § 1.2.3.2.). Di più, la natura della variazione nella lingua madre offre un’immagine del grado di elasticità linguistica del parlante-apprendente e la propria consapevolezza di tale variazione della lingua nativa potrebbe costituire una chiave d’accesso all’apprendimento della variazione nella lingua straniera.

0.2.1. Repertorio italiano

Vi sono vari tentativi di classificazione delle varietà linguistiche italiane. Nelle pagine seguenti ne prenderemo in considerazione alcuni.

MIONI (1975: 20-22) schematizza il ‘repertorio verbale’ degli italiani in sei livelli:

1- italiano aulico;

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2- italiano parlato formale;

3- italiano colloquiale-informale;

4- dialetto di koinè (di stile elevato);

5- dialetto del capoluogo di provincia;

6- dialetto locale;

e divide la struttura sociale in alta borghesia, piccola borghesia, operai e contadini.

L’alta borghesia si presume padroneggi le varietà da 1 a 4; la piccola borghesia ha una padronanza grosso modo delle varietà da 2 a 5, mentre gli operai si collocherebbero in una posizione intermedia tra i piccoli borghesi e i contadini che avrebbero una competenza che copre le varietà da 3 a 6. L’autore osserva che il borghese è possibilmente anche a conoscenza delle varietà 5 e 6 e che tale padronanza di una gamma più ampia di varietà è una caratteristica della classe borghese; e ritiene che la conoscenza di più varietà e la capacità di scambiare le varietà a seconda della situazione si considerino “uno strumento di emancipazione sociale” (MIONI, 1975: 21).

SABATINI (1985) espone varie classificazioni delle varietà del repertorio degli italiani nelle quali sono osservabili tre tratti in comune, quali la presenza di una varietà standard di tipo colto e non marcata regionalmente3, di varietà regionali (koinè) e di varietà più strettamente locali (dialetti). Si nota come caratteristica pervasiva delle varie definizioni delle

3 Lo standard, come spiega SABATINI (1985), è “fissato e riconosciuto al più alto livello di istituzionalità” (p. 177).

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varietà che il criterio diatopico è preponderante rispetto a quello diafasico.

Riguardo alla prima varietà va sottolineato che lo standard non marcato regionalmente è stato sempre un’ideale per lo più scritto e molto meno usato dei dialetti che negli ultimi decenni, risentono della forte presenza dell’italiano normativo. Di fatto, per via dell’alfabetizzazione degli italiani e della diffusione dei mass media, italiano e dialetto si sono influenzati a vicenda nell’uso quotidiano dei parlanti istruiti. L’esito di tale processo di italianizzazione è stato da un lato la formazione di una varietà che non coincide perfettamente con lo standard colto e normativo proposto dai libri di grammatica, ma che presenta un’attenuazione dei tratti regionali marcati soprattutto a livello fonologico in certi ceti e livelli culturali e, dall’altro lato, l’ingresso di tale varietà nel repertorio, togliendo una parte di egemonia ai dialetti (cfr. VOGHERA, 1992: 56 e segg.; SABATINI, 1985: 174). Tale varietà viene chiamata da BERRUTO (19973: 14) ‘neo-standard’ e corrisponde grosso modo allo ‘italiano dell’uso medio’, che SABATINI (1985) propone quale una “varietà nazionale” che dunque non risente tanto della variazione geografica né sociale quanto della variazione situazionale (diafasica) e di canale (diamesica). L’autore precisa però che tale varietà coincide per alcuni tratti con varietà diatopiche e diastratiche e che la pronuncia regionale del parlante si impone nell’uso orale di tale varietà nazionale.

Accanto alla lingua nazionale articolata nello standard e nell’italiano dell’uso medio che gode di maggior diffusione nel

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parlato, SABATINI (1985) indica quattro classi “regionali e locali”:

1- italiano regionale delle classi istruite; 2- italiano regionale delle classi popolari; 3- dialetto regionale o provinciale; 4- dialetto locale4.

L’autore fa notare che le prime tre varietà non vengono utilizzate dalle classi popolari, mentre delle ultime due le classi istruite avrebbero piuttosto una competenza attiva limitata o addirittura passiva (pp. 176-177).

0.2.2. Repertorio arabo

Da una prospettiva storica, cara alla linguistica araba moderna quale punto di partenza indispensabile, si nota che la classica tradizione normativa in arabo – quella dei primi quattro secoli dell’Islam, a partire dal VII secolo d.C. – non manca di una visione socioculturale della variazione linguistica. I trattati di sintassi, per esempio, abbondavano sempre di esempi di varianti diverse a seconda della tribù, delle provenienze geografiche e delle situazioni comunicative. BISHR (19973) argomenta che la sintassi canonica dell’arabo, a parte le sue fonti diatopicamente diverse, porta elementi di variazione in funzione della variazione situazionale. Per esempio, oltre alla variazione della particella vocativa in base alla lontananza o la vicinanza dell’interlocutore, il vocativo

4 La convergenza di vari fattori nella definizione di una varietà che al tempo stesso si sovrappone parzialmente ad altre varietà spiega la diffusa considerazione delle varietà linguistiche come elementi di un continuum (cfr. BERRUTO, 19973: § 3).

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determinato porta una marca sintattica diversa da quella dell’indeterminato o non definito5. Secondo l’autore, distinzioni del genere costituiscono un indizio della differenziazione sintattica della variazione contestuale (pp. 99-101). Infatti, nella morfosintassi sono ammesse come corrette e standard più varietà geografiche. La stessa ricchezza del lessico arabo è l’esito del riconoscimento di una gamma di varietà (al tempo si chiamavano ‘lingue’) diatopiche come lingua araba standard. Furono queste le parlate degli arabi beduini che non erano mai usciti dalla penisola e/o che non hanno avuto contatti con le altre etnie, quali i persiani, gli etiopi, gli egiziani, i romani, i greci e, in un momento successivo, i turchi, poiché si era consapevoli dell’influsso dei contatti multirazziali sulla purezza e quindi la ‘correttezza’ dell’arabo beduino (cfr. BISHR, 19973: 294-296).

Gli arabi, divisi in tribù continuamente in contatto per commercio e altro, sono stati da sempre consapevoli delle differenze che intercorrevano tra quelle che chiamavano le rispettive ‘lingue’. È noto, per esempio, che il Profeta – pace e benedizioni su di lui, nei ricevimenti dei rappresentanti delle tribù interessate alla ‘nuova fede’, compiva certe sostituzioni

5 L’arabo standard dispone di cinque particelle vocative che corrisponderebbero alla ‘o vocativa’ in italiano, quali: يا, أيا, هيا, أى ,أ. [ja, aja, haja, ai, a]. Le ultime due (أى ,أ) si impiegano nel richiamo prossimale, mentre أيا e هيا indicano il richiamo distale; يا., invece, vale per i due tipi di richiamo, a parte la distanza tra il parlante e il referente del complemento di vocazione. È possibile anche l’omissione della particella nel richiamo. Quanto alla marca sintattica troviamo per esempio che i sostantivi con cui si indicano persone determinate sono del caso nominativo (come anche i nomi di persona), mentre i complementi di vocazione contestualmente indeterminati, come nei richiami generalizzati, hanno il caso accusativo. Es.: يا صغير [ja saGiru] o piccolo! (il parlante si rivolge a un certo bambino; nominativo), ,o uomo libero! (accusativo [ja ragulan hurran] يا رجال حرا indica qualsiasi uomo libero).

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fonologiche per adattare la sua pronuncia al sistema fonologico tipico delle varietà tribali dei suoi interlocutori, adattamento attribuibile semplicemente al suo bagaglio culturale come arabo. Inoltre, si sa che malgrado la rivelazione coranica sia prevalentemente nell’arabo della Mecca, si riscontrano nel libro sacro varianti fonologiche e costrutti tipici di altre varietà geografiche. Anche prima dell’avvento dell’Islam è documentata la presenza di una varietà letteraria adoperata nella poesia che accomunava le opere dei poeti di varie provenienze nella Penisola come confermano le congregazioni letterarie stagionali denominate i mercati letterari in cui si recitavano in pubblico le propie poesie per ricevere i vari commenti, anche linguistici (ivi: 288-289).

BISHR (19973) sostiene che lungo la sua storia documentata, la lingua araba disponeva, in una classificazione a maglia larga, di tre varietà principali: la lingua letteraria, la lingua comune e i vari ‘dialetti’ (p. 290). La prima varietà letteraria sarebbe lo standard (al-fusha الفصحی)6,varietà letteraria del Corano e della letteratura pre e post-islamica, che si è sviluppata gradualmente fino a formare nei nostri tempi un arabo neoclassico che dal punto di vista diamesico si è ridotto, nella sua forma ‘corretta’ cioè canonica, all’uso scritto e varia diatopicamente soprattutto a livello fonologico (nella pronuncia, ma non nell’ortografia) e in parte a livello lessicale e ancora meno a livello sintattico (cfr. ivi: 175-176)7.

6 fusha (agg. f.) significa fluente, eloquente e chiaro, intelligibile. 7 Ciò nonostante, l’autore respinge le etichette arabo saudita vs arabo egiziano, ecc. proponendo, invece, arabo dell’Arabia e arabo dell’Egitto, visto che le prime denominazioni gli risultano esagerate, in quanto fanno pensare a una frattura incolmabile tra le varietà diatopiche dell’arabo (p. 183).

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BADAWI (1973) conduce uno studio minuzioso per l’identificazione del repertorio linguistico dei cairoti che costituiscono, secondo l’autore, una comunità linguistica integra e al tempo stesso modello della variazione linguistica in Egitto (p. 53). Egli individua cinque varietà, due standard e tre colloquiali, secondo criteri prevalentemente diastratiche e diafasiche (p. 89):

1. La prima è l’arabo classico della tradizione, una varietà standard tradizionale ormai quasi cristallizzata, poiché “non è influenzata quasi dalla cultura dei nostri tempi” (ibidem);

2. lo standard moderno (il neoclassico di BISHR (19973; vedi supra) costituisce uno standard che si sviluppa con l’evoluzione della società e della cultura contemporanea;

3. l’arabo colloquiale dei colti mescola il lessico dello standard e le strutture del colloquiale (cfr. p. 151) e di conseguenza costituisce la varietà più ricca di risorse, in particolare a livello fonologico, perché il parlante ha a disposizione più alternative;

4. l’arabo colloquiale degli istruiti è il colloquiale per eccellenza che si adopera a fini pratici nella vita quotidiana (p. 175);

5. l’arabo colloquiale degli analfabeti (e dei semianalfabeti) rappresenta una varietà quasi indifferente agli influssi sia dello standard sia della cultura moderna che abbonda cioè di espressioni e di formule cristallizzate e manca della creatività ed elasticità delle altre varietà (p. 189).

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L’autore afferma che tutte queste varietà hanno la stessa origine storica, il che lascia spazio al reciproco condizionamento. In tutte le varietà si mescolano caratteristiche dello standard con tracce del colloquiale; il primo si riscontra in dose minima nella quinta varietà, mentre il secondo non è del tutto assente dalla prima. Nell’arabo colloquiale dei colti le caratteristiche standard si presentano equamente accanto ai tratti colloquiali o per così dire dialettali; e più si va verso la quinta varietà i tratti dello standard diminuiscono (cfr. pp. 104-106). I forestierismi abbondano nella terza varietà e si riducono più si va verso le due estremità (cfr. pp. 108 e segg.). Per quanto riguarda l’uso, la prima varietà è utilizzata quasi esclusivamente da parte degli uomini di religione e negli interventi ufficiali; la seconda copre un largo spettro di usi nella società e contiene i vari sottocodici scientifico, politico, letterario, ecc. e si riscontra normalmente in discorsi preparati in precedenza (cfr. p. 90); la terza, invece, è la varietà delle discussioni spontanee su argomenti scientifici o comunque culturali, mentre la quarta è impiegata da parte di tutti i non analfabeti (inclusi i colti) nella vita quotidiana e negli ambienti informali sui vari argomenti del parlato ordinario.

0.2.3. Alternanza di codice in varietà arabe e italiane

Il passaggio da una varietà all’altra è regolato prima di tutto, e com’è ovvio, dal livello culturale dei parlanti. Per quanto riguarda l’arabo d’Egitto, tutti gli egiziani sono capaci di passare da una varietà all’altra se non sono proprio

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analfabeti e/o di limitata cultura8. Mentre questi ultimi che sono gli utenti della quinta varietà non mostrano di poter uscire dai suoi limiti, i parlanti della seconda varietà sarebbero capaci, grazie alla loro istruzione, di usare la prima varietà quando è necessario, oltre alla terza e alla quarta. Anche all’interno dello stesso evento comunicativo o la stessa interazione i parlanti possono adoperare più di una varietà. Tale alternanza di codice secondo BADAWI (1973: 93) non è vincolata da regole precise, ma si verifica solo in alcune condizioni osservate dall’autore in un corpus di interviste radiotelevisive e di lezioni universitarie e in altri testi. Si segnala il passaggio ad un livello direttamente più ‘alto’ quando si vuole sintetizzare quanto detto prima, mentre il transito in direzione opposta si verifica proprio nelle situazioni inverse, quando, in altre parole, ci si appresta ad una spiegazione o si sente che l’interlocutore non riesce a capire (pp. 208-209). L’uso di ogni varietà, comunque, viene associato a certe situazioni comunicative e a certi tipi di parlanti, ragion per cui in alcuni contesti la sostituzione di codice risulta completamente inappropriata o addirittura comica (cfr. 206 e segg.), come per esempio l’uso dello standard in una rissa dopo un piccolo incidente stradale o l’uso da parte di giovani universitari di qualche espressione cristallizzata mutuata dal colloquiale degli analfabeti solo per ottenere effetti comici.

8 Si potrebbe argomentare a proposito, però, che l’analfabetismo in sé stesso, malgrado la riduzione culturale che comporta, non sia necessariamente un ostacolo all’acculturazione, visto che quest’ultima dipende dall’intelligenza e dalla curiosità socioculturale dell’individuo, anche se resta vero che l’alfabetizzazione consente, ormai da secoli, l’accesso all’alta cultura e stimola l’acculturazione individuale.

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In Italia, in alcune località della Puglia, SOBRERO (1992) ha condotto un esperimento sull’alternanza di codice in cui rileva il passaggio nelle formule di routine, nell’enfasi nei momenti di forte emozione, e, come nell’arabo cairota, nel commento esplicativo (cfr. p. 145). Altre funzioni dell’alternanza di codice in alcune varietà italiane sono l’adeguamento all’interlocutore, la segnalazione di preferenza dell’una o dell’altra varietà, l’autocorrezione per adattamento del codice alla situazione e l’indicazione della fine del discorso (cfr. BERRUTO, 20016: 259-260).

Da quanto detto sopra ci risultano delle somiglianze tra i repertori delle due comunità italiana e egiziana, delle cui risorse i nativi mostrano di essere consapevoli alternando frequentemente e spontaneamente le varietà a seconda delle possibilità, delle circostanze e persino dell’umore.

Un nativo può rilevare semplicemente numerose somiglianze tra il suo dialetto e la lingua standard, ma per un apprendente la situazione non è la stessa. Per quindici arabofoni residenti a Torino e intervistati da CUZZOLIN (2001) l’italiano risulta non solo difficile ma anche molto diverso dai dialetti e per qualcuno un’altra lingua (cfr. p. 100). Gli informatori dichiarano quindi la necessità di imparare bene sia l’italiano orale che scritto, il che viene interpretato dallo studioso come dovuto all’interpretazione della situazione linguistica italiana alla luce della diglossia araba (cfr. p. 102), ma in una visione, per così dire, superficiale si osserva che, malgrado le somiglianze tra i due codici scritto e parlato che gli studi possano rilevare (VOGHERA, 1992), l’apprendente straniero della lingua italiana trova che lo scritto come

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struttura, termini e anche come resa grafica dei suoni è diverso dal parlato, il che potrebbe costituire un fenomeno sano e utile, perché rende disponibili gli apprendenti ad accettare la polimorfia della lingua straniera e a trattare con cautela e con occhio più attento e analitico i vari codici cui vengono esposti.

0.3. LINGUA E IMMIGRATI, LINGUA E SOCIETÀ

Le persone o le comunità che utilizzano la lingua italiana

come lingua seconda sono gli apprendenti che naturalmente hanno una fisionomia socioculturale diversa dalla comunità degli italiani, perché appartengono a universi socioculturali diversi. In primo luogo, dobbiamo ricordare che alcuni apprendenti egiziani imparano la lingua sul territorio italiano e altri la imparano in istituzioni formative in patria, e questa differenza costituisce per noi un criterio primario di suddivisione degli apprendenti che segna la trattazione dell’italiano L2 in questa tesi. Quanto al primo tipo di apprendenti identificato negli immigrati e nei lavoratori stranieri, esso costituisce per la forte variabilità e marcatezza sociale un fecondo campo di ricerca e di verifica delle ipotesi e delle metodologie sociolinguistiche. Infatti, si considera che le condizioni di vita degli immigrati sono marcate quanto sono marcate le loro lingue seconde (v. § 1.1.4.1.). Gli immigrati costituiscono, ancora più degli studenti in patria che sono inseriti nel tessuto delle loro società native, un segmento di persone che vivono una situazione sociale molto particolare, in quanto appartengono a comunità e società diverse dalle società

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ospiti, per l’apprendimento delle cui lingue devono convivere come stranieri, migranti. La multietnicità e l’instabilità dell’immigrazione “pongono continuamente sia gli immigrati che la società d’accoglienza, in un continuo processo di confronto e di scontro, di adattamento e di conflitto” (PEROCCO, 1999: 47). In Italia, e ugualmente in tutte le società bersaglio di flussi stranieri, l’immigrazione rappresenta una realtà composita e una sfida sociale di prim’ordine; essa costituisce un “fenomeno sociale totale che tocca in profondità sia le società di partenza che le società di destinazione. Coinvolge più dimensioni dell’esperienza sociale (salute, corpo, tempo, cura) ed individuale, più istituzioni (enti locali, mondo della scuola, servizi sociosanitari)” (ibidem; si vedano §§ 1.3.1.2., 1.3.1.3.).

Visto che la sociolinguistica si considera “una sorta di linguistica dal volto umano, più realistica, concreta e vicina all’esperienza quotidiana rispetto ad altre dimensioni della linguistica” (BERRUTO, 20016: 3; cfr. ALTIERI BIAGI, 19956: 301), essa dovrebbe avere le prospettive e i mezzi adatti per lo studio delle lingue seconde. Infatti, VEDOVELLI (1993: 1 e segg.) osserva che da una parte lo studio prettamente linguistico delle produzioni degli immigrati non rende conto soddisfacentemente dell’incidenza dello sfondo socioculturale di apprendimento sulle loro L2; dall’altra parte, gli studi sociali sull’immigrazione non chiariscono il ruolo mediatore della lingua nella socializzazione.

Detto ciò, l’interesse sociolinguistico per l’apprendimento è recente e non sono state ancora elaborate strutture sociolinguistiche dettagliate che spieghino la natura della correlazione tra certi fenomeni linguistici e alcune

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variabili sociali; di più, “la sociolinguistica si trova ancora in una fase di non esaustiva definizione dei paradigmi metodologici di rilevazione scientifica” (VEDOVELLI, 1993: 5). L’argomento, oltretutto, costituisce una sfida enorme a causa dell’instabilità delle L2 e per la grande variazione interna delle provenienze e dei profili socioculturali e le condizioni di vita degli immigrati.

0.3.1. Ruolo della lingua nella comunicazione e

nell’inserimento

La comunicazione rappresenta un evento in cui si manifesta palesemente la rilevanza dell’aspetto sociale della lingua. Visto che la comunicazione è un’attività sociale (HUDSON, 1998: 113), la socializzazione e la comunicazione linguistica costituirebbero, dunque, due facce della stessa medaglia sia nell’ottica secondo la quale la comunicazione è uno strumento integrativo, sia perché il successo di questa ha certi requisiti sociali. Infatti, si ritiene che la felice comunicazione comporti la conoscenza uguale, o quasi, dei valori sociali e culturali dell’interlocutore; e persino nelle conversazioni tra individui provenienti da una stessa area geografica che condividono la medesima cultura, può darsi il caso di fraintendimenti e potrebbe sorgere la necessità di chiarimenti, ripetizioni e altro (cfr. DITTMAR & STUTTERHEIM, 1986: 149).

La comunicazione tra nativi e non, ossia la comunicazione interetnica, risente in maniera molto marcata delle discrepanze linguistiche e socioculturali tra gli interlocutori. Per gli immigrati, la lingua da un punto di vista oggettivo costituisce

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uno strumento che agevola la socializzazione e quindi l’integrazione sociale. La competenza linguistica, secondo SAINT-BLANCAT (1999: 18), è “uno strumento fondamentale nei processi d’integrazione”; e forse lo è anche dal punto di vista della comunità ospitante, spesso curiosa di esplorare la mente e la cultura dello straniero per saperne l’atteggiamento nei suoi confronti e l’immagine che serba in mente per loro; tale scoperta dell’estraneo potrebbe a sua volta aiutare i nativi ad accettarlo. DITTMAR & STUTTERHEIM (1986: 189) osservano che la competenza linguistica dei lavoratoti stranieri in Germania non è solo l’esito della loro identità sociale, ma ha anche i suoi risvolti nella loro posizione sociale: “Infatti, l’essere capaci ad articolare un interesse è la condizione prima per raggiungere qualcosa in una società: perciò i lavoratori stranieri hanno poca opportunità di mutare la propria condizione” (corsivo degli autori). Dalla parte dei migranti, invece, la lingua viene a volte sottovalutata, il che porta a una situazione di convivenza con uno scarso contatto inter-etnico e quindi una ridotta comprensione reciproca (cfr. § 1.3.1.3.).

In questa prospettiva, il riconoscimento del peso della lingua come chiave di socializzazione ha condotto all’avviamento in Germania di due progetti di ricerca linguistica, il progetto di Heidelberg e il progetto ZISA, che hanno battezzato l’indagine sulla lingua seconda di lavoratori stranieri in Europa. Questi progetti consideravano il miglioramento della competenza comunicativa degli stranieri uno strumento necessario per ridurre la marginalità socioculturale e garantire un’esistenza più stabile e meno precaria nel paese ospite. (GIACALONE RAMAT, 1986a: 9).

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La presenza degli immigrati tra i membri della società ospite e l’impiego da parte loro di una propria versione della lingua del paese d’arrivo fa sì che le L2 vengano considerate in fin dei conti come facenti parte del repertorio linguistico della comunità nativa (cfr. § 1.1.1.). Ma le lingue seconde occupano una posizione molto particolare, innanzitutto perché non rappresentano varietà native e, in secondo luogo, per lo status che occuperebbero nel diasistema.

All’interno di ogni repertorio linguistico è riconosciuta la disuguaglianza posizionale delle varietà, per cui si suol parlare di varietà prestigiose rispetto ad altre. Le differenze di status e di prestigio sono constatate in sociolinguistica, come prevede uno dei postulati della sociolinguistica formulati in BERRUTO (20016: 61). Il prestigio è “una valutazione sociale positiva” (ivi: 106) che rappresenta un fatto complesso che viene determinato da vari elementi, tra cui ricordiamo:

a) la considerazione di una certa varietà come simbolo della comunità; b) l’essere il mezzo di tradizione letteraria; c) l’utilizzo da parte dei gruppi sociali dominanti (p. 108).

Da quest’ultima caratteristica sociale delle varietà linguistiche di prestigio si può avviare una riflessione sulla situazione delle parlate degli immigrati, che costituiscono un segmento cospicuo degli apprendenti di lingue seconde. Infatti, sembra che, da tutti i punti di vista, queste ultime siano destinate ad essere considerate come poco prestigiose. Primo, i parlanti non nativi nella terra ospite sono meno numerosi della popolazione residente. Secondo, loro costituiscono gruppi poco compatti e molto eterogenei in provenienza, cultura e lingua nativa, che peraltro si trovano in un paese relativamente

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omogeneo dal punto di vista linguistico. Insomma, “l’immigrato si trova per lo più in posizione subordinata rispetto al parlante nativo” (DITTMAR & STUTTERHEIM, 1986: 151) e l’aspetto socioculturale della sua vita genera un’immagine non tanto positiva della sua L2.

Un buon esempio della situazione linguistica dell’immigrazione interna che varrebbe anche per gli immigrati stranieri in generale è presentato da VARVARO (1978), che delinea un quadro della posizione delle varietà linguistiche degli immigrati italiani meridionali nel Nord d’Italia. Si registra, per prima cosa, la situazione di dominanza sociale che esercita la varietà linguistica dei nativi nei confronti delle varietà degli immigrati. Tale dominanza è spesso l’esito del mancato accesso alle reti interazionali dei nativi come conseguenza del basso livello economico e occupazionale dei migranti. Di conseguenza, la varietà parlata da questi viene marcata come varietà diastratica naturalmente dominata dalla varietà dei nativi che da un punto di vista oggettivo costituisce una varietà geografica e da un punto di vista relazionale viene considerata la varietà parlata dalla comunità più avvantaggiata socialmente, quindi una varietà diastratica ‘più alta’ (p. 43).

In questa premessa abbiamo trattato, pur velocemente, alcuni punti riguardanti l’acquisizione che verranno considerati insieme ad altri aspetti del fenomeno con maggiore estensione nel capitolo seguente, dedicato interamente al processo di apprendimento di L2 e ai suoi protagonisti.

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CAPITOLO 1

APPRENDIMENTO E APPRENDENTI

In questo capitolo s’intende introdurre una serie di argomenti centrali nell’ambito delle ricerche sull’acquisizione delle lingue straniere. Il capitolo non pretende di esaurire tutto quello che riguarda tale filone, che coinvolge un largo spettro di indirizzi di ricerca (dalla linguistica tipologica, alla linguistica generale, alla psicolinguistica, alla sociolinguistica, alla pragmatica, alla glottodidattica); è piuttosto una presentazione a grandi linee dei ritrovamenti degli studi che hanno approdato l’argomento sotto varie angolature. Un discorso sull’apprendimento linguistico non è irrilevante per una ricerca sulla prosodia perché introduce il quadro generale in cui si inseriscono le produzioni linguistiche che verranno analizzate dal punto di vista fonetico nel terzo capitolo. Tuttavia, si conclude il capitolo con un paragrafo sull’acquisizione fonologica che tratta dei fattori che condizionano questo livello di acquisizione e dello stato dell’arte di tali studi, inclusi quelli prosodici. Infine, trattiamo di alcune caratteristiche fonologiche dell’italiano degli egiziani.

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1.1. CARATTERIZZAZIONE DELLA LINGUA SECONDA

1.1.1. Terminologia introduttiva

Occorre in questa sede chiarire i termini più utilizzati nel capitolo, in quanto basilari nel campo dell’acquisizione:

◊ LLiinngguuaa dd’’aarrrriivvoo (o lingua bersaglio: target language): è la lingua usata dai nativi che viene appresa da uno straniero (nel nostro lavoro si tratta della lingua italiana).

◊ LLiinngguuaa ssttrraanniieerraa: si presume che la lingua non nativa, la lingua parlata da una comunità o un’etnia a cui non appartiene l’apprendente venga considerata una lingua straniera; il termine, però, si usa più specificamente per indicare la lingua appresa in contesti istituzionali in paesi dove tale lingua non viene utilizzata come mezzo di comunicazione quotidiana, quale la lingua inglese imparata a scuola in Italia o in Egitto.

◊ LLiinngguuaa sseeccoonnddaa (L2): è la lingua che risulta dal processo di acquisizione come viene parlata e scritta dall’apprendente, specie l’apprendente spontaneo, che deve imparare la lingua per usarla nella vita quotidiana nel paese straniero in cui viene a trovarsi. In generale, la lingua seconda è il prodotto del processo di acquisizione e quindi il termine può essere considerato un’iperonimo sotto cui subentra sia il prodotto dell’acquisizione spontanea che il risultato dell’apprendimento guidato: “the acquisition of a new linguistic system is a second language process” (MAJOR, 2002: 78; cfr. GIACALONE RAMAT, 1986a: 11 e KLEIN, 1986: 19).

Come opposta alla L1 (lingua prima), la L2 è quel sistema linguistico che viene appreso in qualsiasi momento successivo all’inizio dell’apprendimento della prima lingua, anche quando il

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processo di acquisizione della L1 è ancora in corso (KLEIN, 1986: 15). In molti casi, si tratta di più di una sola L2, per cui si potrebbe parlare di L3, L4, e così via; resta, tuttavia, che ancora una volta l’impiego del termine ‘lingua seconda’ si estende per coprire tutte queste etichette.

◊ La L2 viene anche denominata iinntteerrlliinngguuaa (IL). La nozione elaborata da SELINKER (1972; cit., tra gli altri, in PALLOTTI, 20033: 20 e in GIACALONE RAMAT, 2001: 69) punta sulla considerazione della lingua seconda come un sistema linguistico a sé, che è governato da regole, malgrado la deviazione, a volte, molto grande dalla lingua bersaglio e nonostante la sgretolatezza apparentemente inesplicabile della produzione di molti apprendenti, specie nelle fasi iniziali di acquisizione. La tradizionale valutazione della L2, sempre in relazione alla grammatica normativa della lingua d’arrivo, non rendeva giustizia alle produzioni degli apprendenti, perché le giudicava come parole collocate l’una accanto all’altra senza logica o come costellazioni di errori fastidiosamente ingiustificabili. Invece, con l’accumulo degli studi, a partire dalla metà degli anni Sessanta diventa “pienamente riconosciuta la creatività dell’apprendente che, nei suoi tentativi di avvicinarsi alla L29, costruisce un sistema linguistico vero e proprio, dotato di regole e funzioni ben precise”. (PALLOTTI, 20033: 20). Tale rivalutazione della L2 e la ‘scoperta’ della sua sistematicità trovano espressione nella nozione di ‘interlingua’ (interlanguage). Si osserva che la denominazione deriva da una concezione che considera la L1 e la lingua d’arrivo come

9 Il termine L2 è usato dall’autore come sinonimo di lingua d’arrivo, il che costituisce un impiego diffuso in inglese.

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elementi costitutivi del sistema linguistico prodotto dall’apprendente straniero, ma, come vedremo più avanti, la lingua seconda risulta un sistema più dinamico e assai complicato, nella cui definizione subentrano vari elementi e fattori (cfr. § 1.1.2.).

◊ Un altro sinonimo di L2 e di interlingua, che peraltro guarda lo stesso oggetto di studio sotto un’angolatura un po’ diversa, è ‘vvaarriieettàà ddii aapppprreennddiimmeennttoo’, che implica che la produzione linguistica dell’apprendente rappresenta una varietà della lingua d’arrivo (GIACALONE RAMAT, 2001: 69)10. Riconosciuta la sua sistematicità e essendo essa il frutto dell’apprendimento di varietà native della lingua d’arrivo, le L2 si possono considerare, come propone BERRUTO, ai margini del repertorio delle varietà quali “stadi di approssimazione più o meno elaborati ad una varietà sociogeografica nativa di italiano” (19944: 42). GIACALONE RAMAT precisa, tuttavia, che la produzione dello straniero, anche se può arrivare a livelli avanzati, non raggiunge i livelli della competenza nativa e nelle prestazioni avanzate degli apprendenti rimane il versante fonologico a distinguere le varietà d’apprendimento dalle varietà dei nativi (cfr. 2001: 69; infra § 1.2.2.1.).

VEDOVELLI (1994: 532) afferma che la varietà di apprendimento è diversa nei suoi “tratti specifici” dalla lingua d’arrivo. La diversità risale alla piena autonomia di tali varietà “sul piano strutturale, su quello della gestione psico-cognitiva, su

10 KLEIN (1986) la denomina learner variety (alla lettera, varietà dell’apprendente) visto che, comunque sia il contesto di acquisizione, l’apprendente usufruisce dei mezzi a sua disposizione, i quali sono tratti dalla lingua bersaglio. Tali mezzi formano il repertorio dell’apprendente e, quindi, la sua ‘varietà’ della lingua d’arrivo (cfr. p. 29).

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quello socioculturale”. In altri termini, l’interlingua è l’output che non è per forza identico all’input (§ 1.2.3.2.).

Si parla spesso di varietà di apprendimento, al plurale, e di interlingue, perché non sussiste un’unica interlingua anche a livello individuale. Difatti, il processo di apprendimento è composto di una serie di transizioni da una varietà all’altra, transizioni che non sono prive di sistematicità (KLEIN, 1986: 29).

1.1.2. Un modello di acquisizione

Iniziamo questo sottoparagrafo con le parole di BERRUTO che riassume la natura dei componenti dell’interlingua, termine ormai diffuso pur essendo basato su una concezione non del tutto corretta degli elementi costitutivi della L2 (cfr. supra):

“le interlingue non si configurano affatto come varietà in certo modo intermedie fra la lingua materna e una lingua seconda, risultato dell’interferenza fra le due, bensì come grammatiche semplificate e rielaborate sulla base di tendenze, principi e processi naturali, andanti da un minimo a un massimo di avvicinamento alla varietà obiettivo (di solito una certa varietà diastratica e diatopica della lingua seconda; ma spesso anche un insieme di varietà diatopiche e diastratiche)” (19944: 173).

In questa sede verrà presentato in breve uno dei modelli proposti dagli studiosi per l’acquisizione linguistica. Le ricerche dei processi di acquisizione si appellano ora non solo alla L1 e alla L2 per spiegare lo sviluppo del processo, ma anche agli universali linguistici11. Un modello

11 Sono detti ‘universali linguistici’ le “proprietà generalmente condivise dalle lingue naturali non imputabili a condizionamenti reciproci conseguenti a fenomeni di

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dell’acquisizione di una lingua seconda che rende conto dei tre elementi e della loro convergenza nella formazione dell’interlingua è ‘The Ontogeny Phylogeny Model’ (OPM) di MAJOR (2001)12.

L’assunto principale del modello è che nell’arco del processo di acquisizione l’influsso della lingua d’arrivo cresce, diminuendo l’effetto della L1; e, parallelamente col decremento dell’interferenza dalla L1, i principi degli universali linguistici si fanno sentire progressivamente, ma poi il loro influsso decresce davanti all’affermazione della lingua d’arrivo.

Il modello tiene in debita considerazione il ruolo della similarità o vicinanza tipologica (§ 1.4.2.2.1.) e della marcatezza13, le quali, si presume, rallenterebbero relativamente interferenza né a fattori genetici” (Dizionario di linguistica, l’accezione ‘universali linguistici’). Gli universali sostanziali sono insiti nella facoltà umana di linguaggio, quale la presenza universale nelle lingue di vocali e consonanti; gli universali formali riguardano i principi generali che governano l’organizzazione grammaticale; gli universali implicazionali sono relativi ai rapporti di natura implicazionale che intercorrono tra elementi presenti in una lingua (se A allora B; cfr. infra nota 5 sulla marcatezza). 12 I due termini ontogenia e filogenia, mutuati dalla biologia, indicano in questa sede, il primo il ‘ciclo di sviluppo’ dell’interlingua di un individuo e i vari stadi che percorre, e il secondo l’evoluzione di una lingua all’interno del gruppo che ne fa uso oppure l’evoluzione di più lingue e delle loro varietà in intervalli più lunghi e nell’arco di generazioni. 13 Con ‘marcatezza’, che difatti entra nel dominio degli universali linguistici, s’intende la presenza di una marca, cioè di un tratto che distingue un fonema dall’altro. Per esempio, la sonorità è la marca che distingue /b/ da /p/, per cui l’occlusiva bilabiale sonora si considera marcata rispetto all’omorganica sorda, in quanto provvista della marca della sonorità. A livello interlinguistico si è osservata la preponderanza degli elementi non marcati rispetto a quelli marcati, il che ha fatto pensare ad una maggiore complessità intrinseca dei segmenti marcati. Da questa teoria deriva l’accezione di ‘marcato/non marcato’ che equivale a ‘meno/più frequente e intrinsecamente naturale’. Tra gli elementi marcati e non ricorre un rapporto di carattere implicazionale, per cui si ritiene che la presenza di un fono marcato implica necessariamente l’esistenza nella stessa lingua del corrispettivo non marcato senza che si dia il caso inverso. Per esempio, nel caso delle lingue che possiedono vocali nasalizzate (marcate dal tratto [nasalità]) ci

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lo sviluppo dell’apprendimento. Tuttavia, la componente che interviene nel rallentamento nei casi di similarità è la L1, mentre sono gli universali a incidere sul processo di acquisizione dei fenomeni marcati. In altre parole, nel corso dell’acquisizione di fenomeni della lingua bersaglio che sono affini nella L1, l’interlingua segue questo andamento:

a) l’incidenza della lingua bersaglio aumenta lentamente; b) il ruolo della L1 diminuisce lentamente; c) l’influenza degli universali cresce lentamente poi cala, sempre lentamente. Invece, quando si tratta dell’apprendimento di fenomeni

marcati, l’influenza della lingua d’arrivo si sviluppa piano, l’interferenza dalla L1 decrementa a un ritmo normale che poi diventa più lento, mentre l’incidenza degli universali aumenta rapidamente e poi diminuisce lentamente, il che significa che, negli stadi iniziali, questi ultimi esercitano un ruolo maggiore rispetto alla L1.

Quanto al versante filogenetico l’autore sostiene che sono sempre gli stessi tre componenti a caratterizzare lo sviluppo delle lingue attraverso le generazioni.

Nell’elaborazione del suo OPM, MAJOR chiama in causa molte ricerche empiriche e principi generali della teoria dell’acquisizione14, ma ammette allo stesso tempo che il modello avanza ipotesi generali e non elabora assunti sull’acquisizione di si aspetta che il sistema vocalico della lingua contenga anche vocali orali (cfr. Dizionario di Linguistica, 1996: le voci ‘marca’ e ‘marcato/non marcato’). Tuttavia, la regola non sembra applicabile tout court dal momento che la consonante /b/, marcata dalla sonorità, è presente nella lingua araba, mentre il corrispettivo non marcato /p/ è assente dal sistema consonantico di questa lingua. 14 Come afferma BETTONI (20023: 170), “le teorie dell’apprendimento della L2 sono molto numerose e molto diverse le une dalle altre. Questo perché oggi nessuna teoria è perfettamente convincente, né in grado di spiegare tutti gli aspetti in gioco”.

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fenomeni linguistici specifici, affermando che le continue ricerche sui particolari dell’acquisizione possono o convalidare o smentire alcune delle tesi del modello. Lo studioso, inoltre, sostiene l’applicabilità del suo modello anche sull’acquisizione di più lingue seconde, sulla perdita della L1 e sull’acquisizione mono e bilingue.

1.1.3. Tipi di apprendimento

Abbiamo introdotto il termine ‘lingua straniera’ come un’espressione distinta da ‘lingua seconda’, che, tuttavia, può essere sovraestesa nell’uso (cfr. § 1.1.). Infatti, la distinzione tra i due termini risale alla differenziazione tra due modalità di apprendimento che variano in funzione delle varietà di lingua cui si espone l’apprendente, del contesto di apprendimento e di uso della L2 e anche in relazione allo sviluppo del processo di acquisizione.

Infatti, una lingua può essere appresa spontaneamente nel paese straniero, o in patria sotto la guida di un insegnante oppure con una modalità mista di apprendimento, il che sarà l’argomento dei seguenti sottoparagrafi.

1.1.3.1. Apprendimento spontaneo

L’apprendimento spontaneo (non guidato, non scolastico) consiste nell’acquisire una lingua tramite i contatti con parlanti nativi della lingua nel corso della comunicazione quotidiana in contesti naturali di interazione e senza interventi istruttivi sistematici.

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Spettano all’apprendente in questo processo due compiti basilari: il compito della comunicazione e quello dell’apprendimento (KLEIN, 1986: 17). I due sono fortemente interrelati e interdipendenti, in quanto l’individuo deve entrare nell’atto di comunicazione per esporsi alla lingua e quindi acquisirla; e più si svolgono i contatti, più si riesce ad eseguire il compito di apprendimento. Entrare nella comunicazione senza conoscenza linguistica di base sembrerebbe, a prima vista, impossibile; invece, gli apprendenti di una seconda lingua, di solito, ma non sempre, adulti con una cultura sociale alle spalle, hanno a disposizione vari mezzi, come i gesti, per inserirsi in qualche maniera nel discorso e quindi lanciarsi nel processo di apprendimento. Ma gli apprendenti nel corso del loro compito comunicativo, qualora si trovino incapaci di esprimere certi concetti per mancanza dei mezzi linguistici, ricorrono non di rado all’aggiramento delle difficoltà con espressioni parafrastiche o persino all’evitamento delle situazioni che richiedono una conoscenza linguistica che va oltre le loro capacità. L’elusione quindi costituisce una strategia che sembra salvare la comunicazione (evitando il blocco totale), ma che non aiuta molto il processo di acquisizione, compromettendo il suo sviluppo.

Nell’apprendimento spontaneo, malgrado la mancanza di istruzione sistematica, la ‘guida’ non è completamente assente. Durante l’interazione capita a volte l’interlocutore che corregge, che suggerisce la parola sconosciuta o che addirittura spiega un’espressione difficile (ivi: 18).

Il compito di acquisizione spontanea, in effetti, è tutt’altro che semplice. L’apprendente si trova davanti ad un flusso di

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suoni linguistici orientati contestualmente, da cui dovrebbe estrarre le regole da seguire o gli elementi da imitare e riprodurre. GIACALONE RAMAT (2001: 67) spiega che nell’apprendimento spontaneo intervengono vari fattori, tra cui la “capacità elaborativa” dell’apprendente che viene in primo luogo, ancora prima del contesto e dell’interazione con parlanti nativi e non.

1.1.3.1.1. L’apprendente e il contesto di apprendimento spontaneo

Un modello tipico dell’apprendente spontaneo è il lavoratore che approda una terra straniera, privo di alcuna conoscenza precedente della lingua parlata nel paese raggiunto. Sicchè, a mo’ d’esempio, i Gastarbeiter turchi in Germania hanno costituito una terra feconda per gli studi sull’apprendimento spontaneo e le loro condizioni di vita sono state lo spunto per ampie ricerche su questo tipo di apprendimento. È forse per questo che l’interesse per le interlingue di apprendenti spontanei, grande in Europa ma non di vecchia tradizione, comportava spesso “interessi sociolinguistici e socio-culturali legati al contesto migratorio” (GIACALONE

RAMAT, 2001: 67). Nel caso del lavoratore straniero il processo

d’apprendimento gira nell’orbita della vita lavorativa. Come spiegano FIBBI & VEDOVELLI (1988: 24), la situazione lavorativa si presenta come una risorsa sociale e linguistica, in quanto costituisce il contesto socioculturale che induce all’apprendimento agendo in tal modo come una motivazione, così come funge da contesto sociolinguistico in cui il lavoratore

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impara le strategie comunicative nella nuova lingua e attinge conoscenze linguistiche. Per i lavoratori chiusi nella loro comunità, il lavoro, oltretutto, costituisce l’unica finestra aperta alla lingua del paese ospite. In generale, però, l’acquisizione spontanea si verifica in condizioni di svantaggio “caratterizzate dalla lontananza culturale tra apprendenti e indigeni e dal ruolo subalterno generalmente rivestito da quelli (per esempio, in interazioni del tipo operaio/caposquadra, inquilino/affittacamere, immigrato/autorità di polizia, dell’ufficio stranieri)” (BERNINI, 1986: 179).

Di conseguenza, come dimostrano i dati raccolti da FIBBI & VEDOVELLI a Roma in interviste a 150 soggetti capoverdiani, etiopi, egiziani, filippini, marocchini e somali, è evidente “la limitatezza e la rigidità” delle L2 degli informanti, le cui conoscenze rimangono nella sfera della comunicazione colloquiale (cfr. p. 29).

Riguardo all’apprendimento misto, FAVARO (1988: 48) osserva che la frequentazione di corsi da parte degli immigrati si considera spesso un “lusso”, che molto tempo dopo l’arrivo nel paese ospite e dopo la soddisfazione di alcuni bisogni primari potrebbe risultare un’esigenza. Infatti, capita a volte che gli immigrati seguono corsi di lingua sia nel paese d’origine che nel paese straniero, ma per periodi ridotti rispetto all’esposizione a contesti di apprendimento spontaneo; di conseguenza, non rivelano nella loro produzione la presunta conoscenza delle norme grammaticali caratteristica dell’istruzione formale, perciò vengono comunque considerati apprendenti spontanei (cfr. ANDORNO & BERNINI, 2003: 31).

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1.1.3.2. Apprendimento guidato

Considerando l’acquisizione spontanea il processo naturale che in prospettiva storica costituisce l’attività più diffusa nell’acquisizione linguistica, KLEIN definisce l’apprendimento guidato come il rimaneggiamento del processo naturale: “the domestication of a natural process” (1986: 19).

L’apprendimento guidato è quello che si svolge in contesti d’istruzione esplicita in cui l’insegnante programma l’input e corregge e valuta la L2 dell’apprendente. (cfr. GIACALONE

RAMAT, 19973: 341; 2001: 67; BERNINI, 1986: 179). In questo tipo la comunicazione non assume un ruolo

indispensabile, in quanto può costituire una delle scelte metodiche adoperate, non dall’apprendente in questo caso, ma dall’insegnante che cerca di coinvolgere il primo nell’interazione. Questa viene avviata, quindi, a puri scopi istruttivi e non come un mezzo che serve a portare avanti altre attività della vita quotidiana. Per la maggior parte del tempo si ha accesso alla lingua scritta in un processo di acquisizione in cui la lettura si profila come un’attività centrale che molto spesso, non a ragione, emargina l’ascolto.

1.1.3.3. Confronto tra i due tipi

1.1.3.3.1. Divergenze

Tra i tratti che distinguono il processo spontaneo da quello guidato segnaliamo le caratteristiche delle loro fasi iniziali, il loro sviluppo e il loro scopo immediato. Per gli apprendenti spontanei l’acquisizione si avvia con parole isolate e formule cristallizzate o sintagmi presi come un blocco unico, mentre la

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grammatica viene appresa dopo (cfr. PALLOTTI, 20033: 22), a differenza degli apprendenti guidati che sin dall’inizio imparano le regole della lingua per iscritto, fissandosi le strutture che a loro volta vengono di solito usate in contesti scritti.

Quanto al suo sviluppo, il processo di apprendimento spontaneo è tutt’altro che omogeneo e uniforme. Secondo BANFI (1988), esso non segue un andamento lineare; invece, procede “mediante il consolidamento di ‘pezzi’ del sistema della lingua d’arrivo, i quali funzionano come nuclei di (potenziale) aggregazione per l’acquisizione di ulteriori, nuovi elementi” (p. 127). Inoltre, la comunicazione in sé, come spiega KLEIN (1986: 17), costituisce uno scopo fondamentale a cui l’apprendente presta la maggiore attenzione rispetto alla lingua e alla sua correttezza che occupano posizioni marginali nella sua sfera d’interesse. La riflessione metalinguistica sulle regole e sulle forme della lingua non trova quasi un posto nel bagaglio linguistico di questo tipo di apprendenti.

A ciò si potrebbe ricondurre in parte l’agrammaticalità che persiste in molti apprendenti spontanei anche dopo anni di apprendimento. Invece, nell’apprendimento guidato la correttezza linguistica è considerata uno scopo essenziale, il cui raggiungimento indica il successo del processo.

La variazione del grado d’importanza investita alla comunicazione in ciascuno dei due tipi di apprendimento fa sì che l’apprendente spontaneo debba usufruire di tutte le sue conoscenze linguistiche, o quasi, in situazioni immediate, mentre l’apprendente guidato non si trova sotto questa pressione e le sue conoscenze vengono applicate in esercizi e simili. KLEIN (1986: 21) paragona tale aspetto dell’acquisizione guidata

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all’apprendimento dell’uso dei freni e l’azionamento del cambio quando la macchina è spenta.

Riguardo all’interesse scientifico per i due tipi di apprendimento, KLEIN (1986: 18) accenna alla facilità relativa della ricerca empirica sull’acquisizione guidata rispetto all’acquisizione spontanea: “schoolchildren or students attending language courses can be tested much more readily than migrant workers or immigrants”. D’altronde, la ricerca sull’acquisizione guidata si comprova proficua in campo pedagogico per l’insegnamento delle lingue straniere, ragion per cui ha destato sempre maggiore attenzione (ibidem). Detto ciò, CERIANA (1988), oltre ad affermare che entrambi i tipi di acquisizione non godono di una lunga storia di ricerca, fa notare che l’apprendimento guidato è il tipo che ha avuto meno fortuna nel ricevere l’attenzione degli studiosi. “Di conseguenza, la letteratura esistente sull’acquisizione di una L2 in contesto guidato è relativamente scarsa se apportata a quella esistente sull’acquisizione naturalistica di una L2” (p. 275). Le due modalità, comunque, sono state sempre studiate da prospettive diverse e come osserva VEDOVELLI (2001) l’apprendimento spontaneo ha maggiormente ricevuto l’attenzione della sociolinguistica a differenza di quello formale che è stato essenzialmente oggetto di studio della glottodidattica (p. 29).

1.1.3.3.1.1. Il foreigner talk

Nell’apprendimento guidato il materiale linguistico a cui viene esposto l’apprendente è selezionato e mirato all’insegnamento. Di norma, chi offre tale materiale non è un

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parlante comune della lingua, ma un professionista (talvolta non è un parlante nativo), che si fissa certi scopi educativi tenendo presenti le capacità linguistiche dell’apprendente per non esporlo a porzioni troppo ‘difficili’ della lingua.

Ciò non si verifica nell’apprendimento spontaneo, in cui bisogna affrontare varie difficoltà, anche se i nativi ricorrono a volte a un ‘registro per stranieri’, cioè allo ‘xenoletto’ o il foreigner talk che costituisce una varietà molto ridotta e semplificata della lingua, che non è sempre conforme alle norme linguistiche. Si tratta, in comunicazioni interetniche, di un adattamento della lingua da parte del nativo alla presunta incompetenza dello straniero. Ma KLEIN (1986: 45) sostiene che l’opzione per lo xenoletto potrebbe risultare erronea in due casi. Alcune volte, quando l’interlocutore straniero conosce bene la lingua, la semplificazione potrebbbe risultare inintelligibile; altre volte, l’apprendente si offenderebbe per tale atteggiamento nei suoi confronti, considerandolo una sottostima da parte del parlante nativo e un modo esagerato per imporre distanze sociali.

ORLETTI (1988) interpreta l’uso del foreigner talk in termini di paradigmi sociali e ritiene che dietro il suo impiego ci sia una “valutazione negativa associata alla figura del lavoratore immigrato” (p. 144), valutazione che induce a semplificare a tutti i livelli il codice normalmente usato con i connazionali (cfr. BERRUTO, 19944: 47).

Tale semplificazione caratterizza tutti i livelli: sul versante fonologico il ritmo si rallenta e il parlante deliberatamente punta sull’iperarticolazione; a livello morfologico si utilizza l’infinito del verbo come forma basica; sintatticamente, si fa a meno della copula, si preferisce la coordinazione e l’ordine delle parole

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viene modificato; alcuni elementi lessicali vengono evitati e le parafrasi sono frequenti; nella comunicazione, infine, ricorrono spesso le domande di feedback che controllano la comprensione dell’interlocutore (cfr. KLEIN, 1986: 45).

1.1.3.3.2. Somiglianze

GIACALONE RAMAT (19973: 342) e BERNINI (1986: 183) affermano che gli apprendenti guidati nelle conversazioni naturali, fuori della classe e sotto l’urgenza di una vera comunicazione, si comportano in maniera simile a quelli spontanei e la produzione spontanea dei due tipi di apprendenti si somiglia molto, donde si potrebbe desumere, come sostiene GIACALONE RAMAT, che al lungo andare la formazione non influenzi, in modo necessariamente incisivo, l’acquisizione della lingua seconda. Quest’ultima affermazione non si può naturalmente generalizzare perché si tratta, tra l’altro, delle capacità individuali di sfruttamento dell’insegnamento ricevuto.

PIENEMANN (1986) spiega che dati empirici sull’apprendimento misto rivelano che l’insegnamento favorisce l’acquisizione solo quando il livello dell’apprendente lo rende pronto ad acquisire gli elementi insegnati, quando cioè questi ultimi appartengono a uno stadio di apprendimento vicino allo stadio in cui si trova l’apprendente (cfr. 1.1.4.2.). Tale osservazione potrebbe mettere in dubbio l’utilità dell’insegnamento, ma l’autore argomenta e dimostra che qualora l’apprendente sia ‘pronto’, l’insegnamento formale accelera l’acquisizione.

CERIANA (1988) sostiene che le affinità rilevate tra i due tipi di apprendimento favoriscano la tendenza a considerarli “due

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estremi di un continuum” (p. 275), invece di trattarli come due attività completamente diverse, assolutamente da separare, nello studio dell’acquisizione linguistica. Infatti, lo studio condotto dall’autrice su allievi italiani di inglese a due diversi livelli scolastici analizza dati scritti prodotti in classe e altri dati orali registrati in interviste fuori della classe e conclude infine che “i principali meccanismi nell’acquisizione guidata di una L2 devono essere gli stessi che agiscono nell’acquisizione naturalistica” (p. 296). A risultati simili, in particolare riguardo al percorso evolutivo dell’acquisizione, arriva PAVESI (1988).

1.1.4. Caratteristiche delle varietà di apprendimeto

1.1.4.1. Una descrizione globale

Si sostiene che le interlingue siano varietà ridotte delle lingue d’arrivo, varietà caratterizzate anche dall’instabilità perché soggette a un continuo processo di evoluzione (GIACALONE RAMAT, 1986a: 11). Indice dell’instabilità si riscontra, secondo BANFI (1988), “negli errori, nelle esitazioni, nelle false partenze, nelle pause immotivate e, in genere, in ogni forma di rottura del discorso e di mutamento della strategia di organizzazione degli enunciati” (p. 128).

Nella letteratura sulle interlingue si riscontrano descrizioni delle caratteristiche dell’apprendimento spontaneo, in particolare nelle fasi iniziali e intermedie. Disponiamo, quindi, di un profilo generale che riassumiamo in quanto segue (cfr. BERRUTO, 19944: 175-176; PALLOTTI, 20033: 35-42; BETTONI, 20023: § 3.1.):

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prevalenza delle parole di contenuto rispetto alle parole funzionali (come articoli e preposizioni). Ne consegue, per esempio:

l’assenza dell’articolo o la sovraestensione nell’uso di una sola forma:

Es.: ancora volta, per piacere15;

trova ’l barche;

sopra barche;

allora arrivato a punto si chiama…;

ellissi della copula Es.: questo sotto giù; tutti gli italiani bravi, mica cattivi;

ellissi degli ausiliari Es.: non capito;

scambi di preposizioni, le quali nelle varietà elementari possono non apparire

Es.: cominci partenza? per ‘dalla partenza’;

siamo weekend, no?; comportamento gente per ‘della gente’;

utilizzo dei soli pronomi tonici: i clitici vengono appresi dopo

Es.: il responsabile trovato me stai dormendo per ‘mi ha trovato dormire’;

15 Tutti questi esempi sono tratti dal corpus raccolto per la presente tesi (cfr. § 3.1.).

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l’assegnazione del genere ai nomi è a volte deviante e gli accordi nei nomi sono spesso errati

Es.: queste cosa, quanti diti?, il fiuma;

sistema verbale ridotto (all’inizio si sovraestende l’impiego di una sola forma; cfr. infra);

il verbo non è sempre accordato con il soggetto Es.: si trovano un’altra posto per ‘si trovano altri

posti’;

prevalenza della paratassi e uso di congiunzioni fisse e generiche

Es.: ha trovato tu dormi;

morfologia semplice; negazione con particella invariabile di verbi, aggettivi e intere frasi;

lessico ridotto e incerto Es.: questa l’ultima strada per ‘è la fine della

strada’; prima, dici prima per ‘daccapo’;

il ricorso alle perifrasi Es.: quella di giocare per ‘dado’;

l’ordine in cui si dispongono i lessemi nell’enunciato rispetta l’ordine semantico-pragmatico a parte l’ordine sintattico, come in: urla un pochettino poi s’è andato che rispetta l’ordine cronologico, pragmatico degli eventi, ordine preferito a livello sintattico rispetto a ‘se n’è andato dopo che mi ha urlato’).

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1.1.4.2. Sequenze di apprendimento

Come abbiamo accennato prima, il processo di acquisizione segue un percorso evolutivo, avvicinandosi in una certa misura alla lingua bersaglio, ragion per cui non si può parlare di ‘una’ interlingua. Quindi, non ci dovremmo accontentare di una presentazione globale e, quindi in un certo senso, piatta delle loro caratteristiche, una presentazione, cioè, che non renda conto della gradualità dell’acquisizione. Possiamo trovare un’appagamento nei risultati di ricerche empiriche, in base alle quali si sostiene che lo sviluppo delle interlingue, a parte il variare del ritmo di apprendimento da un individuo all’altro, definisca una tendenza generale che accomuni, se non tutti, almeno una buona parte degli apprendenti16. Dall’osservazione dell’andamento delle interlingue e con riferimento al presupposto della loro sistematicità si sono potuti individuare dei “punti cruciali” o degli ‘stadi’ di apprendimento segnati dall’acquisizione o dal consolidamento dell’uso di nuove strutture della lingua d’arrivo (GIACALONE RAMAT, 2001: 70-71). La definizione di questi punti cruciali, quindi, è rapportata a certi tratti linguistici attraverso i quali vengono descritti anche gli stadi avanzati, qualora, nel miglior dei casi, lo sviluppo non si fossilizzi, cioè non si blocchi, in fasi iniziali. Va sottolineato, tuttavia, che le sequenze finora delineate non esauriscono tutti i livelli della lingua (il lessico, per esempio, è tuttora meno indagato della

16 PIENEMANN (1986) osserva in base a dati ricavati da L2 di italofoni apprendenti del tedesco che “all’interno della gerarchia fissa degli stadi acquisitivi un apprendente individuale ha spazio sufficiente per trovare la sua strada verso la lingua d’arrivo” (p. 311; corsivo dell’autore).

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morfosintassi)17. Inoltre, tali schemi sono stati raggiunti in base a ricerche empiriche su gruppi di informatori che non necessariamente rappresentano tutti; tuttavia, si possono trarre alcune generalizzazioni dalle tendenze comuni alla maggior parte dei casi studiati. Infatti, queste sequenze, insieme al modello dell’ontogenia e filogenia dell’acquisizione (OPM) che abbiamo trattato poc’anzi (§ 1.2.), hanno la preoccupazione di spiegare lo sviluppo del processo, ma lì si tratta di una rappresentazione generica degli stadi che in teoria l’apprendente potrebbe percorrere.

1.1.4.2.1. Acquisizione del sistema verbale

Abbiamo a disposizione un’ipotesi sulla sequenzialità di acquisizione del sistema verbale in italiano che è stata maturata dall’osservazione delle produzioni di apprendenti spontanei (cfr. GIACALONE RAMAT, 19973: 369-381):

Il primo stadio che risente di problemi di comprensione è caratterizzato dalla prevalenza dei nomi e dalla mancanza di rapporti sintattici chiari; la morfologia flessiva è mancante, compare la negazione e si estende l’uso di c’è. Tra le forme verbali è dominante l’impiego della terza persona singolare del presente indicativo come forma base estesa ai vari contesti temporali e alle diverse persone (BERNINI, 1990). Molto meno usato è l’infinito il cui utilizzo si limita per lo più al valore

17 Va notato che nell’analisi delle interlingue e tra i vari livelli di analisi linguistica “è stato certamente privilegiato quello grammaticale. Oggi si tenta di rimediare con la fonologia e la pragmatica, ma rimane ancora trascurato il lessico” (BETTONI, 20023: 18).

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modale non fattuale in contesti ipotetici e all’aspetto abituale e durativo (BERRETTA, 1990)18.

Nel secondo stadio si sviluppa l’utilizzo del participio passato con valore aspettuale perfettivo (che sottolinea la fine dell’azione) più che temporale (passato). L’impiego dell’ausiliare avviene in un momento successivo e rimane incerto e oscillante, finché non si diventa consapevoli del ruolo dell’ausiliare, insieme con il participio passato, nell’espressione della collocazione dell’azione in un momento passato rispetto al momento dell’enunciazione. Parallelamente, si migliora anche l’osservanza dell’accordo.

L’apparizione di forme dell’imperfetto segna la transizione al terzo stadio in cui compaiono per prime le forme dell’imperfetto della copula ‘essere’. Il quarto stadio, nella classificazione di GIACALONE RAMAT copre più varietà di apprendimento in cui l’apprendente ha a disposizione vari modi e tempi del sistema verbale dell’italiano, quali il futuro (modale e temporale, il condizionale e, infine, il congiuntivo). Tuttavia, si tratta di uno stadio che non viene raggiunto da tutti gli apprendenti, di cui una buona parte si ferma agli stadi precedenti. In questa fase si ha la possibilità di esprimere la distinzione tra la fattualità e la modalità tramite i mezzi offerti dal sistema verbale. Detto ciò, si osserva che, a differenza dei nativi, gli apprendenti nel loro impiego del futuro, per esempio, non ne sfruttano il valore modale quanto lo usano per esprimere riferimenti temporali (GIACALONE RAMAT, 19973: 379).

18 Un ritrovamento generale delle ricerche empiriche finora condotte sulla morfologia da un punto di vista funzionale è che “le funzioni delle forme presenti nelle interlingue non corrispondono alle funzioni che le stesse forme hanno nell’italiano dei nativi” (GIACALONE RAMAT, 19973: 368).

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Per quanto riguarda la modalità, la sequenza di acquisizione parte dai mezzi impliciti, quali i gesti, l’intonazione e le interiezioni per passare a mezzi lessicali, quali gli avverbi e i verbi modali e infine, con lo sviluppo dell’assimilazione del sistema verbale flessionale, si arriva a esprimere la modalità con mezzi grammaticali come i modi condizionale e congiuntivo.

1.1.4.2.2. Acquisizione dell’accordo

Quanto all’acquisizione dell’accordo di genere in italiano L2, è stato riscontrato uno sviluppo graduale che CHINI (1995), nel suo studio condotto su apprendenti di quattro L1 diverse, individua in tre tappe, non necessariamente discrete. Il primo stadio è predominato dagli interessi comunicativi che non lasciano spazio ad interessi grammaticali, per cui non si riscontra alcuna regola di accordo e il genere “latita” (p. 284); l’autrice lo denomina ‘fase fonologica’, in quanto gli apprendenti sembrano attirati e condizionati dalle alternanze vocaliche finali che determinano il genere. Il secondo stadio (fase protomorfologica) segna l’inizio dell’impiego non casuale di desinenze del genere, impiego che si consolida e si sviluppa nel terzo stadio (fase morfosintattica), in cui si registra l’apparizione graduale di marche di genere e di numero corrette.

L’acquisizione dell’accordo segue una gerarchia convalidata dalle ricerche, ma non al cento per cento sicura, che parte dagli anaforici della terza persona singolare per passare poi all’articolo determinativo, l’articolo indeterminativo, poi l’aggettivo attributivo, quindi l’aggettivo predicativo e, infine, il participio passato.

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Tuttavia, lo sviluppo degli stadi di apprendimento non procede semplicemente in maniera lineare e non si può parlare di discrezione degli stadi né di durate uguali delle fasi. Si riscontra anche in alcuni casi una specie di ‘non equilibrio’ qualora alcuni elementi linguistici nella L2 si fossilizzino, mentre altri elementi continuano a svilupparsi (cfr. VEDOVELLI, 2001a: 77-78).

Riassumendo le caratteristiche delle interlingue, riprendiamo la constatazione di GIACALONE RAMAT (19973) che rispetto alla lingua dei nativi le varietà di apprendenti adulti mostrano una maggiore correlazione tra forma e funzione (cfr. p. 343). Si osserva questa logica pragmatico-funzionale nell’approccio alla lingua d’arrivo in particolare agli stadi iniziali, finché l’esposizione prolungata e l’elaborazione psico-cognitiva dell’input non indirizzano l’apprendente verso l’osservanza di regole morfosintattiche. Il percorso d’apprendimento, infatti, subisce molti cambiamenti e modificazioni sotto la pressione di vari fattori che tratteremo più oltre.

1.1.4.3. Fossilizzazione

Gli stadi che abbiamo preso in rassegna poc’anzi (§ 1.1.4.2.) descrivono lo sviluppo costante e, se possiamo chiamarlo così, ideale dell’italiano L2. Invece, nelle varietà di apprendimento poco avanzate di immigrati si riscontra un fenomeno frequente denominato ‘fossilizzazione’, cioè “blocco dell’apprendimento”. Esso avviene quando la grammatica della L2 smette di fare progressi verso la lingua bersaglio. Infatti, il

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fenomeno normalmente non investe tutti i livelli della lingua, in quanto l’aumento del patrimonio lessicale, a differenza della grammatica, non si ferma (GIACALONE RAMAT, 2001: 69). Tale fossilizzazione parziale è spia del ‘non equilibrio’ che caratterizza le varietà di apprendimento (VEDOVELLI, 2001a: 78).

Da una prospettiva psicosociale, si ritiene che gli immigrati la cui L2 si fossilizza sono normalmente quelli che, per paura di perdere la propria identità e ‘dissolvere’ nella società straniera, non si sentono molto stimolati a passare a livelli più alti (KLEIN, 1986: 36; VEDOVELLI 1994: 523).

1.1.4.4. Semplificazione o pidginizzazione?

La semplificazione che caratterizza le L2 fa sì che alcuni studiosi classifichino le interlingue come pidgin19. ORLETTI (1988) definisce i fenomeni di semplificazione come fenomeni di pidginizzazione che secondo lei sono il risultato della ridotta conoscenza linguistica da parte dello straniero, nonché delle limitazioni delle situazioni comunicative con i nativi e anche, di 19 Il pidgin o la lingua pidgin è una varietà nata dalla mescolanza di due (o più) varietà preesistenti: “si tratta di varietà create con lo scopo molto pratico e immediato della comunicazione tra persone che altrimenti non avrebbero nessuna lingua in comune” (HUDSON, 1998: 66). Essa rimane una lingua franca e non diventa una lingua madre di nessuna delle comunità che la utilizzano. È, quindi, una lingua semplice con vocabolario e sintassi molto ridotti e una morfologia del tutto omessa, creata ad hoc per servire alla pratica comunicazione quotidiana. Contesti tipici di creazione del pidgin sono il contesto coloniale e commerciale e, sotto certe angolature, come in Germania, anche il contesto migratorio (ivi: 67). Nel primo caso i colonizzatori cercano di comunicare con la popolazione locale per trasmettere i loro ordini e anche per il commercio e altro. Perciò, il suo lessico è normalmente basato sul vocabolario della lingua della comunità dominante, ragion per cui sono diffusi pidgin a base inglese, francese, portoghese, ecc.; intanto, esso risente della sintassi e della fonologia delle lingue delle comunità subordinate. È da ricordare, infine, che ‘pidgin’ è la forma approssimativa della parola inglese ‘business’ come veniva pronunciata dai cinesi che avevano rapporti commerciali con l’Occidente, diventati più intensi nel diciottesimo secolo.

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conseguenza, del “mutuo accomodamento” o il compromesso a cui arrivano i partner dell’interazione interetnica per poter comunicare con la più grande efficacia possibile (cfr. p. 144; § 1.3.3.1.1.). L’autrice osserva, inoltre, che l’interazione nativo/lavoratore straniero è finalizzata nella sua totalità a scopi pratici “strettamente legati all’hic et nunc della situazione comunicativa” (p. 143, nota 1) così come i pidgin servono come strumenti di conseguimento di fini pratici della vita quotidiana.

