LIBRETTO PER OPAC - Comune di Desenzano del Garda · libro autobiografico I sette pilastri della...

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Percorsi di Villa Brunati -III- PETER O’TOOLE Da Lawrence d’Arabia a Ratatouille 1962 - 2007 a cura di Artur Alipkaliyev 2015

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Percorsi di Villa Brunati -III-

PETER O’TOOLE Da Lawrence d’Arabia a Ratatouille

1962 - 2007

a cura di Artur Alipkaliyev

2015

Ricerca realizzata da Artur Alipkaliyev nell’ambito del tirocinio universitario svolto nella Biblioteca Civica A. Anelli di Desenzano del Garda (convenzione con l’Università degli studi di Bologna n. 11071 del 09/10/2014)

DA LAWRENCE D’ARABIA A RATATOUILLE

The unluckiest actor in the history (l’attore più sfortunato della storia). Così fu definito Peter O’Toole per il suo poco invidiabile record: 8 nomination all’Oscar, sempre come miglior attore protagonista, e mai una vittoria. Per ‘riparare’ a questa mancanza, l’Academy gli assegnò l’Oscar alla carriera nel 2003, consegnatogli da Meryl Streep. Ma a riguardare la vita e la carriera di questo attore, non si può certo dire che sia stato sfortunato.

Nato a Conemara (Irlanda) il 2 agosto del 1932, Peter O’Toole fu testimone sin da piccolo di atrocità, guerre e povertà: prima i continui scontri armati tra i ribelli irlandesi e l’esercito britannico, poi la Seconda Guerra Mondiale. Proprio durante questi anni, O’Toole e la sua famiglia furono costretti a trasferirsi a Leeds, in Inghilterra. Abbandonata l’educazione rigida delle suore e aiutato dalla figura carismatica del padre, dotato di pragmatismo e di immenso senso dell’umorismo, il giovane Peter iniziò ad affrontare il mondo a modo suo. Fece il muratore, il giornalista, il marinaio presso la Royal Navy, l’allenatore e giocatore di cricket e, quasi per scherzo, fece un provino per la borsa di studio presso la Royal Academy of Dramatic Arts, una tra le più antiche e

rinomate scuole di teatro del mondo. I professori chiusero un occhio sulla sua impreparazione e gli assegnarono la borsa di studio, perché intravidero un talento innato e una forte personalità. Da quel momento, O’Toole non avrebbe più abbandonato la recitazione e proprio nella scuola di teatro avrebbe incontrato il suo migliore amico: Richard Harris.

Il suo debutto risale al 1949, presso il Teatro pubblico di Leeds. Da quella data O’Toole ha recitato ininterrottamente sui palcoscenici più importanti di Londra e Broadway, lavorando con i più grandi registi e attori dell’epoca, diventando lui stesso uno dei più apprezzati e celebri attori teatrali e shakespeariani del Novecento. La sua ammirazione verso William Shakespeare è degna di nota: sapeva a memoria tutti i 154 sonetti del Bardo. Fu l’attore di punta dell’Old Vic e del National Theatre di Londra per molti decenni. In un’intervista rilasciata nel 2007 espresse la sua delusione per il livello qualitativo degli attori delle ultime generazioni: affermò che sono necessari un allenamento e un’educazione che partano dal teatro.

Nel 1999 Peter O’Toole recitò Jeffrey Bernard is Unwell, un’opera teatrale scritta per lui da Keith Waterhouse e grazie alla quale vinse il Laurence Olivier Award. Questo spettacolo rappresenta l’addio di O’Toole al teatro; si ritirò per l’incapacità di sostenere fisicamente il serrato ritmo delle prove.

L’addio alla sua grande passione non lo scoraggiò e gli fece ottenere altri riconoscimenti sia dalla critica che dal pubblico per le sue interpretazioni al cinema e in televisione. Ma il 12 luglio del 2012 Peter O’Toole annunciò il totale ritiro dalla recitazione e il 14 dicembre 2013 morì a Londra, a seguito di una lunga malattia. Nella sua vita avventurosa e imprevedibile fu sposato per 20 anni con l’attrice Sian Phillips ed ebbe tre figli: Kate, Patricia e Lorcan. Era un uomo libero: in più di una occasione, la regina Elisabetta II gli offrì il cavalierato, ma lui rifiutò a causa delle sue origini irlandesi.

Per quanto riguarda il cinema, Peter O’Toole fece il suo debutto sui grandi schermi nel 1960 con Il ragazzo rapito di Robert Stevenson. Ma la fortuna e il successo arrivarono per lui due anni dopo. Nel 1962 recitò in Lawrence d’Arabia di David Lean interpretando il ruolo del protagonista: il colonnello Terrence Edward Lawrence, che è ritenuto il suo personaggio più famoso.

Con questo film parte questo percorso sulle pellicole più famose interpretate da Peter O’Toole. Si passano in rassegna anche gli 8 film per i quali è stato candidato all’Oscar. Si attraversano quasi 50 anni di storia del cinema e numerosi generi, in cui O’Toole riuscì a raggiungere l’eccellenza.

Per capire la sua personalità, la sua vita e la sua carriera, bisogna citare il suo motto, che lui scrisse nel suo diario quando aveva 18 anni:

«I will not be a common man. I will stir the smooth sands of monotony. I do not crave security. I will hazard my soul to opportunity.»

(Io non sarò un uomo comune. Spazzerò via le piatte dune sabbiose della monotonia. Non desidero la sicurezza. Darò la mia anima all’opportunità.)

Il curatore

Lawrence d’Arabia

un film di David Lean con Peter O’Toole, Omar Sharif, Anthony Quinn, Alec Guinness, Jack Hawkings titolo originale: Lawrence of Arabia STORICO, durata 222' min. Gran Bretagna 1962

Trama

Il film racconta la vita e le imprese militari del colonnello inglese Terrence Edward Lawrence (Peter O’Toole) nei deserti dell’Arabia, durante la Prima Guerra Mondiale. Per convincere le tribù arabe ad unirsi in un unico esercito e contrastare l’armata turca, il governo britannico intavola numerose trattative cogli emiri e i capotribù senza risultati soddisfacenti. Lawrence, un giovane cartografo e grande esperto della cultura arabo-islamica, viene spedito ad aiutare il colonnello Brighton (Anthony Quayle), consulente del lungimirante ed ambizioso emiro Faysal (Alec Guinness). Il rispetto e la conoscenza per la cultura araba

di Lawrence sorprendono l’emiro, che gli affida il comando del suo esercito per soddisfare le promesse del colonnello inglese. Grazie ai propri successi militari e ad alcuni eventi favorevoli, Lawrence diventa una figura carismatica, un eroe in grado di riunire sotto un’unica bandiera le numerose tribù contro il nemico turco. Ma gli intrighi dell’alto commando britannico insieme alla smisurata ambizione e all’egocentrismo di Lawrence porteranno quest’ultimo a molti problemi, sia militari che personali. La fortuna

Sin dalle prime apparizioni nelle sale cinematografiche americane, Lawrence d’Arabia diventò un successo sia di critica che di pubblico. In particolare, sono lodati gli effetti visivi, la colonna sonora del compositore francese Maurice Jarre, la sceneggiatura di Robert Bolt e Michael Wilson (basata sul libro autobiografico I sette pilastri della saggezza di T. E. Lawrence e su documenti storici riguardanti la Rivolta araba) e la performance di Peter O’Toole, che all’epoca era poco più che un esordiente e sconosciuto al pubblico americano. Lo stesso O’Toole ammise che il successo del film

giunse immediatamente e che divenne una star a livello mondiale in brevissimo tempo. Entertainment Weekly e Première, due riviste americane di cinema, hanno inserito la performance di O’Toole al primo posto nelle proprie liste sulle grandi interpretazioni di tutti i tempi. L'American Film Institute ha classificato quest'opera al settimo posto nella lista “I film più belli di sempre” e al primo posto nelle pellicole appartenenti al genere epico. Mentre T. E. Lawrence, interpretato da O'Toole, è stato posizionato al decimo posto dei più grandi eroi della storia del cinema.

