L'indifferenza alla felicità nel pensiero della Cina antica

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  • 7/29/2019 L'indifferenza alla felicit nel pensiero della Cina antica

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    L'"indifferenza alla felicit" nel pensiero della Cina antica. Dialogo con Franois Jullien (Amina Crisma)

    Come ben sa il pubblico italiano che da sempre accoglie con grande interesse i suoi saggi, nei quali

    unacuminata intelligenza critica si esprime nelleleganza di una nitida prosa, Franois Jullien

    indubbiamente uno dei pi brillanti e affascinanti protagonisti nello scenario della riflessione e del dibattito

    sul pensiero cinese uno scenario che si notevolmente ampliato, approfondito e variegato nel corso negli

    ultimi anni, e che ha conosciuto e conosce vivaci sviluppi su versanti molteplici e in prospettive diverse.

    Esercizio della filologia e rinnovamento della pratica ermeneutica si sono fertilmente intrecciati, in modalit

    quanto mai varie, in tali recenti e significativi svolgimenti della sinologia, che hanno ridisegnato da cima a

    fondo le mappe delle tradizioni di pensiero del Paese di Mezzo e delle loro interpretazioni. Vi hannocontribuito voci, linguaggi e sensibilit differenti, che hanno dato luogo a una grande ricchezza e pluralit di

    esplorazioni: da un lato, si sono avute opere importanti che hanno proceduto a ridefinire e ad articolare il

    quadro dinsieme delle nostre conoscenze da Disputers of the Tao di A. C. Graham a Histoire de la pense

    chinoise di Anne Cheng *1+; dallaltro, si sono offerte fresche e stimolanti riletture dei classici (si vedano, in

    tal senso, le recentissime edizioni dei Dialoghi di Confucio a cura di Tiziana Lippiello e del Laozi a cura di

    Attilio Andreini, e i saggi sui grandi maestri della tradizione confuciana di Maurizio Scarpari [2]); e ancora, si

    sono sperimentate nuove strategie interpretative, nelle quali linterazione di filosofia e sinologia si

    espressa in un ampio ventaglio di diversificate declinazioni, svariando dalle riformulazioni creative di

    unispirazione pragmatista di cui offrono esempi insigni le opere di David L. Hall e Roger T. Ames *3+ alle

    radicali rimesse in discussione del tradizionale paradigma orientalistico che connotano gli audaci e

    imponenti lavori di Heiner Roetz [4], da inedite prospettive di comparativismo [5] a ponderate riflessioni

    sulle nuove frontiere dischiuse da sensazionali scoperte archeologiche che ci inducono oggi a rivisitare

    problematicamente molte di quelle che finora ritenevamo delle certezze acquisite [6]. E sullo sfondo di tali

    multiformi sviluppi, vi lacuta consapevolezza che per la cultura dellOccidente sar impossibile costruire

    un orizzonte di universalismo contestuale ossia una prospettiva tale da mantenere unistanza di

    universalit che peraltro si sottragga alla tentazione delluniformit, e tale da garantire il gusto della

    pluralit senza nondimeno cedere a un relativismo assoluto *7+ se essa sar incapace di adempiere

    allesigenza, indubbiamente ardua, e peraltro ineludibile negli scenari di un mondo globalizzato, di

    rendere giustizia ( di Paul Ricoeur questa bella e pregnante formulazione) alle grandi esperienze dipensiero della Cina [8], lasciandosi finalmente alle spalle gli stereotipi inerti e i giochi di specchi imperniati

    sulla dicotomia Occidente/Oriente.

    In tale dinamico, vasto e variegato panorama, il lavoro di Franois Jullien si connota originalmente per la

    peculiarit della sua proposta, allincrocio fra filosofia e sinologia, che si sviluppata in una serie di raffinate

    variazioni su temi diversi dalle concezioni del mondo che sono argomento di Procs ou cration (1989) e

    di Figures de limmanence (1993) alla dimensione estetica esplorata in Eloge de la fadeur (1991) e in Le Nu

    impossibile (2005), dallindagine sulle nozioni di strategia svolta nel Trait de lefficacit (1996)

    allinterpretazione della saggezza proposta in Un sage est sans ide (1998), dalla riflessione sulletica di

    Fonder la morale (1995) a quella sul tempo di Elments dune philosophie du vivre (2001) *9+.

