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Linee guida metodologiche per la lettura critica del Bilancio AA. 2008/2009 Danilo Scarponi & Fatima Attili & Federica De Santis – Rev. 01 del 2009.04.15 Pagina 1 di 24 Linee guida metodologiche per la lettura critica del Bilancio sussidio didattico per il corso di Analisi di Bilancio A.A. 2008/2009 Prof. Danilo Scarponi Facoltà di Economia “G. Fuà” Università Politecnica delle Marche

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Danilo Scarponi & Fatima Attili & Federica De Santis – Rev. 01 del 2009.04.15 Pagina 1 di 24

Linee guida metodologiche per

la lettura critica del Bilancio

sussidio didattico per il corso di Analisi di Bilancio A.A. 2008/2009

Prof. Danilo Scarponi Facoltà di Economia “G. Fuà”

Università Politecnica delle Marche

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PREMESSA Questo lavoro si propone di fornire indicazioni utili al fine di analizzare il bilancio di

un’impresa e accertare se, attraverso il commento ai principali indicatori patrimoniali/finanziari ed

economici, sia possibile, da parte di un soggetto esterno, comprendere quali siano stati i fattori che

hanno contribuito a determinare l’attuale situazione aziendale ed anche quali sono le prospettive di

sviluppo della stessa.

In primo luogo si cercherà di chiarire come strutturare il commento di un bilancio

individuando gli indicatori fondamentali attraverso cui analizzare gli aspetti peculiari della gestione

di un’impresa per giungere a formulare un giudizio che sia il più possibile analitico e completo,

tenendo, però, sempre in considerazione che esistono una serie di informazioni alle quali un analista

esterno non è in grado di accedere proprio perché estraneo alla realtà operativa dell’impresa stessa.

Successivamente verrà presentato un caso concreto al fine non solo di analizzare i risultati

ottenuti dall’azienda attraverso una comparazione temporale tra i bilanci di più esercizi consecutivi,

ma anche cercando di confrontare i risultati con la media di quelli conseguiti dalle imprese operanti

nel medesimo settore al fine di evidenziare quale sia la posizione competitiva dell’azienda oggetto

di analisi e mostrare i vantaggi di un’analisi comparativa spaziale.

Infine sono individuate le aree più critiche della gestione e vengono proposti alcuni

accorgimenti che l’impresa potrebbe adottare al fine di superare i problemi evidenziati.

LA LETTURA DEL BILANCIO Il bilancio rappresenta il principale strumento di comunicazione esterna per l’impresa in

quanto costituisce il modello di rappresentazione della realtà aziendale. Tale documento, redatto in

base alla normativa civilistica, però, non può essere considerato un mezzo sufficiente al fine di

formulare un giudizio completo ed informato sulla performance aziendale e sul suo generale “stato

di salute”.

L’analisi del bilancio interviene infatti per soddisfare le esigenze conoscitive degli

stakeholders (attuali e potenziali) al fine di giungere all’espressione di un giudizio sull’azienda nel

suo complesso o in merito ad ambiti più circoscritti.

L’analisi di bilancio realizza in primo luogo una comparazione temporale tra i bilanci redatti

in più esercizi consecutivi al fine di evidenziare il trend e, in secondo luogo, procede ad una

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comparazione spaziale tra i bilanci di più aziende appartenenti allo stesso settore con l’obiettivo di

confrontare la performance di un’impresa con quella delle sue concorrenti e con l’andamento

generale del settore stesso.

Le analisi possono tendere ad accertare aspetti differenti della gestione, ciononostante,

ancorché diversi, gli aspetti della gestione accertati mediante le analisi di bilancio risultano tra loro

interconnessi e comunicanti; infatti, la gestione aziendale è sì suddivisa in più aree, ma è altresì

necessario che le suddette aree siano concertate tra loro al fine di realizzare una condizione di

equilibrio.

L’ equilibrio di un’impresa può interessare tre ambiti che sono però inscindibili di un’unica

realtà:

• economico, che consiste nella capacità dell’azienda di remunerare adeguatamente

tutti i fattori produttivi (a partire dal capitale di rischio);

• finanziario, inteso come capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni

finanziari attraverso le diverse fonti di cui dispone (capitale proprio, capitale di

debito e flusso reddituale);

• patrimoniale che fa riferimento alla capacità aziendale di conservare e migliorare il

proprio assetto patrimoniale.

L’analisi dei bilanci viene condotta nel seguente modo:

• l’analisi per margini, tendente ad accertare le relazioni esistenti tra le varie classi di

attività e passività (nello Stato Patrimoniale) e tra costi e ricavi (nel Conto

Economico) e che quindi si configura come analisi di struttura;

• l’analisi per indici, che si basa sui ratios e cioè sui rapporti che legano le varie voci

di bilancio;

• l’analisi per flussi, che consente di spiegare i cambiamenti intervenuti con

particolare enfasi alla dinamica finanziaria.

È grazie al commento, a questa lettura critica/creativa, che l’analista esprime il suo giudizio

valutando la performance aziendale ed individuando i punti di forza e di debolezza della gestione.

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Il commento di un bilancio è strutturato in modo tale da fornire una visione organica

attraverso un excursus che passa attraverso l’analisi patrimoniale/finanziaria e reddituale per

giungere a segnalare le soluzioni eventualmente più adeguate da adottare al fine di migliorare la

gestione e condurre l’azienda stessa allo sviluppo.

L’ANALISI REDDITUALE

L’analisi di tipo reddituale ha l’obiettivo di verificare se un’azienda è redditizia, cioè se

riesce a remunerare adeguatamente tutti i fattori produttivi, incluso il rischio imprenditoriale

(rappresentato dal capitale proprio).

Tale aspetto della gestione aziendale può essere analizzato facendo ricorso ad una serie di

indici, il più importante dei quali è certamente il ROE (return on equity), dato dal rapporto tra

reddito netto e capitale netto, dal momento che esprime il ritorno sul patrimonio netto e quindi la

convenienza da parte dei soci a effettuare investimenti a titolo di capitale di rischio in azienda.

Affinché l’azienda possa attrarre capitale di rischio è necessario che il suo rendimento risulti

superiore a quello previsto per investimenti privi di rischio, maggiorato di una certa percentuale che

rappresenti la remunerazione per il rischio insito nell’attività d’impresa e per la minore liquidità.