Lawrence d'Arabia e la regia di David Lean hanno influenzato in modo evidente il lavoro di Sam Peckinpah, Ridley Scott, George Lucas, Martin Scorsese e Steven Spielberg. Quest'ultimo ha affermato di guardare sempre questo film e Il ponte sul fiume Kwai, sempre di Lean, prima di dirigere un nuovo lavoro. Nel 2000 Spielberg e Scorsese hanno curato la versione restaurata della pellicola. Durante la 35esima edizione degli Academy Awards, nel 1963, il film vinse 7 Oscar su 10 nomination. Trionfò nelle categorie del miglior film, regia, fotografia, scenografia, montaggio, sonoro e colonna sonora, mentre furono battuti sia Omar Sharif come miglior attore non protagonista che Robert Bolt e Michael Wilson nella categoria della miglior sceneggiatura non originale. Peter O'Toole perse a favore di Gregory Peck, avvocato integerrimo ne Il buio oltre la siepe. Curiosità Le riprese durarono un intero anno nei deserti dell'Africa settentrionale e della Spagna. Ci fu un sentimento generale di stanchezza, ma si creò una speciale amicizia tra tutti i membri del cast e della crew, soprattutto fra O'Toole e Sharif. O'Toole affermò di aver svolto una ricerca su Lawrence d'Arabia per capirne la personalità e di esserne rimasto terrorizzato. Tratto dal libro

I sette pilastri della saggezza di T. E. Lawrence titolo originale: Seven Pillars of Wisdom pubblicato in Gran Bretagna nel 1922 e in Italia nel 1949

Becket e il suo re

un film di Peter Glenville con Richard Burton, Peter O'Toole, John Gielgud, Paolo Stoppa, Gino Cervi titolo originale: Becket STORICO, durata 148' min. Gran Bretagna 1964

Trama Nel XII secolo Enrico II Plantageneto (Peter O’Toole) siede sul trono d’Inghilterra e governa su vasti possedimenti in Francia. Irascibile, permaloso, sprezzante ed egoista, il monarca ha un solo vero amico e consigliere: Thomas Becket (Richard Burton). Quest’ultimo è compagno del sovrano in numerose avventure, battaglie e conquiste amorose. Fidandosi ciecamente di lui, Enrico II decide di nominarlo arcivescovo di Canterbury, massima autorità spirituale della Chiesa anglicana, nella speranza di ottenere il controllo assoluto sul clero. Con il passare del tempo, Becket subisce una trasformazione: da giovane gaudente e festaiolo a uomo devoto a

Dio. Inizia ad opporsi apertamente al volere del sovrano, scomunica alcuni nobili graditi ad Enrico e insiste sulla supremazia del tribunale ecclesiastico per i crimini commessi dai prelati. Enrico si pente della sua decisione e l’amicizia si trasforma in odio. Angustiato dalle maldicenze e dalle minacce del re, Becket cerca rifugio prima in Francia presso Luigi VII (John Gielguld) e poi presso il papa Alessandro III (Paolo Stoppa) e il cardinale Zambelli (Gino Cervi). Ma Enrico II non si vuole arrendere ed esige il ritorno dell’arcivescovo in Inghilterra meditando, al tempo stesso, una tremenda vendetta. La fortuna Becket e il suo re ebbe un notevole successo presso la critica ed ottenne una vasta popolarità tra il grande pubblico. La favorevole accoglienza è dovuta anche a numerosi spettacoli teatrali tratti dalla pièce Becket ou l'honneur de Dieu del drammaturgo francese Jean Anouilh. In particolare, il film fu elogiato per le performance di Peter O’Toole e Richard Burton e per l’evidente alchimia tra i due. Il successo giunse anche in Italia grazie alla presenza di due famosi attori italiani: Gino Cervi e Paolo Stoppa. Nel 1965 il film ottenne 12 nomination, ma

vinse solo quello per la miglior sceneggiatura non originale di Edward Anhalt. Delle altre 11 candidature, sono da menzionare quelle per miglior film, miglior regia a Peter Glenville, miglior attore protagonista a Burton e a O’Toole e miglior attore non protagonista a John Gielguld. Becket e il suo re fu battuto nelle prime tre categorie citate da My Fair Lady di George Cukor. Burton e O’Toole persero a favore di Rex Harrison, che vinse per l’interpretazione del professore di Glottologia Henry Higgins, a fianco di Audrey Hepburn. Curiosamente, O’Toole era la prima scelta per interpretare Higgins in My Fair Lady, ma fu scartato perché esigeva uno stipendio ritenuto troppo alto. A teatro O’Toole interpretò diverse volte questo personaggio vincendo numerosi riconoscimenti. Curiosità Le più famose messinscene dell’opera teatrale di Anouilh sono state lo spettacolo di Broadway (con sir Laurence Olivier nel ruolo di Becket e Anthony Quinn in quello di Enrico II) e quello di Londra, con Eric Porter e Christopher Plummer. Peter O’Toole doveva recitare la parte di Enrico II nello spettacolo londinese, ma decise di rifiutare per partecipare alle riprese di Lawrence d’Arabia. Sul set di Becket e il suo re, O’Toole strinse amicizia con Richard Burton, cui lo accomunavano l’enorme talento artistico e la forte dipendenza dall’alcol. O’Toole affermò che Richard Burton è l’attore con cui ha avuto l’alchimia migliore, insieme a Katharine Hepburn ne Il leone d’inverno (1968). Il regista e i produttori della Paramount temevano che i due attori si sarebbero comportati male durante le riprese, invece lavorarono da veri professionisti nei giorni feriali e si diedero al divertimento più sfrenato solo nei weekend. L’unione in uno stesso film di Burton e O’Toole segna anche l’incontro di due celebri attori teatrali inglesi del Novecento, entrambi snobbati dall’Academy. Richard Burton è stato candidato 7 volte all’Oscar, ma non vinse mai. O’Toole detiene il record negativo in assoluto con 8 sconfitte su 8 nomination ma al contrario di Burton, O’Toole è stato insignito dell’Oscar alla carriera. In Becket e il suo re recita anche Sian Phillips nel ruolo di Guendalina. Tratto dal libro Becket ou l’honneur de Dieu di Jean Anouilh pubblicato in Francia nel 1958 e in Italia nel 2003

Ciao Pussycat un film di Clive Donner con Peter O’Toole, Peter Sellers, Woody Allen, Ursula Andress, Romy Schneider titolo originale: What's New Pussycat? COMMEDIA, durata 108 min. Gran Bretagna, 1965

Trama: Woody Allen debutta come attore e come sceneggiatore in questo film ambientato nel mondo della moda. Michael James (Peter O’Toole) è un giornalista di successo in una famosa rivista di moda di Parigi. Grazie al suo lavoro, incontra tante bellissime donne e tutte s’innamorano di lui. Incapace di ‘dire di no’ al gentil sesso, Michael rischia di rovinare l’unica relazione stabile della sua vita con l’amata Carole (Romy Schneider). Allo stesso tempo, per Victor (Woody Allen) Michael è un amico e un modello da imitare, ma anche un ostacolo perché è innamorato della sua fidanzata. Per sbrogliare questa difficile situazione, Michael ricorre all’aiuto del più famoso psicanalista di Parigi: il dottor Fritz Fassbender (Peter

Sellers). Ma quest’ultimo ha problemi con le donne ed è invidioso del suo paziente per via delle sue interminabili conquiste amorose. La vacanza in un albergo di campagna destinato ad incontri clandestini darà una svolta alla vita di tutti i personaggi della storia. La fortuna Il film fu una delle commedie americane di maggior successo nel 1965. Ciò era dovuto alla presenza nel cast di attori che in quel periodo erano all’apice delle rispettive carriere. Peter O’Toole era uno degli attori su cui Hollywood puntava maggiormente a causa dei successi dei suoi film sia presso la critica che tra il pubblico. Peter Sellers aveva conquistato il mondo intero con le performance in La pantera rosa (1963) di Blake Edwards e in Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1964) di Stanley Kubrick. Due mesi prima dell’uscita di Ciao Pussycat nei cinema statunitensi,