Anche se è un dato comprovato che la semplificazione costituisce una caratteristica che accomuna i due tipi di varietà linguistiche (cfr. GIACALONE RAMAT, 1986a: 21), la somiglianza in alcuni tratti non è sufficiente per l’identificazione delle due nozioni. VEDOVELLI (2001: 21-22) afferma che l’ipotesi sull’utilizzo di pidgin da parte degli immigrati, assunta fuori l’Italia, è stata di poco successo e non risulta adatta in Italia perché gli immigrati, anche tra di loro, adoperano una varietà di apprendimento dell’italiano (cfr. anche VEDOVELLI, 1993: 14). BERRUTO (19944: 51-52) si esprime a favore della separazione dei pidgin dalle varietà di apprendimento per una serie di motivi. Innanzitutto, il rapporto tra le due comunità in contatto è diverso nel caso dei pidgin, i quali si formano quando una comunità dominata deve comunicare sul proprio territorio con una comunità dominante in situazioni coloniali; di più, le due lingue a base di questa varietà sono molto lontane tipologicamente e culturalmente. Quest’ultima caratteristica non è tipica del rapporto tra lingue prime e lingue seconde. Inoltre, lo sviluppo del pidgin non ha una lingua d’arrivo come un modello bersaglio. Infatti, quando l’interlingua continua il suo sviluppo si avvicina alla lingua d’arrivo, mentre l’evoluzione del pidgin, quando

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avvenga, si realizza ontogenicamente, cioè sul piano collettivo e nell’arco di più generazioni. L’evoluzione si verifica indipendentemente dalle due lingue di base, sfociando nella formazione di un ‘creolo’ che diventa lingua materna di una comunità.

1.2. FATTORI CHE CONDIZIONANO L’APPRENDIMENTO

In questo paragrafo sfioreremo un’angolatura molto rilevante per i nostri interessi che peraltro presenta una ricchezza tale nei suoi tratti al punto di richiedere una trattazione capillare che non ci possiamo permettere in questo spoglio globale. Si tratta delle variabili extralinguistiche che incidono sul processo di acquisizione e sulle varietà di apprendimento. È noto, infatti, che il processo di apprendimento varia da persona a persona e che non tutti gli apprendenti raggiungono i livelli avanzati né conseguono le stesse conoscenze con la stessa velocità, perciò si suol cercare le cause di tale variabilità in tutto quello che concerne l’apprendente: le sue caratteristiche personali, il suo ambiente socioculturale e i suoi atteggiamenti nei confronti della lingua imparata per capire le ragioni del successo o del fallimento dell’acquisizione.

1.2.1. Interrelazione e continuità tra le variabili

La sociolinguistica si presenta come protagonista negli studi sui rapporti tra le variabili extralinguistiche e linguistiche, perché

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una buona parte delle variabili sono socioculturali e contestuali; inoltre, le variabili delle caratteristiche personali si traducono in comportamenti sociali o incidono in qualche modo sulla vita sociale dell’individuo (cfr. infra). Malgrado l’indagine in proposito prenda la forma della definizione di correlazioni tra i componenti dei due livelli linguistico e sociale, va sottolineato che una correlazione rigida e deterministica in termini di causa-effetto sarebbe riduttiva e semplicistica e che “il livello di correlatività fra piano socioculturale e linguistico è sicuramente assumibile, ma va inserito in un paradigma probabilistico che garantisca il margine di apertura, di variazione e di non predicibilità della correlazione stessa” (VEDOVELLI, 1994: 542; cfr. VEDOVELLI, 1993: 6-7).

Nella classificazione di tali variabili si suol parlare di fattori individuali e socioculturali: sotto i primi si raggruppano le variabili di età, sesso, motivazione e personalità, che si trovano nella letteratura su entrambi i tipi di apprendimento (spontaneo e guidato); tra i secondi sono inclusi i fattori sociali e situazionali sempre in riferimento all’acquisizione spontanea, il che ci fa ricordare le affermazioni di CERIANA (1988) e di VEDOVELLI (2001) sugli interessi scientifici dispari nei confronti delle due modalità di apprendimento (§ 1.1.3.3.1.).

La classificazione, comunque, non è formalmente fissa, in quanto variabili come il sesso e l’introversione che sono rispettivamente di carattere biologico e personale hanno risvolti sociali, per cui si possono considerare al tempo stesso variabili sociali. Di conseguenza, cercheremo per la nostra esposizione un altro criterio di classificazione. Essendo questa

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una presentazione incentrata sul processo di apprendimento, nelle pagine seguenti l’inizio dell’acquisizione verrà considerato la svolta che divide due fasi: la fase antecedente e quella seguente l’avvio del contatto con la lingua e la cultura straniere, sicché le variabili che incidono sull’apprendimento verranno esposte in funzione di questo momento importante nella vita linguistica dell’individuo in quanto apprendente.

Detto ciò, e date le premesse sul carattere non discreto dei fattori influenti sull’acquisizione, è ovvio che tra le due fasi, proposte più che altro per comodità di chi scrive, non intercorre alcuna discontinuità. Le variabili che caratterizzano la prima fase, quali bagaglio linguistico, motivazione e personalità, continuano naturalmente ad accompagnare l’apprendente, come sottofondo, durante e dopo il processo di apprendimento, in cui si aggiungono altre pressioni a causa del nuovo compito di acquisizione e di conseguenza vengono a galla delle reazioni che comportano nuove variabili che convergono a incidere sull’apprendente e sull’apprendimento.

Difatti, il processo di acquisizione, come viene descritto da VEDOVELLI (2001) che con la sua affermazione coglie tutte le fila di questo discorso, sfocia in una “lingua mista” che, in quanto tale, “rimanda al miscuglio di identità culturali che si creano nel migrante. Tali nuove identità miste linguistiche e culturali sono sensibili alle motivazioni verso l’apprendimento linguistico e l’inserimento sociale, sono condizionate dagli atteggiamenti verso la lingua e la cultura degli altri, appaiono sensibili agli effetti dei contesti sociali del migrante” (p. 30).

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Quindi, l’apprendimeto, in quanto contatto con un altro mondo diverso per cultura e per mezzi di espressione, è caratterizzato per lo più da variabili di carattere interazionale e sociale, le quali, a loro volta, subiscono l’incidenza della personalità e dell’assetto socioculturale dell’apprendente (variabili sviluppati nella prima fase).

1.2.2. Prima del contatto con la lingua d’arrivo

1.2.2.1. Lingua prima (L1) e transfer

L’apprendimento di una lingua seconda implica naturalmente la conoscenza di una lingua prima che implasma e modella le capacità e le attitudini linguistiche dell’individuo. La L1 è praticamente la lingua di partenza, è il bagaglio (linguistico) che l’apprendente porta con sé, lo volesse o meno, nel suo viaggio (linguistico) verso la lingua d’arrivo. Essa viene considerata unanimemente uno dei fattori più rilevanti, il cui influsso viene dato per scontato, anche se la modalità e le dimensioni di tale influsso rimangono tuttora sotto esame (BROWN, 2000: 5). Infatti, nell’analisi contrastiva tradizionale la L1 veniva considerata l’unica causa di errori (cfr. § 1.4.2.2.1.), posizione che, pur modificata e attenuata dopo anni di ricerche empiriche, non venne completamente screditata e continua ancora a ricordarci l’importanza del ruolo delle prime conoscenze linguistiche.

Un fenomeno passivo che rispecchia l’influenza ‘negativa’ della L1 è l’elusione o l’evitamento di alcune strutture e fenomeni della lingua d’arrivo che presentano caratteristiche estranee o molto diverse da quelle tipiche della L1 (PALLOTTI,

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20033: 65-67). Ma la manifestazione più nota e studiata del ruolo della L1 è il fenomeno dell’interferenza (il transfer). Si tratta del risultato del trasferimento di caratteri sintattici, morfologici, fonologici, ecc., dalla lingua materna alla L2. Il contatto nella mente dell’apprendente della L1 con la lingua d’arrivo provoca vari fenomeni oltre all’interferenza, quali l’uso di più lingue nello stesso discorso (code switching) e il ricorso ai prestiti (GIACALONE RAMAT, 2003: 26).

Si parla di transfer positivo quando le affinità tra L1 e lingua d’arrivo fanno d’aiuto all’apprendente che riprende in L2 strutture o foni della lingua materna che risultano corretti nella lingua d’arrivo; il fenomeno positivo si manifesta anche quando le conoscenze linguistiche native facilitano l’apprendimento in certe aree della lingua d’arrivo. Ad esempio, si presume che gli apprendenti arabi possano acquisire facilmente il fenomeno sintattico dell’omissione facoltativa del pronome soggetto in precedenza del verbo in italiano, vista la presenza dello stesso fenomeno in lingua araba, mentre per un apprendente inglese o tedesco tale omissione risulta un fenomeno del tutto nuovo, in quanto estraneo alla cultura linguistica della propria lingua. L’interferenza negativa, al contrario, è il trasferimento di fenomeni linguistici dalla L1 che si rivelano devianti nella L220.

Nell’acquisizione della morfologia nominale CHINI osserva che qualora ci siano analogie nei criteri di assegnazione del

20 Sempre per quanto riguarda la caduta dei pronomi, avanzerei l’osservazione personale che alcuni apprendenti egiziani di inglese o di tedesco, specie nelle fasi elementari, iniziano gli enunciati con il verbo tralasciando il pronome soggetto, finché non si abituano a considerarlo un elemento indispensabile.

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genere (criteri formali o semantici)21, “l’apprendente appare facilitato nel compito di riconoscerli nel sistema d’arrivo; è invece disorientato” nei casi di divergenza (1995: 303). CHINI ha notato le difficoltà riscontrate da apprendenti persianofoni, quindi con lingua prima che non riconosce la categoria del genere, nell’impiego sistematico delle marche flessionali distintive della data categoria.

Ma il transfer non incide su tutti i livelli linguistici nella stessa misura. BERNINI (1999), nella sua indagine su italofoni e tedescofoni apprendenti delle reciproche lingue, trae la conclusione che il transfer non sembra avere un ruolo significativo nell’acquisizione della negazione. Al contrario, a livello fonologico l’interferenza si ritiene un elemento caratteristico dell’interlingua nelle fasi iniziali di apprendimento. Si osserva, per esempio, che molti apprendenti principianti pronunciano la L2 tramite il filtro del sistema fonologico della propria L1 (cfr. MAJOR, 2001: 31; ARCHIBALD, 1998: 9). Si arriva ad affermare che “per la fonologia, l’interferenza indirizza fin da subito l’iter di apprendimento e da essa vanno subordinati i modi in cui questo si configura” (BERNINI, 1988: 77). Di

21 In italiano, nell’assegnazione del genere al nome, vige in linea di principio il criterio della corrispondenza del genere grammaticale al genere naturale, cioè sono rispettati generalmente i tratti semantici ‘maschio’ vs. ‘femmina’ nei nomi che si riferiscono ad esseri animati, specie gli esseri umani: es. il maestro, la maestra, regola però non senza eccezioni: es. spia, soprano. L’opposizione di sesso non funziona naturalmente per i nomi non animati, ma si possono registrare certe tendenze e regolarità (sempre, con eccezioni). Per esempio, i nomi di alberi sono prevalentemente di genere maschile, mentre ai frutti viene associato di solito il genere femminile; sono inoltre maschili i nomi di metalli, mentre sono femminili i nomi di città, come per assegnazione del genere dell’iperonimo all’iponimo. Dal punto di vista formale, per dare qualche esempio, ai nomi che finiscono con le desinenze -o e -a sono normalmente assegnati i generi maschile e femminile rispettivamente; ad alcuni suffissi viene associato il genere maschile (es. -ile, -one, ecc.) e ad altri il femminile (es. -ione, -tù, ecc.; cfr. CHINI, 1995: 83 e segg.).

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contro, il fenomeno si verifica raramente a livello morfologico (KLEIN, 1986: 27). Di più, se nelle fasi più avanzate di apprendimento il fenomeno del transfer si attenua, è in particolare a livello fonologico che la L1 continua ad esercitare il suo influsso sì che rimane qualche tratto fonologico a differenziare la produzione dell’apprendente dalla produzione del nativo, comunque gli altri livelli si presentino simili alla varietà di arrivo (BERNINI, 1986: 180).

Il patrimonio linguistico generale dell’apprendente, cioè tutte le lingue conosciute dall’apprendente, sia la lingua prima che le eventuali lingue seconde, costituiscono una “fonte di interferenza” (GIACALONE RAMAT, 19973: 343). Ad esempio, si osserva che gli apprendenti egiziani dell’italiano che sono precedentemente a conoscenza della lingua inglese continuano a trasferire la pronuncia di alcune vocali, in particolare ‘i’ e ‘e’, dall’inglese in italiano finché non si sottraggono all’influenza del primo (vedi infra § 1.4.2.3.).

Come precisa BERNINI (1986: 182-183) “la prima lingua ha un peso variabile in funzione di altri fattori”, quali l’età giovane che riduce la possibilità d’interferenza e il livello linguistico (sintassi, morfologia, ecc.). In effetti, il livello fonologico sembra il più sensibile all’effetto della lingua materna e la sua incidenza s’intreccia con il fattore età, in quanto si crede che dopo o attorno all’età di 12 anni l’apprendente non possa più raggiungere la pronuncia perfetta e che “l’accento” straniero non si possa perdere (vedi § 1.2.3.1.1.). Conta anche il grado di parentela tra le due lingue, visto che la vicinanza tipologica aumenta l’interferenza. Ma, al tempo stesso, la vicinanza tipologica sembra esercitare un ruolo positivo sulla velocità del processo,

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aiutando l’apprendente a accedere più facilmente alla lingua d’arrivo (cfr. BANFI, 1993b: p. 37). Si presume infatti che quanto più grande è la distanza tipologica tra la L1 e la lingua d’arrivo tanto più lento sia l’apprendimento. I cinesi, per esempio, passano per una fase di assenza dell’uso sistematico della morfologia, per la mancanza di certe flessioni nella loro L1 (GIACALONE RAMAT, 1990).

1.2.2.2. Livello di scolarizzazione

Si ritiene che un’istruzione alta implichi la conoscenza di qualche lingua straniera e, di conseguenza, una certa familiarità con lo studio delle lingue o, meglio, la conoscenza di qualche lingua europea (per esempio: inglese, francese), il che può facilitare a sua volta l’apprendimento dell’italiano (BANFI, 1993b: 37). Questo fattore viene spesso considerato con riferimento ai migranti che, in assenza di una guida didattica, sarebbero fortunati a poter attingere ad altre conoscenze linguistiche sussidiarie. Ma i fatti non danno sempre convalida a tale ipotesi. In una indagine condotta a Torino tra gli egiziani che si registravano in corsi di formazione in lingua italiana si è riscontrata una certa discrepanza tra il livello di scolarità dichiarata e le prestazioni mostrate nel corso dell’apprendimento della lingua. Alcuni laureati che si dichiaravano a conoscenza della lingua inglese, e che sono stati dunque inseriti in un livello più alto rispetto ai meno scolarizzati, si sono rilevati a un livello inferiore alle aspettative e rispetto agli altri corsisti di altre provenienze (ALBERTO & ALLEMANO, 2001: 46).

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1.2.2.3. Stile

C’è un notevole accordo tra gli insegnanti di lingue straniere che gli apprendenti mostrano una maggiore accuratezza nella pronuncia e, quindi, più avvicinamento alla prestazione nativa quando proferiscono parole isolate, mentre tale abilità diminuisce nel discorso legato in cui emerge di nuovo l’accento straniero. MAJOR sostiene inoltre che nello stile informale il transfer è più evidente e frequente, mentre nelle situazioni formali, essendo il parlante più attento alla sua produzione, il fenomeno è meno rilevabile, a meno che fattori extralinguistici, come per esempio uno stato emotivo di turbamento per effetto delle circostanze formali, non si ripercuotano sulla pronuncia (2001: 95).

1.2.2.4. Sesso

La variabile sesso è in fondo un fattore individuale di carattere biologico, ma dimostra di avere in fin dei conti rilevanti risvolti socioculturali. LABOV afferma che le differenze biologiche sono irrilevanti per la variabilità linguistica, cosicchè il sesso va classificato come variabile sociale: “Everyone agrees that gender is a social factor – language is not differentiated by the biological aspects of sex differences” (2001: 263). Le differenze psicosociali tra maschi e femmine sono sempre state oggetto di dibattito e attorno all’argomento si sono create innumerevoli credenze che risultano leggendarie nell’ottica della ricerca scientifica e quindi soggette a convalide o smentite (cfr. MACCOBY & JACKLIN, 1974; HUNTER & FORDEN, 2002). Il quesito rimane ancora irrisolto, ma una distinzione tra i due sessi

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a livello dell’apprendimento delle lingue è notata e viene tuttora indagata.

Cominciamo con la differenza numerica (cfr. § 1.3.2.2.1.2.1.). COOK (2001: 139) afferma in base alla sua esperienza che in “tutti” i paesi i corsi di lingue seconde sono più frequentati dalle ragazze e che vari studi segnalano che le femmine mostrano più ricchezza nelle loro strategie di apprendimento e si sentono più imbarazzate per gli errori. Questi naturalmente sono dati generali a cui si potrebbero trovare smentite in alcuni casi. D’altra parte, persino a livello di insegnamento delle lingue è ormai una cosa ben nota che “modern language study is a woman’s area which, in terms of jobs, leads to female dominance” (NYICOS, 1990: 274).

Un altro ritrovamento degli studi interessati alla variabilità in funzione di sesso si riscontra a livello fonologico, su cui gli studi sono comunque pochi. Si è osservato che, a parità di stile, le femmine sembrano più inclini a rendere gli allofoni considerati più formali e più prestigiosi. Il dato vale sia per L1 che per L2 (MAJOR, 2001: 76-77).

1.2.2.5. Variabili individuali

A parità di provenienza e di caratteristiche socioculturali si continua lo stesso a rilevare una variabilità nelle prestazioni degli apprendenti. In effetti, le differenze di personalità che si osservano palesemente nei contesti di apprendimento guidato, e non solo, vengono considerate una discriminante tra un apprendente e un altro. Si suol parlare, per esempio, di apprendenti più portati o più motivati, più intelligenti o più sicuri

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di sé che arrivano a buoni livelli. La rigorosità scientifica, tuttavia, non si accontenta di termini generici e descrizioni superficiali, per cui le qualità individuali vengono classificate e analizzate; ma va detto in proposito che queste non si articolano in categorie discrete, oggettivamente rilevabili, così come non risulta semplice parlare di un calcolo preciso e non controverso del ‘buon’ livello linguistico. Eppure, ciò non toglie credito al ruolo dei tratti di personalità, ma ci rende attenti a non precipitare a delineare rigidi schemi correlativi. In altre parole, possiamo avanzare delle ipotesi fondate sull’osservazione e convalidate dai fatti, ma non dovremmo formulare equazioni.

1.2.2.5.1. La motivazione

“There are numerous individual factors affecting L2 phonology, often subsumed under personality of the individual. These include empathy, motivation, sense of identity, ego permeability, self-esteem, risktaking, anxiety, and introversion versus extroversion, musicality and field independence versus field dependence” (MAJOR, 2001: 66).

La motivazione che MAJOR, a differenza di altri studiosi (cfr. BETTONI, 20023; PALLOTTI, 20033), include tra i tratti della personalità è comunque un fattore individuale che si sviluppa e probabilmente anche si modifica nel corso del processo di apprendimento. Essa si considera un fattore di base per l’acquisizione della lingua in generale e della fonologia in particolare. Si possono individuare, con GARDNER & LAMBERT (1972), due tipi di motivazione: integrativa e strumentale; la prima indica l’aspirazione a integrarsi completamente nella

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società ospite e a inserirsi nel suo tessuto culturale, mentre la seconda addita le limitate necessità dell’apprendente che vuole fare uso della lingua appresa per arrivare a certi scopi pratici, come il conseguimento di un lavoro o la riuscita a un esame. La motivazione integrativa, più ampia e impegnativa, potrebbe essere ritenuta la somma di varie motivazioni strumentali.

Per denominare gli stessi tipi di motivazione KLEIN (1986: 36-37) preferisce adoperare i termini ‘integrazione sociale’ e ‘necessità comunicative’ per designare due componenti, in interazione, della ‘propensione’22 ad acquisire la lingua e ne dichiara la coincidenza rispettivamente con la motivazione integrativa e strumentale di GARDNER & LAMBERT. L’autore spiega che per soddisfare le necessità comunicative l’apprendente può arrangiarsi in vari modi e con meno mezzi e inferiore conoscenza linguistica rispetto a chi auspichi l’integrazione sociale.

Si ritiene che la motivazione conduca al successo nell’apprendimento; di più, si tratta di un rapporto d’influenza reciproca, in quanto il raggiungimento di buoni risultati incoraggia l’apprendente e gli costituisce uno stimolo a conseguire ulteriori successi “Motivation can lead to success, but success also can lead to motivation” (MAJOR, 2001: 66).

In Italia, a livello di apprendimento sul territorio, BANFI (1993b: 36) identifica la motivazione con il desiderio dell’immigrato di inserirsi o meno nella società di destinazione e osserva, come ORLETTI (1988), la presenza di alcune comunità, quali quelle cinese e filippina, che non mostrano alcuna 22 Nello schema di KLEIN (1986) la propensione costituisce una delle dimensioni del processo di acquisizione e raggruppa l’insieme di fattori che inducono l’individuo ad attivare le sue capacità di apprendimento della lingua (pp. 35 e segg.).

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motivazione dell’integrazione sociale, limitando al minimo indispensabile i contatti con la comunità ospite e mantenendo al tempo stesso una forte coesione di rapporti all’interno della propria comunità per poter fare a meno della socializzazione con i nativi. Sul versante linguistico tale motivazione ridotta o a volte assente “si traduce in un atteggiamento, spesso, di scarsa disponibilità ad apprendere l’italiano […]” (BANFI, 1993b: 36).

Da quanto detto si desume che la motivazione si manifesti con forza al piano sociale condizionando le variabili socioculturali che caratterizzano l’apprendimento, quali il progetto migratorio e l’integrazione (cfr. §§ 1.2.3.3.2. e 1.2.3.3.3.).

1.2.2.5.2. Personalità dell’apprendente

Torniamo all’affermazione di MAJOR che raggruppa una buona parte dei tratti della personalità di cui trattiamo in breve i più rilevanti (cfr. supra p. 75).

L’empatia: la disposizione dell’apprendente ad assimilare la cultura della società straniera e a identificarsi con i suoi membri è un fattore affettivo che può stimolare l’apprendente all’integrazione o, nel caso di apprendenti guidati, può rendere lo studio più interessante e accelerare il processo di acquisizione.

Senso d’identità: si sa che, a differenza dell’acquisizione di una lingua prima, l’apprendente di una L2 ha già sviluppato, almeno in parte, la propria identità socio-culturale, alla quale non è facile rinunciare. Si è osservato che il desiderio di conservare la propria identità può essere un ostacolo alla padronanza di una

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lingua seconda (KLEIN, 1986: 6). Per quanto riguarda i lavoratori stranieri, alcuni studiosi sostengono che la persistenza nell’uso di una varietà semplificata da parte loro sia addirittura voluta e che miri al mantenimento della propria identità distinta da quella della comunità ospite (ORLETTI, 1988: 144). La presunta scelta dell’apprendente potrebbe risalire alla consapevolezza del rapporto tra lingua e identità. Infatti, la varietà parlata dallo straniero viene concepita come rappresentativa di una certa cultura e posizione sociale, il che, a sua volta, sta alla base di certi atteggiamenti da parte dei nativi.

Stima di sé e disponibilità ad assumersi rischi: Si presume in generale che gli apprendenti intraprendenti e sicuri di sé riescano ad arrivare a livelli linguistici più avanzati che le persone di carattere opposto.

L’ansietà: l’ansia se non è esagerata potrebbe in una certa misura impegnare l’apprendente.

Introversione vs estroversione: si sostiene che la persona estroversa, aperta e socievole abbia più opportunità di praticare la lingua, in quanto cerca il contatto con gli altri, mentre la persona introversa, essendo presumibilmente incline alla lettura, dovrebbe mostrare più capacità accademiche.

Dipendenza e indipendenza dal campo: si tratta della capacità di elaborazione delle informazioni. L’indipendenza dal campo è la capacità di estrarre le informazioni da imparare senza lasciarsi distrarre dal contesto. Dal loro canto, gli apprendenti che sono dipendenti dal campo non possono sottrarsi all’influenza del contesto, dal quale potrebbero venire distratti. Queste capacità cognitive si rispecchiano sul versante linguistico

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in modo tale che gli indipendenti dal campo riescano a concentrarsi sui compiti analitici, ottenendo migliori risultati nelle prove linguistiche rispetto all’altro tipo di apprendenti che potrebbero mostrare una maggiore capacità di sintesi delle nozioni, raggiungendo una migliore competenza comunicativa dato che sono più interessati a far passare il senso e non si lasciano intralciare dai dettagli grammaticali. Da quanto detto si nota che queste caratteristiche non sono paragonabili in termini di superiorità, ma si tratta di variazione negli stili cognitivi che non devono escludersi a vicenda (MAJOR, 2001: 68; ARCHIBALD, 1998: 17).

La disposizione naturale (l’attitudine) degli apprendenti e le loro capacità individuali, che potrebbero essere di base genetica, psicologica e sociale, possono distinguere gli apprendenti in normali, buoni e non. La differenza, secondo MAJOR, si manifesta in gran parte in termini di velocità di acquisizione: “A good learner will progress more rapidly through the various stages than the normal learner, and a poor learner will progress more slowly and often fossilize at an early stage of development” (2001: 117).

Infine, BETTONI (20023) commenta gli studi sulle qualità personali segnalandone la mancata capacità di “affermare che un tipo di personalità sia sistematicamente favorito o sfavorito rispetto a un altro” nel processo d’acquisizione (p. 158; grassetto dell’autrice) e sottolinea che tali tratti “devono essere presenti a livelli medi” per non provocare effetti negativi (ibidem).

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1.2.3. Dopo il contatto con la lingua d’arrivo

Quando si parla di apprendimento di una L2, ci si chiede sempre dell’età in cui l’individuo ha cominciato l’acquisizione e in questa sede l’età sarà il primo fattore da affrontare. L’apprendimento, poi, comporta l’esposizione alla lingua d’arrivo, che avviene naturalmente in maniera graduale e si può considerare come la ricezione di una serie di dati e di informazioni che s’inseriscono nella sfera di percezione e di elaborazione mentale dell’apprendente, quindi se la può etichettare con il termine inglese ormai usato diffusamente negli studi in italiano ‘input’. Inoltre, lo sviluppo del processo di apprendimento risente delle condizioni di vita quotidiana dell’apprendente, in particolare l’apprendente spontaneo per il quale la vita quotidiana adempie alle stesse funzioni rivestite dalla classe nel caso degli apprendenti guidati.

Continuano naturalmente a manifestarsi le caratteristiche individuali dopo l’inizio dell’apprendimento. Per esempio l’accuratezza e il controllo esercitati dall’apprendente possono caratterizzare, qualora presenti, un processo di apprendimento relativamente veloce, una L2 più libera dal transfer dalla L1 e un accento straniero meno evidente (cfr. MAJOR: 2001: 117-119). Detto ciò, l’autocontrollo non basta per garantire il buon apprendimento e come abbiamo accennato prima e vedremo ancora nel corso di questo sottoparagrafo, non si può precisare una percentuale di influenza di una variabile quando si tratta di processi naturali, graduali e complessi che coinvolgono in varia misura diversi tipi di fattori e portano ad esiti vari per la

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variazione delle persone e delle variabili che di per sé non sono concrete in quanto socioculturali e psicocognitive.

1.2.3.1. La fascia d’età

L’età dell’apprendente, che costituisce un fattore legato all’individuo, è stata sempre considerata un fattore molto rilevante che risulta addirittura decisivo quando si tratta dell’acquisizione fonologica. L’importanza di questa variabile risale all’osservazione generale delle differenze di velocità e di capacità di immagazzinamento delle informazioni linguistiche tra bambini e adulti. Tutti gli studi concordano sul fatto che la giovane età è determinante. A livello morfologico CHINI (1995) segnala che “Il fattore ‘età’, comunque, incide soprattutto sulla velocità di acquisizione della morfologia di L2, più che sulle tappe seguite, le stesse a qualsiasi età e con qualsivoglia L1” (p. 305). E sul versante fonologico “cases of adults acquiring a second language without any accent are very rare” (KLEIN, 1986: 24).

1.2.3.1.1. Il periodo critico

L’osservazione che i più giovani si apprestano meglio all’acquisizione trova più concreta elaborazione ne ‘l’ipotesi del periodo critico’ o ‘Critical Period Hypothesis’, secondo la quale l’apprendente non riuscirà più ad acquisire la lingua d’arrivo come i nativi se oltrepassa una certa età, arrivando, cioè, alla fine del periodo critico, entro il quale, in base a tale assunto, l’apprendimento procederebbe in modo più naturale e con meno difficoltà e porterebbe all’acquisizione di un accento nativo

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(MAJOR, 2001: 7 e segg.; ARCHIBALD, 1998: 18 e segg.). L’ipotesi, ovviamente, ha i suoi oppositori e sostenitori che, tuttavia, non sono arrivati a risolvere alcuni problemi: la durata e la fine del periodo critico rimangono tuttora un punto controverso. Infatti, non è facile determinare con precisione una certa età, ma alcuni ritengono che la pubertà segni la fine di tale periodo. LONG (1990) segnala la presenza di più di un periodo critico (o ‘sensibile’) e sostiene che in molti apprendenti le possibilità di raggiungere prestazioni native a livello fonologico si riducano dall’età di sei anni e si azzerino a dodici, mentre, secondo l’autore, la morfosintassi è apprendibile perfettamente prima dell’età di quindici anni. Intanto, altri studiosi, sebbene relativamente pochi, non riconoscono nemmeno l’esistenza di una fascia d’età che favorisca l’acquisizione della competenza nativa, anche se è stato osservato nella maggior parte delle ricerche che quanto più giovane è l’apprendente, tanto più simile al nativo è il suo accento. “In summary, research indicates that when acquiring L2 phonology, the younger the better, but how young and how much better remain unresolved” (MAJOR, 2001: 11).

Dal loro canto, gli studiosi che si pronunciano contro l’ipotesi del periodo critico sostengono che i fattori extralinguistici possano neutralizzare l’influsso dell’età avanzata. MOYER (1999) conclude in un’indagine su statunitensi laureati in lingua tedesca che l’età dell’apprendente non agisce indipendentemente sulla prestazione fonologica, anzi questa variabile opera in combinazione con altri fattori quali la motivazione, l’empatia culturale (cfr. §§ 1.2.2.5.1. e 1.2.2.5.2.), il desiderio di parlare come i nativi e la qualità e la quantità

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dell’input. Di questi fattori sono risultate più significative, secondo l’autrice, la qualità dell’insegnamento e la motivazione professionale. Detto ciò, malgrado i livelli molto avanzati dei soggetti, lo studio non ha screditato la rilevanza dell’età e non è riuscito a dimostrare l’ipotesi di partenza, secondo cui altri fattori quali la motivazione e l’istruzione possono neutralizzare il ruolo della variabile.

Alla ricerca di chiarire le ragioni per cui le prestazioni degli apprendenti adulti sono inferiori rispetto a quelle dei più giovani, FLEGE (1991: 285), riferendosi a dati empirici, sostiene che l’accento straniero non sia dovuto a un decremento delle capacità di acquisizione per fattori di età e che, invece, possa essere imputabile allo sviluppo del sistema fonetico della L1, per effetto del quale l’apprendente identifica alcuni foni nella lingua d’arrivo con i foni abbastanza simili nella propria L1, senza trattare tali foni come categorie separate da apprendere accuratamente per arrivare infine a produrli come i nativi (cfr. § 1.4.2.2.1.). L’autore spiega che gli apprendenti adulti hanno svolto negli anni il processo cognitivo di stabilire il proprio sistema fonematico individuando i fonemi dalle categorie fonetiche, diversamente dai bambini che cominciano a riconoscere le differenze fonetiche tra i suoni del linguaggio da loro percepiti e, a partire da questi, devono gradualmente ricostruire la struttura fonemica. Di conseguenza, quando gli adulti imparano una lingua straniera, ricorrono direttamente al proprio sistema fonematico e riconducono i suoni della lingua d’arrivo ai fonemi che conoscono, non sempre senza forzature come nota FLEGE, e quindi “forcing square pegs into round holes” (1991: 251).

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BROWN (2000) spiega, tramite la teoria dell’interferenza fonologica, che una volta passata l’infanzia, la percezione di una lingua straniera viene sempre condizionata dalle proprietà fonologiche della lingua materna, perché il bambino perde gradualmente le capacità di distinguere i contrasti fonologici non nativi e si limita a percepire quelli nativi: “more specifically, all speech sounds (native and non-native) will be perceived in terms of the features exploited by that particular language” (p. 48). Detto ciò, i foni estranei al sistema fonetico e fonologico nativo non si presentano allo stesso livello di difficoltà percettiva per i parlanti di una stessa L1; inoltre, alcuni di tali foni vengono percepiti e acquisiti più facilmente dai parlanti di alcune lingue prime piuttosto che dai parlanti di altre lingue.

1.2.3.2. L’input

Il prestito inglese input è quello più usato negli studi italiani, ma un corrispettivo italiano, ‘dati d’entrata’, si riscontra in AUER (1988) che traduce output in ‘uscita’(cfr. p. 53).

L’input che offre all’apprendente la possibilità di aumentare le sue conoscenze linguistiche è costituito dalle stringhe di lingua (input linguistico) accompagnate nello stesso tempo dall’informazione contestuale a cui si riferisce il discorso (KLEIN, 1986: 44). Nelle parole di VEDOVELLI (1994: 533), l’input è “contesto socioculturale, qualità strutturale, quantità di esposizione ai testi (suoni, sensi) della L2”.

Si presume che la frequenza di esposizione a un certo input linguistico abbia un influsso sul ritmo di apprendimento dei componenti del sistema linguistico, cioè gli elementi più

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ricorrenti nell’input vengono acquisiti più velocemente e vengono anche memorizzati meglio. L’idea sembra sensata, ma non è valida in assoluto. Oltre a VEDOVELLI (1994: 534) che afferma che la quantità di esposizione alla lingua “non è mero fatto meccanico di frequenza”, KLEIN (1986: 66- 67, 69-70) avanza più riserve in merito. Primo, se prendiamo il lessico come esempio, la frequenza di una parola non è facilmente determinabile, in quanto varia a seconda dei campi e delle situazioni. Così, nell’apprendimento guidato i lavoratori stranieri imparano le parole più frequenti come lavoro, ragazzo, casa, ecc. e parallelamente le parole meno usate quali questura e permesso di soggiorno. Secondo, nelle produzioni di alcuni apprendenti le parole più usate appaiono in un momento tardivo nel corso del processo di acquisizione23. Terzo, le parole funzionali sono più frequenti nel lessico delle prime lingue finora studiate, ma queste parole, in fin dei conti, non hanno un contenuto informativo a cui l’apprendente può riferirsi nella sua elaborazione dell’input e per questo, appunto, vengono tralasciate o utilizzate in maniera confusa nelle fasi iniziali di apprendimento (cfr. § 1.1.4.1.).

In effetti, le caratteristiche prosodiche e in particolare l’assegnazione degli accenti alle parole di contenuto piuttosto che alle parole funzionali danno una certa salienza percettiva alle prime, per cui si potrebbe pensare che il contenuto contestuale e la prosodia siano, in una certa misura, degli strumenti che favoriscono l’acquisizione delle parole di contenuto prima delle parole funzionali (nell’apprendimento spontaneo, s’intende). Ciò indica che malgrado la frequenza costituisca un fattore di rilievo, 23 Si è osservato che uno dei soggetti, un lavoratore egiziano che risedeva a Milano da tre anni, non conosce le parole pasticceria e albergo che si presumono di largo uso e usa in alternativa dolce e hotel (la parola internazionale, a suo detto).

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essa non basta per lo sviluppo dell’apprendimento e che sussistono altri tratti influenti, quale la salienza sia percettiva che semantica (cfr. ELLIS, 2002).

Nell’apprendimento guidato, la lettura si comprova una valida risorsa di arricchimento del patrimonio lessicale. ROTT (1999) conclude dalla sua ricerca che la lettura di testi contestualmente ricchi, in tal modo da facilitare l’assegnazione di significati alle parole nuove, può avere un effetto positivo sull’acquisizione al lungo termine. Si è riscontrato anche che l’esposizione ripetuta all’elemento lessicale (sei volte nell’esperimento, invece di due o quattro) può accelerare l’arricchimento del lessico dell’apprendente.

Una caratteristica dell’input che condiziona fortemente l’acquisizione spontanea dell’italiano da parte degli immigrati è la multivariazione del repertorio linguistico italiano con cui il migrante si trova a contatto e da cui apprende la sua L2 (BANFI, 1993b: 37). Il lavoratore straniero deve fare i conti con una realtà linguistica polimorfa e un repertorio variegato che va dalla varietà neostandard e eventualmente la varietà burocratica alle varietà regionali, ai dialetti e ai linguaggi settoriali (cfr. BERRUTO, 19944; 19973; supra § 0.2.1.). L’eterogeneità della situazione linguistica si ripercuote sulle varietà di apprendimento spontaneo caratterizzate dalla compresenza di fenomeni appartenenti a diverse varietà linguistiche. Quanto più diversi sono i contesti di comunicazione e le varietà con cui l’apprendente viene a contatto tanto più ‘variopinta’ è la sua produzione. In un’ottica ottimista, FIBBI & VEDOVELLI (1988) vedono nell’esposizione dello straniero a uno “spettro allargato

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di varietà linguistiche” una spinta allo sviluppo del processo di acquisizione (p. 32).

A parte le varietà usate nelle interazioni tra nativi, si presenta una varietà della lingua che molto spesso fa parte dell’input dei non nativi. Si tratta del foreigner talk o lo ‘xenoletto’ che costituisce a volte una scelta del parlante nativo quando ritiene che la riuscita della comunicazione interetnica richieda la semplificazione della lingua (cfr. § 1.1.3.3.1.1.).

FELICI (1994) espone i risultati di una sua ricerca che rileva l’incidenza della variazione del repertorio linguistico italiano (come input) sulla L2 degli stranieri in Italia. L’analisi dei dati ottenuti da quattordici apprendenti spontanei in due zone diverse, una settentrionale (provincia di Brescia) e l’altra meridionale (provincia di Latina), porta in evidenza la presenza di un influsso, variabile di persona in persona, dell’input dialettale delle zone di rilevazione. L’autrice ritiene che tale influsso dell’input sia da collegare all’inserimento socioculturale e al grado di motivazione dell’apprendimento delle varietà dialettali (cfr. p. 256). Dalle testimonianze degli informanti sembra che la disposizione a imparare e utilizzare il dialetto sia a sua volta scoraggiata dall’atteggiamento dei nativi nei confronti delle proprie varietà dialettali, che rimane tuttora negativo, così che certe volte il dialetto viene considerato privo di prestigio linguistico e culturale (cfr. p. 251).

FELICI (1994) nota che i tratti di varietà più frequenti nelle L2 esaminate sono quelli appartenenti alle varietà regionali piuttosto che alle strette varietà dialettali e sono per lo più di tipo prosodico e fonologico, cioè “più difficilmente controllabili dalla capacità metalinguistica cosciente degli

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apprendenti” (p. 256). In altre parole, i soggetti che mostrano capacità dialettali relativamente ridotte e atteggiamento negativo verso il dialetto continuano a subire l’influsso dell’input dialettale maggiormente sul livello prosodico (ibidem).

In generale, il campione studiato da FELICI dimostra una maggiore influenza dei tratti dialettali fonetici e lessicali rispetto alle costruzioni morfosintattiche dialettali che scarseggiano nelle produzioni linguistiche dei soggetti. Intanto, si osserva che il tratto della differenziazione tra le vocali aperte e chiuse costituisce un elemento d’incertezza per gli stranieri così come lo è per i nativi (p. 258).

1.2.3.3. Le condizioni sociambientali

Abbiamo due tipi di apprendimento in cui i fattori sociambientali agiscono in maniera diversa. L’avvio dell’apprendimento spontaneo è al tempo stesso l’avvio dei contatti con la comunità ospite che, verificandosi sul territorio straniero, segnalano il consumarsi di una vita diversa, nella cui quotidianità, e solo in queste condizioni, si sviluppa l’apprendimento. Ciò investe alle variabili sociambientali una rilevanza che giustifica l’interesse mostrato negli studi sociolinguistici e di linguistica acquisizionale alle condizioni di vita degli apprendenti spontanei. Si tenga presente che le condizioni sociali degli immigrati sono marcati, in quanto questi non conducono la stessa vita degli autoctoni e “subiscono forti pressioni dalla società ospite a livello di struttura sociale” (VEDOVELLI, 2001: 22; cfr. infra).

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Invece, non è stato versato tanto inchiostro sul condizionamento socioculturale dell’acquisizione guidata, nella quale le condizioni sociambientali fungono da sottofondo e non vengono in primo piano; inoltre, l’assimilazione culturale non viene considerata una variabile del processo che in primo luogo si sviluppa in classe.

Di seguito verrà presentata una serie di fattori sociali, della cui incidenza sul processo di apprendimento spontaneo si discute molto in letteratura. Le variabili più ricorrenti sono il progetto migratorio, il grado d’integrazione sociale, l’atteggiamento verso la lingua e la cultura straniere, nonché la nazionalità del coniuge, l’esposizione ai mass media del paese ospite e la durata di permanenza.

Infatti, i fattori vengono esposti come categorie discrete che, va detto, non esauriscono tutte le sfumature delle variabili sociali che caratterizzano la vita di un individuo. Di più, va ribadito ancora una volta che in pratica non sussiste una correlazione biunivoca tra certe variabili e le fasi del processo d’apprendimento, perché, come vedremo anche più oltre, non ci sono confini netti tra le sfere d’incidenza di ogni variabile a parte. In generale, tutti i fattori interagiscono insieme per creare il profilo socioculturale degli individui, che incide sul piano linguistico. In proposito FIBBI & VEDOVELLI si esprimono con queste parole:

“che, però, esista un notevole potere di condizionamento reciproco è fuori dubbio: più che mettere in discussione tale correlazione, sembra necessario fare riferimento a un modello dei fatti sociali almeno tanto complesso quanto lo richiede il

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carattere non semplice e non meccanicistico del rapporto fra i due piani” (1988: 23).

L’elaborazione di un modello del genere, tuttavia, è un compito molto arduo che richiede una marea di ricerche empiriche corredate da una parallela riflessione teorica. Invece, gli studi sull’apprendimento spontaneo dell’italiano in contesto migratorio sono ancora pochi e “per quanti sforzi si possano fare nel prossimo futuro difficilmente si raggiungerà una dimensione minimamente rappresentativa sul piano statistico” VEDOVELLI (1994: 541).

1.2.3.3.1. Tra assimilazione culturale e acquisizione linguistica

BROWN (1980), partendo dall’osservazione che gli adulti variano tra di loro nel livello di padronanza della lingua seconda, sostiene che l’ipotesi del periodo critico possa diventare più efficace se vengono inseriti i fattori sociambientali, considerando così il processo di apprendimento linguistico in relazione allo sviluppo della ‘acculturazione’ dell’apprendente. L’autore propone un modello dell’andamento del processo di acquisizione spontanea sul territorio straniero, the optimal distance model, come modello rappresentativo di un periodo critico socioculturale. Egli argomenta che l’apprendimento della lingua nel paese ospite va di pari passo con l’apprendimento della cultura del paese:

“The interaction of language and culture produces a syndrome which gives rise to a certain stage during which

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language learning achieves an optimal level. At that critical stage, adults, and children, have an optimal chance to become fluent in the second language. Since cultural distance is a distinguishing feature of this optimal stage of learning, the proposed hypothesis is termed the optimal distance model of second language acquisition” (p. 158).

Il modello lega lo sviluppo dell’apprendimento agli stadi di acculturazione che le persone, a parte la loro età, ripercorrono finché non si adattino o assimilino una nuova cultura. In sociologia si articolano quattro stadi:

l’euforia: stadio in cui l’altra cultura si presenta nuova, e quindi entusiasmante e interessante; lo shock culturale: è l’esito dell’intrusione di

elementi di divergenza nel proprio quadro culturale. La cultura straniera comincia a sembrare strana e noiosa, il che provocherebbe sentimenti di ostilità, indecisione, frustrazione, tristezza, solitudine e nostalgia, accompagnati a volte da disturbi fisici. In questa fase si cerca il riparo dai connazionali; l’anomia costituisce la prima sindrome della terza

fase, all’inizio della quale ci si sente socialmente insicuri o insoddisfatti e si comincia a perdere qualche legame con la cultura nativa senza essersi ancora integrati nella nuova società per cui nasce la sensazione di essere senza patria (homeless). Questa fase, però, vede successivamente un graduale e lento recupero in cui l’immigrato comincia ad accettare le differenze di pensiero e di sentimento diventando più comprensivo ed empatico;

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il recupero: con esso si guadagna un senso di agio e conforto nei confronti della cultura straniera e, insieme, una sicurezza di sé e dello sviluppo del proprio carattere all’interno della nuova società.

BROWN avanza l’ipotesi che l’inizio della terza fase – l’anomia – presenta le condizioni ideali per l’acquisizione della padronanza della lingua, visto che offre la distanza (sociale) ottimale e anche le tensioni cognitive e affettive necessarie per stimolare all’apprendimento, a differenza del secondo stadio in cui la pressione è molto alta e del quarto in cui la pressione è troppo debole. Intanto, la padronanza della lingua può fungere da strumento per il superamento della terza fase e il raggiungimento della quarta. Se, invece, l’apprendente arriva culturalmente al quarto stadio senza aver raggiunto la padronanza linguistica, la sua L2 subirà la fossilizzazione, dato che non avrà bisogno di acquisire le forme corrette quando avrà già raggiunto un modo di esprimere le funzioni linguistiche. D’altra parte, le persone che riescono ad impadronirsi presto della lingua non si trovano motivate all’acculturazione e non riescono a superare le difficoltà psicologiche riscontrate nel paese straniero.

Quest’ultimo assunto può essere applicato in parte sull’apprendimento guidato, che BROWN dichiara di non aver preso in debita considerazione nel suo modello (cfr. 1980: 162). È il caso dell’apprendimento che comincia in classe nel paese d’origine e poi continua nel paese straniero parlante questa lingua, dove l’apprendente che ha già raggiunto un buon livello linguistico soffrirebbe il processo di acculturazione.

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Quanto ai bambini l’autore ritiene che loro passino per gli stadi sopraindicati più velocemente e quindi acquisiscono la lingua presto perché non hanno una visione del mondo subordinata a una certa prospettiva né hanno in generale un assetto socioculturale ben definito e sviluppato in legame con una cultura ben definita.

1.2.3.3.2. Il progetto migratorio

Le dimensioni del progetto migratorio si rapportano in linea di principio alle motivazioni del trasferimento nel paese straniero e si profilano poi nella determinazione del periodo di permanenza all’estero. Le previsioni di permanenza nel paese ospite influenzano il rapporto che il migrante ha con la lingua di questo paese e anche i passi compiuti verso l’integrazione sociale ed economica (cfr. BANFI, 1993a: XII). L’aspirazione a rientrare nel paese d’origine dopo un breve periodo potrebbe non stimolare l’immigrato ad imparare la lingua del paese ospite con la stessa determinazione che avrebbe coltivato qualora volesse rimanerci per un lungo periodo o addirittura per sempre e quindi inserirsi nella nuova società.

Detto ciò, il progetto migratorio non rimane fisso e risulta sempre soggetto a modificazioni. Capita a volte che lo straniero cambia i suoi piani dopo un po’ di tempo, decidendo di allungare la permanenza e a questo punto potrebbe trovarsi in una situazione linguisticamente svantaggiata, se sente il bisogno di imparare bene le strutture della lingua, pur essendo allo stesso tempo capace di comunicare in qualche modo con i nativi. Molti avvertono tale bisogno in particolare quando i

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figli crescono nel paese ‘straniero’ e conquistano la padronanza linguistica per cominciare a criticare la ‘bassa’ competenza e la ‘cattiva’ pronuncia dei genitori. Abbiamo quindi immigrati che vivono da anni in Italia e forse hanno anche la cittadinanza italiana, ma che mostrano una competenza linguistica notevolmente ridotta. Riprendendo il modello di BROWN (§ 1.2.3.3.1.), questo sarebbe il caso di chi arriva al quarto stadio, raggiungendo cioè una buona acculturazione senza aver acquisito la padronanza della lingua.

1.2.3.3.3. Integrazione vs segregazione

1.2.3.3.3.1. Rapporto tra lingua e inserimento lavorativo e sociale

È un’opinione diffusa tra i ricercatori che “l’acquisizione della lingua del paese ospite è il “passaporto” che consente allo straniero l’integrazione sociale e lavorativa” (ALBERTO &

ALLEMANO, 2001: 43). La conoscenza della lingua, anche a livello elementare è spesso molto importante, in particolare quando il datore di lavoro è italiano o straniero e non condivide un’altra lingua con il nuovo arrivato. Durante la registrazione con immigrati egiziani a Milano, uno degli intervistati, che fa il saldatore e conosce molto poco la lingua, ha raccontato di essere stato cacciato più volte dal lavoro perché non capiva gli ordini del capo e anche se all’inizio, accompagnato da un connazionale che faceva da interprete, gli era possibile eseguire alcuni lavori, veniva poi lasciato al suo destino senza mediazione linguistica e come è prevedibile sbagliava nell’esecuzione dei compiti assegnatigli malgrado la

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sua professionalità. La lingua, quindi, va considerata uno strumento d’importanza non indifferente per conseguire un felice inserimento nel mercato del lavoro, che a sua volta trascina il lavoratore straniero a far parte in un segmento della realtà italiana, esponendolo più frequentemente alla lingua, aumentando le sue conoscenze linguistiche e forse anche integrandolo, almeno parzialmente24, nella nuova società.

1.2.3.3.3.2. Fattori confluenti all’integrazione

La prospettiva di permanenza in Italia è considerata un forte stimolo all’inserimento sociale e non solo lavorativo, cioè all’integrazione nella società ospite, in modo che lo straniero comincia a diventare un membro attivo a tutti i livelli nella sua nuova società, avendo gli stessi diritti e doveri dei cittadini del paese ospite. Eppure, si dà a volte il caso che il migrante con un progetto migratorio non breve opta per la chiusura dentro la propria comunità e per l’isolamento dalla società ospite, come nel caso dei cinesi e dei filippini. In tal caso l’isolamento intralcia e neutralizza l’impulso del progetto migratorio (cfr. ANDORNO & BERNINI, 2003: 30).

L’autosegregazione potrebbe avere come una delle cause la scarsa motivazione di conoscere la lingua e la cultura del paese

24 C’è l’opinione diffusa tra molti egiziani intervistati in Italia che la padronanza della lingua italiana importa poco e che basta conoscere due parole per poi arrangiarsi con i gesti o altro. Infatti, si sente dire che tra le problematiche a cui l’immigrato arabo e musulmano deve venir incontro la lingua sia una goccia nel mare. Tale tendenza viene ancora più favorita da due ragioni: 1- l’ineluttabile nostalgia per la casa e, insieme, la determinazione a tornare prima o poi in patria, dopo essersi assicurati un futuro economicamente più stabile; 2- la solidarietà tra i membri della stessa comunità e la dipendenza, anche economica, del disoccupato dagli amici e/o dai parenti con cui condivide l’abitazione.

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ospite (cfr. § 1.2.2.5.1.). In proposito, le comunità filippina e cinese sono le più citate come esempi di comunità chiuse e isolate dal resto della società. ORLETTI (1988) lega a tali atteggiamenti d’isolamento la persistenza di spiccate caratteristiche di semplificazione nelle interlingue di soggetti filippini con una lunga permanenza in Italia. Infatti, la messa in contatto con gli informanti è risultata un processo lento che ha richiesto la ricerca prolungata nei luoghi d’incontro riservati ai membri della comunità, che sono difficilmente ritrovabili altrove. L’autrice avverte in tale chiusura un tentativo di mantenere le barriere nei confronti della comunità ospite e delle altre comunità con cui si viene a contatto sul territorio straniero. “Sarebbe, in ultima analisi, un atto di identità attraverso cui il parlante comunica non la sua identificazione con un gruppo quanto la sua volontà di non identificarsi fino in fondo con la comunità ospite e con quelle degli altri immigrati” (1988: 157). Questa interpretazione si rifà in parte alla presunta personalità dell’apprendente, alla sua estroversione e al suo senso di identità (cfr. §1.2.2.5.2.).

In un’ottica diversa, si potrebbe giustificare il fenomeno di segregazione con il fatto che i nuovi migranti, al loro arrivo, si trovano in grosse difficoltà di orientamento e di ambientazione e quando, per giunta, devono affrontare un fastidioso, in quanto impegnativo e difficile, processo di acquisizione linguistica potrebbero decidersi, qualora trovino una via d’uscita, a concentrarsi esclusivamente sul lavoro, rifugiandosi nella propria comunità per appagare le proprie esigenze sociali e psicologiche.

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1.2.3.3.3.3. Elementi dell’integrazione

Cominciamo con la socializzazione nel tempo libero che distingue le persone intente all’integrazione da coloro che vogliono limitarsi a migliorare le proprie condizioni economiche. Questi ultimi fanno una vita sociale molto ridotta, ma non del tutto priva di contatti sociali, almeno con i connazionali. Invece, l’immigrato che frequenta italiani ha l’occasione di praticare la lingua, di conoscere più da vicino i modi di vita degli italiani e di abituarsi a gustare i loro stili di vita. Detto ciò, la vita sociale non si misura solo in funzione delle intenzioni integrative, ma anche, più profondamente, in funzione della personalità dell’individuo.

L’accesso ai mass media del paese ospite tramite la visione della TV e la lettura dei giornali dovrebbe migliorare il livello linguistico dell’apprendente e insieme aiutarlo notevolmente nell’acculturazione. Ma la disponibilità all’esposizione ai mass media costituisce un comportamento di apertura e d’integrazione nei confronti della società, che richiede un buon atteggiamento nei confronti della lingua e della cultura del paese ospite e la tolleranza dei suoi valori sociali. Tale apertura può essere a sua volta stimolata da un progetto migratorio abbastanza lungo, da condizioni di lavoro perlomeno discrete, con orari non molto pesanti e, inoltre, da condizioni economiche e abitative abbastanza decenti.

L’attività lavorativa è un tratto sociale che incide sia sull’atteggiamento verso la società ospite sia sul progetto migratorio, nonché sulla competenza linguistica. Indagando nella loro ricerca il rapporto tra il tipo di occupazione e l’apprendimento, FIBBI & VEDOVELLI (1988) rilevano una prestazione linguistica prevalentemente alta nei lavoratori

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domestici e legano questo dato ai vantaggi offerti dal contesto interazionale variato che tale tipo di lavoro consente.

La durata di permanenza è teoricamente influente in base alla considerazione che la presenza nel paese straniero debba comportare la continua esposizione alla lingua bersaglio, ma tale influsso diretto della permanenza prolungata non è garantito quando l’immigrato si isola dalla comunità ospite sia inserendosi nel mondo del lavoro dopo molto tempo di attesa sia lavorando solo con connazionali o immigrati di altre nazionalità e, quindi, comunicando in una lingua diversa dall’italiano. Inoltre, le donne che restano in casa tardano nell’apprendimento della lingua (cfr. ALBERTO & ALLEMANO, 2001: 56). In altri termini, la durata di permanenza è importante solo in funzione di altri fattori quali gli atteggiamenti sociali e il tipo e la quantità di input.

La nazionalità del coniuge costituisce un elemento decisivo per l’inserimento sociale, essendo di rilevanza ineguagliabile per l’apprendimento linguistico e culturale. La vita con un/a consorte italiano/a si può considerare il grado più intenso di socializzazione e di acculturazione, poiché inserisce automaticamente lo straniero in un contesto italiano che lo circonda sia dentro che fuori casa.

In casi contrari, come nelle coppie egiziane per esempio, si è osservato che le mogli, che di solito arrivano senza una conoscenza precedente della nuova lingua e si annoiano a stare tutto il giorno sole a casa, lontano dalla famiglia e dalle amiche, si mettono a lamentarsi e incoraggiano continuamente i mariti al ritorno in patria; e se non ci riescono per motivi economici, cominciano a distrarsi solo quando fanno bambini. Col passar del tempo, sotto le pressioni economiche e quando i

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figli diventano culturalmente, linguisticamente e anche ufficialmente italiani, molte donne egiziane si rassegnano alla fine a cambiare paese,. Ma senza la consolazione datale dai bambini le prospettive di una sistemazione definitiva all’estero continuano a presentarsi inaccettabili per la maggior parte delle donne egiziane.

1.2.3.3.4. L’atteggiamento

L’atteggiamento è una variabile rilevante a livello sociale, che costituisce un punto d’intreccio di altri elementi del profilo socioculturale. All’atteggiamento nei confronti della società ospite potrebbero essere ricondotte le intenzioni d’integrazione e la fisionomia del progetto migratorio e in funzione di esso cambia la propensione ad imparare la lingua.

L’atteggiamento positivo viene determinato da vari fattori, tra cui, innanzitutto, segnaliamo la personalità, in specie l’empatia e il senso d’identità (cfr. § 1.2.2.5.2.). Inoltre, la soddisfazione del proprio lavoro e del proprio guadagno coltiva la stima del paese in cui si lavora. In altre parole, le condizioni economiche, abitative, lavorative e anche sociali costituiscono un fattore determinante dell’atteggiamento, che si manifesta nella velocità di apprendimento e nel livello raggiunto in L2 così come nella frequenza d’impiego dell’italiano nella comunicazione con italiani e stranieri, sul lavoro e fuori. Sicchè, i lavoratori che in Italia tengono a parlare la L2 esprimono il loro atteggiamento positivo verso la lingua e verso l’integrazione. Con questa tendenza, loro aumentano anche le proprie conoscenze linguistiche; e più praticano la lingua e più si acculturano, più

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acquisiscono la fiducia in sé e la soddisfazione di aver imparato cose nuove, il che agevola il processo d’integrazione. Questa dinamica ci offre un esempio del fatto che i motivi che stanno dietro alle scelte dell’apprendente e gli effetti di tali scelte si influenzano reciprocamente e si concatenano a determinare il profilo psicosociale e sociolinguistico dell’immigrato.

Si osserva che l’interazione delle variabili varia man mano che si sviluppa il contatto con la cultura straniera. A mo’ d’esempio, le condizioni di lavoro possono o stimolare gli atteggiamenti positivi o soffocarli. La buona attitudine, come tratto della personalità, può essere neutralizzata dall’atteggiamento negativo o dalle cattive condizioni sociali ed economiche; la socializzazione attiva all’inizio dell’apprendimento potrebbe venir meno in conseguenza ad attriti con i membri della comunità ospite o a causa della sofferenza di differenze culturali che prima non erano evidenti; e viceversa. Quindi, si può concludere che le variabili socioculturali e individuali vanno considerate integralmente, in quanto concorrono tutte insieme a condizionare il processo d’apprendimento. Oltre a questa complessità dello sviluppo sociolinguistico l’apprendimento spontaneo è, in fin dei conti, un processo di carattere “in gran parte «individuale» e differenziato” (BANFI, 1993b: 38).

1.2.3.3.5. Scala dei fattori sociambientali

Il rapporto tra il livello in lingua italiana e le variabili socioculturali viene confermato empiricamente nello studio di FELICI et al. (1994) dove si osserva una correlazione più netta ai

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livelli estremi della scala sociolinguistica, nel senso che i soggetti che mostrano abilità linguistiche alte godono di buoni condizioni e inserimento socioculturali e viceversa (pp. 490-491).

FIBBI & VEDOVELLI (1988) analizzano le correlazioni tra il percorso di apprendimento e i fattori sociambientali attraverso la definizione del profilo socioculturale dei soggetti da un lato e la determinazione del loro livello linguistico tramite varie prove che ne testano le capacità comunicative e il patrimonio lessicale dall’altro lato. Dall’analisi dei loro dati si è riscontrato che la durata di permanenza in Italia, assieme alla lunga esposizione alla lingua, sembra il fattore più incidente sulla competenza linguistica. La ricca vita sociale, l’accesso ai media e la lettura dei giornali vengono parallelamente a favorire l’acquisizione linguistica. L’eventuale frequenza di corsi di lingua italiana incide positivamente sul processo di apprendimento anche se rimane una percentuale considerevole di soggetti che non hanno tratto il presunto vantaggio dall’istruzione. L’intenzione di rimanere in Italia si profila in questa ricerca come una variabile neutralizzata da condizioni oggettive, che ostacolano la realizzazione del progetto migratorio.

La determinazione della rilevanza o del rango rivestito da ogni variabile dell’apprendimento spontaneo costituisce, come afferma VEDOVELLI (1994: 541), uno dei problemi più delicati e più complessi in questo ambito di ricerca che diventa ancora più complesso per l’esiguità degli studi empirici.

VEDOVELLI (1994: 541-542) e FELICI et al. (1994: 486-487) espongono, in conclusione di una ricerca congiunta, la scala dei

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fattori extralinguistici che condizionano l’apprendimento in ordine decrescente, cominciando al grado più alto con l’età;

seguono al secondo posto la scolarità, la frequenza di corsi preparativi d’italiano in patria e la lettura dei giornali.

Si profila subito dopo l’inserimento sociale nel paese straniero: l’attività lavorativa, le persone frequentate nel tempo libero, la lingua (o le lingue) usata nella comunicazione con italiani e stranieri sul lavoro e fuori, il progetto migratorio e il grado di soddisfazione della permanenza in Italia.

Al quarto posto di rilevanza VEDOVELLI colloca la nazionalità del coniuge, la visione della TV e il livello di soddisfazione del guadagno in Italia.

Di quinto grado sono la lingua usata con i figli, il luogo di abitazione, le persone con cui si vive e la durata di soggiorno in Italia, alla quale non si dà un peso maggiore in quanto considerata rilevante in relazione alla variabile dei contatti e la frequenza d’esposizione all’input.

Al sesto grado figurano la conoscenza di altre lingue, la professione in patria, l’atteggiamento verso l’italiano e l’autovalutazione in questa L2.

In fondo alla scala restano, tra gli altri fattori, l’attività scolastica dei figli e le amicizie con gli italiani.

FAVARO (1988: 49) si riferisce a un progetto di ricerca tedesco condotto all’Università di Heidelberg25 sull’influenza dei fattori extra-linguistici sulla L2 di immigrati italiani in Germania e arriva a scalare in ordine d’importanza tali fattori che condizionano la qualità della L2, in particolare della 25 Il progetto tedesco è stato il primo in Europa a considerare i problemi sociolinguistici dell’immigrazione. Per una presentazione breve dei progetti di Heidelberg e ZISA si veda GIACALONE RAMAT (1986a).

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comprensione e dell’espressione orale. Mentre la durata di soggiorno non viene considerata un fattore principale (cfr. supra), in cima alla scala si osservano i contatti con amici italiani in ambienti extra-lavorativi;

al secondo l’età al momento d’arrivo nel paese d’immigrazione;

al terzo i contatti con nativi sul lavoro; al quarto posto “la situazione abitativa” e i rapporti sociali

di partecipazione o di ghettizzazione che sviluppano entro questo ambito;

al quinto posto la professione in patria e al sesto la scolarità. L’autrice (ivi: 50-52) verifica il ruolo di tali fattori sociali

nell’apprendimento dell’italiano da parte di immigrati a Milano e osserva la discrepanza dalla situazione in Germania. Le risulta che i contatti con gli italiani al di fuori del lavoro sono scarsi, in parte perché gli immigrati trovano più sicurezza nel socializzare con i loro connazionali. L’età che potrebbe costituire una variabile a favore dell’immigrato giovane viene non di rado neutralizzata dall’emarginazione sociale, cioè dal mancato scambio comunicativo. Riguardo ai contatti con autoctoni sul lavoro FAVARO afferma che la comunicazione non prende la forma di uno scambio alla pari, e rimane di solito passiva da parte dell’immigrato a cui basta capire gli ordini e le istruzioni, in quanto la maggior parte degli immigrati lavora nei servizi. Inoltre, le degradate condizioni di abitazione degli immigrati, che si trovano ammucchiati in piccole abitazioni con connazionali, costituiscono un altro ostacolo allo sviluppo delle loro capacità comunicative nella lingua italiana (cfr. § 1.3.1.2.). Diversamente dalla ricerca condotta sugli immigrati in Germania, dove la

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scolarità è determinante della qualità del lavoro e, di conseguenza, del livello economico e sociale, in Italia la qualifica professionale e la scolarità si limitano a rendere l’immigrato più attivo e consapevole nel condurre il processo di apprendimento (quindi privilegiano solo il processo cognitivo, ma non lo superano per avere risvolti positivi sul piano sociale garantendo, per esempio, maggiore esposizione alla lingua d’arrivo).

In definitiva, i tratti socioculturali che abbiamo esposto costituiscono un quadro generale di cui dovrebbero variare alcuni tratti a seconda del paese ospite e delle comunità straniere. Il paragrafo seguente cerca di rintracciare alcune delle condizioni di vita degli apprendenti egiziani.

1.3. GLI APPRENDENTI EGIZIANI

Nelle due modalità di apprendimento (spontanea e guidata)

differiscono i contesti, i ruoli degli apprendenti e le loro esigenze, nonché i pubblici che costituiscono l’argomento del presente paragrafo, nel quale trattiamo degli apprendenti egiziani della lingua italiana. Per introdurre agli apprendenti spontanei occorre presentare dati generali sugli immigrati in Italia in specie sulle comunità arabe di cui fa parte la comunità egiziana. Gli apprendenti guidati in Egitto sono incentrati per lo più al Cairo e si collocano nel quadro ricco dello studio di lingue straniere nel Paese. In merito, sono stati fondamentali e persino indispensabili i dati raccolti per mezzo del questionario somministrato a ben 754 studenti di lingua italiana (cfr. § 1.3.2.2.1.).

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1.3.1. L’immigrazione straniera in Italia

1.3.1.1. Generalità statistiche26

Il fenomeno dell’immigrazione, con i problemi che comporta, ha assunto dimensioni ragguardevoli in Italia negli ultimi vent’anni, in quanto prima l’Italia era un paese esportatore di lavoratori e di emigrati in tutto il mondo, ma ora circa due terzi degli immigrati in Europa vanno in Germania, Gran Bretagna e Italia.

I lavoratori stranieri in Italia costituiscono gruppi molto eterogenei per origini, scolarizzazione, religione, lingua e cultura. Non è possibile determinare con precisione le vere dimensioni dell’immigrazione a causa degli ingressi clandestini e anche per i frequenti cambiamenti di progetto da soggiorno per studio, turismo o visita famigliare, ecc., a immigrazione per lavoro. In effetti, lo studio è una motivazione della partenza per l’Italia che non viene veramente perseguita se non da una percentuale esigua (cfr. ORLETTI, 1988: 145).

I dati confermano la crescita del numero degli immigrati nell’ultimo decennio del secolo scorso e anche nei primi anni del terzo millennio. Secondo le statistiche Istat del 2000, basate sulle registrazioni anagrafiche dei comuni italiani, al 1° gennaio 1998, l’incidenza percentuale degli stranieri in Italia è stata pari all’1,7% della popolazione residente, un valore che collocava l’Italia tra i paesi europei con la più bassa percentuale di stranieri 26 I dati sugli immigrati sono riportati dai siti: www.istat.it, www.caritasroma.it/immigrazione, www.ares2000.net, www.stranieriinitalia.it.

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nella popolazione complessiva, ma la crescita negli anni successivi si presenta molto rapida e nel 1999 gli stranieri costituiscono nel loro totale il 2,6% della popolazione italiana.

All’inizio del 2003 il XIII rapporto Caritas sull’immigrazione riporta i dati del Ministero dell’Interno, secondo i quali le presenze legali di stranieri contano circa 2,395,000, incidendo quindi del 4,2% sulla popolazione per avvicinarsi così alla media di presenza straniera in Europa (5,2%).