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    Una molteplicit di letture messa in gioco in un discorso che esplicitamente rifiuta di circoscriversi in un

    ambito specialistico e altrettanto esplicitamente rifugge dal dislocarsi su di un piano divulgativo, per

    additare la prospettiva di un uso filosofico della Cina i cui aspetti salienti, esplicitati in varie occasioni,

    sono sinteticamente riformulati nelle pagine di Penser dun dehors, il denso volume nel quale Jullien,

    dialogando con Thierry Marchaisse, traccia la propria autobiografia intellettuale e riassume gli orientamenti

    fondamentali della propria ricerca.

    La pense chinoise nous dcouvre dautres cohrences; elle nous fait revenir, en amont, sur les partis pris

    de notre Raison. Elle est donc plus mme, aujourdhui, dintriguer la pense et dbranler la philosophie

    [10].

    cos un vasto orizzonte progettuale che Jullien dischiude, nel quale il richiamo alla lezione di Marcel

    Granet il geniale autore di quel grande libro, divenuto ormai un classico, che La pense chinoise (1934)

    [11]si salda con il metodico ricorso allo strumento delleterotopia desunto da Michel Foucault: si tratta

    di una prospettiva in cui far incontrare ci che non si mai incontrato; in tal modo, il confronto con

    lAltrove che il pensiero cinese rappresenta rispetto alla ragione europea offre a questultima loccasione diriflettere su di s, di scoprire i presupposti impliciti e i partiti presi del logos, di aprirsi ad altre forme di

    intelligibilit possibili [12].

    Cos, ad esempio, in Le dtour et laccs (1995) *13+ Jullien si incarica di mostrare quale intima coerenza

    sottenda la predilezione dei letterati cinesi per lespressione allusiva e per lapproccio obliquo, che pu

    apparire tanto sorprendente rispetto alle modalit dirette ed esplicite di discorso che ci sono familiari. Ed ,

    ancora, lintima coerenza di un linguaggio che agli occhi dellOccidente risulta sconcertante e paradossale

    ci che Jullien si propone di mostrare in quello che forse il pi intenso e suggestivo fra i suoi lavori, La

    Grande Image na pas de forme (2003), dedicato alla pittura cinese di paesaggio e alla concezione del

    mondo che vi si esprime [14]. Come nella lirica, cos nella pittura cinese, anzich assistere ad unadefinizione netta di oggetti, dai contorni chiari e precisi, siamo messi di fronte ad una sorta di dissoluzione

    della presenza nellassenza: presenza e assenza, termini per noi opposti, si rivelano correlati e coimplicati

    in modalit di rappresentazione che privilegiano atmosfere indecise e imprecise, vaghe e indeterminate.

    Per Jullien, lideale assoluto della presenza (la pienezza dellEssere, Dio) ad informare le concezioni

    estetiche proprie della tradizione occidentale non meno della filosofia nata in Grecia, e a tale ideale si

    connette, e in essa ha radice, il pathos dellassenza. N luno n laltro, egli rileva, compaiono nelle

    concezioni e nelle rappresentazioni del Paese di Mezzo, che sono al di l, o meglio al di qua, dellestasi e

    del dramma. In esse, le cose sembrano simultaneamente emergere ed immergersi, apparire e scomparire

    a un tempo, e perfino quelle che noi diremmo le pi solide, ferme, massicce entit le montagne vi

    divengono fluttuanti visioni, il cui profilo sfuma fra nebbie e nubi.

    dunque un intreccio di presenza e assenza, visibile e invisibile, manifesto e latente a costituire lo spazio

    della pittura, in sintonia con il paradossale linguaggio del Laozi o Daodejing (Classico della Via e della Virt

    o, come sarebbe pi appropriato tradurre, Classico della Via e della sua Potenza), dal quale tratto

    lenunciato che d il titolo al libro. Secondo il celebre classico taoista, la Via (Dao) non definibile se non in

    modalit apofatiche; essa sfugge ad ogni denominazione, si sottrae ad ogni determinazione, pur

    sottendendole tutte: linfinita processualit che si dispiega nella dialettica di non esserci (wu) ed

    esserci (you), di latente e manifesto. Il suo grembo inesauribilmente fecondo il vuoto invisibile fondo

    di immanenza da cui incessantemente promana la molteplicit visibile. La sua potenza (virt, de) sta nel

    non agire (wu wei), sovrana efficacia della spontaneit del divenire.