Peter O’Toole e Peter Sellers sono stati entrambi candidati all’Oscar nella categoria miglior attore protagonista: il primo per Becket e il suo re, il secondo per il capolavoro di Kubrick. Per quanto riguarda il ricco cast femminile, i produttori hanno ingaggiato alcune delle più belle attrici del momento e qualche celebre modella. È da menzionare la presenza di Ursula Andress, la prima Bond girl nella storia del cinema in Agente 007- Licenza di uccidere (1962), con Sean Connery. La famosa canzone What’s New Pussycat?, cantata da Tom Jones, è stata candidata all’Oscar nel 1966 come miglior canzone originale. Ancora oggi Ciao Pussycat è considerato un film cult, per il debutto cinematografico di Woody Allen. Curiosità Inizialmente il ruolo del protagonista era stato scritto per Warren Beatty, divo hollywoodiano e celebre donnaiolo. Infatti il titolo originale si riferisce alla frase con cui Beatty era solito rispondere al telefono: «What’s new, pussycat?». Beatty rifiutò perché non voleva recitare con l’attrice e modella Capucine, che aveva ottenuto la parte grazie alla sua relazione con uno dei produttori del film. O’Toole accettò di essere la seconda scelta perché ha sempre avuto un debole per le commedie brillanti. L’attore irlandese si divertì molto sul set e

trovò una grande intesa con Peter Sellers definendolo «un genio della comicità». Ma rimase affascinato soprattutto da Ursula Andress che definì una persona straordinaria, molto materna. L’attrice si preoccupava di tutti sul set, trattava ognuno allo stesso modo, «un’autentica mamma oca».

Come rubare un milione di dollari e vivere felici

un film di William Wyler con Audrey Hepburn, Peter O’Toole, Eli Wallach, Hugh Griffith titolo originale: How to Steal a Million COMMEDIA, durata 127' min. USA 1966

Trama Nicole (Audrey Hepburn), figlia dell’abile falsario Charles Bonnet (Hugh Griffith), disapprova lo stile di vita del padre, che riesce a vendere una statua di Venere ad un prestigioso museo di Parigi. La statua è stata fatta da suo padre su immagine della madre e spacciata per un’opera dell’artista fiorentino Benvenuto Cellini, vissuto nel Cinquecento. Durante l’esposizione al museo, il milionario americano Davis Leland (Eli Wallach) è conquistato dalla bellezza della statua e decide di acquistarla. Leland è un collezionista d’arte ed è disposto a tutto pur di avere le opere che gli piacciono. Di fronte alla risposta negativa per la compravendita della statua, Leland punta a sposare la bellissima Nicole e raggiungere così il suo obiettivo. La ragazza si

cura poco della corte del milionario americano, giacché è preoccupata per il fatto che la statua sarà esaminata da alcuni famosi critici d’arte e teme che suo padre verrà smascherato ed arrestato. Decide di entrare nel museo e rubare la statua con l’aiuto di Simon (Peter O’Toole). Nicole l’ha conosciuto pochi giorni prima, quando l’aveva scoperto mentre era entrato nella casa del padre di notte e stava portando via uno dei lavori del genitore. Considerandolo un semplice ladro, Nicole non sa a chi altro chiedere aiuto per una così difficile missione. Ma Simon non è quello che dice di essere. La fortuna Il film fu un successo di pubblico e critica, campione d’incassi nel 1966. In quelli anni la commedia brillante e romantica era molto amata dal pubblico americano.

Seguendo questa moda, i produttori ingaggiarono due attori di grande popolarità negli anni Sessanta. Audrey Hepburn era un’autentica diva, la sua presenza in un film era una garanzia per il botteghino sia per quanto riguarda le commedie che per i drammi. L’alchimia nata con Peter O’Toole può essere ricondotta al noto proverbio: “Gli opposti si attraggono”. Di fronte all’imprevedibilità e al comportamento fuori dalle righe di O’Toole, la Hepburn rappresentava un’ideale controparte. Il film ha un punteggio di 100% sul sito internet Rotten Tomatoes, che si occupa di recensioni e notizie dei film di tutto il mondo. Curiosità Il regista di Come rubare un milione di dollari e vivere felici è William Wyler, uno dei più importanti e premiati cineasti nella storia di Hollywood. Nella sua carriera, durata 45 anni, Wyler vinse 4 premi Oscar: tre come miglior regista e uno alla memoria di Irving G. Thalberg per il suo grande contributo cinematografico anche in veste di produttore. In totale, ha ricevuto 15 nomination. Nato in Germania nel 1902 in una famiglia ebraica, Wyler si

trasferì in America nel 1920 e debuttò come regista nel 1929. Tra i suoi film più famosi: La signora Miniver (miglior regia nel 1943), I migliori anni della nostra vita (miglior regia nel 1947), Il grande paese (1958) e Funny Girl (1968). Di grande importanza è la sua collaborazione artistica con Audrey Hepburn, iniziata nel 1953 con Vacanze romane. Per questo film la Hepburn vinse il suo unico Oscar come miglior attrice protagonista. Ma il vero capolavoro di Wyler è Ben Hur (1959) con Charlton Heston. Il film stabilì il record di vittorie con 11 premi Oscar, film e regia inclusi.

La notte dei generali un film di Anatole Litvak con Peter O'Toole, Omar Sharif, Tom Courtenay, Philippe Noiret, Joanna Pettet titolo originale: The Night of the Generals DRAMMATICO, durata 148' min. Gran Bretagna, 1967

Trama Nel 1942 Adolf Hitler è preoccupato dalle notizie negative che giungono dal fronte sovietico. Oltre agli insuccessi militari, il Fuhrer è infastidito dalla strenua resistenza dei partigiani di Varsavia. Per questo motivo, decide di inviare nella capitale polacca il sadico generale Tanz (Peter O’Toole), considerato un eroe per le sue gesta a Leningrado e un convinto sostenitore del Reich. Nella notte del suo arrivo a Varsavia viene trovato il cadavere di una prostituta, in realtà una spia nazista. Un testimone è riuscito ad intravedere solo i pantaloni di una divisa militare da generale. Il maggiore Grau (Omar Sharif) viene incaricato dell’indagine, ma trova una situazione di omertà e viene

inaspettatamente promosso al grado di tenente colonnello con il trasferimento immediato a Parigi. Due anni dopo, tutti i protagonisti della storia si ritrovano nella capitale francese dopo lo sbarco in Normandia e in un clima di sfiducia verso il Fuhrer. Questa volta Grau non intende arrendersi nell’indagine del caso e si avvale dell’aiuto del giovane caporale Hartmann (Tom Courtenay). La fortuna Questo film appartiene a due diversi generi cinematografici: guerra e giallo. Alla sua uscita nelle sale venne riscoperto il lavoro dello scrittore tedesco Hans Hellmut Kirst, autore del romanzo da cui è stato tratto il film. Peter O’Toole vinse il David di

Donatello come miglior attore straniero, ex aequo con Richard Burton per Bisbetica domata. Il 29 marzo del 1968 La notte dei generali è stato proiettato insieme ad altri due film in piazza Cinelandia di Rio de Janeiro in segno di protesta e sdegno per l’uccisione di uno studente di 18 anni per mano di un poliziotto. Con il passare degli anni, il film è diventato uno dei manifesti contro l’abuso di potere delle forze armate. Curiosità Peter O’Toole e Omar Sharif tornano a recitare insieme dopo Lawrence d’Arabia. I due attori si sono ritrovati altre tre volte su uno stesso set: Il ladro dell’arcobaleno (1990), I viaggi di Gulliver (1996) e Una notte con il re (2006). O’Toole e Sharif percepirono uno stipendio molto basso considerando la loro grande popolarità in quelli anni. Ciò era dovuto al fatto che la

produzione de La notte dei generali rientrava ancora nel contratto che i due attori stipularono con il produttore Sam Spiegel per Lawrence d’Arabia, quando entrambi erano degli sconosciuti. A causa di alcune scene riguardanti la perversione sessuale, il film subì numerosi tagli: una delle ultime pellicole ad incorrere nella censura del codice Hays, abolito proprio nel 1967.