La migrazione è di norma per motivi economici, ma anche spesso per motivi politici dai continenti extraeuropei e anche dai paesi dell’Est d’Europa. La popolazione straniera risiede soprattutto nel Nord e nel Centro d’Italia. Il primo paese di provenienza è il Marocco e i nordafricani costituiscono al 1o gennaio del 2001 il 19% degli stranieri in Italia. La migrazione maschile è comunque superiore nel suo totale alla migrazione femminile, la quale proviene soprattutto dalle Filippine e dalle isole di Capoverde.

Da metà anni ’90 s’impone il fenomeno del ricongiungimento familiare, che dimostra l’intento dei cittadini stranieri di stabilirsi in Italia e aumenta le presenze femminili e di minorenni, in particolare per le comunità di più antica immigrazione come quelle dell’Africa settentrionale. Una buona parte dell’incremento della popolazione straniera è dovuta, inoltre, alle nascite in Italia oltre che all’arrivo di minorenni per ricongiungimenti familiari.

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1.3.1.2. Condizioni di vita degli immigrati

Gli immigrati devono affrontare diversi problemi che compromettono la loro sopravvivenza nella nuova società: dalla ricerca di lavoro e di alloggio, allo sfruttamento e il rifiuto che segnerebbero drammaticamente la loro vita. FIBBI & VEDOVELLI (1988) testimoniano la politica di discriminazione degli immigrati, la manipolazione del fenomeno dell’immigrazione a fini politici, la mancanza di tutela legislativa della generalità dei lavoratori stranieri e, di conseguenza, la loro posizione marginale in condizioni socialmente svantaggiate. “La discriminazione non consiste solo negli atti compiuti per strada, ma comprende anche le ingiustizie sul luogo del lavoro, il diverso trattamento incontrato in banca al momento di accendere un conto corrente e le difficoltà incontrate nella ricerca di un alloggio presso le famiglie o le agenzie” (XI rapporto Caritas, 2001).

A livello economico gli immigrati svolgono un ruolo innegabilmente positivo. Dati forniti dall’Ares (Associazione di ricerca socio-economica) sulla produttività degli immigrati in Italia nel 2000 evidenziano che gli stranieri producono il 3,2% del prodotto interno lordo (Pil) all’anno. FIBBI & VEDOVELLI (1988: 25) registrano un doppio ruolo degli stranieri nel mercato del lavoro dove, da una parte, alcuni lavori non sono più attraenti per gli italiani come i servizi domestici, le pulizie e l’artigianato, e dall’altra, l’impiego degli stranieri riduce i costi del lavoro nei campi che richiedono molta manodopera, quale l’edilizia, l’agricoltura e la ristorazione. Si osserva anche che, rispetto agli altri paesi d’Europa, l’Italia, in generale, non consente

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l’inserimento professionale qualificato e non offre le possibilità di carriera e di impieghi di prestigio: non se ne lamentano solamente i filippini di alto profilo d’istruzione intervistati dagli autori, ma anche gli egiziani incontrati nel corso della raccolta di materiale fonico per la presente tesi. Non mancano, d’altronde, i problemi del lavoro nero che riguardano sostanzialmente il settore dell’agricoltura e, ancora di più, quello dei servizi.

Le condizioni abitative sono alquanto deteriorate in case sovraffollate e spesso occupate abusivamente come conseguenza della disposizione degli stranieri ad accettare tutto. Molto spesso la tolleranza di situazione abitativa degradata nasce dalla determinazione a risparmiare il più possibile in vista dell’imminente rientro in patria, il che va di pari passo con la poca disponibilità a integrarsi e, insieme, aumenta il desiderio di tornare a casa, ravvivando in tal modo la diffidenza reciproca tra la comunità straniera e i nativi. Eppure, i lavoratori stranieri si trovano molto spesso costretti a vivere tale precarietà in quanto estranei e disambientati e non di rado irregolari27. Un esempio della discriminazione, come afferma il rapporto dell’Ares, 27 Dal dossier dell’Ares sugli alloggi degli immigrati nel 2000 riportiamo alcuni passi rappresentativi “Approfittando della disponibilità degli immigrati e della loro necessità di gestire spesso situazioni di irregolarità, è stato attivato un mercato specifico con diffuso ricorso ad abitazioni sotto standard, ad un patrimonio fuori mercato di edifici sotto i limiti di abitabilità già considerati irrecuperabili alle esigenze della popolazione locale. … Circa 600.000 immigrati in Italia, …sono in costante ricerca di un alloggio. Nel frattempo sono costretti a dormire sotto i ponti, in macchina, in carrozze ferroviarie abbandonate, in baracche, in centri di prima accoglienza, in dormitori pubblici, in centri di detenzione "amministrativa",… in magazzini … [a pagamento] insieme ad altre decine di sfortunati, in centri sociali, in case occupate, in edifici pericolanti oppure, i più fortunati, trovano ospitalità presso altre famiglie di immigrati. Per cercare di soddisfare od alleviare questa fame di case gli interventi pubblici sono scarsi e disorganici, e ci si affida quasi esclusivamente alle associazioni di volontariato” (“Il colore delle case”, dal sito: www.ares2000.net). Questo aspetto del fenomeno ci aiuta a capire le pressioni che la società e lo Stato italiano si trovano ad affrontare per neutralizzare gli effetti della situazione che di giorno in giorno sta diventando insostenibile.

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consiste nel rifiuto dei proprietari, diffidenti, di affittare a stranieri o nell’imposizione di garanzie esagerate che normalmente non vengono richieste a connazionali. “Ed agli extracomunitari di colore la maggior parte dei proprietari preferisce non dare la propria casa e tenerla sfitta” ( “Il colore delle case”, in www.ares2000.net).

A livello d’inserimento sociale, dalla parte degli autoctoni si osserva la prevalenza tra gli italiani della figura del “tollerante passivo” che non è ostile alle minoranze, ma non vuole che si faccia qualcosa per favorirne l’integrazione (www.stranieriinitalia.it).

In generale, le indagini dimostrano che i contatti degli

immigrati con gli italiani sono molto ridotti, non solo nel tempo libero: “Gli scambi comunicativi entro gli spazi del lavoro sono inesistenti, ripetitivi, e, comunque, di tipo passivo: capire un ordine, una consegna, un’istruzione.” (FAVARO, 1988: 51).

E dalla parte dei migranti, infatti, si è rilevato negli ultimi anni che, a differenza di prima, loro si chiudono in “enclave autoreferenti” senza doversi mettere in contatto con la realtà italiana né inserire nella società (ALBERTO & ALLEMANO, 2001: 48). Tale quadro oscuro della vita migratoria potrebbe avere come elemento costitutivo il livello scolare e sociale basso degli immigrati che, oltretutto, non riescono, davanti alle esigenze economiche e il senso di estraneità, a mostrare il meglio di sé per avvicinarsi di più alla comunità nativa e per migliorare la propria vita.

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1.3.1.3. Gli arabi e gli egiziani in Italia28

Tra gli arabi che costituiscono circa il 18% degli stranieri in Italia, i marocchini figurano come primi per consistenza numerica. ALBERTO & ALLEMANO (2001) osservano nel campione di studenti marocchini che frequentavano corsi di formazione in lingua italiana a Torino due motivazioni principali che stanno a cuore del loro progetto migratorio: la ricerca di lavoro e una migliore realizzazione di sé; un’altra motivazione segnalata è il ricongiungimento alla famiglia.

ALBERTO & ALLEMANO (2001: 53) registrano nella maggior parte degli immigrati arabi da loro osservati una

28 In Occidente i musulmani vengono a torto identificati con gli arabi, ma resta vero che una buona parte degli arabi è musulmana, per cui le ricerche e le inchieste sull’Islam in Italia possono offrirci alcuni dati significativi e interessanti. In generale, i flussi musulmani in Italia sono eterogenei nelle provenienze, nella composizione sociale e anche nelle motivazioni all’emigrazione. È soprattutto immigrazione di operai che si occupano in primo luogo delle mansioni più insalubri e pericolose. Il loro inserimento socioeconomico, però, risulta flessibile e le esigenze religiose non si trovano in contrasto con le esigenze lavorative (cfr. PEROCCO, 1999: 51; 1999a: 103). Un’inchiesta pubblicata nel settimanale Famiglia Cristiana nel 18 marzo del 2001 tenta di presentare un profilo dell’inserimento socioculturale dei musulmani. I risultati si possono riassumere come segue: il 70% degli intervistati frequenta solamente connazionali; il 52% vive da solo o con amici, il 20% con il coniuge; più dell’80% è arrivato in Italia per motivi di lavoro e la maggior parte dei ricercatori di lavoro sono di livello educativo basso. Le difficoltà maggiori che gli intervistati hanno affrontato al loro arrivo sono state la ricerca di lavoro e alloggio, specialmente nel Centro-Sud e nelle isole. Per integrarsi meglio si è disposti maggiormente a rinunciare alle abitudini alimentari (41%); meno immigrati possono rinunciare alle proprie tradizioni (20%), mentre il 13% rinuncerebbe anche alle proprie idee religiose; è da segnalare, in proposito, che le donne musulmane sembrano più legate alla propria fede e alle proprie tradizioni. Il trattamento degli italiani è considerato generalmente buono: il 60% lo ritiene buono, il 44% lo trova sospettoso. Gli immigrati musulmani, specialmente nel Nord, non accettano più che altro i ritmi di vita e i rapporti umani (37% e 35% rispettivamente). Sentono la mancanza soprattutto dei familiari e poi dei luoghi di culto e di aggregazione con i membri della propria comunità (il rapporto afferma che questo dato riguarda più le persone “a basso profilo scolare”). Inoltre, le persone arrivate in Italia da poco tempo e le donne sentono il bisogno di informazioni in varie lingue e corsi di italiano.

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“precarietà delle condizioni di vita”. Negli anni Ottanta, a Milano, BANFI rileva tale precarietà nella difficoltà sul lavoro, l’abitazione degradata, l’assenza del permesso di soggiorno e la totale mancanza di assistenza sanitaria (cfr. 1986: 231).

In Lombardia, mentre i marocchini costituiscono la più grande comunità immigrata con il 43,8% degli stranieri, gli egiziani vengono al secondo posto e a Milano rappresentano il 16,2% di commercianti, ristoratori e piccoli imprenditori.

Secondo l’ambasciata italiana al Cairo, i cittadini egiziani che lavorano regolarmente in Italia sono 40 mila. L’ambasciata d’Egitto in Italia non consente al pubblico dati ufficiali sui suoi cittadini in Italia; tuttavia, dati ufficiosi si sono potuti ottenere dal consolato egiziano a Roma che fa una stima anche degli irregolari, che insieme ai regolari arriverebbero a 60 mila persone. Secondo il consolato, oltre alla comunità abbastanza numerosa a Roma, la maggior parte degli egiziani risiede al Nord, in particolare a Milano e a Genova; nel Sud, invece, sono incentrati in Sicilia e a Napoli, nelle periferie e in provincia.

I lavori che svolgono sono vari, ma sono sempre lavori umili che variano dalla ristorazione alla vendita dei fiori. Alcuni posseggono vivai e stazioni di servizio; pochi fanno i commercianti e, da circa 4-5 anni, pescatori egiziani entrano nelle acque italiane in piccole imbarcazioni. La criminalità tra gli egiziani, secondo il console, è ridotta al minimo rispetto alle altre comunità. Senza un contratto regolare l’ottenimento del permesso di soggiorno è diventato ultimamente assai difficile, specialmente per la diffidenza che si è diffusa dopo l’11 settembre del 2001. Inoltre, le prospettive di permanenza duratura si dissolvono di fronte al carovita, per cui molti si

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trovano costretti a tornare in patria anche prima di aver realizzato gli scopi prestabiliti. Di quelli che arrivano con intenzioni di lunga permanenza, secondo il consolato egiziano, si stabilisce solo il 30%, costituito per lo più da quelli che sono sposati con italiane (il 10% al massimo) o da quelli che riescono a diventare soci in ristoranti o simile.

A differenza di comunità compatte al loro interno, quali le comunità filippina, cinese ed eritrea, gli arabi a Milano, e di loro fanno parte gli egiziani, mostrano, per ragioni tra l’altro politiche ed economiche, più appartenenza ai loro piccoli gruppi di amici o, se presenti in Italia, ai nuclei familiari. I contatti, pur limitati, con gli arabi di altre provenienze si verificano per motivi religiosi nelle aggregazioni dei fedeli. Del resto, i contatti con gli italiani sono generalmente ridotti al minimo indispensabile, il che si potrebbe benissimo ricondurre alla prospettiva di un prossimo rientro in patria dopo il miglioramento delle proprie condizioni economiche (cfr. BANFI, 1993a: XII; 1988: 129).

Gli incontri svolti con lavoratori egiziani e con addetti all’ambasciata d’Egitto a Roma al fine di rinvenire dati per questa ricerca hanno rivelato che il problema della lingua è considerato in coda alle difficoltà che affrontano l’immigrato, se non fosse proprio insignificante (cfr. § 0.3.1.). Molti dichiarano che, in fin dei conti, si riesce a comunicare e che qualora non sia possibile esprimersi in italiano, ci si può arrangiare un po’ con i gesti e un po’ con vocaboli inglesi o francesi che, per vicinanza etimologica, somigliano alle parole italiane. Tuttavia, non sembrano del tutto ignari dell’importanza della lingua quelli che si lamentano di aver perso il posto di lavoro per l’infelice comunicazione con il

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datore di lavoro (cfr. 1.2.3.3.3.1.). La comunicazione, per quelli che sono poco intenzionati all’apprendimento, rimane limitata alla sfera professionale: molti degli intervistati a Milano non conoscono parole come albergo, pasticceria, barca e per qualcuno sono dei ‘termini tecnici’, irrilevanti per il lavoro. Per la maggior parte degli egiziani il progetto migratorio prevede il ritorno prossimo nel paese d’origine. Di conseguenza, il lavoro diventa l’unico scopo, mentre la vita sociale e i divertimenti si riducono al minimo nell’attesa del ritorno definitivo in patria.

Dall’osservazione dei questionari dei lavoratori egiziani intervistati a Milano, Roma e Napoli si è arrivati a conclusioni concordi con quanto rilevato nelle statistiche e nelle inchieste riportate poc’anzi. I ventisei informatori, quasi tutti diplomati, hanno come scopo il lavoro; il loro progetto migratorio è di breve termine, ma non di chiare dimensioni; le amicizie intime sono con egiziani e la maggior parte non ha amici italiani: chi ne ha, li chiama ‘amici di lavoro’. Si osserva che i parenti si attirano e si convincono ad emigrare costituendo nuclei abitativi di dimensioni non sempre piccole. Tutti ci tengono a mantenere i contatti con l’Egitto e la lingua da loro impiegata in Italia è prevalentemente l’arabo egiziano, mentre la lingua italiana è considerata non molto facile. L’ultimo dato è rilevante e collima con la poca disposizione ad imparare l’italiano, in quanto si ritiene che l’immagine di facilità della lingua accresca la sicurezza psicolinguistica dell’apprendente (cfr. VEDOVELLI, 2001a: 136). Tuttavia, quasi tutti affermano che se non fosse per la scarsità del tempo libero, avrebbero sicuramente fatto in modo di impararla, mentre uno degli

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informanti dichiara di non avere la ‘serenità’ per studiare la lingua.

1.3.2. L’insegnamento e l’apprendimento dell’italiano

in Egitto

1.3.2.1. L’insegnamento dell’italiano in Egitto

Nell’ambito dell’insegnamento di lingue straniere, si nota che le culture e lingue inglese e francese continuano a godere di più prestigio, da una parte per le relazioni politiche e commerciali diffuse e radicate, e dall’altra per l’invasione culturale nei media, dove, solo per dare un esempio della familiarità delle dette lingue, i film e le telenovelle, per lo più americani, non vengono doppiati, ma accompagnati dai sottotitoli. Naturalmente, l’attiva presenza delle comunità parlanti l’inglese e il francese si rispecchia nell’alta richiesta di laureati in queste lingue sul mercato di lavoro egiziano.

Detto ciò, negli ultimi anni le relazioni tra l’Egitto e l’Italia si stanno riprendendo costantemente, sia a livello commerciale29 sia a livello culturale, per la crescita notevole del flusso dei turisti italiani, il che crea opportunità di lavoro per quelli che

29 Dal sito dell’ambasciata d’Italia in Egitto (www.italembassy.org.eg) si ricava che l’Italia nel 2001 è stata il terzo partner commerciale dell’Egitto con un surplus a favore della prima, la quale si è presentata nello stesso anno come il quarto fornitore del mercato egiziano dopo USA, Germania e Arabia Saudita, nonché uno dei principali importatori dall’Egitto con una quota del 9,2% delle esportazioni egiziane. Di più, gli anni Novanta hanno visto una crescita notevole del numero delle joint-ventures italo-egiziane (123 dal 1991 al 2000) rispetto agli anni Ottanta (18 dal 1981 al 1990) e agli anni Settanta (11 dal 1975 al 1980).

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conoscono la lingua italiana in Egitto e incoraggia di conseguenza i giovani a battere la strada di questa lingua30.

1.3.2.1.1. Istituti privati

I corsi privati costituiscono una soluzione per gli interessati che non possono o non vogliono seguire un corso di laurea nella lingua, e per le persone che, in qualsiasi età, sentono il bisogno o la voglia di conoscere la lingua sia per usi pratici che per passatempo. Nel caso degli studenti universitari di lingua italiana, la frequenza di corsi rappresenta un modo per praticare la lingua di più (cfr. infra). L’Istituto Italiano di Cultura (IIC), in qualità di organo dell’ambasciata d’Italia in Egitto, organizza varie manifestazioni culturali quali mostre, proiezioni cinematografiche e forum dedicati agli scambi culturali tra i due paesi e, tra tante altre cose, tiene anche corsi di lingua italiana. La crescita dell’attività didattica nell’Istituto disegna un profilo rappresentativo dello sviluppo dell’interesse nella lingua italiana in Egitto.

Se attorno a metà anni Settanta i corsi di lingua italiana tenuti dall’Istituto accoglievano circa 15 studenti divisi su quattro livelli, agli inizi degli anni Ottanta il numero è cresciuto

30 Un tempo, gli italiani svolgevano un ruolo importante e attivo nella società egiziana, un ruolo che è venuto meno, però, a partire dagli anni Cinquanta del secolo passato. Basti ricordare il calo forte della presenza fisica degli italiani che nel 2000, secondo dati dell’anagrafe consolare riportati nel sito dell’Ansa (www.ansa.it), contano 5518 persone al Cairo e ad Alessandria, mentre nel 1927 costituivano la seconda colonia dopo quella greca con circa 52.500 persone coinvolte in attività produttive. Gli italiani occupavano vari posti nel mercato di lavoro egiziano, dalla meccanica, alla sartoria, la calzoleria, la pesca, la costruzione e la navigazione marittima. Quanto alle relazioni commerciali, l’Italia, dopo l’Inghilterra e la Francia, occupava il terzo posto di esportatore all’Egitto (cfr. ‘Cenni sull’attività economica degli italiani in Egitto’ in Il Giornale d’Oriente, marzo 1933, riportato in una selezione di articoli sul Bollettino degli italiani d’Egitto).

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per toccare la soglia di 120 persone. Degli anni Novanta abbiamo statistiche più dettagliate. Nella sessione di fine ’94 il totale degli iscritti era di 350 studenti distribuiti in 5 livelli; nella sessione settembre 1995-gennaio1996 hanno frequentato i corsi 756 studenti e 670 nel corso di settembre-dicembre 1997; è stato segnalato un calo all’inizio del 2003 in cui si sono iscritti 478 studenti.

Le sessioni prima erano due; attualmente, invece, sono quattro sessioni annue, di tre mesi ognuna. Inoltre, vista la crescente richiesta si sono avviati corsi estivi intensivi solo per alcuni livelli, in cui s’iscrivono in media 300 persone. Concludendo, i dati egiziani collimano con le statistiche internazionali riguardanti l’incremento numerico degli studenti negli IIC in tutto il mondo (cfr. VEDOVELLI, 2002: § 3.5.2.).

1.3.2.1.2. A scuola

L’italiano veniva insegnato come prima lingua straniera nelle scuole medie e superiori del Cairo, Porto Saìd e Alessandria (‘Cultura italiana in Egitto’, in Bollettino degli italiani d’Egitto, aprile 1988); la fioritura dell’insegnamento d’italiano nelle medie è durata per circa 15 anni a partire dagli anni Sessanta, ma ora l’insegnamento si è ridotto alle superiori in alcune scuole pubbliche come seconda lingua straniera (facoltativa)31.

31 Secondo dati ufficiosi, sono attorno a 80 scuole al Cairo e 60 ad Alessandria con 7000 studenti circa al Cairo nella prima e la seconda di liceo e 5000 circa ad Alessandria.

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1.3.2.1.3. All’università

In alcune facoltà di Lettere, Magistero e Belle Arti si tiene un piccolo corso di lingua italiana. Ma la laurea nella lingua si conferisce esclusivamente nel Dipartimento di Italiano nella Facoltà di Lingue ‘Al-Alsun’, alla fine di un corso di laurea di quattro anni. La facoltà conferisce, inoltre, i titoli di master e di dottorato in lingua e letteratura italiana. Prima esisteva una sola Facoltà di Lingue all’Università di Ain Shams al Cairo, ma nel 1997 è stata inaugurata un’altra Facoltà ‘Alsun’ all’Università di Al-Minia nell’Alto Egitto (Sud d’Egitto) con un piccolo dipartimento d’italiano.

L’insegnamento della lingua in facoltà è ovviamente di stampo accademico (cfr. EL-BAGHDADY, 1988: 4). Infatti, lo studio nella facoltà è variato e aiuta lo studente ad acquisire una buona conoscenza sia della lingua sia della cultura italiana, in particolare quella letteraria. Le materie principali sono la linguistica (si parte dalla grammatica basilare per arrivare in due anni alla sintassi del periodo); la traduzione dall’arabo in italiano e viceversa; letture varie di difficoltà crescente con lo sviluppo del corso; storia della letteratura italiana parallelamente con testi letterari applicativi.

Infatti, la traduzione occupa un posto d’onore tra le altre discipline, perché la facoltà fu istituita nel diciannovesimo secolo come scuola di traduzione. Gli studenti vengono addestrati a svolgere composizioni scritte sin dal primo anno, ma non assistono a lezioni esclusivamente dedicate alla conversazione né accedono per una buona parte del corso ad altri mezzi d’insegnamento al di fuori dell’insegnante, la lavagna e il libro,

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vista la scarsità dei mezzi audiovisivi32. L’accesso alla lingua italiana dei media richiede uno sforzo personale da parte degli studenti. La radio egiziana offre un programma giornaliero in varie lingue e trasmette un’ora in italiano in cui viene presentato un giornaleradio, seguito da varie trasmissioni curate e presentate prevalentemente da italiani. Negli ultimi anni si sono diffuse, inoltre, le antenne paraboliche che richiedono, tuttavia, un certo livello economico e una capacità di selezione del materiale adatto per l’apprendimento. Si possono consultare anche i libri corredati da cassette, di cui si trovano alcuni nella biblioteca della facoltà. Va sottolineato, infine, che l’importazione di libri dall’Italia a titolo personale non è semplice sia per le pratiche richieste sia per il costo elevato.

1.3.2.2. Gli apprendenti d’italiano in Egitto

Il quadro generale che abbiamo fornito dell’insegnamento dell’italiano in Egitto e delle relazioni italo-egiziane fa parte dello sfondo socioculturale degli apprendenti della lingua. Infatti, si osserva che questi sono molto sensibili agli sviluppi dei rapporti tra i due paesi e i due popoli, nonché alle conseguenti fluttuazioni sul mercato di lavoro. Agli istituti privati, ancora più che all’università, si rileva un calo nel numero dei ‘clienti’ durante o subito dopo gli anni in cui diminuisce il numero di turisti e viceversa. Sembra lecito a questo punto rivolgere l’attenzione al pubblico dell’italiano in Egitto al quale, però, non

32 È stato ultimamente riaperto, dopo i rinnovamenti, un laboratorio linguistico più grande e moderno.

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è stato dedicato il debito lavoro di ricerca33. Per sopperire alla mancanza di studi sull’argomento si è pensato di rilevare dati attraverso la tecnica del questionario, per la cui ideazione, peraltro, non esistono manuali. Quindi, per strutturare il questionario distribuito agli studenti ci si è armati della sensibilità all’argomento e ci si è ispirati ad altre ricerche sociolinguistiche che descrivono i questionari da loro impiegati (cfr. ad esempio VEDOVELLI, 1994; VEDOVELLI et al., 2001).

1.3.2.2.1. Il questionario

1.3.2.2.1.1. Scopo e struttura del questionario

Abbiamo detto che il questionario mira a far fronte alla mancanza di studi o sondaggi sociolinguistici sugli studenti di lingua italiana in Egitto. È stato sottoposto un questionario a 738 studenti del corso di laurea in italiano e a 16 studenti del corso post-laurea nella Facoltà di Lingue ‘Al-Alsun’ dell’Università di Ain Shams al Cairo nell’anno accademico 2001/200234. Infatti, gli studenti della Facoltà di Al-Alsun di Ain Shams si considerano un campione ricco e adatto a rappresentare gli apprendenti guidati di questa lingua in Egitto sia per la loro consistenza numerica (negli ultimi anni contano almeno 200 studenti in ogni anno di corso) sia per l’importanza della loro istituzione formativa, che costituisce la più vecchia istituzione a concedere la laurea in lingua italiana in Egitto. Questa facoltà, fino a pochi anni fa, è stata l’unica impegnata nell’insegnamento 33 In merito, EL-BAGHDADY (1988) si può considerare un contributo importante, perché offre una presentazione a grandi linee dello sfondo sociolinguistico degli studenti della Facoltà ‘Al-Alsun’ al Cairo. 34 L’anno accademico in Egitto inizia a settembre e termina con la fine del secondo semestre attorno alla fine di giugno.

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approfondito della lingua italiana in Egitto fino all’inaugurazione di un’altra Alsun nell’Alto Egitto.

Il questionario è scritto in italiano con a fronte la traduzione in arabo di ogni domanda. Vista la numerosità degli informanti non se li poteva intervistare a uno a uno. Il foglio è stato intestato in arabo dall’assicurazione che il nome dello studente non era richiesto e dalla precisazione che il questionario serviva solo a scopi di ricerca e non aveva a che fare con gli esami. Per maggiore trasparenza è stato anche scritto il nome della ricercatrice e dei suoi tutor (si veda il questionario in appendice 1).

Le aree tematiche in cui è diviso il questionario si possono riassumere in variabili socioculturali, storia linguistica del soggetto, motivazione e progetto professionale. Quanto ai dati personali, si è preferita l’anonimia al fine di ottenere risposte il più possibile esatte ed oneste, dando agli studenti l’occasione di esprimersi liberamente, senza che si sentissero in imbarazzo di dichiarare, per esempio, un livello economico o linguistico basso. Poi sono stati richiesti dati riguardanti lo sfondo sociale della famiglia; dati sulle conoscenze linguistiche precedenti, sull’atteggiamento nei confronti della lingua italiana e la possibile esposizione ad essa; dati sui consumi culturali degli studenti e sul livello da loro raggiunto nella lingua in ottica sia soggettiva (l’autovalutazione) sia oggettiva (i voti).

1.3.2.2.1.2. I dati ricavati dal questionario

Prima di presentare i dati e commentarli possiamo ricordare alcune generalità statistiche. Si nota innanzitutto la crescita

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costante del Dipartimento di Italiano in parallelo con l’aumento del numero degli iscritti nella facoltà negli ultimi vent’anni. Nell’anno accademico 1977/78 il dipartimento contava il 16% dei 1451 studenti della facoltà; nel 2002/2003 la percentuale rimane stabile con l’iscrizione del 17% dei 7051 studenti dell’istituzione universitaria.

Si osserva anche la preponderanza del sesso femminile in tutti gli anni di corso e in tutti i dipartimenti: nell’A. A. 1990/1991 le studentesse rappresentano il 72% degli iscritti alla facoltà e nel 2001/2002 costituiscono il 68% degli studenti del dipartimento nel corso di laurea. Il dato corrisponde alle osservazioni degli studiosi e degli insegnanti di lingua nel mondo (cfr. § 1.2.2.4.).

Nella tabella seguente (tabella 135) sono disposti i dati

rilevati dal questionario che verranno commentati successivamente. I valori sono in percentuale a eccezione della prima riga dell’età media e la riga della durata media di soggiorno in Italia. Qui sono riportati i dati rispetto al numero complessivo degli studenti, mentre nella tabella 2 i valori percentuali sono calcolati non rispetto al totale di tutto il campione, ma rispetto al numero degli appartenenti allo stesso sesso in ogni anno di corso (cfr. § 1.3.2.2.1.2.1.). Dopo il confronto tra i due sessi verranno commentati alcuni dati non inseriti nelle tabelle (cfr. § 1.3.2.2.1.2.2.).

I pochissimi e brevi soggiorni in Italia ci rivelano che i nostri apprendenti sono esclusivamente guidati, nel senso che non hanno avuto l’occasione di praticare la lingua e acquisire 35 V. la fine del capitolo per le tabelle 1, 2, 3.

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nuove conoscenze linguistiche sul territorio italiano. La maggior parte di loro ha cominciato l’apprendimento dell’italiano all’età media di 17 anni, mentre quelli che ne hanno una conoscenza precedente l’hanno studiato nella scuola secondaria superiore all’età di 14 anni circa. L’alta assiduità nella frequenza delle lezioni (il 70% in media) implica l’esposizione intensa all’apprendimento e alle varietà della lingua italiana in esso impiegate. Va chiarito, però, che l’insegnamento non si svolge sempre in italiano, ma varia a seconda dell’anno di corso e della materia insegnata. A parte la lingua araba impiegata a volte dai professori egiziani, gli insegnanti di provenienza italiana che non conoscono l’arabo potrebbero ricorrere all’inglese e al francese per chiarire alcuni significati. La stima che gli studenti hanno del proprio livello è generalmente buona e si nota che loro sono consapevoli dei loro limiti.

Le motivazioni degli informanti sono incentrate per lo più sul lavoro, quindi sono ‘strumentali’ e non integrative. Ma una percentuale non indifferente (attorno al 20%) è aperta alla possibilità di lavorare in Italia e, quindi, di viverci per qualche periodo. In secondo piano dopo la professione viene l’interesse culturale da parte di circa un quarto degli studenti, anche se non mancano gli invogliati che non hanno pretese, ma cercano una laurea qualsiasi.

In genere, si registra un’alta soddisfazione dello studio della lingua italiana, che peraltro diminuisce più ci si avvicina alla laurea e più le materie diventano impegnative. Ciò implica la soddisfazione sia dell’indirizzo di studi e delle materie che dello sviluppo del processo di apprendimento. Infatti, alcuni scontenti avrebbero voluto studiare altre lingue e ad altri

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sarebbe piaciuto fare lezioni di conversazione e non studiare troppe materie.

Praticando l’italiano, sembra che i ragazzi preferiscano parlare più che leggere: più della metà esercita spesso la lingua con i compagni e un po’ meno della loro metà ci tiene a leggere qualcosa in italiano; e mentre il 7% circa esercita poco l’italiano, il 17% non prova per niente a parlare in L2 coi compagni e il 23% non ricorre alla lettura.

Potrebbe essere un caso, ma la percentuale di quelli che hanno amici italiani collima con il dato sulla motivazione culturale dell’apprendimento della lingua. Il 25% ha amici italiani in Italia o in Egitto. Tramite internet il 5% dei nostri soggetti riesce ad annodare amicizie con italiani, un dato che conferma l’importanza della rete come strumento utile di acculturazione e una finestra che dà al mondo esterno. Infine, il 5% ha parenti egiziani in Italia.

I ragazzi consumano una buona parte del tempo libero davanti alla televisione, guardando programmi in lingue diverse dall’italiano. Poco più del 25% non ha altri passatempi, mentre il 40% circa guarda la tv solo per una parte del tempo libero. Sarà vero che la lettura non abbia ancora perso il suo fascino, ma la maggior parte dei lettori non la hanno come unico hobby. In coda agli interessi viene lo sport con una percentuale bassa, ma significativa.

Arriviamo alla valutazione oggettiva degli esami. Nei due semestri in cui è diviso l’anno accademico lo studente deve dare circa 10 esami scritti più uno orale. Nel questionario si conta sui voti per la formazione di un’idea del livello degli studenti, ma con questo siamo consapevoli del fatto che alcuni scrivono molto

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bene, ma parlano molto male e che alcuni, per le crisi di panico e altro, non danno il loro meglio sotto la pressione degli esami. Inoltre, si dà il caso di studenti che s’interessano a migliorare la propria competenza linguistica, ma che non hanno la vocazione per l’analisi del periodo o per la storia della letteratura e le correnti letterarie, ragion per cui non ottengono buoni voti nelle materie da loro trascurate. Detto ciò, gli esami non perdono la loro credibilità, perché l’interesse nella lingua e il conseguimento di un buon livello in essa si fanno sentire nei compiti scritti e nella pronuncia degli esaminati, il che si rispecchia nella consegna dei voti.

Il voto più conseguito è ‘buono’ (tra il 65% e il 79%), quindi il livello generale si potrebbe definire medio. Quanto a livelli più alti, risulta che il 15% circa supera l’80% di voto e il 5% consegue il voto ‘ottimo’. Nel 2000/2001 i bocciati in alcune materie costituiscono il 29% e nel 2001/2002 rappresentano il 17% del totale di quelli che hanno sostenuto gli esami nel dipartimento.

1.3.2.2.1.2.1. Tra maschi e femmine

Abbiamo accennato prima alla superiorità numerica delle ragazze che costituiscono la stragrande maggioranza in ogni anno di corso. Dopo che abbiamo già esposto i dati complessivi possiamo cercare di verificare se ogni sesso si distingue sociolinguisticamente dall’altro. Abbiamo optato per l’esposizione di questi dati in una tabella separata per comodità espositiva e per una più agevole impaginazione (vedi tabella 2).

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È facile notare che non si può parlare di grandi differenze tra maschi e femmine anche se si possono rilevare certe tendenze, alcune delle quali potrebbero essere banali, come la differenza di età media, ma costituiscono sempre tratti di diversità. Infatti, si riscontra qui una conferma dell’osservazione di BERRUTO (20016) riguardo al ruolo del sesso nelle correlazioni sociolinguistiche, che “è tutt’altro che univoco” (p. 99: cfr. § 1.2.2.4.).

Innanzitutto, le ragazze si dichiarano sempre più assidue nel frequentare le lezioni. Il dato è confermato dalla percentuale delle informanti (75,5%) che supera la loro percentuale negli elenchi degli iscritti nel dipartimento (68%).

Quanto all’autovalutazione sembra che le femmine siano comunque più caute o forse ‘modeste’ nel giudicarsi. Anche loro considerano il lavoro in Egitto la motivazione principale pur senza scartare la ricerca di un lavoro in Italia, che, comunque, rappresenta una scelta più frequente dei ragazzi, i quali nutrono meno interesse per l’approfondimento di una cultura straniera rispetto alle ragazze. Di contro, i maschi fanno più amicizie con gli italiani, ma la percentuale aumenta generalmente più crescono gli studenti.

Infine, i voti non risultano differenziati in funzione del sesso degli apprendenti, anche se al terzo e al quarto anno le ragazze conseguono voti comunque più alti.

1.3.2.2.1.2.2. Altri dati non inclusi nella tabella

Riguardo al profilo multilingue degli studenti la lingua inglese risulta conosciuta dal 100% degli informanti. I dati sulla

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seconda lingua straniera (L3) non sembrano attendibili perché alcuni non dichiarano di conoscere altre lingue oltre l’inglese. Ciò non può essere conforme alla realtà, in quanto il programma scolastico in Egitto prevede l’insegnamento di due lingue straniere, di cui la lingua inglese è obbligatoria. Nelle scuole private francesi l’inglese diventa la L3, mentre nelle scuole di lingua inglese e quelle statali l’inglese è la L2, che si inizia a studiare rispettivamente dalla scuola materna e dalla prima media. Nelle scuole di stato una L3 viene studiata nelle superiori. L’allievo sceglie tra il francese, il tedesco e l’italiano che divenne molto meno diffuso delle altre due lingue negli anni Ottanta e Novanta. Quindi, l’inglese non può essere l’unica lingua straniera conosciuta a scuola, ma forse la L3 viene scartata perché meno studiata e usata della L2.

Il livello socioeconomico degli informatori risulta impossibile da giudicare con precisione. Detto ciò, le risposte dei ragazzi ci offrono un’immagine non del tutto sfocata del loro sfondo sociale. Combinando le tre variabili incluse nel questionario, quartiere di residenza, professioni dei genitori e numero dei fratelli, si è potuto fare una stima, pur approssimativa, che possiamo riassumere nella prevalenza degli appartenenti agli strati medio e medio-basso rispetto a quelli dei ceti medio-alto e alto. Ci si è fondati sull’ipotesi che le professioni dei genitori che richiedono un alto livello di istruzione con il minor numero di fratelli siano indice di un migliore livello socioculturale, che a sua volta dovrebbe creare un’atmosfera più adatta allo studio e fornire i mezzi per una migliore acculturazione. Abbinando il livello del quartiere a

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queste due variabili si può desumere con un’approssimazione discreta il livello socioeconomico.

I lavori svolti d’estate sono vari e si possono denominare, appunto, lavoretti. Come si vede dalla tabella 1 la percentuale non supera il 25% tra gli studenti del quarto anno e più si va giù negli anni più diminuisce la percentuale. Alcuni lavorano con i padri, in particolare nell’artigianato o sui campi; alcune ragazze fanno le segretarie o le commesse; gli studenti più grandi svolgono lavori legati al campo del turismo, quale nella guida turistica, nella vendita nei bazar, o nella traduzione per le agenzie turistiche. Si osserva, nel contempo, una forte correlazione tra il tipo di lavoro svolto e il livello socioeconomico. In generale, più della metà di coloro che lavorano è di livello medio-basso. Gli appartenenti al ceto medio e medio-alto che lavorano s’impegnano nel turismo, nella traduzione o nell’insegnamento.

Gli informanti si sono dichiarati motivati professionalmente più che altro, e infatti le idee che hanno sul futuro lavoro sembrano abbastanza chiare. Il 38% circa mira a lavorare nel campo del turismo; il 35% nella traduzione scritta e simultanea; l’11% nell’insegnamento, mentre il 3% non ha ancora idee precise.

Va sottolineato, infine, che la scelta di anonimità del questionario si è rivelata efficace, in quanto si nota che molti studenti si sono espressi liberamente, anche se alcuni ragazzi hanno adoperato termini generici che non dicevano molto.

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1.3.2.2.1.2.3. I laureati

Gli studenti del corso di post-laurea (I e II anno propedeutico) costituiscono un campione limitato e diverso dal resto degli iscritti nel dipartimento d’Italiano. Sono in tutto sedici studenti e sono per lo più assistenti universitari che si dichiarano soddisfatti del loro studio e si giudicano a livelli alti nella lingua (vedi tabella 3). I loro voti nel quarto anno si aggirano attorno a ‘ottimo’(+90%) e ‘molto bene’ (+80%). I voti in lingua araba sono anch’essi alti, il che fa pensare che la padronanza della lingua madre non ostacoli l’apprendimento di altre lingue; il dato potrebbe essere anche indizio della disposizione degli studenti per le lingue. Si nota che i voti più bassi del 65% spariscono in questa tabella. Le prospettive di lavoro per quelli che non hanno ancora trovato posto sono proiettate sulla traduzione o l’insegnamento. I passatempi sono vari, tra i quali la lettura gode di una certa importanza. La sfera di amicizie italiane è grande, il che garantisce l’accesso degli apprendenti ad un’ulteriore risorsa linguistica.

Infine, va sottolineato che il livello economico e sociale di questi soggetti si profila medio-alto e che la correlazione tra i livelli culturale e socioeconomico da una parte e il livello scientifico dall’altra è evidente. Visto che questi studenti mostrano migliori prestazioni linguistiche, alcuni di loro sono stati registrati nella raccolta del corpus rappresentativo degli apprendenti egiziani guidati (cfr. § 3.1.).

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1.3.3. L’italiano degli apprendenti egiziani

In questo paragrafo cercheremo di presentare quanto è reperibile in letteratura sulla lingua italiana degli apprendenti egiziani, sia spontanei che guidati. Tale presentazione, però, non risulta facile dal momento che gli studi tipologici riservati a questo segmento di apprendenti sono molto pochi.

Infatti, vista la storia recente della ricerca sull’acquisizione dell’italiano come lingua seconda e, quindi, per la carenza relativa di studi tipologici esaustivi sulle L2 dei lavoratori e degli immigrati provenienti dai diversi paesi, non ci aspetteremmo una vasta bibliografia sull’italiano di una data comunità linguistica, specie gli egiziani. Nella letteratura sulla linguistica acquisizionale si osserva un grande interesse per i cinesi che rappresentano una parte rilevante degli informanti di molte ricerche. Parte dell’attenzione rivolta ai cinesi potrebbe essere ricondotta alla grande distanza tipologica tra il cinese e l’italiano. Per esempio, nello studio sull’acquisizione dell’espressione delle relazioni temporali in italiano L2, si è pensato che tale distanza rendesse difficile e rallentasse l’acquisizione, il che a sua volta poteva consentire un’osservazione migliore del processo di acquisizione (GIACALONE RAMAT, 1990: 16). Tale interesse potrebbe risalire, inoltre, alla peculiarità della loro collettività che si presenta numerosa, notevolmente zelante, compatta e isolata dal resto della società ospite.

Gli arabi in Italia, invece, sono molto di meno quanto a consistenza numerica. E malgrado l’opinione diffusa che l’arabo sia una lingua tipologicamente lontana dalla lingua italiana, i lavori incentrati sull’acquisizione dell’italiano da parte degli arabofoni sono scarsi. L’unico libro interamente dedicato alla L2

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di arabofoni (VEDOVELLI et al., 2001) presenta i risultati di un progetto di ricerca sociolinguistica, formativa e di linguistica acquisizionale sugli immigrati arabi apprendenti dell’italiano. Tale ricerca costituisce un passo rilevante verso una migliore osservazione dei contatti culturali e linguistici con gli arabi sul territorio italiano. Va sottolineato, però, che il libro non offre una caratterizzazione tipologica delle produzioni in italiano degli arabofoni. Non ci deve sorprendere quindi la mancanza in questo libro e in altri lavori di studi fonologici e prosodici, dal momento in cui non si può pretendere di trovare analisi del livello meno indagato in una delle comunità meno studiate36.

Nonostante il povero panorama di studi sugli immigrati arabi possiamo rilevare pochi contributi dedicati ai lavoratori egiziani in Italia. Faremo in seguito un’esposizione di tali studi, ma cercheremo prima di estrarre informazioni sparse su soggetti egiziani da altri lavori che hanno come oggetto di studio gruppi eterogenei di informanti non accomunati né dalla provenienza né dalla lingua madre.

In uno studio condotto su immigrati di varie provenienze, FELICI (1994) descrive la competenza linguistico-dialettale di un egiziano residente a Fondi (provincia di Latina) e osserva il suo atteggiamento negativo nei confronti del dialetto, che si rispecchia anche nella sua competenza dialettale, inferiore rispetto alla sua competenza linguistica generale che è più orientata verso l’italiano. Tuttavia, l’informante presenta tratti

36 Le relazioni secolari tra Italia e Egitto (cfr. nota 22) si rispecchiano a livello culturale in altri campi di studio. Da parte degli italianisti egiziani, per esempio, possiamo osservare una lunga serie di contributi linguistici e letterari, in cui gli studi contrastivi e la traduzione godono di una posizione importante (cfr. SAAD & ISKANDAR (1999); Sahifat Al Alsun)

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intonativi al cento per cento marcati regionalmente, mostrando la massima percentuale di occorrenza di tali tratti rispetto a tutti gli informanti. Tale dato collima con il profilo extralinguistico del soggetto che mostra il più alto grado di inserimento socioculturale dell’intero campione (cfr. p. 255) e, al tempo stesso, potrebbe essere riconducibile al fatto che il livello prosodico, a differenza di altri livelli, è meno soggetto alla selezione consapevole da parte del parlante dei tratti che lo compongono; di conseguenza, l’apprendente non ne può controllare la produzione in base a scelte contestuali o culturali (cfr. infra § 1.4.2.2.2. e conclusioni).

Studi centrati esclusivamente sulle produzioni di egiziani in Italia si riscontrano nei contributi di BERNINI (1988) e di BANFI (1986; 1988), che studia prevalentemente gli aspetti morfosintattici pur senza tralasciare completamente la fonologia segmentale che tratteremo con maggior dettaglio nel § 1.4.

Sul versante morfologico BANFI (1988: 130) segnala “elementi di instabilità e di non omogeneità” che si riassumono nella povertà della flessione nominale (spesso errata e con accordi carenti) e verbale (mancanza dell’accordo, sovraestensione dell’infinito).

A livello di organizzazione sintattica, i tre soggetti egiziani di BANFI (1988) mostrano un buon livello di strutturazione testuale e pragmatica, che rende decodificabili gli enunciati e, conseguentemente, efficace la comunicazione, malgrado l’agrammaticalità segnata dall’assenza della copula e dalla scorrettezza della flessione verbale. Si nota l’uso prevalente dell’indicatore sintattico perché per le causali e di quando per le temporali di fronte alla bassa ricorrenza della giustapposizione,

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la quale, accanto alla carenza morfologica, potrebbe non far passare il senso degli enunciati (pp. 130-137). È evidente, inoltre, la fissità delle congiunzioni quando, perché, per, così/allora, ognuna per una funzione (per una panoramica delle congiunzioni temporali e causali cfr. EL-BAGURY, 1980). Tuttavia, Banfi segnala la frequente occorrenza della giustapposizione, osservata anche in un’altra sua indagine (BANFI, 1986), come un elemento di semplificazione sintattica che accomuna le interlingue degli apprendenti spontanei a livelli iniziali (cfr. § 1.1.4.1.).

L’interesse per la competenza metalinguistica di apprendenti arabi è espresso in CEGLIA (2001), che osserva la diffusa conoscenza e capacità di individuazione della categoria del verbo da parte degli informanti arabofoni, rispetto a tutte le altre categorie proposte (articolo, aggettivo, avverbio, preposizione, pronome). Di contro, l’avverbio risulta il meno conosciuto come etichetta, il che concorda con la ridotta capacità dei soggetti di individuarlo nella frase. Il dato conferma l’affermazione di VEDOVELLI (2001b) che “come l’altra faccia della luna, anche la riflessione sulla lingua sorregge l’azione linguistica pur non apparendo sempre manifesta” (p. 111).

Gli studi sopraccitati vertono sull’italiano appreso spontaneamente sul territorio italiano. La ricerca di EL-BAGHDADY (1988), invece, esamina la lingua degli apprendenti guidati egiziani. Si tratta delle prestazioni scritte di quaranta studenti della Facoltà di Lingue del Cairo. In una sessantina di compiti di traduzione l’autore rileva una gamma di fenomeni interessanti che non riguardano solo la sintassi e la morfologia, ma che tradiscono anche la competenza fonologica degli studenti. L’autore sceglie un campione rappresentativo di

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studenti a un livello linguistico intermedio che hanno formato, cioè, una conoscenza della grammatica di base della lingua, ma che non si sono ancora liberati dall’influsso delle altre lingue europee studiate a scuola.

A livello morfosintattico sono segnalate le incertezze nella flessione e nel genere delle parole che finiscono in –e, come per esempio “buone lezione”, “le persone sofferente”; “la termine” “il pace”. Per quanto riguarda il genere, l’autore fa notare che alcuni sostantivi differiscono nel loro genere in arabo dall’italiano, il che sembra condizionare gli studenti che molto spesso attribuiscono alle parole il genere del corrispettivo arabo (cfr. pp. 23-24). Ciò non toglie la presenza di errori meccanici non riconducibili a influssi esterni: “tutto la città”. È registrata anche la sovraestensione nell’uso del dimostrativo ‘questo’ al posto di ‘quello’. Malgrado l’insegnamento sistematico in classe delle regole e delle irregolarità, gli studenti continuano nei casi irregolari e particolari ad adoperare meccanicamente le regole generali della flessione nominale: “tutti i nostri colleghe”, “bravi strateghe”, ecc. (p. 27); tale fenomeno si presenta anche nei verbi irregolari: “sosteneremo”, “anderemo” (p. 30).

1.4. L’ACQUISIZIONE FONOLOGICA

L’apprendimento del livello fonologico implica

l’acquisizione e l’implementazione delle norme riguardanti i segmenti, la fonotassi, la struttura sillabica, l’accento e l’intonazione della lingua d’arrivo. La completa padronanza della fonologia di una lingua straniera consiste nella padronanza, in

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contemporanea, di tutti questi elementi, che si articolano come precisa MAJOR (2001: 12-13), in tre componenti: i segmenti o i foni, le sillabe oppure i nessi di foni, e la prosodia (accento, ritmo, intonazione). E se non si raggiunge una realizzazione nativa in tutt’e tre i componenti suindicati, l’accento dell’apprendente non può essere giudicato come nativo.

1.4.1. I fattori che condizionano l’acquisizione

fonologica

Si dice spesso che la lingua rispecchia l’identità del parlante, ma la fonologia in particolare assume una notevole importanza nelle L2. La pronuncia e la prosodia, cioè l’accento del parlante, entrano con l’identità e la personalità dell’apprendente in un rapporto di influenza reciproca. Quelli che conseguono prestazioni più vicine a quelle dei nativi vengono presi a volte per nativi e man mano potrebbero acquisire un’identità nuova e integrata, almeno agli occhi della società ospite; e più questi apprendenti si sentono lusingati per gli esiti raggiunti più diventano motivati a raggiugere la lingua bersaglio, il che li aiuta di più a integrarsi nella società. Infatti, va sottolineato il ruolo della comunità ospite nella percezione e nel giudizio dell’accento nativo. In proposito, ARCHIBALD si chiede se alcune comunità di parlanti nativi siano più rigide di altre nei loro giudizi sull’accento dei loro interlocutori stranieri, il che rende più difficile il compito dell’apprendente (cfr. 1998: 22-23 per discussione e riferimenti bibliografici).

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Abbiamo accennato prima (§ 1.2.2.1.) al fatto che il transfer caratterizza l’interlingua nelle fasi iniziali di apprendimento e in momenti successivi, perché a livello fonologico rimangono tracce dell’influsso della lingua madre persino negli stadi avanzati, in particolare quando l’acquisizione comincia in età adulta. Quindi, il dibattito sull’ipotesi del periodo critico (§ 1.2.3.1.1.) assume una rilevante importanza e coinvolge gli studiosi ancora di più quando si tratta dell’acquisizione fonologica. Mentre SCOVEL (1988) sostiene che il periodo critico finisce con la pubertà e influenza solamente l’acquisizione fonologica, LONG (1990) ritiene che per questo livello il periodo critico finisce in età più giovane (6 o 7 anni), mentre dura di più, ancora oltre la pubertà, per l’acquisizione degli altri livelli della lingua. Tuttavia, abbiamo visto che in alcuni studi l’effetto dell’età viene neutralizzato da altre variabili individuali e culturali (§ 1.2.3.1.1.).

Quindi, i fattori individuali di carattere, in particolare il senso d’identità e l’età, nonché la L1 (cfr. infra), incidono notevolmente sulla fonologia, forse ancora di più che sugli altri livelli linguistici acquisiti.

La lingua prima si considera la variabile determinante quando si tratta di acquisizione fonologica. FELICI et al. (1994: 489) e VEDOVELLI (1994: 542) ritengono che il livello fonetico sia quello meno condizionabile dalle variabili socioculturali di apprendimento, mentre risente in misura maggiore dell’influsso della lingua di partenza (cfr. anche BANFI, 1993b: 48). Di tutti i livelli linguistici, la fonologia risulta secondo gli studiosi l’area linguistica più influenzata dall’interferenza che non la morfosintassi, per esempio, ed è forse per questo che il

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trasferimento dalla L1 è stato più sistematicamente studiato nella fonologia (cfr. MAJOR, 2001: 31). Più avanti tratteremo del transfer in fonologia come la manifestazione più immediata del condizionamento della lingua di partenza (vedi infra §1.4.2.2.1.).

1.4.2. Studi fonetici e fonologici

1.4.2.1. Stato dell’arte

Nel panorama degli studi sulla linguistica acquisizionale la fonologia risulta l’area meno studiata. In generale, le ricerche focalizzano l’interesse sui livelli morfosintattico e testuale. Detto ciò, l’acquisizione di alcune categorie fonologiche è diventata un punto d’interesse in vari lavori, in cui la norma in italiano costituisce il punto di partenza, sul quale ci si basa per la descrizione e la valutazione delle produzioni degli apprendenti. Tale scarsità di lavori fonologici si può ricondurre a una gamma di ragioni, una delle quali riguarda la storia relativamente breve della ricerca sull’acquisizione dell’italiano, la quale si avvia solo a metà degli anni Ottanta (GIACALONE RAMAT, 19973: 346); intanto, la ricerca sull’apprendimento spontaneo di una L2 nasce in Europa all’inizio degli anni Settanta (GIACALONE RAMAT, 1986a: 9). Perciò, il campo delle interlingue si può benissimo considerare una giovane area di ricerca; e ancora dopo circa vent’anni gli studi sull’italiano L2 non hanno fornito un quadro completo di tutti i fenomeni riguardanti l’apprendimento della lingua (GIACALONE RAMAT, 2003a: 13). D’altra parte, si tratta anche dello stato degli studi prosodici sull’italiano e possiamo dire anche su tutte le lingue del mondo. MAJOR (2001: 13 e

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segg.) fa una rassegna ragionata di studi sull’acquisizione dei vari componenti della fonologia, sottolineando la frammentarietà degli studi sull’intonazione nell’ambito di lingue seconde (p. 17). Se è vero che la fonologia ha fatto grandi passi in avanti negli ultimi trent’anni, “The field of acquisition, however, has been slow to adopt and integrate new perspectives from theoretical phonology” (DEMUTH, 1995: 111). Di più, occorre ancora integrare tali sviluppi nell’ambito della teoria fonologica delle lingue prime con la ricerca empirica nelle singole lingue per arricchire gli assunti della teoria e per gettare le fondamenta di una grammatica fonologica esaustiva a livello prosodico sia in L1 che in L2.

1.4.2.2. Lo studio del transfer in fonologia

1.4.2.2.1. L’analisi contrastiva

Un metodo di indagine che si è occupato esclusivamente dell’incidenza della lingua prima sull’interlingua è l’analisi contrastiva, la quale rappresenta un filone di ricerca molto radicato nell’ambito degli studi di L2 e prevede che il confronto sistematico delle lingue di partenza e d’arrivo, in termini di maggiore o minore affinità tra le loro strutture, consente di additare gli elementi della lingua d’arrivo che presentino, rispettivamente, minore o maggiore difficoltà nell’apprendimento. Tale approccio si basa sull’ipotesi che l’acquisizione di una seconda lingua sia in gran misura condizionata dalle caratteristiche della lingua precedentemente appresa (KLEIN, 1986: 25). Nell’arco della seconda metà del

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ventesimo secolo questa ipotesi di base dell’analisi contrastiva ha avuto varie modificazioni che ne hanno attenuati gli assunti.

Per tanto tempo si presumeva che le divergenze dalla lingua materna costituissero la fonte principale degli ‘errori’ degli apprendenti e l’analisi contrastiva veniva ritenuta, nella sua versione primaria degli anni Cinquanta e Sessanta, uno strumento di predizione degli errori e delle difficoltà di acquisizione; attualmente tale visione è cambiata, in quanto prevale la convinzione che le divergenze non sono l’unica causa, nemmeno quella primaria, delle deviazioni dalla lingua d’arrivo e, di conseguenza, l’analisi contrastiva in questa sua versione “forte” non è più rimasta il metodo per eccellenza per l’interpretazione e la giustificazione delle deviazioni dopo che è stato provato che non tutte le aree di divergenza dalla L1 costituivano degli ostacoli all’apprendimento (cfr. PALLOTTI, 20033: 17-20). KLEIN (1986: 25-26) diagnostica le ragioni del fallimento della versione forte, spiegando che essa ha rivolto l’attenzione al confronto tra le proprietà strutturali delle lingue, senza considerare l’attività a base dell’acquisizione, la quale consiste nell’elaborazione da parte degli apprendenti dei mezzi linguistici nel corso della comprensione e della produzione. Infatti, può darsi il caso di un costrutto della lingua d’arrivo che l’apprendente riesce a percepire facilmente, ma che non riesce ad assimilare e riprodurre.

A partire dagli anni Settanta è stata introdotta una versione “moderata” dell’analisi contrastiva secondo la quale, in base a ricerche empiriche, i fenomeni linguistici affini in L1 e L2 presentano maggiori difficoltà di acquisizione rispetto ai fenomeni divergenti nelle due lingue. Nel quadro di tale indirizzo

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di ricerca contrastiva la fonologia segmentale è stata il livello più studiato allo scopo di verificare le ipotesi sul transfer dei fenomeni affini e da tale livello linguistico sono stati tratti gli esempi e gli spunti per ulteriori modificazioni dell’ipotesi (cfr. MAJOR, 2001: 33 e segg., 100 e segg.; FLEGE, 1991 verifica l’ipotesi con vari esperimenti condotti sulle vocali e sulle occlusive a inizio parola: 265 e segg.). Per esempio, gli apprendenti inglesi di spagnolo potrebbero identificare la /t/, che in spagnolo si articola come un’occlusiva dentale non aspirata con la propria /t/ alveolare aspirata per i tratti che hanno in comune37. La similarità, si presume, creerebbe uno stato di confusione nella mente dell’apprendente che di conseguenza non riesce ad individuare le differenze sottili tra l’elemento da apprendere e l’elemento già conosciuto nella propria lingua materna; tale elemento viene considerato identico e quindi trasferito dalla L1 nella L2. In altre parole, l’apprendente non si accorge di dover condurre un processo di acquisizione dei tratti di tale fenomeno. “Gross differences are more often noticed, due to their perceptual saliency, whereas minimal differences are more likely to be overlooked and to result in confusion or nonlearning” (MAJOR & KIM, 1999: 154).

Vari esperimenti, come quelli di FLEGE hanno dato la prova all’ipotesi sulla similarità, ma occorre sottolineare che la similarità e la dissimilarità in sé non sono nozioni facili a determinare empiricamente (ARCHIBALD, 1998: 49, 52-53). Intanto, si è osservato che tale posizione non costituisce una regola generalizzabile su tutti gli apprendenti. Inoltre, la 37 Oltre alla comunanza a livello fonetico, tutt’e due le categorie fonetiche sono espresse graficamente dalla lettera ‘t’, il che favorisce ancora il processo di identificazione nella mente degli apprendenti.

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difficoltà di rendere correttamente certi foni che si percepiscono simili ad altri nella L1 non deve perdurare per sempre e l’apprendente riesce a un certo punto a superare questa ‘difficoltà’ che, secondo MAJOR (2001), si spiega in termini di tempo e velocità di acquisizione, nel senso che i foni dissimili vengono appresi prima (pp. 39-40). Gli esperimenti di MAJOR &

KIM (1999) danno la conferma a questo assunto che, inoltre, prevede la variazione della velocità di apprendimento da un fenomeno all’altro (Similarity Differential Rate Hypothesis).

MAJOR rende conto del rapporto tra affinità linguistica e marcatezza e delle loro ripercussioni sulla L2. Innanzitutto, l’autore segnala che i due fattori si convergono a rallentare il processo di apprendimento e poi avanza il quesito sulla modalità d’interazione dei due fattori. Quando, cioè, si tratta dell’acquisizione di un fenomeno marcato che nello stesso tempo ha un simile nella L1, quale dei due tratti costituirebbe la variabile più influente? La risposta secondo lo studioso è che il transfer risulta la variabile più incidente in questi casi (2001: 113-115).

Nello studio dei fenomeni d’interferenza tramite il confronto tra i sistemi fonologici di partenza e d’arrivo BERNINI (1988) segnala un principio metodologico di primaria importanza che, attraverso l’attenzione alla variazione linguistica, mira a conseguire la rigorosità nel paragone e che assume due dimensioni applicative. Da una parte, vanno individuate e studiate le varietà di partenza e d’arrivo per determinare le varietà di lingue da confrontare; nel senso che non sarebbe una scelta felice studiare, per esempio, il sistema fonologico della varietà standard della lingua d’origine di un soggetto che dichiara

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(nell’intervista o nel questionario) di avere un basso livello d’istruzione e di non parlare bene le varietà ‘alte’ della lingua prima. In tal caso il ricercatore potrebbe interpretare alcune deviazioni nella L2 come fenomeni di transfer da una varietà che il soggetto non sa parlare e che, quindi, non può incidere sulla sua prestazione. Dall’altra parte, l’indagine deve considerare tutte le rese allofoniche previste dai sistemi linguistici in gioco, anche in funzione delle variazioni diastratica e diafasica (cfr. pp. 79-80).

1.4.2.2.2. Studi prosodici

Se la fonologia ha goduto di minore interesse e attenzione, il transfer a livello prosodico rimane l’ambito meno battuto in fonologia, il che si potrebbe ricondurre allo status della ricerca prosodica in tutte le lingue (cfr. supra). VOGEL (1991) conferma la scarsità degli studi che indaghano il transfer prosodico e non cita alcuno studio sull’accento o sull’intonazione in L2. Dieci anni dopo, l’intonazione non trova giustizia: anche MAJOR (2001) non ricorda ricerche sul transfer intonativo e, stando al componente prosodico, cita solamente studi sulla struttura metrica e sul ritmo (cfr. p. 36). VOGEL afferma che la ricerca nella fonologia di L2 ha sempre focalizzato l’interesse sui singoli foni e che l’unità più grande esaminata è stata la parola e ricollega le motivazioni del fenomeno allo sviluppo della fonologia in generale: “these limitations should not come as a surprise, however, since they closely parallel trends we have seen in the development of theoretical phonology” (p. 49). L’autrice arriva, infine, a sostenere che il livello prosodico

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potrebbe essere più soggetto a trasferimenti dalla L1, vista l’astrattezza della sua struttura e la sua generalità (p. 55).

Abbiamo tuttavia un contributo interessante sull’intonazione di L2 in FELICI et al. (1994), i quali conducono uno studio su 47 immigrati (tra cui sono stati selezionati 29 come sottocorpus omogeneo) residenti in provincia di Brescia, provincia di Latina e in area romana, che non hanno mai frequentato corsi di lingua italiana. Tramite un questionario di valutazione linguistica vengono presi in esame vari livelli linguistici, tra i quali il livello fonetico, in cui gli autori puntano sulla distinzione tra vocali aperte e chiuse, l’inversione o l’omissione delle vocali intense e l’andamento del profilo intonativo. Gli studiosi (cfr. pp. 499-501) ricorrono al lavoro di CANEPARI (1986) sulle pronunce regionali per ricavarne le caratteristiche intonative di alcune varietà dell’italiano e usufruiscono di tali dati nell’analisi del loro corpus di italiano L2, distinguendo tra le tonie conclusiva, sospensiva e interrogativa (vedi infra § 2.1.2.). Loro notano che gli informanti residenti in Valle Sabbia (provincia di Brescia) e in Fondi (provincia di Latina) presentano nella loro produzione, con una percentuale alta, tratti regionali rispettivamente lombardi e campani. Gli autori osservano che i tratti intonativi rilevati sono tipici delle varietà regionali d’interesse e non solo delle varietà strettamente dialettali e arrivano all’ipotesi che sussista una correlazione tra la complessiva competenza linguistica e l’inserimento socioculturale da un lato e tra la presenza di tratti dialettali e regionali dall’altro lato, per cui si può affermare che quanto più alta è la competenza, tanto più frequente è la presenza di tratti dialettali (cfr. p. 501).

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ARCHIBALD (1995b; 1998: capitolo 6) conduce esperimenti sull’acquisizione dell’accento in inglese L2 da parte di soggetti spagnoli, polacchi e ungheresi e osserva che malgrado una buona parte degli errori si possa ricondurre al transfer degli schemi accentuali dalle rispettive L1, la prestazione generale nell’assegnazione degli accenti risulta buona, in quanto gli apprendenti, per la maggior parte del tempo, hanno assegnato correttamente l’accento alle parole sia in isolamento che in contesti più lunghi (frasi). Dai dati l’autore desume che la prestazione non nativa non debba per forza apparire nella fonologia più che negli altri livelli della lingua, quale la sintassi, né manifestarsi nella fonologia tout court.

“We need to look closely to which sounds cause difficulty for a particular language group. Also, we need to acknowledge that some areas of phonology may behave differently than others (e.g. segmental versus prosodic phonology)” (ARCHIBALD, 1998: 50).

L’autore ricava dai suoi dati che la percezione della posizione dell’accento da parte degli informanti è migliore della loro produzione, il che non permetterebbe di sostenere che le capacità percettive degli apprendenti possano dare una buona idea della prestazione in L2.

ARCHIBALD offre anche un contributo sull’accento di frase in L2 in uno studio pilota della produzione di due informanti, un ungherese e una polacca, da cui conclude che il primo soggetto trasferisce gli schemi della L1 assegnando sempre un solo accento di frase e presentando spesso un pattern intonativo ungherese ascendente-discendente (LHL), mentre nell’altra informante, che mostra un livello più alto di L2, l’assegnazione

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dell’accento di frase si avvicina alla prestazione nativa (1998: 261 e segg.).

1.4.2.3. Studi fonologici in soggetti arabi

In questo sottoparagrafo trattiamo solamente il livello segmentale vista la mancanza di studi prosodici, in particolare sull’accento e l’intonazione. Nel corso della nostra trattazione, tuttavia, sfioreremo la struttura sillabica.

Cominciamo con l’unico contributo sugli apprendenti egiziani guidati (EL-BAGHDADY, 1988) che registra la solita confusione delle due occlusive bilabiali sorda e sonora /p/ e /b/38 e dei grafemi che le rappresentano:

Es.: una tazza di borcellana, una pattaglia navale, ecc. (p. 13).

È frequentemente presente anche la sostituzione della ‘o’ con la ‘u’:

Es.: pulitiche invece di politiche e della ‘u’ con la ‘o’: Es.: officiale al posto di ufficiale. Un’altra deviazione che secondo l’autore sembra da

imputare all’influenza della lingua inglese sta nello scambio tra la e e la i che in italiano rappresenta ortograficamente il fonema /i/, reso spesso in inglese dal grafema e. Inoltre, il fatto che la e

38 Il fenomeno non è estraneo ad altre lingue. Basti ricordare la mancata distinzione tra occlusive sorde e sonore nel napoletano: “le occlusive originariamente sorde possono essere pronunciate anche in modo indebolito o lène, tanto da essere interpretate come sonore” (DE BLASI & IMPERATORE, 2000: 159).

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porta in inglese il nome che la i porta in italiano /i/ provoca maggior confusione, in particolare per i principianti:

Es.: “notezia”, “comessione”, “melitanti”, ecc. (p. 14).

Infatti, l’autore non trova altre spiegazioni del fenomeno e non cerca di ricondurlo a eventuali influssi della lingua madre, come si osserva, per esempio, in PALLOTTI39.

BANFI (1988) accenna senza entrare nei dettagli a una evidente interferenza dalla lingua prima a livello fonologico nella produzione di 3 egiziani da lui studiati. In un lavoro precedente (1986), invece, dedica uno spazio relativamente grande alle osservazioni fonologiche e definisce la L2 di quattro egiziani intervistati a Milano una “lingua semplificata” a tutti i livelli. Viene considerata un tratto di semplificazione la realizzazione dell’affricata (fono complesso) [ts] come fricativa [s]:

Es.: [sensa] per senza; [marso] per marzo (p. 232).

