L'Intenditore - ELSA Day 2015

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L’ INTENDITORE Edizione Speciale 25 Novembre 2015 LEDITORIALE Dal 25 al 27 Settembre a New York nel corso dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sono stati pre- sentati gli Obiettivi di Sviluppo So- stenibile da raggiungere entro il 2030, col proposito di coinvolgere tutti i Paesi nel tentativo di rendere il mondo un posto migliore. Nella lunga lista, al quinto posto, subito dopo l’eliminazione della povertà, della fame, della salute e dell’educa- zione, si trova quella che in gergo viene definita «Equality gender». Più precisamente è riportato nel documento: «Raggiungere l’ugua- glianza di genere e l’empowerment delle donne e delle ragazze in tutto il mondo», argomento di cui ormai si parla da anni. Non a caso leggendo i giornali, guardando la tv, ci si accorge senza troppa fatica che ancora oggi ven- gono perseguite discriminazioni verso il genere femminile. E con uno sguardo al passato la situazione diventa ancora più chiara, perché fondamentali. Così, in occasione dell’ELSA Day, dedicato proprio all’Equality Gen- der, abbiamo cercato di capirne qualcosa in più, regalando a Voi soci il frutto di questo lavoro, rac- chiuso in un numero speciale de «L’Intenditore». All’interno troverete numerosi contributi che vanno dalle “Donne nella magistratura” ai “padri in condizioni di povertà dopo il di- vorzio o la separazione”, passando per quello che è un breve lavoro comparatistico sulla condizione della donna nei vari Paesi. Un tentativo il nostro, che con il solito spirito che ci contraddistin- gue e senza presunzione alcuna, non vuole insegnare nulla a nessu- no, ma si propone come un viag- gio nel complesso mondo dell’u- guaglianza, per capirne forse qual- cosa in più. Buona lettura! Luca Sicignano Director Internal Management ELSA Roma mentre con gli occhi di oggi sembra una data lontana, sono passati solo settant’anni da quando in Italia le donne hanno acquisito per la prima volta il diritto di voto; e ne sono passati ancora meno dall’epoca in cui le donne erano un argomento a parte sui giornali, come lo sport o il cinema. Certo, di strada ne è stata fatta ma senza ombra di dubbio ce n’è ancora da fare, ed oggi come non mai appare opportuno e neces- sario sradicare ogni forma di disu- guaglianza, sia nella sfera privata che in quella pubblica. Ma si tratta di un’utopia o di una possibile realtà? La risposta a questa domanda non può essere scontata, perché essa sarà inevitabilmente condizionata dal modo in cui la società riuscirà a con- frontarsi e a rispondere a due diver- se esigenze: da un lato infatti ci sono i limiti da porre a se stessa per evita- re l’uguaglianza a tutti i costi, e dall’altro affrontare quelle che sono- le concrete condizioni della donna nei vari Paesi, per garantire in primo luogo il rispetto dei diritti umani

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Edizione speciale del magazine di ELSA Roma dedicato al tema dell'Equality gender.

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L’ INTENDITORE Edizione Speciale 25 Novembre 2015

L’EDITORIALE

Dal 25 al 27 Settembre a New York

nel corso dell’Assemblea Generale

delle Nazioni Unite sono stati pre-

sentati gli Obiettivi di Sviluppo So-

stenibile da raggiungere entro il

2030, col proposito di coinvolgere

tutti i Paesi nel tentativo di rendere

il mondo un posto migliore. Nella

lunga lista, al quinto posto, subito

dopo l’eliminazione della povertà,

della fame, della salute e dell’educa-

zione, si trova quella che in gergo

viene definita «Equality gender».

Più precisamente è riportato nel

documento: «Raggiungere l’ugua-

glianza di genere e l’empowerment

delle donne e delle ragazze in tutto

il mondo», argomento di cui ormai

si parla da anni.

Non a caso leggendo i giornali,

guardando la tv, ci si accorge senza

troppa fatica che ancora oggi ven-

gono perseguite discriminazioni

verso il genere femminile. E con

uno sguardo al passato la situazione

diventa ancora più chiara, perché

fondamentali. Così, in occasione dell’ELSA Day, dedicato proprio all’Equality Gen-der, abbiamo cercato di capirne qualcosa in più, regalando a Voi soci il frutto di questo lavoro, rac-chiuso in un numero speciale de «L’Intenditore». All’interno troverete numerosi contributi che vanno dalle “Donne nella magistratura” ai “padri in condizioni di povertà dopo il di-vorzio o la separazione”, passando per quello che è un breve lavoro comparatistico sulla condizione della donna nei vari Paesi. Un tentativo il nostro, che con il solito spirito che ci contraddistin-gue e senza presunzione alcuna, non vuole insegnare nulla a nessu-no, ma si propone come un viag-gio nel complesso mondo dell’u-guaglianza, per capirne forse qual-cosa in più.

Buona lettura!

Luca Sicignano Director Internal Management ELSA Roma

mentre con gli occhi di oggi sembra una data lontana, sono passati solo settant’anni da quando in Italia le donne hanno acquisito per la prima volta il diritto di voto; e ne sono passati ancora meno dall’epoca in cui le donne erano un argomento a parte sui giornali, come lo sport o il cinema. Certo, di strada ne è stata fatta ma senza ombra di dubbio ce n’è ancora da fare, ed oggi come non mai appare opportuno e neces-sario sradicare ogni forma di disu-guaglianza, sia nella sfera privata che in quella pubblica. Ma si tratta di un’utopia o di una

possibile realtà?