Tratto dal libro La notte dei generali di Hans Hellmut Kirst titolo originale: Die Nacht der Generale pubblicato in Germania e in Italia nel 1962

Il leone d’inverno un film di Anthony Harvey con Peter O'Toole, Katharine Hepburn, Jane Merrow, Anthony Hopkins, Nigel Terry titolo originale: The lion in winter STORICO, durata 135 min. Gran Bretagna, 1968

Trama Durante il Natale del 1183 il re d’Inghilterra Enrico II il Plantageneto (Peter O’Toole) e sua moglie Eleonora d’Aquitania (Katharine Hepburn) si riuniscono per decidere chi dei loro tre figli sarà il successore al trono: il rigido Riccardo (Anthony Hopkins), il machiavellico Goffredo (John Castle) e il codardo Giovanni (Nigel Terry). In teoria, il trono dovrebbe passare al figlio maggiore Riccardo, il prediletto della regina. Ma Enrico II vuole che ad ereditare le redini del potere sia Giovanni. Nasce un confronto aperto e spietato tra Enrico e Eleonora, che gli rinfaccia anche i numerosi tradimenti e il fatto di averla rinchiusa per 10 anni in una torre. La visita del monarca francese Filippo VII

(Timothy Dalton) aggrava il clima tra le mura del castello di Chinon. Il re di Francia vuole che Enrico rispetti un patto stipulato tanti anni prima: la sua sorellastra Alice (Jane Merrow) deve sposare l’erede alla corona d’Inghilterra e diventare la regina. Alice è cresciuta presso la corte di Enrico ed è diventata una pupilla di Eleonora, ma si è anche innamorata di suo marito. Dal canto suo, Enrico non vuole cedere la sua nuova amante a nessuno dei figli. Intanto, i tre principi si fronteggiano tra di loro riuscendo a mettersi d’accordo solo su un punto: l’odio verso i propri genitori. La fortuna Il film ottenne un grande successo di pubblico e di critica. Al botteghino incassò 6,4 millioni di dollari e si posizionò al 12° posto nella lista dei film del 1968. Su Rotten Tomatoes Il leone d’inverno ha il punteggio di 90%. In generale, la critica di tutto il mondo elogiò le performance di Peter O’Toole e Katharine

Hepburn, che rubarono letteralmente la scena ai giovani protagonisti, tra cui un impacciato Anthony Hopkins al suo secondo film. La pellicola vinse 3 Oscar su 7 nomination. Le 4 candidature sono state date per miglior film, regia a Anthony Harvey, attore protagonista a Peter O’Toole e migliori costumi. O’Toole era il gran favorito alla vigilia, ma perse a favore di Cliff Robertson per I due mondi di Charly. John Barry vinse per miglior colonna sonora e James Goldman trionfò nella categoria di miglior sceneggiatura non originale. Goldman trasse la sceneggiatura dalla sua omonima pièce teatrale. L’Oscar alla migliore attrice protagonista fu assegnato ex aequo a due attrici: Barbra Streisand per Funny Girl e Katharine Hepburn per Il leone d’inverno. La Hepburn detiene due record importanti con questo premio. Nel campo della recitazione è la persona ad aver vinto il più alto numero di Oscar: 4. Ed è l’unica attrice ad aver vinto 4 statuette come miglior attrice protagonista. Nel 1999 l’American Film Institute ha proclamato Katharine Hepburn la più grande attrice nella storia di Hollywood. Curiosità Peter O’Toole ha ricevuto due nomination all’Oscar per aver intepretato Enrico II il Plantageneto (ruolo che lo vide spesso impegnato anche in teatro). Lo fece ne Il leone d’inverno e in Becket e il suo re (1964). Nel 1183, l’anno di svolgimento della storia, Enrico II aveva 50 anni e Eleonora ne aveva 61. Durante le riprese del film, Katharine Hepburn aveva 60 anni e O’Toole ne aveva 34. In un’intervista rilasciata nel 2007, O’Toole affermò che Il leone d’inverno è il film al quale è affezionato di più. Sul set si creò un’amicizia tra tutti i membri del cast e della troupe, che è durata per tanti anni attraverso reunion, cene e vacanze di gruppo. Katharine Hepburn e Richard Burton sono i due attori con cui O’Toole ha affermato di aver avuto la migliore intesa recitativa. È famoso il rapporto cameratesco tra O’Toole e la Hepburn. «Katharine mi telefonava nel bel mezzo della notte, nella mia camera d’albergo e mi diceva: ‘Svegliati, maiale. Porta le sigarette, mentre io porto da bere’.» Tratto dal libro Il leone d’inverno di James Goldman titolo originale: The lion in winter pubblicato in America nel 1966 ed è inedito in Italia

Addio, Mr. Chips

un film di Herbert Ross con Peter O'Toole, Michael Redgrave, George Baker, Petula Clark, Sian Phillips titolo originale: Goodbye, Mr. Chips COMMEDIA, durata 151 min. USA, 1969

Trama A metà Novecento, il timido e pacato Arthur Chipping (Peter O’Toole) insegna Latino presso la scuola di Brookfield. I suoi alunni non lo stimano e le sue lezioni sono considerate insopportabilmente noiose. Oltre a questo, Chipping ha dei seri problemi nel trovarsi una moglie a causa della sua timidezza. Ma un giorno incontra Katherine Bridges (Petula Clark), una soubrette in depressione per motivi di lavoro e di problemi con gli uomini. Accomunati dalla solitudine, i due capiscono di essere fatti l’uno per l’altro e decidono di sposarsi. Quando il professore di Latino ritorna a Brookfield con una moglie giovane e bella, gli alunni e gli insegnanti cambiano opinione su di lui. Chipping riacquista fiducia in se

stesso e intende realizzare un suo vecchio sogno: diventare il preside della scuola. Ma i piani disonesti di lord Sutterwick (George Baker) e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale rischiano di mandare in frantumi la felicità raggiunta da Chipping. La fortuna Il film ricevette tiepide recensioni. Le critiche maggiori si concentrarono sulla lunghezza eccessiva, su parecchi momenti stagnanti e sulla necessità di ridurre le 12 canzoni della pellicola. Ma le performance di Peter O’Toole e Petula Clark furono universalmente elogiate. Vincent Candby del New York Times scrisse che Peter O’Toole ha offerto la sua migliore interpretazione riuscendo ad infondere grazia e ingenuità al suo personaggio. Il critico Roger Erbert del Chicago Sun-Times scrisse che questo è stato uno dei migliori musical degli anni Sessanta, soprattutto grazie alle interpretazioni di O’Toole e della Clark, anche se nessuna delle canzoni è indimenticabile. Durante la stagione dei

premi, tutte le luci della ribalta spettarono a Peter O’Toole. Il film, il regista debuttante Herbert Ross e Petula Clark furono totalmente ignorati. O’Toole trionfò al National Board of Review, vinse il Golden Globe come miglior attore in un film commedia o musical ed anche il David di Donatello come miglior attore straniero, ex aequo con Dustin Hoffman per Un uomo da marciapiede. Nel 1970 la pellicola ottenne due nomination agli Oscar: miglior colonna sonora e miglior attore protagonista a Peter O’Toole. Alla sua quarta candidatura in 7 anni, O’Toole perse a favore di John Wayne, che vinse l’unico Oscar della sua leggendaria carriera per Il grinta. In Goodbye, Mr. Chips ha recitato anche Sian Phillips. Per il suo ruolo di Ursula, l’amica fedele della protagonista, la Phillips vinse premi come miglior attrice non protagonista in alcuni festival minori. Il regista Herbert Ross vinse il Griffone d’Oro al Giffoni Film Festival. Curiosità Sia Peter O’Toole che Petula Clark sono stati la terza scelta dopo i rifiuti di Rex Harrison, Richard Burton, Julie Andrews e Samantha Eggar. Herbert Ross debuttò alla regia dopo aver lavorato per tanti anni come coreografo. Il film fu girato a Londra e in Italia (Napoli, Pompei, Positano). Con il passare degli anni sono stati tagliati molti numeri musicali, considerati inutili e colpevoli di allungare eccessivamente il film. Il compositore John Williams, vincitore di 5 Oscar e collaboratore stabile di Steven Spielberg, fu ingaggiato per cambiare la colonna sonora della pellicola. Terence Rattigan trasse la sceneggiatura di Goodbye, Mr. Chips dall’omonimo romanzo di James Hilton. Sono state fatte numerose trasposizioni cinematografiche, teatrali e televisive dell’opera di Hilton. Una delle più famose è il primo adattamento cinematografico del 1939, diretto da Sam Wood e interpretato da Robert Donat e Greer Garson. Tratto dal libro Addio, mister Chips! di James Hilton titolo originale: Goodbye, Mr. Chips pubblicato in Gran Bretagna nel 1938 e in Italia nel 1953