La resa scempia di geminate,

Es.: [dotori] per dottori; [mile] per mille,

è un segno di semplificazione che potrebbe pertanto risentire dell’influsso del sistema fonologico dell’italiano popolare e regionale lombardo (pp. 232-233). L’autore raggruppa altri fenomeni che secondo lui sono riconducibili all’interferenza

39 PALLOTTI (20033: 61) sostiene che “Fatma, come tutti i parlanti arabofoni, faceva fatica a distinguere tra /o/ e /u/ e tra /e/ e /i/: in arabo, infatti, esistono solo tre vocali /a/, /i/ e /u/, e per un parlante di quella lingua è difficile percepire la differenza che c’è tra una [e] e una [i]: per lui, infatti, si tratta di due varianti dello stesso fonema, non di due fonemi diversi”.

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dall’arabo; primo tra questi fenomeni e ormai un classico in tutti gli studi sugli arabofoni è la realizzazione sonora dell’occlusiva bilabiale sorda [p]:

Es.: [tibo] per tipo; [barla] per parla.

Un altro evento di transfer si manifesta nella prostesi, cioè l’aggiunta di una vocale a inizio di parola per facilitare la pronuncia di parole e sintagmi come:

sono stato che diventa [sono estato]40.

L’autore riconduce all’arabo la resa sonora [g] dell’occlusiva velare sorda [k] e la realizzazione dell’affricata alveopalatale [dZ] come [zdZ] (cfr. p. 233); tale ipotesi d’interferenza, però, non mi risulta dal momento che, da una parte, la sorda [k] è presente nel sistema consonantico dell’arabo standard con le sue varietà parlate in Egitto e, dall’altra parte, l’arabo non conosce gruppi consonantici come [zdZ] o [sZ]. Quindi, tali errori potrebbero risalire alla mancata conoscenza delle regole della lingua italiana e in parte anche alla percezione dell’apprendente, che, in effetti, non è facile da stabilire: “In reality, it is difficult to establish accurately what subjects have actually heard as they learned L2” (FLEGE, 1991: 285).

BERNINI (1988) studia il consonantismo nella produzione in italiano di 7 soggetti egiziani, 2 palestinesi e un libico. Gli egiziani hanno tra i 25 e i 38 anni con durata di permanenza in Italia da 3 a dieci anni. Sono di istruzione medio-superiore e svolgono lavori manuali e di servizio. Nessuno di loro arriva al livello dei nativi nella distinzione tra le occlusive bilabiali

40 La prostesi e l’epentesi sono fenomeni registrati anche nell’inglese di egiziani (cfr. COOK, 2001: 50).

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sorda e sonora. Infatti, alcuni informanti sostituiscono sistematicamente la sorda con la sonora, altri rendono occlusive bilabiali ‘più o meno assordite’ o ‘mormorate’ e sporadicamente viene realizzata la sorda. Per il /v/ la sostituzione con l’omologo sordo è rara e si rende in certi casi come approssimante bilabiale sonoro [B]. Le affricate dentali e alveopalatali /ts, dz; tS, dZ/ ricevono realizzazioni varie tra le fricative omorganiche [s, z; S, Z], le semiaffricate [ts, dz; tS, dZ] e le realizzazioni corrette. Ricorrono, inoltre, scambi di sonorità.

L’affricata alveopalatale sonora [dZ], non presente nel sistema di partenza di alcuni suoi soggetti egiziani, ma presente nella varietà standard, sembra, dai dati di BERNINI, costituire una difficoltà per i soggetti, malgrado la loro istruzione media o superiore (ivi: 82). Il dato potrebbe essere un risultato non solo dell’influsso del dialetto nativo, ma anche delle abitudini linguistiche trasferite e sviluppate nella prima lingua straniera (la lingua inglese) e trasmesse automaticamente a tutte le L2 studiate successivamente.

I soggetti palestinesi, invece, non mostrano difficoltà d’acquisizione, neanche con i foni mancanti nel sistema fonologico della loro varietà parlata. I due soggetti sono di 21 e 23 anni, sono studenti universitari di Architettura e di Lingue, da 4 anni in Italia. I dati socioculturali dei due palestinesi ci delineano un profilo diverso da quello degli egiziani (più alto) e concorrono a favorire l’apprendimento come si presume negli studi sociolinguistici (cfr. § 1.2.2.2.; 1.2.2.5.).

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Abbiamo accennato prima alla scoperta che la lingua prima non è l’unica responsabile delle deviazioni in L2 (cfr. § 1.4.2.2.1.). L’assunto trova una conferma in questo studio di BERNINI (1988) che segnala le rese imperfette dell’affricata alveopalatale sonora /dZ/ in due arabofoni malgrado la presenza di questo fono nelle loro varietà di arabo e interpreta questo in termini di evoluzione del processo di apprendimento, che in alcuni casi impone le sue leggi universali a parte il sistema fonologico della lingua madre. L’autore riconduce questo dato al fattore di marcatezza (cfr. § 1.1.2.). Tale fattore ha ripercussioni sull’acquisizione dei foni, in quanto si ritiene che gli elementi non marcati presentino meno difficoltà nell’apprendimento e possano, di conseguenza, apparire prima nel corso del processo d’apprendimento, mentre i foni marcati verrebbero acquisiti in un secondo momento. In generale, secondo la scala di marcatezza, le sorde sono considerate meno marcate delle sonore, e le affricate alveopalatali meno marcate di quelle dentali. La considerazione della marcatezza dei foni risulta quindi utile per la giustificazione di alcune prestazioni in L2, le quali non entrano sotto il fenomeno dell’interferenza.

L’ipotesi d’indipendenza parziale del processo di apprendimento dalla lingua prima si riscontra anche in MULFORD

& HECHT (1980) che, d’altronde, ammettono il peso dell’interferenza nell’acquisizione del vocalismo.

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I anno

246 72%F+28%M

II anno 181

80%F+ 20%M

III anno 178

70%F+ 30%M

IV anno 132

80%F+ 20%M Età media 17,7 18,6 19,7 20,7

% sì 1 1 2 3 Soggiorno in Italia Durata

media non risponde 10anni (un caso) 2 mesi 2 mesi

Studio pre-universitario dell’italiano 5 7 6 14

sempre 85 78 60 64 spesso 10 17 30 25 a volte 4 4 9 9

quasi mai – – 1 1 Frequenza

lezioni non

risponde 1 1 – 1

ottimo 6 5 2 2 buono 46 57 60 65

Mediocre 48 38 38 32 Autovalu-

tazione non

risponde – – – 1

lavoro Egitto 43+12 51+19 47+16 55+12

lavoro Italia 16+4 6+12 11+5 6+4 cultura 22+8 14+10 17+10 13+10

Motivazione dello studio*

laurea 6+1 8+2 8+2 11+2 Soddisfatti dello studio

dell’italiano 90 93 82 81

lettura 14+39 17+37 16+41 13+41 sport 9+27 4+16 7+22 6+15 Tempo libero*

tv 26+42 29+40 24+40 31+44 Lavoro estivo 13 12 25 23

Pratica parlare poco 56 12 51

14 57 8 55 10

* Visto che erano possibili le scelte miste, il primo valore indica la percentuale di quanti hanno fatto una sola scelta, poi si aggiungono gli studenti che ne hanno incrociate più di una. Nelle caselle intitolate ‘parlare’ sono incorporate le risposte ‘sì’ e ‘a volte’, mentre le risposte negative non sono riportate.

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dell’italiano leggere poco 38 4 38

6 55 4 68 5

Amici italiani 10 30 24 32 90% in su – 3 1 1 80% in su – 39 4 6 65% in su – 45 70 64

Voto nell’anno precedente la rilevazione

50% in su – 6 16 15 90% in su – – – 1 80% in su 25 10 5 5 65% in su 53 66 57 61

Voto nell’anno di rilevazione**

50% in su 2 13 14 19 Tabella 1: dati (in percentuale) ricavati dal questionario sociolinguistico sugli studenti universitari d’italiano nell’Università di Ain Shams al Cairo.

I bocciati e i fuori corso sono fuori tabella. ** Alla fine dell’anno i voti sono stati rilevati dai registri degli Affari studenteschi.

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I anno II anno III anno IV anno

Numero per sesso F: 178 M: 68 F: 144 M: 37 F: 124 M: 54 F: 106 M: 26 Età (media) 17,6 17,9 18,5 18,8 19,6 19,9 20,4 21

% sì 0 1 1 0 2 0 3 4 Soggiorno in Italia durata

media – – 10anni (una) – 2 mesi – 1 mese 3 mesi

Studio pre-universitario dell’italiano 5 7 8 5 7 4 17 4

sempre 86 82 82 65 70 35 68 50 spesso 11 6 14 30 23 46 25 27 a volte 1 12 3 5 6 17 7 19

Frequenza lezioni

quasi mai – – – – 1 – – 4 ottimo 5 7 3 8 2 1 1 4 buono 40 62 56 65 52 80 64 69 Autovalu-

tazione mediocre 54 31 41 27 47 19 34 23 lavoro in

Egitto 44+14 41+8 53+14 43+30 48+16 44+15 51+13 73+8

lavoro in Italia 12+5 26+5 5+9 11+22 5+5 26+6 5+3 12+4

cultura 25+11 15+4 15+11 11+11 23+11 4+9 15+10 4+4

Motivazione dello studio

laurea 6+2 7 9+2 3 8+2 9+2 13+2 4 Soddisfatti dello studio 92 85 94 92 82 81 83 73

lettura 16+38 9+40 19+40 5+33 18+47 11+27 12+45 15+31 sport 2+8 26+31 1+9 16+46 2+14 20+38 1+11 27+35 Tempo libero

tv 32+40 7+38 33+39 14+41 26+47 19+25 34+49 19+27 Lavoro estivo 5 36 5 37 5 70 15 54

parlare 53 64 46 70 53 65 55 54 Pratica dell’italiano leggere 30 59 30 57 50 66 67 74

Amici italiani 11 7 12 19 18 35 27 42 90% in su – – 3 3 1 – – 4 80% in su – – 38 41 5 2 5 12 65% in su – – 49 46 69 73 65 58

Voto nell’anno

precedente la rilevazione 50% in su – – 3 3 19 9 14 19

90% in su – – – – – – 1 – Voto nell’anno di 80% in su 26 25 11 10 8 1 3 6

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65% in su 41 52 66 65 64 44 71 42 rilevazione 50% in su 2 8 14 12 8 25 14 30

Tabella 2: i dati in percentuale sugli studenti universitari d’italiano; le percentuali sono articolate rispetto al gruppo dello stesso sesso e non rispetto al totale nell’anno di corso. Come nella tabella 1 le righe dell’età media e della durata di soggiorno in Italia riportano, naturalmente, valori assoluti. Inoltre, nelle caselle di autovalutazione, motivazione allo studio e tempo libero le scelte miste non sono incorporate con le scelte uniche (si veda la nota relativa in tabella 1 e anche le altre note annesse alla tabella).

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Post-laurea (I, II)

Età media 22 anni sì 38%

Soggiorno in Italia durata media 1 mese

Studio pre-universitario dell’italiano 6 sempre 75 Frequenza

lezioni spesso 25 ottimo 54 Autovalutazione buono 46

lavoro Egitto 25 lavoro Italia 6

cultura 38 laurea 6

lavoro Egitto e cultura 13

Motivazione dello studio

lavoro Egitto, Italia + cultura 13

Soddisfatti dello studio dell’italiano 94 lettura 19

tv 6 sport

lettura, tv e sport 50 lettura e tv 13 Sport e tv 6

Tempo libero

non risponde 6 parlare 88 Pratica

dell’italiano leggere 88 Amici italiani 94

90% in su 19 Voto IV anno 80% in su 62

Nelle caselle intitolate ‘parlare’ sono incorporate le risposte ‘sì’ e ‘a volte’, mentre le risposte negative non sono esposte nella tabella.

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65% in su 19 90% in su 38 80% in su 38

Voto in lingua araba (IV anno)

65% in su 24

Tabella 3: gli studenti del corso di post-laurea all’Alsun di Ain-Shams mostrano livelli socioculturali decisamente più alti rispetto al campione più grande degli studenti del corso di laurea.

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CAPITOLO 2

DIVERSI APPROCCI ALL’INTONAZIONE ITALIANA

In questo capitolo cercheremo di rendere conto della natura dell’intonazione nella lingua d’arrivo dei nostri apprendenti usufruendo delle descrizioni fornite dagli studi condotti in questo campo. Tale presentazione comporta anche la trattazione dei metodi più diffusi della ricerca intonativa. Infatti, lo studio della prosodia italiana prende le mosse da teorie e modalità di analisi ideate originariamente per altre lingue, soprattutto l’inglese che è stato la lingua più studiata a questo livello prosodico. Ma la ricerca sull’intonazione in generale si ramifica in vari approcci e metodi di ricerca che danno vita ad un quadro assai disomogeneo e per certi versi anche scombussolante. Se aggiungiamo poi il fatto che ‘l’intonazione dell’italiano’ non costituisce una nozione uniforme e ben definibile, vista la variazione della lingua italiana, come tutte le lingue naturali, attraverso i vari assi diatopico, diafasico e diamesico, ci rendiamo conto di quanto la descrizione dell’intonazione italiana ci metta di fronte a un compito molto arduo. Per sopperire a tale difficoltà delineeremo una descrizione tramite l’esposizione di quanti più lavori possibili sull’intonazione delle varietà italiane. Volteremo l’attenzione al tipo di approccio teorico di base, alla procedura metodologica e al quadro descrittivo da essi risultante, determinando il tipo di varietà studiata da ogni autore e

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riassumendo i risultati che aggiungerebbero un tassello nel quadro, ancora lontano dalla conclusione, dell’intonazione italiana.

2.1. MODALITÀ DI ANALISI E DI TRASCRIZIONE

INTONATIVA

Lo studio tradizionale dell’intonazione, come è ovvio, è

uditivo; invece, la diffusione degli studi strumentali è una nuova conquista degli ultimi decenni. Se i sostenitori del secondo tipo di studi ne vantano la rilevazione rigorosa dei cambiamenti fisici nel segnale acustico, gli studiosi a favore dell’analisi percettiva avanzano l’osservazione che l’orecchio non percepisce tutte le fluttuazioni che gli strumenti catturano e quindi alcuni fenomeni si potrebbero ritenere insignificanti a livello comunicativo ed espressivo.

Comunque, a parte l’uso della strumentazione o dell’orecchio, se vogliamo riassumere il procedimento di analisi intonativa osserviamo la necessità della divisione del flusso parlato in segmenti entro cui si procede a identificare gli eventi melodici rilevanti. Di solito si individuano delle posizioni in cui tali eventi melodici significativi ricorrono normalmente, come la fase terminale di segmento prosodico e il nucleo intonativo che porta una prominenza melodica e molto spesso anche accentuale. In merito alla descrizione intonativa, si suol parlare di due scuole principali che adottano due approcci diversi alla rappresentazione dell’intonazione. Il primo è l’approccio americano che scompone l’intonazione in unità discrete di livelli tonali in coincidenza dei

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cambiamenti melodici rilevanti (cfr. PIKE, 1972; PIERREHUMBERT, 1987); il secondo è il metodo inglese (cfr. CRYSTAL, 1969; CRUTTENDEN, 1986; BOLINGER, 1951, 1972b) che rappresenta un approccio olistico, per configurazioni, che non scompone il pattern melodico in livelli alti e bassi in successione, ma considera la melodia in termini di movimenti di salita e di discesa41.

Un esempio dell’approccio americano è l’analisi di AGARD

& DI PIETRO (1965) che adoperano per la descrizione dei contorni di italiano standard un sistema fonemico a quattro livelli, low, middle, high e overhigh, indicati con simboli numerici da 1 a 4 (dal basso in su). Le posizioni in cui possono realizzarsi i movimenti melodici che abbiano un significato e che, di conseguenza, si possano considerare fonemici, sono cinque. Oltre al segmento finale e il nucleo che sono i punti principali in ogni enunciato abbiamo le posizioni iniziale, prenucleare e prefinale. In posizione finale viene presa in considerazione, oltre al livello del pitch, la direzione del movimento.

CHAPALLAZ (1979), per contro, adotta una descrizione per configurazioni e individua per l’italiano tre movimenti: discendente (Tune I); discendente-ascendente (Tune II); ascendente-discendente (Tune III).

41 CESSARIS & BOLINGER (1991: 296) avanzano un’osservazione interessante segnalando che i due approcci britannico e americano sono stati sviluppati in base ad esperienze d’insegnamento della lingua inglese in classe come L2.

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2.1.1. Da Halliday a Lepschy

Passiamo ad analisi più rilevanti in quanto seguite, con esiti interessanti, in studi successivi (cfr. § 2.2.2.4.2.). LEPSCHY (1978b) offre un contributo importante di formalizzazione dell’intonazione in italiano che si ispira al modello di HALLIDAY42 (cfr. 1985, 1978, 1992), applicandolo nelle sue linee generali e tralasciando, per esempio, l’analisi dei piedi in base alla considerazione che essa non è pertinente in una lingua come l’italiano che, a differenza dell’inglese, è di tipo isosillabico, in cui cioè la durata tra due sillabe accentate non è sempre uguale, ma dipende dal numero di sillabe inaccentate in mezzo. L’autore propone per l’italiano un sistema a cinque toni significativi, tre semplici e due complessi:

1) discendente;

42 Per quanto riguarda la descrizione dell’andamento melodico, Halliday adotta un approccio per configurazioni. L’unità di intonazione o il gruppo tonale deve essere “un segmento significativo del discorso” (HALLIDAY, 1992: 99), per cui la divisione in gruppi tonali viene condotta in base alla distribuzione informativa. Tono e tonicità costituiscono due caratteristiche o proprietà interne a ogni gruppo tonale. Su quest’ultimo si estende il ‘tono’ o profilo melodico, entro il quale si può osservare la ‘tonicità’, ovvero la collocazione della prominenza tonica o il nucleo. Tale prominenza viene assegnata al punto di rilievo informativo identificato nell’informazione nuova dentro il gruppo e ricade sulla sillaba tonica della parola che porta tale informazione. L’autore (1987: 349) precisa che la tonicità, per il suo legame con l’informazione nuova, richiama l’attenzione e articola la struttura dell’informazione in ogni unità. La codifica fonetica, intonativa, dell’informazione si manifesta nella prominenza sulla sillaba tonica che “svolge la parte principale nell’intonazione del gruppo tonale. La sillaba tonica convoglia il maggior carico del movimento di altezza nel gruppo tonale” (HALLIDAY, 1987: 335). Al tono o al profilo tonale, invece, viene attribuita la funzione di distinguere il ‘modo’ dell’enunciato, di distinguere cioè la frase dichiarativa dall’interrogativa e dalla iussiva, ecc. Il tono può consistere solo di un segmento tonico (movimento che accompagna la tonica) o oltre a questo anche di un segmento pretonico. Le sillabe atone possono naturalmente coincidere con parti del tono, ma sarebbero le parti meno rilevanti, sicché ogni nuovo cambiamento saliente nel tono deve essere su un nucleo tonico. Halliday precisa che l’aspetto funzionale dell’intonazione consiste nei movimenti dinamici, non in opposizioni tra livelli statici alto e basso (1992: 104).

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2) ascendente; 3) costante o costante ascendente; 4) discendente-ascendente;

5) ascendente-discendente.

Per quanto concerne l’annotazione, o la rappresentazione

grafica dell’intonazione, riportiamo questi esempi da LEPSCHY (1978b: 138):

//1 è stato MARCO// in risposta a una domanda; //5 non lo FA//1 per TE// che vuol dire “non lo fa, al

contrario di quanto credevi, ed è per te che non lo fa” Si osserva che la fine del gruppo tonale viene segnata da

due barre oblique // e mentre Halliday segna il nucleo tonico con il corsivo, Lepschy adopera il maiuscoletto.

L’enumerazione identifica il profilo all’inizio del gruppo tonale: 1 per il contorno discendente, 2 per l’ascendente, 3 per il costante, 4 per il discendente-ascendente e 5 per l’andamento ascendente-discendente. Si potrebbe, inoltre, sovrapporre un segno diacritico distintivo del tono (`, ´, ˉ, ˇ, ˆ) alla vocale tonica della parola accentata, senza però che si escluda l’uso del maiuscoletto (cfr. LEPSCHY, 1978b: 132-133).

2.1.2. Da Canepari a De Dominicis

CANEPARI (1985) propone tramite l’impiego dell’analisi uditiva uno schema analitico dell’andamento melodico e chiama intonìa l’andamento tonale compreso tra due pause effettive o

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potenziali. L’intonia viene suddivisa in protonìa e tonìa. La tonia comincia dall’ultima sillaba accentata e si estende sulle eventuali sillabe atone seguenti che costituiscono la postonìa, mentre la pretonica è la sillaba non accentata della tonia che eventualmente precede la tonica. La protonia è tutto l’andamento che precede la tonia e in essa si possono riscontrare sillabe accentate, dette protoniche, tra le quali, qualora siano più di una, si individuano sillabe non accentate e semi-accentate denominate intertoniche. Infine, le antetoniche sono le prime sillabe dell’intonia che precedono la prima protonica, (cfr. pp. 37-38)43. Lo studioso rappresenta l’intonazione in schemi (tonogrammi) di forma tabellare divisi orizzontalmente in tre righe, ognuna delle quali presenta una fascia dell’altezza tonale o ‘la tonalità’(cfr. fig. 1).

← Fascia alta

. __ . . ← Fascia media ← Fascia bassa

Figura 1: Esempio di un tonogramma che schematizza la tonia interrogativa in italiano (tratto da CANEPARI, 1985: 49).

L’autore identifica tre tonie essenziali: conclusiva, interrogativa e sospensiva, mentre la tonia divisiva viene proposta come la tonia non marcata, che cioè non convoglia differenziazione semantica (cfr. § 2.2.2.4.1.). La prima tonia comunica la compiutezza sia semantica che strutturale dell’enunciato, la seconda trasmette il senso opposto al tipo

43 Tale divisione interna dell’unità d’analisi ci ricorda la tradizione britannica che individua nel gruppo intonativo il nucleo che viene seguito dalla coda, la testa che si estende dalla prima sillaba prominente fino all’ultima sillaba prima del nucleo e la pretesta che si estende su tutta la parte che precede la prima sillaba prominente (cfr. CRUTTENDEN, 1986).

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conclusivo, mentre la tonia interrogativa indica l’attesa di una risposta da parte del parlante. La tonia divisiva si produce quando s’interrompe la catena fonica da una pausa brevissima quasi inavvertita sia per la respirazione sia per la divisione del discorso in gruppi fono-sintattici (cfr. ivi: 46-47).

Basandosi in parte sul modello descrittivo di Canepari, DE

DOMINICIS (1992) sostiene la scomposizione dell’intonia in protonia e tonia con le loro sottoparti costituenti (cfr. supra) e trae dal modello di Halliday la descrizione del movimento tonale (ascendente, discendente, ascendente-discendente, ecc.)44. Mentre Canepari presenta nei suoi tonogrammi i risultati di un’analisi percettiva, DE DOMINICIS conduce un’analisi acustica e ricorre a test percettivi per la determinazione dei confini di ogni fascia di tonalità (cfr. 1992: 83 e segg.). L’autore prende in esame la variazione dell’intonazione in funzione del contesto comunicativo, lavorando su un corpus di frasi prodotte in italiano standard da un attore professionista45. A parità di base segmentale, una frase viene riprodotta in modo che ogni riproduzione segnali una certa situazione pragmatica spiegata in una specie di sceneggiatura. Successivamente, in un test percettivo viene assegnato ai soggetti il compito di associare gli sceneggiati alle frasi da loro ascoltate, identificando cioè il valore pragmatico di ogni intonazione. L’intonazione delle frasi 44 DE DOMINICIS afferma che “i pregi dell’approccio per configurazioni consistono nella possibilità di analizzare gli effetti semantici di cui certe curve intonative sono portatrici” (1992: 64). 45 Visto che lo studio dell’italiano pone il problema della variazione diatopica, alcuni ricorrono a raccogliere materiale fonico prodotto da parlanti professionisti per evitare il più possibile i condizionamenti regionali e per ottenere nel contempo il massimo grado possibile di naturalezza, che altrimenti si potrebbe perdere con parlanti ingenui quando non si sentano a loro agio in quanto controllati (cfr. AVESANI & VAYRA, 1992). Il parlato di laboratorio presenta inoltre il noto vantaggio della migliore qualità di registrazione.

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naturali, cioè non sintetizzate, viene analizzata acusticamente (cfr. ivi: 13) e viene osservata la variazione del livello melodico e della forma del contorno. Dopo la sintesi prosodica di una frase base viene svolto un altro test percettivo di identificazione degli indici intonativi pertinenti in ogni situazione comunicativa (cfr. § 2.2.2.4.2.).

2.1.3. L’adozione dell’IPO

La considerazione fonetica dell’intonazione da parte di CRESTI e colleghi si ispira al modello IPO sviluppato dal gruppo olandese ne l’Institute for Perception Research (cfr. ’T HART et al., 1990). Secondo la scuola olandese, le variazioni intonative significative sono quelle che il parlante produce consciamente e l’ascoltatore percepisce chiaramente come segnali significativi. La considerazione percettiva viene supportata dalle analisi strumentali; sicché, come procedimento di analisi prosodica, si parte dalla percezione dei movimenti salienti di f0, i quali costituiscono il nucleo dell’unità tonale e che sono considerati come rese intenzionali da parte del parlante, per passare poi alla rilevazione dei valori d’attacco di f0, le escursioni frequenziali nei movimenti, la velocità di eloquio, i tratti fisici dell’intensità e della durata sia delle sillabe interessate dai movimenti che di tutta l’unità tonale, così come viene considerata la sincronizzazione tra il movimento e i confini sillabici (cfr. FIRENZUOLI, 2001: § 3.2.).

Per quanto riguarda la scomposizione analitica della melodia, i movimenti costituiscono le entità basilari nella strutturazione dell’intonazione. La combinazione di più

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movimenti in entità complesse forma delle configurazioni che fanno capo ai profili, che rappresentano le classi teoriche delle configurazioni di movimenti e si raggruppano possibilmente insieme in entità più grandi dette pattern tonali.

Per la caratterizzazione fonetica dei profili viene considerato significativo il numero e la sede dei movimenti all’interno di ogni unità tonale (cfr. FIRENZUOLI, 2001: § 3.2.). Sul versante intonativo i pattern tonali si possono definire come entità melodiche che raggruppano insiemi di parole dotati di “autosufficienza melodica” e “sono percettivamente identificabili” (CRESTI, 1997: 616).

A questo punto va precisato che, a differenza dell’approccio IPO, il gruppo fiorentino considera rilevante il segmento a cui si attribuisce non soltanto rilevanza percettiva, ma anche un particolare valore informativo (cfr. FIRENZUOLI, 2001: § 3.1.; vedi infra § 2.2.2.2.). All’interno dei pattern tonali, infatti, i profili si distinguono l’uno dall’altro per il loro carattere funzionale e come tali creano ‘classi funzionali’ di profili, ovvero unità tonali.

Visto il rapporto tra intonazione e informazione le unità tonali si distinguono sia a livello informativo sia a livello fonetico. Ci limitiamo in questo paragrafo alla descrizione fonetica e rimandiamo al § 2.2.2.2. per la considerazione pragmatica. Le classi funzionali dei profili si articolano in tre tipi, uno obbligatorio e centrale e due opzionali e melodicamente subordinati. Il primo tipo è quello dei profili (o delle unità) nucleari (root), mentre i secondi possono o precedere il root e vengono chiamati prefix o preparazione o seguirlo costituendo suffix o coda. In un pattern tonale basta una sola unità nucleare

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che può essere accompagnata o meno da più unità di suffix e di prefix (cfr. CRESTI, 2000: 51).

Cresti arriva dai suoi studi all’osservazione di caratteri costanti dei profili intonativi dell’italiano: innanzitutto, le pause non costituiscono un parametro della delimitazione delle unità tonali e ci possono occorrere sia in mezzo che in posizioni di confine. Si ritiene dunque che la cessazione di fonazione sia impertinente a livello di scansione e che “un’unità tonale è tale per caratteri acustici positivi” (CRESTI, 2000: 52; cfr. CRESTI & FIRENZUOLI, 2002). CRESTI (2000) osserva anche che la parte percettivamente saliente non coincide sempre con sillabe forti, che cioè non è sempre l’accento tonico a determinare la salienza percettiva nel profilo, ma il movimento di f0

46 (cfr. pp. 49-50). Quanto all’annotazione, le sbarre semplici indicano la fine

dell’unità tonale e le doppie sbarre denotano la fine di un pattern, cioè di una sequenza di unità tonali “collegate intonativamente” (1992a: 502). Seguono ogni sbarra tre lettere maiuscole imposte in alto per indicare la funzione dell’unità informativa (ovvero l’unità tonale). Inoltre, le pause sono indicate dal cancelletto (#), le sovrapposizioni dei turni vengono racchiuse tra parentesi graffe e si impiega un codice di tre lettere maiuscole per identificare il parlante (cfr. CRESTI, 1997: 626n).

46 Sul rapporto intonazione-accento ’T HART et al. (1990) dichiarano che i movimenti di pitch significativi non devono necessariamente ricadere su sillabe toniche e che si tratta semplicemente di una una possibile cooccorrenza. Malgrado il peso delle variazioni di frequenza fondamentale nella formazione dell’intonazione, CRESTI afferma che alla realizzazione di questa concorrono anche la durata e l’intensità (cfr. 2000: 47).

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2.1.4. Il sistema ToBI

Il modello ToBI (l’acronimo sta per Tone and Break Indices) è un sistema di trascrizione prosodica sviluppato all’interno della teoria metrica autosegmentale e fondato originariamente su ricerche sulla lingua inglese. La teoria metrica autosegmentale segue la fonologia generativa non lineare da cui deriva la rappresentazione a livelli multipli e autonomi47, tra i quali intercorrono rapporti di associazione (cfr. NESPOR, 1994: capitolo 5). Vista la sua affermazione nell’ambito della ricerca prosodica in diverse lingue e per la sua adozione in vari studi sull’intonazione italiana, occorre renderne conto in maniera sommaria ma sufficiente ai nostri scopi, visto che, come vedremo nel capitolo 3, una versione ridotta del ToBI (cfr. § 2.1.4.3.) verrà adottata nell’analisi del corpus. Questa presentazione racchiude anche una trattazione dei punti critici e delle carenze del sistema che hanno indotto gli studiosi ad una adattazione del modello alla lingua italiana (cfr. § 2.1.4.2.).

2.1.4.1. Le categorie fonologiche e la loro annotazione

Il sistema di annotazione ToBI si articola in quattro livelli (tiers): livello ortografico, livello tonale, livello delle giunture e livello miscellaneo. Per la trascrizione delle giunture si adoperano indici numerici da 0 a 4 che denotano in ordine crescente il grado di disgiunzione percepita tra tutte le parole del livello ortografico. Il livello miscellaneo è lasciato agli eventuali

47 Autosegmento vuol dire, appunto, autonomo e indipendente rispetto ai segmenti (NESPOR, 1994: 25, 114n).

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commenti del trascrittore e ai fenomeni non verbali e non lessicali (cfr. BECKMAN & HIRSCHBERG, 1994).

La trascrizione del livello tonale è stata quella più studiata, discussa e soggetta a modifiche e adattamenti da parte degli studiosi della prosodia italiana. Si tratta di una rappresentazione analitica per livelli statici e non per configurazioni dinamiche, basata su due livelli tonali (pitch levels): tono alto (H) e tono basso (L) che costituiscono i bersagli tonali (targets) rilevati normalmente nei punti di inversione significativa. La successione nel continuo della stringa melodica di tali punti discreti o bersagli tonali definisce l’andamento della melodia. Gli eventi melodici si distinguono in due tipi di categorie tonali che a livello funzionale sono distinte in accenti intonativi (pitch accents) e toni di confine (phrasal tones); ai primi spetta la funzione dell’assegnazione della prominenza alla parola cui sono associati, i secondi sono i toni con funzione delimitativa, coincidenti cioè con i confini di sintagma intermedio (intermediate phrase) e del costituente dominante detto sintagma intonativo (intonational phrase; cfr. §§ 2.2.2.1.1. e 2.2.2.1.2.).

Ogni sintagma intonativo contiene almeno un sintagma intermedio che è composto come minimo da un accento intonativo e un accento di sintagma (phrase accent o phrase tone) che si colloca al confine destro di sintagma intermedio e viene contrassegnato dal trattino (L- o H-); dopo l’ultimo accento di sintagma segue immediatamente il tono di confine di sintagma intonativo (boundary tone): L% o H%. I toni delimitativi sono localizzati nella porzione che segue immediatamente l’ultimo accento intonativo che secondo PIERREHUMBERT (1987) si identifica in inglese con quello nucleare (cfr. § 2.2.2.4.4.1.).

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Gli accenti intonativi48 sono eventi melodici distinti per la

loro prominenza e sono normalmente caratterizzati dal raggiungimento di un massimo o di un minimo locale nel contorno intonativo oppure dalla continuazione significativa di uno stesso livello. Essi si associano a sillabe metricamente forti49 e possono essere o semplici, costituiti cioè da un solo tono (H* o L*) o complessi con più di un tono e in questo caso l’asterisco che segnala l’allineamento a una sillaba tonica si abbina al tono che coincide con la sillaba forte, mentre l’altro tono non asteriscato sarebbe quello situato sulla sillaba antecedente o seguente la tonica (L+H*, L*+H).

I toni (H e L) vengono caratterizzati tramite la loro variazione lungo due dimensioni che individuano due proprietà fonetiche: alignment (allineamento) e scaling; la prima proprietà riguarda la variazione lungo la dimensione temporale, mentre la seconda si definisce lungo la dimensione frequenziale, dell’altezza di f0. I toni si oppongono a livello paradigmatico e non sintagmatico, cioè vengono determinati rispetto all’estensione melodica nel punto di annotazione e non rispetto ai punti circostanti : “relatively low means low relative to the local phrasal pitch range, rather than low relative to the nearest pitch peak or plateau” (BECKMAN et al., 2004: 4).

Infine, va precisato che il modello di annotazione non è inteso per sostituire il materiale fonico e in qualità di trascrizione simbolica non fornisce dati quantitativi, per cui risulta necessaria 48 Il termine pitch accent viene tradotto in italiano in ‘accento intonativo’ (AI; cfr. AVESANI, 1995; CAPUTO, 1997a) e ‘tono accentuale’ (TA; cfr. MAROTTA & SORIANELLO, 2001; NESPOR, 1994: 274). 49 Come afferma LADD “More or less by definition, a tone that seeks to associate with a lexically stressed syllable is a pitch accent” (1996: 213).

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la rilevazione di alcune variabili acustiche direttamente dal segnale per integrare l’annotazione (BECKMAN et al., 2004; AVESANI, 1995: 86). È necessario anche sottolineare l’importanza data alla percezione nell’assegnazione degli indici di disgiuntura e nella determinazione dei livelli tonali.

2.1.4.2. Critiche all’approccio e modifiche proposte per

l’italiano

Alla trascrizione ToBI e al suo apparato teorico di fondo sono state avanzate varie critiche non solo da parte degli italianisti, ma anche da parte di coloro che adottano il modello autosegmentale per altre lingue, incluso l’inglese. Le critiche al ToBI si possono dividere in due tipi. In primo luogo, il modello, in qualita di rappresentazione astratta ispirata ai postulati della fonologia autosegmentale porta in sé delle limitazioni intrinseche e dei punti deboli che non reggono di fronte ai dati empirici. In secondo luogo, l’adottazione automatica del sistema in lingue diverse non sembra un’opzione sensata visto che la costruzione del modello sullo stampo dell’inglese lo rende specifico di tale lingua. Di conseguenza, risulta di assoluta necessità una conoscenza ampia della natura della lingua per la quale viene importato il modello, affinché si possa rimodellarlo e adattarlo a ogni lingua a parte50.

50 In questo senso si esprimono esplicitamente gli stessi ideatori del ToBI: “any new set of ToBI conventions for another language needs to reflect a broad and well-grounded understanding of the intonational and prosodic grammar of the language…Where established analyses are available only for a subset of the phenomena that users want to label, the development of a ToBI framework system can help formulate the relevant questions for further research, but system development should not run too far ahead of knowledge” (BECKMAN et al., 2004: 2).

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Nell’ambito degli studi sull’italiano le ricerche che convergono a chiarire i particolari del sistema prosodico vanno ancora di pari passo con i tentativi di applicazione delle regole di annotazione mutuate dalla fonologia autosegmentale; sicché, la postulazione di categorie fonologiche come specifiche di una varietà si fonda su una conoscenza parziale della natura intonativa della varietà in questione. Detto ciò, questo indirizzo di studi ha evidenziato alcune carenze e difformità nel modello così come ha proposto alcuni adattamenti interessanti.

Innanzitutto, si osserva chiaramente che gli studiosi dell’intonazione italiana in prospettiva autosegmentale sono, e dichiarano esplicitamente di essere, consapevoli della peculiarità di ogni lingua. Nella sua presentazione del modello ToBI al fine di indagare il suo possibile impiego per la prosodia italiana, AVESANI (1995) propone il modello ToBIt per la trascrizione intonativa italiana e lo applica soprattutto alla varietà toscana sottolineando che:

“Adottare ToBI per la descrizione dell’intonazione italiana significa sia valutare la applicabilità del sistema di trascrizione alla descrizione della prosodia di una lingua diversa da quella per cui è stato originariamente concepito, sia valutare l’adeguatezza della teoria su cui esso è basato” (p. 90).

Tale osservazione rende conto, in maniera sommaria, delle difficoltà che lo studioso della prosodia italiana deve tenere in considerazione prima del ricorso al ToBI e, conseguentemente, della cautela di cui deve armarsi prima di ricavare delle conclusioni. Si osserva che a differenza di altre teorie e altri modelli prosodici, il ToBI suscita più polemiche sulla sua adeguatezza per l’italiano. Ciò potrebbe risalire non solo alla sua

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formazione sullo stampo della lingua inglese, ma forse anche all’ambizione entusiasta di proclamarlo come uno standard universale di annotazione.

Iniziamo con la critica alla mancata trasparenza fonetica dell’accento di sintagma, che in molti casi non si riesce a distinguere da una semplice transizione melodica o dalla continuazione di un accento bitonale (cfr. LADD, 1996; CAPUTO, 1998). MAROTTA & SORIANELLO (2001: 197-198) non ammettono lo statuto strutturalmente obbligatorio dell’accento di sintagma postulato dalla teoria e ne tralasciano la notazione nei casi in cui risulta identico al tono di confine (L-L% = L%)51, perché nei loro dati manca la sistematica realizzazione fonetica dell’accento di sintagma. Con tale annotazione si intende evitare quello che gli risulta spesso, ma non sempre, una ridondanza. Infatti, in alcuni casi, quali le domande coda, la segnalazione dell’accento di sintagma risulta pertinente qualora la sua rilevazione fonetica è resa possibile grazie ad allungamenti finali o a brusche inversioni nella curva di f0.

Tale troncazione dei toni può toccare anche il tono di confine (cfr. LADD, 1996: 132 e segg.) come è stato registrato nel barese (cfr. SAVINO, 1997: 95-96; GRICE et al., 2004). Quando l’ultima parola del sintagma intonativo è tronca e porta quindi sull’ultima sillaba un accento intonativo, l’accento di sintagma e il tono di confine non hanno una piena realizzazione fonetica per la mancanza di materia segmentale. Perciò, si propone di denotare tale troncazione tramite la messa del tono non pienamente verificato tra due parentesi tonde ‘(L%)’.

51 Le autrici adottano i simboli italiani A e B (alto e basso) rispettivamente per H e L.

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Un altro problema riguarda la rappresentazione dell’associazione che mette in crisi l’astrattezza dell’approccio. Se l’allineamento (alignment) è la proprietà fonetica del rapporto di coincidenza temporale tra il livello melodico (i toni) e il livello segmentale (i foni), a livello fonologico tale proprietà si traduce nel rapporto di associazione (association) che regola la corrispondenza tra i due livelli e viene segnalata nella trascrizione dall’asterisco; tuttavia, la relazione tra associazione e allineamento non è di perfetta corrispondenza:

“The fact of association entails no specific predictions about alignment: if a H tone is associated with a given prominent syllable, we may expect to find a peak of F0 somewhere in the general vicinity of the syllable, but the peak may be early in the syllable or late, and indeed it may be outside the temporal limits of the syllable altogether. For example, it is particularly common in accented syllables at the beginning of an utterance to see the high F0 peak aligned in time with the following unstressed syllable” (LADD, 1996: 55).

Le parole di Ladd offrono una prima diagnosi del problema che, secondo gli studiosi dell’italiano, compromette la trasparenza ricercata nella trascrizione intonativa. MAROTTA (2000) accusa nella letteratura autosegmentale la vaghezza delle descrizioni dell’allineamento. In base a dati empirici in varietà toscane l’autrice segnala casi in cui il movimento melodico di salita o di discesa interessa la rima di una stessa sillaba tonica entro i cui confini si rilevano ambedue il massimo e il minimo del movimento; in casi del genere, quando nessuno dei due livelli tonali (H e L) domina una porzione più grande della sillaba, l’assegnazione dell’asterisco a uno di essi diventa una procedura

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arbitraria che rende una descrizione errata dell’allineamento. Alla ricerca di maggior trasparenza l’autrice suggerisce per casi del genere una trascrizione con i toni parentesizzati: (L+H)* e (H+L)*.

Rispetto ai toni complessi dell’annotazione standard L*+H e H+L* le due categorie proposte dalla studiosa sono da considerare non come categorie fonologiche dal carattere distintivo (=non presentano opposizione funzionale), ma allo stato attuale delle ricerche si possono ritenere varianti dello stesso accento intonativo della notazione standard (cfr. anche MAROTTA & SORIANELLO, 2001)52.

Per di più, risulta poco conforme alla realtà l’assunto basilare della teoria metrica autosegmentale che prevede l’associazione dell’accento intonativo alle sillabe metricamente forti. Infatti, MAROTTA & SORIANELLO (2001) sottolineano che le sillabe atone svolgono un ruolo intrascurabile e che il problema nell’italiano risulta più complicato perché si tratta di una lingua ad isocronia sillabica nella quale “le sillabe atone, dotate di materiale segmentale e di lunghezza appropriata, sono non di rado allineate con i TA” (p. 180); in altre parole, le sillabe metricamente deboli possono essere allineate non a uno solo dei bersagli dell’accento intonativo complesso, ma addirittura all’intero accento (cfr. MAROTTA, 2000).

52 La preferenza della trasparenza a scapito dell’astrattezza nell’annotazione intonativa pur nella consapevolezza di essere di fronte ad un sistema fonologico e quindi, per definitionem, astratto potrebbe risalire anche in parte al fatto cui abbiamo appena accennato che riguarda l’incertezza e l’incompletezza delle conoscenze sulla prosodia e sull’intonazione in italiano. Ma non solo. ROMANO & INTERLANDI (2002) ritengono che due livelli tonali (H e L) non risultino affatto sufficienti a segnalare le variazioni distintive e segnalano che a volte si hanno rappresentazioni simili di andamenti melodici percettivamente e acusticamente diversi e persino distintivi di varietà regionali.

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Quanto ai tratti acustici considerati pertinenti, CAPUTO &

D’IMPERIO (1995: 75) criticano la teoria di base del ToBI per la concentrazione sulla f0 come correlato principale dell’intonazione con il conseguente tralascio della durata e dell’intensità, malgrado il loro ruolo influente nella determinazione della prominenza in italiano (CAPUTO, 1993) e forse anche in inglese (D’IMPERIO, 1994).

Infine, come vedremo nel § 2.2.2.4.4.1. l’assunto della posizione fissa del nucleo sostenuto dalla fonologia generativa viene diffusamente confutato nei vari approcci.

2.1.4.3. Una trascrizione ‘tipo-ToBI’

I progetti italiani AVIP (Archivio delle Varietà dell’Italiano Parlato) e API (Archivio del Parlato Italiano) sono due progetti interrelati di ricerca linguistica a livello nazionale che rivolgono particolare attenzione agli aspetti fonetici (segmentali e soprasegmentali) in relazione alla dimensione comunicativa. In questi progetti sono stati raccolti corpora di parlato semispontaneo da alcune città italiane e il materiale vocale è stato trascritto a vari livelli, tra cui il livello prosodico. Tra i metodi di etichettatura prosodica è stata adottata una versione tipo-ToBI (ToBI-like) che evidenzia alcuni aspetti fonetici per ottenere una maggiore trasparenza rappresentativa dei fenomeni intonativi (si veda SAVINO et al., 2002).

Primo, a differenza del modello originario in cui l’etichetta dell’accento bitonale viene imposta in corrispondenza della sillaba forte, questa versione propone che ogni tono dell’accento

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complesso venga messo in coincidenza della sillaba su cui si localizza fisicamente il livello tonale in questione.

Secondo, l’accento nucleare viene contrassegnato dal simbolo ‘n’ in quanto, a differenza di quanto si presume per l’inglese, l’accento nucleare in italiano non ha una localizzazione fissa all’interno dell’unità tonale (cfr. § 2.2.2.4.4.1.).

Terzo, riguardo all’annotazione degli eventi melodici di confine, il tono di confine di sintagma intonativo viene considerato una categoria di sicura appartenenza all’inventario melodico dell’italiano, per cui sono ammessi i toni H% e L%. Meno certi e non obbligatori, per contro, sono ritenuti gli accenti di sintagma (cfr. § 2.1.4.2.) che vengono segnalati in tre modi:

H- e L- nel caso di realizzazione indubbia; Hr e Lr nel caso di una possibile realizzazione

ritmica, ma non tonale di tale confine; Ht e Lt nel caso di segnalazione dell’accento di

sintagma solo a livello tonale

2.2. LE FUNZIONI DELL’INTONAZIONE IN ITALIANO

L’intonazione si considera veicolo di vari tipi di informazioni: extralinguistiche, paralinguistiche e linguistiche. Le informazioni extralinguistiche trasmesse dall’intonazione riguardano soprattutto l’età, il sesso, le condizioni di salute e sono l’esito delle differenze anatomiche e biologiche tra le persone, per cui sono permanenti, idiosincratiche e, nel contempo, sono normalmente incontrollabili. In italiano

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troviamo che le funzioni linguistiche godono di maggior interesse negli studi prosodici che esaminano in misura minore le funzioni paralinguistiche a cui facciamo un breve cenno in quanto segue.

2.2.1. Funzioni paralinguistiche

Lo studio delle funzioni paralinguistiche dell’intonazione implica l’individuazione dei cambiamenti tonali che, accompagnati da altre variazioni prosodiche, riflettono il messaggio paralinguistico e cioè rivelano lo stato d’animo del parlante, in particolare le sue emozioni e le sue attitudini.

Si presume in linea di massima che le emozioni ad alta attivazione psicologica come la gioia e la paura provochino produzioni ad andamenti molto dinamici e ad altissimi livelli frequenziali. All’estremo opposto stanno le emozioni a bassa attivazione psicologica (come la tristezza) caratterizzate da andamenti piatti a livelli bassi di f0. In più di uno studio sulle sei emozioni primarie: gioia, sorpresa, paura, collera, tristezza, disgusto in parlato di laboratorio si evince che le prime quattro emozioni sono rese con i valori frequenziali più alti, mentre le altre due presentano valori minimi e estensione melodica ridotta a differenza della gioia, la sorpresa e la collera che profilano estensione ampia. Sono coinvolte anche la durata e l’intensità. Quest’ultima si presenta bassa per la tristezza e alta per la collera; sorpresa e collera presentano durate brevi, mentre disgusto e gioia hanno durate lunghe (cfr. BERTINETTO & MAGNO CALDOGNETTO, 19973: 161; si vedano a proposito KORI & MAGNO CALDOGNETTO, 1986, 1990, 1991; MAGNO

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CALDOGNETTO & FERRERO, 1996; MAGNO CALDOGNETTO et al., 1998; ANOLLI & CICERI, 1997).

2.2.2. funzioni linguistiche

2.2.2.1. Organizzazione del flusso parlato: la scansione

intonativa

In qualsiasi produzione vocale la catena parlata non si presenta all’orecchio come un blocco compatto. In effetti, ancora prima della diffusione delle analisi strumentali si guardava alla prosodia in generale come uno strumento di organizzazione del discorso in gruppi di parole. Tale segmentazione del flusso parlato da una parte aiuta l’ascoltatore a comprendere il messaggio e dall’altra divide il discorso in segmenti estesi che consentono l’analisi intonativa di porzioni melodiche di dimensioni limitate. Perciò, questi gruppi di parole sono stati osservati sia dalla fonologia come costituenti prosodici alti53 sia dalla fonetica sotto etichette diverse, di cui preferiamo usare il termine unità tonale (TU: tone unit).

2.2.2.1.1. Criteri di divisione in unità tonali

Grazie ai tratti prosodici l’ascoltatore si trova in grado di “decidere quali suoni (o insiemi di suoni) vadano integrati in singole unità percettive” (AVESANI & VAYRA, 1992: 355). La percezione, quindi, svolge un ruolo cardinale nell’osservazione

53 Nella gerarchia prosodica italiana la sillaba viene considerata il costituente prosodico più basso.

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di tale ruolo organizzativo della prosodia54 e come afferma LADD (1996) riguardo ai costituenti prosodici alti:

“IPs are supposed to be set off by audible boundaries: if IP boundaries were not audible, then much of the point of the chunking function would be lost” (p. 235; IP sta per intonational phrase, con cui l’autore indica qui ogni raggruppamento di parole che risulta dalla scansione della catena parlata come dominio prosodico).

È ben noto che la catena parlata subisce la segmentazione in

gruppi di parole innanzitutto per motivi fisioarticolatori. Si osserva che a inizio fonazione la pressione dell’aria d’espirazione è forte, ma cala in modo graduale e con essa calano la velocità di vibrazione delle pliche vocali, ovvero la frequenza fondamentale, e l’energia o l’intensità. Inoltre, per riempire di nuovo i polmoni d’aria si cessa la fonazione e si produce per conseguenza una pausa vuota. Sono, infatti, questi effetti fisici delle restrizioni fisiologiche, accanto all’allungamento delle vocali prima delle pause o comunque prima dei confini finali, i principali segnali acustici del limite destro di unità tonale.

Tuttavia, malgrado i tratti fisici siano riconosciuti come segni sicuri di demarcazione, la loro cooccorrenza e distribuzione nel parlato spontaneo pongono alcune difficoltà all’analista che si trova non di rado di fronte a dati contrastanti e per conseguenza si rimane incerti della priorità da dare ad ogni criterio. Per esempio, la pausa, ritenuta da CANEPARI (1985) il segnale per eccellenza dei confini dell’intonia, viene in secondo 54 Va notato che il sistema di trascrizione ToBI si basa nella divisione in costituenti sulla percezione del distacco tra gli elementi dell’enunciato (cfr. BECKMAN & HIRSCHBERG, 1994).

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piano rispetto ad altri tratti come osservano CRESTI (2000: 52; cfr. supra § 2.1.3.), SORNICOLA (1981: 14 e segg.) e VOGHERA (1992: 93) e come si trae dallo studio di CAPUTO (1992), che registra l’occorrenza di pause nel 60% delle TU del suo corpus, con frequenza minore rispetto ad altre marche. In pratica, si rileva che la realizzazione di tutte le marche di confine non costituisce la regola e che “generalmente l’assenza di uno o più segnali viene compensata dall’attivazione degli altri” (CAPUTO, 1992: 364). Inoltre, si possono riscontrare dentro la TU più di un accento forte (cfr. ivi e per l’opinione opposta HALLIDAY, 1967), il che rivela il margine di flessibilità e di variazione della struttura interna dell’unità di analisi.

Nella segmentazione del parlato a fini scientifici, però, non ci si accontenta solo dell’udito e degli strumenti. Oltre ai criteri fonetici si presume che tra le parole di ogni unità tonale intercorrano rapporti semantici e sintattici più stretti rispetto ai rapporti che si potrebbero rilevare tra queste e le unità tonali circostanti (CAPUTO, 1992: 453). Si arriva persino a sostenere che l’identificazione dei confini dell’unità tonale sia una modalità di definizione “indiretta in quanto non dice nulla della struttura interna del GI”, per la caratterizzazione del quale bisogna ricorrere alle caratteristiche semantico-pragmatiche (DELMONTE, 1992: 410; GI = gruppo intonativo).

Nel definire l’estensione dell’unità tonale DELMONTE (1992) si allontana dall’area del parlato spontaneo e si basa su una visione astratta di tipo generativo, secondo la quale i confini dei costituenti prosodici non devono ricadere all’interno di certi tipi di costituenti sintattici. Detto ciò, l’autore non proclama pieno isomorfismo tra sintassi e scansione prosodica, in quanto

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questo primo livello rimane in fin dei conti secondario rispetto a restrizioni di tipo articolatorio, che si manifestano nelle caratteristiche acustiche sopra menzionate, e restrizioni semantico-informative, che consistono nella necessità di trasmettere nell’unità tonale un segmento informativo concluso (cfr. DELMONTE, 1983: 46).

Da un punto di vista fonologico si prevede l’esistenza di un costituente prosodico al di sotto dell’enunciato che costituisce il dominio di un contorno intonativo ben definito e di un accento nucleare e si denomina sintagma intonativo (I)55. I correlati fisici che si riconoscono ai suoi confini sono gli stessi sopraindicati per i segmenti detti, in termini fonetici, unità tonali (TU). I rapporti con la sintassi non vengono naturalmente tralasciati: NESPOR & VOGEL (1986) non sostengono una perfetta coincidenza tra la struttura sintattica e prosodica, anche se per l’articolazione della seconda fanno riferimento alla prima. Si presume, per esempio, la coestensione di alcuni costrutti quali i parentetici e le relative non restrittive con il sintagma intonativo56. Infine, si ritiene che i fattori semantici siano determinanti nell’assegnazione della

55 È interessante in questa sede ricordare che l’ambito delle lingue seconde potrebbe dimostrarsi utile nella ricerca sulla lingua prima. VOGEL (1991) sostiene che l’osservazione dell’italiano standard non dia la comprova dell’esistenza del sintagma intonativo, contrastando in tal modo l’assunto di NESPOR & VOGEL (1986) che tale costituente sia universale. Quindi, alla ricerca di indizi dell’esistenza del sintagma intonativo nello standard VOGEL (1991) si rivolge al campo delle lingue seconde, partendo dall’ipotesi che la fonologia prosodica sia soggetta al transfer dalla L1 e che “While the L1 might not provide the crucial contexts for this structure to manifest itself, another language might well have them” (p. 60). Infatti, dall’osservazione di frasi lette in inglese da parte di parlanti italiani l’autrice rinviene la prova dell’esistenza del costituente prosodico. 56 DE DOMINICIS (2001: 138) afferma che il sintagma intonativo viene delimitato “dall’esterno” su base di criteri sia fonetici che sintattici: “ad ogni sintagma intonativo corrisponde una sola struttura frasale sintattica e un contorno intonativo “compiuto” (con un solo picco di massima o di minima)”.

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maggiore prominenza accentuale (cfr. NESPOR, 1994: 205-208, 268-269).

Per contro, in una visuale puramente pragmatica Cresti insiste sul fatto che la base della scansione è informativa e non, come nello scritto, sintattico-logica, ragion per cui la scomposizione del parlato spontaneo può infrangere la coerenza dei costituenti sintattici, creando confini di unità tonali (e, nel contempo, informative; cfr. § 2.2.2.2.) diversi dai confini sintattici (cfr. CRESTI, 1992a: 472, 495). Similmente, VOGHERA (1992) rileva una bassa corrispondenza tra costrutti sintattici e unità tonali, ma, sorprendentemente, la coincidenza risulta più alta nel testo più spontaneo e informale del suo corpus, senza però che la percentuale di corrispondenza intacchi l’assunto di non-isomorfismo.

Si nota che Cresti e Voghera analizzano materiale parlato e non di laboratorio come fanno gli studi di stampo fonologico. La distinzione tra parlato e letto condotta da SORIANELLO (1997) porta a concludere che nel materiale letto la struttura sintattica sembra condizionare fortemente la demarcazione intonativa, mentre nel parlato spontaneo la struttura informativa e testuale sembra dire l’ultima parola (cfr. p. 104).

LADD (1996: 235-236) sostiene che la maggiore difficoltà nell’identificazione delle unità prosodiche maggiori (sintagma intonativo e sintagma intermedio) risale non tanto all’eventuale assenza di segnali di confine, quanto alla frequente divergenza dei criteri, ovvero al conflitto tra il livello prosodico da una parte e i livelli semantico e sintattico dall’altra. Non di rado si rilevano i tratti acustici, mentre manca la struttura interna ideale e viceversa. Da una prospettiva teorica “the definition of prosodic

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phrases of all types is notoriously elusive” (ivi: 235), ma da un punto di vista prettamente fonetico la segmentazione in costituenti prosodici, secondo Ladd, non deve presentare difficoltà (cfr. p. 236).

Riassumendo, l’individuazione di una unità prosodica maggiore trova le sue radici nell’osservazione percettiva e interazionale e costituisce uno strumento operativo necessario per l’analisi dell’intonazione. Essa presenta certe caratteristiche prosodiche regolari ai confini e al suo interno si presentano, inoltre, alcune regolarità logico-sintattiche e prosodiche che, come si è soliti con i fatti di prosodia, non vanno inserite in rigidi schemi di rapporti biunivoci.

2.2.2.1.2. Il sintagma intermedio

Secondo gli studi sviluppati attorno al modello ToBI il sintagma intermedio (SI) rappresenta il costituente prosodico dominato dal sintagma intonativo o dalla TU. Tale costituente risulta pertinente nella lingua italiana come si rinviene in vari studi (AVESANI, 1995, 1999; CAPUTO, 1997; GRICE et al., 2004; cfr. § 2.2.2.3.). Esso contiene uno o più accenti intonativi e un tono di confine che secondo CAPUTO (1997: 72) si ritiene il fenomeno principale nella definizione di tale costituente.

CAPUTO & D’IMPERIO (1995) registrano che, come condizione primaria, il confine di sintagma intermedio ricorre dopo che si sia manifestato un accento intonativo e ci osservano l’allungamento della sillaba finale che si rileva, tuttavia, minore rispetto a quello a fine sintagma intonativo. A livello melodico la fine di SI presenta un salto del livello di frequenza, perciò si

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osserva palesemente un movimento ascendente o discendente, mentre le pause non si manifestano normalmente come segno di distacco in questa posizione (cfr. GRICE et al., 2004).

2.2.2.1.3. Al di sopra della TU

A differenza di CAPUTO (1997: 66-67), VOGHERA (1992) ribadisce la necessità di postulare un’unità superiore al sintagma intonativo dichiarata in lavori precedenti (cfr. NESPOR & VOGEL, 1986; PIERREHUMBERT, 1987). La studiosa osserva che il contorno tonale può cambiare a seconda della posizione dell’unità prosodica nella ‘sequenza’ di gruppi (ossia unità) tonali e a seconda del tipo di sequenza in cui si colloca la TU, cioè i tipi di contorni circostanti nella sequenza. Vari fenomeni tonali distinguono le unità iniziali e medie da quelle finali di sequenza come, per esempio, l’innalzamento di legatura al confine destro che indica la continuazione dell’argomento nelle TU successive e i casi di sandhi intonativo, in cui due contorni si influenzano reciprocamente in modo che risulti difficile l’identificazione dei confini tra le due TU. In casi meno frequenti l’autrice registra che l’altezza o la chiave tonale si presenta più alta nelle TU iniziali rispetto alle TU conclusive di sequenza (cfr. VOGHERA, 1992: 101 e segg.; cfr. anche SORNICOLA, 1981: 202 e segg.).

Il ruolo dell’altezza tonale a inizio unità prosodica viene indagato a livello di discorso da AVESANI & VAYRA (1992) che dimostrano in un corpus limitato di parlato di laboratorio che l’estensione melodica (pitch range) adempie a una duplice funzione, definendo tramite la variazione i confini di una unità tonale e segnalando attraverso il grado di variazione il posto

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occupato da tale unità nella gerarchia argomentale dell’intero discorso. Primo, la variazione che segna i confini consiste nella riprogrammazione o reset, cioè l’innalzamento dei massimi dell’estensione all’inizio della TU dopo l’abbassamento dei valori frequenziali alla fine della TU precedente. Secondariamente, in due unità contigue, se all’attacco della prima l’estensione melodica è più alta rispetto all’attacco della seconda, si presume che la prima sia più alta nella gerarchia argomentale nel senso che l’altra TU esprime un sottoargomento ramificato dall’argomento della prima unità. Per di più, “l’altezza acustica associata ad un dato livello di inserzione dell’enunciato nella gerarchia del discorso è condivisa da tutti gli enunciati che appartengono allo stesso livello, anche se essi occorrono in posizioni l i n e a r m e n t e distanti nel discorso” (AVESANI & VAYRA, 1992: 379).

Le sequenze di TU in dialoghi semispontanei sembrano mostrare caratteristiche regolari e distintive del tipo pragmatico che a livello di singole TU sono inosservabili. GIORDANO & SAVY (2003) dividono i turni dialogici in sequenze tonali su base pragmatica, considerando una sequenza l’insieme delle TU che esprimono la stessa mossa pragmatica (cfr. §§ 3.5.2.1. e 3.5.2.2.4.)57. Infatti, nel parlato spontaneo una domanda o un’istruzione potrebbe essere divisa in più di una unità tonale a causa di eventuali esitazioni o per la lunghezza del materiale segmentale accompagnato da una grande variazione melodica. Nell’esempio seguente la mossa pragmatica (o l’atto) di domanda di conferma (check) è scansionata a livello fonetico in 57 La mossa pragmatica nello scambio conversazionale costituisce la minore unità atta a far raggiungere un sotto-scopo comunicativo come l’informazione, l’istruzione, l’ordine o la domanda (cfr. FERRARI et al., 2002).

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due TU per l’occorrenza di una pausa breve, che dà una sensazione di distacco, e per una successiva riprogrammazione melodica. A livello pragmatico, invece, la seconda unità completa il senso della prima (l’esempio è tratto dal dialogo A01N del corpus AVIP-API; cfr. Crocco et al., 2002):

Es.: TU1 – e non c'è una figura tra barche e colibrì

<pb> TU2 – in mezzo f+ che sta scritto fiume

Considerando le mosse pragmatiche di instruct (richiesta di

azione) e explain (informazione nuova), GIORDANO & SAVY (2003) riscontrano certe regolarità come, ad esempio, l’andamento sempre discendente alla fine dell’ultima TU in sequenze non interrotte e sostengono che le configurazioni tonali a livello di sequenza, insieme con la successione di certi accenti intonativi, costituiscano le marche distintive del tipo pragmatico. Infatti, si evince dai loro dati che la stessa successione di bersagli tonali (H e L) che si comprime su materiale segmentale breve formando un solo accento complesso (per esempio, su un verbo imperativo + un clitico) si estende ai margini della mossa espressa in una sequenza fonica più lunga, anche se divisa in più di una TU, e in mezzo possono ricadere altri accenti.

2.2.2.2. Intonazione e struttura informativa

Il rapporto tra la struttura informativa e il piano intonativo è stato estesamente indagato da HALLIDAY (cfr. 1967, 1987, 1985, 1992; vedi supra nota 2) e ripreso in italiano nello studio di

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SORNICOLA (1981) su un corpus di parlato. In questo paragrafo trattiamo più estesamente della proposta di Cresti che si presenta in diversi lavori (cfr. inter alia 1992, 1997, 2000).

Cresti collega la teoria della struttura informativa a un’altra teoria che riconosce anch’essa il peso dell’intonazione nella caratterizzazione pragmatica del discorso, ossia la teoria degli atti linguistici (cfr. AUSTIN, 1974). L’autrice dedica una serie di lavori approfonditi all’indagine della duplice funzione che vede nell’intonazione un indice primario dell’illocuzione rispetto agli altri indici lessicali, sintattici e morfosintattici (cfr. 1992a: 511; 1995; 1999) e di conseguenza un centrale elemento organizzatore dell’informazione “attraverso la sua strutturazione in gruppi melodici percettivamente rilevanti e identificabili” (1997: 616). In questo paragrafo presentiamo i risultati dell’abbinamento delle due teorie.

Cresti cerca di meditare sulla natura degli elementi costitutivi dell’informazione: il dato e il nuovo58, adottando, dal punto di vista terminologico, la dicotomia topic/comment. Con l’ausilio della nozione degli atti illocutivi Cresti sostiene che l’articolazione dell’informazione consista nell’organizzazione del continuum fonico in gruppi di parole imperniati attorno all’espressione dell’illocuzione o dell’atto linguistico. L’informazione linguistica per la studiosa non si definisce, dunque, in termini di successione, vaga e poco chiara, di dato e 58 Il dato è l’elemento informativo che si presume già noto all’ascoltatore, mentre il nuovo è, appunto, l’informazione nuova, non espressa prima. La dicotomia informativa dato/nuovo corrisponderebbe in un’altra terminologia e da altri punti di vista a topic/focus o anche topic/comment e ancora tema/rema. Il primo elemento in queste coppie rappresenta la parte della frase che indica ciò di cui si parla, mentre la parte che dice qualcosa sull’argomento in questione è il rema, ovvero il focus, il nuovo, il comment, senza il quale l’enunciato sarebbe privo di carattere informativo (cfr. Dizionario di linguistica, l’accezione ‘tema/rema’).

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nuovo, ma va ricercata in una solida identificazione del nuovo che secondo lei sarebbe ogni espressione di un atto illocutivo:

“Così qualsivoglia costrutto con qualsivoglia significato, in maniera indipendente da ciò che lo può precedere nel testo linguistico o accompagnare nel contesto pragmatico, diventa nuovo se viene scelto dal parlante per compiere una certa azione linguistica” (CRESTI, 1997: 622).

L’illocuzione che costituisce il fondamento

dell’informazione nel parlato viene espressa dall’unità informativa di comment, obbligatoria e indispensabile nell’enunciato. Il comment, che risulta nuovo perché trasmette un’azione, potrebbe essere linguisticamente ripetuto, mentre il topic non si considera informativamente nuovo in quanto non porta una trasformazione al mondo tramite l’atto illocutivo, anche se può essere nuovo linguisticamente, cioè non espresso prima. In effetti, l’unità del topic non costituisce un elemento obbligatorio non in quanto data, ma in quanto non trasmette un atto illocutivo. Essa dal punto di vista informativo non si regge da sola e ha senso solo per via dell’informazione trasmessa dal comment, informazione quest’ultima che a sua volta viene in molti casi completata e resa pienamente interpretabile grazie al topic (cfr. CRESTI, 1995: § 9).

Oltre a queste due unità, sussistono altre unità d’informazione quali le appendici che costituiscono elementi di integrazione testuale sia di topic che di comment, le unità dialogiche che fungono da ausilio dialogico dell’enunciato e gli incisi che hanno il ruolo di inserti metalinguistici (cfr. CRESTI, 1995; 1997: 619). L’assenza dell’unità di comment, dalla portata

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informativa e anche melodica, lascia l’enunciato incompleto o sospeso (1997: 618). Visto che le altre unità d’informazione non esprimono il nucleo informativo identificato nell’azione, esse non hanno significato se non in referenza all’unità di comment e quindi sono considerate secondarie (cfr. CRESTI, 1992a: § 3; CRESTI, 1992: 522):

Considerando l’illocuzione la caratteristica azionale

primaria dell’enunciato, CRESTI (2000) propone la teoria della lingua in atto che prevede la segnalazione, per via dell’intonazione, dell’illocuzione ovvero dell’atto, che comporta una trasformazione al mondo59. E chiama ‘criterio illocutivo’ il criterio con cui si può identificare la forza illocutiva di un enunciato attraverso la determinazione del pattern tonale (cfr. ivi: 46-47).