Il ROE non è soltanto un utile indicatore della convenienza ad investire nell’attività

d’impresa, ma consente anche di comprendere se l’azienda è in grado di svilupparsi in maniera

“compatibile”, mantenendo, cioè, un rapporto soddisfacente tra il capitale di terzi ed il capitale

proprio. La redditività del patrimonio netto è quindi in stretta correlazione con il Tasso di Sviluppo

Compatibile (Ta.s.co.) il quale è frutto della combinazione tra il ROE e la percentuale di utili non

distribuiti e permette di comprendere quale tasso di crescita del capitale investito può sostenere

l’azienda senza alterare la propria struttura finanziaria e senza richiedere conferimenti aggiuntivi ai

soci.

Quando si valuta la performance di un’azienda dal punto di vista reddituale non si possono

non tenere in debita considerazione tutti i fattori che influenzano questo indicatore di sintesi, cioè il

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ROE; la redditività globale di un’impresa è, infatti, determinata da diversi fattori, uno di matrice

finanziaria e due di matrice economica.

Per quanto riguarda l’aspetto finanziario si fa riferimento al grado di indebitamento, che è

dato dal rapporto tra capitale investito e patrimonio netto, mentre dal punto di vista economico

l’analisi si fonda sul ROI (return on investment), che si ottiene confrontando il reddito operativo

con il capitale investito, e sul T.I.G.E.C, che esprime l’incidenza della gestione extracaratteristica

attraverso il rapporto tra reddito netto e reddito operativo.

È importante capire in che misura questi fattori influenzano la redditività globale in quanto

consentono di comprendere quale linea strategica sta perseguendo un’impresa per raggiungere un

determinato livello di ROE. Due imprese che presentano lo stesso livello di ritorno sull’equity

potrebbero, infatti, aver perseguito strategie completamente diverse, ognuna delle quali presenta

vantaggi e rischi che vanno, dunque, opportunamente ponderati dall’analista.

Il ROI è un fattore determinante della redditività aziendale poiché esprime il rendimento del

capitale investito da parte di tutti i finanziatori (come somma tra capitale di rischio e capitale di

credito) nella gestione caratteristica ed è quindi un indicatore della capacità di attrazione del

capitale globalmente inteso. Numerose sono le variabili che concorrono a determinare questo indice

e vanno tutte tenute in considerazione nella fase di valutazione dei risultati raggiunti; il ROI, infatti,

varia a seconda del settore cui l’azienda oggetto di analisi appartiene, così come è influenzato dalle

scelte strategiche poste in essere dagli amministratori e dall’efficienza conseguita dall’impresa

stessa.

È possibile scindere il ROI nelle sue due componenti fondamentali in modo da includere

nell’analisi anche una terza variabile, cioè le vendite ottenute nell’esercizio; il ritorno sul capitale

investito è, infatti, determinato dalla redditività delle vendite, espressa dal ROS (acronimo della

locuzione anglosassone return on sales), e dall’indice di produttività del capitale (altrimenti definito

turnover del capitale investito). Il ritorno sulle vendite (ROS) rappresenta un indice operativo

particolarmente utilizzato per valutare la capacità competitiva della proposta commerciale di

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un’azienda e viene impiegato soprattutto per condurre le analisi interne in quanto consente di

adottare le scelte di politica commerciale più opportune al fine di migliorare la complessiva

redditività aziendale. Sarebbe tuttavia inopportuno agire sul ROS senza considerare gli effetti che

tale fattore genera sull’altra componente che concorre a determinare il ROI, e cioè la “produttività

del capitale investito”, dal momento che tali indici sono legati, spesso, da una legge di

proporzionalità inversa. Basandosi su questi due indicatori, infatti, si può incidere sulla redditività

del capitale investito (ROI) agendo sul lato delle vendite oppure su quello degli investimenti, ma

una politica di abbassamento dei prezzi volta ad incrementare la produttività del capitale attraverso

un aumento delle quantità vendute potrebbe provocare effetti negativi sul ROS.

Le scelte di politica finanziaria e quelle di politica industriale influenzano notevolmente la

redditività aziendale e ciò accade perché il ROE è correlato sia al ROI che al quoziente di

indebitamento e non è possibile, dunque, prescindere dalla valutazione di tali politiche

nell’analizzare l’efficienza complessiva della gestione. Il livello di indebitamento è una componente

di primaria importanza e, benché produca oneri a carico dell’impresa, può influenzare in senso

positivo il ROE e quindi può generare un incremento della redditività globale. Tale effetto

aumentativo si verifica quando, ancorché oneroso, il debito presenta un costo inferiore rispetto al

livello del ROI, così che risulta economicamente più conveniente finanziare lo sviluppo ricorrendo

al debito piuttosto che al capitale di rischio, proprio perché la redditività netta (ROE) trarrà

beneficio dal gap esistente tra il ritorno sul capitale investito ed il costo del debito (l’azienda, cioè,

beneficia di un effetto di leva finanziaria positivo); al contrario si produrrà l’effetto opposto nel

momento in cui il costo del debito supererà la redditività degli investimenti.

La scelta basata su questo principio non è, tuttavia, esente da rischi ed incertezze poiché,

innanzitutto, un eccessivo ricorso al debito rende più fragile la struttura finanziaria e la espone alle

fluttuazioni del mercato del credito e, in secondo luogo, un’impresa fortemente indebitata risulta

meno attrattiva nei confronti dei suoi interlocutori, in primis i finanziatori. Il leverage (effetto leva)

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rappresenta, quindi, un’arma a doppio taglio dal momento che può migliorare la redditività di

un’azienda e, al contempo, pregiudicarne la stabilità e comprometterne lo sviluppo futuro.

Se si vuole condurre un’analisi della gestione mediante il bilancio basata sulla razionalità e

sulla completezza d’indagine, non può assolutamente essere trascurata l’analisi del leverage.

Affinché, dunque, il commento al bilancio sia in grado di svolgere la sua funzione

informativa, intesa come capacità di fungere da guida nelle decisioni operative che riguardano

l’impresa e di palesare lo stato di salute e le prospettive di sviluppo aziendali, va esaminato ogni

aspetto della gestione in modo coordinato e completo, proprio in virtù della già citata

interdipendenza e connessione tra le diverse fasi della direzione d’impresa.