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    tale fondo/sfondo invisibile il non-oggetto che la pittura cinese dipinge tramite il visibile, ed per

    questo che i suoi paesaggi (anche ove si tratti soltanto di qualche roccia e di qualche stelo) non sono

    meramente una veduta parziale e limitata, ma una rappresentazione che evoca la totalit intera, nel suo

    intimo dinamismo e nel suo eterno fluire. Ed tale presenza dellinvisibile nel visibile, del vuoto nel pieno, a

    costituirne la peculiare spiritualit una spiritualit antitetica rispetto alla genealogia metafisica e

    religiosa dellOccidente, e dirompente rispetto allo spiritualismo fossilizzato che, nellalveo dellideologia

    europea, ha irrigidito e reso sterile il concetto di spirituale, sostanziandolo in modo dogmatico [15].

    Si rende percepibile qui una vena polemica che sottende e pervade lintero cantiere del lavoro di Jullien,

    conferendovi quella caratteristica verve, quel particolare sapore asprigno (tuttaltro che fade) che stuzzica il

    palato dei suoi lettori. Si pu cogliervi un intento critico nei confronti dellontoteologia; ma, pi in generale,

    dichiarata finalit della sua opera per il tramite del confronto con il pensiero cinese scuotere

    latavismo che governa il pensiero dellOccidente, rimettendo sistematicamente in causa luoghi comuni,

    frontiere disciplinari, concetti invalsi, istituzioni e legittimazioni, in una prospettiva che appare non dissimile

    dalle strategie di decostruzione dellappartenenza elaborate da Jacques Derrida, e nella quale si pu in

    certo qual senso cogliere la rielaborazione creativa di un rivisitato illuminismo. Poter scrivere sul pensiero

    cinese come nel XVIII secolo *16+, ossia coniugare il rigore dellerudizione allinteresse e al piacere della

    riflessione, costituisce daltronde una dichiarata aspirazione di Jullien, che si esprime nella peculiare cifra

    stilistica di una prosa mirabilmente limpida, ironica e brillante.

    E peraltro, questopera cos stimolante non manca di suscitare, oltre che lappassionato consenso di un

    pubblico vasto, anche vivaci discussioni. Un attacco clamoroso, e assai aspro (e forse con qualche eccesso di

    personalizzazione e di semplificazione) gli muove Jean-Franois Billeter, in un pamphlet dallinequivoco

    titolo Contre Franois Jullien (Allia, Paris 2006) nel quale gli rivolge, in sostanza, laccusa di accreditare le

    mythe de lalterit de la Chine.

    Con la finezza e il garbo che lo contraddistinguevano, aveva da parte sua espresso qualche perplessit su

    taluni aspetti della proposta di Jullien, e qualche riserva su talune implicazioni della possibilit di penser

    chinois en franais Paul Ricoeur [17]; e il rischio di ricondurre, in fondo, il confronto con il pensiero cinese

    sui binari di una opposizione dicotomica un po scontata fra Oriente e Occidente non sembra del tutto

    estraneo alla prospettiva delineata dal filosofo e sinologo francese. Ad esempio, ne Le sage est sans ide, il

    vis-a-vis de la Chine et de lOccident viene declinato sul versante di unantitesi paradigmatica tra

    Saggezza e Filosofia che finisce per costruire, per cos dire, un loge de la fadeur de la sagesse dal risultato

    alquanto ambivalente, e unimmagine a ben vedere forse un po troppo stereotipata del Saggio per

    antonomasia, ossia Confucio.