Oltre al valore o la forza illocutiva dell’intonazione, essa funge da organizzatrice del continuum fonico. Sul versante intonativo ogni unità d’informazione corrisponde ad una unità tonale dalle caratteristiche melodiche ben osservabili. Infatti, Cresti definisce le unità d’informazione come “tutte quelle espressioni linguistiche, significanti, che scandite da un’unità tonale, svolgono una funzione informativa” (1992: 522). Dunque, la struttura informativa spiega l’organizzazione

59 Non si tratta, dunque, di segnalazione della modalità la quale viene considerata, nella sua definizione di base, una caratteristica semantica della locuzione (atteggiamento del parlante verso il contenuto dell’enunciato: espressione di verità, falsità, probabilità, sicurezza, ecc.). In altre parole, la modalità è la valutazione della locuzione da parte del parlante e, secondo l’autrice, non va confusa con l’illocuzione che nasce dall’atteggiamento nei confronti dell’ascoltatore e si identifica con quello che il parlante fa con la locuzione (ordine, espressione di desiderio, minaccia, ecc.; cfr. CRESTI, 2001; Dizionario di linguistica, accezione ‘modo’).

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intonativa che a sua volta scandisce l’informazione in un rapporto stretto di reciproca segnalazione e definizione.

Nel pattern complesso, scomponibile in più unità tonali, il comment rappresenta l’unità primaria, melodicamente obbligatoria, che può occorrere da sola per formare un pattern semplice (CRESTI, 1997: 616-617). Le unità tonali nucleari (root) corrispondono alle unità d’informazione di comment; le unità prefix rappresentano il topic; i suffix coincidono con le unità di appendice (cfr. CRESTI, 2000: 51; cfr. § 2.1.3.).

2.2.2.3. Intonazione e sintassi

Abbiamo parlato del rapporto prosodia-sintassi nel corso della trattazione della scansione della catena parlata (§ 2.2.2.1.1.), ma i rapporti tra i due livelli sono più ampi e, a livello prosodico, riguardano anche la struttura dei profili ritmici e melodici interni alla TU.

CAPUTO (1991, 1992) osserva che il verbo finito nelle frasi dichiarative con gli elementi Soggetto Verbo Oggetto profila una zona di depressione melodica e di accelerazione della velocità d’eloquio rispetto al soggetto e all’oggetto circondanti (cfr. per risultati simili raggiunti da ROMANO & ROULLET (1998) nel salentino e nel valdostano); però Caputo non riconduce tale configurazione alla sintassi, ma ai suoi risvolti pragmatici articolati nella dicotomia topic/comment. Da tale prospettiva, si ritiene che l’influsso sulla realizzazione prosodica sia derivato dalla portata pragmatica e semantica che sta dietro gli elementi sintattici. È stato ad esempio dimostrato nelle frasi iussive in un corpus semispontaneo prodotto da parlanti napoletani che il

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verbo al modo imperativo, in quanto veicolo dell’atto illocutivo direttivo, si accompagna prevalentemente da alte configurazioni prosodiche a parte la sua posizione nella TU e che comunque le scelte pragmatiche e l’interesse dei parlanti in certe informazioni che garantiscono lo sviluppo della comunicazione condizionano la distribuzione delle prominenze e degli eventi melodici rilevanti (cfr. GAMAL, 2001).

D’altra parte, alcuni lavori in italiano hanno puntato l’attenzione sul ruolo dell’intonazione nella disambiguazione di frasi uguali a livello segmentale (vedi BERTINETTO & MAGNO

CALDOGNETTO, 19973: 174-175). Quanto alla distinzione tra costruzioni sintattiche marcate e non marcate in italiano è stato dimostrato che nelle frasi scisse e nelle topicalizzazioni l’elemento spostato, e quindi focalizzato, riceve l’accento nucleare del sintagma intonativo e viene seguito da un confine di sintagma intermedio, che lo rende prosodicamente separato, in una certa misura60, dal resto del sintagma intonativo in cui gli altri elementi restano deaccentati. Dunque, la realizzazione prosodica delle costruzioni marcate evidenzia il ruolo della scansione intonativa (phrasing) e della prominenza principale nella trasmissione, accanto ai mezzi sintattici, del valore pragmatico del focus ristretto61.

Secondo NESPOR (1994) la focalizzazione ristretta cambia la distribuzione delle parole nei costituenti prosodici imponendo

60 D’IMPERIO & GILI FIVELA (1998) dimostrano che, in un corpus di italiano torinese e fiorentino, dopo le parole focalizzate si rileva un allungamento vocalico inferiore rispetto all’allungamento a fine sintagma intonativo. 61 Il focus ristretto consiste nella focalizzazione solo di una parte dell’enunciato, sia questa parte una parola o più parole, mentre il focus ampio indica che il raggio della focalizzazione si estende su tutta la frase e che non c’è un elemento più focalizzato rispetto agli altri.

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un confine prosodico dopo la parola focalizzata che viene associata ad un accento nucleare alto e, in aggiunta, il costituente che racchiude l’elemento focalizzato inizia con un tono alto che lo distingue dalle frasi neutre. Del resto, AVESANI (1995) e AVESANI & VAYRA (2000) vanno ad asserire che nella varietà fiorentina, è la categoria accentuale a distinguere il focus ristretto dal focus ampio, soprattutto in mancanza di strutture sintattiche esplicite, quali gli spostamenti a sinistra e le frasi scisse e sostengono che l’accento intonativo tipico del focus ristretto (l’accento focale) sia del tipo H* e si opponga all’accento nucleare in una frase dichiarativa neutra a focus ampio (H+L*). Secondo i due autori quest’ultima categoria viene ripresa dai parlanti nelle frasi a focus ristretto quando la struttura sintattica è sufficiente a disambiguarlo. L’ambiguità, infatti, sorge quando la parola focalizzata è ultima di sintagma intonativo e, quindi, coincide con la solita posizione dell’accento nucleare in fiorentino (ivi: 5).

A favore del ruolo della struttura accentuale nella distinzione tra i due tipi di focus si esprime anche D’IMPERIO (2001) nel suo studio del napoletano in un corpus di parlato di laboratorio. Nelle dichiarative la categoria accentuale rappresenta un elemento distintivo, perché si presenta H+L* nelle frasi a focus ampio e L+H* nel focus ristretto. L’autrice fa un confronto tra le dichiarative e le interrogative a focus ristretto e osserva che nelle ultime si presenta un accento nucleare diverso (L*+H), in quanto alla sincronizzazione con la sillaba accentata e all’effetto percettivo che produce.

AVESANI (1999) dimostra come la diversa scansione e la diversa distribuzione degli accenti intonativi possano

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disambiguare costrutti morfosintattici con duplice portata semantica, in particolare la negazione e i quantificatori. L’autrice osserva che le frasi con limitata portata della negazione vengono sistematicamente scansionate in due sintagmi intermedi dai suoi informatori fiorentini:

ES.: [Guglielmo non beve] [perché è infelice]62. Mentre le frasi in cui la portata della negazione è ampia, nel

senso che si estende su tutta la frase, vengono prodotte in un solo sintagma intermedio:

ES.: [Guglielmo non beve perché è infelice] (Ma beve

per qualche altro motivo)63. Tale risultato porta a pensare che alla fine del segmento che

ricade sotto il dominio della negazione viene messo un confine prosodico per demarcare, in parallelo, la fine di un costituente prosodico.

Il ruolo della diversa accentazione si manifesta anche nelle frasi a duplice interpretazione semantica con gli operatori ‘solo’ e ‘anche’, ma la disambiguazione intonativa non si dimostra alquanto attiva nei casi di costruzioni sintattiche ambigue; in questo studio sono stati considerati i sintagmi avverbiali e preposizionali e le frasi relative (restrittive o appositive) come in:

62 Gli esempi sono riportati da AVESANI (1999). 63 Per quanto riguarda l’accentazione, nel primo caso l’ultimo elemento lessicale in ogni sintagma intermedio viene accentato, ma il verbo non porta l’accento principale di sintagma intonativo; nel secondo, invece, l’accento principale cade sul verbo e il resto della frase viene deaccentato.

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ES.: Lui le aveva parlato chiaramente.

Tale frase può significare: - che lui le aveva parlato in modo chiaro (la frase è

costituita da un solo sintagma), o - che era chiaro, evidente, che lui le aveva parlato

(l’avverbio rappresenta un SI a sé). Tale mancata chiarificazione intonativa delle ambiguità

sintattiche non trova tuttora una spiegazione completamente soddisfacente (cfr. anche HIRSCHBERG & AVESANI, 2000).

2.2.2.4. Intonazione e tipi di frase64

Nel corso della trattazione dei vari modelli di analisi intonativa (cfr. § 2.1.2.) abbiamo osservato che la considerazione di un legame tra l’andamento intonativo e l’espressione di vari tipi di frase è data per scontata. Da una posizione opposta, però, alcuni studiosi dell’intonazione inglese affermano che:

“no intonation is an infallible clue to any sentence type: any intonation that can occur with a statement, a command, or an exclamation can also occur with a question. Nevertheless there are interesting correlations” (BOLINGER, 1989: 98).

Un parere più rigido è stato espressamente avanzato da PIKE (1972) che sostiene che “there appeared to be no question pitch as such” (p. 59) e che non si possa parlare di un contorno interrogativo vs un contorno specificamente dichiarativo, perché in pratica si possono rinvenire per ogni modalità più contorni che vengono nel contempo adoperati per trasmettere altre modalità.

64 Dette anche ‘modalità’ (cfr. supra nota 19).

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Perciò, l’autore abbandona l’idea di associare certi contorni a modalità e/o costrutti grammaticali specifici e ricorre alla definizione attitudinale dei contorni.

In italiano, invece, c’è una forte prova a favore della considerazione di un ruolo linguistico dell’intonazione che rappresenta l’unica marca che distingue la domanda sì/no dalla frase dichiarativa, a differenza di lingue come l’inglese, che a livello sintattico inverte l’ordine del soggetto e del verbo e l’arabo standard, che a livello morfologico dispone di un apposito pronome interrogativo.

Tuttavia, nella presentazione dei risultati degli studi sulla codifica intonativa dei tipi di frase ci si trova di fronte a un quadro tutt’altro che unitario sia per la variazione diatopica, sia per le divergenze metodologiche con tutto quello che comportano di divergenza negli approcci, nei procedimenti di raccolta e di analisi dei corpora e nei tipi di materiale vocale studiato. Di conseguenza, si affronta il problema della scelta di un criterio preciso nella rassegna di quanto è stato raggiunto. Seguendo l’ordine cronologico osserviamo che fino a inizi anni Novanta prevalgono gli studi percettivi che si presentano per lo più come descrizioni dell’italiano, senza precisare il più delle volte una varietà regionale. Con il passar degli anni, invece, si osserva l’aumento degli studi strumentali interessati all’analisi delle particolarità regionali e dialettali e che, tramite il confronto con studi tradizionali, confermano o confutano gli assunti precedentemente avanzati. Nei sottoparagrafi seguenti osserveremo due punti cardinali di cui si è cercato approfondimento: una volta analizzata l’intonazione, 1) quali

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sarebbero i componenti distintivi del tipo di frase? e 2) qual è la fisionomia di tali componenti?

Va precisato, innanzitutto, che non sono pronte risposte definitive, visto che le indagini sono ancora in corso e c’è ancora molta strada da percorrere. Tuttavia, gli anni di studi hanno portato a scoperte interessanti e hanno reso la ricerca sull’intonazione meno vaga e più accurata.

2.2.2.4.1. Quattro lavori tradizionali

AGARD & DI PIETRO (1965) individuano per l’italiano due contorni (pattern) neutri che non riflettono informazioni attitudinali o emotive. Il primo trasmette le asserzioni, le richieste e le domande wh- e presenta un’intonazione bassa nei punti del nucleo e della fine dove profila anche una discesa. Il secondo è tipico delle domande sì/no e si caratterizza dal livello nucleare e finale alto e da una salita terminale.

Negli altri pattern che se ne derivano, livelli e andamenti finali si combinano variamente per conferire ai contorni principali varie sfumature. Per esempio, la salita finale in domande wh- rifletterebbe più coinvolgimento e interesse da parte del parlante, mentre il movimento finale piatto indicherebbe la sospensione o la non-conclusione dell’enunciato.

Generalmente conforme alla descrizione precedente è la

proposta di CHAPALLAZ (1979: 180 e segg.) che, in base ad analisi uditiva, considera per l’italiano tre andamenti basilari: discendente, discendente-ascendente e ascendente-discendente e sostiene che il primo sia solitamente usato nelle dichiarative, nelle domande wh-, nei comandi e nelle esclamazioni; il

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contorno discendente-ascendente è secondo l’autrice tipico delle sospensive, delle domande sì/no, delle interrogative polari, delle enumerazioni e di alcune domande wh- cortesi (per le interrogative cfr. anche CHAPALLAZ, 1964); il contorno ascendente-discendente risulta più comune nelle narrazioni e nelle enumerazioni.

I valori semantici e modali primari che LEPSCHY (1978b) conferisce ai suoi cinque toni subiscono modifiche con la variazione della velocità e dell’altezza del movimento melodico:

1) il contorno discendente esprime certezza e si impiega nelle dichiarative, nelle domande wh- e in alcune interrogative retoriche. Negli ordini il movimento inizia ad un livello alto e finisce ad un livello basso invece che a un livello medio;

2) il contorno ascendente indica il contrario del primo, ossia l’incertezza, per cui è adatto alle interrogative polari e alle frasi sospensive. L’ascesa rapida a livelli bassi segnala le affermazioni brusche o di sfida e gli avvertimenti energetici;

3) il costante o costante ascendente segnala l’incompiutezza dell’informazione e si usa nelle enumerazioni e ancora nelle sospensive;

4) il tono discendente-ascendente, finendo in salita, porta tracce di dubbio e si riscontra nelle domande-eco e nelle domande che esprimono sorpresa, nella sospensione enfatica e nelle domande aperte a risposte multiple, non solo a un sì o un no;

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5) il tono ascendente-discendente che esprime l’affermazione energetica veicola le contraddizioni e le correzioni e nelle frasi con valore concessivo segnala riserve o implicazioni. L’enfasi trova espressione con questo tono e a volte anche per via del profilo 4

Tale sistema, come dichiara l’autore, è basato sulla “intuizione linguistica e su giudizi uditivi” e l’assegnazione di certi significati ai toni descrive piuttosto la varietà veneziana che, tuttavia, si presenta come possibilmente valida per molte varietà d’Italia (cfr. 1978b: 136-137).

Per quanto riguarda la descrizione melodica, CANEPARI (1985, 1986) considera l’andamento della tonia in base all’andamento complessivo che le postoniche profilano. Nell’italiano standard la tonia conclusiva è di andamento discendente con pretonica e tonica medie e postoniche che passano alla tonalità bassa inferiore. Questa tonia è tipica delle asserzioni, degli imperativi, delle domande alternative e delle domande wh- in cui si osserva inoltre un rilievo sul pronome interrogativo.

La tonia interrogativa, propria delle domande polari, è ascendente con andamento medio fino alla postonica terminale alta superiore.

La tonia sospensiva profila una salita fino alle postoniche discendenti. Essa caratterizza gli asserti enumerativi in cui ricade sugli elementi elencati tranne l’ultimo che completa la lista e si realizza con una tonia conclusiva.

Essendo di tonalità media, la tonia divisiva risulta molto vicina alla sospensiva; essa si riscontra nelle formule di cortesia,

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quali i saluti, e nelle enumerazioni in cui il parlante non vuole trasmettere un distacco tra gli elementi dell’enumerazione.

Si osserva che le quattro proposte finora presentate hanno in comune l’associazione dell’andamento finale discendente che trasmette certezza alle dichiarative e alle domande aperte, e della salita finale all’incertezza o al coinvolgimento cortese e alla sospensione. Si nota anche l’importanza contrastiva data alla parte finale del contorno. Nei lavori più recenti tali descrizioni costituiscono di solito un punto di riferimento per eventuali confronti, soprattutto le descrizioni di CANEPARI degli italiani regionali (1986)65.

2.2.2.4.2. Dalle periferie al centro

VOGHERA (1992) riprende la proposta di Lepschy e svolge un’analisi uditiva su un corpus eterogeneo di vari gradi di formalità (dalla lezione universitaria alla conversazione libera tra amici). I parlanti sono di provenienza romana e campana, ma di livello di istruzione che secondo l’autrice neutralizza molto gli effetti delle prosodie regionali. Diversamente dalle ipotesi finora esposte i dati di Voghera non confermano una corrispondenza biunivoca tra il tono discendente e la funzione pragmatico-testuale della conclusione, in quanto l’autrice considera i gruppi tonali da una prospettiva più ampia, appunto testuale, in cui raggruppa sequenze di unità tonali e trova che il tono discendente può occorrere con un’alta percentuale nelle TU iniziali di sequenze e quindi in posizioni in cui il concetto espresso non è 65 CANEPARI (1986) offre al panorama degli studi sull’intonazione italiana il primo, e tuttora l’unico, contributo dettagliato sull’intonazione di varie modalità negli italiani regionali.

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ancora terminato o concluso. L’autrice di conseguenza mette in guardia contro “facili equivalenze tra toni e funzioni testuali e/o semantiche” (p. 109). Riguardo al tono 5 (ascendente-discendente) l’autrice ne osserva la ricorrenza in varie posizioni e non solo in posizioni finali come ci si sarebbe aspettati, ma i dati confermano il valore rafforzativo e argomentativo di questo tipo di andamento.

Infatti, Voghera raggiunge il risultato che la struttura ritmica e la distribuzione della tonicità sembrano convergere con la struttura semantica alla trasmissione del senso ancora più del tipo di tono (cfr. pp. 118-119, 138).

DE DOMINICIS (1992) raggruppa delle coppie di situazioni

comunicative in base all’opposizione tra le loro strutture modali: la richiesta si oppone alla provocazione, in quanto la prima è caratterizzata dalla modalità del ‘poter fare’ e la seconda dal ‘non poter fare’; l’ordine e la facoltatività rappresentano, rispettivamente, il ‘non poter non fare’ e il ‘poter non fare’; l’informazione (non dover non sapere), la valutazione (dover sapere), la rivelazione (dover non sapere) e la domanda sì/no (voler sapere)66.

L’autore arriva a postulare certe corrispondenze tra strutture intonative e strutture modali. Per esempio, si evince che il tono piatto sulla tonica si può correlare alla modalità ‘potere’ e il tono discendente alla modalità ‘non potere’. Si riscontra, inoltre, una correlazione tra il tono basso e la modalità non sapere e tra il tono medio e la modalità ‘sapere’. Lo studioso

66 BERTINETTO & MAGNO CALDOGNETTO (19973: 164 e segg.) considerano lo studio pragmatico di De Dominicis uno studio intonativo delle attitudini.

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raggiunge il risultato che la tonica porta i caratteri pertinenti nelle varie opposizioni, a differenza di CANEPARI (1986: 35) che attribuisce un ruolo rilevante alla protonica.

Riepilogando, i risultati raggiunti da Voghera e De

Dominicis, pur non essendo sufficienti a dare una risposta finale, inducono a una rivalutazione del ruolo pragmatico del contorno finale e spostano parte dell’attenzione dalle periferie delle unità di analisi verso l’interno o il centro, in particolare sulla tonica. Nel paragrafo seguente tale prospettiva troverà un’ampia convalidazione.

2.2.2.4.3. I tipi di frase in prospettiva geolinguistica

Abbiamo rinvenuto dallo spoglio del sottoparagrafo precedente che i punti rilevanti nella distinzione modale non si limitano all’andamento finale e che quindi l’intonazione ha vari componenti distintivi a livello pragmalinguistico. A questo punto, per poter rintracciare la natura di tali componenti occorre procedere per tipo di frase.

Una variabile rilevante in questo tipo di trattazione è la dimensione diatopica che caratterizza in qualche modo le produzioni vocali degli italiani: “In italiano l’intonazione nella maggior parte dei casi conserva le tracce più evidenti della diversa provenienza regionale dei parlanti” (VOGHERA, 1992: 88). Di conseguenza, un’esaustiva descrizione intonativa dell’italiano deve tenere conto di tutte le realizzazioni regionali di ogni tipo di frase. Però, la postulazione di una grammatica intonativa dell’italiano comporta un lavoro assai impegnativo che

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secondo CAPUTO (1997: 61-62) richiede la collaborazione di un gruppo di studiosi che adoperi gli stessi metodi di analisi e di trascrizione degli schemi riscontrati in una sola varietà regionale.

L’estrema difficoltà della realizzazione di uno scopo del genere è evidente. ROSSI (1998: 219-220) afferma che

“…where the native language of each Italian speaker is a regional language composed of a patchwork of dialects, to describe the intonation of Italian appears an impossible task. Serious and exhaustive research in this domain would require an Atlas of regional intonations”.

Del resto, la stessa raccolta di materiale linguistico a scopi scientifici e la sicurezza della rappresentatività del corpus si considerano un altro scoglio. DE DOMINICIS (1994) osserva che i parlanti di italiano popolare in situazioni di elicitazione potrebbero sentire giudicata la loro competenza linguistica, soprattutto di fronte ad un intervistatore parlante dello standard.

Infatti, la distinzione tra letto e spontaneo si dimostra anch’essa rilevante. La tendenza a modificare la prestazione prosodica nel parlato letto per avvicinarsi allo ‘standard’ è stata avanzata per gli italiani in generale da AMES (1969) e da GRICE (1995) per i palermitani ed è stata verificata in uno studio preliminare di SAVINO & REFICE (1997) sulle domande polari nella varietà barese. (cfr.§ 2.2.2.4.3.1.).

Altre peculiarità vanno tenute in considerazione nello studio accurato delle varietà. Nel corso della riflessione sul confronto intonativo tra standard, koinè regionali e dialetti, DE DOMINICIS (1994) segnala che le varietà urbane di parlanti istruiti sembrano avvicinarsi allo standard rispetto alle varietà rurali di registro basso. Tale fenomeno si può considerare conseguenza

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dell’incrocio tra gli assi di variazione diatopica e diastratica, che rende la ricerca ancora più complicata. Quanto alle varietà spontanee si registra anche il fenomeno che l’autore denomina sovrestensione e polivalenza intonative, per cui un contorno sembra utilizzabile in più situazioni comunicative che nello standard, secondo i suoi dati, vengono in effetti differenziate intonativamente.

A parte gli studi che si dovranno ancora condurre, restiamo ai dati sicuri per descrivere in quanto segue quello che sappiamo già dell’intonazione dei tipi di frase più studiati. Non ci deve sorprendere né deludere in merito la diversità dei risultati e la molteplicità dei punti oscuri ancora irrisolti.

2.2.2.4.3.1. Le interrogative

In letteratura i due tipi più studiati di interrogative sono le domande sì/no (dette anche polari, totali, globali, chiuse) e le domande wh- (parziali, aperte). L’ipotesi tradizionale diffusa è che le prime finiscano in salita melodica, mentre le seconde presentano un contorno finale simile a quello delle assertive (cfr. NESPOR, 1994: 279 e segg.; per un profilo degli studi su tale assunto in varie lingue si veda MAROTTA & SORIANELLO, 2001: § 5). In un corpus di italiano radiotelevisivo presumibilmente standard ROSSI (1998) rileva nelle domande sì/no una salita finale dopo la tonica bassa, mentre nelle domande chiuse si ha la discesa finale come nelle assertive, ma con un picco alto sul morfema interrogativo.

Tuttavia, sono riconosciuti alcuni particolari che

contrastano con l’ipotesi tradizionale, rendendo una

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caratterizzazione meno uniforme. Da una parte l’andamento discendente nelle interrogative sì/no è stato osservato negli studi tradizionali. CHAPALLAZ (1964) non esclude che le interrogative sì/no vengano prodotte con il pattern 1 (discendente) quando il contesto segnala la modalità o quando si tratta di una domanda-coda; dall’altra BERTINETTO & MAGNO CALDOGNETTO (19973: 170) sottolineano che in alcune varietà l’andamento nelle domande aperte (wh-) si presenta più vicino all’andamento ascendente delle domande sì/no, pur con minore innalzamento. Negli studi strumentali più recenti tali andamenti si sono rivelati comuni e diffusi in molte varietà.

Infatti, gli studi che verranno presentati in seguito non smentiscono del tutto la tradizionale opposizione tra gli andamenti terminali nelle interrogative chiuse e aperte (ascendente vs discendente, rispettivamente), ma scoprono la diffusione in molte zone d’Italia di contorni finali diversi così come evidenziano la portata del profilo tonico nella distinzione tra i tipi interrogativi. Tutti sono studi strumentali, per lo più di impostazione rappresentativa autosegmentale, tranne ENDO &

BERTINETTO (1997) e MATURI (1988).

Cominciamo con lo studio strumentale condotto su materiale letto raccolto in varie regioni della penisola da ENDO &

BERTINETTO (1997), che osservano nelle interrogative sì/no una discesa che si estende fino al movimento finale di f0, dove presenta un picco sull’ultima tonica (un rapido movimento di salita e discesa). In generale, si osserva che l’andamento complessivo discendente è il più diffuso, in particolare a

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Bologna, Pisa, Macerata, Roma, Napoli, Lecce e Cosenza67. Le domande wh- presentano un contorno globale discendente con un picco sul morfema interrogativo e non di rado si produce una risalita sulle atone terminali.

Figura 2: l’andamento di f0, riportato dall’articolo di ENDO & BERTINETTO (1997: 41), della domanda: Non l’hai per caso lasciato a casa? letta da un informatore cosentino. Nella figura si osserva il picco sulla tonica di ‘casa’ e il finale discendente.

La discussione sull’intonazione interrogativa a Napoli introduce a due argomenti interrelati. Il primo riguarda la realizzazione e il ruolo della presunta salita finale nelle domande globali e il secondo riguarda la posizione della marca d’interrogatività.

Le dichiarative e le interrogative sono state studiate da MATURI (1988) in parlato napoletano di laboratorio. Per l’analisi sono state effettuate la rilevazione della f0, la localizzazione dei picchi e l’individuazione della loro distribuzione nella frase. Emerge, infatti, che il contorno terminale in questa varietà, qualora considerato da solo, è poco significativo nella distinzione tra dichiarativa e interrogativa, in quanto i tre tipi presentano un’ascesa finale che, però, varia quantitativamente e si manifesta maggiore nelle domande. In compenso, il contorno di f0 nelle 67 Diversamente, il milanese presenta una salita finale (ENDO & BERTINETTO, 1997).

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domande sì/no si profila più ondulato (cioè con più picchi locali) rispetto alle dichiarative. Il picco sull’ultima tonica distingue le domande sì/no non soltanto dalle dichiarative, ma anche dalle domande wh- in cui non si riscontra tale picco.

Che il contorno terminale sia poco distintivo delle interrogative è stato rinvenuto anche da CAPUTO (1994, 1997) che sottolinea che per la distinzione tra le assertive e le interrogative chiuse la marca melodica deve essere ancora più arretrata rispetto all’andamento finale:

“Se è vero, infatti, che nella lingua italiana il mezzo principale per distinguere una domanda non wh- da un’asserzione è l’andamento melodico, è controintuitivo pensare che questo andamento melodico si realizzi sulla o sulle sillabe finali della domanda, costringendo l’interlocutore ad aspettare la fine dell’enunciato per capire che gli è stata rivolta una domanda e per iniziare, quindi, a formulare una risposta” (CAPUTO, 1997: 280).

L’autrice non individua, tuttavia, lo stesso andamento finale rilevato da Maturi per le domande sì/no. Invece, nel suo corpus di parlato spontaneo napoletano tale porzione melodica si profila di tipo prevalentemente discendente anziché ascendente, mentre la salita melodica si presenta, sul nucleo (il pattern con la salita sulla tonica viene rappresentato in termini ToBI con la sequenza L+H* L-L% o H-L%). Tale discrepanza potrebbe risalire alle differenze osservate in altre varietà tra i tipi di materiale vocale letto e parlato.

Inoltre, la distinzione nei dati di Caputo tra le interrogative aperte e chiuse sembra risiedere in primo piano nella marca

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morfosintattica (l’elemento wh-), oltre al profilo intonativo nucleare prevalentemente alto, visto che il pattern rilevato dall’autrice per le domande wh- è H*+H L-L% (CAPUTO, 1997: 245-246). I pattern interrogativi osservati dalla studiosa possono essere schematizzati come segue:

L+H* L-L% L+H* H-L% H*+H L-L%

domande sì/no domande wh-

Figura 3: schemi delle parti intonativamente rilevanti delle domande sì/no e delle domande wh- nel napoletano in base ai dati di CAPUTO (1997).

Quanto alle interrogative polari in barese, CANEPARI (1986) sostiene che la loro distinzione dal contorno conclusivo si affidi all’andamento finale discendente nel primo tipo e ascendente nel secondo dopo una tonica discendente in ambedue i contorni. Invece, nel corpus spontaneo (dialoghi Map Task) di SAVINO & REFICE (1997) le interrogative polari profilano un movimento comunque discendente sulle postoniche finali dopo un accento nucleare ascendente anziché discendente, che viene trascritto in termini autosegmentali con la stringa: L+H* L-L%. Un interessante accordo tra lo studio uditivo di Canepari e lo studio strumentale di Savino e Refice si rileva, invece, in riguardo all’andamento post-nucleare nel materiale di parlato letto, che i due autori descrivono con la sequenza L+H* L-H% (andamento ascendente sulla nucleare poi ascendente sulle postnucleari; cfr. anche SAVINO, 1997: 119-121).

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L+H* L-L% L+H* L-H%

barese parlato barese letto

Figura 4: schematizzazione dell’andamento nucleare e di confine nella domanda polare barese in due tipi di corpora: spontaneo e letto.

Nel barese, e all’interno della classe delle interrogative polari, SAVINO & REFICE (1997) hanno cercato, senza esiti positivi, una sistematica differenziazione intonativa tra gli atti comunicativi della richiesta d’informazione e della richiesta di conferma (per una simile conclusione nel pisano cfr. GILI

FIVELA, 2002). Un riscontro intonativo si rileva, invece, del grado di certezza del parlante circa l’informazione di cui chiede conferma. Sicché, la richiesta di una conferma di un’informazione di cui il grado di sicurezza è minimo ha in comune con le richieste d’informazione nuova la sequenza intonativa L+H* L-L%; invece, qualora nella richiesta di conferma il grado di sicurezza è alto, il contorno si presenta simile all’andamento delle frasi dichiarative, cioè con tonica discendente (H+L*) (cfr. anche GRICE & SAVINO, 1995; SAVINO, 1997).

Gli studi autosegmentali delle domande sì/no ai centri meridionali di Bari, Napoli, Cosenza e Palermo manifestano un accento nucleare ascendente (L+H), anche se l’allineamento con la tonica varia68, e toni di confine bassi (L-L%). La marca 68 Per le prime tre varietà l’accento nucleare è L+H*, mentre per il palermitano è L*+H. In effetti, il confronto tra i risultati degli studi autosegmentsli condotti sulle suddette varietà e anche sul fiorentino sottolinea che, malgrado le discrepanze intonative, i punti di convergenza si rivelano di più dei punti di divergenza. Si tratta per lo più di differenze di allineamento dei bersagli alle sillabe; a maggior ragione, vista la variazione di effetto percettivo, si dovrebbe orientare la trascrizione intonativa degli italiani regionali verso una maggiore trasparenza rappresentativa (cfr. supra nota 12; GRICE et al., 2004; MAROTTA & SORIANELLO, 2001).

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principale di interrogatività in queste quattro varietà sarebbe, quindi, il movimento sull’ultima tonica e non sulle postoniche finali (cfr. SAVINO, 1997, CAPUTO, 1997, MAROTTA &

SORIANELLO, 2001: 192-193; GRICE, 1995a, GRICE et al., 2004; vedi supra § 2.2.2.4.2.).

Il lucchese presenta anch’esso caratteri intonativi non conformi all’ipotesi tradizionale. MAROTTA & SORIANELLO (2001) rilevano nelle domande polari lucchesi (in un corpus vario di parlato indotto e spontaneo) una salita sull’ultima tonica seguita da una discesa finale, il che implica una somiglianza melodica alle suddette varietà meridionali, ma con diverso allineamento (L+H)* L-L%.

Le interrogative sì/no nel toscano presentano un esempio della forte variazione intonativa nella Penisola registrabile persino entro i confini della stessa regione. Nel senese, a differenza del lucchese, l’ultima tonica profila un andamenteo discendente e un contorno finale ascendente (H+L)* H-H% (MAROTTA & SORIANELLO, 2001)69.

Nel fiorentino, invece, AVESANI (1995) registra in parlato spontaneo e di laboratorio un andamento finale ascendente nella domanda totale, che viene rappresentato fonologicamente come L* H-H% o H+L* L-H%, mentre le domande parziali (wh-) non sembrano distinguersi dalle dichiarative a livello prosodico quanto a livello morfologico (H* o H+L* L-L%). Tuttavia, sempre nel fiorentino, FIRENZUOLI (2000) osserva una discesa finale nelle domande alternative malgrado l’assenza dell’elemento wh-. 69 L’andamento ascendente in senese è stato rilevato solo nelle domande sì/no. Nelle domande alternative, le domande eco e le domande coda l’andamento finale segnalato è discendente (cfr. MAROTTA & SORIANELLO, 1999).

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Nella varietà pisana GILI FIVELA (2002) analizza un corpus di dialoghi Map Task e di parlato letto, seguendo il modello metrico-autosegmentale e arriva a individuare nelle domande wh- un accento nucleare discendente e toni di confine bassi (H+L* L-L%), mentre nelle domande sì/no, dopo l’accento nucleare discendente (H+L*) rileva un movimento finale ascendente-discendente (H-L%).

Domande polari Domande wh-

Lucchese (L+H)* L-L%

Senese (H+L)* H-H%

Fiorentino L* H-H% H+L* L-H% H+L* L-L%

Pisano

H+L* H-L% H+L* L-L%

Figura 5: schema riassuntivo delle differenze tra le intonazioni delle domande polari e wh- nelle varietà finora studiate in Toscana.

Abbiamo, infine, dati sparsi sull’intonazione dell’interrogativa polare torinese, in cui Canepari distingue tonica e postoniche ascendenti e postonica terminale di tonalità

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alta. La descrizione di BESANA (1999) delle domande polari non contrasta molto con quanto registrato da Canepari, perché rileva sin da inizio frase un andamento ascendente che sulla postonica finale presenta una salita fino al massimo globale di f0.

ROMANO & INTERLANDI (2002), invece, rilevano un andamento finale caratterizzato da una tonica dall’andamento ‘spezzato’ composto da una discesa e una risalita e, successivamente, da un picco sulla postonica seguito da una discesa.

2.2.2.4.3.2. Le dichiarative

Alla frase dichiarativa si attribuisce di solito un contorno discendente con salita sulla prima parte dell’enunciato (ENDO & BERTINETTO, 97: 28, BERTINETTO & MAGNO CALDOGNETTO, 19973; cfr. supra). Il dato della discesa finale continua tuttora a riscontrare conferma. In fiorentino AVESANI (1995) descrive le dichiarative a focus ampio (H+L* L-L%) e a focus ristretto (H* L-L%) nelle quali la distinzione si affida all’accento intonativo. Nella varietà napoletana le dichiarative spontanee vengono rappresentate da CAPUTO con le stringhe H* L-L% e H+L* L-L% (cfr. 1997: 65; 1999: 233); invece, MATURI (1988), lavorando su un corpus di parlato indotto, osserva in questo tipo di frase una salita finale.

Sembra, infatti, che la differenza tra spontaneo e letto si fa sentire in alcune varietà. SORIANELLO (1997) rinviene che le conclusive nel parlato spontaneo di soggetti cosentini, a differenza del parlato letto, non profilano sempre una netta discesa finale, ma molto spesso una tenuta (un andamento piatto; cfr. p. 105).

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2.2.2.4.3.3. Le sospensive

ENDO & BERTINETTO (1997) puntano l’attenzione, oltre che sulle interrogative, anche sulle proposizioni sospensive (non-finali), sottolineando che queste non hanno avuto l’attenzione dei lavori sperimentali (cfr. p. 28). Secondo gli autori, questo tipo presenta due andamenti terminali: uno ascendente e uno discendente. Mostrano una netta tendenza verso la salita finale i soggetti provenienti da varie città settentrionali nonché da Lecce. Il contorno globale che si presenta maggiormente nei dati registrati nelle città centrali (Pisa, Macerata e Roma) è quello ascendente con una discesa finale sulle postoniche. I dati di Napoli presentano una distribuzione abbastanza equilibrata dei due tipi di contorno.

Discendente è generalmente l’andamento finale delle frasi non conclusive pronunciate in contesto naturale dai soggetti cosentini di SORIANELLO (1997). Ma più precisamente, la studiosa osserva che il parlato letto dei suoi soggetti cosentini mostra un movimento discendente sulla tonica seguito da una salita rappresentabile in termini autosegmentali con la stringa L* (o H+L*) H-H%, conformemente all’assunto generale comprovato in altre lingue che prevede l’associazione dell’andamento finale ascendente alla sospensione. Per contro, lo spontaneo manifesta una variazione di andamenti con un accento nucleare L+H* e tono di confine a volte ascendente e a volte discendente. A livello comunicativo Sorianello sottolinea il fatto che la chiusura discendente di un enunciato non conclusivo comporta il coinvolgimento dell’interlocutore che si impegnerebbe a inferire la non conclusività della TU dalle componenti semantiche e situazionali.

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L+H* H+L* H-H% cosentino spontaneo cosentino letto

Figura 6: gli andamenti sospensivi in cosentino parlato e letto.

Infine, le analisi del fiorentino e del barese confermano la realizzazione di una salita finale a variazione dell’accento nucleare (rispettivamente, H* o H+L* L-H% e L* L-H%; cfr. AVESANI, 1995; GRICE & SAVINO, 1995; SAVINO, 1997).

2.2.2.4.3.4. Le richieste di azione

Come si è visto negli studi più tradizionali, agli ordini viene associato l’andamento discendente proposto anche per le dichiarative (cfr. § 2.2.2.4.1.). Inoltre, si afferma che questo tipo è caratterizzato da intensità alta e da andamento velocemente discendente (BERTINETTO & MAGNO CALDOGNETTO, 19973: 170).

Studi più recenti rilevano tale somiglianza finale con le assertive, come il contributo di DE DOMINICIS (2001) sul bolognese. CAPUTO (1997) e AVESANI (1995) propongono per i comandi (con verbo imperativo) in napoletano e fiorentino, rispettivamente, la stessa trascrizione autosegmentale (H* L-L%) del contorno caratterizzato da un accento alto seguito da una discesa finale. Quanto al napoletano, CAPUTO (1997) nota che, a differenza delle asserzioni, i comandi sono accompagnati dalla forte accentuazione del verbo imperativo. La forte realizzazione prosodica del verbo imperativo viene registrata da GAMAL (2001) che, in un corpus semispontaneo napoletano, osserva che l’andamento delle richieste di azione non è univocamente

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discendente e varia anche in funzione della conclusività e della sospensione.

In un altro studio sul fiorentino CRESTI & FIRENZUOLI (1999) rilevano differenze prosodiche tra ordine e istruzione. Nel primo le autrici individuano dopo un picco sulle prime due sillabe dell’unità tonale una discesa ripida a grande escursione di f0 e ritmo veloce. Nell’istruzione il movimento è meno marcato e la discesa, graduale, si estende sul resto dell’unità; la velocità d’eloquio è lenta e ritmata e l’escursione di f0 non si presenta grande. Per di più, rispetto all’ordine la media di f0 nelle voci femminili è decisamente più bassa nell’istruzione.

Nello studio degli ordini nel pisano e nel barese (cfr. rispettivamente GILI FIVELA, 2002; SAVINO, 1997) sono state prese in considerazione la sospensione, che presenta un andamento finale ascendente, e la conclusione, caratterizzata dalla discesa finale.

BRIGATO & MAROTTA (2002) selezionano gli atti illocutivi

esortativi trasmessi dal verbo al modo imperativo in un corpus di parlato letto prodotto da parlanti lucchesi e conducono un confronto tra frase esortativa e assertiva al fine di rendere ancora più chiara la peculiarità prosodica del verbo dal valore pragmatico direttivo. Le somiglianze tra i due tipi riguardano i toni di confine che si presentano comunque discendenti (L-L%). Però, malgrado il movimento sul verbo sia ascendente-discendente nei due tipi, l’esortazione si distingue per una discesa più veloce e una prominenza che fa assegnare al verbo un accento intonativo. L’escursione di f0 sulla tonica dell’imperativo è notevolmente grande e nei soggetti maschili è ancora più

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grande “a conferma che nei maschi la forza illocutoria è tendenzialmente maggiore nell’atto di comando” (ivi: 114).

2.2.2.4.3.5. Altri tipi di frase

In letteratura si possono trovare analisi intonative di altri tipi pragmatici di cui riportiamo alcuni. Il confronto a livello interregionale risulta assai difficile e non molto utile per la scarsità dei dati e la variazione delle prospettive pragmatiche su cui viene basata la classificazione delle frasi.

Il richiamo in parlanti fiorentini si presenta da AVESANI (1995) con un plateau finale a livello medio di frequenza descrivibile con la stringa H* H-L%. Il profilo individuato da FIRENZUOLI (2000a) in quello che definisce richiamo distale risulta di andamento finale assai simile in quanto presenta una tenuta piatta-ascendente dopo una salita. Firenzuoli distingue tra richiamo distale, in cui l’interlocutore sta a distanza e, quindi, gli viene chiesto di prestare attenzione e insieme di avvicinarsi, e richiamo prossimale, in cui il movimento inizia con un plateau e finisce in discesa. I valori di f0 sono generalmente più alti nel richiamo distale, mentre la velocità di eloquio è più lenta.

Il pattern temporale risulta significativo anche nel richiamo napoletano, in quanto si osserva un allungamento sul nucleo dell’ultima sillaba del vocativo (sia tonica che atona; cfr. CAPUTO, 1997a); a livello melodico i vocativi presentano una variazione di andamenti, ma all’autrice risulta che l’andamento di livello alto rappresenta il pattern neutro, mentre l’andamento ascendente è tipico dei vocativi in contesti interrogativi e l’andamento discendente si riscontra di solito in contesti di

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asserzione e di richiesta, il che fa pensare a qualche legame tra il vocativo e il valore modale dell’enunciato, per cui l’autrice conclude che i vocativi fungono da marche di forza illocutiva.

Sotto la classe espressiva FIRENZUOLI (2000) descrive l’unità tonale di valore ottativo in fiorentino in cui il profilo risente della struttura sintattica. Espressioni come magari e almeno costituiscono una parte di preparazione tonale con intensità alta e un andamento a cappello seguito da un profilo piatto discendente sul sintagma nominale o aggettivale, mentre l’assenza di un’espressione introduttiva di desiderio comporta l’assenza della preparazione tonale.

FIRENZUOLI (2000a) distingue anche tra la deissi di oggetto in movimento e di oggetto fermo; in quest’ultima l’intonazione profila un cappello discendente sulle sillabe centrali e una chiusura discendente, la velocità di eloquio si rallenta sulle sillabe nucleari e l’escursione di f0 si mostra più grande che nella deissi di oggetto in movimento, la quale presenta una salita in tenuta con finale alto, valori di attacco di f0 alti e eloquio veloce (cfr. CRESTI et al., 1999).

2.2.2.4.4. Il nucleo

Nella sezione precedente abbiamo fornito una descrizione melodica dei contorni distintivi della modalità e abbiamo rilevato un ruolo primario del nucleo in tale tipo di caratterizzazione. Sappiamo che il nucleo è la sillaba che convoglia la maggiore prominenza nella TU, ma sappiamo allo stesso tempo che la descrizione e la definizione dei fenomeni prosodici non è mai univoca. In quanto segue concludiamo la nostra descrizione

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dell’intonazione in italiano con una discussione che mira a gettare luce sulla natura e sulla posizione del nucleo in italiano.

Si osserva che il nucleo si associa quasi sempre a un accento tonico. In effetti, l’accento rappresenta un elemento molto importante nella caratterizzazione dell’intonazione ed è ben noto che l’alternanza di sillabe prominenti e non costituisce “the backbone of intonation” (CRUTTENDEN, 1986: 7). Dunque, occorre distinguere tra accento lessicale e accento di TU. Il primo si può osservare a livello di parole isolate e distingue un nucleo sillabico rispetto agli altri nuclei della stessa parola. Si è riscontrato che il correlato principale dell’accento di parola in italiano è la durata seguita dall’intensità (cfr. FAVA & MAGNO

CALDOGNETTO, 1976; BERTINETTO, 1981). A livello di stringhe più estese, invece, si può osservare all’interno dell’unità di analisi una o più prominenze, alla produzione delle quali concorre anche un evento melodico rilevante che coinvolge il parametro acustico della frequenza fondamentale70. Queste prominenze si chiamano accenti principali di TU, o come si suole tradizionalmente chiamarle, accenti di frase. Si preferisce, di conseguenza, distinguere tra la sillaba tonica che porta accento lessicale e la sillaba accentata che porta la prominenza della TU (cfr. AVESANI, 1995). Infatti, ROSSI (1998: 222-223) precisa che il rapporto tra intonazione e accento lessicale è un rapporto di selezione, nel senso che l’evento (o il morfema) intonativo implica la presenza di un accento sulla sillaba, mentre non si dà necessariamente il caso inverso, cioè l’accento lessicale non comporta la presenza di una porzione intonativa distintiva. Sulla 70 Per il ruolo rilevante della f0 nella realizzazione dell’accento nucleare, la fonologia metrica autosegmentale lo denomina accento intonativo (pitch accent), ignorando gli altri due parametri (cfr. § 2.1.4.2.).

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prima parte dell’affermazione di Rossi non c’è un pieno accordo. Secondo DE DOMINICIS (2001: 138) “la salienza accentuale non procede necessariamente in sincrono con la salienza intonativa” (cfr. supra § 2.1.4.2.). Del resto, il caso più rappresentativo della coincidenza del nucleo con una sillaba atona è l’accento contrastivo che potrebbe coincidere con una sillaba atona (cfr. CAPUTO, 1997: 74-75). Sul rapporto tra l’accento principale e le sillabe metricamente forti si tornerà più avanti.

2.2.2.4.4.1. La posizione del nucleo

Per AGARD & DI PIETRO (1965) l’accento di frase su cui ricade normalmente il centro intonativo corrisponde all’ultima sillaba tonica; una collocazione più arretrata, invece, indicherebbe un focus contrastivo su questa parola che porta il centro intonativo e in questi casi i livelli melodici si presentano alti o extra-alti (cfr. p. 68).

Visto che l’impostazione hallidayana di base è di stampo informativo, nel senso che proclama un rapporto stretto tra il ruolo dell’intonazione e la struttura informativa del discorso, LEPSCHY (1978b) dichiara che la tonica principale di gruppo tonale è legata all’elemento lessicale nuovo, su cui si vuole richiamare l’attenzione (cfr. p. 132).

Allo stesso modo, VOGHERA (1992: § 4.2.) afferma che l’assegnazione del nucleo non è meccanica, cioè non meramente posizionale e che malgrado la posizione dell’accento principale sia prevalentemente finale di TU, i fattori semantico-testuali intervengono non di rado per spostare il nucleo.

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Secondo il modello ToBI e la teoria metrica autosegmentale il nucleo viene assegnato all’ultima tonica accentata nel sintagma intermedio (cfr. PIERREHUMBERT, 1987), ma in questa prospettiva il nucleo viene privato di ogni senso pragmatico, viene cioè privato di un aspetto importante e di un basilare elemento costitutivo. MAROTTA & SORIANELLO (2001) riconducono la rigidità nell’assegnazione del nucleo al legame stretto postulato dalla teoria tra la struttura metrica e l’intonazione e vedono in tale legame un’ipotesi di piena subordinazione dell’intonazione al ritmo, il che contrasta con la definizione e il ruolo pragmatico e comunicativo del nucleo. Le autrici affermano che nei loro dati il focus si concentra sulle parole che trasmettono la forza illocutiva nell’enunciato e/o sui marcatori deittici e che dunque nelle stringhe lunghe si possono manifestare accenti intonativi postnucleari (cfr. per gli accenti postnucleari nel barese GRICE & SAVINO, 1995; nel palermitano GRICE, 1995a; nel napoletano D’IMPERIO, 2001; GRICE et al., 2004).

Similmente, DE DOMINICIS (2001) dichiara che in italiano la prominenza accentuale non deve necessariamente coincidere con la prominenza intonativa. Inoltre, tramite lo studio delle interrogative e le assertive in bolognese l’autore raggiunge il risultato che la posizione del nucleo non è per niente fissa e avvia una discussione dell’utilità e la validità dell’adozione del criterio posizionale vs il criterio di salienza. Infatti, malgrado la scelta della fissazione della posizione del nucleo e la sua identificazione con l’ultima sillaba accentata costituiscano una scelta forzata, l’autore sottolinea allo stesso tempo l’instabilità del concetto di salienza, che, infatti, dà spazio alla soggettività e

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che non consente la confrontabilità dei dati ottenuti da parlanti diversi: “viene a mancare l’univocità della definizione di nucleo necessaria ad un suo uso scientifico e soprattutto non vi è più modo di comparare realizzazioni intonative di diversi parlanti” (p. 139).

Resta vero che la questione della posizione dell’accento nucleare è un argomento controverso e non di facile soluzione sia a livello teorico sia a livello operativo.

Detto ciò, GRICE et al. (2004), in uno studio su quattro varietà dell’italiano, raggiungono la conclusione che il criterio posizionale restrittivo non si dimostra valido e che il nucleo in italiano si può definire come “the rightmost fully-fledged pitch accent in the focussed constituent” (§ 4)71.

CAPUTO osserva che la maggior parte degli accenti principali ricade a fine TU (cfr. 1993), ma la discussione sviluppata dall’autrice (1997) sulla determinazione della posizione dell’accento nucleare in napoletano dimostra quanto la portata semantico-pragmatica sia rilevante in merito, e quanto la questione non sia riducibile a schemi ritmici rigidi. L’autrice procede nell’assegnazione della nuclearità tramite la considerazione, in ordine, di tre criteri. Il primo è semantico e prevede che il pattern nucleare (che inizia dalla sillaba nucleare e si estende fino alla fine della TU) trasmetta la forza illocutiva del segmento racchiuso nell’unità tonale. Il secondo è fonetico in quanto assegna la nuclearità al movimento melodico principale della TU. Il terzo, infine, è il criterio meramente posizionale della teoria metrica autosegmentale, a cui si farebbe ricorso 71 Vista l’imprevedibilità posizionale del nucleo le autrici propongono la sua demarcazione con la lettera ‘n’ nella versione italiana della trascrizione ToBI (GRICE et al., 2004).

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qualora i primi due criteri non siano sufficienti a far assegnare la nuclearità a uno degli accenti intonativi (cfr. CAPUTO, 1997: 73-74).

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CAPITOLO 3

ATTI DIRETTIVI NEL CORPUS

In questo capitolo presentiamo il lavoro condotto sul materiale fonico raccolto propriamente per questa ricerca allo scopo di rivelare alcuni punti oscuri relativi alla realizzazione prosodica dell’italiano L2 in soggetti arabofoni.

Il materiale vocale si articola in un corpus di controllo e un corpus più limitato, dettagliatamente analizzato. Il corpus di controllo è servito alla rilevazione della fisionomia morfosintattica dei direttivi nei dialoghi prodotti dagli informatori egiziani. I direttivi nel corpus più limitato sono descritti non solo dal punto di vista morfosintattico e pragmatico, ma anche dal punto di vista prosodico. Nello studio prosodico trattiamo del range e della sua funzionalità, della divisione in TU, dell’andamento globale e del movimento sulle postoniche, in particolare nei casi di sospensione.

L’accentazione nel corpus è rappresentata con il metodo ToBI-like che ci consente di stabilire un confronto tra i tipi di accenti intonativi riscontrati in L1 e L2. Inoltre, viene avanzata un’ipotesi sui risvolti pragmatici di alcuni tipi di accenti, e si fornisce un’ampia descrizione della collocazione degli accenti rispetto ai confini della TU e sugli elementi sintattici.

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Infine, il capitolo è corredato da una serie di appendici oltre ai grafici, le tabelle e le figure innestati nel testo del capitolo per una buona esemplificazione e disposizione dei dati. Tutti i grafici sono intestati dal codice del turno (cfr. appendice 8) e qualora si tratti di una parte del turno viene indicata anche la TU. I dati acustici rappresentati dalle ordinate sono allineati alla scala del tempo estesa sulle ascisse, e nascosta per dare più spazio alla curva e alle eventuali trascrizioni ortografiche e fonetiche. Tuttavia, si è preferito spesso immettere la trascrizione ortografica per comodità di esposizione. Negli esempi tratti dai dialoghi in arabo abbiamo preferito la traduzione in italiano (cfr. appendice 6).

3.1. METODO DI ELICITAZIONE E RACCOLTA DEL

MATERIALE

Il materiale è stato interamente raccolto col metodo di

elicitazione Map Task che richiede per ogni dialogo due interlocutori. In una ricerca precedente (GAMAL, 2001: §§ 1.1.3.2. e 1.1.3.3.) è stato trattato estesamente delle caratteristiche di tale metodo di elicitazione, perciò in questa sede non ci soffermeremmo a lungo su questo punto, ma daremo una presentazione breve. Nel ‘compito della mappa’ si assegna a uno dei due informanti il compito di descrivere un percorso predeterminato che è assente dalla mappa del partner, tocca quindi al primo guidare il secondo dalla partenza all’arrivo. Vista

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la distribuzione dei ruoli tra i soggetti, il primo si chiama Instruction giver o semplicemente giver (G) e il partner viene chiamato (Instruction) follower (F). Sulle mappe i due informanti hanno in comune delle icone sottoscritte da nomi distintivi a cui riferirsi per descrivere e tracciare l’iter. Spesso, però, le icone e la loro distribuzione non si lasciano identiche nelle due mappe per creare dei nodi nella comunicazione, tali da stimolare la conversazione e suscitare discussioni, coinvolgendo i parlanti di più e portandoli a parlare più a lungo e con maggiore spontaneità. Va precisato che il corpus risultante si denomina di solito semispontaneo, in quanto sono controllati il contesto situazionale e i punti di riferimento sulle mappe. Viene controllato anche l’ambiente di registrazione per garantire una buona qualità del materiale vocale, il che costituisce un vantaggio del metodo. Infine, il canale di interazione è esclusivamente verbale, perché i soggetti possono solo sentirsi, ma non devono vedersi né guardare le reciproche mappe (cfr. ANDERSON et al., 1991; SAVINO, 2002).

Abbiamo detto che il soggetto che ha il percorso sulla propria mappa si denomina Instruction giver (alla lettera, datore di istruzioni) ed è, infatti, l’istruzione a costituire il cuore della comunicazione. Le richieste di azioni sotto forma di istruzioni, esortazioni e/o ordini costituiscono il compito principale del giver e l’esecuzione di tali richieste è appunto il compito di F; esse dunque garantiscono il procedimento della comunicazione e il compimento del ‘gioco’, per cui gli verrà rivolta la nostra attenzione in questa tesi così come abbiamo fatto nel master (cfr. GAMAL, 2001).

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Durante la ricerca nella letteratura sulle prosodie araba e italiana si è osservata la mancanza di ampi studi fonetici sull’intonazione dell’arabo egiziano e dell’arabo in generale; è stata questa la ragione per cui nel capitolo 2 non abbiamo potuto dare un bilancio degli studi sull’intonazione araba (cfr. Introduzione). Per far fronte a tale lacuna negli studi prosodici abbiamo deciso di acquisire registrazioni in arabo e, a dire il vero, i nostri soggetti sono stati molto collaborativi in merito. Infatti, tali registrazioni ci consentono di ampliare la nostra conoscenza sulla prosodia araba e di fare, di seguito, un confronto tra la realizzazione prosodica in L1 e L2 nei soggetti analizzati.

Con gli informanti si iniziava sempre con il dialogo in italiano e poi gli si chiedeva di svolgere un compito della mappa nell’arabo egiziano, utilizzando ovviamente una mappa diversa per ogni dialogo; nella maggior parte dei casi, però, sono stati registrati più dialoghi in italiano. Le mappe sono state fornite dal CIRASS all’Università di Napoli che le aveva utilizzate in diversi progetti di ricerca a livello nazionale in Italia (cfr. CROCCO et al., 2002). Mentre le mappe A e C sono state utilizzate senza modifiche per le registrazioni in italiano, la mappa in arabo è stata ricostruita dalla sottoscritta tramite la traduzione, non molto fedele, dei nomi delle icone nella mappa D del corpus AVIP-API (cfr. CROCCO et al., 2002; infra, appendice 3) ed è stata contrassegnata dal codice B (cfr. appendice 4, punto A per il codice distintivo di ogni dialogo).

Gli informatori sono tutti egiziani e si dividono in due gruppi: apprendenti guidati intervistati e registrati al Cairo nella Facoltà di Lingue e apprendenti spontanei registrati in varie

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località dell’Italia. Con i primi (14 informatori) sono stati registrati 13 dialoghi in italiano e 7 in arabo; in Italia i soggetti sono stati di più (27 lavoratori egiziani) e, per conseguenza, lo sono state anche le registrazioni ottenute nelle città di Roma, Napoli e Milano (48 dialoghi di cui 18 in arabo e 30 in italiano). Il corpus di controllo rappresenta una parte cospicua di tutto questo materiale: degli apprendenti guidati abbiamo 10 dialoghi in italiano e 6 in arabo, mentre degli apprendenti spontanei abbiamo selezionato un insieme di 24 dialoghi rappresentativi che contano 12 conversazioni in arabo e 12 in italiano. Si ritiene che la libertà di scelta del partner debba aver consentito ai soggetti una maggiore spontaneità nello svolgimento della comunicazione.

Infine, occorre fare un’osservazione generale sui dialoghi in

italiano. Visto che le mappe sono state ideate proprio per parlanti italiani i nostri soggetti, soprattutto i migranti, hanno trovato difficoltà nella lettura dei nomi delle icone. La difficoltà del compito si ripercuoteva sulle lunghe pause vuote, sulle frequenti ripetizioni delle stesse parole da parte dei soggetti scombussolati e in un caso sul blocco totale di un giovane informatore che non è riuscito a svolgere il compito ed è stato sostituito, a sua richiesta, da un altro.

Dopo questa veloce presentazione passiamo alle analisi morfosintattiche condotte sul corpus di controllo che introduciamo con l’identificazione dell’oggetto d’esame, la categoria pragmatica delle richieste di azione.

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3.2. I DIRETTIVI NEL CORPUS

3.2.1. Sfondo teorico

Nel materiale fonico raccolto abbiamo selezionato le richieste di azioni come il segmento linguistico da analizzare dal punto di vista prosodico, e prima dal punto di vista sintattico-pragmatico. In una classificazione pragmatica, è ben saputo che nella versione più nota della teoria degli atti linguistici, quella sviluppata da SEARLE (1976 [1969], 1978 [1975], 1979; cfr. l’elaborazione originaria di AUSTIN, 1974 [1962]), le richieste di azioni fanno parte degli atti illocutivi direttivi che racchiudono anche la sottoclasse delle richieste di informazioni. La teoria è stata trattata estesamente in una ricerca precedente a cui rimandiamo per i dettagli (cfr. GAMAL, 2001); in questa sede, peraltro, rintracciamo solamente le linee generali della definizione dell’illocuzione direttiva. Essa si identifica con il tentativo di ottenere un’azione da parte dell’interlocutore, il che costituisce un adattamento del mondo alle parole.

A livello morfosintattico la forma imperativa costituisce l’indicatore di forza linguistico tipico dei direttivi, che rappresenta anche il veicolo degli atti direttivi diretti (cfr. SEARLE, 1978). In aggiunta all’imperativo e al modale deontico ‘dovere’ sussistono altri mezzi linguistici come la frase dichiarativa, le interrogative di richiesta e le forme impersonali (bisognare, occorrere, ecc.; cfr. GAMAL, 2001: § 1.2.3.2.). È noto, comunque, ed è stato confermato altrove (cfr. ivi: § 1.2.2.4.), che tra la forma linguistica e la funzione degli enunciati non persiste una corrispondenza costante e che a volte “the function of an utterance may be quite distinct from its traditional

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grammatical description” (STUBBS, 1983: 46). Di questa mancata trasparenza linguistica dobbiamo essere consapevoli durante l’identificazione degli atti direttivi, per cui ci avvarremo in tali casi del contesto linguistico e situazionale.

3.2.2. I direttivi nel corpus di controllo

3.2.2.1. La morfosintassi dei direttivi in italiano L1

(statistica pilota)

Prima della rassegna dei dati relativi agli apprendenti egiziani presentiamo una statistica pilota dei costrutti morfosintattici impiegati dagli italiani nei dialoghi Map Task. Per i dati abbiamo usufruito del DVD del corpus API (CROCCO et al., 2002). I dialoghi-campione sono otto e sono stati registrati in quattro città: Pisa, Firenze, Napoli e Bari.

Forma sintattica Percentuale

Imperativo 53% Deontico 18% Presente 20% Ellissi del verbo 4% Assertiva 2% Altro 3%

Tabella 4: le forme morfosintattiche che veicolano atti direttivi in otto dialoghi Map Task in italiano L1. Tra le altre forme non specificate abbiamo l’imperativo coniugato con la prima persona plurale, il presente con la prima persona singolare e il periodo ipotetico.

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Questi dati e altre osservazioni sugli usi grammaticali ci

serviranno più avanti nei confronti con i nostri apprendenti.

3.2.2.2. La morfosintassi dei direttivi negli apprendenti

spontanei (AS)

Gli apprendenti spontanei (d’ora in poi AS) sono stati divisi in due gruppi in base alla durata di permanenza in Italia e il progetto migratorio (cfr. §§ 1.2.3.3.2. e 1.2.3.3.3.3.). Il primo gruppo si è definitivamente stabilito in Italia, sia per matrimoni misti con cittadine italiane sia perché i figli sono cresciuti in Italia. L’età media di questo gruppo è 45 anni e la durata di permanenza media è 22 anni. Il secondo gruppo ha l’età media di 32 anni, ha passato mediamente 5 anni in Italia, ma mira a tornare in Egitto appena gli sembra “possibile”.

Come vedremo nella tabella seguente l’imperativo, il presente e il futuro sono le forme più usate in arabo e poi si aggiungono le costruzioni verbali (vedi la didascalia); in italiano la situazione non è simile. L’imperativo si presenta come la forma direttiva per eccellenza e ne appaiono varianti non impiegate nella L1 come l’imperativo ‘associativo’, coniugato, cioè, con la prima persona plurale. Le somiglianze più evidenti tra gli usi nelle due lingue si riscontrano nell’omissione del verbo e nelle assertive.

Trattandosi di apprendenti spontanei, probabilmente a poca conoscenza delle regole morfologiche, non si può sapere se i verbi al presente siano coniugati volontariamente all’indicativo o rappresentino imperativi devianti dalla norma. Detto ciò, va

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precisato che gli AS sanno usare bene l’imperativo, forse perché al lavoro gli vengono impartiti molti ordini e istruzioni (cfr. FAVARO, 1988: 51).

Arabo L1 Italiano L2

Forma sintattica

Migranti permanenti

Migranti da poco

Forma sintattica

Migranti permanenti

Migranti da poco

Imperativo 49% 26% Imperativo

(tu) 83% 53%

Presente 18% 49% Imperativo (noi)

2% 11%

Futuro 14% 3% Presente 1% 14%

Ellissi del verbo

3% 1% Ellissi del verbo

4% 2%

Assertiva 5% 8% Assertiva – 4% Costruzioni

verbali 10% 10% Deontico 2% 7%

Infinito 2% –

Tabella 5: le forme direttive più usate dagli apprendenti spontanei in L1 e L2. In arabo le costruzioni verbali si identificano in costrutti del tipo ‘vai/andrai + participio presente (es. تروح ماشى) e continua/i a + participio presente’ (es. تفضل Altre forme non riportate nella colonna della L2 sono il gerundio, le .(ماشىinteriezioni (basta!, su!), il presente coniugato con la prima persona plurale e il periodo ipotetico.

La maggiore differenza tra i due tipi di immigrati riguarda l’uso dell’imperativo e del presente. Rispetto ai nuovi arrivati, gli immigrati con lunga permanenza sul territorio italiano ricorrono di più al modo imperativo rivolto alla seconda persona singolare

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e usano molto di meno il presente indicativo. Dal confronto con i dati sull’italiano L1 (tabella 1) ci viene confermato, almeno per questo campione di informatori, il fatto che la durata di permanenza non è sempre una variante a favore dell’apprendimento di una lingua straniera (cfr. § 1.2.3.3.3.3.), in quanto si osserva la discrepanza tra gli usi grammaticali degli italiani e degli immigrati da lungo tempo.

Un’altra dissomiglianza tra i due gruppi di AS sta nell’uso del gerundio. Si vede, infatti, che gli immigrati da poco non mostrano di conoscere il gerundio. In un dialogo si riscontra più volte il costrutto seguente:

Es.: sali un po’ , ma con girare (= girando) Diversamente, gli immigrati da lungo impiegano il gerundio

nel 6% dei casi, come se fosse una frase reggente, senza cioè una frase principale e gli conferiscono un valore imperativo (il fenomeno si osserva in due soggetti).

Es.: A3R_G043: poi salendo diritto.

A3R_F044: sì Es.: A1R_G017: poi va verso / a sinistra <pl> diventa

come se fosse mezza+ / mezzaluna , no ? A1R_F018: sì

A1R_G019: eh <pl> poi andando verso il fiume con una curva verso al sud poi sali al Nord verso la parola <pb> fiume, va bene ?

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Es.: A1R_G031: vabbuo’ ? <pl> poi andando verso la barca , va bene?

In italiano L1, invece, il gerundio si presenta in una frase subordinata e la reggente normalmente non deve mancare, in modo che la frase complessa possa di solito dare due informazioni (gli esempi sono tratti da CROCCO et al., 2002; il passo seguente è del dialogo b02__b):

Es.: F248: <eeh> scuola doremì

G249: ci sei passato da destra ? F250: sì

G251: <beh> e vabè passandoci da destra praticamente arrivi quasi sopra l'università

La proposizione reggente può apparire anche in turni successivi (dialogo c01__b):

Es.: G048: passando a sinistra del bar da Liolà

F049: sì G050: verso il basso F051: sì G052: <ehm> arriva quasi fino alla fine del foglio F053: sì

G054: e a questo punto fai una curva ad u risalendo poi verso l’alto Similmente, negli apprendenti guidati il gerundio viene

usato secondo la norma:

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Es.: A2_G17: allora arrivando alla pasticceria il Babà A2_F18: sì A2_G19: si va diritto <pl> poi a sinistra

Dunque, riguardo agli usi grammaticali complessi possiamo

ipotizzare la presenza di una specie di gradatum che ha al primo grado i nuovi immigrati; gli immigrati con lunga permanenza stanno in una posizione media tra i primi e gli apprendenti guidati (d’ora in poi AG) che nel nostro campione sembrano essere arrivati al traguardo (la lingua d’arrivo).

3.2.2.3. La morfosintassi dei direttivi negli apprendenti

guidati (AG)

Gli apprendenti guidati hanno l’età media di 26 anni e studiano l’italiano mediamente da 9 anni. I dati morfosintattici ricavati dai turni dei giver nei 6 dialoghi in lingua araba e nei 10 in lingua italiana sono riportati in tabella.

Arabo egiziano L1 Italiano L2

Presente ‘tu’ 55% Imperativo ‘tu’ 30%

Presente ‘noi’ 5% Imperativo ‘noi’ 3% Deontico ‘tu’ 26%

Imperativo 19% Deontico ‘noi’ 2%

Futuro 9% Futuro ‘noi’ 8%

Infinito 12%

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Costruzioni verbali 4% Presente (o imperativo coniugato erroneamente)

2%

Ellissi del verbo 9% Asseriva 11% Altro 5%

Tabella 6: le forme direttive più ricorrenti nel corpus di controllo (apprendenti guidati). Quanto ai direttivi in italiano le altre forme non esplicitate in tabella sono il futuro, il modale potere e il periodo ipotetico.

La prima osservazione che salta subito agli occhi è la differenza tra gli usi grammaticali in arabo e in italiano, il che ci rivela che la sintassi nelle produzioni dei nostri informanti non subisce il transfer dalla L1.