L’ANALISI PATRIMONIALE/FINANZIARIA

Per quanto concerne l’analisi dal punto di vista patrimoniale, è necessario considerare

innanzitutto la composizione degli impieghi e delle fonti, ma risulta ancor più rilevante prestare

attenzione alla loro correlazione per il raggiungimento ed il mantenimento di una condizione di

equilibrio finanziario.

L’analisi patrimoniale è, infatti, rivolta ad accertare la solidità di un’impresa, laddove per

solidità si intende la capacità della stessa di perdurare nel tempo, grazie alla sua adattabilità alle

mutevoli condizioni interne ed esterne. La solidità patrimoniale dipende essenzialmente da

un’adeguata correlazione quali–quantitativa tra impieghi e fonti e da un buon grado di indipendenza

finanziaria dell’azienda da terzi (quindi, specularmente, da un’adeguata capitalizzazione).

I primi ratios da considerare sono gli indici di rigidità e di elasticità degli impieghi i quali,

però, vanno necessariamente valutati tenendo in considerazione le caratteristiche del settore cui

l’azienda appartiene. I suddetti indicatori sono rivelatori della vulnerabilità dell’impresa ai

cambiamenti, infatti una struttura rigida (cioè caratterizzata da un’elevata incidenza delle

immobilizzazioni sul capitale investito) è senza dubbio particolarmente esposta a repentini

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cambiamenti in quanto risulta molto più gravoso modificare la struttura produttiva e organizzativa

per rispondere alle nuove esigenze che l’ambiente competitivo impone.

L’analisi della struttura dell’attivo consente di comprendere quale strategia di sviluppo ha

adottato l’azienda, anche se è opportuno ricordare che in tale ambito l’impresa non può esercitare

un potere del tutto discrezionale dal momento che le scelte in merito sono spesso veicolate anche

dalle caratteristiche dell’attività svolta.

Deve essere poi analizzata anche la composizione delle fonti attraverso gli stessi indici di

elasticità e rigidità del capitale acquisito. In questo caso è una maggiore rigidità a conferire stabilità

all’azienda, mentre una struttura delle fonti eccessivamente flessibile e, quindi, con una

considerevole incidenza delle passività a breve, la espone a maggiori rischi.

Un indicatore particolarmente significativo della solidità di un’impresa è rappresentato

dall’indice di autonomia finanziaria, dato dal rapporto tra mezzi propri e capitale acquisito, in

quanto un basso valore di tale indice, rende l’azienda fortemente dipendente dai terzi. Tuttavia non

è sufficiente considerare soltanto l’incidenza del capitale proprio sul capitale acquisito, ma è

necessario tenere in considerazione anche le modalità con cui detto capitale si è formato; infatti, un

elevato autofinanziamento è indice di maggior solidità poiché trattenere in azienda l’utile

conseguito a scapito della distribuzione rende l’azienda più autonoma e in grado di finanziare più

facilmente il proprio sviluppo oltre che confermare il positivo andamento economico.

Per accertare l’adeguatezza del Patrimonio Netto si utilizzano principalmente il quoziente di

autocopertura (dato dal rapporto tra mezzi propri e attivo fisso) ed il quoziente di copertura (che

invece rapporta le fonti consolidate nel loro complesso alle attività consolidate). Attraverso il primo

di questi indici si va a verificare se un’impresa è ben capitalizzata, infatti esso attesta la capacità del

patrimonio netto di finanziare gli investimenti a carattere durevole; non si deve, tuttavia, pensare

che valori inferiori all’unità di tale rapporto denotino necessariamente una situazione patologica per

l’azienda, dal momento che è del tutto fisiologico che parte degli impieghi durevoli sia finanziata

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attraverso le passività consolidate ed è attraverso il quoziente di struttura secondario che viene

accertato il corretto grado di copertura delle immobilizzazioni con il Capitale Permanente.

Per comprendere la situazione finanziaria si va ad accertare la capacità dell’azienda di far

fronte ai propri impegni tempestivamente ed economicamente, senza, cioè, pregiudicare lo

svolgimento regolare dell’attività. A tale riguardo si prendono in considerazione i cosiddetti indici

di situazione finanziaria, quali l’indice di disponibilità o current ratio (dato dal rapporto tra attivo

circolante e passività correnti) che segnala la capacità dell’azienda di far fronte agli impegni

correnti con i mezzi disponibili e con quelli liquidabili in un tempo relativamente breve, e l’indice

di liquidità o acid test ratio (espresso tramite il rapporto tra attività correnti al netto delle rimanenze

e passività correnti) il quale rivela la capacità dell’impresa di fronteggiare i propri impegni di

pagamento con le liquidità immediate e con quelle prontamente realizzabili. Infatti, bisogna prestare

la massima attenzione a situazioni di c.d. incaglio finanziario, nelle quali l’impresa non è in grado

di far fronte ai propri impegni a breve scadenza tramite la liquidità (immediata e differita) di cui

dispone. È necessario, però, tenere presente che così come non è auspicabile una situazione di

illiquidità, è altrettanto inopportuno per un’impresa detenere, in relazione al capitale investito, una

liquidità eccessiva dal momento che rappresenta un costo, poiché le risorse restano in azienda senza

generare adeguata ricchezza.

È importante che l’analista presti attenzione anche al trend che tali indicatori registrano nel

tempo in quanto un andamento peggiorativo dei suddetti valori porta a considerare come l’impresa

stia gradualmente perdendo la sua solidità patrimoniale dirigendosi verso una situazione di possibile

rischio.

E’ utile ricorrere anche ai cosiddetti indici di durata con riferimento al magazzino, ai crediti

ed ai debiti che si ottengono generalmente confrontando valori economici (vendite, costo del

venduto, acquisti, ecc.) con la media di alcuni raggruppamenti di valori dello Stato Patrimoniale; a

tale riguardo non vi sono valori standard, ma in linea generale si può dire che se dal confronto

temporale emerge un aumento di velocità, ciò sta a significare un miglioramento del livello di

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liquidità. L’informazione di sintesi maggiormente rilevante che può essere ottenuta dall’analisi

degli indicatori di velocità del capitale circolante netto è costituita dalla durata media del ciclo del

circolante. La durata media del ciclo del circolante corrisponde al tempo, espresso in giorni, che

mediamente trascorre tra il momento del pagamento ai fornitori dei fattori produttivi correnti e il

momento dell’incasso di clienti dei ricavi per le vendite o le prestazioni.