La risposta a questa domanda non può essere scontata, perché essa sarà inevitabilmente condizionata dal modo in cui la società riuscirà a con-frontarsi e a rispondere a due diver-se esigenze: da un lato infatti ci sono i limiti da porre a se stessa per evita-re l’uguaglianza a tutti i costi, e dall’altro affrontare quelle che sono-le concrete condizioni della donna nei vari Paesi, per garantire in primo luogo il rispetto dei diritti umani

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Il congedo parentale: profili discriminatori tra uomo e donna

Nonostante alcuni, per quanto timidi, tentativi di riequilibrio di genere nei carichi di cura familiare operati per mezzo della cd. riforma Fornero del 2012 – l. n. 92/2012, che ha introdotto una forma di “mini-congedo” di pater-nità obbligatorio – l’impianto della normativa italiana relativa gli interventi di work-life balance resta concentrato sulla tutela della maternità, quale stru-mento di protezione dell’occupazione femminile. Il modello italiano, in altre parole, è ancora un classic male-bradwinner model, nel quale il sostegno ai tassi di occupazione femminile è legato a misu-re di tutela della lavoratrici madri (e non anche dei padri o, in generale, dei genitori), cui si affiancano, al più, stru-menti per favorire (questa volta senza distinzione di genere) le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di la-voro. Così è anche per i più recenti interventi in tema – oltre alla ricordata l. n. 92/2012, il d.lgs. n. 80/2015, di attua-zione del Jobs Act (l. n. 183/2014) – in cui il legislatore persegue l’obiettivo classico della tutela della maternità, senza l’introduzione, invece, di misure specifiche per il riequilibrio di genere nei carichi di cura, in assenza delle qua-li appare difficile immaginare un rilan-cio occupazionale che passi (anche) per l’innalzamento dei tassi di occupazione femminile o per l’incremento del tasso di permanenza delle donne nel mercato del lavoro. Anche a seguito del d.lgs. n. 80/2015, dunque, si conferma un assetto di ga-ranzia incentrato su un periodo obbli-gatorio di astensione dal lavoro, coinci-

ne dei congedi, questi restano destinati principalmente alle lavoratrici, alle quali troppo spesso è chiesto di restare a lungo lontane dal mercato del lavoro, con ripercussioni negative sia sulle competenze delle stesse lavoratrici, e alimentando fattori di discriminazione. Alla luce di quanto sinteticamente so-pra evidenziato, dunque, è evidente che, nonostante debba riconoscersi la positività degli strumenti legislativi da ultimo implementati in termini di gene-ralizzazione delle tutele (e, in special modo dell’indennità di maternità) e di flessibilizzazione delle modalità di go-dimento dei permessi connessi alla genitorialità, occorrerà ancora lavorare soprattutto sugli aspetti culturali per favorire un giusto riequilibrio delle responsabilità di cura all’interno del nucleo familiare, rischiando altrimenti di alimentare nuovi fenomeni di segre-gazione verticale e orizzontale, cui troppo spesso sono soggette le lavora-trici. Emilio Rocchini Professore di Diritto del lavoro Università Link Campus di Roma

dente con il periodo immediatamente precedente e successivo al parto, riser-vato alla donna e fruibile solo in via condizionata dal padre (in caso di og-gettiva impossibilità della madre); cui si affianca un ulteriore periodo ricono-sciuto a richiesta e destinato ad entram-bi i genitori, rappresentato dal congedo parentale vero e proprio, fruibile, ora, sino al compimento del dodicesimo anno di vita del bambino ed eventual-mente anche nella forma del congedo orario. Manca, invece, un significativo periodo di congedo di paternità obbligatorio (fatta eccezione per il “giorno di vacan-za” imposto dalla Legge Fornero); manca cioè un intervento che sia in primo luogo “culturale”, che favorisca lì’evoluzione dei comportamenti della popolazione, eventualmente, anche per mezzo di un mix di incentivi (in termini di indennità di paternità o di amplia-mento dei periodi di astensione ricon-sociuti) e prescrizioni (in termini di diritto/dovere di astensione). Il risultato è che, sebbene la legislazione consenta oggi forme di flessibilizzazio-

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Nelle memorie difensive, così come nelle sentenze che abbiano ad og-getto le violenze “di gene-re” (comprendenti qualunque forma di violenza in danno alle donne, in ragione del sesso cui appartengono e del ruolo che ricoprono) è spesso possibile scorgere delle espressioni che talvolta necessitano un’opera di approfondimento culturale sul te-ma. A fronte dei vari interventi legi-slativi adottati nel corso degli anni volti a fornire ulteriori strumenti di tutela - dalla legge contro la violen-za sessuale del 1997, passando per il disegno di legge 2169 del 2007 posi-tivizzato nel 2009, finendo con la legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Istanbul – resta la difficoltà, da parte dei giudici, ad assumere una posizione di garanzia nei confronti di questa specifica forma di violenza. Anche soltanto facendo riferimento al linguaggio, è possibile scorgere un deficit di com-prensione della radicalizzazione del problema: troppo spesso vengono utilizzate espressioni come “liti in famiglia” o “crisi di coppia” per significare quella che, al contrario, è una violenza vera e propria e che nulla ha a che vedere con gelosia o affetto, e quindi una relazione “sana”. Ripercorrendo brevemente le cro-nache giudiziarie in materia di vio-lenza di genere, e in particolare di