    La contrapposizione tra conformismo della saggezza cinese e potenza emancipatrice della filosofia nata in

    Grecia, tematizzata nelle pagine conclusive del libro, un esito piuttosto curioso per una decostruzione,

    poich si tratta, in fondo, di ci di cui lOccidente stato da sempre convinto, almeno a far tempo dalle

    hegeliane Lezioni sulla filosofia della storia [18]. E peraltro, la difficolt di uscire da Hegel che qui

    esplicitamente viene dichiarata costituisce un problema quanto mai rilevante, e davvero non eludibile per

    una prospettiva filosofica che si proponga seriamente la questione del confronto interculturale, e la sua

    tematizzazione rappresenta dunque una quanto mai opportuna sollecitazione problematica.

    Per quanto si possano muovere delle obiezioni ad alcune delle sue tesi, sono comunque sempre delle assai

    intelligenti provocazioni quelle che Jullien ci consegna, delle fertilissime sollecitazioni a ripensare e aripensarsi, che sono molto feconde anche quando vi siano motivi per dissentirne, e forse anzi

    particolarmente in tal caso.

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    linguaggio e di pensiero che ci spiazza e ci sconcerta, perch in esso non compaiono le grandi questioni che

    a noi appare ovvio porre. Cos questo ci induce a ripensare, a riflettere criticamente e autocriticamente

    sulle idee e sui concetti che nel nostro orizzonte, per dir cos, vanno da s

    Indubbiamente, su questo aspetto delle cosmogonie assenti nelle tradizioni cinesi antiche, in base ai texti

    recepti, mi sembra che non si possa che esser daccordo con lei, e cos pure per quanto concerne lasollecitazione problematica che tale significativa assenza consegna alla nostra riflessione: questo silenzio

    sulle origini certamente per noi pregno di interrogativi da esplorare. Tuttavia, c non tanto

    unobiezione, quanto un dato ulteriore che vorrei porre alla sua attenzione, in proposito, cos come lho

    posto allattenzione del pubblico dibattito nel corso del convegno. Come certamente sa, attualmente nel

    panorama delle conoscenze del pensiero antico ha fatto irruzione una gran quantit di materiali testuali

    finora ignoti, di et pre-imperiale (mi riferisco, ad esempio, ai cosiddetti manoscritti di Guodian). Si tratta

    sia di versioni finora ignote di testi gi noti (tra cui una versione parziale del Laozi che oggi la pi antica in

    nostro possesso), sia di una grande abbondanza di testi finora del tutto sconosciuti, e di cui si era finora

    persa ogni traccia. Su queste scoperte sensazionali il lavoro esegetico assai difficile, ed tuttora un work

    in progress; tuttavia credo non sia improbabile prevedere che queste nuove scoperte avranno una portata

    davvero dirompente, forse analoga a quella che ha avuto per gli studi delle origini del cristianesimo la

    scoperta dei manoscritti di Qumran. Mi sembra particolarmente importante, fra laltro, segnalare che fra

    questi inediti di straordinario interesse vi sono proprio dei testi cosmogonici di cui finora nulla si sapeva,

    come lo stupendo trattato intitolato tai yi sheng shui, ossia il Grande Uno genera lacqua *22+. Insomma,

    linteresse cosmogonico, in base a questi reperti, risulterebbe assai pi presente nella Cina antica di quanto

    finora non si potesse immaginare. Non pensa dunque che queste scoperte potrebbero indurci, in un futuro

    non lontano, a ridefinire completamente e radicalmente i nostri discorsi attuali intorno alle caratteristiche

    generali del pensiero cinese dellet classica?

    Non che non mi interessino le nuove scoperte di materiali testuali come quelli di Guodian. E peraltro, la

    mia risposta alla sua obiezione la seguente: le nuove scoperte non ci esonerano certo dal misurarci con le

    tradizioni cinesi cos come esse si sono effettivamente costituite. I nuovi reperti ci possono, certo, mostrare

    che altre vie del pensiero si potevano percorrere; e cionondimeno, rimane in tutta la sua densit con cui ci

    dobbiamo confrontare, la questione che sono state certe determinate vie, e non altre, quelle che il

    pensiero ha preferito percorrere, e che ha effettivamente percorso la Cina classica.