La classe dirigente un film di Peter Medak con Peter O'Toole, Coral Browne, Alastair Sim, Carolyn Seymour titolo originale: The Ruling Class COMMEDIA, durata 155 min. Gran Bretagna, 1971

Trama In seguito al suicidio del conte Ralph Gurney (Harry Andrews), i membri della sua famiglia si fanno avanti per la cospicua eredità del defunto. Ma le loro speranze vengono vanificate da Jack (Peter O’Toole), figlio del lord, appena uscito dal manicomio. Il giovane rampollo soffre di una grave forma di schizofrenia ed è convinto di essere Dio, Gesù Cristo e la personificazione dell’Amore. I famigliari restano scioccati di fronte ai suoi discorsi deliranti, accompagnati da canzoni e balli. Sir Charles (William Mervyn), un avaro zio di Jack, riesce a far sposare l’ambito ereditiero con la sua amante Grace (Carolyn Seymour) per ottenere l’ingente capitale e rispedire il ragazzo nella casa di cura. Ma Grace si innamora di Jack e vuole

farlo curare seriamente. Ad aiutarla ci pensa lady Claire (Coral Browne), moglie di sir Charles che lei odia profondamente. Le cure, però, peggiorano solo la malattia di Jack, che si convince di essere Jack lo Squartatore. La fortuna Al botteghino fu un flop. Ma con gli anni la pellicola è diventata un cult, grazie soprattutto alla performance di Peter O’Toole. Ancora oggi numerosi critici cinematografici e fan dell’attore irlandese considerano la sua interpretazione ne La classe dirigente come la migliore della sua carriera sul grande schermo. The New York Times e Variety diedero recensioni positive, al contrario del Los Angelese Times e del Newsweek. Il critico Jack Cocks espresse un parere

negativo sulla sceneggiatura e sulla regia, ma applaudì la performance generale del cast. Scrisse che la recitazione di Peter O’Toole l’aveva impressionato a tal punto che non riuscì a dormire durante la notte. «Tutti gli attori possono interpretare un uomo malato di mente, pochi lo fanno bene. O’Toole comincia il suo lavoro dove gli altri si fermano con un’impressionante altalena di emozioni. Divertente, distrurbante, assolutamente devastante, O’Toole ha trovato la sua strada nella rappresentazione della pazzia» (J. Cocks, Cinema: Cartoons from Punch, 18 Settembre 1972). La classe dirigente fu in concorso al 25° Festival di Cannes. Peter O’Toole vinse il National Board of Review ed ottenne la sua quinta nomination all’Oscar nel 1973 come miglior attore protagonista, l’unica candidatura per questo film. Fu sconfitto da Marlon Brando per Il padrino, che rifiutò la statuetta in segno di protesta contro le ingiustizie verso le minoranze etniche nell’industria cinematografica hollywoodiana. Ma l’Academy non prevede il rifiuto dei vincitori e assegna ugualmente il premio. Curiosità Peter O’Toole deteneva i diritti dell’omonima opera teatrale di Peter Barnes da molti anni e non si decideva di farne un film perché considerava la pièce irrealizzabile sul grande schermo. Ancora oggi si discute a che genere si possa attribuire La classe dirigente: grottesco, commedia, tragedia, giallo, musical, farsa. Lo stesso O’Toole definì con molte perplessità il film una black comedy. Alcuni critici sostennero che nell’opera di Barnes ci sono rimandi alla letteratura di Shakespeare, Marlowe e Oscar Wilde. Il regista ungherese Peter Medak voleva fare ad ogni costo la trasposizione cinematografica de La classe dirigente e convincere Peter O’Toole a tirare la pièce fuori dal cassetto. Una sera invitò l’attore irlandese ad andare ad uno spettacolo teatrale a Londra e al ritorno rispettarono una delle più famose tradizioni di O’Toole: andare a bere in ogni bar tra il teatro e casa sua. Rientrati verso le tre di notte, O’Toole telefonò al suo agente: «Sono in compagnia di un pazzo ungherese e lo so che sono ubriaco. Ti do 24 ore per trovare tutto il necessario per girare il film». Per facilitare la realizzazione del progetto, O’Toole lavorò gratuitamente. Tratto dal libro The Ruling Class di Peter Barnes pubblicato in Gran Bretagna nel 1968 ed inedito in Italia

L’uomo della Mancha un film di Arthur Hiller con Peter O’Toole, Sophia Loren, James Coco, Harry Andrews titolo originale: Man of La Mancha COMMEDIA, durata 130 min. USA, 1972

Trama A cavallo tra il XVI e il XVII secolo l’Inquisizione spagnola arresta, tortura e manda al rogo molte persone considerate eretiche. Fra queste figurano anche lo scapestrato scrittore Miguel de Cervantes Saavedra (Peter O’Toole) e il suo fido cameriere (James Coco). Rinchiusi in un carcere sotterraneo e in attesa di essere torturati e processati, i due subiscono le angherie degli altri prigionieri, che rubano i loro effetti personali. Cervantes li implora di restituirgli soltanto un suo manoscritto su un vecchio uomo uscito di senno e convinto di essere un cavaliere. I suoi compagni di cella accettano di ridarglielo solo se riuscirà a convincerli con uno spettacolo teatrale basato proprio sulla sua opera. Cervantes

accetta la sfida, utilizza i suoi effetti personali come costumi e scenografie, chiede agli altri prigionieri di recitare qualche personaggio ed interpreta il protagonista: don Chisciotte della Mancha. Attraverso il suo racconto, i prigionieri vedono don Chisciotte e Sancho Panza (James Coco) nella loro battaglia contro gli oppressori e le ingiustizie. Giunti presso una locanda occupata da briganti, Chisciotte si innamora di Aldonza (Sophia Loren), la bella cameriera e prostituta del posto. La fortuna Il film ebbe cattive recensioni alla sua uscita nelle sale. Il giudizio dei critici fu influenzato dalla famigerata, lunga e tribolata produzione del film, dall’avvicendamento di registi e sceneggiatori e dalla scelta di ingaggiare come protagonisti di un musical due attori incapaci di cantare come O’Toole e la Loren. Il parere dei critici fu diviso anche sullo spettacolo teatrale di Broadway da cui è stata tratta la pellicola. Tanti sostennero che il problema

sta nel materiale di partenza. Erroneamente furono prese di mira anche le abilità canore di O’Toole: l’attore irlandese fu doppiato da un altro interprete nelle parti cantate. Ancora oggi non è chiaro perché non sia stato scelto un cantante a doppiarlo. Nella sua recensione Roger Ebert scrisse che avrebbe preferito Richard Harris, il migliore amico di O’Toole, nel doppio ruolo di Cervantes/Don Chisciotte. Mentre Vincent Canby del New York Times elogiò la performance di tutto il cast. Peter O’Toole e James Coco furono candidati ai Golden Globe. Il compositore Laurence Rosenthal fu candidato all’Oscar per la colonna sonora. L’autore dell’opera teatrale Dale Wasserman espresse un parere negativo sulla trasposizione cinematografica, ma apprezzò le interpretazioni di O’Toole e della Loren. Con il passare degli anni, il film attirò l’attenzione di tanti cinefili. Tanti giornalisti e critici scrissero recensioni positive. Oggi L’uomo della Mancha è considerato uno dei più famosi musical degli anni Settanta. Curiosità La pellicola fu finanziata dalla casa di produzione italiana Produzioni Europee Associates. Ciò spiegherebbe la presenza di Sophia Loren, l’unica italiana in un cast composto da attori inglesi e americani. Il film fu girato a Roma e in Spagna. Numerosi registi e sceneggiatori si susseguirono alla guida del progetto. Il regista Peter Glenville assegnò il ruolo principale al suo grande amico O’Toole, memore della proficua collaborazione in Becket e il suo re (1964). I due erano d’accordo di eliminare tutte le canzoni concentrandosi solo sulla storia. Proprio questa scelta portò Glenville al licenziamento e la regia fu affidata al canadese Arthur Hiller. Qualche giorno dopo la morte di O’Toole, avvenuta il 14 dicembre del 2013, Sophia Loren rilasciò un’intervista al Corriere della Sera, in cui ricordava la loro amicizia. I due girarono insieme solo L’uomo della Mancha e la diva italiana rimase colpita dalla sua bellezza e dal suo senso dell’umorismo: «Peter era bello come il sole». Tratto dal libro Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra titolo originale: El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha pubblicato in Spagna nel 1605 e in Italia nel 1622