violenza domestica, diversi sono gli stereotipi in cui spesso si cade: quel-lo per cui chi esercita la violenza è un soggetto debole o emarginato; l’altro secondo il quale la donna che denuncia il marito violento, sot-traendogli la possibilità di vedere il figlio sia una cattiva madre; la con-vinzione per cui sia la donna a pro-vocare le violenze maschili; la pre-sunta instabilità psicologica di chi denuncia; una donna istruita e af-fermata professionalmente non possa subire violenze. Quanto affer-mato trova conferma nella trascri-zione della difesa o dell’escussione dell’imputato, finanche nelle moti-vazioni delle sentenze. Bastino po-chi esempi per ciascuna delle ipote-si: il Tribunale di Roma, nella sen-tenza n. 12346 del 2013, afferma che “la ricostruzione della persona offesa appare disattesa dal quadro delineato dai testimoni dell’imputa-to, i suoi amici e colleghi di lavoro, i quali hanno descritto un bravo e stimato medico, mai osservato ubriaco o alticcio sul luogo di lavo-ro ovvero una persona normale mai vista avere atteggiamenti di violenza fisica verbale contro chiunque e tanto meno verso la moglie. I fatti di violenza e di ingiurie descritti dalla persona offesa appaiono inve-ro costituire una reazione giustifica-ta dallo stato d’ira generatosi a se-guito delle offese ricevute nel corso

dei litigi che, in relazione alle lesioni cagionate, dunque fanno ritenere insussistente l’attenuante di cui all’articolo 62 n.2 codice penale.” Nelle ipotesi relative all’esercizio della violenza in presenza di minori, si è registrato2 da parte degli opera-tori sociali, pubblici ufficiali o inca-ricati di pubblico servizio una forte tendenza a ricordare alla donna che presenta la denuncia le sue respon-sabilità di madre, fino a giungere a richiedere al Tribunale per i mino-renni provvedimenti volti a togliere la responsabilità genitoriale ad en-trambi i genitori. Le madri vengono poi condannate per aver sottratto i figli alla potestà di un padre violento perché rara-mente viene loro riconosciuto di aver agito nell’adempimento di un dovere ex art. 51 c.p. o in stato di necessità ex art.54 c.p.: “la donna ha indubbiamente sottratto la bam-bina al padre e la situazione di ten-sione esistente tra i genitori non elimina l’antigiuridicità del fatto”. Spesso, poi, ricorrono gli stereotipi per cui è la donna ad aver provoca-to la violenza maschile (“l’elevata conflittualità tra i coniugi non di-mostra affatto che si sia stata con-dotta unilaterale dell’imputato volta ad infliggere in via continuativa violenze fisiche e psicologiche (…). Non è trascurabile la circostanza riferita dalla persona offesa di aver

Donne e stereotipi nei procedimenti penali

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noramica dimostri come la presen-za di un soggetto femminile nell’ambito processuale italiano venga declinato con una visione culturale ormai vecchia e poco atti-nente al caso oggettivamente consi-derato, bisogna insistere per pro-muovere nei giudizi una visione che tuteli la donna come individuo e non come soggetto di genere valu-tato con stereotipi generati da luo-ghi comuni, spesso di natura sessi-sta. Giorgia Felici Socia ELSA Roma

della donna che nonostante le an-gherie subite si ostina a mantenere instaurata tale relazione e dall’arro-ganza dell’indagato che in un’alter-nanza di violenze e sentimento non esita a tener legata a sé la donna”. In ultimo, spesso alla donna viene data (maggiore) credibilità solo se e nella misura in cui si dimostri re-missiva e sofferente, non mancan-do quasi mai di sottolineare l’assen-za di “astio o rivalsa o peggio anco-ra vendetta nei confronti dell’impu-tato” e la “personalità docile ed equilibrata” della donna. Nonostante questa brevissima pa-

avuto un mancamento alla sola vi-sta del marito dopo aver notato la presenza dell’uomo all’uscita dell’o-spedale: tale circostanza infatti av-valora la tendenza della donna a porsi nella condizione di procurarsi delle lesioni”)oppure che le ha subi-te in ragione di una sua perseveran-za nel mantenere un rapporto senti-mentale patologico, come si evince dalle parole contenute in una richie-sta di archiviazione del tribunale penale di Roma: “nel caso di specie sussiste un pluriennale rapporto sentimentale che può definirsi pato-logico caratterizzato dalla debolezza

Consideriamo due fattori e vedia-mo qual è il prodotto della loro interazione: ex art. 5 comma 6 L. 898/1970 ( come modificato dall’art. 10 della L. 74/ 1978) l’asse-gno di divorzio deve tendere a rico-stituire il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio consideran-do le potenzialità economiche dei coniugi (Cass. Civ. nn. 2626/06, 18547/06, 23071/05). Non ha quindi rilevanza lo stile di vita go-duto in costanza di matrimonio, stile di vita che può essere modesto o caratterizzato da eccessi per libera e concordata scelta dei coniugi, bensì bisogna considerare “Lo stan-dard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risor-se economiche della coppia.” Consideriamo ora il secondo fatto-re: con il divorzio (ma ancor prima con la separazione) raddoppiano i costi: doppio affitto o mutuo, dop-pie bollette, doppie automobili, ecc.. Risultato? Specialmente se è solo uno dei coniugi a percepire uno stipendio, il risultato sarà l'incre-mento di quell'esercito dei c.d. "Nuovi poveri" costituito da padri separati e divorziati. Con l'intento di prevenire quegli squilibri reddi-tuali causati dalla separazione, l'ap-plicazione della legge finisce così per sortire esattamente l'effetto contrario: donne, solitamente parti economicamente più deboli, diven-tano esclusive titolari di diritti e gli uomini, in genere parti più forti,

portatori di soli doveri. Senza di-menticare la battaglia portata avanti da molte mogli per ottenere il pro-prio diritto al mantenimento, dram-ma speculare a quello preso qui in esame, vogliamo ora evidenziare come l’applicazione aprioristica della norma finisca per penalizzare il soggetto obbligato al manteni-mento e non risponda all’esigenza prima della legge suddetta, quella di garantire ad entrambi le parti lo stesso tenore di vita goduto in co-stanza di matrimonio. Questo è quello che già nel 2006 la giurispru-denza di legittimità aveva affermato con una prima sentenza: “..Il giudi-ce di merito, una volta accertato il tenore di vita dei coniugi durante il

matrimonio, deve anche indagare se ciascun coniuge possa mantenerlo indipendentemente dalla percezione dell’assegno e, laddove la risposta sia negativa, deve necessariamente valutare i mezzi economici che cia-scun coniuge abbia in concreto a disposizione” (Cass. nn.13592/06). Non più un’avulsa applicazione della legge, il tentativo aprioristico di garantire lo stesso tenore di vita goduto prima della separazione, ma la consapevolezza che per quantifi-care l’assegno divorzile sia necessa-ria la valutazione dei redditi di en-trambi i coniugi per poi capire se sia possibile garantire, ad entrambi, lo stesso tenore di vita. Non stupirà se, al termine di questi