    Veniamo dunque alla questione della felicit. La felicit non forse un tema universalmente umano, e

    universalmente condiviso, ovvio e naturale? Non forse laspirazione di tutti gli umani sotto il Cielo, in

    tutte le epoche e a tutte le latitudini?

    In effetti, sono in molti a ritenere che la felicit sia il minimo comun denominatore dellumanit intera,

    laspirazione alla cui realizzazione tutti gli umani, in tutte le culture, senza eccezione, tenderebbero. Ma

    penso che la questione stia in termini diversi, proprio in riferimento allo sfondo dellAltrove che si fin qui

    evocato, e cerco di argomentarlo in Nutrire la vita, senza aspirare alla felicit, in particolare nel IX capitolo

    [23]. Tento qui di riassumere la mia tesi in proposito.

    In genere, si disposti ad ammettere che la questione della verit sia una figura peculiare nella vicenda

    dello spirito; e analogamente, si disposti ad ammettere che ci che chiamiamo ragione sia connesso con

    una vicenda di pensiero peculiarmente europea. Ma quando si tratta della felicit, subito ci si obietta: ma

    come? La felicit non forse ci che tutti, ma proprio tutti, senza eccezione, vogliono? Certamente, ci sardissenso su ci che costituisce la felicitsul suo contenuto.

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    S, lidea di felicit di Aristotele, poniamo, non coincide con quella di Emma Bovary

    Certamente, e dunque si ammette facilmente che gli uomini non sono daccordo, non si intendono sul

    contenuto della felicit, e peraltro, questo nella convinzione comune non intacca il suo statuto di idea

    regolativa: la felicit per definizione il fine, lo scopo a cui tutti senza eccezione tenderebbero.

    Ebbene, a me sembra che lidea stessa di felicit sia indissociabile da quella di finalit: ossia di un agire

    orientato verso uno scopo. quanto ci dice chiaramente lEtica Nicomachea, e in tale direzione per

    quanto diversi siano i contenuti, come ho detto, che si danno alla felicit in tale direzione finalistica e

    teleologica muove tutta la cultura europea, fino ai romanzi con il loro pathos, fino a Freud e oltre. la

    dialettica del tendere a, del desiderio e dello scopo da raggiungere. E c tutto il dramma della tensione

    di una tensione tendenzialmente infinita, e dello scacco che vi inerisce, e tutte le peripezie del tormento e

    dellestasi.

    A me pare che la Cina antica abbia disegnato un diverso scenario. Certamente, la Cina ha conosciuto, a

    partire dallet arcaica, lidea di una felicit o di una prosperit, di una buona sorte, di un favore ascrivibilealle divinit, al cielo o agli antenati, ma essa di natura eminentemente materiale, e cos negli auguri per

    lanno nuovo si formulano auspici di ricchezza e di prole, molto denaro, molti bambini; in questo senso

    una nozione prossima a quella che inizialmente era leudaimonia per i greci, nel senso di buona sorte

    concessa dagli dei. Ma sul versante greco il pensiero della felicit evolve in una nozione che non ha pi a

    che fare con la prosperit conferita da potenze esterne per approfondirsi nellanima, psyche, che diventa

    lautentico supporto della sua esigenza. Cos si dice che lanima la dimora della felicit, e non si potr

    concepire per luomo che luniversalit di questo fine che la felicit, e da allora in poi neppure si potr

    concepire che luomo non possa non tendere a.

    Ma questidea non universale, bens legata a una sintassi particolare, come ci mostra la Cina antica,dove non vi psych e non vi tlos: senza anima e senza scopo, lidea della felicit non pu elevarsi a

    termine ideale.

    La saggezza della Cina antica non fatta tanto di felicit, quanto piuttosto di una disponibilit che

    favorisce la viabilit: proprio come quando dite correntemente a va.

    Il tao (la via) non concepito come una via che porta a qualcosa (alla verit, alla felicit ecc.); gli uomini vi

    sono immersi: come pesci nellacqua.