In arabo il tempo presente rappresenta la forma più impiegata nel corpus di controllo e trasmette circa due terzi dei direttivi e al secondo posto viene l’imperativo; inoltre, si presenta molto frequentemente il direttivo ‘associativo’, ovvero il verbo (l’imperativo, il presente indicativo o il deontico) coniugato con la prima persona plurale (es.: passiamo da…, dobbiamo partire, ecc.).

In italiano, invece, gli apprendenti guidati utilizzano più che altro l’imperativo e il deontico. La percentuale degli infiniti in italiano è abbastanza alta, perché alcuni soggetti continuano in turni successivi a dare nuove istruzioni con infiniti retti da uno stesso deontico:

Es.: A5_G067: sì <pb> allora devi continuare così

<pl> salire salire

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Es.: A5_G147: #<F148> dentro# <pl> #<F148> devi salire#

A5_F148: <mhmh> A5_G149: salire A5_F150: quindi non giro attorno alla pasticceria A5_G151: no A5_F152: salgo un po’ #<G153> poi vado#

A5_G153: #<F152> salire un po’# <pb> e poi trovare ambulante In L2 si osserva anche un fenomeno assente in arabo, quale

l’ellissi del verbo. Le frasi in questo caso sono costituite solo da sintagmi avverbiali e preposizionali non retti da alcun verbo, senza che il turno sia una continuazione del turno precedente:

Es.: A4_G29: ok e poi <eehm> <pl> c’è un venditore

ambulante ? A4_F30: sì A4_G31: allora dalla pasticceria fino all’ambulante

questo<oo> A4_F32: ok

Es.: A5_F014: poi ?

A5_G015: poi <eeh> sempre diritto <pl> <eeh> A5_F016: verso sinistra vuoi dire ?

A5_G017: sinistra sì , a sinistra diritto diritto <pl> e poi sali accanto a fiume

Si ricorda che il fenomeno ricorre con percentuale più alta

rispetto all’italiano L1. In merito si potrebbe avanzare l’ipotesi

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che l’omissione del verbo in una comunicazione spontanea come il Map Task sia più comoda e rilassante per i nostri soggetti che danno gran peso al rispetto della norma. Perciò, la coniugazione del verbo in una lingua straniera a varia e ricca flessione come l’italiano gli richiederebbe non solo abilità, ma anche concentrazione. Infatti, a comprova della nostra ipotesi abbiamo da segnalare due osservazioni: la prima è l’assenza totale di tale tipo di ellissi nei dialoghi in arabo degli stessi soggetti; la seconda consiste nella minore frequenza del fenomeno dagli apprendenti spontanei che non si preoccupano molto per le regole grammaticali.

Infine, è frequente l’occorrenza di assertive a cui il follower risponde con affermazione e successivamente il giver passa a una nuova istruzione, in questi casi la definizione dell’atto direttivo è affidata esclusivamente al contesto in cui la reazione di F fa da chiave.

Es.: A4_G33: e dal tizio <risata> l’ambulante <eeh>

troverai qui un albergo , lo vedi ? A4_F34: sì ce l’ho A4_G35: allora A4_F36: ok A4_G37: ecco ci siamo all’al+/ dall’albergo

<pb> poi c’è la discoteca <pl> ce l’hai ? A4_F38: la discoteca Zazà ? A4_G39: Zazà ecco , esatto <pl> la discoteca

<pb> e finalmente a destra troverai la zona delle automobili <pb> che sarebbe il punto d’arrivo

A4_F40: sì <pl> sì ma prima della zona delle automobili cè il magazzino ventitrè <pl> non ce l’hai tu ?

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A4_G41: no ma non ci importa no , io non ce l’ho però l’imporante che dalla discoteca Zazà si può arrivare alla zona dove ci #<F42> sono le macchine#

A4_F42: #<G41> da te non si passa dal# magazzino?

A4_G43: no , perchè non c’è il magazzino da me A4_F44: dalla discoteca addirittura al punto

d’arrivo <pb> sì fatto Nel turno G35 si osserva che dal punto di vista funzionale

la congiunzione conclusiva ‘allora’ è valsa come direttivo dopo l’identificazione del punto di riferimento che va raggiunto. Ciò si capisce dal consenso del partner in F36. In F40 si vede che F ha capito quello che deve fare, come se gli fosse chiesto esplicitamente di passare con la penna per le icone; poi con l’asserzione in G41 la giver spiega l’istruzione in termini più chiari, ma senza ricorrere alle tradizionali forme direttive.

Nelle assertive trasmesse da proposizioni complesse il

gerundio è presente nel 4% del totale dei direttivi: Es.: A7_G041: tu puoi trovare l’ambulante , andando su Es.: A7_G047: continuando ad andare su , c’è l’albergo L’osservazione dei direttivi nel corpus di controllo ci

dimostra l’utilità di tale materiale. Infatti, l’analisi morfosintattica ci ha permesso di rilevare l’alta occorrenza di certe modalità indirette di espressione che in un corpus più ristretto sarebbero state probabilmente tralasciate.

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Confrontando i dati delle tabelle 1, 2 e 3 osserviamo che in arabo gli AG e gli immigrati da poco tempo ricorrono frequentemente al tempo presente, più degli immigrati permanenti che, come gli italiani, usano di più la forma imperativa nelle rispettive L1. Diversamente, si potrebbe concludere che gli egiziani impiegano normalmente il presente come prima forma direttiva in base ai dati riguardanti gli AG e gli AS che non hanno passato molto tempo in Italia. Del resto, in L2 questi due gruppi di apprendenti sanno prendersi le distanze da quest’abitudine linguistica.

In italiano L2, l’imperativo è la categoria morfosintattica più usata da tutti gli apprendenti. A differenza degli AG, l’infinito non è ricorrente dagli AS che usano sempre un verbo coniugato come nel campione analizzato in italiano L1. Tuttavia, come conseguenza del sistematico insegnamento delle varie regole morfosintattiche, gli AG hanno in comune con gli italiani l’alta frequenza del deontico che sanno coniugare correttamente, anche al modo condizionale (6% dei casi). La grande differenza d’occorrenza del presente indicativo tra L1 e L2, la presenza dell’ellissi e delle assertive nella L2 degli apprendenti guidati, malgrado la loro assenza in arabo e la distribuzione degli imperativi dai lavoratori con poca permanenza in Italia ci fanno concludere che a livello grammaticale i nostri apprendenti, soprattutto gli AG sanno distaccarsi dalla L1 e non cedono al fenomeno del transfer.

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3.3. CORPUS DELLA TESI

Per lo studio più analitico a livello morfosintattico,

pragmatico e fonetico (prosodico) abbiamo selezionato le registrazioni più ricche di illocuzioni direttive. Si tratta dei dialoghi prodotti in modo più naturale e spontaneo, migliori quanto a qualità di registrazione e più maneggiabili nel confronto tra loro grazie ad alcune somiglianze tra i soggetti, soprattutto i giver. Questo corpus limitato è costituito da 3 conversazioni registrate con due apprendenti guidati, di cui una in lingua araba (rispettivamente A3, C3 e B3) e da 2 dialoghi prodotti da due lavoratori egiziani a Napoli, uno in italiano e uno in arabo (A1N e B1N; cfr. appendice 4, punto A per il codice di ogni dialogo). La durata totale del corpus è 46 minuti circa72. I dialoghi in italiano sono stati trascritti per intero e tutti i turni di G e F sono stati contrassegnati da un numero progressivo. La trascrizione ortografica è stata eseguita con l’ausilio del “documento di specifiche” preparato per il progetto AVIP (SAVY, 2002; cfr. appendice 4).

I due dialoghi in arabo, invece, non sono stati trascritti interamente, visto che la trascrizione del dialetto risulta non solo problematica, ma anche poco utile in una tesi scritta in lingua italiana e dedicata alla fonetica dell’italiano L2. Per conseguenza, sono stati enumerati solo i turni di G che racchiudono richieste di azioni, il resto dei turni di G e i turni di F non hanno avuto enumerazione. Del resto, le TU in arabo che verranno analizzate foneticamente verranno tradotte in

72 A1N consta di 229 turni dialogici e dura 6.45 minuti; A3 è di 157 turni e dura 7.40 minuti; C3 si articola in 187 turni e dura 7.47 minuti; B1N dura 18.26 minuti e, infine, B3 dura 6.05 minuti.

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italiano sia nei grafici sia nel corso del capitolo. In appendice sono riportate le 10 mappe utilizzate dai nostri quattro informatori (2 mappe per ogni interazione; appendice 3), la trascrizione ortografica dei dialoghi italiani (appendice 5) e la traduzione in italiano delle TU direttive nei dialoghi in lingua araba (appendice 6).

Vista la distribuzione dei ruoli tra giver e follower si è osservato che i primi sono quelli che parlano di più e fanno più richieste di azioni, dunque le analisi specifiche verranno condotte sulle produzioni dei due giver.

3.3.1. I soggetti

Dopo ogni registrazione si chiedeva agli informatori di compilare dei questionari. Al fine di rassicurare risposte calzanti da parte degli apprendenti spontanei si faceva un’intervista in cui le domande venivano rivolte a voce in lingua araba e l’intervistatrice segnava le risposte. Gli apprendenti guidati, invece, compilavano tutto da soli. Ogni apprendente guidato registrato ha compilato due questionari, uno più lungo in qualità di ex studente della Facoltà e uno, breve, in qualità di interlocutore registrato secondo il metodo Map Task. Il primo questionario, anonimo, è servito alle statistiche rilevate sugli AG in Facoltà (cfr. § 1.3.2.2.1.2.3.; appendice 1) ed era stato compilato qualche mese prima dell’inizio della raccolta del materiale fonico, perciò durante le registrazioni è stato chiesto ad ogni soggetto di identificare il proprio questionario, a corredo della documentazione relativa ad ogni parlante; il secondo è una specie di scheda molto più concentrata che comprende inoltre

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domande riguardo al tipo di rapporto che lega i partner della registrazione.

In queste righe presentiamo in breve il profilo dei parlanti, soprattutto i giver. In appendice 2 sono forniti tutti i questionari compilati dai quattro soggetti.

L’apprendente guidato ha 23 anni ed è assistente nella Facoltà di Lingue (Al-Alsun). Il livello socioculturale si può definire medio. Quanto all’attività professionale il lavoro in Italia non fa parte degli scopi dell’informante che oltre al lavoro in Egitto mira con questo indirizzo di studi ad approfondire una cultura occidentale. Al momento della registrazione conosceva l’italiano già da sei anni. Il profilo multilingue è abbastanza ricco con l’inglese, il francese e lo spagnolo, che dichiara di conoscere bene. Le attività del tempo libero sono varie e gli amici italiani sono ‘tanti’.

Il profilo di F è quasi identico. I due AG si giudicano ad un ottimo livello nella lingua italiana. Sono apprendenti perfettamente guidati, in quanto non sono stati in Italia per più di un mese. G e F sono della stessa età e sono stati compagni di classe, ragion per cui i dialoghi registrati si presentano con toni amichevoli e spontanei.

Una situazione diafasica abbastanza simile, ma forse ancora

più rilassata si registra tra i due informatori migranti che si considerano addirittura ‘come fratelli’, malgrado la differenza d’età.

L’apprendente spontaneo appartiene al ceto medio-basso, ha 28 anni e, come l’altro informante, è proveniente dalla città di Giza nel Gran Cairo. Vive in Italia da tre anni ed è sposato con

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una italiana (napoletana). Oltre all’italiano l’informatore conosce bene l’inglese. Non ha mai seguito corsi di lingua italiana, ma si può considerare un autodidatta che, con l’ausilio dei libri d’insegnamento della lingua e l’aiuto della moglie, cerca di imparare ‘bene’ l’italiano. Il matrimonio è stato il motivo del trasferimento in Italia dove intende rimanere per sempre. Per mantenere i contatti con l’Egitto ci passa un mese ogni anno e telefona ai suoi una volta la settimana; non guarda la tv egiziana, ma ascolta sempre canzoni. Quanto all’italiano, per il nostro informatore è facile comunicare, ma è difficile leggere e scrivere bene. Con gli amici egiziani comunica sempre in arabo, sul lavoro in italiano. Gli amici stretti sono egiziani. In Italia fa il cuoco e lavora con la moglie nella sua copisteria.

Ricapitolando, avremo in quanto segue a che fare con le voci maschili di due giovani che provengono dalla stessa città, ma che hanno avuto una scolarizzazione diversa, appartengono a ceti sociali diversi e hanno prospettive culturali diverse.

3.4. L’ANALISI SINTATTICA E PRAGMATICA

3.4.1. I dialoghi in arabo

In generale, si osserva che nei due dialoghi in L1 non mancano le battute e i riferimenti ad attori, film e canzoni; inoltre, i follower interrompono il partner di più e intervengono chiedendo ulteriori spiegazioni, descrivendo a volte la propria mappa e cercando persino di ‘correggere’ il giver.

Il dialogo B1N dell’AS include 108 atti direttivi in 97 turni dialogici; nel dialogo B3, invece, si contano 25 richieste di azioni

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in 21 turni. Nella tabella 4 riportiamo i risultati dell’analisi morfosintattica dei due dialoghi.

In generale, si può osservare che i dati relativi ai nostri due soggetti sono in consonanza con quanto ricavato dal corpus di controllo (cfr. §§ 3.2.2.2., 3.2.2.3.).

La classificazione dei direttivi in istruzioni, ordini, ecc. non ci dà risultati rilevanti perché la maggior parte (87%) si identifica in istruzioni, mentre l’ordine e l’esortazione nei due dialoghi (13%) rappresentano una piccola parte. Detto ciò, si può rinvenire una certa costanza nelle scelte sintattiche dei parlanti, in particolare l’uso del modo imperativo, in relazione all’aspetto pragmatico della comunicazione.

Forma

morfosintattica AS AG

Imperativo 38% 42% Presente 27% 25% Costruzioni verbali 22% 9% Futuro 5% 4%

Ellissi del verbo 5% –

Periodo ipotetico 3% – Interiezione – 8% Bisogna – 4% Particella negativa

(بالش)– 8%

Tabella 7: la morfosintassi direttiva nei dialoghi B1N e B3 prodotti in lingua araba.

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L’apprendente guidato inizia la conversazione B3 con l’esortazione ‘su!, dai!’ (يالال) prodotta con intonazione interrogativa (ascendente), che sarebbe traducibile in ‘cominciamo?’ e poi dà le prime due istruzioni impiegando il presente, finché non s’imbatte nella prima differenza tra le mappe. A questo punto si registra il ricorrente impiego della forma imperativa. L’apprendente spontaneo si comporta nella stessa maniera e, in effetti, nei suoi direttivi che sono numericamente superiori a quelli dell’AG abbiamo avuto la possibilità di appurare l’ipotesi che l’imperativo si adoperi per veicolare istruzioni decisive e ordini insistenti. Si è osservato, inoltre, che l’esortazione e il richiamo di attenzione si trasmettono per via dell’imperativo. Le costruzioni verbali (continuare a, andare a + participio presente), come si vede dal senso, esprimono nei dialoghi rispettivamente la continuazione di un’azione precedente o il cambiamento di direzione, ma si riscontrano sempre quando F esprime il suo consenso riguardo a quanto detto prima.

3.4.2. I dialoghi in italiano

Sono i dialoghi A1N, A3 e C3. Gli ultimi due, come abbiamo detto, sono dell’AG e sono stati analizzati tutt’e due per raggiungere un numero di direttivi più o meno equivalente al numero dei direttivi rinvenuti nei turni dell’AS. Il totale dei direttivi rilevati nel corpus italiano è 120 direttivi in 116 turni (A1N: 67 diretivi in 63 turni; A3 + C3: 53 direttivi in 53 turni). Si nota che il numero dei turni è superiore al numero dei direttivi, perché alcune richieste di azioni si continuano in turni successivi:

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Es.: A1N_G067: sali sopra

A1N_F068: sali A1N_G069: della strada sempre <pb> sopra un

poco

Es.: A3_G011: sì , comunque tu devi fare il giro A3_F012: <mhmh>

A3_G013: <eeh> attorno a questo uccello , sempre a sinistra

Iniziamo la discussione della struttura sintattica dei direttivi

in L2 con l’introduzione dei dati in una tabella riassuntiva:

Forma

morfosintattica AS AG

Imperativo 81% 15%

Deontico 1,5% 55%

Presente 6% – Ellissi del verbo 10% 26% Infinito 1,5% – Assertiva – 2% Interiezione – 2%

Tabella 8: le categorie morfosintattiche rinvenute nei dialoghi in italiano L2.

Innanzitutto, facciamo un confronto tra gli usi in arabo e in italiano dei nostri due informatori. Nei turni dell’AS l’imperativo rappresenta la forma direttiva prevalente sia in L1 che in L2. L’AG, invece, mostra una netta variazione nelle scelte

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grammaticali in L2, ricorrendo di più al deontico e all’ellissi del verbo. Tale discrepanza tra L1 e L2 è stata osservata anche nel corpus di controllo negli AG più che negli AS. L’occorrenza del presente in ambedue gli informanti è quasi uguale in L1, ma in L2 è molto bassa dall’AS e del tutto assente dall’AG. Infatti, si potrebbe pensare che l’uso del presente da parte del primo sia soprattutto l’esito di coniugazione erronea o di lapsus:

Es.: A1N_G223: arriva a automobili <pl> e parcheggi

la macchina <pb> e non fare casini Es.: A1N_G075: allora scrive <pb> hai arrivato a

questo posto *vai un / una ‘x’ e scrivi fiume Es.: A1N_G085: poi sali sopra

... A1N_G087: sale A1N_F088: ancora ?

Avendo la tabella 1 sull’italiano L1 come punto di

riferimento nel confronto tra i due tipi di apprendenti e tra questi e i parlanti nativi della lingua bersaglio, osserviamo che l’AS manifesta una sbilanciata distribuzione delle occorrenze a favore dell’imperativo che trasmette l’80% delle richieste di azione, a differenza degli italiani e dell’AG che mostrano una varietà negli usi ricorrendo in circa la metà dei casi a una certa categoria sintattica e poi ad altre due forme dalla frequenza d’uso abbastanza consistente. Ciò va in linea con quanto sappiamo della limitata conoscenza morfosintattica degli immigrati che sono esposti più che altro all’imperativo come veicolo principale

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dei direttivi. Al lato opposto si conferma dall’AG l’osservanza delle regole grammaticali che porta il deontico e l’imperativo ai primi posti tra gli elementi sintattici, evita completamente l’uso del presente indicativo e non confonde tra esso e il modo imperativo. Intanto, sull’omissione del verbo abbiamo avanzato la nostra ipotesi poc’anzi (cfr. § 3.2.2.3.). Del resto, considerando il posto che occupa ogni elemento sintattico nella scala d’occorrenza, non possiamo individuare nette somiglianze tra i tre gruppi di parlanti, tranne la prevalenza dell’imperativo dall’AS e i nativi.

Quanto alla tipologia pragmatica, come in arabo,

l’istruzione prevale con la percentuale media dell’88% delle richieste di azioni (nei dialoghi dell’AG l’istruzione costituisce l’85% dei direttivi; in A1N l’istruzione forma il 93%). In relazione alla morfosintassi, tuttavia, non è stata riscontrata una corrispondenza tra funzioni comunicative ed elementi sintattici in L2.

In A3 e C3 l’andamento dei direttivi è più o meno uguale: si inizia con ordini che mirano all’avvio del dialogo e a organizzare il procedimento del compito:

Es.: A3_G003: chiedi <pl> <RUMORE>

A3_F004: che chiedo ? Poi segue una serie di istruzioni ‘neutre’ che diventano a volte ordini autoritari nei momenti in cui F contraddice G:

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Es.: C3_F042: no no , questo non va bene per me perché la mia carta è completamente #<G043> diversa dalla tua#

C3_G043: #<F042> no ma tu devi# {[articolando] seguire la strada scritta} sulla mia carta

I direttivi di ricapitolazione che si possono identificare in semplici istruzioni si riscontrano nei momenti di blocco del compito per le differenze tra le mappe e alla fine della conversazione.

Es.: A3_F090: no no , da me non c’è questo <pb> c’è

la pasticceria il Babà A3_G091: no , infatti <pl> cominciamo da sotto

<pl> c’è il punto di partenza e poi abbiamo fatto il giro a sinistra attorno a questo uccello <pl> e poi sempre diritto sempre a sinistra …

Es.: C3_G173: comunque facciamo subito la revisione

della strada … Il dialogo A1N va liscio perché F parla molto di meno ed è

quasi sempre d’accordo con G che quando scopre la mancanza di un punto di riferimento suggerisce semplicemente a F di segnarlo con la penna sulla sua mappa. La comunicazione inizia con l’istruzione deontica che mira alla determinazione del compito e poi con l’esortazione ‘piano piano’. Seguono le istruzioni finché si arriva alla conclusione del compito in cui il G dà 2 ordini e un consiglio scherzoso (cfr. appendice 5).

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3.5. L’ANALISI FONETICA

L’analisi fonetica è stata condotta sugli atti direttivi nei

cinque dialoghi A1N, B1N, A3, C3 e B3. Il totale dei turni analizzati, sia a livello segmentale che soprasegmentale è 174: 58 in arabo (L1) e 116 in italiano (L2). Dei 97 turni direttivi individuati nel dialogo B1N (degli AS) sono stati selezionati per le analisi 37 turni, un numero quasi pari al totale riscontrato in B3 (degli AG). Nella scelta di questi 37 turni sono stati considerati i costrutti sintattici confrontabili con quanto rilevato nelle produzioni dell’AG. Dunque, dato che sarebbe più opportuno cercare casi diffusi allo scopo di arrivare, sia pur in minima scala, a statistiche rappresentative nel confronto tra L1 e L2, concentreremo l’analisi in arabo sulle tre forme più ricorrenti (l’imperativo, il presente e le costruzioni verbali), oltre al direttivo senza verbo che costituisce un uso non di rara occorrenza nella produzione dei soggetti. Di conseguenza, in B1N non sono stati analizzati i direttivi trasmessi dal futuro indicativo, perché sono pochi e non se ne riscontra corrispettivo nel dialogo in italiano dell’AS. Un altro forte motivo per cui abbiamo scartato le richieste di azioni veicolate dal futuro è che i software d’analisi acustica presentano nei turni in questione grossi errori di calcolo della f0.

In preparazione all’analisi fonetica e con l’ausilio della trascrizione ortografica, ogni dialogo è stato segmentato in file di voce, un file per ogni turno. All’interno di ogni turno con il

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software di analisi acustica wavesurfer (il sito http://www.speech.kth.se/wavesurfer/) è stata approntata la trascrizione fonetica segmentale con i simboli X-Sampa (cfr. appendice 7) e la divisione in sillabe per ottenere le durate sillabiche e nucleari dei segmenti. Inoltre, sul tracciato di f0 sono stati misurati i valori sia nei punti di cambiamento sia all’inizio e alla fine dei plateau, ovvero le zone di stabilità frequenziale che godono di una significativa estensione temporale e producono un effetto uditivo rilevante. Nella misurazione dei valori di f0 si è osservato che il programma d’analisi produceva frequentemente errori di calcolo in ambedue gli informanti, uno perché ha la voce bassa e spesso gracchiata, l’altro perché si avvicinava troppo al microfono e a volte parlava a voce molto alta. In questi casi si ricorreva al programma d’analisi SAT (Speech Analysis Tools) messo a punto nel Summer Institute of Linguistics (si veda il sito www.sil.org). Nei casi di massima incertezza la f0 veniva ottenuta manualmente calcolando l’inverso della durata del periodo, che a sua volta veniva rilevata sulla forma d’onda dopo la segmentazione dei foni.

Durante la rilevazione è stato tenuto conto dei fenomeni di microprosodia o di perturbazione del tracciato dovuti all’effetto che le consonanti esercitano sull’onset, ovvero la parte iniziale, della vocale successiva. Di norma, si osserva che a parità di contesto fonetico le vocali alte [i] e [u] presentano valori frequenziali più alti delle vocali medie [e] e [o] e ancora più della vocale bassa [a]. È ben noto, inoltre, che le vocali in contiguità di consonanti sonore manifestano un abbassamento dei valori di f0; d’altra parte, le occlusive sorde, provocano un calo della f0 prima della fase di chiusura, che segna l’interruzione del tracciato; poi,

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in contemporanea al rilascio della consonante e in coincidenza dell’onset vocalico, il tracciato torna, dopo l’interruzione, ad un livello molto alto che subito si abbassa drasticamente (cfr. MAGNO CALDOGNETTO, 1977; GILI FIVELA & BERTINETTO, 2002). Evitando tali punti d’instabilità si può osservare l’andamento melodico globale che veicola la vera e propria melodia dell’enunciato e per la cui classificazione abbiamo adoperato il metodo di etichettatura INTSINT come vedremo più avanti (§ 3.5.2.3.1.).

Infine, i valori d’intensità sono stati rilevati soprattutto come strumento di verifica sia nella divisione in TU sia nella determinazione degli accenti principali (vedi infra) e il software più utile in merito è stato il SAT.

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Figura 7: la finestra del software d’analisi utilizzato nelle analisi fonetiche mostra da sopra la forma d’onda, il sonagramma a banda larga e il tracciato di f0 allineati alla scala del tempo. Posizionando il cursore (la linea rossa verticale che si vede a destra in questa figura) su qualsiasi punto del tracciato di f0, appare il valore di frequenza in fondo alla finestra a sinistra (dentro il cerchio tratteggiato). In questo esempio dopo il punto d’attacco (sotto la freccia azzurra) si osserva un plateau che si estende su cinque sillabe e poi una discesa di cui rileviamo, come di norma, il punto finale. Il movimento discendente-ascendente che chiude la TU forma un avvallamento e vengono misurati, oltre al punto minimo, l’inizio e la fine del movimento. Sotto la scala del tempo abbiamo sei righe per l’introduzione dei dati fonetici. La prima riga ad essere compilata è quella della trascrizione segmentale ‘syl’ in cui ogni sillaba si estende tra due linee verticali. Le durate nucleari in millisecondi (ms) vengono immesse sull’ultima riga ‘dnc’. La trascrizione ortografica parola per parola viene collocata sulla riga ‘wrd’, mentre le tre righe superiori sono riservate all’analisi prosodica. I valori frequenziali vengono rilevati sul livello di trascrizione ‘vf0’ secondo i criteri che abbiamo ricordato sopra e poi viene inserita nella riga di sotto ‘int’ la trascrizione INTSINT e infine vengono assegnati gli accenti principali e gli accenti tonali prominenti trascritti secondo il metodo ToBI-like (cfr. §§ 2.1.4.3 e 3.5.2.5.2.).

3.5.1. Cenni segmentali

Prima dell’esposizione delle analisi soprasegmentali segnaliamo alcune osservazioni sulla realizzazione segmentale dei due parlanti. In due fenomeni osservati troviamo un’ulteriore prova, questa volta acustica, delle differenze tra gli apprendenti spontanei e guidati.

Nelle produzioni dell’apprendente spontaneo vissuto a Napoli si osserva il fenomeno napoletano dell’indebolimento della vocale finale che precede una pausa e a volte anche la riduzione di tutta la sillaba finale di fonazione che diventa “quasi sfumata” (DE BLASI & IMPERATORE, 2000: 34). Le figure 2 e 3 mostrano come nel nostro parlante la vocale finale non sia solo indebolita, ma del tutto assente.

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Figura 8: forma d’onda e sonagramma a banda larga del turno A1N_G013: ‘poi vai a sinistra’. Sotto la scala del tempo si osserva la trascrizione ortografica sulla barra ‘wrd’ e l’etichettatura fonetica sulla barra ‘syl’. Si nota l’assenza di qualsiasi traccia di un fono vocalico finale in quanto il segnale sul sonagramma finisce con l’annerimento regolare che segna la frizione e pervade tutta la coda dell’ultima sillaba [n i~s t_f r].

Figura 9: forma d’onda e sonagramma a banda larga del turno A1N_G017: ‘piano piano’.

Tale fenomeno si verifica dal nostro AS nel 26% delle vocali atone seguite da pause, mentre nell’AG l’indebolimento

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vocalico è completamente assente e le vocali finali sono pienamente realizzate, come si vede nell’esempio in figura 4.

Figura 10: nella TU5 nel turno A3_G045: ‘di sopra’ si osserva l’altezza e la regolarità dell’onda in coincidenza della vocale finale e anche le formanti sul sonagramma.

Un altro fenomeno diffuso nei dialetti centromeridionali che colpisce questa volta le consonanti è il raddoppiamento fonosintattico che consiste nella geminazione di una consonante iniziale di parola preceduta da una parola tronca o da un monosillabo. Ma non si tratta solo di questo contesto linguistico; le parole che innescano il rafforzamento fonosintattico possono variare da un dialetto all’altro. Per il napoletano DE BLASI &

IMPERATORE, (2000: 48-49) forniscono un elenco delle parole che provocano il raddoppiamento della prima consonante della parola seguente, ma il nostro AS non mostra di parlare bene questo dialetto stretto. Perciò, non si è potuto calcolare la percentuale dei raddoppiamenti presenti rispetto alla regola come abbiamo fatto con la riduzione vocalica a fine fonazione (cfr.

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supra). Per quanto riguarda la rilevazione acustica del fenomeno, la durata consonantica non è sempre un criterio sicuro della geminazione, perché a volte le doppie presentano durate vicine a quelle delle consonanti scempie; in questi casi il ripetuto ascolto fa da buono strumento di accertamento.

Nelle 83 TU dell’AS il fenomeno si rileva 16 volte, soprattutto dopo la preposizione ‘a’:

Es.: vajaddestr vai a destra Per contro, il fenomeno si rileva solo tre volte nelle TU

dell’AG: Es.: C3_G125-TU2: epo~!u~mpossop_vra

e poi un pò sopra Es.: A3_G063-TU4: eppojadestra

e poi a destra Es.: A3_G091: TU4: e pp_vojaBBj!ao~fatt!olZ!ir!O

e poi abbiamo fatto il giro

Nel dialogo C3 si riscontrano altri due casi di rafforzamento della consonante iniziale della parola ‘sempre’, ma in contesti di focalizzazione della parola. Tale geminazione non si può considerare un fenomeno di fonotassi, ma una modalità d’enfasi. Infatti la vocale tonica della parola d’interesse presenta un innalzamento dei valori di f0 che porta la frequenza al massimo del range come in C3_G051 o esibisce un’escursione notevole (G105):

Es.: C3_G051-TU4: kamm!i~naresse~mp_vresemp_vrE

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!adestra camminare sempre a destra 200 Hz 216 Hz Es.: C3_G105-TU4: kammi~na~@esse~mp_vrasi~ni~stra

camminare sempre a sinistra 125Hz 216 Hz

Tali divergenze tra AS e AG rappresentano il risvolto delle differenze tra le modalità di apprendimento. Mentre l’apprendimento guidato è basato soprattutto sulla lettura, l’apprendimento spontaneo è l’esito quasi esclusivo dell’esposizione quotidiana alla lingua degli italiani nativi. Perciò, la pronuncia degli AG è normalmente più vicina all’ideale standard non marcato regionalmente, laddove gli AS, che spesso sanno scrivere a stento, rendono abbastanza bene certi fenomeni fonologici che l’apprendimento canonico tralascia e che non trovano espressione nel sistema ortografico della lingua italiana, malgrado costituiscano una realtà nella lingua quotidiana.

L’aspetto segmentale che non sembra presentare grosse discrepanze in funzione del tipo di apprendente è la realizzazione dell’occlusiva bilabiale sorda che dai due soggetti presenta oltre alla resa corretta, altre due realizzazioni: la sonorizzata [p_v] e la bilabiale approssimante [B]. Si nota nella tabella 6 che la resa corretta è più frequente dall’AG come lo è infatti da tutti gli apprendenti guidati del corpus di controllo.

Rese di /p/ AS AG

p 44% 53%

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p_v 54% 45% B 2% 2%

Tabella 9: le pronunce dell’occlusiva bilabiale sorda. La colonna dell’AG include la media dei dialoghi A3 e C3.

Di fatto, la resa sorda rispecchia il rispetto della regola fonologica che costituisce a sua volta un segnale di un livello culturale abbastanza alto. Visto che il fonema non esiste in arabo, la capacità di pronunciarlo bene richiede interesse nell’apprendimento e anche molto spesso riflette un buon livello scolastico e una cultura multilingue dei genitori. Quanto all’AS che vive a Napoli, si sa che la desonorizzazione della bilabiale sorda è una caratteristica del napoletano che quindi rappresenta un punto d’incontro con l’arabo e di conseguenza una comodità per l’apprendente (cfr. supra § 1.4.2.3., nota 28).

3.5.2. L’analisi prosodica

L’analisi prosodica costituisce il nucleo del lavoro sperimentale in questa tesi, così come rappresenta un aspetto linguistico non indagato prima nell’ambito dell’italiano L2, soprattutto tra gli arabofoni.

3.5.2.1. Il range

Per la determinazione delle fasce dell’estensione melodica sono stati rilevati, innanzitutto, il massimo e il minimo frequenziale in ogni TU; dalle medie e le deviazioni standard ottenute, con l’ausilio delle equazioni seguenti, sono stati

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calcolati i limiti superiore e inferiore dello spazio melodico che comprende la maggior parte delle produzioni di ogni parlante in ogni dialogo a parte (cfr. CAPUTO, 1997: 95 e segg.):

Limite superiore = media f0 max + deviazione standard Limite inferiore = media f0 min – deviazione standard Tale spazio si divide in tre fasce: alta, media e bassa tramite

la divisione su tre della differenza tra limite superiore e inferiore. Infine, si definiscono due fasce periferiche. Tra il limite superiore della fascia A e il massimo di f0 più grande di tutti si estende la fascia extra-alta, mentre la fascia extra-bassa si colloca tra il limite inferiore della fascia bassa e il minimo registrato tra tutti i minimi delle TU. I calcoli suddetti sono stati effettuati in ogni dialogo a parte e poi sono state ottenute le medie per ogni informatore G nelle due lingue.

AS AG

XA 183 – 237 222 – 267

A 153 – 183 185 – 222

M 121 – 152 148 – 185

B 90 – 121 112 – 148

XB 80 – 90 107 – 112

Tabella 10: le 5 fasce del range di ogni informatore: extra-alta (XA), alta (A), media (M), bassa (B) e extra-bassa (XB). È stata calcolata la media di ogni parlante in L1 e L2, perché i confini di ogni fascia del range non cambiano significativamente nelle due lingue. Solo il massimo e il minimo, rispettivamente, di XA e di XB (in grassetto) sono valori assoluti.

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La determinazione delle fasce del range non serve solo da strumento nell’assegnazione degli accenti principali, ma è utile anche per l’identificazione di certe scelte pragmatiche e per l’esplorazione dell’organizzazione dei turni. Si ritiene per esempio che il cambiamento dell’argomento si segnali da un innalzamento melodico; inoltre, nelle sovrapposizioni dei turni la f0 alta è uno dei correlati della voce alta che pretende la parola o che non vuole cedere il turno. Inoltre, la prosodia svolge un ruolo cardinale nella trasmissione delle emozioni e dello stato psicologico del parlante (cfr. ANOLLI & CICERI, 1997; BECKMAN, 1995; supra § 2.2.1.).

Nel nostro corpus si segnala a volte, ma non in maniera sistematica, un ricorso significativo e mirato alla fascia XA. A mo’ d’esempio, A1N_G095 segna l’inizio di una nuova fascia di istruzioni dopo l’arrivo a un punto di riferimento (la figura delle barche):

A1N_G093: ci stai ?

A1N_F094: sì

A1N_G095: meno male <pl> sali un poco più sopra 202Hz La melodia alta trasmette l’idea che l’ordine in G147 va

eseguito. Il giver vuole che la figura venga comunque segnalata, senza chiedere prima se esiste o meno sulla mappa del partner:

A1N_G147:allora <pl> *vai un punto di iks <pl> scrivi iks 202Hz 156Hz

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Si nota che l’istruzione si ripete nello stesso turno, ma la prima volta la melodia si profila molto più alta rispetto alla ripetizione.

In A3_G091 il direttivo viene collocato nella fascia frequenziale A per interrompere F, che si trova perso di fronte alla discrepanza tra le mappe, e per imporre il ritorno daccapo per correggere il partner:

A3_F090: no no , da me non c’è questo <RUMORE> <pb> #<G091> c’è la pasticceria il Babà#

A3_G091: #<F090> no , infatti <pl># cominciamo da sotto <pl> c’è il punto di partenza e poi abbiamo fatto il giro a sinistra attorno a questo uccello …

196Hz

In C3 l’AG inizia il turno G035 con il massimo assoluto del dialogo e di tutte le sue produzioni registrate; si verifica un lieve abbassamento nelle TU successive, ma si rimane nella fascia XA. Tale comportamento melodico rispecchia l’impazienza di G che si sente contraddetto e indispettito da F e perciò lo interrompe gridando in G035:

Es.: C3_G033: #<F032> comunque tu devi <pl>#

comunque dal bar da Liolà tu devi andare #<F034> giù#

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C3_F034: #<G033> aspetta# aspetta aspetta <pl> io ho trovato il giardino delle visite ma non io non #<G035> ho<oo>#

C3_G035: sì va bene comunque , ci siamo messi d’accordo che non c’è…

266Hz 267Hz 259Hz

...comunque tu devi cominciare dalla *balr / bar *dio *rola <eh> di<ii> Liolà <pb> sempre giù

247Hz 234Hz

Va segnalata anche la distanza frequenziale tra l’istruzione

data per la prima volta in G033 e la sua ripetizione in G035 come si esplica nel grafico:

C3_G033 e 35

050

100150200250300

f0

G033-TU3 G035-TU5 G035-TU6

tu devi cominciare dalla bar... sempre giùdal bar di Liolà tu devi andare giù

Figura 11: C3_G035-TU3 e G035-TU5 e 6 trasmettono lo stesso direttivo in due situazioni pragmatiche diverse. Le linee continue sovrapposte alle curve evidenziano ancora meglio le differenze frequenziali tra il direttivo nel primo turno e la sua ripetizione e soprattutto la ripida discesa in TU6 dalla fascia XA alla fascia B. Si veda anche in appendice 8 C3_G043.

Dunque, i due locutori mostrano la sensibilità registrata in molte lingue alle differenze di estensione melodica in vari

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momenti situazionali e informazionali. In un’ottica globale, però, solo il dialogo A1N esibisce una sistematica manipolazione del range. Ci rifacciamo in merito allo studio di AVESANI & VAYRA (1992) che conferma in un campione di parlato italiano di laboratorio la proposta americana sul rapporto tra le variazioni dell’estensione melodica e l’organizzazione del discorso in argomenti e sotto-argomenti.

È ovvio che lo scopo di G in questo tipo di comunicazione consiste nel guidare il partner dal punto di partenza al punto d’arrivo. Tale scopo si realizza gradualmente in una serie di tappe che finisce ciascuna con l’arrivo ad un’icona successiva sulla mappa. Ogni tappa si può ritenere un sotto-compito subordinato al compito generale della mappa.

Per esempio A1N_G081 segna l’avvio del sotto-compito che conduce F dal fiume alle barche e G091 ne segna la conclusione, anche se a livello di direttivi G089 è il vero turno finale.

Turni come G057 in cui G ordina a F di mettere un segno per l’assenza dell’icona non entrano nella nostra classificazione perché sono repliche immediate e improvvisate e non entrano nella sfera della pianificazione del compito.

Allargando di più lo sguardo, troviamo che i turni da G001 a G043 costituiscono la prima parte del dialogo in cui si danno le istruzioni iniziali e si fanno le prime scoperte sulle convergenze, perciò il follower interrompe il compito in G044 e chiede che si inizi daccapo. Da G051 a G221 il giver sa come affrontare i problemi e F mostra di aver capito cosa deve fare. Da G223 a G227 rappresentano il finale rilassato e scherzoso (cfr. appendice 5).

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Abbiamo calcolato le medie dei valori di f0 nei turni iniziali e finali dei sotto-compiti e le medie delle tre sezioni del dialogo come si osserva nella tabella.

A1N Media f0min

Media f0max

Avvio sotto-compiti 119 163

Conclusione sotto-compiti

109 154

Prima sezione 96 126 Seconda sezione 114 165 Sezione conclusiva 86 142

Tabella 11: le medie frequenziali dell’estensione melodica nei turni di transizione e nelle tre sottoparti del dialogo. Si rileva una differenziazione tra l’inizio e la fine di ogni fascia di istruzioni e che lo sviluppo della comunicazione si impartisce in tre momenti, sopra i quali la media del range assume la forma di un ‘arco’. Si inizia a livelli bassi e poi ci si riscalda e ci si rende conto degli ostacoli da affrontare e infine si torna ai toni pacati.

I risultati di questa piccola indagine sono interessanti, ma purtroppo non sono statisticamente significativi, dato che non si ripetono in altri dialoghi del corpus. A questo punto, quindi, non ne possiamo desumere tendenze generali a livello del corpus.

3.5.2.2. La divisione in TU

Prima dell’osservazione dei profili globali e degli accenti principali è stata effettuata la divisione in TU secondo i ciriteri seguenti (cfr. § 2.2.2.1.1.):

1. la presenza di pausa; 2. la riprogrammazione (reset) melodica e energetica;

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3. l’allungamento vocalico finale di TU.

3.5.2.2.1. TU in arabo L1

I criteri sono stati applicati nei cinque dialoghi e si sono mostrati validi per la lingua araba, dove la segmentazione in TU è stata facile e di solito più di un criterio si sono integrati a favorire la divisione. Si è presentato frequentemente il caso di riprogrammazione frequenziale ed energetica dopo una pausa lunga o breve.

B3_G02

50

100

150

200

250

f0

-8

-6

-4

-2

0

TU1

TU2

I f0

I

Figura 12: in B3_G02 la divisione è giustificata sia dalla pausa sia dalla riprogrammazione di f0 e di I.

Vediamo, inoltre, la divisione in TU di B3_G06 e G09 che hanno la stessa costruzione sintattica. Nel primo esempio il respiro abbastanza lungo dopo la principale la separa dalla subordinata che profila energia abbastanza alta e inizia con riprogrammazione melodica a un valore inizialmente medio di f0 che subito cresce per formare il picco massimo della TU.

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B3_G06-TU1 e 2

50

100

150

200

250

f0

TU1 TU2pausa+

resetscendi allora sotto il

ponte delle zanzare cosìfinchè arrivi fino a

casa mobile

Figura 13: B3_G06 si divide in due TU per la presenza di una pausa lunga e per la verifica della riprogrammazione melodica.

In B3_G09, invece, si sente un distacco molto breve tra la principale e la subordinata che non si rileva acusticamente.

B3_G09-TU1

50

100

150

200

250

f0

vai un po’ allora davanti al ponte delle zanzare così

finchè arrivi alla casa mobile

SI 1

SI 2

Figura 14: B3_G09-TU1 è costituita da due sintagmi intermedi (SI) separati dalla linea tratteggiata. A differenza di G06 non si verifica a livello acustico né la pausa né la riprogrammazione di f0 e di I e quindi non si percepisce un variazione melodica tale da comportare la divisione.

Infatti, il tracciato di f0 è continuo e mostra dopo il picco su ‘così’ una discesa regolare e graduale sul resto del segmento considerato il secondo sintagma intermedio della TU che finisce con valori bassi di f0 ed è caratterizzato anche dall’abbassamento di I rispetto al primo SI.

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Oltre alla partenza da un livello molto distante dalla fine della TU precedente, il totale cambiamento di direzione si considera anch’esso riprogrammazione come si riscontra in B1N_G84 in cui la riprogrammazione di f0, dopo la pausa, fa da sicura marca di confine.

B1N_G84-TU1 e 2

50

100

150

200

f0

continui a salire salire salire

arrivi al parrucchiere per signora

TU1

TU2

Figura 15: pausa e cambiamento di direzione melodica provocano un distacco prosodico notabile tra TU 1 e TU2 in B1N_G84.

Le marche di confine in L1 a confronto di L2 sono trattate più avanti in § 3.3.2.2.1.3.

3.5.2.2.2. TU in italiano L2

Nei tre grafici seguenti possiamo osservare tre casi diversi quanto a criteri di divisione.

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A3_G029-TU2 e 3

50

100

150

200

f0

pausa +

reset

TU2

TU3e poi

vicino al fiume

Figura 16: in A3_G029 i criteri di segmentazione sono la pausa e la riprogrammazione melodica.

A1N_G205-TU1 e 2

50

100

150

200

f0

TU1 TU2

sali un po co se+/ so pra

[T

D

B][ T S

B]

reset

Figura 17: in A1N_G205 l’avverbio dopo la pausa piena profila un reset di salita dopo l’abbassamento del range in TU1.

C3_G051-TU4 e 5

50

100

150

200

250

f0

TU4TU5

sempre diritto

tu devi camminare sempre sempre a destra

Figura 18: le ultime TU in C3_G051 sono separate soprattutto dalla pausa breve.

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Contrariamente ai dialoghi in lingua araba, in italiano i criteri di divisione si mostrano a volte in conflitto in modo da rendere abbastanza difficoltosa la scansione prosodica. In tali casi si è proceduto nella segmentazione con l’intento di ottenere porzioni analizzabili. Infatti, nelle TU dell’AS le parole sono non di rado scandite e le pause brevi sono frequenti; e visto che in letteratura si riconosce la presenza di pause all’interno della TU, si è preferito in alcuni casi raggruppare più parole separate da pause nella stessa TU, cercando espediente nella presenza di altre marche di confine (mancanza di riprogrammazione frequenziale o brevità della pausa), per ottenere porzioni intonative abbastanza lunghe.

Nel caso dell’altro soggetto le stringhe di parlato continuo e le proposizioni si presentavano a volte molto lunghe e si potevano considerare o due sintagmi intermedi in una sola TU o due TU indipendenti, a seconda della presenza o meno di una pausa e di un mutamento melodico abbastanza brusco. In tali casi, infatti, la lunghezza della stringa convalida l’ipotesi di scansione.

Come conseguenza dell’adoperazione di criteri fonetici

nella divisione intonativa e a causa della pronuncia articolata di parole scandite da parte dell’AS, il confine di TU viene a volte a separare due elementi che s’integrano sintatticamente.

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A1N_G057-TU3 e 4

50

100

150

200

f0

pausa molto lungaTU3 TU4

vai un poco a sinistra

Figura 19: in A1N_G057 si osserva la pausa e anche la riprogrammazione all’interno della stessa clausola tra il sintagma verbale e il sintagma preposizionale, per cui è stato immesso un confine di TU.

Diversamente da A1N_G057, in cui il sintagma preposizionale profila un innalzamento di riprogrammazione nel tracciato di f0, il SP in G039-TU2 presenta una discesa che assume l’aspetto della continuazione del calo iniziato su ‘poco’.

A1N_G039-TU2

50

70

90

110

130

150

f0

[

T

LD S

B]in di rit topo cov ai un

Figura 20: A1N_G039-TU2 ‘vai un poco <pl> in diritto’, in cui, malgrado la pausa lunga il sintagma preposizionale è accodato nella stessa TU del sintagma verbale, perché a livello melodico ne rappresenta la continuazione.

In C3_G043 si riscontra un esempio di pause interne con salti melodici grandi anche all’interno delle parole prosodiche a causa del modo articolato in cui l’AG impartisce l’ordine. La

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considerazione delle pause come marche di confine di TU in un caso del genere avrebbe spezzato la stringa e non ci avrebbe permesso l’osservazione della tendenza intonativa globale su questa serie di parole.

Tale caso di raggruppamento voluto degli elementi lessicali in una singola TU rappresenta un’alternativa alla plausibile divisione in quattro TU.

C3_G043

50

100

150

200

250

f0

no ma tu devi seguirela strada

scritta

sulla mia carta

Figura 21: in C3_G043 ogni pausa è preceduta da un innalzamento melodico di sospensione segnato dal quadretto rosso, mentre il sintagma finale rispetta in pieno il fenomeno dell’abbassamento del range.

In G001-TU2 si riscontrano tre pause interne, due delle quali circondano la preposizione ‘a’ che presenta f0 quasi massima di TU e I alta (-3 dB), ma viene incorporata nella stessa TU con il verbo e il sintagma nominale visto l’andamento globale omogeneo e completo che profilano tutti questi elementi insieme.

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270

A1N_G001-TU2

507090

110130150

f0

[T

L

H S U

L

S

B]arriviamo

ail posto di

automobilipb

plpb

Figura 22: in A1N_G001-TU2: ‘arriviamo <pb> a <pl> il posto di <pb> automobili’ si osserva un andamento globale dai cambiamenti graduali e dallo sviluppo finale discendente. Nello stesso turno la TU1 presenta un caso simile di pausazione interna, di ritmo lento e di elementi lessicali staccati (cfr. appendice 8).

3.5.2.2.3. Marche di confine in L1 e L2

Ora presentiamo le occorrenze delle varie marche di confine in L1 e L2 per avviare un confronto tra il comportamento dei soggetti nelle due lingue:

Marche di confine

AS AG

Pausa + reset 26% 29% Confine turno 74% 25% Reset solo 42% Pausa piena 4%

Tabella 12: le marche di confine delle TU in arabo da entrambi gli apprendenti. Con ‘confine turno’ si intende che la TU si estende su tutto il turno.

Innanzitutto, è interessante notare come non si verificano casi problematici di scansione intonativa in arabo, anche quando si

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presenta una sola marca di confine. Infatti, nel 42% delle TU dell’AG la riprogrammazione, soprattutto frequenziale, fa da guida inequivocabile alla percezione di un confine prosodico.

In italiano L2 abbiamo esposto poc’anzi le difficoltà imposte dalla presenza di pause interne alle clausole e le scelte arbitrarie che abbiamo dovuto fare in alcuni casi:

Marche di confine AS AG

Pausa + reset 47% 63% Confine turno 45% 20% Reset 3% 5% Pausa 4% 10% Pausa piena + reset

1% 2%

Tabella 13: in italiano le marche di confine sono soprattutto le pause accompagnate dalla riprogrammazione.

Si ricava dai dati nelle tabelle 9 e 10 che i due apprendenti effettuano turnazione e scansione prosodica diverse. La coincidenza del 74% delle TU nell’arabo dell’AS con turni interi rispecchia la brevità dei turni del locutore e anche il continuo feedback da parte del follower. Nella tabella 10 il dato sulla corrispondenza TU-turno rivela ancora una volta l’effetto del tipo di apprendimento sulla lunghezza degli enunciati dell’AG rispetto all’AS che ricorre solo due volte alle proposizioni complesse e adopera una sola congiunzione (perché), mentre l’AG produce 6 proposizioni complesse e una frase correlativa, mostrando una buona conoscenza delle congiunzioni (finché, appena, né). In effetti, la durata media della TU dell’AS è 1,1

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secondi in arabo e 1,2 secondi in italiano. Le TU dell’AG, invece, sono più lunghe, visto che in L1 durano mediamente 1,2 secondi e in L2 1,6 secondi.

Inoltre, la riprogrammazione melodica risulta ben impiegata in arabo da parte dell’AG che in italiano non ne fa lo stesso utilizzo, così che abbiamo un’alta percentuale di TU segmentate solo dal reset. Il dato ci potrebbe rivelare che, parlando la L1, l’apprendente si trova più a suo agio con la melodia e esibisce una notevole capacità di sfruttamento delle sue proprietà meglio che in L2.

Per contro, la pausa è molto più frequente in italiano e si profila a volte come l’unica marca di confine, anche senza riprogrammazione. Per giunta, i dialoghi in italiano abbondano di pause all’interno dei turni e persino dentro le TU. Malgrado la pausazione non rappresenti una componente intonativa, la considerazione sommaria della ricorrenza delle pause e delle loro durate è un elemento interessante di distinzione tra L1 e L2 in quanto fa da indice ampiamente riconosciuto della fluenza.

In L1 le pause vuote interne al turno ricorrono nel 22% delle TU direttive dell’AS e nel 24% delle TU dell’AG, mentre in L2 si presentano nel 51% e nel 78% dei casi, rispettivamente, dall’AS e l’AG. Detto ciò, la durata delle pause vuote rispetto alla durata del turno che le racchiude non sembra variare molto a seconda della lingua73. Di fatto, il confronto tra le due lingue non risulta significativo dato che nei direttivi dell’AS la

73 Riguardo alla durata delle pause MAGNO CALDOGNETTO et al. (1983) affermano che essa non è un indice sufficiente per la caratterizzazione della pausazione e per l’interpretazione del suo ruolo nel discorso spontaneo e che la distribuzione delle pause va anch’essa considerata congiuntamente alla durata per raggiungere una differenziazione dei tipi di discorso in funzione dell’impegno cognitivo e della pianificazione che richiedono.

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273

durata media del silenzio in arabo costituisce il 30% della durata complessiva del turno e in italiano è del 29%, mentre l’AG produce pause interne della durata del 12% in L1 e del 18% in L2.

Quanto alla loro distribuzione, i periodi di silenzio in L1 si collocano in posizioni cosiddette ‘grammaticali’, cioè a confini sintattici e non si rilevano pause dentro le unità prosodiche. In L2, invece, oltre alle pause di giuntura ai confini grammaticali ricorrono pause interne alle TU che interrompono clausole e sintagmi e di conseguenza si considerano in posizioni ‘non grammaticali’ (cfr. MAGNO

CALDOGNETTO et al., 1982).

Rispetto al totale delle pause interne ai turni, tali pause che spezzano l’integrità sintattica si riscontrano con la percentuale del 22% dall’AS e del 19% nei turni direttivi dell’AG. La presenza di pause grammaticali e non è di per sé un fenomeno riconosciuto nelle lingue prime e rappresenta un fatto consueto (cfr. MAGNO CALDOGNETTO et al., 1982, 1983; CAPUTO, 1991), ma è proprio la discrepanza tra L1 e L2 nel nostro corpus a sollevare interrogativi sulla distribuzione delle pause in arabo, che è un argomento ancora non indagato, e sulla portata della pausazione nella distinzione tra la lingua prima e le lingue acquisite. Infatti, si presume che in L2 le pause debbano durare di più e abbiano una distribuzione assai irregolare e, se la possiamo definire così, agrammaticale. Stando ai dati attualmente a nostra disposizione possiamo affermare che la durata delle singole pause non è alquanto significativa quanto la loro posizione nella stringa. Anche quest’ultima non presenta un’alta percentuale di occorrenza

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non grammaticale. Da quanto detto si può concludere, almeno per i nostri informatori, che la pianificazione in L2 richiede più sforzo e impegno mentale rispetto alla L1, ma in questo materiale semispontaneo la discrepanza non è, per così dire, abissale. Ciò potrebbe essere conseguenza della natura del compito orientato o della competenza dei parlanti.

3.5.2.2.4. Corrispondenza TU – atto direttivo

La divisione in TU ha avuto come conseguenza la distinzione tra TU direttive, che da sole fanno capire che c’è una richiesta di azione, e TU completive, che completano il senso delle prime. Queste TU completive si identificano spesso con la subordinata di una proposizione complessa oppure con il sintagma preposizionale o avverbiale retto dal verbo direttivo:

Es.: C3_G041 – TU1: e fare la <pb> salita direttiva

TU2: fino al giardino delle visite completiva Es.: C3_G149 – TU2: dal leone tu devi camminare un po’ sopra <pb> direttiva

TU3: fino al ristorante mamma mia completiva

Es.: A3_G051 – TU1 : e poi <pl> continua <pl> direttiva

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TU2: finchè arrivi alla valle limpida completiva Come abbiamo accennato in 3.5.2.2.2. il confine di TU

potrebbe separare il verbo dal suo complemento e spesso la seconda TU diventa parte integrale e indispensabile nella definizione della TU precedente:

Es.: C3_G173 – TU1: comunque facciamo s+ /

TU2: subito la revisione della strada nostra fatta dal punto d’arr+ partenza al punto d’arrivo Altre volte, nelle clausole deontiche la divisione prosodica

diventa inevitabile tra il modale e l’infinito, come in C3_G001 per la pausa vuota abbinata alla pausa d’esitazione tra i due elementi del sintagma verbale:

Es.: TU2: dobbiamo prima <pb>

TU3: <eeh> TU4: determinare il punto di<ii> partenza e il

punto d’arrivo <pl> ci sei stato? Infine, va sottolineata la differenza tra L1 e L2 in merito. In

L1 la divisione dei turni direttivi ha portato alla segmentazione di 37 turni contenenti 41 atti direttivi in 43 TU nelle produzioni dell’AS e di 28 turni direttivi con 28 atti in 30 TU nel caso dell’AG. Tale dato ci rivela un alto grado di corrispondenza in arabo tra le unità prosodiche e i gruppi di senso che sono al tempo stesso costrutti sintattici interi. In italiano, invece, la

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corrispondenza è minore, anche se rimane grande, a causa della segmentazione prosodica di molte frasi direttive in più TU. Nella tabella seguente sono messi a confronto i dati di segmentazione ricavati dai cinque dialoghi.

Informatore AS AG

Lingua L1 L2 L1 L2

Turni 37 63 28 53

Atti direttivi 41 67 28 58

TU 43 84 30 83 Corrispondenza TU-atto

95% 80% 93% 70%

Tabella 14: il conteggio dei turni, degli atti direttivi e delle TU in L1 e L2 dai due apprendenti e la percentuale di corrispondenza tra unità prosodica e atto direttivo di senso compiuto.

3.5.2.3. Il profilo melodico

Ispirandoci a vari lavori prosodici che osservano la melodia della TU nella sua globalità (cfr. LEPSCHY, 1978; CHAPALLAZ, 1979; CAPUTO, 1991), abbiamo ritenuto opportuna la descrizione dei profili globali delle TU sia in L1 sia in L2 alla ricerca di definire ulteriori differenze o somiglianze tra le lingue in questione. A tal fine è stato adoperato il metodo fonetico di etichettatura melodica INTSINT dopo la rilevazione dei valori di f0 e la preparazione dei grafici delle curve stilizzate di tutte le TU del corpus. L’etichettatura fonetica è stata immessa sia nei file

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del software d’analisi wavesurfer sia nei grafici consultabili in appendice 8.

3.5.2.3.1. Simboli INTSINT e identificazione dei profili globali

I punti rilevanti sulla curva costituiscono dei bersagli da etichettare con i simboli seguenti a seconda che il bersaglio costituisca un cambiameno

locale o abbia una portata globale (cfr. HIRST & DI CRISTO, 1998; HIRST et al., 2000).

- Nel caso di un cambiamento locale, rispetto al punto precedente il bersaglio può essere:

più alto (Higher); più basso (Lower);

uguale di altezza (Same); poco più basso (Downstepping) o

poco più alto (Upstepping).

Nella maggior parte dei casi H corrisponde a un picco e L a un avvallamento. Invece, D costituisce un punto di transizione in un

movimento di discesa locale e U si presenta come un punto più basso del bersaglio precedente (in una salita). Altrimenti, D e U segnalano lievi cambiamenti di valore, cambiamenti che non rappresentano fenomeni

microprosodici. - I simboli che indicano i livelli dalla portata globale sono: Top che contraddistingue il punto più alto dell’unità tonale e Bottom che etichetta il punto più basso nella TU.

Dopo la trascrizione di tutte le curve secondo tale metodo

sono stati identificati i profili in base alle caratteristiche che presentiamo qui in breve (i criteri di classificazione degli

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andamenti globali sono stati esposti dettagliatamente nella tesi di master: GAMAL, 2001).

L’andamento discendente è caratterizzabile in primo luogo dalla precedenza del T rispetto al B. Il T e il B si collocano verso i confini, rispettivamente sinistro e destro, della TU. Molto spesso all’attacco di TU si osserva una salita iniziale fino al T che occupa comunque spazio temporale esiguo rispetto alla discesa, altrimenti diventa un profilo ascendente-discendente (vedi infra). Infine, come criterio comune a tutti i profili, i picchi e gli avvallamenti intermedi non toccano la soglia del T e del B.

Nell’andamento ascendente, invece, il B precede il T, la salita si estende sulla maggior parte della TU e non si presentano picchi o avvallamenti intermedi che provochino notevoli cambiamenti di direzione.

B3_G16-TU3

50

100

150

200

250

f0

[

T

L

H

L

H

B

]

A1N_G051-TU2

50

100

150

200

f0

B

H

L

U

TD]

[

Figura 23: B3_G16-TU3 è un esempio di andamento globale discendente. In A1N_G051-TU2 si osserva una salita in cui il bersaglio L non si avvicina al livello di B e quindi non cambia l’andamento globale ascendente.

L’andamento ascendente-discendente porta il T in un punto mediano del tracciato. Nei pressi dei confini di TU si presentano

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2 bersagli B oppure un B da un lato e un punto bassissimo dall’altro (come si verifica al confine sinistro di B3_G18-TU2).

A1N_G189 è un esempio di contorno ascendente-discendente, perché la discesa finale è grande e porta il tracciato ai minimi di f0 nella TU.

B3_G18-TU2

50

100

150

200

f0

[

T S

L

H

B]

D

A1N_G189

507090

110130150170

f0

[

UH

L

T

B]

Figura 24: la grande salita iniziale sia a livello di f0 sia a livello temporale non si può tralasciare nell’andamento globale di B3_G18-TU2. La curva melodica nel turno A1N_G189 si profila anch’esso ascendente-discendente visto il passaggio nel contorno terminale dal massimo al minimo dei valori.

Nel caso di andamento discendente-ascendente è il B a doversi collocare verso il centro della TU, mentre i valori più alti si presentano ai confini.

B1N_G84-TU1

50

100

150

200

f0

T

D][

L

H U

B

A3_G103

50

100

150

200

250

f0

[

BD

T]

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280

Figura 25: in B1N_G84-TU1 e A3_G103 il bersaglio minimo B segna il centro dell’andamento discendente-ascendente e i picchi e avvallamenti interni sono cambiamenti locali.

3.5.2.3.2. Il contorno globale in L1 e L2

In base ai criteri sopraindicati l’andamento di ogni TU è stato identificato e poi è stata calcolata la percentuale delle occorrenze in ogni dialogo. Nella tabella 12 sono riportate le medie in ambedue le lingue a parte il tipo di apprendimento. Si osserva per prima cosa la prevalenza degli andamenti che finiscono in discesa sia in arabo sia in italiano e che in L2 si presentano profili assai complessi che non si riscontrano in L1.

Andamento globale L1 L2

Discendente 44% 33% Ascendente 10% 10% Ascendente-discendente 33% 18% Discendente-ascendente 13% 28% Ascendente-discendente-ascendente

– 5%

Discendente-ascendente-discendente

– 5%

Discendente-ascendente-discendente-ascendente74

– 1%

74 L’unico caso di un profilo a quattro movimenti è conseguenza del focus al centro della TU sulla parola ‘sempre’ in C3_G105-TU4 (vedi appendice 8), dove si riscontrano due punti B tra i quali si presenta un bersaglio alto quasi quanto un T e poi si rileva un massimo finale. Inoltre, la discesa che si profila all’attacco della TU è grande sia di escursione sia di durata. Perciò, l’andamento si definisce discendente-ascendente-discendente-ascendente.

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Tabella 15: i profili globali riscontrati da ambedue gli apprendenti in arabo egiziano (L1) e in italiano L2.

Nella figura seguente osserviamo in due grafici paralleli le

differenze e le somiglianze tra i due apprendenti in L1 e L2:

Profili in L1

16%

8%

13%

7%

21% 56%

42%

38%

discendente

ascendente

ascendente-discendente

discendente-ascendente

AG

AS

Profili in L2

13%

6%7%

20% 29%

19%27%

35%

5%32%

discendente

ascendente

ascendente-discendentediscendente-ascendente asc.-disc.-asc.

disc.-asc.-disc.

AA

AS

AG

Figura 26: due grafici ad anello che presentano i profili globali impiegati dai due informatori nelle due lingue. L’anello interno rapprensenta i dati dell’AS, mentre l’esterno è dell’AG. Le abbreviazioni in fondo al grafico dei profili di L2 stanno per ascendente-discendente-ascendente e discendente-ascendente-discendente e sono state impiegate per mancanza di spazio.

In L1 spicca la differenza tra i due soggetti nell’occorrenza del profilo ascendente-discendente che risulta molto frequente dall’AG a scapito del profilo ascendente e, in parte, di quello discendente. Mentre i profili complessi rappresentano il 55% delle melodie rilevate nelle TU direttive dell’AG, le curve semplici caratterizzano il 77% delle TU dell’AS. Ciò risale in primo luogo alla lunghezza delle TU dell’AG e alla loro estensione sintattica correlativa o complessa (cfr. appendice 5). Detto ciò, l’alta occorrenza del profilo discendente costituisce un importante punto in comune tra i soggetti in L1.

In L2 non si può indicare un solo andamento prevalente e si osserva l’introduzione di altri due profili più complessi. Questi si

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presentano con una piccola percentuale, ma è interessante rinvenirli da entrambi gli apprendenti. La complessità di tali andamenti è conseguenza dei focus e della divisione di alcune TU in due sintagmi intermedi.

Allo scopo di contemplare le tendenze melodiche di ogni

apprendente a parte vediamo i grafici seguenti, in cui si nota per prima cosa il cambiamento della fisionomia melodica nel passaggio da L1 a L2:

Profili di AS

56%

21%7%

16%

3% 1%

20%

27%

29%

19%

discendente

ascendente

ascendente-discendente

discendente-ascendente

ascendente-discendente-ascendentediscendente-ascendente-discendentepiatto-discendente

L2

L1

Figura 27: le curve rilevate nei direttivi dell’AS. L’anello interno riporta i dati della L1 e l’esterno riassume le percentuali in L2.

Nelle produzioni dell’AS solo il profilo ascendente mantiene una costanza statistica attraverso le due lingue. Per contro, l’andamento discendente cede una parte della sua prevalenza a favore dell’andamento ascendente-discendente, rendendo più frequenti gli andamenti complessi.

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Profili di AG

38%

8%

13%

5%13%

6%7%

42%32%

35%

2%

discendente

ascendente

ascendente-discendente

discendente-ascendente

ascendente-discendente-ascendentediscendente-ascendente-discendentediscendente-ascendente-discendente-ascendente

L1

L2

Figura 28: l’occorrenza in percentuale dei vari contorni rilevati in L1 (B3) e in L2 (A3 e C3).

I profili semplici dell’AG si presentano quasi con la stessa frequenza in tutt’e due lingue, mentre l’andamento ascendente-discendente e il discendente-ascendente scambiano posizioni nella scala di frequenza. Tale differenza si può giustificare con la lunghezza delle TU in L1 e l’estensione dell’istruzione in L2 su più di una TU, il che aumenta il numero delle TU sospensive nella L2 rispetto alla L1.

3.5.2.4. La porzione finale (la salita di continuazione)

Si è rinvenuto dall’analisi del contorno globale che i direttivi non sono caratterizzati da particolari andamenti che si possono considerare tipici dell’atto illocutivo. Di fatto, sulla curva melodica vengono sempre osservate certe porzioni rilevanti che comportano distinzioni particolari a livello linguistico e che si considerano in letteratura componenti essenziali dell’intonazione sia a livello fonetico sia a livello funzionale. Stando a quanto ci è dato di sapere dopo l’applicazione del metodo INTSINT e alla luce delle statistiche

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esposte sopra (§ 3.5.2.3.2.) possiamo affermare che la considerazione del contorno globale richiede una rigorosa classificazione delle TU in funzione della loro lunghezza e della loro struttura clausale, nonché l’osservazione di un vasto corpus per raggiungere conclusioni appaganti in merito. Allo stato attuale della ricerca e dei rinvenimenti in letteratura la presunta corrispondenza tra alcuni profili e certe modalità come la domanda e l’asserzione è in primo luogo correlazione tra queste ultime e tra i contorni terminali di TU e/o le porzioni centrali come nella distinzione tra ascendente-discendente e discendente-ascendente (cfr. § 2.2.2.4.1.). Per quanto riguarda l’analisi dell’intonazione degli atti linguistici, Cresti e colleghi segmentano la melodia della TU in più movimenti che vengono osservati in relazione alla loro sede e agli altri correlati (§ 2.1.3.). Di conseguenza, ci appare inevitabile e nel contempo proficuo soffermarci più a lungo sui contorni terminali e sulle eventuali mosse interne alla TU.