Tale durata media corrisponde, dunque, alla somma algebrica tra:

• tempo medio di giacenza delle scorte, che incrementa la durata del ciclo del

circolante;

• tempo medio di incasso dei crediti verso clienti, che incrementa la durata media;

• tempo medio di pagamento dei debiti verso fornitori, che riduce la durata del ciclo

del circolante.

La durata media del ciclo del circolante esprime, pertanto, la lunghezza del periodo di

fabbisogno finanziario relativo allo svolgersi dei cicli gestionali. A parità di altre condizioni, quanto

più questo periodo sarà lungo, tanto più elevato sarà il fabbisogno di capitale legato allo svolgersi

dei cicli operativi correnti e quindi tanto più elevate dovranno essere le fonti di copertura di tale

fabbisogno, costituite generalmente da debiti finanziari a breve termine. Ad una durata del ciclo del

circolante molto lunga sono, dunque, generalmente associati problemi di liquidità, in quanto la

distanza tra il momento del pagamento e quello dell’incasso genera fabbisogni finanziari elevati che

l’azienda potrebbe avere difficoltà a coprire. Infatti, un ciclo del circolante molto lungo comporta

Tempo medio di giacenza scorte + Tempo medio di incasso crediti verso clienti

- Tempo di pagamento verso fornitori = Durata media del ciclo del circolante

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sempre un indebitamento finanziario a breve molto elevato, che è indice di scarsa solidità e di una

situazione finanziaria tesa. Al contrario, la riduzione del ciclo del circolante permette di liberare

risorse finanziarie, di ridurre l’indebitamento finanziario a breve e di riequilibrare la situazione

finanziaria. La durata media del ciclo del circolante è legata non solo alla prassi commerciale del

settore in cui opera l’azienda, ma anche al suo potere contrattuale, dal momento che un’impresa di

grandi dimensioni e con un potere contrattuale forte risulta in grado di accelerare i periodi di

consegna, pattuire tempi di pagamento più lunghi e tempi di incasso più brevi.

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IL CASO DELLA CENTROITALIA S.p.A.

Stato PatrimonialeATTIVO Anno 2006 Anno 2005

A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con separata indicazione della parte già richiamata 286.000

A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti già richiamati 100.000A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti ancora da richiamare 186.000

B) Immobilizzazioni:BI] Imm.imm. 1. costi di impianto e di ampliamento; 6.000 8.000BI] Imm.imm. 4. concessioni, licenze, marchi e dirit ti simili; 180.000

Totale immobilizzazioni immateriali 186.000 8.000BII] Imm.mat. 1. terreni e fabbricati; 250.455BII] Imm.mat. 2. impianti e macchinario; 698.000 27.657BII] Imm.mat. 3. attrezzature industriali e commerciali; 268.000 2.017BII] Imm.mat. 4. altri beni; 84.700 17.072

Totale immobilizzazioni materiali 1.050.700 297.201

BIII] Immobilizzazioni finanziarie (totale al netto fondi rettif icativi -bilancio abbreviato-):BIII] Imm.fin. 1. partec ipazioni in a. imprese controllate; 360.000

BIII] Imm.fin. 2. credit i:Totale immobilizzazioni finanziarie 360.000

Totale immobilizzazioni (B) 1.236.700 665.201C) Attivo circolante:

CI) Rimanenze:CI) Rimanenze 1. materie prime, sussidiarie e di consumo: 135.400 20.000CI) Rimanenze 2. prodott i in corso di lavorazione e semilavorati; 18.600 5.243CI) Rimanenze 4. prodott i finiti e merci; 87.600 16.000

Totale 241.600 41.243CII] Crediti (totale bilancio abbreviato):

CII] Crediti 1. verso cl ienti entro l'eserciz io 246.800 226.251CII] Crediti 1. verso cl ienti oltre l 'eserc izio 60.000 43.212CII] Crediti 4-bis) Crediti tributar i entro l'eserciz io 54.000

Totale. 360.800 269.463CIII] Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni:

CIII ] Att.f in.che non cost.imm. 4. altre partec ipazioni; 60.000CIII ] Att.f in.che non cost.imm. 6. altri titoli. 25.000 277.214

Totale 85.000 277.214CIV] Disponibilità liquide:

CIV] Disponibilità liquide 1. depositi bancari e postali; 68.700 5.000CIV] Disponibilità liquide 2. assegni; 1.420CIV] Disponibilità liquide 3. danaro e valori in cassa. 9.740 2.170

Totale. 79.860 7.170Totale attivo circolante (C) 767.260 595.090D) Ratei e risconti (attivi)

DI) Ratei Att iv i: 1.870 802DII) Risconti attivi: 36.500 7.280

Totale. 38.370 8.082TOTALE ATTIVO 2.328.330 1.268.373

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PASSIVO Anno 2006 Anno 2005A) Patrimonio netto:

A] Patrimonio Netto - I. Capitale 800.000 200.000A] Patrimonio Netto - III. Riserve di rivalutazione 100.000A] Patrimonio Netto - VIII. Utili (perdite) portati a nuovo -14.781 -25.000A] Patrimonio Netto - IX. Utile (perdite) dell'eserc izio 58.311 10.219

Totale. 943.530 185.219B) Fondi per rischi e oneri:

B] Fondi per rischi e oneri - 2. per imposte, anche differite; 15.000 8.000Totale. 15.000 8.000Totale (A+B) 958.530 193.219

C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato. 69.800 47.911D) Debiti

D4] Debiti verso banche entro l 'esercizio 367.800 425.738D4] Debiti verso banche oltr e l'esercizio 225.600 292.884D7] Debiti vs/fornitor i entro l'eserciz io 326.400 203.737D7] Debiti vs/fornitor i oltre l'eserciz io 30.000 47.000D8] Debiti rappresentati da titoli di credito oltre l'eserciz io 54.000D12] Debiti tributari entro l'esercizio 42.300 23.397D13] Debiti vs/is t prev e di s ic sociale entro l'eserciz io 18.900 30.949D14] altri debiti entro l 'eserc izio 5.400

