Lex specialis e ragionamento giuridico

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XVIII Seminario Italo-spagnolo-francese di Teoria del Diritto XVIIIe Séminaire Franco-italo-espagnol de Théorie du Droit XVIII Seminario Hispano-italiano-francés de Teoría del Derecho Università Commerciale Luigi Bocconi, Milano 26 e 27 ottobre 2012 Lex specialis e ragionamento giuridico Ridondanze linguistiche e norme speciali e generali compatibili di Silvia Zorzetto (*) 1. Premessa In questo scritto affronterò il tema della lex specialis analizzando, in particolare, l’ipotesi delle norme speciali compatibili con le norme più generali. Usualmente si presta scarsa attenzione a questa ipotesi. Quando si parla di lex specialis si pensa infatti anzitutto all’adagio “lex specialis de- rogat legi generali” come criterio di soluzione delle antinomie giuridiche, in particolare della co- siddetta antinomia «parziale-totale», sul presupposto che la norma speciale e la norma generale sia- no in conflitto. Di seguito accennerò appena a questa ipotesi più familiare e mi occuperò piuttosto della deroga fra norme speciali e generali compatibili e delle ridondanze linguistiche generate dalla coesistenza di norme speciali e generali. Dividerò il mio discorso in tre parti. Nella prima parte spiegherò in breve: (i) in cosa consiste la specialità delle norme cioè cosa vuol dire che una norma è speciale e a quali condizioni lo è; (ii) in cosa consiste la deroga della norma speciale, cioè cosa vuol dire che una norma speciale deroga a un’altra norma (più generale) e se e a quali condizioni ciò avviene. La visione minimale del principio della lex specialis che propor- rò ha l’obiettivo di spiegare gli usi effettivi di tale principio da parte dei giudici e dei giuristi, oltre che dei teorici. Tiene conto perciò dei suoi usi nel ragionamento giuridico relativi, oltre che ai con- flitti fra norme speciali e generali, al loro concorso (o cumulo) oppure alla loro integrazione in una norma più compiuta. Considerando questi diversi usi, il principio della lex specialis è ricostruibile come una meta-regola sull’applicazione esterna che stabilisce, fra norme identificate in via previa come logicamente ordinate in base alla relazione di specialità, una gerarchia materiale ossia l’uso esclusivo della norma rilevante (più) speciale come base della giustificazione interna del caso 1 . (*) Università degli Studi di Milano - [email protected] [La relazione che verrà esposta al Seminario sarà una sin- tesi di questo scritto e per ragioni di tempo verterà su alcuni punti; considerato anche lo stato iniziale della mia ricerca, ringrazio sin da ora chi volesse sottoporre osservazioni anche sul presente testo.] 1 Per un approfondimento sui criteri gerarchici e sulle nozioni di gerarchia materiale e di applicabilità interna ed esterna da me usate rinvio a J. Ferrer, J. Rodriguez, Jerarquías normativas y dinámica de los sistemas jurídicos, Marcial Pons, Madrid, 2011, spec. cap. III, p. 135 ss.

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XVIII Seminario Italo-spagnolo-francese di Teoria del Diritto XVIIIe Séminaire Franco-italo-espagnol de Théorie du Droit

XVIII Seminario Hispano-italiano-francés de Teoría del Derecho Università Commerciale Luigi Bocconi, Milano 26 e 27 ottobre 2012

Lex specialis e ragionamento giuridico Ridondanze linguistiche e norme speciali e generali compatibili

di Silvia Zorzetto (*)

1. Premessa

In questo scritto affronterò il tema della lex specialis analizzando, in particolare, l’ipotesi

delle norme speciali compatibili con le norme più generali. Usualmente si presta scarsa attenzione a

questa ipotesi. Quando si parla di lex specialis si pensa infatti anzitutto all’adagio “lex specialis de-

rogat legi generali” come criterio di soluzione delle antinomie giuridiche, in particolare della co-

siddetta antinomia «parziale-totale», sul presupposto che la norma speciale e la norma generale sia-

no in conflitto. Di seguito accennerò appena a questa ipotesi più familiare e mi occuperò piuttosto

della deroga fra norme speciali e generali compatibili e delle ridondanze linguistiche generate dalla

coesistenza di norme speciali e generali.

Dividerò il mio discorso in tre parti.