Professione pericolo un film di Richard Rush con Peter O'Toole, Barbara Hershey, Steve Railsback, Adam Roarke, Sharon Farrell titolo originale: The Stunt Man AVVENTURA, durata 129 min. USA, 1979

Trama Cameron (Steve Railsback), un giovane reduce del Vietnam, sta scappando dalla polizia e chiede rifugio presso la troupe cinematografica di un film sulla Prima Guerra Mondiale. Il regista Eli Cross (Peter O’Toole) accetta la sua richiesta e lo ingaggia come stuntman. Presto Cameron si pentirà della sua scelta a causa dei modi dispotici ed eccentrici di Cross, pronto a sacrificare la vita delle proprie controfigure per un’ottima ripresa ed incurante dei problemi personali degli attori. Nello stesso tempo, Cameron si innamora di Nina (Barbara Hershey), la bella protagonista della pellicola. I due pensano di scappare insieme prima della fine delle riprese, stanchi dell’atteggiamento tirannico di

Cross. Ma quest’ultimo intuisce il piano della coppia e affida a Cameron una scena ad alto rischio di morte. La fortuna Nonostante un’uscita limitata a poche città e sale, il film ebbe un ottimo incasso considerando il budget di partenza: 7 milioni di dollari contro i 3,5 milioni spesi. Il fatto forse più sorprendente è l’attenzione dell’Academy riservata ad un film di nicchia, che ha candidato in tre categorie importanti: miglior regia a Richard Rush, miglior attore protagonista a Peter O’Toole e miglior sceneggiatura non originale a Rush e a Lawrence B. Marcus. Il loro copione è un adattamento del romanzo Il cascatore dello scrittore americano Paul Brodeur. Peter O’Toole perse a favore di Robert De Niro, che vinse per la sua indimenticabile interpretazione del paranoico e violento pugile Jake LaMotta in Toro scatenato di Martin Scorsese. La National Society of Film Critics assegnò a O’Toole il premio del miglior attore protagonista. Il

compositore Dominic Frontiere vinse il Golden Globe per la colonna sonora. Il critico cinematografico Roger Ebert consigliò la visione del film, anche se il suo parere non fu entusiastico. Il film ha un punteggio di 92% sul sito Internet Rotten Tomatoes. Curiosità Per la sua interpretazione del dispotico regista Eli Cross, Peter O’Toole affermò di essersi ispirato a David Lean, regista di Lawrence d’Arabia (1962). È noto che fra O’Toole e Lean non ci fu un buon rapporto. Quando consegnò l’Oscar alla carriera a O’Toole nel 2003, Meryl Streep scherzò su un probabile collegamento tra La classe dirigente (1971) e Professione pericolo: entrambi i protagonisti sono convinti di essere Dio. Il primo a causa della sua schizofrenia e della sua estrazione nobiliare, il secondo perché è un regista cinematografico. La pellicola fu interamente girata a San Diego, in California. Tratto dal libro Il cascatore di Paul Brodeur titolo originale: The Stunt Man pubblicato in America nel 1970 e in Italia nel 1973

L’ospite d’onore

un film di Richard Benjamin con Peter O'Toole, Jessica Harper, Joseph Bologna, Lainie Kazan titolo originale: My Favorite Year COMMEDIA, durata 92 min. USA, 1982

Trama Benjy Stone (Mark Linn-Baker) ricorda l’incontro con una persona che l’ha cambiato profondamente. Nell’estate del 1954 (il suo anno preferito come dice il titolo originale del film) conobbe il suo idolo: l’attore cinematografico Allan Swann (Peter O’Toole). All’epoca era uno dei più famosi attori cinematografici, ma era anche celebre per il suo comportamento imprevedibile e per la forte dipendenza dall’alcol. Benjy era un giovane sceneggiatore del popolare talk show condotto da Stan “King” Kaiser (Joseph Bologna) e Swann fu invitato per un’intervista. L’attore si presenta completamente ubriaco al programma e Kaiser decide di annullare tutto. Alla fine, Benjy viene incaricato di tenere sotto controllo Swann per una settimana in modo che

si presenti sobrio all’intervista. Con il passare dei giorni, i due diventano amici e cercano di aiutarsi l’un l’altro nelle rispettive vite solitarie. Swann dà dei validi consigli a Benjy su come conquistare la bella collega K. C. Downing (Jessica Harper), mentre il giovane sceneggiatore sprona l’attore a rimettersi in contatto con la figlia Tess (Cady McClain), cresciuta da una delle sue tante ex-mogli e con cui non si sente da tanto tempo. La fortuna Per questo film Peter O’Toole ottenne la sua settima nomination all’Oscar come miglior attore protagonista. Ma fu l’ennesima sconfitta, perché il riconoscimento andò a sir Ben Kingsley per la sua impressionante immedesimazione nei panni di Gandhi nel film di Richard Attenborough,

film vincitore di 8 statuette. L’ospite d’onore ebbe un discreto incasso: 20 milioni di dollari. Non male visto che uscì in contemporanea con due grandi successi hollywoodiani: Ufficiale e gentiluomo con Richard Gere e E.T.- L’extraterrestre di Steven Spielberg. Il pubblico e la critica apprezzarono in particolare la vena comica della storia e la performance di O’Toole. Sul sito Rotten Tomatoes L’Ospite d’onore è uno dei pochi film ad avere il punteggio di 100%. Nel 1992 ne è stato fatto un adattamento teatrale a Broadway con Tim Curry e Lainie Kazan, l’unica superstite della pellicola originale. Lo spettacolo non ebbe successo, ma Curry e Kazan furono candidati ai Tony Awards, gli Oscar del teatro americano. Curiosità I personaggi del film sono ispirati ad alcune persone dello spettacolo statunitense. Uno dei produttori esecutivi del film è Mel Brooks, regista e sceneggiatore di Per favore, non toccate le vecchiette (Oscar come miglior sceneggiatura originale nel 1969) e Frankenstein Junior (1974). Il personaggio del giovane sceneggiatore Benjy Stone è ricalcato su Brooks e su Woody Allen e sulla loro giovanile esperienza lavorativa presso il talk show Your Show of Shows di Sid Caesar. Infatti il cognome del conduttore televisivo ne L’ospite d’onore è Kaiser, che in tedesco vuol dire Cesare. Mentre il personaggio dell’alcolizzato Allan Swann è basato su Errol Flynn, attore cinematografico specializzato nei ruoli romantici e noto playboy. L’inizio della storia è molto simile a quando Flynn si presentò completamente ubriaco a Your Show of Shows. Lo stesso O’Toole potrebbe essere preso come modello per la figura di Swann. L’attore irlandese è molto famoso per la sua vita fuori dai set. L’alcolismo, il comportamento imprevedibile e un’incontenibile voglia di vivere sono solo alcune delle caratteristiche con cui O’Toole è entrato nell’immaginario collettivo di quegli anni. In più di un’occasione si presentò ubriaco ai vari talk show inglesi e americani, tra cui i prestigiosi programmi condotti da Johnny Carson e David Letterman. Ma era proprio questa sua imprevedibilità a renderlo simpatico ai suoi colleghi e alla gente comune. Gli attori, i registi e gli addetti ai lavori dicevano che O’Toole riusciva a fare amicizia con tutti e infondeva allegria sul luogo di lavoro. Helen Mirren, premio Oscar come miglior attrice protagonista per The Queen nel 2007, ha detto che O’Toole è la persona più pazza e simpatica con cui abbia lavorato.