Il contorno terminale si identifica di solito nell’ultima

porzione della curva melodica e si estende dall’ultima tonica fino alla fine della TU (cfr. ENDO & BERTINETTO, 1997; CAPUTO, 1992). Quanto alla trascrizione del contorno terminale abbiamo etichettato il bersaglio finale in tutte le TU secondo la versione ToBI-like (§ 2.1.4.3.) optando del resto per un totale abbandono della rappresentazione di un confine di sintagma intermedio a fine TU per evitare la ridondanza rappresentativa. Infatti, si è osservato nel corpus che il segmento postonico non può ospitare due toni di confine T- T%, ma solo il tono di sintagma intonativo

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(ovvero di TU; cfr. § 2.1.4.2.). I confini di SI interni, invece, sono stati annotati, come in A3_G051-TU3 (cfr. appendice 8).

Sul contorno terminale torneremo ripetutamente. In quanto segue trattiamo in termini fonetici e pragmatici della salita melodica di continuazione e del suo ruolo a livello conversazionale. Più avanti ancora, dopo la trattazione degli accenti principali, osserveremo il comportamento della tonica finale accentata insieme alle sillabe postoniche (§ 3.5.2.6.).

3.5.2.4.1. La sospensione in arabo

Nei due dialoghi prodotti in L1 l’ascesa finale si presenta come veicolo della sospensione, ovvero del senso non compiuto. La TU sospensiva viene dunque continuata in una TU o in turno successivo, che a sua volta costituisce la TU completiva (§ 3.3.2.2.1.4.), che si definisce in tal caso conclusiva.

Per esempio, in B1N_G48 la proposizione complessa è divisa in due TU, di cui la prima proposizione-TU finisce in salita e la seconda in discesa.

B1N_G48-TU1 e 2

50

100

150

200

250

f0

-6

-4

-2

0

mentre tu scendi giù vai a fare una curva

verso destra

TU1

TU2

I

Figura 29: le due proposizioni della frase compongono le prime TU del turno B1N_G48. La prima finisce in melodia abbastanza piatta, ma energia massima, il

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che dà una sensazione di intonazione ascendente; la seconda TU profila una graduale discesa finale.

Mentre in B1N_G48 la frase inizia con una congiunzione che informa l’ascoltatore di una successiva proposizione e gli preannuncia la continuazione della frase, B1N_G84 è un esempio di due frasi congiunte solo dalla prosodia:

B1N_G84-TU1 e 2

50

100

150

200

f0

continui a salire salire salire

arrivi al parrucchiere per signora

TU1

TU2

Figura 30: la salita melodica a partire dalla sillaba tonica del primo infinito da una parte trasmette con l’elemento lessicale l’atto direttivo dell’istruzione con una doppia indicazione della forza illocutiva e dall’altra lascia l’interlocutore in attesa di una continuazione. Il calo finale fino ai minimi frequenziali segnala la fine dell’enunciazione e la conclusione di una fase nel disegno dell’iter.

Di fatto, la sospensione finisce molto spesso in salita melodica non solo a livello di varie TU, ma produce effetti melodici anche a largo raggio. Vediamo l’esempio di queste istruzioni finali nel dialogo, dal turno G94 a G97

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B1N_G94-97

50

100

150

200

250

f0

G94 G95 G96 G97

Figura 31: osserviamo nel grafico le curve degli ultimi turni del giver (AS) in cui dà una serie di istruzioni. Il confine destro di ogni turno è evidenziato in rosso. G94: “arrivi alla valle”; G95: “e poi continui ad andare più avanti”; G96: “va’ solo un po’ ancora<aa> a si<ii> a de<ee> a destra e, infine, G97: “arrivi alla tua fine” (i verbi non imperativi sono al presente). Si osserva che lo spazio frequenziale del turno G96 è il più grande di tutti, poiché il turno viene come replica insistente alla domanda del follower: “più avanti dove?”.

Il fenomeno non è casuale e si verifica più indietro nello stesso dialogo in quattro istruzioni collocate ciascuna in un turno. I primi tre turni formano TU sospensive e il turno finale si identifica in una TU conclusiva. È importante indicare che dopo la seconda istruzione il parlante dà una specificazione del direttivo precedente in melodia discendente per tornare poi alle istruzioni finenti in salita, come possiamo osservare dalla traduzione dei turni e dal grafico (solo le istruzioni sono enumerate):

G70: scendi giù un po’ F: verso destra o sinistra ? G71: scendi giù giù F: giù ? G: eh , poco

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F: ecco G72: sali<ii> cammina verso destra G73: sali <ii> fai una curva e sali su G74: arrivi a casa mobile

A1N_G70-74

50

100

150

200

f0

G70G71

G72 G73

G741 2 34

ripetizione rafforzativa

ultimo passochiarimento

Figura 32: ‘poco’ fa da chiarimento o specificazione dell’istruzione G71. I quadri rossi indicano i punti finali dei turni direttivi. Congiungendo i punti rossi (la linea gialla) osserviamo una curva ascendente-discendente che profila un picco alla fine di G72.

Il fenomeno desta interesse visto che si ripete (cfr. fig. 25). Infatti, alcuni studiosi affermano che la curva che si chiude a un livello finale più basso trasmette un senso più compiuto e cioè un grado più alto di conclusione (cfr. PIERREHUMBERT &

HIRSCHBERG, 1990; AVESANI & VAYRA, 1992). Similmente, noi potremmo avanzare l’ipotesi che in una serie di sospensive i livelli finali più alti di f0 informino della prossimità della conclusione e che, dunque, le salite di continuazione al loro interno abbiano una certa gradazione che aiuta l’ascoltatore a prevedere quanto manca alla fine. I profili dei singoli turni, dunque, si possono considerare bersagli significativi in una unità prosodica grande, così come a livello testuale queste frasi sono le componenti di una fase del compito.

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La salita di sospensione o di continuazione sembra assumere una ricorrenza particolare nei direttivi che non presenta nelle assertive. Osserviamo un altro passo del dialogo B1N:

G: aspetta perché io così / io così sono confuso . io ho la parola inizio sotto proprio sotto F: sì G: e la parola fine sopra accanto alla statale ; e statua anonima accanto alla strada proprio dall’altra parte F: accanto alla statale sopra a destra G: sì Considerando le assertive nei primi due turni del giver,

osserviamo discese finali in tutte le TU, malgrado ciascuna TU costituisca un anello nella stessa catena di informazioni.

B1N 3 assertive

50

100

150

f0

io ho la parola inizio sotto , proprio sotto e la parola fine sopra

accanto alla statale

e statua anonima accanto alla strada proprio

dall'altra parte

Figura 33: tre assertive dall’andamento finale discendente, nonostante le prime due rappresentino enunciati non conclusivi.

Similmente, nel dialogo B3 (AG) tutte le TU che finiscono in salita sono o sospensive o interrotte, mentre le conclusive hanno sempre l’andamento finale discendente.

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B3_G06sospensiva + conclusiva

50

100

150

200

250

f0

TU1TU2

scendi allora sotto il

ponte delle zanzare così

finché arrivi fino a

casa mobile

B3_G19sospensiva + conclusiva

507090

110130150170

f0

TU1 TU2

no , no , amico , non

parliamo di Banha

non parliamo della gente di

Banha , s'arrabbia

Figura 34: due esempi di TU sospensive ascendenti al confine destro, seguite da TU conclusive dalla melodia finale discendente (vedi anche B3_G15 in appendice 8).

Le proposizioni complesse racchiuse in una sola TU profilano alla fine della principale una salita fino al massimo globale di f0 e di I.

B3_G03-TU2

50

100

150

200

250

f0

B]

TD

S[D LU

gira attorno all'albero di banane

finchè arrivi al ponte delle zanzare

Figura 35: andamento ascendente sulla proposizione principale, discendente sulla subordinata. Si nota che l’ultima parola della prima proposizione profila sempre il massimo frequenziale di TU.

Invece, nelle proposizioni divise in due TU l’ultima parola della TU sospensiva presenta un valore altissimo di I che non deve sempre coincidere con il massimo delle due TU (fig. 27).

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Le sequenze di istruzioni lessicalmente brevi e incluse nella stessa TU profilano anch’esse una fisionomia melodica di salita alla fine del primo direttivo e di discesa finale alla loro conclusione

B3_G11

50

100

150

200

250

f0

[

U T

LH

B]gi ra allora

vai su allacaffetteria dei felici

Figura 36: il giver in B3_G11 chiede a F di girare per salire alla caffetteria, l’arrivo a questo punto di riferimento segna dunque lo scopo e la fine dell’unità prosodica, per cui la melodia interna della TU descrive tale gerarchia delle azioni con la salita melodica sull’avverbio legato al primo imperativo che attira l’attenzione e preannuncia una successiva continuazione poi con la discesa graduale fino all’arrivo al punto desiderato.

B3_G14

50

100

150

200

250

f0

[

HT

L S

B]sa li sopra

c'è un parrucchiere per signora

Figura 37: in B3_G14 il direttivo profila una salita, mentre la giustificazione dell’azione richiesta e il suo fine (l’arrivo dal parrucchiere) presenta la discesa.

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Quando si tratta di ulteriori spiegazioni, l’introduzione ad esse si presenta con andamento ascendente:

B3_G15

50

100

150

200

f0

TU1 TU2

appunto , la strada infatti non va a destra tu sali fino all'inizio degli

alberi di limone

Figura 38: B3_G15 dà conferma del sistematico ricorso alla salita nelle TU il cui senso va successivamente completato.

A differenza dell’AS i turni prodotti dall’AG sono lunghi e racchiudono ciascuno l’atto richiesto e il suo scopo o la sua giustificazione. Perciò, non si riscontrano in B3 casi di sospensione a vasto raggio come abbiamo visto in B1N.

B1N_G87 e 88

50

100

150

200

f0

G87G88

sali sopra un po’arrivi a statua ignota

B3_G03-TU2

50

100

150

200

250

f0

[gira attorno

all'albero finchè arrivi al

ponte delle zanzare

Figura 39: il grafico a sinistra esemplifica la tendenza dell’AS a dividere l’istruzione e la sua finalità in due turni, al contrario dell’AG che nei casi pragmaticamente simili produce lo stesso profilo ascendente sulla parte sospensiva

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293

e discendente sulla porzione conclusiva in una sola TU come si vede nel grafico a destra.

3.5.2.4.2. La sospensione in italiano L2

Tale funzionalità della salita finale si attesta anche in L2 in tutt’e tre i dialoghi.

A1N_G001-TU1 e 2

50

7090

110130

150

f0

TU1 TU2

dobbiamo partire da colibri arriviamo a il posto di automobili

Figura 40: l’ascesa finale continua anche in L2 a trasmettere l’incompiutezza semantica.

A3_G013

50

100

150

200

f0

TU1 TU2

<eh> attorno a questo uccello sempre a sinistra

Figura 41: il turno A3_G013 è diviso in due TU. Il finale melodico della prima anticipa la continuazione dell’istruzione nella seconda.

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L’AS che tende a dividere l’istruzione su più di un turno continua ad impiegare la salita in maniera distintiva tra le istruzioni finali e non. Per esempio, i turni da A1N_G013 a G029, di cui riportiamo la trascrizione ortografica per comodità del lettore, recano una serie di istruzioni, la maggior parte delle quali profila una salita finale di sospensione:

A1N_G005: sali sopra A1N_F006: sali A1N_G007: allora arriviamo al posto di <pb> colibri , ci stai ? … A1N_F010: aspetta <pl> colibri <pl> sì <pl> colibri ci sta A1N_G011: allora sali sopra

A1N_F012: sali A1N_G013: poi vai <pb> a sinistra

A1N_F014: sinistra … A1N_G017: piano piano A1N_F018: sì A1N_G019: e scendi giù un poco A1N_F020: sì A1N_G021: poi vai diritto A1N_F022: non ho capito , Ibrahim A1N_G023: vai diritto …

Dopo l’impiego dell’andamento finale discendente nella ripetizione (in G011) del direttivo dato in G005, G passa al profilo sospensivo a partire da G013. Il fenomeno si rivela molto

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interessante, perché investe il 55% dei direttivi non finali in questo dialogo.

A1N serie istruzioni

50

70

90

110

130

150

f0

G023G021G019G017G013

G011

Figura 42: le istruzioni non finali, ovvero quelle che non portano direttamente a un’icona sulla mappa, finiscono spesso in salita, mentre l’ultimo direttivo che conclude una fase delle azioni richieste si contraddistingue sempre per l’andamento finale discendente. G023, come tutte le ripetizioni, presenta un calo finale di melodia.

Un caso simile si rileva nel dialogo C3 (AG):

C3_G111: appena sei arrivato alla casa del bignè C3_F112: sì C3_G113: tu devi camminare sopra C3_F114: c’è questa marabù ? C3_G115: no <pl> non ce l’ho … C3_G125: sì <pb> e poi un po’ sopra C3_G127: e poi a destra C3_F128: <ah!> allora per arrivare C3_G129: al leone

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C3_G111-127

50

100150

200250

300

f0

G111 G113 G125 G127

Figura 43: dopo la proposizione subordinata sospensiva in C3_G111, i turni 113, 125 e 127 rappresentano tre istruzioni di cui solo l’ultima ha la melodia discendente. Malgrado l’interruzione delle istruzioni da parte di F che si informa su un’icona sulla propria mappa, G torna di nuovo alle salite finali per segnalare la continuità del discorso interrotto. Intanto, i turni di G da 115 a 123 profilano intonazioni discendenti.

In questo esempio il turno conclusivo trasmette l’ultima istruzione della tappa ed è forse da tale intonazione discendente, oltre alla mappa disponibile, che F si rende conto che G127 trasmette un direttivo finale che porta sicuramente a un punto di riferimento e che conclude una fase del compito. Tale variazione tra la salita e la discesa finale rappresenta dunque una guida aggiuntiva alle parole. Lo stesso comportamento melodico si rileva in vari momenti del dialogo A3 che abbonda anch’esso di turni sospensivi a livello dialogico e caratterizzati da un andamento finale ascendente (G011, 23, 57, 73-77, 95, 103, 109, 119, 129 e 135).

La salita sospensiva è, tuttavia, una variante comunicativa che malgrado la sua occorrenza statisticamente rilevante non si può considerare caratteristica delle richieste di azione. Infatti, oltre alla prevalenza del calo finale nelle tre conversazioni in lingua italiana, nelle istruzioni ripetute e negli ordini forti la

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scelta di sospensione viene in secondo piano e la melodia torna a scendere alla fine della TU. In compenso, come realizzazione melodica abbastanza frequente, la salita di continuazione ha il vantaggio di garantire l’esecuzione dei direttivi sia tramite il continuo richiamo d’attenzione sia tramite l’organizzazione gerarchica dei singoli passi di ogni fascia di istruzioni in direttivi finali e non. La sospensione melodica, in altre parole, rappresenta una scelta che arricchisce l’aspetto pragmatico-comunicativo dei direttivi e si vede che i nostri parlanti favoriscono tale scelta.

3.5.2.5. L’accentazione

Prima di esporre le analisi sulle prominenze a livello della TU trattiamo prima degli accenti lessicali nei dialoghi in italiano L2 per rilevare le eventuali deviazioni dalla norma e le eventuali tendenze dei parlanti nell’accentazione delle singole parole.

3.5.2.5.1. Gli accenti lessicali

Non si rilevano grosse deviazioni dall’italiano normativo quanto ad accenti lessicali. Solo dall’AS si riscontra un caso di errata accentazione. Si tratta della parola colibrì pronunciata con l’accento sulla penultima sillaba invece che sull’ultima e in G007 la vocale finale subisce la desonorizzazione alla fine della TU come si vede dalla figura seguente.

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Figura 44: le due realizzazioni di colibrì (colibri) nel dialogo A1N. In G001 l’ultima vocale presenta durata più grande che è normale in questa posizione finale di fonazione, ma più breve rispetto alle vocali toniche in parole tronche. Inoltre, si osserva l’intensità più bassa dal tenue annerimento della [i] sul sonagramma e dalla minore altezza della forma d’onda della vocale rispetto alla vocale precedente. In G007 la vocale è quasi assente e subisce il fenomeno della riduzione (cfr. § 3.5.1.).

È evidente, infatti, che la parola è nuova per entrambi i soggetti. L’AG non la pronuncia affatto e nel corso della conversazione A3 si riferisce all’icona con ‘questo uccello’ (cfr. appendice 8 da A3_G013 a G017).

3.5.2.5.2. Gli accenti nucleari

È stata condotta una trascrizione ToBI-like degli accenti principali e, come si è accennato prima (§ 3.5.2.4.), dei toni di confine in tutte le TU direttive del corpus. Per gli accenti complessi all’interno di una sola sillaba è stata adottata la proposta di MAROTTA (2000) dei toni parentesizzati (cfr. § 2.1.4.2.). In accordo con le proposte su un ToBI italiano, il nucleo è stato sempre contraddistinto dalla lettera ‘n’ (§ 2.1.4.3.).

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Per quanto riguarda la salienza, si è tenuto conto che la prominenza melodica non è costituita esclusivamente dai livelli melodici alti, ma potrebbe essere anche a livelli talmente bassi da produrre un effetto percettivo di particolare rilievo nella TU (cfr. BOLINGER, 1958: 111-12). Inoltre, la grande escursione frequenziale entro una o due sillabe successive si considera una possibile posizione di accentazione forte. Infine, gli altri due correlati della durata e dell’intensità sono stati di grande aiuto nella decisione sulla collocazione della prominenza principale, in particolare quando il livello melodico non presentava cambiamenti notevoli. In genere, l’assegnazione degli accenti è stata effettuata su base fonetica e non uditiva come succede nella versione originale del ToBI. Nel nostro lavoro l’ascolto costituisce solo uno strumento d’ausilio e di verifica che risulta molto utile quando il software produce errori di calcolo e si osserva, di conseguenza, un distacco tra percezione e valori riportati dal wavesurfer; in questi casi si è dovuto ricorrere all’altro programma d’analisi e alla calcolatrice.

Nei casi di maggiore problematicità, quando la stringa fonica si profilava abbastanza monotona è stato adottato il criterio posizionale, assegnando la nuclearità all’ultimo elemento lessicale come è stato proposto da CAPUTO (1997; cfr. § 2.2.2.4.4.1.). Anche, nelle TU composte di due o tre parole tutte prominenti, quando i gradi di prominenza erano assai vicini, si è preferito trascrivere tutti gli accenti prominenti, anche se alla fine si è cercato di selezionarne uno come accento nucleare di TU (vedi § 3.5.2.5.2.4.).

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300

3.5.2.5.2.1. I pattern accentuali riscontrati nel corpus

In questo paragrafo descriviamo e diamo esempi degli accenti mono- e bitonali rilevati nei cinque dialoghi prima di presentare le statistiche e trattare della posizione degli accenti.

3.5.2.5.2.1.1. Accenti monotonali

3.5.2.5.2.1.1.1. L’accento intonativo L*

Come si vede dalle figure gli accenti L* sono caratterizzati da un livello basso di f0 e vista la loro posizione normalmente finale di TU, sono accompagnati anche da d alta.

Figura 45: l’accento ricade sulla tonica del verbo e si presenta come una zona piatta a livello frequenziale basso.

Solo in 5 casi si riscontrano accenti nucleari L* in posizioni non finali.

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Figura 46: l’accento nucleare L* si colloca in posizione non finale su una sillaba notevolmente lunga.

3.5.2.5.2.1.1.2. L’accento intonativo H*

Si presenta come un picco o come un salto dopo l’interruzione della curva come si vede nelle due figure seguenti:

Figura 47: in A3_G005-TU2 il livello melodico è stabile sulla tonica di ‘chiedermi’ e comincia a calare sulle sillabe seguenti.

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Figura 48: A1N_G119 finisce in parola tronca con l’accento nucleare sulla tonica finale [dZu] che con la sua durata di 190 ms porta anche l’accento di confine H%. la trascrizione ToBI-like si osserva sulla prima riga sotto il tracciato di f0. infatti, il movimento finale non è stato trascritto (L+H)* perché una buona parte sulla salita si verifica sulla consonante poco sonora e quindi non si percepisce come un movimento di salita graduale.

3.5.2.5.2.1.2. Gli accenti bitonali

Sono prominenze che profilano un movimento di discesa o di salita e variano per l’allineamento della sillaba tonica al tono. In un caso i bersagli tonali si allineano alla sillaba tonica; nell’altro si attesta un tono anticipato o un tono ritardato rispetto alla sillaba tonica, nel senso che l’accento si allinea a due sillabe. Il primo tipo si differenzia nell’etichettatura qui adottata dalle parentesi (cfr. § 2.1.4.2.).

3.5.2.5.2.1.2.1. Le discese accentuali

Gli accenti nucleari caratterizzati da un movimento di discesa si collocano per lo più in posizioni finali di TU.

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Figura 49: parte di TU4 in C3_G171. La discesa si consuma tutta sulla tonica finale di SI in un movimento melodico saliente accompagnato da un rallentamento ritmico per produrre la prominenza principale di TU.

Figura 50: la discesa è prominente e forma un accento nucleare per l’escursione prodotta sulle due sillabe e per la durata alta della tonica.

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Figura 51: l’accento intonativo che secondo il metodo foneticamente orientato si trascrive H*+Ln potrebbe essere considerato un accento tutto racchiuso nella tonica in una rappresentazione rigorosamente fonologica, ma l’etichettatura presente evita tale problematica della discrepanza tra allineamento e associazione .

3.5.2.5.2.1.2.2. Le salite accentuali

Gli accenti intonativi in cui il tono L precede il tono H ricorrono spesso in posizioni non finali di TU, ma la loro occorrenza in posizioni finali non è comunque bassa.

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Figura 52: la parola finale e prominente in A1N_G067 ha subito l’eliminazione della vocale postonica, ma si osserva che dopo il movimento di salita che si consuma tutta sulla vocale [o] la f0 rimane stabile per circa 35 ms in modo che si può trascrivere il tono di confine come H% che per l’elisione vocalica subisce l’arretramento di una sillaba.

Figura 53: in A1N_G129-TU1 l’accento principale è trascritto (L+H)*, considerando il movimento di salita sulla tonica solamente. Come si vede dalla parte selezionata il tracciato di f0 è quasi piatto e il vero e proprio movimento si profila sulla tonica.

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Figura 54: in A1N_G147-TU2, invece, la salita inizia sulla pretonica e di fatto le conseguenze percettive di tale realizzazione acustica fanno della sillaba pretonica una parte integrante dell’accento intonativo L+H*.

In A3_G005-TU3 l’accento nucleare profila una salita in cui il livello molto basso sulla pretonica produce un effetto percettivo di salienza che rende la tonica di ‘partenza’ ancora più prominente. Malgrado la durata tra i due toni toni sia superiore a 200 ms (222 ms; cfr. MAROTTA & SORIANELLO, 2001: 180), non si può considerare solo la salita sulla tonica, in quanto il livello iniziale sulla sillaba non è basso rispetto al range (155 Hz). D’altra parte, non si tratta di un accento monotonale alto H* poiché si percepisce una salita che non va tralasciata. Dunque, si è preferito trascrivere la salita con un accento bitonale esteso su pretonica e tonica, malgrado la distanza abbastanza grande tra i due bersagli.

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Figura 55: A3_G005-TU3 ha l’accento nucleare ascendente con il tono alto allineato alla tonica.

Figura 56: a differenza di A3_G005-TU3 l’f0 sulla tonica è piatta e non si percepisce alcuna salita, perciò la differenza di livelli tra pretonica e tonica non si può considerare una salita.

3.5.2.5.2.2. Tipi di accenti nel corpus

Il conteggio delle varie categorie accentuali rinvenute in ogni dialogo rivela la prevalenza degli accenti semplici, ma

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evidenzia nel contempo alcune differenze tra le due lingue e tra i due apprendenti quanto a tipologia accentuale.

AI nucleari (AS)

19%

30%

18%10%

5%12%

6%

27% 26% 29%

11%6%

1%0%

10%

20%

30%

40%

50%

L* H* (L+H)* (H+L)* L+H* H*+L H+L* L*+H

Serie1Serie2

L1L2

Figura 57: ricorrenza degli accenti intonativi nucleari dell’AS. Gli accenti bitonali presentano una grande variazione nella frequenza d’uso tra L1 e L2.

Si nota che gli accenti monotonali sono i più frequenti nei direttivi dell’AS e poi al terzo posto si registra l’accento ascendente (L+H)*. Le divergenze maggiori nella frequenza d’uso tra L1 e L2 si segnalano negli accenti complessi.

AI nucleari (AG)

41%

28%

43%

24%

1%3,5% 3,5%

24%

4%2%9%

17%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

L* H* (L+H)* (H+L)* L+H* H*+L H+L*

Serie1Serie2

L1L2

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Figura 58: gli accenti nucleari dell’AG sono per lo più monotonali. Si attesta una differenza netta tra gli usi accentuali in arabo e in italiano.

L’AG mostra una più netta tendenza all’uso degli accenti monotonali, mentre gli accenti bitonali estesi su due sillabe non godono di tanta importanza. Rispetto alla L1, l’italiano L2 è caratterizzato dagli accenti alti e di salita. Inoltre, gli accenti H* e L* scambiano le loro posizioni in cima alla scala delle ricorrenze in L1 e L2. Una situazione simile si registra anche per gli accenti (L+H)* e (H+L)*; quest’ultimo tipo, tuttavia, è completamente assente in L1. Il nostro apprendente, dunque, manifesta una maggiore discrepanza tra gli accenti di L1 e L2, mentre l’AS riserva tale divergenza agli accenti marginali, poco impiegati.

A livello di L1 la maggiore somiglianza tra i due soggetti riguarda la frequenza degli accenti H*, che si collocano al primo posto per occorrenza, e degli accenti di salita.

3.5.2.5.2.2.1. Realizzazione fonetica degli accenti principali

Si sa che gli accenti bitonali si allineano in modi diversi alle sillabe accentate. Dalle figure 51 e 52 possiamo ricavare che gli accenti complessi dell’AS si allineano per lo più a una sola sillaba sia in L1 che in L2 (29% degli accenti); su due sillabe ricade il 23% degli accenti in L1 e il 17% in L2. Il 28% e il 33% degli accenti dell’AG sono allineati alla tonica rispettivamente in L1 e L2, mentre i bitonali coincidenti con due sillabe assumono la frequenza del 6% e del 7%,

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rispettivamente nelle due lingue. Quindi, l’allineamento rappresenta un punto di convergenza tra L1 e L2.

A parte le differenze idiosincratiche tra i due soggetti, in quanto l’AS adopera comunque valori di f0 più bassi dell’AG, si nota che in L2 il nucleo accentato dura di più e che l’accentazione monotonale assume valori di f0 generalmente più alti:

Lingua L1 L2

Apprendente AS AG AS AG

f0 138 180 149 198 H

d 84 89 124 106

f0 100 129 114 127

Accento monotonale

L

d 97 113 122 144

Escursione 31 48 33 37 Accento bitonale Pendenza 2,3 4,1 2,7 2,6

Tabella 16: le medie dei valori frequenziali degli accenti monotonali e delle durate dei nuclei tonici che li portano. Degli accenti bitonali riportiamo l’escursione e la pendenza; la pendenza di una salita o una discesa melodica è la differenza tra l’f0 massima e minima del movimento diviso la sua durata.

Inoltre, gli accenti bitonali dell’AG mostrano una notevole variazione attraverso le due lingue con escursione e pendenza molto più alte in L1 e movimenti accentuali meno ripidi in L2.

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3.5.2.5.2.3. Portata pragmatica degli accenti intonativi

Nel dialogo in lingua araba B1N al primo nodo affrontato a causa delle differenze tra le mappe si riscontrano tre accentazioni diverse dell’imperativo ‘aspetta’ in tre turni del giver (solo i turni direttivi sono enumerati). I valori riportati in campo giallo sono i massimi di I e f0 a livello di TU:

G: prendi (presente) la macchina e vieni (presente) a

sinistra 0 dB, 172Hz F: a sinistra , va bene G: va bene ? F: va bene G: l’hai presa ? -3 dB, 176Hz

F: dalla statale ?

<pl> G09: aspetta, o Muhammed (voce bassa e vocativo desonorizzato) <pl> dov’è la statale ?

-22 dB, 109Hz

H*+Ln F: accanto all’inizio75 , sopra l’inizio ci sta una statale

G: no

F: che allora ?

75 Inizio (البداية) e fine (النهاية) sulla mappa in lingua araba sono il corrispettivo di partenza e arrivo nella mappa italiana.

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G: tu dovresti arrivare fino a dove ? alla valle… <pb> la fine da te dov’è ?

F: la fine da me è statua anonima

G: statua anonima . e l’inizio da te è dalla statale ?

F: l’inizio da me è accanto alla statale

<pl> F: dici

G10: no, ma aspetta perché la mia non è come la tua , aspetta 0 dB, 123 Hz

-18 dB, 108 Hz

L*n

<pl> F: Ibrahim !

G11: aspetta o muhammed

0 dB, 119 Hz

H*n

F: dici

Il primo imperativo porta i valori d’intensità più alti della TU, che sono effettivamente molto bassi. E la melodia profila una discesa sulla tonica e la postonica H*+L. In G10 il giver sembra infastidito e ripete l’ordine due volte. L’imperativo che porta l’accento nucleare si colloca alla fine della TU presentando il minimo di f0. Il terzo ordine, invece, è enfatizzato non tramite la ripetizione come nel direttivo precedente, ma attraverso l’accento intonativo H*

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contraddistinto dall’energia e l’f0 massime. In questo caso si potrebbe proporre che l’accento alto H* trasmetta l’ordine insistente.

Mitigando un po’ l’ipotesi visto che siamo ancora nelle fasi iniziali dell’analisi dell’italiano L2 di arabofoni, possiamo almeno segnalare il ruolo del tono H sia in accenti bitonali che monotonali. Il dialogo A3 inizia con l’imperativo ‘chiedi’ che quando viene ripetuto, l’accento cambia da L* a (L+H)*.

A3_G001, 3

50

100

150

200

f0

L*n

(L++H)*n

ripetizione insistente in replica al silenzio di F

Figura 59: tra G001 e G003 ricorrono differenze nel range e nella natura dell’accento intonativo per rendere lo stato comunicativo e per sollecitare il partner a rispondere.

Le TU che trasmettono semplicemente la richiesta d’azione priva di altre informazioni testuali (come la sospensione e la ripetizione) o emozionali e/o attitudinali (come l’impazienza o l’insistenza) sono poche nel corpus, ma presentano un andamento discendente con bersaglio tonale alto e tono di confine basso.

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B1N_G75

50

70

90

110

130

150

f0

[

T

L H

B]

H*+

+LnL%

sa li so pra

[

B1N_G83

50

70

90

110

130

150

170

f0

[

T

L S

B]

H*+

+LnL%

sa li so pra

Figura 60: nel dialogo B1N i turni G75 e G83 sono dei pochi casi in cui la TU imperativa non finisce in salita di continuazione o profila un focus interno. Tale profilo accentuale e finale, dunque, si potrebbe definire neutro (la trascrizione ToBI-like è in verde, mentre i simboli INTSINT figurano in caratteri neri).

Il confronto tra la figura precedente (fig. 54) e le figure successive ci rivela la differenza tra il direttivo semplice non alterato da atteggiamenti o altre funzioni comunicative e i direttivi che portano certe connotazioni in aggiunta alla richiesta d’azione. In G71 per esempio il focus accentuale trasmette una frase sottintesa: ‘ti ripeto, ascoltami bene’.

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B1N_G70-TU2

50

70

90

110

130

150

f0

[

T

B H]D U

+Hn H%

L*+

giùscendi

un po’

B1N_G71

50

70

90

110

130

f0

[T

LH

B]

D

H*n

L%giù

giù

scendi

Figura 61: B1N_G70-TU2 e G71 costituiscono un esempio tipico di ripetizione su richiesta del partner. G70-TU2 è caratterizzata dalla sospensione finale dopo l’accento nucleare; il sintagma verbale profila una discesa neutra come nella figura 54, ma la sospensione e la durata alta delle vocali finali sposta l’accento alla fine della TU. In G71 si registrano due tipi di ripetizione: una lessicale che non è sufficiente a trasmettere la portata comunicativa se non con l’abbinamento a quella prosodica, ovvero l’accento alto sul primo avverbio.

Sempre in L1, l’AG distingue prosodicamente la TU direttiva marcata dalle direttive meramente conclusive e prive di focus.

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B3_G16-TU3

50

100

150

200

250

f0

[ T

L

H

L

H

B]

H+

+L*n L%

arri vi

ignota

fino a statua

L*+H

B3_G05-TU2

50

100

150

200

250

f0

[B

T]

H SH

L

(L+ +H)*n H%

attraversa il ponte

delle zanzare

Figura 62: B3_G16-TU3 manifesta un accento nucleare finale, ma il verbo direttivo (al tempo presente) reca un accento tonale ascendente. Si nota che il bersaglio H, nei casi neutri di richieste di azione, costituisce un punto di ancoraggio comune agli accenti direttivi dei due apprendenti. In B3_G05-TU2, invece, l’imperativo perde tale accento, malgrado la sua posizione iniziale di fonazione, a favore della forte salita finale.

La distinzione pragmatica tra i verbi direttivi trova espressione sistematica nella natura della salita d’attacco:

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Figura 63: la forma d’onda e il tracciato frequenziale di sopra sono di B3_G11: ‘gira allora, sali alla caffetteria…’, in cui si rileva un accento nucleare sulla parola iniziale ‘gira’. L’accento, tra i cursori, si trascrive (L+H)*n, mentre nel tracciato di sotto, del turno G18: ‘gira attorno alla statua…’, si osserva sul verbo un accento monotonale H*n. Gli accenti diversi esprimono prosodicamente la differenza pragmatica tra i due direttivi: il primo rappresenta un direttivo neutro, mentre il secondo trasmette la rabbia del parlante.

Tale comportamento accentuale viene adottato anche dall’AS in L2:

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A1N_G023

50

70

90

110

130

f0

[

T D

B]

L*n

L%v a i

di rit to

A1N_G027

50

70

90

110

130

f0

[T

B]D

H*n

L%vai

di rit to

Figura 64: la ripetizione in G027 profila un accento alto sull’imperativo, mentre in G023 si verifica un movimento di salita. L’accento monotonale H* si dimostra ancora una volta uno strumento rafforzativo dell’atto direttivo. Infatti, si nota che il dialogo A1N abbonda di semplici direttivi con accento alto e tono di confine basso (cfr. appendice 8).

Tornando sulla L1 osserviamo in B1N_G52 e G63 casi di direttivi marcati pragmaticamente. Quando F dichiara di non avere certi punti sulla mappa, l’AS, contrariato, compie l’atto direttivo con l’atteggiamento di chi ci vede un’azione inevitabile e scontata. Si rileva in questi casi di focalizzazione un accento finale alto, che non è per forza nucleare, e un tono di confine basso H* L%.

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È importante sottolineare che tale profilo accentuale e di confine non si riproduce affatto in L2. Di fatto, la prestazione dell’AS in L2 si rivela generalmente pacata e poco diversificata rispetto alla L1.

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Figura 65: lo stesso contorno terminale si ripete due volte per trasmettere l’ordine. L’accento H* forma una specie di plateau seguito da una piccola discesa.

Una simile situazione si registra nel dialogo dell’AG che, però, impiega un accento finale e un tono di confine un po’ diversi dall’AS e che ancora una volta non si rilevano in L2. B3_G10 e B3_G18 non costituiscono ripetizioni, ma ordini forti e insistenti:

G: non c’è una linea che li lega?

F: non c’è niente

G10: traccia tu la linea

Un altro esempio si riscontra in G18 che non è una semplice ripetizione di G17, ma trasmette la carica di irritazione del parlante che si trova contrariato:

Ga: sei arrivato fino a statua ignota ?

F*: sì fatto

Gb: abbiamo girato attorno ad essa # <F**> finchè<ee>#

F**: #<Gb> perché devo girarci# attorno ?

G18: gira attorno alla statua come se tu delimitassi la statua per arrivare alla valle dei colombi

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Figura 66: nei due turni B3_G10 e G18 osserviamo quattro zone di stabilità tonale, ovvero dei plateau, spesso a f0 alta. I bersagli coincidono con sillabe toniche in enunciati che trasmettono direttivi forti. Il parlante s’impone in un modo che non lascia spazio alle discussioni presentando l’azione richiesta come inevitabile.

In italiano, invece, l’AG esprime la sua rabbia con voce più alta e parole scandite, ma il caso non si ripete (cfr. l’utilizzo del range in C3_G035: § 3.5.2.1.):

A3_G091-TU2

50

100

150

200

250

f0

[ T D

B ]

H*n

(H+

+L)*cominciamo

dasotto

C3_G043

50

100

150

200

250

f0

(H+L)*

+L)*

(H+L)*

L%

H-

H-(H+H-

+L)*+L)*

ma tu devi seguire

la strada

scritta

sulla mia carta

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Figura 67: il profilo neutro si riscontra anche in L2, ma l’ordine forte nei casi di contrasto si rende diversamente.

Dagli esempi di sopra possiamo fare due osservazioni. Primo, si nota che il tono H a inizio frase è una caratteristica dell’atto direttivo, anche quando non è marcato. Siamo ovviamente consapevoli che a inizio fonazione è normale che la melodia sia più alta, ma nelle realizzazioni dei nostri soggetti, sia in L1 sia in L2, si rileva che l’attacco non marcato è preceduto da una piccola salita iniziale, mentre nei casi marcati, in cui il peso accentuale non è spostato interamente alla fine della TU, si rileva subito all’inizio del tracciato di f0 un punto di ancoraggio alto, ossia un accento H* non preceduto da alcuna salita. Il risultato di tali confronti va parzialmente in accordo con quanto asserito in AVESANI (1995) e CAPUTO (1997) che propongono per i comandi in italiano L1 la stringa H* L-L% (cfr. § 2.2.2.4.3.4.). Nel nostro corpus, tuttavia, questa è solo una variante piuttosto marcata.

Secondo, a differenza di quanto si crede, i soggetti non importano le loro prosodie native nella L2 soprattutto nei casi di mancato controllo sulla produzione linguistica e di scarsa pianificazione, come nei momenti di rabbia o di agitazione.

L’accento alto o comunque il tono alto si riscontra, inoltre, sulle parole finalmente trovate dopo una pausa d’esitazione. Per esempio, in G209 l’accento principale si identifica a livello del turno e non della TU, visto che la prima TU è colpita da una disfluenza e la seconda è costituita da una sola parola che rappresenta il nucleo informativo e porta la prominenza maggiore di tutto l’enunciato. Tale parola

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accentata, infatti, attira l’attenzione dell’ascoltatore dopo la monotonia della pausa piena.

A1N_G209-TU1 e 2

50

100

150

200

f0

[va i ad+ /

ad des t_fra

(L+H)*n

Figura 68: G209 è diviso in due TU di cui la prima non può recare un accento nucleare (vedi anche A1N_G205 in appendice 8).

A1N_G057-TU2, 3 e 4

50

100

150

200

f0

TU3 TU4

v!ai!um p_voko assi nist_fra

al lor

TU2

(L+H)*n

Figura 69: in A1N_G057 la frase è stata divisa in tre TU per le pause lunghe e per la riprogrammazione. Il confine di TU è imposto quindi all’interno della stessa clausola tra il sintagma verbale e il sintagma preposizionale. Si osserva, dunque, che TU3 è costituita da due parole lessicali e alla sua fine si profila un andamento piatto di sospensione, poiché il parlante si ferma per pensare. Infatti, le prime TU non hanno le caratteristiche di unità prosodiche a sé stanti, che possano contenere cioè un nucleo non solo prosodico, ma anche informazionale, perciò l’assegnazione dell’accento nucleare è stata condotta da una prospettiva larga che racchiude tutt’e tre le TU.

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Gli ultimi due esempi qui riportati ci ricordano la problematica della divisione in TU quando si hanno parole scandite e pause interne (cfr. § 3.5.2.2.2.).

Il ricorso al tono alto in casi simili è attestato anche in L1, ma meno frequentemente, come in B1N_G96 e nelle produzioni dell’AG in C3_G001-TU3 e B3_G04-TU4 (cfr. appendice 8).

3.5.2.5.2.4. Posizione degli accenti nucleari

In capitolo 2 (§ 2.2.2.4.4.1.) abbiamo introdotto varie opinioni sulla posizione dell’accento nucleare in italiano e abbiamo sottolineato che la prominenza principale in questa lingua non è fissa a fine unità prosodica. In arabo, purtroppo, non disponiamo di studi che ci possano rivelare tale particolare prosodico, però abbiamo a disposizione i dialoghi registrati con i nostri due soggetti, da cui possiamo ricavare dei dati al fine di chiarire, pur parzialmente, tale punto. Durante questa fase di lavoro non abbiamo fatto ipotesi a priori riguardo alla posizione nucleare e abbiamo proceduto nelle analisi dei dialoghi allo stesso modo nelle due lingue.

Il criterio posizionale è stato raramente adottato sia in L1 che in L2. Mentre in arabo la dificcoltà sorge nei casi di mancanza di prominenze o movimenti locali di rilievo, in italiano il problema deriva dalle multiple prominenze nelle TU e dalla pronuncia a volte iperarticolata.

Nelle TU brevi, qualora tutte le parole dell’unità presentino un alto grado di prominenza, l’assegnazione della nuclearità a base fonetica è stata decisa in ogni caso in base alla

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considerazione di tutti i correlati acustici e con l’ausilio dell’ascolto.

C3_G035-TU6

50

100

150

200

250

f0

[T

DD

B]

H*

L*n

L%

101ms0dB

186ms-3dB

due prominenze

s E m p_vr e dz u

Figura 70: il grafico mostra i tre correlati acustici delle toniche in C3_G035-TU6. Non è stato possibile riportare la finestra d’analisi del wavesurfer per gli errori di calcolo che presenta in corrispondenza dell’accento alto. Mentre la prima tonica presenta f0 e I massime, la seconda ha la più grande durata e un valore energetico abbastanza alto. In questo caso si è optato per l’assegnazione della nuclearità alla parola finale sia perché il criterio posizionale è valido ed è stato adottato da altri autori (cfr. CAPUTO, 1997), sia perché l’avverbio ‘giù’ porta l’informazione nuova a livello della TU e del direttivo C3_G035: … ‘comunque tu devi cominciare dalla *balr / bar *dio *rola di<ii> Liolà <pb> sempre giù’.

Un altro esempio del criterio informativo è in A1N_G191:

A1N_G191-TU2

507090

110130150170

f0

B][

TH*

L*n L%u~na~

kur va

lu~N ga

Figura 71: la discesa si estende sulle due parole lessicali di A1N_G191-TU2 iniziando sulla tonica di ‘curva’ e finendo sulla postonica di ‘lunga’ con un tono di

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confine basso L%. Si possono notare due punti di ancoraggio essenziali sulla tonica di ognuna delle due parole ed infatti si osserva una specie di evidenziazione reciproca creata dal contrasto percepito tra questi due toni H* e L* che a livello acustico sono i due estremi del movimento. In questo caso abbiamo due ordini di problemi. Il primo riguarda la trascrizione del movimento e la determinazione dei suoi punti principali; il secondo consiste nell’assegnazione della nuclearità ad un solo accento intonativo in questo movimento continuo. In un primo momento si potrebbe dividere la discesa sul punto di confine tra le due parole e trascrivere l’accento rilevato su ogni sillaba a parte forse con una trascrizione del tipo H*+L (H+L)* allo scopo di rendere la discesa continua sulla tonica e postonica di ‘curva’ e poi la diminuzione graduale di 28Hz sulla tonica di ‘lunga’. Tale procedimento creerebbe una ridondanza di toni e un errore di rappresentazione dei livelli dal momento che H+ del secondo accento intonativo è foneticamente a un livello effettivamente basso rispetto al range (127Hz) e come si è detto in § 2.1.4.1. i livelli non rappresentano un contrasto sintagmatico, ma costituiscono una rappresentazione paradigmatica dei livelli tonali. Perciò, è stata esclusa la scelta di una rappresentazione bitonale su ogni parola e si è deciso infine per la segnalazione dei punti estremi. Successivamente, si è passati al secondo problema, quale l’assegnazione dell’accento nucleare che è stata favorita da due fatti: uno di ordine fonetico e l’altro di tipo pragmatico. Primo, si osserva la grande estensione temporale della sillaba tonica finale di TU (259ms) che ospita di conseguenza una buona parte del movimento. Secondo, a livello informativo l’ultima parola rappresenta l’elemento nuovo nella TU e quindi costituisce il nucleo della stringa.

In A3_G051-TU3, che è scomponibile in due sintagmi intermedi, non si è potuto determinare un solo accento nucleare, visto che le parole sono scandite e sono quasi tutte prominenti.

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A3_G051-TU3

50

100

150

200

f0

[

H T

L

UT

DB]

H-

(L+

+H)*nH*

L%

L*n

fink_je !arri vjal la val le lim p_vi Da

Figura 72: in A3_G051-TU3 si riscontrano tre parole lessicali tutte prominenti. Ma gli ultimi due nuclei tonici sono i più salienti e sono talmente alla pari che non si può assegnargli gradi diversi di prominenza accentuale. Essendoci 2 SI nella TU, si è preferito attribuire lo stato di nuclearità ad ambedue le prominenze.

In B1N_G30 il profilo melodico ed energetico si abbassa gradualmente senza cambiamenti salienti. Il basso livello di f0 e la durata abbastanza lunga hanno, tuttavia, favorito il criterio posizionale:

B1N_G30

50

70

90

110

130

f0

-20

-15

-10

-5

0

I

vai afare un segno 'x'

sugli alberidi banane

Figura 73: in B1N_G30 I e f0 calano gradualmente in un caso ideale di sviluppo del range. La mancanza di eventi melodici particolari ci ha indotto ad assegnare la nuclearità all’ultimo accento.

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Dopo l’identificazione di tutti gli accenti nucleari, in contemporanea con la classificazione dei tipi di accenti intonativi, è stata condotta una ripartizione delle prominenze principali a seconda che coincidano con l’ultima parola della TU o si collochino su un’altra parola arretrata. I grafici seguenti illustrano le statistiche.

Posizione accenti (AS)

53%

85%

15%

47%

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1 2

finalenon finale

L1 L2

Posizione accenti (AG)

38%

63%62%

37%

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1 2

finalenon finale

L1 L2

Figura 74: la posizione degli accenti nucleari nelle produzioni di ambedue gli apprendenti varia notevolmente da L1 a L2, in particolare nei dialoghi dell’AS. La collocazione in posizione finale indica la coincidenza con l’ultima parola lessicale nella TU.

I grafici ci rivelano un altro particolare della discrepanza prosodica tra L1 e L2. L’AS mostra sempre una preferenza degli accenti finali che peraltro si aumentano consistentemente in L2. Diversamente, l’AG sposta il centro accentuale dalle posizioni arretrate all’interno della TU in L1 alle posizioni finali in L2.

L’AG manifesta un’alta corrispondenza tra posizione e tipo di accento (vedi figg. 51 e 52). Si sa che lo sviluppo del range influenza generalmente il livello accentuale e che, di conseguenza, gli accenti finali si presentano per lo più a basse

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frequenze. In arabo la preponderanza degli accenti alti e di salita (72%) collima con la prevalenza degli accenti non finali (62%), mentre in italiano l’alta occorrenza degli accenti bassi e di discesa (71%) va in parallelo con la frequenza degli accenti finali (63%). L’AS, per contro, esibisce una generale preferenza degli accenti alti e di salita (59% in L1 e 66% in L2), nonostante che la maggior parte degli accenti ricada in posizione finale, soprattutto in italiano.

3.5.2.5.2.5. Distribuzione degli accenti nucleari sugli elementi lessicali

La collocazione degli accenti principali su certi elementi lessicali costituisce un argomento di interesse pragmatico e comunicativo. In letteratura si considera che la salienza fonetica è espressione della salienza informativa e dell’importanza che il parlante vuole attribuire a certi concetti veicolati, appunto, da date parole nella stringa.

L1

Elemento accentato imperativa

non imperativa

L2

Verbo 50% 15% 15%

S. avv. e prep.

44% 44% 63%

Punto sulla – 22% 8%

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mappa

Compl. og. – 15% 12%

Altro 6% 4% 2%

Tabella 17: gli elementi lessicali accentati in arabo e in italiano nei dialoghi prodotti dall’apprendente spontaneo. S. avv. e prep. sta per sintagmi avverbiali e preposizionali; compl. og. sta per complemento oggetto. Si osserva in L1 la netta distinzione tra le TU con verbo imperativo e verbo non imperativo. Nella colonna relativa alla L2 non si è fatta la differenziazione tra TU imperative e non, perché le ultime costituiscono solo il 12% delle TU e anche perché le prime non mostrano un comportamento particolare come vedremo nella discussione dei dati più avanti. Quanto alla classificazione degli elementi accentati, i sintagmi avverbiali e preposizionali sono stati incorporati nella stessa riga visto che a livello pragmatico servono tutti per l’orientazione tra i punti di riferimento sulla mappa (vedi infra).

Dalla tabella si ricava l’alta occorrenza, nelle due lingue, di locuzioni avverbiali e preposizionali accentate. Nel caso di queste ultime, naturalmente, le preposizioni non ricevono la prominenza, ma la parola lessicale successiva.

Si possono contemplare anche alcune nette differenze tra il comportamento del parlante in L1 e L2. Prima tra queste è la nuclearità del verbo imperativo in L1. Innanzitutto, stando al dato riportato in tabella, l’imperativo pesa nella bilancia prosodica quanto tutti gli altri elementi morfosintattici presenti nelle TU direttive. Infatti, malgrado in arabo le TU imperative analizzate costituiscano solo il 37% del totale, la forma esplicita direttiva, in una statistica globale che incorpora i due tipi di TU, riceve il 25% degli accenti nucleari. In L2, invece, la salienza passa ai complementi locativi, mentre il verbo imperativo presente nell’88% delle TU attira solo il 10% degli accenti nucleari.

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Infatti, la prevalenza degli accenti finali in italiano rispetto all’arabo è riconducibile soprattutto ai tipi di elementi lessicali evidenziati dal parlante. Troviamo che in L1, in cui la posizione non finale è molto frequente l’accentazione del verbo si presenta con alta percentuale, mentre in italiano sono prominenti per lo più gli elementi completivi che vengono dopo il verbo e concludono le TU.

Per quanto riguarda i nomi dei punti presenti sulla mappa (come pasticceria il Babà, fiume, ecc.), lo sbilanciamento nell’accentazione nelle due lingue potrebbe risalire alla struttura comunicativa dei due dialoghi in questione. Nel dialogo in italiano il follower si limita a mostrare il consenso, a dichiararsi incapace di seguire l’istruzione o a negare l’esistenza di alcuni punti nominati dal giver, senza descrivere quello che ha nella sua mappa. In arabo, invece, il follower si impone fin dall’inizio della comunicazione come un protagonista alla pari, descrivendo dettagliatamente la sua mappa, aiutando G a spiegare il percorso (teniamo presente che F non poteva vedere la mappa del partner) e criticando a volte la prestazione di G che ‘non sa distinguere la destra dalla sinistra’. Tale ricorso continuo in arabo ai punti di riferimento presenti sulla carta di fronte al ricorso quasi esclusivo alla descrizione delle direzioni in italiano potrebbe spiegare il perché di tale distribuzione accentuale. Un altro motivo, secondo me secondario nel caso del nostro giver, potrebbe essere la difficoltà che affronta gli apprendenti spontanei nella lettura, come è stato osservato nella

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maggioranza schiacciante degli informatori del corpus di controllo.

A questo punto riportiamo i dati relativi all’apprendente guidato per avviare una discussione generale.

Elemento accentato

L1 L2

Verbo 58%

18% 5%

S.avv. e prep. 17%

6% 37%

Punto sulla mappa

25%

35% 37%

Compl. og. – – 12%

Altro – 22% 4%

Tabella 18: l’accentazione delle parole in L1 e L2 da parte dell’AG presenta alcuni punti in comune con l’AS, soprattutto in L1. È notevole anche la frequente evidenziazione dei nomi delle icone nella mappa.

Si osserva anche qui che il verbo direttivo è meno saliente in italiano L2. Mentre in L1 il verbo occupa il primo posto nella scala delle accentazioni, i nomi delle icone sulla mappa e i sintagmi avverbiali e preposizionali sono i primi in L2.

Malgrado che in L1 il 71% delle TU non imperative dell’AG racchiuda un verbo, la sua accentazione in questo gruppo direttivo è scarsa. Al contrario, l’imperativo attira il 58% delle

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prominenze nucleari nelle TU imperative. Ciò rispecchia la salienza del verbo imperativo e l’interesse che il parlante mostra per tale categoria sintattica grazie alla sua portata semantica e pragmatica.

In italiano L2, invece, l’AG impiega pochissimo tale forma. Nel dialogo A3 si riscontrano solo cinque TU imperative; quattro di queste TU sono composte solo dal verbo, senza complementi di alcun tipo. Per di più, in C3 abbiamo solo due TU con il verbo imperativo, ma sono interrotte da disfluenze e, quindi, non sono state incorporate nelle statistiche sull’accentazione. Inoltre, il modale deontico, come in italiano L1, non reca accenti principali (cfr. GAMAL, 2001).

A differenza dell’AS, l’AG continua a manifestare una frequente accentazione dei nomi delle icone sulle mappe anche in L1. Ciò potrebbe essere una conferma della nostra ipotesi riguardo alla difficoltà che gli AS affrontano durante la lettura. Diversamente, per una persona che ha un continuo contatto con la lingua scritta, come il nostro AG, le icone costituiscono un vero e proprrio punto di riferimento non solo nello svolgimento del compito, ma anche e soprattutto nella produzione linguistica degli enunciati.

Infine, si nota in ambedue i soggetti l’occorrenza quasi identica in L1 e L2 di complementi oggetti accentati. Questi si trovano in frasi come ‘fai una curva’, scrivi una x’, cioè sono elementi lessicali che si riferiscono al che da segnare sulla mappa per poter rintracciare il percorso.

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Tale fisionomia delle accentazioni rispecchia una certa logica nella distribuzione delle prominenze, anche quando si tratta di una comunicazione spontanea e improvvisata. Vorremmo, dunque, riproporre l’ipotesi avanzata nella tesi di master (GAMAL, 2001) sull’accentazione degli elementi lessicali nel Map Task. Osserviamo che l’interesse degli informanti egiziani per un felice svolgimento del compito tramite la spiegazione delle azioni da fare (tramite i verbi) e attraverso la descrizione delle direzioni e della modalità di disegnare le linee (per via dei complementi) costituisce una palese somiglianza al giver napoletano studiato nel lavoro precedente.

Dunque, l’affinità degli scopi comporta nelle due lingue prime una conformità nella distribuzione degli accenti. Invece, nella L2 la concentrazione sul compito viene parzialmente distolta dalla necessità di scegliere i termini e di formare le frasi, sempre per un riuscito sviluppo della comunicazione.

3.5.2.6. Tra accenti principali e toni di confine

In § 3.5.2.4. abbiamo trattato della salita di sospensione come una componente prosodico-pragmatica di rilievo e abbiamo esplorato la sua portata a livello comunicativo e organizzativo. Ora ci soffermiamo sul contorno terminale che reca un accento nucleare e osserviamo la fisionomia melodica sulla tonica e sulle postoniche; in particolare focalizziamo l’attenzione sulla variazione di livelli tonali in questa porzione prosodicamente rilevante. Le TU ad accento non finale sono escluse da questa

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indagine, poiché non rappresentano movimenti complessi nella porzione finale.

Nel nostro corpus di italiano L2 si riscontra spesso un accento finale basso seguito da un tono di confine alto. Il contorno terminale nelle TU che hanno l’accento nucleare finale mostra a volte un cambiamento di direzione della melodia e altre volte il tono di confine si profila sullo stesso livello, o quasi, dell’ultima porzione dell’accento principale. Il passaggio dal basso all’alto si verifica in vari modi soprattutto per la differenza tra i due soggetti. Dall’AG tale passaggio graduale si percepisce cantilenante perché il livello basso dura più a lungo prima dell’impennata fino ai massimi frequenziali, tale profilo è reso possibile dalla lunga durata della vocale tonica. Le figure seguenti ci illustrano il fenomeno nei casi di parole accentate piane e tronche.

Figura 75: in A1N_G099 si rileva un aumento e una salita della f0 dopo l’interruzione del tracciato.

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Figura 76: in tutt’e due le TU il contorno finale profila una salita sulla tonica seguita da una discesa. In A1N_G171, però, la postonica è desonorizzata e la tonica porta tutto il movimento.

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Figura 77: B1N_G87 e A3_G047 sono esempi del contorno terminale ‘unidirezionale’.

Facendo una statistica dei cambiamenti nel contorno terminale che porta un accento nucleare, osserviamo una netta differenza tra i due informatori e tra le due lingue. Dall’AS il 13% dei contorni terminali nucleari in L1 profila un cambiamento di direzione tra la tonica e la postonica di fronte al 40% in L2; nelle produzioni dell’AG il contrasto è più evidente, in quanto solo il 9% presenta un andamento finale complesso in L1, mentre in L2 il 63% è caratterizzato da tale dinamicità. Nel caso dell’AG i movimenti nel contorno terminale in L2 sono sempre di salita tranne che nel turno A3_G003 che trasmette un ordine ripetuto in replica al silenzio di F e finisce in discesa in quanto rappresenta un ordine forte e conclusivo (cfr. appendice 8).

Dunque, nella maggior parte delle TU con profilo finale complesso si tratta di salite di sospensione. Ma tali salite si presentano anche in arabo con una percentuale non indifferente. Di fatto, la divergenza tra L1 e L2 sta nella frequenza del passaggio da un livello sulla tonica ad un livello

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diverso sulla postonica. In L1 il cambiamento di direzione nel contorno terminale non si riscontra dall’AS in nessuna sospensiva, ma si rileva nei due dialoghi dell’AG nel 50% delle TU sospensive ad accento finale; in L2, invece, il fenomeno si riscontra nel 28% e nel 93% delle TU di questo tipo, rispettivamente dell’AS e dell’AG. L’effetto di tale fisionomia si traduce a livello percettivo in una melodia più cantilenante in L2 rispetto all’andamento relativamente monotono in L1.

Finita la presentazione dei dati e delle analisi effettuate sul corpus, dedichiamo le conclusioni della tesi alla sintesi e all’organizzazione di quanto è stato raggiunto in questo capitolo.

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CONCLUSIONI

Questo lavoro è nato dalla curiosità di verificare se e in quale misura la prosodia della L2 rassomigli alla prosodia della L1. Con tale scelta ci siamo addentrati in un mondo ancora sconosciuto per la prosodia, quale l’intonazione in L2.

Una ricerca del genere rappresenta diverse difficoltà sia per la storia recente dei campi di ricerca coinvolti, sia per la necessità di raccogliere materiale linguistico di dimensioni ragguardevoli, sia per l’assoluta esigenza di controllare le variabili. Le divergenze tra le impostazioni della ricerca linguistica in arabo e in italiano è stata un’altra fonte di difficoltà. Per far fronte a tali problematiche abbiamo deciso di abbinare l’ampia presentazione teorica all’analisi di un corpus limitato e omogeneo per effettuare un primo approccio scientifico e rappresentativo all’argomento che richiede, e in effetti merita, l’impegno di gruppi di ricerca e la dedizione di anni di vita.

Fissando la variabile diatopica, abbiamo selezionato un campione di apprendenti dissimili in diastratia. L’altra variabile, in parte diastratica e in parte diafasica, per cui si differenziano i nostri informatori, consiste nella diversità del tipo di apprendimento. Studiando il componente prosodico, dunque, ci siamo impostati da un punto di vista acquisizionale e sociolinguistico.

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Nel corso delle analisi sul piano sintattico abbiamo studiato un corpus di controllo più ampio del corpus foneticamente analizzato. Di fatto, l’analisi sintattica non richiede una produzione vocale abbastanza spedita né qualità di registrazione ottima. In effetti, le disfluenze e le esitazioni non danneggiano tanto il recupero dei dati morfosintattici, contrariamente a quanto succede nelle rilevazioni prosodiche. A quest’ultimo livello i fenomeni di interruzione e la ripetizione di schemi intonativi fissi sugli elementi della stringa a causa della ridotta abilità nel parlato conduce la ricerca a un’altra strada. Il nostro scopo, infatti, non è stato quello di esplorare le strategie intonative che gli apprendenti a livelli elementari adoperano per colmare la ridotta competenza o che sono conseguenza di tale livello basso, ma è stato quello di verificare se, a livelli avanzati o almeno medi di competenza, la prosodia rappresentasse un terreno fecondo di transfer. Perciò, abbiamo escluso le produzioni linguistiche elementari degli studenti nel corso di laurea e degli immigrati chiusi nei loro ghetti a Milano e le abbiamo conservate per future ricerche.

La tesi è progettata in modo da presentare una serie di postulati di base oltre ai più importanti risultati delle ricerche condotte in questi tre rami della linguistica: la sociolinguistica (premessa e capitolo 1), la linguistica acquisizionale (capitolo 1) e la fonetica (capitolo 2).

In queste pagine intendiamo riassumere e schematizzare i risultati della ricerca. Ci soffermiamo su tre punti principali:

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l’assioma del transfer fonologico, la variazione prosodica in chiave sociolinguistica e il confronto tra arabo e italiano come lingue prime.

Il transfer (cfr. § 1.4.2.2.)

Sul piano della morfosintassi (§§ 3.2.2.; 3.4.) abbiamo rilevato una generale divergenza tra L1 e L2, in particolare negli apprendenti guidati. Ad esempio, il tempo presente che prefigura come primo veicolo del direttivo in L1 lascia il posto all’imperativo in L2 e, nel caso degli AS, ne appaiono varianti non impiegate nella L1 come l’imperativo ‘associativo’.

Sul piano prosodico è stato riscontrato che le TU in arabo mostrano una maggiore corrispondenza con porzioni di senso compiuto (§ 3.5.2.2.4.), una scansione inequivocabile della stringa in aggiunta a un utilizzo massimale della melodia nella scansione (§ 3.5.2.2.3.); si è visto, inoltre, che la fisionomia accentuale non è identica nelle due lingue a causa della diversità della posizione (§ 3.5.2.5.2.4.), e della distribuzione delle prominenze sugli elementi della TU (§ 3.5.2.5.2.5.). Oltre a ciò, l’AG presenta una divergenza tra L1 e L2 nella frequenza d’uso dei tipi accentuali.

La realizzazione acustica degli accenti nucleari è tutto sommato divergente nelle due lingue: il nucleo con accento semplice in italiano è correlato ad una durata mediamente più lunga e f0 più alta (§ 3.5.2.5.2.2.1.), in un segno probabilmente di un parlato più accurato e scandito in L2. In merito, l’unica somiglianza tra L1 e L2 riguarda il prevalente allineamento degli accenti bitonali ad una singola sillaba (la tonica).

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Abbiamo rilevato anche che l’accentazione forte e l’andamento finale registrati in L1 nei casi di alto coinvolgimento emotivo non vengono trasferiti in situazioni simili nella L2. Ciò potrebbe essere collegabile al mancato controllo sulla produzione linguistica che caratterizza tali momenti della comunicazione (§ 3.5.2.5.2.3.). Ma se fosse così, potremmo ipotizzare che la prosodia venga in qualche modo controllata dal parlante nella lingua straniera, perché se la prosodia venisse ricalcata inconsciamente, l’agitazione dei nostri informatori profilerebbe simili configurazioni prosodiche in entrambe le lingue. Tuttavia, il fenomeno va ulteriormente verificato in un corpus più grande.

Infine, l’andamento globale non si profila identico in L1 e L2, in quanto diventa più complesso nella L2. Tale complessità pervade anche il contorno terminale che tende a definire un andamento ‘bidirezionale’ come si osserva nello schema seguente:

L1

Andamento globale Contorno terminale

L2

Semplice 61%

Complesso 39%

Semplice 89%

Complesso 56%

Bidirezionale 52%

Semplice 44%

Bidirezionale 11%

Semplice 48%

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Da quanto esposto sulle differenze intonative registrate tra L1 e L2, ci risulta opportuno evitare le generalizzazioni

sull’interferenza fonologica. In altre parole, se gli studi sulle lingue seconde hanno rilevato fenomeni di transfer a livello

fonologico segmentale e forse anche a livello ritmico (ARCHIBALD, 1998), si nota che la melodia e l’accentazione

prosodica in L2 si discostano molto dalla L1, mettendo in dubbio l’assioma del transfer fonologico, che forse andrebbe, al momento, denominato ‘transfer segmentale’ nonostante le

ipotesi non verificate di alcuni studiosi sull’inevitabile trasferimento prosodico a causa dell’astrattezza di tale livello

linguistico (cfr. VOGEL, 1991: 55).

Differenze sociolinguistiche

Partendo dalla sintassi, innanzitutto, sottolineiamo negli AG l’osservazione delle regole e l’impiego di forme probabilmente non conosciute (condizionale, gerundio) o poco utilizzate dagli AS (il deontico). Ma tale preoccupazione per la correttezza grammaticale si riflette nella frequente omissione del verbo solo in L2, il che costituirebbe un modo di superare la difficoltà che la coniugazione dei verbi costituisce per gli apprendenti.

Secondo, l’uso del deontico e dell’imperativo rivela differenze a livello comunicativo tra i due gruppi di apprendenti. Gli AS ricorrono più spesso all’imperativo che

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probabilmente sentono continuamente negli ambienti di lavoro (§ 3.2.2.2.), mentre l’impiego del modale che va seguito dall’infinito del verbo risparmia agli AG la preoccupazione per la flessione delle tre coniugazioni (§ 3.4.2.).

Terzo, negli AG l’omissione del verbo finito si riscontra più che negli AS. Infatti, gli AG praticano la lingua spontanea di meno degli AS e sono influenzati dalla lingua scritta caratterizzata dalla reggenza a lungo raggio. Inoltre, è stato osservato nel corpus limitato che l’AG preferisce le proposizioni complesse a differenza dell’AS che ricorre alle frasi semplici (§ 3.5.2.2.3.).

A riprova della dinamica complessa secondo la quale le variabili di apprendimento agiscono sulla L2, la discrepanza rilevata tra gli usi grammaticali degli italiani e degli immigrati da lungo tempo ci dimostra che la durata di permanenza non è sempre una variante a favore dell’apprendimento di una lingua straniera.

Sul piano fonetico segmentale l’influenza del contesto di apprendimento si riflette nelle registrazioni dell’AS, in cui si rilevano i fenomeni della riduzione vocalica e del raddoppiamento sintattico che sono tipici della lingua parlata e pertanto assenti nelle produzioni dell’AG. Intanto, la realizzazione dell’occlusiva bilabiale sorda evidenzia una dissomiglianza socioculturale tra i due soggetti e, in generale, tra i due tipi di apprendenti.

Sull’accentazione dei nomi delle icone sulle mappe, che è frequente nelle due lingue dall’AG e solo in L1 dall’AS, avanziamo due ipotesi. Primo, a livello di competenza

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linguistica tale divergenza potrebbe essere conseguenza delle distanti capacità di lettura che i due soggetti mostrano. Secondo, si potrebbe proporre che, qualora sia disponibile un testo scritto, l’AG ci si affidi di più nella pianificazione e nella preparazione del discorso nella L2, acquisita maggiormente tramite la lettura (§ 3.5.2.5.2.5.).

La competenza linguistica si manifesta in alcune

regolarità formali e funzionali. Al livello delle strutture grammaticali, l’uso dell’imperativo si rileva in arabo nei momenti in cui il locutore intende impartire direttivi forti, altrimenti si ricorre al direttivo indiretto. In L2, invece, non si riscontrano simili corrispondenze.