    E cos dunque, in assenza di tensione teleologica, in assenza di tensione verso uno scopo, lidea di felicit

    non viene enfatizzata in alcun modo. La vita, sgombra di questa tensione, di questa fissazione, di questaossessione, procede a regolarsi e a determinarsi da s. La saggezza assecondare i suoi processi: nutrire la

    vita (yang sheng), senza irrigidirsi nellossessiva direzione di uno scopo, e la serenit questa fluida

    adesione al vivere, limpida, sgombra da ogni elemento che intorbidi o faccia ostruzione. Il vitale e il morale

    non vengono, in tale concezione, contrapposti, poich non vi una costruzione di fini rivolti verso un Fine

    ultimo. Il Saggio non corrisponde a una logica della finalit, ma a una logica della conseguenza.

    Nel Zhuangzi se ne ha la chiarissima illustrazione, laddove si dice: Senza doversi macerare lo spirito, la sua

    vita elevata; senza dover trattare di morale, si perfeziona; senza dover compiere grandi gesta, fa regnare

    lordine nel mondo; senza dover vivere in riva ai fiumi o al mare, gode dellozio *24+. Il Saggio raccoglie

    tutte le possibilit, proprio perch non tende verso alcuna; paradossalmente, egli ottiene tutto ci a cui nonmira. Proprio perch egli capace di distacco egli consegue: poich egli non ha di mira leffetto, e non

    ricerca alcunch, leffetto scaturisce, leffetto viene lasciato procedere.

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    Vorrei poter ascoltare ancora a lungo Franois Jullien, ma lo attende il suo aereo per Parigi; non c pi

    tempo. la prochaine...

    Resta solo qualche attimo per congedarci, e per accogliere la sua bonariamente ironica esortazione

    finale: Soyez sage!

    E-mail:

    Amina Crisma Amina Crisma

    [1] A.C. GRAHAM, La ricerca del Tao. Il dibattito filosofico nella Cina classica, Neri Pozza, Vicenza 1999 (ed.

    or. 1989); A. CHENG, Storia del pensiero cinese, Einaudi, Torino 2000 (ed. or. 1997).

    [2] T. LIPPIELLO (a cura di), Confucio. Dialoghi, Einaudi, Torino 2003; A. ANDREINI, Laozi. Genesi del

    Daodejing, Einaudi, Torino 2004; M. SCARPARI, La concezione della natura umana in Confucio e Mencio,

    Cafoscarina, Venezia 1991; ID., Xunzi e il problema del male, Cafoscarina, Venezia 1997; ID., Studi sul

    Mengzi, Cafoscarina, Venezia 2002.

    [3]D.L. HALL R.T. AMES, Thinking Through Confucius, State University of New York Press, Albany 1987; ID.,

    The Democracy of the Dead. Dewey, Confucius, and the Hope for Democracy in China, Open Court, Chicago

    and Lasalle (Illinois) 1999.

    [4] H. ROETZ, Mensch und Natur im Alten China, Peter Lang, Frankfurt am Main 1984; ID., Confucian Ethics

    of the Axial Age, State University of New York Press, Albany 1993. Per un sintetico quadro della critica al

    paradigma orientalistico tradizionalmente riferito alla Cina, cfr. A. CRISMA, Conflitto e armonia nel

    pensiero cinese dellet classica, Unipress, Padova 2004, pp. 3-24.

    [5] G.E.R. LLOYD, Ancient Worlds, Modern Reflections. Philosophical Perspectives on Greek and Chinese

    Science and Culture, Oxford University Press, 2004.