Totale 1.070.400 1.023.705E) Ratei e risconti

EI] Ratei Passivi 1.600 3.538EII] Risconti Pass ivi 228.000

Totale 229.600 3.538

TOTALE PASSIVO 2.328.330 1.268.373

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CONTO ECONOMICO Anno 2006 Anno 2005A) Valore della produzione:

1. ricavi delle vendite e delle prestazioni; 1.870.000 649.0862. variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e f initi: 84.957 9.243

2. a. Rimanenze finali di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti; 106.200 21.243

2. b. Rimanenze iniziali di prodotti in corso di lavoraz ione, semilavorati e finiti ; 21.243 12.000

4. incrementi di immobilizzaz ioni per lavori interni; 54.0005. altri ricavi e proventi: 45.000 8.710

5. a. altri ricav i e proventi; 30.000 3.934

5. b. contributi in conto esercizio; 15.000 4.776

Totale. 2.053.957 667.039B) Costi della produzione

6. Costi per l'acquisto di materie prime, sussidiarie, di consumo e di merc i; 1.033.900 300.4667. Costi per servizi; 268.000 54.7758. Costi per il godimento di beni di terz i; 196.800 9.4209. Costi per il personale: 369.800 186.223

9. a. salari e stipendi; 246.800 132.577

9. b. oneri sociali; 98.700 31.700

9. c. trattamento di fine rapporto; 24.300 9.727

9. e. altri costi; 12.219

10. ammortamenti e svalutazioni: 176.600 21.23410. a. ammortamento delle immobilizzazioni immateriali; 22.000 2.000

10. b. ammortamento delle immobilizzazioni materiali; 154.600 19.234

11. variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci; -115.400 -1.24411. a. Rimanenze finali di materie prime, sussidiar ie, di consumo e merci 135.400 20.000

11. b. Rimanenze inizial i di materie pr ime, suss idiarie, di consumo e merci 20.000 18.756

12. accantonamenti per rischi; 9.00014. oneri divers i di gestione. 6.500 20.481

Totale. 1.945.200 591.355Differenza tra valore e costi della produzione (A-B). 108.757 75.684C. Proventi e oneri finanziari:

16. altri proventi finanziari: 150 1.24316. c . proventi finanz iari da ti toli iscritti nell 'atti c irc che non costituiscono partec ipazioni; 150 1.243

17. interessi e altri oneri finanziari: 35.600 65.84117. d. Interessi e altri oneri finanz iari da altr e imprese 35.600 65.841

Totale Proventi e Oneri finanziari (15-16-17). -35.450 -64.598D) Rettifiche di valore di attività finanziaria:E) Proventi e oneri straordinari:

20. Proventi: 19.504 11.19820. a. proventi s traordinari 504 8.903

20. b. plusvalenza da alienazioni (i cui ricavi non sono iscr iv ibil i al n.5) 19.000 2.295

21. Oneri: 10.000 9.76721. a. oneri s traordinari 9.767

21. c imposte relative a eserc izi precedenti 10.000

Totale delle partite straordinarie (20-21). 9.504 1.431Risultato prima delle imposte (A-B+-C+-D+-E); 82.811 12.517

22. imposte sul reddito dell'esercizio: 24.500 2.29822. a. imposte correnti 24.500 2.298

23. utile (perdite) dell'esercizio. 58.311 10.219

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ATTIVO Anno 2006 Anno 2005

Liquidità Immediate 104.860 4,89% 7.170Liquidità differite 462.670 21,60% 504.267Rimanenze 263.100 12,28% 48.523ATTIVO CORRENTE 830.630 39% 559.960

Immobilizzazioni immateriali 186.000 8,68% 8.000Immobilizzazioni materiali 1.038.700 48,48% 297.201Immobilizzazioni finanziarie 360.000Immobilizzazioni operative 87.000 4,06% 43.212ATTIVO IMMOBILIZZATO 1.311.700 61,23% 708.413

CAPITALE INVESTITO 1.268.373

PASSIVO Anno 2006 Anno 2005

Passività correnti 797.800 37,24% 688.359Passività consolidate 587.000 27,40% 394.795CAPITALE DI TERZI 1.384.800 64,64% 1.083.154Patrimonio Netto 757.530 35,36% 185.219

CAPITALE ACQUISITO 1.268.373

SITUAZIONI CONDENSATE

Conto Economico (valore aggiunto)

Anno 2006 Anno 2005

PRODUZIONE DELL'ESERCIZIO 2.038.957 10000,00% 659.263VALORE AGGIUNTO 649.157 3183,77% 279.441MARGINE OPERATIVO LORDO 290.357 1424,05% 94.218REDDITO OPERATIVO CARATTERISTICO 104.757 513,78% 72.984REDDITO OPERATIVO GLOBALE 104.907 514,51% 76.927REDDITO ORDINARIO 73.307 359,53% 11.086REDDITO PRIMA DELLE IMPOSTE 82.811 406,14% 12.517REDDITO NETTO 58.311 285,98% 10.219

Conto Economico (Costo del venduto)

Anno 2006 Anno 2005

RICAVI NETTI DI VENDITA 1.954.000 43876,00% 650.020COSTO DEL VENDUTO 1.695.238 40509,08% 533.261UTILE LORDO INDUSTRIALE 258.762 96328,34% 116.759COSTI COMMERCIALI 51.335 49606,22% 14.592COSTI GENERALI E AMMINISTRATIVI 102.670 49606,22% 29.183REDDITO OPERATIVO CARATTERISTICO 104.757 -250435,09% 72.984

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TAVOLA DEGLI INDICI

Anno 2006 Anno 2005Elasticità degli impieghi 0,39 0,44Rigidità degli impieghi 0,61 0,56

Anno 2006 Anno 2005Indice di indebitamento o leverage 2,83 6,85

Indice di autonomia finanziaria 0,35 0,15Indice di rigidità delle fonti 0,63 0,46

Indice di elasticità delle fonti 0,37 0,54Anno 2006 Anno 2005

#RIF! 971,00Quoziente di autocopertura delle Imm. 0,58 0,26

Quoziente di Copertura Imm.zioni 1,03 0,82Indice di solidità del capitale 0,95 0,93

Indice del Patrimonio Netto tangibile 4,07 23,15Anno 2006 Anno 2005

Indice di disponibilità 1,04 0,81Indice di liquidità 0,71 0,74

Anno 2006 Anno 2005Rotazione del capitale investito 0,87 0,51

Giacenza media dei crediti 49,22 124,54Giacenza media dei debiti 103,41 250,35

Giacenza media delle scorte 55,87 32,76Anno 2006 Anno 2005

ROE 12,37% 6,25%ROI 6,14% 7,58%ROA 4,30% 1,15%ROS 5,60% 11,24%

TIGEC 0,56 0,14ROD 2,57% 6,08%

Anno 2006 Anno 2005Vendite per dipendente 187.000 129.817

Valore aggiunto per dipendente 64.915,70 55.888,20Incidenza del costo del lavoro sul val aggiunto 56,97% 66,64%

L’analisi dei bilanci della Centroitalia S.p.A. relativi al triennio 2005-06 pone in evidenza

quanto segue.