Le condizioni economiche dei padri a seguito di separazione e divorzio

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Si, lo voglio… da maggiorenne

accertamenti, la soluzione più equa sarà spesso costituita dal ridimen-sionamento delle esigenze di tutti. Queste valutazioni, rese necessarie da un’emergenza sociale ( i dati della Caritas sono drammaticamen-te allarmanti: il 66,1% dei separati non riesce acquistare beni di prima necessità) sono andate via via con-solidandosi fino ad essere confer-mate in una pronuncia della Corte Costituzionale. La Corte, in occa-sione del rigetto della questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Firenze proprio in relazione all’art. 5 comma 6° della legge n. 989/1970, l’11 febbraio 2015 ha affermato che il tenore di vita go-duto durante il matrimonio non è l’unico criterio di valutazione dell’assegno divorzile. L’art. 5 della legge citata contiene un elenco di fattori che devono essere presi in considerazione dal giudice di meri-to per valutare l’an e il quantum dell’assegno divorzile; durata del

matrimonio, ragioni della separazio-ne, contributo economico offerto da ciascun coniuge durante il coniu-gio sono solo alcuni di essi. Ma tutto ciò non basta. Le consa-pevolezze maturate nelle camere dei tribunali e le conseguenti solu-zioni interpretative offerte costitui-scono senza dubbio una mano tesa in aiuto dei padri separati ma le file

davanti la Caritas diventano sempre più lunghe e la necessità di un inter-vento immediato sempre più pressante. Nascono così “La casa dei papà” e “Il condominio dei pa-pà”a Roma o “La casa di Elia” a Grosseto, la più recente struttura destinata ai padri separati dotata di bagni personali e doppi letti per ospitare anche i figli, garantendo così il diritto alla bigenitorialità. Lontane dal rappresentare la cura definitiva, queste strutture sono solo un palliativo per un male vis-suto da alcune famiglie, male chia-mato “Povertà”. Carolina Proietti Socia ELSA Roma

Con gli occhi fissi nel vuoto a cer-care un futuro non ancora sognato, ad immaginare un sogno non anco-ra individuato, Jasmine nel suo ve-stito di sposa bambina, siede rigida sui tappeti delle feste, accanto al suo vecchio sposo e attende, che si svolga la cerimonia del suo matri-monio. Come Jasmine circa 127 milioni di bambine, secondo le sti-me riportate dall’Unicef, ripetono questo triste rituale:39milioni in Africa meridionale, 32 in Asia meri-

dello sposo con una dote, per que-sto i matrimoni precoci sono prefe-riti dai genitori delle bambine, an-che se c’è spesso, la strana convin-zione che questa scelta possa pre-servarle da possibili violenze o abu-si sessuali da parte di altri uomini e possa garantire loro un futuro mi-gliore e più sicuro. Le conseguenze sono gravissime sotto diversi punti di vista: fisico, epidemiologico, so-ciale e psicologico. Conseguenze al livello fisico in quanto si incoraggia l’attività sessuale in un’età in cui i corpi delle ragazze si stanno ancora sviluppando e in cui esse non sono fisicamente o emotivamente pronte a partorire. In Italia le ragazze a 14 anni vanno dal pediatra, in alcune parti del mondo vanno in materni-tà. Le spose bambine affrontano il più alto rischio di morte durante il parto, anche per la scarsissima igie-ne dei luoghi in cui si apprestano a partorire. Dal punto di vista sociale è estremamente difficile per le spo-se bambine far valere i propri desi-deri e bisogni ai mariti, molto più anziani, in particolare quando si tratta di decidere pratiche sessuali

dionale, 25 in America Latina e nei Caraibi, 19 in Asia e addirittura 12milioni anche in Europa. Un’in-fanzia senza spensieratezza, in da subito piena di responsabilità e pro-blemi. Nei paesi più poveri le figlie femmi-ne sono considerate come un vero e proprio peso per il bilancio fami-liare. Solo bocche in più da sfama-re. Quando le bambine vengono cedute come spose in giovane età esse vengono pagate dalla famiglia

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sicure a mantenere un controllo delle nascite. Dal punto di vista psicologico le conseguenze sono molteplici: la paura di non essere accettate, la tristezza interiore e altri gravi stati di shock emotivo come insonnia, inappetenza, amorrea, pensieri suicidari. Queste bambine sono le spose più tristi al mondo. Come tutte sognano spensierate il principe azzurro ma finiscono nelle grinfie di un marito vecchio e non voluto. Il matrimonio precoce spesso signi-fica anche la fine dell’istruzione per le ragazze. L’abbandono scolastico femminile è infatti strettamente connesso ai matrimoni infantili, che negano alle bambine il diritto all’i-struzione di cui hanno bisogno per il loro sviluppo personale e cultura-le. Alle ragazze sposate che deside-rano continuare a studiare è pratica-mente e legalmente negata la possi-bilità di farlo. Il matrimonio infanti-le è un grave ostacolo al progresso. Nei paesi poveri il 60% delle ragaz-ze non ha avuto istruzione. Vorrei qui ricordare le parole della giovanissima premio Nobel per la Pace Malala nel discorso del Di-cembre 2014: «Chiediamo ai leader del mondo di unirsi a fare dell’istru-zione la priorità numero uno […]