L’ultimo imperatore

un film di Bernardo Bertolucci con John Lone, Peter O'Toole, Joan Chen, Ryuichi Sakamoto, Dennis Dun DRAMMATICO, durata 163 min. Italia, 1987

Trama Nel 1950 la Cina è una Repubblica Popolare che sta costruendo il suo futuro con grandi sacrifici e cerca di punire coloro che sono considerati i “nemici del popolo”: gli oppositori politici e persone accusate di aver favorito l’invasione giapponese negli anni Trenta. Tra i prigionieri c’è anche Aisin Gioro Pu Yi (John Lone), l’ultimo imperatore della Cina. Durante un interrogatorio, l’ex-sovrano ricorda la sua vita travagliata e ricca di eventi: l’incoronazione all’età di tre anni, la corruzione e l’ambizione dei cortigiani, bramosi di mantenere le proprie ricchezze e ostili ad ogni riforma, l’infanzia trascorsa interamente dentro le mura della Città Proibita e

l’impossibilità di uscire e vedere il mondo. Escluso dalle decisioni politiche e inconsapevole delle condizioni di vita dei suoi sudditi, il giovane imperatore viene educato dall’insegnante scozzese Reginald Johnston (Peter O’Toole), suo unico amico e fidato consigliere. La Cina subisce cambiamenti repentini e viene instaurata la Repubblica. Pu Yi esce dalla Città Proibita ed inizia una lussuosa e spensierata vita da playboy. Nel 1934 i giapponesi gli propongono il trono del neonato regno di Manchukuo, una ricca provincia nella Cina settentrionale. Ma è solo un sovrano fantoccio in mano ai crudeli consiglieri nipponici e l’esito della Seconda Guerra Mondiale cambierà la sua vita. La fortuna Quando uscì nelle sale, L’ultimo imperatore ebbe incassi molto bassi. Entrò nella listi dei primi dieci solo dopo 12 settimane. Agli Oscar la pellicola vinse 9 statuette su 9 nomination (film, regia a Bernardo Bertolucci, sceneggiatura non originale a Mark Peploe e Bertolucci, fotografia, scenografia, costumi,

montaggio, sonoro e colonna sonora). In seguito a questo trionfo, L’ultimo imperatore ebbe un grande successo economico a livello planetario. Il capolavoro di Bertolucci vinse premi in tutto il mondo. Peter O’Toole fu candidato ai BAFTA, gli Oscar inglesi, e vinse il David di Donatello come miglior attore non protagonista. Il film riportò alla ribalta il genere epico, caduto nel dimenticatoio in quegli anni nonostante il successo di Gandhi nel 1983. Nel 2013 L’ultimo imperatore fu presentato al Festival cinematografico di Cannes in versione 3D e fu riproposto nelle sale di tutto il mondo. Curiosità Inizialmente, il ruolo del precettore Ronald Johnston fu offerto a Sean Connery, attore di origine scozzese come il personaggio della storia. Connery rifiutò perché non voleva passare tanti mesi a girare in Cina. Così la parte andò a Peter O’Toole, grande amante ed esperto dei ruoli storici. Molte polemiche furono rivolte dalla comunità gay agli sceneggiatori perché avevano omesso completamente l’omosessualità dell’imperatore Pu Yi. Il capolavoro di Bernardo Bertolucci è stato il primo film occidentale a cui è stato dato il permesso dal governo cinese di girare dentro le mura della Città Proibita. Per circa sei mesi di riprese, il regista italiano impiegò ventimila comparse. Tratto dal libro Sono stato imperatore di Aisin Gioro Pu Yi titolo originale: From Emperor to Citizen pubblicato in Cina nel 1960 e in Italia nel 1987

Troy

un film di Wolfgang Petersen con Brad Pitt, Orlando Bloom, Diane Kruger, Eric Bana, Peter O’Toole, Sean Bean MITOLOGICO, durata 163 min. USA, 2004

Trama Circa nel 1200 a.C. Agamennone (Brian Cox), re di Tebe, conquista ogni città-stato della Grecia e crea un’unica grande nazione. Ma la sua ambizione non si ferma solo alla penisola ellenica: egli brama di assoggettare anche la ricca città di Troia collocata sulle coste dell’odierna Turchia nord-occidentale e governata dal vecchio e giusto re Priamo (Peter O’Toole). Il sovrano greco trova il pretesto per schierare la sua imponente armata e i guerrieri più forti della Grecia contro il regno troiano quando Elena (Diane Kruger), moglie del re spartano Menelao (Brendan Gleeson) e cognata di Agamennone, fugge con il principe troiano Paride (Orlando Bloom). Così sulle spiagge troiane

approda la più grande armata che il mondo antico abbia mai visto; il guerriero più forte è Achille (Brad Pitt), pronto a sacrificare anche la propria vita per raggiungere la fama immortale nella guerra più famosa dell’umanità. Per riuscirci, dovrà affrontare a viso aperto il valoroso principe troiano Ettore (Eric Bana), famoso anche tra i greci per la forza, il coraggio e l’abilità strategica. Ma la “minaccia” più grande ai sogni di gloria di Achille proviene dall’amore verso la bella sacerdotessa troiana Briseide (Rose Byrne), la nuova schiava dell’eroe greco. La fortuna Presentato fuori concorso al Festival cinematografico di Cannes nel 2004, Troy veniva pubblicizzato come uno dei film più costosi della storia del cinema. Infatti, il suo budget tocca 175 milioni di dollari. Il film risultò un

grande successo commerciale, incassando 497 milioni di dollari ed entrando al 60° posto nella lista dei film che hanno incassato di più nella storia del cinema. La critica rimase abbastanza fredda. Tanti hanno espresso il proprio disappunto per i numerosi cambiamenti rispetto all’ Iliade di Omero: sono rimasti inalterati solo i nomi dei personaggi principali, l’ambientazione e il famoso cavallo di Troia. La scenografia, i costumi, la colonna sonora e gli altri aspetti tecnici furono elogiati all’unisono. Pareri negativi furono espressi per quanto riguarda la sceneggiatura, la regia e soprattutto la recitazione. Tutti i giovani attori del film sono entrati nell’occhio del ciclone per essere risultati inespressivi, anche se tanti sostennero che nessun attore avesse il physique du role per interpretare Achille come lo ha Brad Pitt. Peter O’Toole è stato uno dei pochi a ricevere critiche positive: per la sua performance O’Toole vinse l’Irish Film and Television Award come miglior attore non protagonista. Agli Oscar del 2005 Bob Ringwood fu candidato per i costumi. Troy è stato inserito nella lista dei 50 migliori film della Warner Bros. per il 90° anniversario della casa di produzione cinematografica. Curiosità Per convincere Peter O’Toole, fresco premio Oscar alla carriera e volto indimenticabile del genere storico-epico, il regista tedesco Wolfgang Petersen andò a Londra per parlare del progetto direttamente con l’attore. O’Toole espresse sin dall’inizio le proprie perplessità sulla sceneggiatura, ma accettò a patto che non venisse cambiata neanche una parola del dialogo tra Priamo e Achille. Da un sondaggio tra gli spettatori, questa scena risultò la più popolare del film, assieme al combattimento tra Ettore e Achille. Brad Pitt disse che quel dialogo è stato una delle più importanti lezioni di recitazione della sua carriera. Durante una delle anteprime del film, O’Toole uscì dalla sala dopo 15 minuti dall’inizio della proiezione perché gli erano bastati quei pochi minuti per capire il livello qualitativo della pellicola. Successivamente, Peter O’Toole definì pubblicamente il regista Petersen «un clown e un dittatore mancato».