La redditività del capitale che i soci investono all’interno di un’impresa, rappresentata dal

ROE, non è un valore indipendente, ma rappresenta il frutto della combinazione di diversi fattori

che riguardano sia la gestione finanziaria che la gestione economica legati dalla seguente relazione:

LEVTIGECROIROE ××= .

Questo insieme di relazioni può essere rappresentato tramite il cosiddetto albero del ROE o

Piramide di Dupont.

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Fig. III.1 L’albero del ROE

Il ritorno sull’equity è, infatti, determinato in primo luogo dalla redditività del capitale

investito nella gestione caratteristica (sia esso capitale proprio o capitale di terzi) espressa dal ROI,

in secondo luogo dall’incidenza della gestione extracaratteristica (rappresentata dal TIGEC) e,

infine, di particolare importanza risulta anche l’indice di indebitamento (o leverage).

Per quanto concerne il ROI (che nel 2006 risulta pari al 6,14%), si può notare come tale

indicatore assuma un valore di molto inferiore rispetto a quello medio delle imprese appartenenti al

settore in cui la Centroitalia S.p.A. opera (cioè 15,8%). Inoltre, dal confronto temporale emerge una

diminuzione del ROI rispetto all’esercizio precedente superiore ad un punto percentuale.

Questo è riconducibile al fatto che, sebbene i ricavi siano più che raddoppiati rispetto al

precedente esercizio, il reddito operativo caratteristico non è aumentato in modo proporzionale

provocando, così, una diminuzione del rapporto. In termini assoluti, il miglioramento del ROC è

evidente, si passa da un valore di 72.984€ ad un valore di 104.757€, registrando, dunque, un

incremento del 44%. Il fatto che il ROS non abbia risposto ad un così consistente aumento delle

ROE return on equity

RN/PNmedio

ROI return on investment

ROC/CImedio

TIGECincidenza gest.

extracaratteristica

RN/ROC

LEVERAGE

CImedio/PNmedio

ROS return on sales

ROC/Ricavi

TOCI turnover capitale

investito

Ri i/CI

Analisi della leva

finanziaria

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vendite potrebbe essere una conseguenza di una politica commerciale eccessivamente aggressiva

implementata dall’azienda al fine di migliorare le vendite.

La politica commerciale seguita dall’impresa, però, potrebbe essere solamente uno dei

fattori che hanno causato la diminuzione del ritorno sulle vendite poiché si registra anche una

crescente incidenza dei costi sulla produzione dell’esercizio riconducibile non solo all’incremento

degli oneri per l’acquisizione dei fattori produttivi ricorrenti, ma anche e soprattutto alle

conseguenze economiche delle operazioni di leasing, le quali hanno provocato una incidenza

notevolmente maggiore dei costi per godimento beni di terzi rispetto al valore originario degli

ammortamenti. In valore assoluto, infatti, nel 2005 i costi godimento beni di terzi ammontavano

solo a 9.420€ e gli ammortamenti avevano un valore pari a 21.234€, mentre nel 2006 non soltanto il

valore degli ammortamenti è salito a 176.600€, conseguentemente ad alcune operazioni di

investimento effettuate nell’esercizio, ma i costi per godimento beni di terzi hanno assunto un

valore pari a 196.800€, notevolmente superiore a quello degli ammortamenti relativi all’esercizio

precedente.

Per comprendere le cause di una situazione di questo tipo è necessario fare riferimento ai

fattori che determinano questo indicatore, e cioè il ritorno sulle vendite (ROS) e il turnover del

capitale investito (TOCI). Il ROI è, infatti, dato dalla relazione:

CIRicavi

RicaviROCTOCIROSROI ×=×= , dalla quale si evince che la politica commerciale

particolarmente aggressiva implementata dall’azienda (incentrata sull’abbassamento dei prezzi o

sulla conquista di nuovi clienti al fine di conseguire maggiori ricavi) ha determinato un risultato

positivo in termini di rotazione del capitale che ha, infatti, registrato un aumento, ma ha condotto

anche ad un peggioramento del ritorno sulle vendite tale da non poter essere compensato dalla

maggior velocità di trasformazione del capitale in forma liquida. Senz’altro l’esercizio è stato

interessato anche da un’operazione di lease back realizzata sul fabbricato industriale il cui valore si

azzera nel bilancio 2006.

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Il ROS è, infatti, passato dall’ 11,24% del 2005 al 5,60% nel 2006 (scendendo anche al di

sotto del livello medio di settore pari al 6,2%) soprattutto in conseguenza della maggior incidenza

dei costi industriali sui ricavi tanto che il reddito operativo caratteristico non ha risposto in modo

adeguato ad un così ragguardevole incremento delle vendite.

Contrariamente alla tendenza del ROI, il ritorno sull’equity ha conosciuto un notevole

miglioramento che emerge non soltanto attraverso la comparazione temporale (dalla quale si rileva

un aumento di più di sei punti percentuali), ma anche tramite il confronto spaziale con la media di

settore dal quale si riscontra che la Centroitalia S.p.A. è caratterizzata da una redditività del capitale

proprio quasi doppia rispetto a quella delle sue concorrenti.