lasciateci ingaggiare una lotta con-tro l’analfabetismo, la povertà e il terrorismo e lasciateci prendere in mano libri e penne. Queste sono le armi più potenti. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mon-do». Infatti, solo attraverso una capillare istruzione si potrà far capi-re che il matrimonio precoce è una grave violazione dei diritti umani che colpisce i diritti dei bambini e delle donne e mette a rischio la loro salute. L’istruzione porta l’ugua-glianza e la possibilità di vivere libe-re dalla violenza e dallo sfruttamen-to. Diritti questi, sanciti nella Di-chiarazione universale dei diritti umani, all’art 26comma1 «ogni indi-viduo ha diritto all’istruzione. L’i-struzione deve essere gratuita fino alle classi fondamentali. L’istruzio-ne deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana». L’istruzione riuscirà a far capire che il matrimonio è un istituto giuridico ben diverso dall’abuso che avviene con il dare in moglie per denaro una bambina ad un uomo più che maggiorenne, senza che ella abbia le possibilità di esprimere i suoi sentimenti, le sue speranze ed i suoi desideri. Nel mondo la maggior parte dei

paesi ha promulgato leggi per l’età minima legale per contrarre matri-monio ma, spesso, non vengono applicate. Nei villaggi dei paesi più poveri prevalgono infatti le usanze locali. Le leggi da sole quindi non metteranno fine ai matrimoni in-fantili perché se questa pratica ri-mane radicata nella tradizione colo-ro che ne sono coinvolti sono spes-so anche inconsapevoli delle conse-guenze, della portata e dell’impatto negativo che ha questa pratica. Cosa si può fare? Bisogna rendere consapevoli le istituzioni ma anche la società civile, le persone. Occorre una minuziosa campagna di infor-mazione sui danni di una simile pratica insensata che è una grave violazione dei diritti dell’infanzia, che genera violenza su soggetti che non possono difendersi. Le spose bambine possono essere difese solo congiuntamente da associazioni, organismi e Stati che difendono la libertà dell’individuo. Libertà è an-che il diritto di sognare il proprio matrimonio, il giorno più bello del-la vita di una ragazza che possa guardare il proprio partner e dire “Sì, lo voglio”, con un gran sorriso. Camilla Mendola Socia ELSA Roma

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Essere un uomo o una donna non è un dato neutro. E’l’unico dato, ori-ginario, con cui facciamo i conti da quando nasciamo a quando moria-mo. Anzi, che ci portiamo oltre, anche nella memoria altrui. L’essere stati alti, grassi, laici, bruni, noiosi, neri, coraggiosi, arroganti, omosessuali, sposati, venduti fini-sce con il nostro corpo. Quel che resta, imperituro, è il no-stro nome al maschile o al femmini-le. Appartenere ad un genere segna la storia di una vita, di un progetto, di un modo di essere, di un’aspettativa sociale, di un ingabbiamento cultu-rale, di un destino familiare.

Il celeste è dei maschi, il rosa è delle femmine. E’così e basta. Nessuna speranza di cambiamento. Il sistema simbolico, fatto di regole e tradizioni, deve prevalere sul gu-sto personale per i colori e sulla costruzione di un’identità libera. L’individuo fa retrocedere i propri desideri e resta prigioniero, senza sapere neanche perché, del guinza-glio costruitogli da altri, per altri. Attraversare le strade della propria città per andare a scuola, da picco-lissimi, e ritrovare i nomi del pro-prio genere scritti sul travertino bianco nei muri trasmette modelli. Se sei un bimbo leggi ogni giorno che ti aspettano grandi imprese, grandi scoperte, grandi viaggi e grandi rivoluzioni. E’un’operazione culturale e politica, sottile e conti-nua, quella di stabilire i criteri della celebrità. Se sei una bimba la toponomastica

della tua città ti suggerirà di diven-tare Martire o Regina, altrimenti non esisterai, perché altre tracce di te, del tuo genere, non ci sono. Il genere femminile non si nomina e non si rappresenta. E ciò che non si nomina e non si rappresenta non esiste, anche se c’è. A partire dai nomi delle nostre piazze, delle nostre scuole, delle nostre caserme, dei nostri monu-menti, delle nostre aule. Tutto è volto al maschile da quan-do nasciamo perché il maschile si nomina ed è onnicomprensivo per-ché include il femminile. Il femmi-nile vale per quello che è, non com-prende altro. E la lingua, lungi dall’essere neutrale, manifesta un

rapporto di potere, esprime ed in-fluenza significativamente i sistemi simbolici di chi parla. Tutto questo intride ognuna delle filature e delle pieghe della nostra toga. Se l’appartenenza a un genere ha una ricaduta immediata, anche in-consapevole, su ogni atto del no-stro esistere, non puo’di certo es-serne estraneo il momento della valutazione, dell’interpretazione, del giudizio che invece né è coinvolto, avvolto e travolto. Nell’ambito giuridico ed istituzio-nale; nell’esercizio della funzione giudiziaria che si connota costitu-zionalmente per imparzialità, terzie-tà ed indipendenza, e nella ricono-scibilità esterna dell’operato della magistratura ammettere che essere uomini o donne gioca un ruolo nelle decisioni che assumiamo è ritenuto un pericolo capace di de-