Prosodicamente, la familiarità con le risorse della lingua parlata si manifesta in L1 nell’esemplare convergenza di varie marche di confine a facilitare la segmentazione della catena parlata in unità tonali, diversamente dalla L2 in cui si manifesta un forte conflitto dei criteri (§§ 3.5.2.2.1., 3.5.2.2.2.). È vero che la divergenza dei criteri è un fenomeno registrato nelle lingue prime (§ 2.2.2.1.1.), ma tale presenza costante di marche indubbie al confine destro di ogni unità non viene trasferita in L2 e solleva l’interrogativo se l’arabo cairota sia ‘segmentato’ meglio dell’italiano e dell’inglese. Il fatto conferma anche che la competenza lessicale e sintattica, la quale comporta una facile pianificazione linguistica, asseconda la regolare scansione del parlato. Un altro indizio dell’agilità melodica nella lingua madre si identifica nello sfruttamento della melodia come unica marca di confine da parte dell’AG in

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modo da dare un effetto percettivo di sicura scansione della stringa (§ 3.5.2.2.3.).

Arabo e italiano L1 a confronto

Dal punto di vista delle abitudini morfosintattiche sembra che gli egiziani siano più inclini a impiegare le forme direttive indirette, visto il ricorso continuo al presente e al futuro indicativo a spese dell’imperativo rilevato spesso nei momenti di contrasto.

Sul piano intonativo, come abbiamo detto nella

conclusione del § 3.5.2.4.2., non tutte le sospensive dell’arabo finiscono in salita. Il dato corrisponde all’osservazione avanzata in italiano L1 da VOGHERA (1992: 109) che si dichiara contraria all’ipotesi di una perfetta correlazione tra il fenomeno pragmatico e una data rappresentazione melodica (cfr. GAMAL, 2001; supra § 2.2.2.4.2.). D’altra parte, la regolarità che mostrano i contorni terminali delle TU in sequenze costituisce una riprova a favore della postulazione di una unità superiore alla TU sia in arabo sia in italiano L2, appunto come è stato suggerito per l’italiano L1 (§§ 2.2.2.1.3., 3.5.2.4.1., 2.). Nel Map Task ci è risultato che il sotto-compito costituisce l’unità coerente quanto a scopo comunicativo e ad andamento tonale (§ 3.5.2.1.).

Si è osservato, inoltre, che la salienza in arabo, come in italiano L1, rivela l’interesse dei parlanti per il referente dell’elemento accentato. Quanto ai direttivi, l’imperativo in entrambe le lingue prime resta il nucleo che distingue l’atto direttivo dall’atto dichiarativo. A livello fonetico, in effetti, il

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tono H si potrebbe considerare caratteristico dei direttivi; esso si manifesta negli accenti di salita e negli accenti alti che ricorrono più spesso in casi marcati, di focalizzazione (§ 3.5.2.5.2.3.; cfr. GIORDANO & SAVY, 2003).

In L1, sia in arabo che in italiano, si possono registrare certe tendenze nella scelta dei tipi di accenti e negli andamenti melodici globali, ma, a mio avviso, la ricerca di accenti tipici dell’atto illocutivo direttivo sarebbe una forzatura come lo sarebbe anche l’identificazione di un profilo melodico caratteristico di questo tipo di atti linguistici (sulla variazione dei profili tonali direttivi in due varietà italiane cfr. CROCCO, 2004).

Di fatto, la prosodia dell’atto direttivo si rivela molto sensibile alle variabili comunicative e pragmatiche probabilmente a causa della sua innata natura interazionale e la sua dipendenza dal canale aperto tra gli interlocutori, dalla reazione dell’ascoltatore e dai risultati dell’atto che si identificano nell’atto perlocutorio, ovvero l’esecuzione dell’azione richiesta.

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(I dati bibliografici sono tradotti anche in italiano)

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www.stranieriinitalia.it

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www.caritasroma.it/immigrazione

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375

APPENDICI

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376

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APPENDICE 1

IL QUESTIONARIO SUGLI APPRENDENTI GUIDATI

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

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APPENDICE 2

I QUESTIONARI DEGLI INFORMATORI

AS (giver)

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

379

segue –

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

380

AS (follower)

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

381

segue –

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

382

AG (giver)

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

383

AG (giver)

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

384

AG (follower)

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

385

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

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APPENDICE 3 LE MAPPE

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

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Mappa A

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

388

Mappa B

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

389

Mappa C

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

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Mappe dei follower

A1N (F)

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

391

B1N (F)

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

392

A3 (F)

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

393

B3 (F)

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

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C3 (F)

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

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APPENDICE 4

NORME DI TRASCRIZIONE ORTOGRAFICA

Tratte e adattate da SAVY (2002)

A) Il codice del dialogo racchiude il nome della mappa (A, B,

…) e il numero progressivo della registrazione visto che con ogni

mappa sono state registrate varie coppie di parlanti. Le

conversazioni degli apprendenti spontanei sono contrassegnate,

inoltre, dalla lettera iniziale della città dove vivono (M per Milano,

N per Napoli, R per Roma).

Per esempio, A1N è il dialogo elicitato tramite la mappa A e registrato con la prima coppia intervistata a Napoli; B3 è stato prodotto con l’ausilio della mappa B dalla terza coppia di apprendenti guidati intervistata al Cairo.

B) Nell’intestazione del dialogo sono contenute alcune

informazioni generali circa la produzione del dialogo e i parlanti.

Le righe di testo hanno le seguenti denominazioni:

ING: (informazioni sull’Instruction Giver: nome, età, sesso, eventualmente segni particolari e generali sulla qualità di voce);

INF: (informazioni sull’Instruction Follower: nome, età, sesso, eventualmente segni particolari e generali sulla qualità di voce);

LOC: (luogo e data della registrazione); DUR: (durata totale del dialogo);

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

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CON: (condizioni generali della registrazione: ad esempio se esistono parti non registrate o particolarmente rumorose, interventi di altre voci, ecc.);

CMT: (eventuali commenti generali del trascrittore). Ogni turno è preceduto dal codice del dialogo seguito da un underscore (es.: A1N_), da un indice di una lettera (identificativa del parlante e suo ruolo: G = Instruction Giver; F = Instruction Follower) e di un numero a due o tre cifre (indicante l’ordine di turno del dialogo).

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

397

C) Elementi linguistici lessicali e semi-lessicali:

Simbolo

(e descrizione)

Applicazione Esempio

d’uso

’ (apostrofo)

forme con elisione m’ha (mi ha)

+ (simbolo di addizione

apposto a fine parola)

frammenti di parole troncate (disfluenze)

col+ (colore)

* (asterisco) (apposto ad

inizio parola)

non-parole da lapsus ed errori

siamo

*arrifati *cove ?

? (punto

interrogativo)

frase interpretata come interrogativa

scendere ?

! (punto

esclamativo)

frase interpretata come esclamativa

mamma mia !

, (virgola)

confine sintattico-semantico percepito

sì , sinistra

-

(trattino)

separa le sequenze di lettere scandite in forma di citazione alfabetica, ciascuna viene trascritta secondo la forma usata

pi- o- erre- ti- ci- o-

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

398

D) Fenomeni verbali non lessicali; fenomeni vocali non verbali;

fenomeni non vocali non comunicativi < >

Simbolo

(e descrizione) Applicazione Esempio d’uso

<pl> <pb>

pausa vuota <pb>: breve, <pl>:

lunga76 (senza interruzione

del discorso)

e fare la <pb> salita <pl> fino al giardino

delle visite

<P>

pausa vuota media/lunga con interruzione di

discorso

sono <P> no , da me

non c’è un magazzino <P> ma queste automobili …

<eeh> <ehm>

pausa piena con vocalizzazione

o nasalizzazione

c’è casa del <eeh>

bignè

<vv> (v= vocale)

<cc> (c= consonante)

pausa piena con allungamento

dell’ultima vocale o consonante di parola, allungamento della

consonante iniziale di parole

allora<aa>

al<ll> al bar <ss>sì

/

(slash) (separato dal testo con uno spazio)

falsa partenza (sia parola troncata sia segmento di frase)

senza pausa di interruzione

sali se+ / sopra fai un / una curva

76 Si è considerato che la pausa lunga supera i 490, 500 ms circa; meno di 40 ms non si è considerato pausa Tra i turni la pausa di meno di circa 100 ms non è stata considerata, in particolare quando non si sente un distacco tra i turni perché i nostri parlanti nei casi in cui non s’interrompono ci mettono mediamente questa frazione di secondo per respirare e riprendere la parola.

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

399

<risata>, <tosse>, <starnuto>, <sospiro>,

<inspirazione>, <schiocco di

lingua>, <raschiamento>

fenomeni vocali non verbali prodotti dal

parlante. Inseriti nella esatta collocazione

dentro il testo, prima di eventuale

punteggiatura

allora <inspirazione>

tu vedi il leone

<f.vocale>

altri non rientranti nelle etichette

precedenti

lo stagno puzza sì

<f.vocale>

<eh>, <ah>,<mh>, <aha>, <mhmh>

segnalazioni di assenso da parte del

locutore

G: fino alla fine della carta

F: <mh> e poi ?

<oh!>, <ah!>, <aha!>

Esclamazioni (sorpresa, stupore, soddisfazione…)

<oh!> mamma mia!

<f048> o altro codice

sovrapposizione di turno

cfr. più sotto

<RUMORE>

evento non vocale, non comunicativo

generico

sì ma aspetta <RUMORE>

<inintelligibile>

parole o sequenze inintellegibili

ma <inintellegibile> no

#

(cancelletto)

prima e dopo il testo (senza spazi bianchi)

cui si sovrappone - altro turno

il testo è preceduto dall’annotazione

dell’evento

#<F004><RUMORE>

# #<F090> no , infatti <pl># cominciamo

{ }

(parentesi graffe)

prima e dopo il testo (senza spazi bianchi)

cui si sovrappone - evento vocale

prodotto dallo stesso parlante

- evento non vocale

{<risata> uccello} {<RUMORE>

ancora}

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

400

E) Commenti del trascrittore tra parentesi quadre [ ]

Simbolo (e descrizione)

Applicazione Esempio d’uso

[arabo]

parola o sequenza detta in lingua araba dentro un dialogo in

italiano

cfr. più sotto

il corsivo per le parole dette in arabo,

vengono seguite dalla segnalazione

tra parentesi quadre [arabo]

dici [arabo] <pb> dici

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

401

APPENDICE 5

I DIALOGHI

I direttivi sono evidenziati in campo giallo e i turni completivi in campo grigio.

A1N

ING: sesso M, età 28, luogo di nascita Giza, eloquio spontaneo INF: sesso M, età 35, luogo di nascita Porto Saìd, eloquio spontaneo, ma forte cadenza araba LOC: Napoli, Facoltà di Lettere e Filosofia, il 17 marzo 2003 DUR: 6.45 minuti CON: buone CMT: Alcune volte il giver realizza ‘fai’ con la consonante sonora ‘v’

Spesso il follower replica all’ordine del giver ‘sali’ con ‘sal’ che sarebbe la prima sillaba del verbo in questione. Dunque, ci siamo posti due ipotesi: che F stia solo ripetendo la stessa parola proferita dal giver ‘sali’ o che stia descrivendo l’azione in corso ‘salgo’. Tuttavia, in una sola volta, nel turno F146, si sente chiaramente ‘sali’ per cui abbiamo seguito la prima ipotesi, trascrivendo tutte le realizzazioni ‘sal’ con ‘sali’.

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

402

La parola tronca ‘colibrì’ è stata trascritta come se fosse piana ‘colibri’, perché così si sente chiaramente.

A1N_G001: dobbiamo partire <pl> da <pl> colibri <pb> arriviamo a <pl> #<F002> il posto di# <pb> automobili , allora piano piano <pb> A1N_F002: #<G001> che cosa Ibrahim ?# <pl> dici <pb> A1N_G003: ci sta la partenza <pb> A1N_F004: partenza sì <pb> A1N_G005: sali sopra <pl> A1N_F006: sali <pl> A1N_G007: allora arriviamo al posto di <pb> colibri , ci stai ? <pb> A1N_F008: colibri ? <pb> A1N_G009: sì <pb> A1N_F010: aspetta <pl> colibri <pl> sì <pl> colibri ci sta <pl> A1N_G011: allora sali sopra <pb> A1N_F012: sali

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

403

<pl> A1N_G013: poi vai <pb> a sinistra <pl> A1N_F014: sinistra <pl> A1N_G015: sì ? <pb> A1N_F016: sì <pb> A1N_G017: piano piano <pb> A1N_F018: sì A1N_G019: e scendi giù un poco <pl> A1N_F020: sì <pl> A1N_G021: poi vai diritto <pl> A1N_F022: non ho capito , Ibrahim A1N_G023: vai diritto <pb> A1N_F024: diritto ? #<G025> ok# A1N_G025: #<F024> sì# <pb> hai sci+ / hai sceso giù ? <pl> A1N_F026: sì <pb> A1N_G027: vai diritto <pl> A1N_F028: sì

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

404

<pb> A1N_G029: ok ? <pl> andato dritto un poco , sali sopra un poco un’al+ / un’altra volta <pl> A1N_F030: ok <pb> A1N_G031: ok ? <pb> arrivi al fiume <pl> A1N_F032: che cosa ? <pb> A1N_G033: fiume <pl> A1N_F034: fiume ! <pl> A1N_G035: fiume <pl> non ci #<F036> stai ?# A1N_F036: #<G035> non# ci sta , #<G037> Ibrahim# A1N_G037: #<F036> allora# <pb> va bene tu in questo punto arrivato al fiume <pl> ok ? A1N_F038: ok <pb> A1N_G039: allora <pl> vai un poco <pl> in diritto <pl> A1N_F040: diritto <pl> A1N_G041: ok ? <pl> A1N_F042: ok <pb> A1N_G043: sali sopra

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

405

<pl> A1N_F044: Ibrahim <pb> A1N_G045: <mh> A1N_F046: scusa <pl> prima <pb> #<G047> dici# prima A1N_G047: #<F046> <eh># <pl> torniamo dalla #<F048> partenza ?# A1N_F048: #<G047> sì sì# sì <pb> #<G049> partenza# A1N_G049: #<F048> allora# <pb> partenza A1N_F050: ok <pl> A1N_G051: la partenza <pb> #<F052> poi# sali un poco sopra <pl> #<F052> arrivato ?# A1N_F052: #<G051> sì# <pl> #<G051> sì# <pb> sopra A1N_G053: un poco A1N_F054: poco <pl> A1N_G055: arrivato a colibri A1N_F056: colibri A1N_G057: se mi leggo bene <P> allora <pl> vai un poco <pl> a sinistra <pl> A1N_F058: sinistra <pl> A1N_G059: poi vai un poco diritto <pb> A1N_F060: diritto <pl> A1N_G061: e scendi giù

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

406

<pl> A1N_F062: giù <pb> A1N_G063: poco <pl> #<F064> poi vai# diritto A1N_F064: #<G063> sì# <pl> diritto <pb> A1N_G065: ok ? <pb> A1N_F066: ok <pb> A1N_G067: sali sopra <pb> A1N_F068: sali A1N_G069: della strada sempre <pb> sopra un poco <pl> A1N_F070: ok <pl> A1N_G071: un <pb> poco poco diritto <pl> A1N_F072: ok <pb> A1N_G073: arrivato al fiume <pl> A1N_F074: non ci sta #<G075> Ibrahim# A1N_G075: #<F074> allora# scrive <pb> hai arrivato a questo posto *vai un / una ‘x’ e scrivi fiume <pb> A1N_F076: fiume ? <pb>

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

407

A1N_G077: sì <pl> A1N_F078: fiume <pb> A1N_G079: ok ? <pb> ci siamo ? <pl> A1N_F080: dici <pl> A1N_G081: <ah> <pl> a+ {<RUMORE> ancora} <pb> diritto <pl> A1N_F082: diritto A1N_G083: ok ? <pb> A1N_F084: ok <pl> A1N_G085: poi sali sopra <pb> A1N_F086: sali <pl> A1N_G087: sale <pl> A1N_F088: ancora ? <pb> A1N_G089: <eh> un pochino un un un altro poco <pb> A1N_F090: ok <pb> A1N_G091: arrivato alla barche <pl>

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

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A1N_F092: a barche , sì A1N_G093: ci stai ? <pb> A1N_F094: #<G095> sì# A1N_G095: #<F094> meno male# <pl> sali un poco più sopra <pl> A1N_F096: le barche ? <pb> A1N_G097: sali sì diritto sa+ / ancora più sopra un poco <pb> A1N_F098: <mh> <pl> A1N_G099: vai a d+ / <eeh> sinistra <pl> A1N_F100: sinistra ? A1N_G101: sì <pl> un poco <pl> A1N_F102: sinistra <pl> A1N_G103: poi sali sopra un’altra volta <pl> A1N_F104: sali <pl> A1N_G105: un poco <pl> a destra <pl> A1N_F106: a destra ? A1N_G107: sì <pl> A1N_F108: #<G109> <mh>#

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

409

A1N_G109: #<F108> un# poco diritto <pl> A1N_F110: <mh> <pb> A1N_G111: allora arrivato a punto si chiama vale limpida <pb> A1N_F112: sì <pb> A1N_G113: ok ? <pb> fare un punto di ‘x’ <pb> A1N_F114: <mh> <pb> A1N_G115: vai diritto <pl> A1N_F116: ok <pb> A1N_G117: ok ? <pl> diritto ancora un poco A1N_F118: ok <pl> A1N_G119: scendi giù <pl> A1N_F120: scendi <pb> A1N_G121: vai diritto un poco pochissimo <pb> A1N_F122: ok <pl> A1N_G123: va+ / sali sopra un’altra volta <pl> pochissimo ancora

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

410

<pb> A1N_F124: ok <pb> A1N_G125: allora arrivato <pb> a portico <pl> A1N_F126: che cosa ? <pb> A1N_G127: portico <RUMORE> pi- pi- <pb> portico <pl> A1N_F128: non ci sta , Ibrahim , #<G129> portico# A1N_G129: #<F128> allora *vai un# punto di ‘x’ <pb> e scrivi <pb> portico <pl> A1N_F130: por #<G131> <pb># /t/ <pl> #<G131> porti+ # A1N_G131: #<F130> pi-# <pl> #<F130> pi-# pi- pi- <pb> pi- pesante <pb> pi- <pb> A1N_F132: <mh> <pb> A1N_G133: o- err’- <pb> A1N_F134: <mh> <pb> A1N_G135: ti- <pb> A1N_F136: <mh> <pb> A1N_G137: i- puntini <pb>

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

411

A1N_F138: <mh> A1N_G139: ci- o- <pl> A1N_F140: ci- o- ? <pb> A1N_G141: <eh> <pl> A1N_F142: dici [arabo] <pb> #<G143> dici# A1N_G143: #<F142> ok ?# <pb> A1N_F144: <mh> <pb> A1N_G145: sali sopra un poco <pl> A1N_F146: sali <pl> A1N_G147: allora <pl> *vai un punto di ‘x’ <pl> scrivi ‘x’ , arrivato a posto si chiama <pl> pasticceria il Babà <pb> A1N_F148: sì <pb> A1N_G149: ok ? A1N_F150: #<G151> ok# A1N_G151: #<F150> allora# ci siamo <pl> sali sopra un’altra volta A1N_F152: ancora ? <pb> A1N_G153: <mhmh> <pb>

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

412

A1N_F154: ok <pl> A1N_G155: vai a sinistra <pb> A1N_F156: sinistra ? A1N_G157: <ahah> <pb> #<F158> diritto# A1N_F158: #<G157> ok# <pl> sì <pl> A1N_G159: allora vai diritto arrivo a punto si chiama <pl> ambulante <pb> A1N_F160: ci sta <pb> A1N_G161: ok <pl> sali sopra un poco <pl> A1N_F162: ok <pl> A1N_G163: vai a sinistra <pl> A1N_F164: sinistra ? <pb> A1N_G165: ok ? <pb> vai diritto <pb> A1N_F166: sinistra ? <pb> A1N_G167: sì <pl> o destra ? <pl> A1N_F168: dici <pb>

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

413

A1N_G169: sinistra <pb> A1N_F170: sinistra #<G171> sì# A1N_G171: #<F170> <eh># <pb> vai diritto un poco <pb> A1N_F172: <mh> <pl> A1N_G173: poi scendi giù <pl> A1N_F174: ok <pl> A1N_G175: vai diritto un poco <pb> A1N_F176: ok A1N_G177: arrivi a punto si chiama abiti <pb> A1N_F178: abiti ? <pb> A1N_G179: <ah> ci stai ? <pl> A1N_F180: #<G181> non ci# sta A1N_G181: #<F180> no# <pb> allora scrivilo <pl> A1N_F182: abiti ? <pb> A1N_G183: a- <pl> A1N_F184: abiti <pb>

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

414

A1N_G185: a- <pl> A1N_F186: sì , Ibrahim [arabo] #<G187> {<risata> dici} abiti# A1N_G187: #<F186> ok <pb> hai# scritto ? <pb> A1N_F188: sì <pb> A1N_G189: ok <pl> vai diritto un poco <pl> A1N_F190: <mh> <pl> A1N_G191: poi <pb> fai un / una curva <pb> una curva lunga <pb> A1N_F192: curva ? A1N_G193: sì <pl> proprio #<F194> una curva# A1N_F194: #<G193> a destra o a sinistra ?# <pl> A1N_G195: sempre <pb> sempre a sinistra <pb> A1N_F196: sempre <pb> curva <pb> A1N_G197: <eh> #<F198> una curva# lunga A1N_F198: #<G197> lunga ?# <pl> #<G198> ok# A1N_G199: #<F198> va bene ?# poi sali sopra un poco <pb> A1N_F200: ok <pl> A1N_G201: arriva <pb> a <pb> albergo <pb>

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

415

A1N_F202: sì <pb> A1N_G203: ok ? <pb> A1N_F204: ok A1N_G205: sali un poco<oo> se+ / sopra <pl> A1N_F206: ancora ? <pb> A1N_G207: sì <pb> A1N_F208: ok <pl> A1N_G209: vai a d+ / a destra <pb> A1N_F210: a destra <pl> A1N_G211: poi scendi con una curva <pl> A1N_F212: ancora curva ? <pb> A1N_G213: sì <pl> va bene ? A1N_F214: ok <pl> A1N_G215: arrivato a discoteca Zazà <pb> A1N_F216: sì <pb> A1N_G217: ok ? <pb> sali sopra

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Appendice 5 – i dialoghi: A1N

416

<pl> A1N_F218: ancora ? <pl> A1N_G219: poi vai a destra <pb> A1N_F220: a destra <pb> A1N_G221: {<RUMORE> diritto<oo>} <pb> A1N_F222: diritto <pb> A1N_G223: arriva a automobili <pl> e parcheggi la macchina <pb> e non fare casini <pl> A1N_F224: questa sì <pl> A1N_G225: va bene ? A1N_F226: va bene <pb> A1N_G227: però chiudi la macchina , perché siamo a Napoli <pl> A1N_F228: ok #<G229> <risata># A1N_G229: #<F228> ok ?# <pl> tutto a {posto <risata>}

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

417

A3

ING: sesso M, età 23, luogo di nascita il Cairo, eloquio spontaneo INF: sesso M, età 22, luogo di nascita il Cairo, eloquio spontaneo LOC: il Cairo, Facoltà Al-Alsun, il 20 agosto 2002 DUR: 7.40 minuti circa. CON: le condizioni della registrazione sono generalmente buone, ma nei casi di sovrapposizione dei turni nei momenti di silenzio del giver in alcuni suoi turni si sente in sottofondo la voce del follower. Tuttavia, le sovrapposizioni non compromettono le analisi acustiche. Inoltre, molto spesso il giver si avvicina troppo al microfono. A3_G001: chiedi <pl> A3_F002: mh ? [si sente appena] <pl> A3_G003: chiedi <pl> #<F004><RUMORE># A3_F004: #<G003>che chiedo ?# <pl> A3_G005: sì , tu devi chiedermi comunque #<F006> <inspirazione># almeno dov’è<ee> il punto di partenza e il punto d’arrivo <pl>

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

418

A3_F006: #<G005> no# <pl> sì <inintelligibile> sì<ii> l’ho trovato , il punto di partenza l’ho trovato <pb> A3_G007: e che co+ / con / per quanto riguarda il punto d’arrivo ? <pb> A3_F008: sì sì , anche<ee> anche questo l’ho trovato A3_G009: comunque cominciamo a<aa> fare<ee> la descrizione della strada <pb> A3_F010: sì <pb> A3_G011: sì , comunque tu devi fare il giro <pb> A3_F012: <mhmh> <pb> A3_G013: <eeh> attorno a questo uccello , sempre a sinistra <pl> A3_F014: ma dov’è questo uccello ? <pb> A3_G015: quello che si trova <pb> esattamente sopra il punto di partenza <pl> A3_F016: sì ma questo è un uccello ? <pl> #<G017> sì sì sì# A3_G017: #<F016> <eh!> non lo# so infatti A3_F018: sì sì <pb> A3_G019: mi sembra un #<F020> {<risata> uccello }#

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

419

A3_F020: #<G019> sì mi# sembra un uccello <pl> come si chiama ? colibrì ? <pb> A3_G021: sì A3_F022: <mhmh> <pl> ecco <pb> e poi ? <pb> A3_G023: sempre a sinistra A3_F024: sì <pl> A3_G025: sì <pb> dove sei arrivato ? <pl> A3_F026: e+ / alla valle delle rondini <pb> A3_G027: dove ? <pl> A3_F028: valle delle rondini <pl> A3_G029: sì <pb> e poi vicino al fiume <pl> A3_F030: no , non lo trovo questo fiume , dove ? <pl> A3_G031: sì <pb> sempre a sinistra <pb> dopo l’uccello <pb> #<F032> c’è# scritto <pb> fiume A3_F032: #<G031> <mh?># <pl> ma veramente non lo trovo , dove ? <pl> A3_G033: no <pb> si trova sempre a sinistra <ispirazione> un po’ su <pl>

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

420

A3_F034: fiume ? <pb> A3_G035: sì A3_F036: c’è la parola fiume ? <pl> A3_G037: c’è scritta <pl> A3_F038: no no da me non c’è <pl> A3_G039: ma c’è il disegno <pb> del percorso dell’acqua <pl> #<F040> circondato dagli alberi# A3_F040: #<F039> sulle colle ?# <pl> sulle colle ? <pl> A3_G041: no <pl> A3_F042: <mhmh> A3_G043: è un fiume <pb> vero e proprio <pl> A3_F044: d’accordo , continuiamo <pb> A3_G045: continuiamo <inspirazione> appena sei arrivato al fiume #<F046> <pb># tu devi continuare sempre diritto <pl> facendo la / una freccia <pl> di sopra A3_F046: #<G045> <mh># <pl> sopra ? <pb> A3_G047: sì <pl> ci sono delle <pb> barche <pl> A3_F048: sì sì , due barche ? <pb>

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

421

A3_G049: sì A3_F050: sono due , sì ? <pl> d’accordo <pl> A3_G051: e poi <pl> continua <pl> finchè arrivi alla valle limpida <pl> A3_F052: sì sì , questo l’ho trovato veramente #<G053> sì# A3_G053: #<F052> sì# <pl> tu devi fare il giro #<F054> <pl># attorno a questa valle <pl> finchè arrivi al portico <pl> A3_F054: #<G053> <mh># <pl> dove ? <pl> A3_G055: portico <pl> A3_F056: no no non c’è da me questo <pl> A3_G057: comunque tu devi fare il giro attorno a questa valle A3_F058: a sinistra oppure a #<G059>destra ?# A3_G059: #<F058>no# a destra <pl> A3_F060: <mh?> <pl> A3_G061: ci sei arrivato ? <pl> A3_F062: no no <pl> c’è <pl> il viale della verità e le <eeh> <pl> l’altra parte ci sono due barche anche A3_G063: no <P> comunque tu devi continuare , fare il giro attorno alla valle #<F064> <pb># e poi a destra sempre diritto A3_F064: #<G063> <mhmh># <pl> per arrivare dove ?

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

422

<pl> A3_G065: da me c’è scritto portico <pl> A3_F066: da me non c’è questo <pb> A3_G067: <eh!> comunque il disegno diverso <pl> A3_F068: sì è un trucco questo <pb> A3_G069: sì , è un trucco <risata> <pl> A3_F070: allora trovi queste queste due barche , altre due barche ? <pb> A3_G071: sì<ii> A3_F072: sì <pl> io vorrei andare da<aa> ques+ / arrivare a queste barche queste due barche <pl> #<G073> perché mi sono co+# A3_G073: #<F072> sì , appena arrivato# alle barche oppure al portico tu devi <pb> scendere <pb> A3_F074: scendere ? A3_G075: sì , sotto le barche <pb> A3_F076: sì <pl> A3_G077: e poi <pl> a destra <pl> A3_F078: destra ? #<F079> sì#

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

423

<pb> A3_G079: #<G078> sì# <pl> A3_F080: trovi questo ambulante ? <pb> A3_G081: no <pb> c’ho una pasticceria <pb> il Babà <pl> A3_F082: sì , questo è da me allora no+ / non c’è da te<ee> l’ambulante ? <pb> A3_G083: no A3_F084: venditore ambulante A3_G085: no no <pb> non ho ciò <pb> no , l’ambulante c’è <pb> A3_F086: sì <pl> A3_G087: ce l’ho , ma tu hai sbagliato <pl> tu sei andato sempre<ee> diritto nella direzione di sopra finchè arri+ / sei arrivato all’ambulante <pl> A3_F088: sì ma <ii>i+ non ho trovato questo<oo> il come hai detto ? come si chiama l’altro questo ? <pl> A3_G089: portico A3_F090: no no , da me non c’è questo <RUMORE> <pb> #<G091> c’è la pasticceria il Babà# A3_G091: #<F090> no , infatti <pl># cominciamo da sotto <pl> c’è il punto di partenza e poi abbiamo fatto il giro a sinistra attorno a questo uccello <pl> e poi sempre diritto sempre a

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

424

sinistra <pb> #<F092> finchè# siamo arrivati al fiume <pb> oppure alla collina <pl> e poi A3_F092: #<G091> fi+ /# <pl> colle delle ron+ / <P> io<oo> a dir la verità non ho trovato questo fiume io #<G093> <pb> mi sono diretto# alle due barche sì ma<aa> non ho trovato il fiume A3_G093: #<F092> <eh> va bene # <P> comunque <pb> vicino <pb> k+ / si trova a destra a queste ba+ / di queste barche <pb> un / la valle limpida A3_F094: sì questo sì #<G095> da me# A3_G095: #<F094> sì , comunque# noi dobbiamo fare il giro attorno a questa valle sempre a destra <inspirazione> A3_F096: <ah!> per arrivare dove ? <P> #<G097> <raschiamento># A3_G097: a portico #<F096> <pb># un punto che si trova sur+ / sotto l’ambulante <pl> A3_F098: no , da me si chiama il viale della verità A3_G099: <eh> va bene comunque c’è un’altra pasticceria , il Babà #<F100> <pb> a destra# A3_F100: #<G099> <ah!> pasticceria il# Babà , sì A3_G101: sì , comunque questa è la strada <pb> e poi di sopra <pl> A3_F102: sì ma aspetta <RUMORE> <pl> sì A3_G103: poi a sinistra A3_F104: di sopra di che col+ / di sopra di che cosa ? la pasticceria ? A3_G105: sì A3_F106: sì A3_G107: e poi a sinistra fino all’ambulante

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

425

A3_F108: sì #<pl> <RUMORE># ecco poi ? A3_G109: poi sempre a sinistra <pl> A3_F110: <mh> A3_G111: ci sono due a+ / tre alberi <pl> A3_F112: alberi ? A3_G113: sì <pl> #<F114> c’è scritto# abeti <pl> A3_F114: #<G113> a+# <P> come ? A3_G115: abeti <pl> A3_F116: no no no no <pl> A3_G117: che cosa si trova nella tua carta ? A3_F118: sì , dopo l’ambulante c’è uno spazio <pb>#<G119> poi# <pl> sopra c’è un albergo ? A3_G119: #<F118> sì# <pl> sì , va bene #<F120> comunque# dopo l’ambulante tu devi <pb> continuare sempre a sinistra A3_F120: #<G119> sì# <pl> sì <raschiamento> per raggiungere l’albergo , sì ? A3_G121: sì sì <pl> A3_F122: ma c’è qualcosa tra<aa> l’ambulante e l’albergo ? no , da #<G123> me non c’è# A3_G123: #<F122> sì<ii># <pb> ci sono tre alberi A3_F124: no no #<G125> da me non c’è# A3_G125: #<F124> e c’è scritto# abeti <P> comunque A3_F126: ci ha ingannato

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

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<pl> A3_G127: sei arrivato all’albergo ? <pb> A3_F128: sì in albergo sono arrivato A3_G129: <ss>sì , tu devi fare il giro di nuovo #<F130> a destra# A3_F130: #<G129>discoteca ?# A3_G131: sì , c’è discoteca Zazà A3_F132: sì sì <pb> queste due ragazze , ragazzine , sì ? A3_G133: sì <P> <inspirazione> ora siamo arrivati al<ll> alla discoteca <pl> #<F134> vero ?# <pl> A3_F134: #<G133> discoteca ?# #<G135> <pl> Zazà questo# sì A3_G135: #<F134> sì sì# <pl> ora siamo più vicini al punto d’arrivo , tu devi continuare sempre diritto A3_F136: c’è magazzino<oo> ventitrè A3_G137: no , questo no non lo trovo sulla carta mia <pl> A3_F138: magazzino<oo> #<G139> ventitrè# questo <mhmh>

A3_G139: #<F138> no# <inspirazione> <pl> arrivati a

discoteca Zazà siamo pronti ad arrivare al punto d’arrivo

dove ci sono due automobili

A3_F140: sì sì sì <pb> #<G141> ma <ah># A3_G141: #<F140> comunque# <pl> tra la discoteca #<F142> e il punto# d’arrivo non c’è niente

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

427

A3_F142: #<G141> sono# <P> no , da me non c’è un magazzino <P> ma queste due<ee> automobili <pl> <ehm> #<G143> sono<oo># sono i Fiat ? c+ / che col+ / <pl> A3_G143: #<F142> due automobili# <P> no non ci credo che siano un Fiat A3_F144: che colore hanno queste ? <pl> A3_G145: <eh!> non lo so infatti <risata> la carta non è colorata <pl> A3_F146: non è a colori questa #<G147> carta ?# A3_G147: #<F146> no# <pl> non è a colori A3_F148: ma non mi piace questa carta sia+ / <pl> avrebbe dovuto farla in co+ / a colori perché<ee> #<G149> questo# A3_G149: #<F148> sì# per allungare un po’ la conversazione , vero ? <pb> A3_F150: no #<G151> no per / non per allungare# per far chiarire<ee> almeno A3_G151: #<F150> sì , però ma sem+# <pl> <schiocchio di lingua> #<F152> no , mi sembrano# infatti due automobili di colori diversi #<F152> <pb> e quella che si trova# sotto è di colore chiaro <pb> e quella che si trova sopra è di colore oscuro A3_F152: #<G151> mi sono perduto così# <pl> #<G151> no <inspirazione> allora# <P> chi ? A3_G153: le #<F154> due macchine# A3_F154: #<G153> la+ / le aut+# <P> <mhmh> <pb>

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Appendice 5 – i dialoghi: A3

428

A3_G155: sì , siamo arrivati fino alla discoteca Zazà <pb> vero ? <pl> A3_F156: siamo *arrifati fi+ / siamo arrivati fino al punto di arrivo <P> #<G157>ma perché ritorni?# A3_G157: <eh> #<F156>comunque basta#

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

430

C3

ING: sesso M, età 23, luogo di nascita il Cairo, eloquio spontaneo INF: sesso M, età 22, luogo di nascita il Cairo, eloquio spontaneo LOC: il Cairo, Facoltà Al-Alsun, il 20 agosto 2002 DUR: 7.47 minuti. CON: le condizioni della registrazione sono generalmente buone, ma in alcuni turni e nei casi di sovrapposizione dei turni si sente in sottofondo la voce del follower nei momenti di silenzio del giver. Tuttavia, le sovrapposizioni non compromettono le analisi acustiche. Inoltre, il giver si avvicina troppo al microfono. CMT: a volte lo scambio delle occlusive bilabiali sorda e sonora sembra voluto da parte del giver che in generale sa distinguere bene i due foni [p] e [b]. C3_G001: dobbiamo fare come l’altra volta de+ / de+ / de<ee> dobbiamo prima <pb> <eeh> determinare il punto di<ii> partenza e il punto d’arrivo <pl> ci sei stato? <pl> C3_F002: c’è la partenza non trovo l’arrivo , no<oo> no #<G003> dov’è?# C3_G003: #<F002> l’arrivo# vo+ / si trova sopra sopra vicino al lago anomalo <pl>

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

431

C3_F004: sì ho trovato il / questo lago , ma non ho trovato il punto d’arrivo #<G005> ho trovato i+# C3_G005: #<F004> no , c’è# scritto arrivo e c’è sempre<ee> il segno ‘x’ C3_F006: s+ / sì <pl> no no , accanto al lago anomalo questo ? C3_G007: sì sì C3_F008: sì <eeh> C3_G009: <inspirazione> sot+ / tra il lago anomalo e il sottomarino arabo c’è un <eeh> un segno ‘x’ e c’è scritto arrivo <pb> C3_F010: sì sì <pl> C3_G011: l’hai trovato? <pl> C3_F012: da me non c’è<ee> questa parola arrivo , ma io ho <pb> l’ho trovato ho trovato #<G013> il lago e trovato il sottomarino arabo# C3_G013: #<F012> comunque cominciamo il# punto di partenza #<F014> <inspirazione># comincia vicino alla bar di Liolà C3_F014: #<G013> sì# <pl> *cove ? / dove ? C3_G015: il bar di /da Liolà <pl> #<F016> sotto sotto# C3_F016: #<G015> il punti di<ii> partenza# C3_G017: sì sì C3_F018: sì sì <pb> C3_G019: comunque noi dobbiamo fare il g’+ <pb> do+ / d+ / dobbiamo andare giù <pb>

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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C3_F020: giù ? C3_G021: sì C3_F022: sì <pl> #<G023> giardino delle visite ?# C3_G023: #<F022>fino a<aa> <pb># no via splendida <pb> C3_F024: via splendida ? C3_G025: sì C3_F026: no da me non c’è <P> giù ? <pb> C3_G027: sì , quella si trova esattamente sotto <pb> bar da Liolà <pb> C3_F028: Liolà ? <pb> C3_G029: sì <pb> C3_F030: no da / <pb> #<G031> sotto i+# C3_G031: #<F030> tra il# giardino delle visite e il bar di Liolà <pb> però #<F032> sotto un po’ sotto# C3_F032: #<G031> sì <pb># da me non c’è questo<oo> #<G033> quello di cui stai parlando# C3_G033: #<F032> comunque tu devi <pl># comunque dal bar da Liolà tu devi andare #<F034> giù# C3_F034: #<G033> aspetta# aspetta aspetta <pl> io ho trovato il giardino delle visite ma non io non #<G035> ho<oo># C3_G035: #<F034> sì va# bene comunque , ci siamo messi d’accordo che non c’è<ee> nella carta tua via splendida <inspirazione> comunque tu devi cominciare dalla *balr / bar

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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*dio *rola <eh> di<ii> Liolà #<F036> <pb> <inspirazione># sempre giù C3_F036: #<G035> sì e sono# <P> sì <pb> fino al giardino delle visite C3_G037: no <pb> fino alla fine della carta <pl> C3_F038: <mh> e poi ? C3_G039: e poi tu devi girare a destra <pb> C3_F040: <mh> <pb> C3_G041: e fare la <pb> salita <pl> fino al giardino delle visite <pb> C3_F042: no no , questo<oo> non va bene per me perché la mia carta è completamente #<G043> diversa dalla tua# C3_G043: #<F042> no ma tu devi# {[articolando] seguire la #<F044> strada# scritta} #<F044> sulla# mia carta C3_F044: #< G043> sì sì# <pl> #< G043> allora# <pl> in breve in breve adesso io sono <pb> al giardino delle visite <pb> #< G045> continuiamo# C3_G045: #<F044> comunque# <inspirazione> tu devi girare a destra <pb> C3_F046: sì , per arrivare allo stagno ? <pb> C3_G047: no , da me lo stagno non c’è <pl> C3_F048: non hai questo stagno ? C3_G049: no

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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<pb> C3_F050: sì , sarà perché<ee> puzza #<G051> <pl> lo stagno puzza sì <f.vocale># C3_G051: #<F050> sì , una<aa># no<oo> una / un punto mancato <inspirazione> comunque #<F052> <pb> tu devi <pb># camminare sempre sempre a destra #<F052> sempre# diritto C3_F052: #<G051> giardino delle visite# <pl> #<G051> sì# <P> alberi di<ii> <pb> #<G053> sì f+# C3_G053: #<F052> no# prima di arrivare agli alberi di amarene <pb> C3_F054: sì <pl> che cosa c’è ? <pb> C3_G055: no non c’è niente <pb> C3_F056: sì C3_G057: tu non devi mai andare a+ / agli alberi <pl> C3_F058: non<nn> non dovrei andare #<G059> agli alberi# C3_G059: #<F058> <f. vocale> <pb># e questa non è la strada nostra C3_F060: sì , d’accordo allora dove<ee> dovrei andare ? C3_G061: comunque <pb> giardino delle visite <pb> C3_F062: sì , poi ? C3_G063: poi a destra <pb> C3_F064: destra ? C3_G065: un po’ a destra , sì

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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<pb> C3_F066: <mh> C3_G067: e poi <pb> un po’ sopra <pb> C3_F068: <mh> <pl> per #<G069> arrivare# C3_G069: #<F068> fino# alla miniera <pl> C3_F070: miniera ? C3_G071: sì <pl> C3_F072: ma è molto lontana questa miniera #<G073> da me ma ecco ecco , io arrivo# C3_G073: #<F072> <ss># <pb> sì , sei arrivato? <pl> C3_F074: sì , alla miniera sì <pb> C3_G075: sì , poi a sinistra <pb> C3_F076: sì #<G077> ci+# C3_G077: #<F076> c’è# la riserva di <pb> [articolando] cincillà <pl> C3_F078: come ? <pl> C3_G079: sì , la riserva di cincillà <pl> C3_F080: accanto alla miniera ? <pb> C3_G081: sì , a sinistra

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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<pl> C3_F082: a sinistra ? <pb> C3_G083: sì C3_F084: ma non c’è nulla tra la miniera e<ee> riserva di<ii> / questa riserva ? C3_G085: no C3_F086: no , da me <pb> {<risata> tra} la miniera e<ee> la riserva <pb> c’è casa del <eeh> bignè <pl> #<G087> e# C3_G087: #<F086> no# comunque tu hai due riserve sulla carta <pl> C3_F088: due riserve ? C3_G089: sì <pb> C3_F090: no no no C3_G091: la prima si trova a sinistra della miniera #<F092> <pb> e l’altra si trov+# C3_F092: #<G091> no , ne ho soltanto una# <pl> no ne ho soltanto una <pb> C3_G093: dove si trova? <pl> C3_F094: #<G095> sopra s+# C3_G095: #<F094> vicino# al sottomarino arabo C3_F096: sì <pb> C3_G097: comunque , questa non c’entra <pl>

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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C3_F098: allora <pl> accanto alla miniera c’è un leone ? ce l’hai il / questo #<G099> leone ?# C3_G099: #<F098> a# destra C3_F100: sì , e<ee> a sinistra c’è casa del bignè <pb> C3_G101: sì , tra la casa del bignè <pb> e la miniera C3_F102: <mh> <pl> C3_G103: c’è riserva di cincillà C3_F104: no no , da me #<G105> non c’è# C3_G105: #<F104> <eh># se non ce l’hai comunque tu devi / dalla miniera tu devi camminare sempre a sinistra <pl> C3_F106: sì , fino ? <pl> C3_G107: fino alla casa del bignè C3_F108: sì ecco <pl> C3_G109: ci sei stato? C3_F110: sì alla<aa> sì a casa #<G111> questa ci sono arrivato# C3_G111: #<F110> <ss>sì , appena# sei arrivato alla casa del bignè C3_F112: sì C3_G113: tu devi camminare sopra <pl> C3_F114: c’è questa marabù ? <pb> C3_G115: no <pl> non ce l’ho

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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<pl> C3_F116: marabù questo uccello C3_G117: no , non ce l’ho <pb> C3_F118: come u+ / un grù <pb> C3_G119: no C3_F120: no , non ce l’hai ? C3_G121: no C3_F122: allora <f.vocale> <pl> sei tu a fare a fare la descrizione ed io<oo> mi tocca soltanto seguire <pl> C3_G123: sì <pb> siamo arrivati fino alla casa del bignè <pl> C3_F124: sì <pl> #<G125> ci sono# C3_G125: sì <pb> #<F124> e poi# un po’ sopra <pl> C3_F126: <mh> <pl> C3_G127: e poi a destra <pl> C3_F128: <ah!> allora per arrivare C3_G129: al leone <pb> C3_F130: al leone ? <pb> C3_G131: sì <pl> C3_F132: <f.vocale> d’accordo d’accordo

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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<pl> C3_G133: al leone / noi dobbiamo fare il giro #<G134> attorno al leone# C3_F134: #<G133> ma<aa> mi sembra# molto<oo> <pl> #<G135> carino questo leone , sì , molto calmo così# C3_G135: #<F134> devo {<inintelligibile> <risata> no}# non mi sembra #<F136> <inintelligibile> feroce# C3_F136: #<G135> è ammalato# <pl> è ammalato C3_G137: nemmeno feroce C3_F138: forse ammalato <pb> C3_G139: sì <pl> più o meno C3_F140: forse aspetta<aa> la moglie C3_G141: {<risata> no , il cibo} #<F142> <risata># C3_F142: #<G141> la signora leone# C3_G143: Dalia ci ha messo un leone per {<risata> mangiarci} <pb> C3_F144: #<G145> per mangiarci ? <pl> no no no no# C3_G145: #<F144> <risata># per farci paura C3_F146: no no <pl> se lui cerca di mangiarci non<pb> non troverà carne <pb> ossa soltanto C3_G147: ossa soltanto ! C3_F148: a che cosa serve questa ossa ? C3_G149: sì , dal leone tu devi camminare un po’ sopra <pb> fino #<F150> al ristorante mamma mia# C3_F150: #<G149> sì <pb> ristorante anima # <pb> {<risata> anima mia} <pb> C3_G151: mamma mia

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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C3_F152: mamma mia ? C3_G153: sì <pb> C3_F154: no da me è scritta anima mia <pl> #<G155> anima# C3_G155: no <pb> #<F154> mamma# mia C3_F156: cerca di immaginare sì un #<G157> ristorante <pb> <risata> <pb># un ristorante alla grande molto<oo> <pl> molto elegante e si chiama anima mia <pl> #<G157> che bello !# C3_G157: #<F156> no , ma credo che il nome# <pl> no <pl> #<F156> infatti no<oo># <eh> da me / secondo me / credo che la<aahm> la parola ristornate / il nome ristorante mamma mia <inspirazione> #<F158> <pb># sia più conveniente alla situazione #<F158> perché si trova# esattamente dopo il leone C3_F158: #<G157> <mh># <pl> #<G157> sì ma <eh># <pl> <risata> <oh!> mamma mia! allora <inspirazione> tu vedi il leone / allora ti #<G159> dirigi veram+# <pl> #<G159> subito al<ll> al ristorante mamma mia# <pb> #<G159> sì soccorso aiuto sì sì sì , hai ragione# C3_G159: #<F158> <ss>sì# <pb> #<F158> <ss>sempre di+ / <aha> al ristorante mamma mia# sì #<F158> <risata># sì #<F160> arrivati al ristorante mamma mia# C3_F160: #<G159> ma <pb> ma da me è scritta anima# mia <eh> è scritta bene<ee> e molto chiara la parola C3_G161: no , da me c’è scritta più chiara mamma mia <pl> C3_F162: Dalia cerca di<ii> metter male tra di noi #<G163> io {<risata> direi}#

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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C3_G163: #<F162> <eh> sì# <risata> arrivati al ristornate mamma mia #<F164> ci ma+ /# ci manca pochissimo per arrivare al punto d’arrivo <pb> sì C3_F164: #<G163> sì dov+# <pl> lago anomalo ? #<G165> <pb> oppure al sottomarino ?# C3_G165: #<F164> no <ss>s+ /# a <ss>s+ / tra il lago anomalo e tra il sottomarino C3_F166: che cosa c’è ? <pb> C3_G167: c’è il punto d’arrivo <pl> C3_F168: da me<eeh> <pb> c’è uno spazio tra il #<G169> sottomarino e il lago# C3_G169: #<G168> <ss>sì# e questo appunto è il punto da<aa> d’arrivo C3_F170: allora io non non a+<pb> non mi fermo accanto al sottomarino #<G171> e accanto al lago ?# C3_G171: #<F170> <nn>no #<pb> #<F172> né# accanto al lago né accanto al sottomarino #<F172> tra il# lago e sottomarino <inspirazione> #<F172> tu devi# fare una freccia per dire che #<F172> questo è# il punto #<F172> d’arrivo# C3_F172: #<G171> <mh># <pl> #<G171>da+# <pl> #<G171> d’accordo# <pl> #<G171> <mh># <pb> #<G171> l’ho già fatta# questa freccia , sì sì C3_G173: comunque facciamo s+ / subito la revisione della strada nostra #<F174> fatta# dal punto d’arr+ / #<F174> partenza al punto d’arrivo# C3_F174: #<G173> <mh># <P> #<G173>ma<aa> no , a che cosa# serve<ee> #<G175> la revisione ?#

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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C3_G175: #<F174> no , noi dobbiamo# passare per la bar da Liolò <pb> e poi via splendida che tu non ce l’hai C3_F176: sì C3_G177: <inspirazione> e poi #<F178> giardino delle# visite C3_F178: #<G177> al giardino# <pl> o alla miniera <pb> C3_G179: sì C3_F180: casa del bignè <pb> C3_G181: sì <pb> C3_F182: <eeh> al leone C3_G183: sì <pb> C3_F184: al ristorante C3_G185: mamma mia #<F186> <pl> anima mia non lo s+ / <risata># e poi c’è il punto d’arrivo che si trova appunto tra il lago anomalo e il sottomarino arabo C3_F186: #<G185> mamma mia ? mamma tua <pb> mamma tua {<risata> non mamma mia}# <pl> sì grazie grazie <pb> C3_G187: <ss>sì niente

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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APPENDICE 6

LE TU DIRETTIVE IN L1 TRADOTTE IN ITALIANO

L’appendice include la traduzione in italiano delle TU direttive nei dialoghi B1N e B3 prodotte in lingua araba. Si è mirato a fare una traduzione il più possibile fedele ai costrutti riscontrati in arabo per poter allineare le parole italiane alla curva melodica come si vedrà in appendice 8 e per altre limitazioni fonetiche.

Per esempio, B3_G16- TU2: oppure gli alberi di olive ,è stata tradotta all’inizio in oppure gli olivi (و ال شجر الزتون)ma nell’assegnazione degli accenti principali si è rilevata la prominenza maggiore su alberi per cui si è dovuto tradurre il sintagma alla lettera.

A differenza di appendice 8 le TU in arabo non sono divise in TU imperative e non, ma sono esposte tutte secondo l’ordine progressivo dei turni. Perciò, i verbi al tempo presente sono contrassegnati da (presente) quando la coniugazione del verbo non è trasparente come con i verbi della seconda e la terza coniugazione.

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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B1N

B1N_G01 TU1 prendi (presente) la macchina e vai (presente)

verso destra TU2 <eeh> la prendi diritto B1N_G02 vai (presente) diritto B1N_G09 TU1 aspetta, o Muhammed (voce bassa e vocativo

desonorizzato) B1N_G10 no, aspetta perché la mia non è come la tua ,

aspetta B1N_G11 aspetta o muhammed B1N_G12 aspetta perché io così / io così sono confuso B1N_G17 TU2 a sinistra e scendi (presente) giù B1N_G18 scendi giù allora B1N_G22 arrivi agli alberi di banane B1N_G26 e vai (presente) a salire sopra B1N_G27 TU2 una curva di nuovo verso destra B1N_G29 TU1 arrivi al ponte delle zanzare B1N_G30 vai (presente) a fare un segno 'x' sugli alberi

di banane B1N_G33 una curva di nuovo B1N_G44 scendi giù B1N_G48 TU1 mentre tu scendi giù TU2 vai (presente) a fare una curva verso destra TU3 una curva piccola B1N_G52 scrivi gli alberi di banane B1N_G58 e scendi (presente) giù

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Appendice 6 – TU direttive in arabo L1: B1N

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B1N_G59 dopodiché vai (presente) a fare una curva verso destra

B1N_G60 e vai su (presente) diritto B1N_G63 scrivi gli alberi di banane B1N_G64 una curva verso destra B1N_G65 vai su diritto B1N_G66 giri verso destra B1N_G70 TU1 scrivi il ponte delle zanzare TU2 scendi giù un po’ B1N_G71 scendi giù giù B1N_G75 sali sopra B1N_G83 sali sopra B1N_G84 TU1 continui a salire , salire , salire TU2 arrivi fino al parrucchiere per signora B1N_G87 sali sopra un po’ B1N_G88 arrivi a statua ignota B1N_G90 TU1 e vai (presente) a , mentre tu scendi giù.

dopo che tu scendi giù un po’ così TU2 vai (presente) a fare una curva B1N_G91 e vai (presente) a scendere giù di nuovo B1N_G94 arrivi alla valle B1N_G95 e poi continui ad andare più avanti B1N_G96 vai solo un po’ ancora<aa> a si<ii> a de<ee>

a destra B1N_G97 arrivi alla tua fine

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B3 B3_G00 cominciamo ? ('yalla' ?) B3_G01 TU1 scendi (presente) giù un po’ TU2 e poi vai (presente) a destra di nuovo B3_G02 TU2 gira allora attorno a quest’albero di banane B3_G03 TU2 gira attorno all’albero di banane finchè arrivi

fino al ponte delle zanzare B3_G04 TU2 gira attorno all'albero di/ attorno alla statale B3_G04 TU3 bisogna/ TU4 bisogna che la statale, la parola 'statale' stia in

mezzo B3_G05 TU2 attraversa il ponte delle zanzare B3_G06 TU1 scendi allora sotto il ponte delle zanzare così B3_G06 TU2 finché arrivi fino a casa mobile B3_G07 TU2 continuerai a camminare dopo che attraversi

il ponte delle zanzare B3_G08 allora tu caro mio passi sopra il ponte delle

zanzare B3_G09 TU1 vai un po’ allora davanti al ponte delle

zanzare così, finché arrivi alla casa mobile B3_G10 traccia tu la linea B3_G11 gira allora vai su alla caffetteria dei felici B3_G12 andiamo allora ai negozi ‘Meshmesh’ B3_G13 gireremo attorno ai<ii> negozi ‘Meshmesh’

da sotto B3_G14 TU1 sali sopra c’è un parrucchiere per signora ,

meglio B3_G15 TU1 appunto, la strada infatti non va a destra

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TU2 tu <inintelligibile> sali (presente) all’inizio degli alberi di limone

B3_G16 TU1 e poi vai (presente) a andare a stat+ TU2 oppure gli alberi di olive TU3 arrivi fino a statua anonima B3_G17 giri allora attorno e torni a scendere alla valle

dei colombi B3_G18 TU1 gira attorno alla statua come se tu delimitassi

la statua TU2 per arrivare alla via dei colombi B3_G19 TU1 no, no , amico non parliamo di Banha TU2 non parliamo della gente di Banha ,

s’arrabbia B3_G20 TU1 no , basta!

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APPENDICE 7

I CODICI PER LA TRASCRIZIONE SEGMENTALE

In questa tesi, come nel master, è stata adottata la trascrizione X-SAMPA creata appunto per consentire una facile trascrizione con l’ausilio del computer. Il sistema di trascrizione fonetica è stato adottato nell’annotazione del corpus AVIP-API e la tabella seguente è tratta e adattata da SAVY (2002). L’annotazione è stata usata soprattutto nel software d’analisi wavesurfer che racchiude tutti i dati acustici del corpus. Tuttavia, nella presentazione del materiale abbiamo ridotto l’uso di questi simboli ad alcuni grafici ed esempi nel terzo capitolo, mentre nell’appendice dei grafici abbiamo impiegato la trascrizione ortografica per comodità di esposizione e anche per problemi di impaginazione visto che i simboli fonetici richiedono più spazio sul grafico.

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Simbolo X-

SAMPA descrizione corrispettivo

IPAcommento

e/o esempio

p pane per pane b bara per bara B

(*)77 allofono approssimante dell’occlusiva bilabiale

t tana per tana d dado per dado D (*)

allofono approssimante dell’occlusiva dentale

k kane per cane g gatto per gatto ts tsitto per zitto

negOtsjo per negozio

dz dzOna per zona mEddzo per mezzo

tS tSena per cena dZ dZita per gita f fame per fame v vano per vano s sano per sano z zbaLo per

sbaglio S Sena per scena

eSSe per esce

77 I simboli con (*) rappresentano una versione parzialmente diversa da X-SAMPA: si tratta degli allofoni approssimanti delle occlusive bilabiale e dentale [B, D].

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Z allofono fricativo dell’affricata palatale sonora /dZ/

R fricativa uvulare sonora

come in francese Roz per rose (rosa)

m mano per mano n nano per nano

N allofono velare della nasale

allofono condizionato contestualmente (es: banco [baNko])

M allofono labiodentale della nasale

allofono condizionato contestualmente (es: anfora [aMfora])

J Jomo per gnomo baJo per bagno

r rana per rana l lana per lana L Li per gli

maLa per maglia

j jEri per ieri w wOmo per uomo i mite per mite e sera per sera E mEta per meta a rata per rata O mOra per mora o voto per voto u muto per muto

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@ schwa, vocale centrale media

risultato dei fenomeni di centralizzazione vocalica, per esempio in fine di parola (es: casa [kas@]) o per coloritura di /r/ (es: per [pe@], o altro...

C+C consonante geminata

es:vacca [vakka]

V+V per la trascrizione del dittongo ‘discendente’

es: corteo [kortEo]

~ nasalizzato da apporre dopo l’elemento (es: [informattsjo~]

_v sonorizzato da apporre dopo l’elemento es: [komp_vlEto]

_0 desonorizzato da apporre dopo l’elemento es: [kwand_0o]

_j palatalizzato da apporre dopo l’elemento es: [k_jina]

_f fricativizzato da apporre dopo l’elemento es: [vEr_fso]

v\ approssimante labiodentale

es: [div\Ersa]

? colpo di glottide

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INDICE Ringraziamenti 3 Sigle e abbreviazioni 5 Introduzione 7

PREMESSA

FATTORI SOCIALI E STUDI LINGUISTICI 13

0.1. CENNI ALLA SOCIOLINGUISTICA 15 0.1.1. Definizione 15 0.1.2. La variabilità linguistica 16 0.1.2.1. Variazione diastratica 18 0.1.2.2. Variazione diafasica 20 0.1.3. Variabile sociolinguistica e il procedimento d’analisi 21 0.2. DUE REPERTORI LINGUISTICI 23 0.2.1. Repertorio italiano 24 0.2.2. Repertorio arabo 26 0.2.3. Alternanza di codice in varietà arabe e italiane 31 0.3. LINGUA E IMMIGRATI, LINGUA E SOCIETÀ 33 0.3.1. Ruolo della lingua nella comunicazione e nell’inserimento 35

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CAPITOLO 1

APPRENDIMENTO E APPRENDENTI 39 1.1. CARATTERIZZAZIONE DELLA LINGUA SECONDA 40 1.1.1. Terminologia introduttiva 40 1.1.2. Un modello di acquisizione 43 1.1.3. Tipi di apprendimento 46 1.1.3.1. Apprendimento spontaneo 46 1.1.3.1.1. L’apprendente e il contesto di apprendimento spontaneo 48 1.1.3.2. Apprendimento guidato 50 1.1.3.3. Confronto tra i due tipi 50 1.1.3.3.1. Divergenze 50 1.1.3.3.1.1. Il foreigner talk 52 1.1.3.3.2. Somiglianze 54 1.1.4. Caratteristiche delle varietà di apprendimento 55 1.1.4.1. Una descrizione globale 55 1.1.4.2. Sequenze di apprendimento 57 1.1.4.2.1. Acquisizione del sistema verbale 59 1.1.4.2.2. Acquisizione dell’accordo 61 1.1.4.3. Fossilizzazione 62 1.1.4.4. Semplificazione o pidginizzazione? 63 1.2. FATTORI CHE CONDIZIONANO L’APPRENDIMENTO 65 1.2.1. Interrelazione e continuità tra le variabili 65 1.2.2. Prima del contatto con la lingua d’arrivo 68 1.2.2.1. Lingua prima(L1) e transfer 68 1.2.2.2. Livello di scolarizzazione 72 1.2.2.3. Stile 72

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1.2.2.4. Sesso 73 1.2.2.5. Variabili individuali 74 1.2.2.5.1. La motivazione 75 1.2.2.5.2. Personalità dell’apprendente 77 1.2.3. Dopo il contatto con la lingua d’arrivo 79 1.2.3.1. La fascia d’età 80 1.2.3.1.1. Il periodo critico 81 1.2.3.2. L’input 84 1.2.3.3. Le condizioni sociambientali 88 1.2.3.3.1. Tra assimilazione culturale e acquisizione linguistica 90 1.2.3.3.2. Il progetto migratorio 92 1.2.3.3.3. Integrazione vs segregazione 93 1.2.3.3.3.1. Rapporto tra lingua e inserimento lavorativo e sociale 93 1.2.3.3.3.2. Fattori confluenti all’integrazione 94 1.2.3.3.3.3. Elementi dell’integrazione 96 1.2.3.3.4. L’atteggiamento 98 1.2.3.3.5. Scala dei fattori sociambientali 100 1.3. GLI APPRENDENTI EGIZIANI 103 1.3.1. L’immigrazione straniera in Italia 104 1.3.1.1. Generalità statistiche 104 1.3.1.2. Condizioni di vita degli immigrati 106 1.3.1.3. Gli arabi e gli egiziani in Italia 109 1.3.2. L’insegnamento e l’apprendimento dell’italiano in Egitto 113 1.3.2.1. L’insegnamento dell’italiano in Egitto 113 1.3.2.1.1. Istituti privati 114 1.3.2.1.2. A scuola 115

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1.3.2.1.3. All’università 116 1.3.2.2. Gli apprendenti d’italiano in Egitto 117 1.3.2.2.1. Il questionario 118 1.3.2.2.1.1. Scopo e struttura del questionario 118 1.3.2.2.1.2. I dati ricavati dal questionario 120 1.3.2.2.1.2.1. Tra maschi e femmine 123 1.3.2.2.1.2.2. Altri dati non inclusi nella tabella 124 1.3.2.2.1.2.3. I laureati 126 1.3.3. L’italiano degli apprendenti egiziani 127 1.4. L’ACQUISIZIONE FONOLOGICA 132 1.4.1. I fattori che condizionano l’acquisizione fonologica 133 1.4.2. Studi fonetici e fonologici 135 1.4.2.1. Stato dell’arte 135 1.4.2.2. Lo studio del transfer in fonologia 136 1.4.2.2.1. L’analisi contrastiva 136 1.4.2.2.2. Studi prosodici 140 1.4.2.3. Studi fonologici in soggetti arabi 142

CAPITOLO 2 DIVERSI APPROCCI ALL’INTONAZIONE

ITALIANA 149 2.1. MODALITÀ DI ANALISI E DI TRASCRIZIONE INTONATIVA 150 2.1.1. Da Halliday a Lepschy 152 2.1.2. Da Canepari a De Dominicis 153 2.1.3. L’adozione dell’IPO 156 2.1.4. Il sistema ToBI 159

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2.1.4.1. Le categorie fonologiche e la loro annotazione 159 2.1.4.2. Critiche all’approccio e modifiche proposte per l’italiano 162 2.1.4.3. Una trascrizione ‘tipo-ToBI’ 167 2.2. LE FUNZIONI DELL’INTONAZIONE IN ITALIANO 168 2.2.1. Funzioni paralinguistiche 169 2.2.2. Funzioni linguistiche 179 2.2.2.1. Organizzazione del flusso parlato: la scansione intonativa 170 2.2.2.1.1. Criteri di divisione in unità tonali 170 2.2.2.1.2. Il sintagma intermedio 175 2.2.2.1.3. Al di sopra della TU 176 2.2.2.2. Intonazione e struttura informativa 178 2.2.2.3. Intonazione e sintassi 182 2.2.2.4. Intonazione e tipi di frase 186 2.2.2.4.1. Quattro lavori tradizionali 187 2.2.2.4.2. Dalle periferie al centro 191 2.2.2.4.3. I tipi di frase in prospettiva geolinguistica 193 2.2.2.4.3.1. Le interrogative 195 2.2.2.4.3.2. Le dichiarative 203 2.2.2.4.3.3. Le sospensive 203 2.2.2.4.3.4. Le richieste di azione 205 2.2.2.4.3.5. Altri tipi di frase 206 2.2.2.4.4. Il nucleo 208 2.2.2.4.4.1. La posizione del nucleo 210

CAPITOLO 3

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ATTI DIRETTIVI NEL CORPUS 213 3.1. METODO DI ELICITAZIONE E RACCOLTA DEL MATERIALE 214 3.2. I DIRETTIVI NEL CORPUS 218 3.2.1. Sfondo teorico 218 3.2.2. I direttivi nel corpus di controllo 219 3.2.2.1. La morfosintassi dei direttivi in italiano L1 (statistica pilota) 219 3.2.2.2. La morfosintassi dei direttivi negli apprendenti spontanei (AS) 220 3.2.2.3. La morfosintassi dei direttivi negli apprendenti guidati (AG) 224 3.3. CORPUS DELLA TESI 229 3.3.1. I soggetti 231 3.4. L’ANALISI SINTATTICA E PRAGMATICA 233 3.4.1. I dialoghi in arabo 233 3.4.2. I dialoghi in italiano 235 3.5. L’ANALISI FONETICA 239 3.5.1. Cenni segmentali 243 3.5.2. L’analisi prosodica 248 3.5.2.1. Il range 248 3.5.2.2. La divisione in TU 254 3.5.2.2.1. TU in arabo L1 254 3.5.2.2.2. TU in italiano L2 256 3.5.2.2.3. Marche di confine in L1 e L2 261 3.5.2.2.4. Corrispondenza TU – atto direttivo 265 3.5.2.3. Il profilo melodico 267

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3.5.2.3.1. Simboli INTSINT e identificazione dei profili globali 268 3.5.2.3.2. Il contorno globale in L1 e L2 271 3.5.2.4. La porzione finale (la salita di continuazione) 274 3.5.2.4.1. La sospensione in arabo 276 3.5.2.4.2. La sospensione in italiano L2 284 3.5.2.5. L’accentazione 288 3.5.2.5.1. Gli accenti lessicali 288 3.5.2.5.2. Gli accenti nucleari 289 3.5.2.5.2.1. I pattern accentuali riscontrati nel corpus 291 3.5.2.5.2.1.1. Accenti monotonali 291 3.5.2.5.2.1.1.1. L’accento intonativo L* 291 3.5.2.5.2.1.1.2. L’accento intonativo H* 292 3.5.2.5.2.1.2. Gli accenti bitonali 293 3.5.2.5.2.1.2.1. Le discese accentuali 293 3.5.2.5.2.1.2.2. Le salite accentuali 295 3.5.2.5.2.2. Tipi di accenti nel corpus 298 3.5.2.5.2.2.1. Realizzazione fonetica degli accenti principali 300 3.5.2.5.2.3. Portata pragmatica degli accenti intonativi 301 3.5.2.5.2.4. Posizione degli accenti nucleari 313 3.5.2.5.2.5. Distribuzione degli accenti nucleari sugli elementi lessicali 318 3.5.2.6. Tra accenti principali e toni di confine 322 Conclusioni 327

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Bibliografia 337 Appendici 363