Nonostante quindi i risultati siano peggiorati in termini di ritorno sul capitale investito,

l’azienda beneficia di un effetto leva finanziaria positivo dal momento che il ROI (pari al 6,14%) si

mantiene comunque al di sopra della bassa onerosità del capitale di debito (ROD = 2,57%) che è,

peraltro, decisamente diminuita rispetto al passato. Nell’analisi della leva finanziaria relativa al

2005, il forte decremento del costo del debito è dovuto non soltanto al fatto che l’ammontare degli

oneri finanziari si è pressoché dimezzato, ma è soprattutto una conseguenza del maggiore ricorso ai

debiti commerciali i quali rappresentano fonti di finanziamento che non comportano oneri

aggiuntivi a carico dell’azienda. Il positivo grado di leva finanziaria è amplificato dal livello di

indebitamento che resta elevato, sebbene tale valore abbia subìto una drastica riduzione rispetto

all’esercizio precedente.

Nel caso della Centroitalia S.p.A., il ROE nel 2006 assume un valore molto elevato,

soprattutto se raffrontato con il risultato raggiunto nell’esercizio precedente e con quello conseguito

mediamente dalle imprese concorrenti, e questo risultato può essere imputato alla minor incidenza

della gestione extracaratteristica e inoltre risulta necessario prestare attenzione all’ultimo dei fattori

precedentemente individuati, cioè il leverage.

L’indice di indebitamento (o leverage), infatti, mette in luce l’assetto della struttura

finanziaria dell’impresa e, quindi, permette di comprendere come questa sia in grado di influenzare

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il livello del ritorno sull’equity. A tal fine si fa ricorso all’analisi della leva finanziaria che è data

dalla relazione: ( )OFRO

RNPNDRODROIROIROE

−×

×−+= .

La redditività del capitale proprio, dunque, è strettamente legata alla composizione delle

fonti a causa dell’effetto moltiplicativo generato dal quoziente di indebitamento (D/PN) che, però,

dipende a sua volta dallo spread esistente tra ROI e ROD. Ciò significa che l’azienda ha

convenienza ad indebitarsi fin quando la redditività del capitale investito risulta superiore

all’onerosità delle fonti esterne

=

DOFROD , poiché quanto maggiore sarà il valore assunto dal

rapporto tra capitale di debito e Patrimonio Netto (quanto maggiore sarà, dunque, il livello di

indebitamento), tanto più l’impresa trarrà beneficio in termini di ROE.

Se, infatti, si osserva la leva finanziaria relativa al 2006 si può notare come, nonostante la

diminuzione che il ROI ha subìto nel tempo, l’azienda possa beneficiare di un effetto leva positivo

dal momento che è abbastanza ampio il divario tra il ritorno sul capitale investito nella gestione

caratteristica e l’onerosità dei debiti.

Se si pone a confronto la situazione odierna con quella dell’esercizio precedente appare

evidente che, nonostante il decremento del ROI (passato dal 7,58% al 6,14%), il costo del debito ed

il quoziente di indebitamento risultano notevolmente diminuiti. Ciò dipende essenzialmente dal

fatto che l’azienda subiva, nel 2005, un effetto leva negativo poiché il ROI, pari al 7,58%, risultava

inferiore rispetto al ROD (6,08%) per cui, al fine di limitare l’effetto demoltiplicativo causato sul

ROE, gli amministratori della Centroitalia S.p.A. hanno adottato una strategia di ricapitalizzazione

in modo da abbassare il livello di indebitamento (che, infatti è sceso da 6,85 a 2,83, quasi

dimezzandosi) ed hanno deciso di orientarsi anche su fonti di finanziamento non onerose (come i

debiti connessi all’attività commerciale) per abbattere il costo del capitale di debito (e dunque il

livello degli oneri finanziari). Grazie a questi accorgimenti è stato possibile compensare più che

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ampiamente la flessione del ROI e raggiungere un livello di ritorno sul capitale proprio quasi

doppio rispetto a quello del 2005.

Dall’analisi del TIGEC si evince, infatti, che anche la gestione extracaratteristica ha avuto

un impatto contenuto sulla redditività d’impresa, poiché, laddove la gestione finanziaria ha eroso

circa il 30% del Reddito Operativo Globale, la gestione straordinaria è riuscita a compensare,

almeno parzialmente, il risultato di quella finanziaria. L’indicatore in esame è passato da un valore

molto contenuto di 0,14 relativo al 2005, ad un valore di 0,56 nel 2006. Il TIGEC rileva l’incidenza

delle gestioni non caratteristiche (l’accessoria patrimoniale, la gestione finanziaria, la gestione

straordinaria e quella fiscale); in proposito è possibile constatare che sono gli oneri finanziari ad

assorbire la quota più consistente della ricchezza operativa generata dall’azienda (circa il 34%),

mentre l’area straordinaria offre un contributo che, seppure positivo, viene vanificato dall’incidenza

dall’area tributaria la quale erode circa il 30% del reddito ante imposte.

Venendo alla struttura patrimoniale si osserva che il grado di rigidità degli impieghi ha

conosciuto un notevole incremento denotando un rovesciamento della situazione rispetto al 2004.

Dallo schema riclassificato dello Stato Patrimoniale si può ricondurre questo trend ad un sostanziale

incremento dell’attivo immobilizzato imputabile per lo più all’attivazione di nuovi investimenti in

immobilizzazioni materiali e, in piccola parte, anche immateriali.

Anche sul lato delle fonti è aumentata la rigidità consentendo all’azienda di incrementare il

proprio capitale permanente. Tale aumento risulta del tutto coerente con l’attività di investimento in

immobilizzazioni posta in essere dall’impresa; appare, infatti, migliorato il quoziente di auto

copertura delle immobilizzazioni il quale indica che il Patrimonio Netto aziendale ora è in grado di

coprire più della metà dell’attivo immobilizzato.

Nonostante tale incremento del quoziente di autocopertura rispetto al 2005, la solidità

aziendale risulta ancora insoddisfacente. Nonostante ciò la Centroitalia S.p.A. mantiene una buona

correlazione qualitativa tra impieghi e fonti dal momento che la parte non finanziata attraverso i

mezzi propri è più che sufficientemente coperta tramite le altre passività consolidate.

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La Centroitalia S.p.A. ha potuto migliorare la propria autonomia finanziaria riducendo in

modo consistente il grado di indebitamento il quale, ciononostante, si mantiene ancora su livelli

abbastanza elevati (l’azienda, infatti, è ancora per il 65% dipendente dal capitale di terzi, in

particolar modo dai debiti verso il sistema bancario che, in valore assoluto, risultano leggermente

diminuiti).