stabilizzare il senso stesso dello ius dicere. E’un tema complesso, scivoloso, scomodo, denso di contraddizioni e ricadute, pericoloso, rispetto al qua-le uno solo è stato l’atteggiamento fino ad ora assunto da gran parte della magistratura italiana: la rimo-zione culturale, collettiva ed indivi-duale. Ma questa magistratura, quella che si trova davanti alla sfida epocale dei diritti del nuovo millennio non puo’usare la benda della giustizia per la paura di guardare dentro sè. E dentro sé, con una ricerca tanto impietosa quanto coraggiosa, trove-rà quello che solo apparentemente resta fuori dalle aule di giustizia: - i modelli familiari in cui ogni don-na dedica 36 ore la settimana ai lavori domestici, mentre gli uomini non vanno oltre le 14 (così rappor-to OCSE 2013); - il silenzio dei libri di scuola e dei progetti educativi sul valore delle donne; -lo stereotipo femminile e maschile, immediatamente leggibile e rassicu-rante per il pubblico-consumatore, offerto quotidianamente dalla pub-blicità e dai mass media; -l’identificazione nel linguaggio del femminile con il maschile, contro ogni regola linguistica; -il conio di nuovi termini, come il femminicidio, indispendabili per descrivere una categoria in cui la violenza maschile sulle donne, nelle sue forme più estreme, nasce in un contesto strutturale (e non estempo-raneo o emergenziale) di discrimi-nazione di genere, trasversale ad ogni cultura e ad ogni censo; -l’assenza imbarazzante dai luoghi di effettivo esercizio del potere e di rappresentanza (nel report del World Economic Forum sul Gen-der Gap l’ Italia si conferma in una posizione bassa della classifica ge-nerale, collocandosi al 69esimo po-sto sui 142 Paesi), a cominciare dal Consiglio Superiore della Magistra-tura. Insomma chi entra in un’aula di giustizia, sia che indossi una toga, sia che abbia le manette ai polsi,

Il Giudizio e il genere

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è figlio/figlia di tutto questo. Il pre-giudizio di genere, e con esso gli stereotipi che lo rendono sempre più granitico, ognuno di noi lo beve dal giorno della propria nascita e troppo spesso non lo sa. Non lo vede. Celeste e rosa.Per arrivare al traguardo difficile, sofferto e dovu-to dell’imparzialità della giurisdizio-ne, unico a consentire di ottenere un giudizio che si possa definire tale, è necessario riconoscere e su-perare il pregiudizio di genere che è radicato in ognuno di noi, uomini e donne di questa magistratura in quanto uomini e donne di questo Paese. Essere consapevoli di essere vittime del pregiudizio di genere non vuol dire essere parziali, ma vuol dire essere consapevoli del proprio limi-te umano dell’appartenere ad un contesto sociale, culturale, econo-mico, religioso, familiare, geografi-co nel quale il pregiudizio è radicato come un’erba infestante e che costi-tuisce il retroterra con il quale cia-scuno di noi entra in magistratura e che la toga, solo indossandola, non puo’ eliminare. L’imparzialità non è la neutralità rispetto alla vita, rispetto alle cose, rispetto alle scelte e men che meno rispetto alle parti processuali, ma è un percorso culturale complesso che richiede cultura, scavo, studio e decostruzione del pregiudizio di genere che si annida in ognuno di noi. E’ lo sforzo quotidiano di in-dossare le lenti di genere e non dare

un maltrattamento restano spesso immobilizzate dal terrore. E non c’è mai nessuno accanto a testimo-niare. Non urlano. Non scappano. Restano inchiodate davanti a mil-lenni di silenziosa accettazione del sopruso, come è stato loro insegna-to da sempre. Con il rosa dei nostri fiocchi, con le sante delle nostre piazze, con il silenzio dei nostri libri e della nostra lingua. Io invece lo so, le mie colleghe lo sanno perché è un terzo della po-polazione femminile ad avere subi-to nella vita atti di violenza fisica o morale. La presenza delle donne nell’inter-pretazione e nelle sentenze, vietata in Italia sino a 50 anni fa, ha porta-to una consapevolezza che non c’era, uno sguardo di genere senza il quale la risposta di giustizia ri-schia di diventare cieca davanti alla realtà. Paola Di Nicola Giudice del Tribunale Penale di Roma

nulla per scontato di quello che accade intorno a noi, di chi abbia-mo davanti a noi. Quelle lenti di genere che non ha indossato in un processo per stupro il collegio di una Corte di Appello quando solo due anni fa, dopo ave-re ritenuto attendibile il racconto di una donna che era stata costretta a masturbare un uomo, annullava la sentenza di condanna scrivendo che “non può tuttavia escludersi più di un ragionevole dubbio circa la esatta per-cezione, da parte dell’imputato, di un chiaro ed inequivocabile dissenso della donna dinnanzi alla sua condotta di ap-proccio sessuale, non caratterizzata da modalità costrittive o minacciose e neppure tali da poter essere qualificate come subdo-le, inaspettate e veloci…. Sebbene un comportamento sostanzialmente remissivo, le motivazioni del quale, come spiegate dalla donna,…. sono comunque pacifica-mente rimaste interne al suo animo, non-ché disancorate da qualunque riscontro esterno nella condotta oggettivamente tenu-ta dall'imputato….”. Curioso e purtroppo troppo diffuso argomentare. Ma alla vittima di una rapina si chiede se ha manifestato con chiarezza il proprio dissenso e perché non ha reagito ? Se quella Corte avesse indossato le lenti di genere, cioè avesse valutato a fondo cosa differenzia l’uomo dalla donna e la storia che ciascuno porta pesantemente sopra le pro-prie spalle, saprebbe che le donne davanti ad uno stupro, davanti ad un approccio sessuale, davanti ad