Venus

un film di Roger Michell con Peter O'Toole, Leslie Phillips, Jodie Whittaker, Vanessa Redgrave, Richard Griffiths DRAMMATICO, durata 90 min. Gran Bretagna, 2006

Trama Maurice (Peter O’Toole) è un vecchio attore inglese, che non è mai diventato famoso nonostante tanti decenni spesi sui palcoscenici, set televisivi e cinematografici. Ha sempre vissuto alla giornata, la sua priorità è stata dare e ricevere il piacere. Una vita caratterizzata da qualche lavoro saltuario come comparsa, dalle ore passate al pub con i suoi amici Ian (Leslie Phillips) e Donald (Richard Griffiths) e dalle visite abitudinarie alla sua ex moglie: la solitaria Valerie (Vanessa Redgrave). Quando all’improvviso Ian accoglie la sua bisnipote Jessie (Jodie Whittaker), Maurice si sente acceso da un’irrefrenabile passione. La ragazza è molto giovane, maleducata, incapace nelle

più semplici mansioni domestiche e abbastanza carina per arrivare a Londra sognando un futuro da modella. Maurice stringe subito amicizia con lei e la educa su bellezza, arte e letteratura. Jessie sfrutta economicamente Maurice per conoscere meglio la città e per farsi regalare gioielli e vestiti, consapevole di piacere molto al vecchio libertino. Con il passare del tempo, il loro rapporto diventa sempre più forte e Jessie non potrà più fare a meno del carismatico Maurice, soprattutto dal momento in cui gli viene diagnosticato un tumore. La fortuna Alla sua uscita nelle sale Venus ottenne pareri unanimi di consenso dalla critica. Elogi furono espressi per la sceneggiatura, per la storia toccante e priva di retorica e, soprattutto, per la performance di tutto il cast. Quest’ultimo punto non stupisce, visto che in Venus recitano degli autentici giganti del teatro e del cinema della Gran Bretagna come Ian Phillips, Richard Griffiths

(conosciuto al grande pubblico per il ruolo di zio Vernon nella saga di Harry Potter, ma famoso in patria per il suo lavoro al teatro) e l’inossidabile Vanessa Redgrave (Oscar come miglior attrice non protagonista per Giulia nel 1978, una delle più apprezzate attrici inglesi e al suo primo film con il grande amico O’Toole). Il film è stato fra i più nominati e vincenti nel Regno Unito, mentre in America è stato Peter O’Toole a prendersi tutte le attenzioni di critici e festival. È stato candidato a tutti i premi cinematografici principali, inclusa la sua ottava e ultima nomination all’Oscar come miglior attore protagonista. O’Toole perse contro Forest Whitaker per il suo ruolo del dittatore ugandese Idi Amin Dada ne L’ultimo re di Scozia. Curiosità Il regista Roger Michell, famoso per Notting Hill, ha affidato a O’Toole un ruolo che presenta tante somiglianze con l’attore irlandese. Così come Maurice, O’Toole si è sempre definito un attore teatrale e shakespeariano. Inoltre, il personaggio ricorda tantissimo il suo interprete per la volontà di vivere il presente, di prediligere sempre il piacere, per la passione verso l’arte, la bellezza femminile e il vizio dell’alcol. In particolare, sono tre le scene che riassumono la vita e la carriera di O’Toole. Dopo che Jessie ha raccontato un episodio tragico del proprio passato, Maurice la consola recitando il diciottesimo sonetto di William Shakespeare: Shall I compare thee to a summer’s day?. O’Toole aveva un’autentica ossessione per il Bardo e conosceva a memoria tutti i 154 sonetti. L’altra celebre scena è ambientata in un parco di Londra, dove Maurice finisce su un palcoscenico di un vecchio anfiteatro, ormai abbandonato e in rovina. O’Toole è al centro della scena, chiude gli occhi e gli sembra di sentire gli applausi del pubblico. La terza e ultima scena è il dialogo tra Maurice e la sua ex moglie Valerie. Il vecchio attore sa che gli è rimasto poco da vivere e cerca di dire addio alla sua amica e unica confidente. Alla sua domanda dove sta andando, Maurice risponde: «We won’t live forever» («Noi non vivremo per sempre»). Venus non è mai uscito in Italia.

Ratatouille

un film di Brad Bird, Jan Pinkava con le voci originali di Patton Oswalt, Peter O’Toole, Ian Holm ANIMAZIONE, durata 117 min. USA, 2007

Trama Nella Parigi del 1970 il piccolo ratto Remy (Patton Oswalt) è insoddisfatto della sua vita. È un prodigio nel campo della cucina grazie al suo olfatto e gusto, un talento sprecato perché gli altri ratti, compresi suo padre e suo fratello, mangiano la prima cosa che trovano. Remy si sente emarginato e incompreso dalla propria famiglia e dai propri simili. Un giorno, dopo una serie di fortuite coincidenze, finisce nel ristorante di Auguste Gusteau, idolo del piccolo ratto e famoso per il suo motto: “Chiunque può cucinare”. Ma Gusteau non è più in vita. Il suo ristorante era uno dei più prestigiosi in Francia, ma ora è in una situazione di mediocrità a causa della gestione di Skinner

(Ian Holm), desideroso di aprire una catena di ristoranti sfruttando la fama e l’aspetto del suo predecessore. Occupato nei suoi piani, Skinner assume Alfredo Linguini (Lou Romano), figlio illegittimo di Gusteau, come lavapiatti e ragazzo tuttofare. Quest’ultimo vorrebbe essere un cuoco, ma non è proprio portato. Dopo un reciproco timore iniziale, Remy e Alfredo collaborano per soddisfare gli obiettivi di entrambi: cucinare e sperimentare per Remy, ricalcare le orme del proprio genitore per Alfredo. Ma Skinner inizia a sentirsi minacciato dal “talento” di Linguini. Mentre la sfida più grande deve ancora arrivare: il destino del ristorante e di tutto il suo staff è nella penna del critico culinario più famoso e spietato di Parigi, il vecchio e presuntuoso Anton Ego (con la voce di Peter O’Toole). La fortuna Ratatouille è al sesto posto dei film che hanno incassato di più nel 2007 con i suoi 623.722.818 dollari in tutto il mondo, di cui 17.448.893 euro solo in Italia. L’ottavo film d’animazione della Disney Pixar ha incassato più di alcuni

blockbuster di quell’anno: 300 di Zack Snyder e il film de I Simpson. Sono tantissimi i premi che ha vinto nella stagione 2007/2008, non lasciando praticamente niente ai suoi diretti concorrenti come Persepolis e Surf’s Up. Nel 2008 Ratatouille è stato candidato a 5 premi Oscar, una vera rarità nella storia degli Academy Awards, vincendo il premio per il miglior film d’animazione. Le altre quattro nomination sono state date per miglior sonoro, montaggio sonoro, colonna sonora di Michael Giacchino e sceneggiatura originale. Il film ottenne un tripudio di elogi da parte delle critica. Roger Ebert, uno dei critici cinematografici più famosi del mondo e scomparso nel 2013, scrisse che Ratatouille è l’unico film d’animazione di cui lui desideri vedere un sequel. Curiosità Anche se nelle vesti inedite di doppiatore, Peter O’Toole riuscì a catalizzare su di sé l’attenzione di pubblico e critica. Forte della sua preparazione teatrale e famoso per la sua voce, all’attore irlandese bastarono poche scene per rendere il suo personaggio indimenticabile. Dal numero di visualizzazioni su YouTube, il monologo di Anton Ego (o sarebbe meglio dire, la critica finale), doppiato appunto da O’Toole, è la scena più popolare del film. Tanti critici avevano auspicato perfino una nomination a qualche premio come miglior attore non protagonista. Quando gli fu inviata la sceneggiatura di Ratatouille, Peter O’Toole pensò che si trattasse di uno scherzo. Non aveva mai preso in considerazione di recitare in un film d’animazione. Ma trovò la sceneggiatura impeccabile e si innamorò della famosa critica finale di Ego. Poi, quando visitò gli studi della Disney Pixar in California, O’Toole rimase affascinato dall’atmosfera allegra e allo stesso tempo professionale del posto e accettò il ruolo che lo fece conoscere anche ai più giovani. Ovviamente, si consiglia la visione del film in lingua originale con i sottotitoli in italiano.