Questo incremento dell’autonomia finanziaria è ravvisabile, in termini assoluti, nella

crescita registrata dal Patrimonio Netto da imputare, in primo luogo, a considerevoli conferimenti

effettuati dai soci e, in secondo luogo, all’accantonamento degli utili che hanno permesso anche di

coprire le perdite accumulate in esercizi precedenti.

Analizzando l’indice di solidità del capitale si osserva come il Patrimonio Netto aziendale

sia composto quasi esclusivamente dal capitale sociale, essendo del tutto assenti le riserve di

capitale (ad eccezione della riserva di rivalutazione, la quale, comunque, assume un valore

relativamente trascurabile), a significare che i risultati economici storici non sono mai stati

soddisfacenti. Il Patrimonio Netto, seppur contenuto, è più che sufficiente per coprire le

immobilizzazioni immateriali e, quindi, il rischio intrinseco che le caratterizza.

Nel complesso l’azienda oggi risulta abbastanza rigida, con una buona correlazione fonti-

impieghi ma ancora troppo esposta verso i terzi anche se sta cercando di ridurre l’esposizione al

capitale di debito attraverso operazioni di ricapitalizzazione, sintomo evidente di un interesse dei

soci nel sostenere lo sviluppo.

Sotto il profilo della liquidità si segnala, in primo luogo, un miglioramento del current ratio

(indice di disponibilità) rispetto al 2005. Tale miglioramento dell’indice di disponibilità è dovuto in

parte alla dismissione delle immobilizzazioni finanziarie che, infatti, si sono azzerate fornendo

risorse liquide all’impresa ma principalmente al fatto che l’azienda ha effettuato delle operazioni di

lease back le quali hanno permesso di contenere l’aumento dell’attivo patrimoniale (nonostante

l’azienda abbia comunque implementato nuovi investimenti in immobilizzazioni, come sopra

discusso) e che hanno provocato un visibile incremento dei costi per godimento beni di terzi.

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L’attuale sistema contabile italiano, infatti, considera le operazioni di locazione finanziaria sotto il

profilo formale e ciò fa sì che l’impresa possa acquisire beni strumentali senza appesantire la

propria struttura patrimoniale e finanziaria.

Nonostante le operazioni di lease back e la dismissione delle immobilizzazioni finanziarie, il

current ratio non solo assume un valore inferiore rispetto a quello medio di settore, ma non ha

ancora raggiunto livelli tali da assicurare una liquidità ottimale all’azienda, fenomeno ancor più

evidente se si considera il valore dell’acid test ratio il quale risulta inferiore all’unità e quindi

potrebbe esporre l’impresa al rischio di difficoltà finanziaria.

Inoltre bisogna sottolineare il fatto che l’indice di liquidità ha registrato un andamento

discendente segnalando, se raffrontato col trend ascensionale dell’indice di disponibilità, che

l’equilibrio finanziario di breve periodo dipende in modo consistente dal magazzino e, quindi, dalla

capacità delle scorte di trasformarsi in liquidità. A tal proposito occorre prestare attenzione al fatto

che, dal confronto temporale, emerge un aumento del tempo medio di giacenza che rende più

critica la situazione finanziaria. Per quanto attiene, poi, gli altri importanti indicatori di durata, si

può dire che sussiste una buona correlazione tra giacenza media dei crediti e dei debiti; questo

garantisce una durata media del ciclo del circolante contenuta, il che limita il rischio di tensione

finanziaria.

In conclusione, l’impresa in esame gode di una buona redditività del capitale proprio, ma

deve prestare attenzione alla perdita di efficienza operativa testimoniata dall’ andamento

discendente del ROI ed al ridotto livello di autonomia finanziaria che genera un costo finanziario

molto rilevante.

Sarebbe, altresì, auspicabile anche una riduzione del livello di indebitamento, con particolare

riguardo ai debiti a breve termine in modo da ottenere effetti positivi sul fronte della liquidità.In

conclusione, anche se la Centroitalia S.p.A. presenta una buona redditività globale ed è riuscita a

migliorare la propria struttura finanziaria, non può non prestare particolare attenzione alla

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Linee guida metodologiche per la lettura critica del Bilancio AA. 2008/2009

Danilo Scarponi & Fatima Attili & Federica De Santis – Rev. 01 del 2009.04.15 Pagina 24 di 24

diminuzione del ROI che ha, inoltre, attenuato lo slancio positivo che la nuova composizione delle

fonti avrebbe potuto offrire al ritorno sull’equity. Occorre, pertanto, che l’azienda agisca sui fattori

che determinano il ROI, tenendo sempre in considerazione che essi sono legati da una legge di

proporzionalità inversa.

Una politica commerciale eccessivamente aggressiva, come quella attuale, se da un lato

offre un contributo positivo alla velocità di rotazione del capitale investito (dato dal rapporto tra

ricavi di vendita e capitale investito), dall’altro deprime il ROS per il quale, al contrario, i ricavi di

vendita si trovano al denominatore; se, oltre a ciò, l’incremento dei ricavi viene per la maggior parte

assorbito dai costi operativi, il ritorno sulle vendite subirà una flessione ancor più accentuata dal

momento che non solo aumenta il denominatore del rapporto, ma diminuisce anche il numeratore.

La Centroitalia S.p.A. deve, dunque, rivedere la propria strategia commerciale e cercare di

migliorare sotto il profilo dell’efficienza operativa in modo da garantire un’adeguata remunerazione

non solo del capitale di rischio, ma anche di tutto il capitale investito.

Per cercare di superare tale situazione, la Centroitalia S.p.A., che ha già implementato una

strategia finalizzata alla ricapitalizzazione mediante cospicui conferimenti a titolo di mezzi propri,

dovrebbe adottare una decisa politica di accantonamento degli utili i quali offrono maggiore

stabilità alla gestione e consentono all’impresa stessa di finanziare il proprio sviluppo senza dover

ricorrere a fonti di finanziamento esterne (ivi incluso il capitale proprio).

La minore esposizione verso il capitale di debito dovrebbe, altresì, comportare una riduzione

dell’esposizione a breve termine con l’obiettivo di ottenere benefici dal punto di vista della

liquidità.