    *6+ M. SCARPARI, The Master said...or Didnt He?, in A. RIGOPOULOS (a cura di), Guru. The Spiritual Master

    in Eastern and Western Traditions: Authority and Charisma, Cafoscarina, Venezia 2004, pp. 437-470; ID.,

    Aspetti formali e tecniche di recupero dei codici manoscritti cinesi antichi, in Litterae caelestes, 1, 2005,

    pp. 105-130; ID., Tra manoscritti e tradizione: la produzione del testo scritto nella Cina antica, in G. BOCCALI

    e M. SCARPARI (a cura di), Scritture e codici nelle culture dellAsia: Giappone, Cina, Tibet, India. Prospettive

    di Studio, Cafoscarina, Venezia 2006, pp. 183-202; A. ANDREINI, Nuove prospettive di studio del pensiero

    cinese antico alla luce dei codici manoscritti, in Litterae caelestes, 1, 2005, pp. 131-157; ID., Il destino di

    un codice: guasti, diffrazioni e traversie nella tradizione del Min zhi fumu, in G. BOCCALI - M. SCARPARI (a

    cura di), Scritture e codici nelle culture dellAsia, cit., pp. 203-232.

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    *7+ In tema di universalismo contestuale, cfr. U. BECK, Che cos la globalizzazione. Rischi e prospettive

    della societ planetaria, Carocci, Roma 2001, pp. 100-110.

    [8] Cfr. P. RICOEUR, Finitudine e colpa, Il Mulino, Bologna 1970, pp. 26-28.

    *9+ F. JULLIEN, Processo o creazione, Pratiche, Parma 1991; ID., Figure dellimmanenza, Laterza, Bari 2004;ID., Elogio dellinsapore, Raffaello Cortina, Milano 1999; ID., Il nudo impossibile, Sossella, Roma 2004; ID.,

    Trattato dellefficacia, Einaudi, Torino 1998; ID., Il saggio senza idee, Einaudi, Torino 2002; ID., Fonder la

    morale, Grasset, Paris 1995; ID., Il tempo. Elementi di una filosofia del vivere, Sossella, Roma 2002.

    [10] F. JULLIENT. MARCHAISSE, Penser dun dehors (la Chine). Entretiens dExtrme-Occident, Seuil, Paris

    2000, p. 6.

    [11] M. GRANET, Il pensiero cinese, Adelphi, Milano 1971.

    [12] F. JULLIENT. MARCHAISSE, Penser dun dehors, cit., pp. 9-25, 183-195, 365.

    [13] F. JULLIEN, Strategie del senso in Cina e in Grecia, Meltemi, Roma 2004.

    [14] ID., La grande immagine non ha forma, Angelo Colla, Vicenza 2004.

    [15] Ivi, p. 113.

    [16] ID., Processo o creazione, cit., p. 9.

    [17] P. RICOEUR, Note sur Du temps. lments dune philosophie du vivre, in T. MARCHAISSE (a cura di),

    Dpayser la pense. Dialogues htrotopiques avec Franois Jullien sur son usage philosophique de la

    Chine, Les Empcheurs de penser en ronde/Le Seuil, Paris 2003, pp. 211-223.

    *18+ Cfr. A. CRISMA, Recensione a F. Jullien, Il saggio senza idee, in Asiatica Venetiana, 6/7, 2001/2002,

    pp. 293-297.

    *19+ Antropogenesi. Ricerche sullorigine e lo sviluppo del fenomeno umano, primo seminario, Dallenergia

    alla vita, Polo interuniversitario di Portogruaro, 19-21 ottobre 2006.

    [20] F. JULLIEN, Nutrire la vita. Senza aspirare alla felicit, Raffaello Cortina, Milano 2006.

    [21] Riporto qui, nella traduzione di A. CHENG, Storia del pensiero cinese, vol. I, p. 130, il passo del

    Zhuangzi, 14, a cui si fa riferimento in questo luogo: Il Cielo gira? La Terra ferma? Il sole e la luna si

    disputano il loro posto? Chi preside a tutto ci? Chi lo coordina? Chi, senza far nulla, vi conferisce impulso e

    moto?

    [22] Cfr. A. ANDREINI, Nuove prospettive di studio del pensiero cinese antico alla luce dei codici

    manoscritti, in Litterae caelestes, 1, 2005, pp. 131-157; M. SCARPARI, Tra manoscritti e tradizione: la

    produzione del testo nella Cina antica, cit., pp. 183-202.

    [23] Cfr. F. JULLIEN, Nutrire la vita, cit., pp. 113-134.

    [24] Ivi, p. 127.

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    Da: http://www.cosmopolisonline.it/20061108/crisma.html