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Uomini e donne a confronto

Quella in cui viviamo può essere definita una società pluralistica, costituita da gruppi di persone di-versi per appartenenza etnica o professione religiosa che interagi-scono assieme. L’obiettivo dei governi nazionali, così come delle organizzazioni in-ternazionali, dovrebbe essere quello di integrare sempre più i diversi individui, in un’ottica di rispetto reciproco e di accettazione delle diversità. Numerosi e più significa-tivi passi devono essere ancora fatti per garantire a tutti i componenti della nostra società moderna il rico-noscimento dei propri diritti nel rispetto della personale identità politica, religiosa e sessuale. Volendo esaminare i diritti ricono-sciuti agli individui in base alla loro sessualità, si ritiene opportuno ana-lizzare la questione dell’uguaglianza di genere, conosciuta anche come parità di genere o uguaglianza ses-suale. Questa implica che uomini e donne dovrebbero ricevere pari trattamento, e non dovrebbero es-sere discriminati in base al sesso, a meno che non ci sia una valida ra-gione biologica a determinare un trattamento diversificato. La nostra Costituzione, all’articolo 3, si preoccupa di garantire piena parità a tutti i soggetti, senza discri-minazione alcuna, proclamando al primo comma il principio di ugua-glianza in senso formale e al secon-

do comma quello in senso sostan-ziale. Uguaglianza formale sta a significa-re che tutti sono titolari dei medesi-mi diritti e doveri, in quanto tutti sono uguali davanti alla legge e tutti devono essere, in egual misura, ad essa sottoposti. Le varie specificazioni «senza di-stinzioni di» furono inserite affin-ché non trovassero posto storiche discriminazioni, quali, ad esempio, la divaricazione dei diritti tra uomi-ni e donne, alla quale intendeva porre fine l’affermazione di un’u-guaglianza «senza distinzioni di ses-so». Tuttavia, la nostra Carta costi-tuzionale non si arresta al riconosci-mento dell’uguaglianza formale: essa va oltre assegnando allo Stato

il compito di creare azioni positive per rimuovere quelle barriere di ordine naturale, sociale ed econo-mico che non consentirebbero a ciascuno di noi di realizzare piena-mente la propria personalità, secon-do il principio di uguaglianza so-stanziale. In Italia, facendo ricorso all’articolo 3 Cost., sono state intraprese nu-merose azioni positive per la lotta contro le discriminazioni di genere, in particolar modo avverso alle donne. Per rilevare differenze di genere e disparità di trattamento, in base al sesso, sono stati compiuti vari ricer-che e studi a livello europeo. L'indice sull'uguaglianza di genere, presentato il 25 giugno 2015 a Bru-xelles, dall'Istituto europeo per l'u-guaglianza di genere (EIGE), rileva che l'Unione europea ha percorso solo la metà del cammino iniziato nel 2005, verso una società rispetto-sa dell'uguaglianza di genere. Tale indice si articola su sei domini principali, ovvero lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute e due domini satellite, ovvero vio-lenza contro le donne e disugua-glianze intersezionali. Esso si basa sulle priorità politiche dell'UE e valuta l'impatto delle sue politiche in materia di uguaglianza di genere da parte degli Stati mem-bri nel tempo. Nell'indice sull'uguaglianza di gene-re del 2015, il dominio del potere

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Le condizioni della donna nel mondo

Le condizioni della donna in Cina: Intervista a Lola What are the condition of wom-en in your country? The condition of women has im-proved a lot during the years. Take three generations as an example. The generation of my grand-parents, which was in the 1940s, was the generation before the es-tablishment of the PRC. Women didn’t have much right and free-dom at that time. Very few of them have ever been educated. Neither did they have their own careers. What’s more, they were considered to be belonged to their husband. So my grandma added the first name of my grandpa into her name. Then comes the generation of my mother, which was around the 1970s. Since the new China was founded, women’s condition has improved a lot in education, politi-cal life and their own freedom. But men and women were still not equal. Men were considered more important for two reasons: first, during a certain period, China was under the command economy, so the government allocated the lands and the necessities of life according

in paesi dove è radicata la povertà e l’arretratezza culturale.Come Amnesty International Italia, anche noi ci auspi-chiamo un incremento dell’attenzione dei governi nei paesi in cui è presente questa pratica affinché sia bandita, oltre che l’avvio di indagini imparziali e tem-pestive, su ogni denuncia di violazione dei diritti umani basata sulla discrimi-nazione. Questo affinché numerose bambine non subiscano decisioni ri-guardanti il loro corpo che siano causa di violazioni dei diritti umani. È del 2 luglio 2015 l’adozione da parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite della prima Risoluzione sulla prevenzione e l'eliminazione dei matrimoni precoci e forzati. Il testo ribadisce che i matrimoni precoci e forzati rappresentano una violazione dei diritti umani, in particolare delle donne e delle bambine. Eleonora Rech Socia ELSA Roma

loro valore nella società.Molti paesi a causa di uno scarso livello culturale e progresso sociale, si trovano a dover lottare quotidianamente con problema-tiche rilevanti, che affliggono l’universo femminile, come il fenomeno delle spose bambine. Khadija al-salami, scrittrice yemenita, prima donna regista del suo paese, ha deciso di raccontare questo fenomeno nel suo film documentario “I Am No-joom, Age 10 and divorced”, avendo vissuto sulla propria pelle questa barba-rie. Khadija è stata costretta a sposarsi con un uomo molto più grande di lei all’età di 12 anni, seguendo la stessa sorte di sua madre e delle sue sorelle. Il suo film racconta tutte le sofferenze e le torture di queste bambine a cui viene rubata l’infanzia. Il fenomeno delle spose bambine costituisce una chiara testimonianza delle discriminazioni e dello scarso valore che viene attribuito alle donne ,

own efforts. Like TU Youyou, the female Chinese biologist who has won the Nobel biological prize this year. Have you ever been discriminat-ed for being as a woman? This kind of thing is very rare now, but one happened when I was ap-plying for university. In China, eve-ry student takes the College En-trance Examination after the study in high school. They get a score for applying universities according to their score ranges. I’ve noticed that there was a university specialized in media and communication whose score range was actually different for male and female students. For males, it was much lower. They explained that female students were good at studying and they usually got better results in exams than males. So it was necessary for them to lower the criterion for male stu-dents.

riflette maggiori conquiste. Nonostante ciò sussistono ancora numerose dispa-rità. Gli uomini, ad esempio, continua-no a essere sovrarappresentati ai vertici dei processi decisionali in tutti gli Stati membri, in ambito politico ed econo-mico. I dati più aggiornati sui divari retributi-vi che a livello comunitario rendono quanto mai evidente la discriminazione esistente tra i due sessi. Nell’Unione Europea le donne in media guadagnano infatti circa il 16,4% in meno degli uomini. Questi dati va-riano a seconda dei Paesi. L’Italia rap-presenta in realtà un caso molto parti-colare: il divario retributivo di genere nel nostro Paese, riferito ai dati del 2014, si fissa al 6,7%, ben al disotto della media europea. La differenza di trattamento e di uomi-ni e donne è molto diversa non solo in ambito economico ma anche a livello di diritti che questi si vedono ricono-sciuti e che determinano il loro peso, il

the portion of collective works done by every family. Normally a family with many men worked much more than those with wom-en. So every family wanted to give birth to men. The second reason was the problem of carrying the family line. Every family hoped their family name to be inherited from generation to generation. As a result, there were more men than women in China. So now, in the 21th century, the society continues to develop. There are two very important events con-sidering the social status of women. One is the 1995 the UN 4th world conference on women held in Bei-jing and another is the issue of the Law on the Protection of Women's Rights in 1992. Since then, men and women are more equal than before, but we cannot say that the phenomenon has already disap-peared. I have a female friend, just because of her gender, and her par-ents treat her badly in her child-hood. But as you can see today, Chinese women are more and more independent, they started to enter in some domains which were domi-nated by men before, and they have won a lot of reputation by their

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Le condizioni della donna in Russia: Intervista ad Alexandra T. What are the conditions of wom-an in your country? To tell the truth, I think there are good women's conditions in Russia. However, our country has some jobs where have no place for wom-an. So, there r employers who don't want to have a woman in our com-pany. Sometimes they believe wom-en less hardworking or even they suppose women have trivial mind. One day I was at the doctor. He said me that the best doctors are men because women can't think globally... But I've never been discriminated as a woman may be that's why I reckon our country has good con-ditions... Have you ever been discriminat-ed for being as a woman? I've never been discriminated as a woman. And I hope I won't be. You know, there is expressed dis-crimination other nationalities in Russia. But our government tries to fight it.

Le condizioni della donna in Palestina. Riflessioni sulla parità di genere di Jasmine

The declaration of the Palestinian state in 1988 held “equality” as its main pillar. Thus signed multiple documents, treaties and conven-tions concerning the equality be-tween a man and a woman. They pointed out that domestic legisla-tion needs to be change to fit with those principles. However, that doesn’t suit the religious views used in the legislative works. The only thing this really brought was the quota system! I must admit that the situation of

fore can’t make sane decisions, es-pecially in the positions of decision making. This became a well known stereotypes to a point where a woman believes she can’t make decisions or lead. Law in this country is mainly con-nected to religion, In inheritance for instance which applies on Christians and Muslims, in general circumstances, though not all, it allots women half the share of in-heritance available to men who have the same degree of relation to the decedent. For example, where the decedent has both male and female children, a son's share is double that of a daughter's. That is explained by the fact that a man has more responsibilities than a wom-an. A man is supposedly in charge of all the family expenses and ali-ment. Those religious rules are an indicator that women are not an equal, but the fact that they are reli-gious makes them not questionable. On one hand, in the importation of the feminism concept, it got misun-derstood by being a man hating fanatic. Many women on the other hand refused that concept under the claim that it weakens the unity of a family. They want to maintain the traditional roles, they fear the change, they fear to disobey their men and religion. To Answer the main question, is

gender equality possible in this

country? I believe gender equality

isn’t possible until woman can

make up her own mind and deci-

sions, with no worries or regrets. A

woman is entitled to study, travel,

and experience. Getting married

has to become a choice rather than

a goal. Gender equality isn’t possi-

ble until each woman believes it.

women in Palestine is much better than several Arab and Muslim countries. As a Palestinian Chris-tian youth that studies law in an Islamic country, I notice that the conservative views have become a part of the culture and environ-ment. Women here are taught to believe that they are not an equal, they even use men as a measure-ment of how strong a woman is “she’s strong as 100 men”. How could a man be a measurement unit? That’s an Arab thing that can’t be explained. I personally come from a family who is quite open minded and lib-eral, thus I don’t face many issues women face here. Still I notice that one of the main issues here is that women try to put each other down. They judge any woman who tries to leave the box. They accepted what the culture offered them without putting any thought into it. For instance, they connect a woman who smokes or loves in public as lacking morals. I even notice myself doing it sometimes. I was having a conversation with an acquaintance one day he told me:“I have reservations on women smok-ing, I enjoy looking and meditating at a woman who smokes , it stirs my emotions , but emotions are something and mentality is some-thing else”. You see, an Eastern man (Al-Rajul Al Sharqe) as we call an Arab man has some kind of controversy concerning his look towards woman, He views his fami-ly female members as superior, He’s willing to enjoy life with a woman who “lacks morals” accord-ing to the concept explained earlier but he knows he’ll be getting mar-ried to a girl confirmed by the fami-ly, society and religion. Families here view a man’s mistake as an experience, but a woman’s as the end of her reputation. A wom-an has to be much more responsi-ble than a man, since at the end of the day they’ll be raising a family. The question is, how can you not trust half the community and the procreator of the other half? The main belief here is that a woman is driven by her emotions only, there-

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