Nella prima parte spiegherò in breve: (i) in cosa consiste la specialità delle norme cioè cosa

vuol dire che una norma è speciale e a quali condizioni lo è; (ii) in cosa consiste la deroga della

norma speciale, cioè cosa vuol dire che una norma speciale deroga a un’altra norma (più generale) e

se e a quali condizioni ciò avviene. La visione minimale del principio della lex specialis che propor-

rò ha l’obiettivo di spiegare gli usi effettivi di tale principio da parte dei giudici e dei giuristi, oltre

che dei teorici. Tiene conto perciò dei suoi usi nel ragionamento giuridico relativi, oltre che ai con-

flitti fra norme speciali e generali, al loro concorso (o cumulo) oppure alla loro integrazione in una

norma più compiuta. Considerando questi diversi usi, il principio della lex specialis è ricostruibile

come una meta-regola sull’applicazione esterna che stabilisce, fra norme identificate in via previa

come logicamente ordinate in base alla relazione di specialità, una gerarchia materiale ossia l’uso

esclusivo della norma rilevante (più) speciale come base della giustificazione interna del caso1.

(*) Università degli Studi di Milano - [email protected] [La relazione che verrà esposta al Seminario sarà una sin-tesi di questo scritto e per ragioni di tempo verterà su alcuni punti; considerato anche lo stato iniziale della mia ricerca, ringrazio sin da ora chi volesse sottoporre osservazioni anche sul presente testo.] 1 Per un approfondimento sui criteri gerarchici e sulle nozioni di gerarchia materiale e di applicabilità interna ed esterna da me usate rinvio a J. Ferrer, J. Rodriguez, Jerarquías normativas y dinámica de los sistemas jurídicos, Marcial Pons, Madrid, 2011, spec. cap. III, p. 135 ss.

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Ciò premesso, nella seconda parte ripercorrerò alcuni studi di linguistica sul fenomeno della

ridondanza nelle lingue naturali2. A mio avviso, questi studi rappresentano uno strumento metodo-

logico utile per analizzare la dimensione linguistica delle ridondanze generate dalle norme speciali e

generali. Stante la natura della relazione di specialità, la ridondanza fra la norma speciale e la norma

generale ha natura semantico-pragmatica oltre che logico-sintattica: è influenzata dalle caratteristi-

che semiotiche delle lingue naturali e del linguaggio giuridico, anzitutto a livello pragmatico. Ciò

vale sia per i diritti fondati sulla scrittura, sia per i diritti e i fenomeni giuridici non fondati sulla

scrittura; in quest’ analisi, comunque, farò diretto riferimento ai primi traendo gli esempi da testi

scritti.

Nella terza parte proverò quindi a calare nel contesto giuridico gli studi sulle ridondanze nel-

le lingue naturali ed esaminerò alcuni casi paradigmatici di norme speciali e generali (compatibili)

ridondanti. L’ipotesi di ricerca che vorrei sottoporre alla discussione è che, con riguardo alle norme

speciali e generali compatibili, l’applicazione o non applicazione del principio della lex specialis da

parte dei giuristi e dei giudici dipende anche, sebbene evidentemente non solo, dal tipo di ridondan-

za fra loro esistente. L’intuizione da cui muovo è che indagare, sul piano linguistico, le ridondanze

fra norme speciali e generali compatibili sia un primo passo per capire perché alcune sono conside-

rate norme deroganti e concorrenti, mentre altre sono invece considerate non derogare e sono com-

binate con le norme più generali in una norma più compiuta.

2. La specialità

Dunque, quando si dice che una norma è “speciale” cosa s’intende? E a quali condizioni una

norma è speciale? Per rispondere a queste domande conviene partire da due esempi.

Il divieto di correre in bicicletta nei viali dei parchi cittadini specifica (è speciale rispetto a)

il generale divieto d’ingresso dei veicoli nelle zone verdi delle città, considerando che ogni biciclet-

ta è un veicolo e che per correre nei viali dei parchi è necessario fare ingresso in una zona verde. In

questo esempio la relazione di specialità fra le norme fa perno su quattro componenti concettuali: 1)

le biciclette sono concepite come specie del genere veicolo (il concetto di bicicletta è cioè ricostrui-

to come incluso nel concetto di veicolo); 2) i parchi cittadini rientrano nel più ampio genere costi-

tuito dalle zone verdi delle città (il concetto di zona verde della città include quello di parco cittadi-

2 Non accennerò dunque all’ampio filone di studi sulla ridondanza di c.d. teoria dell’informazione, né agli approcci lo-gico-formali e agli studi quantitativi che concepiscono la ridondanza come prevedibilità delle occorrenze di determinati elementi di un codice e si occupano di misurarla. La scelta di privilegiare gli studi di linguistica e in particolare le anali-si compiute con riguardo alle lingue naturali deriva dal fatto che i diritti vigenti fanno uso delle lingue naturali per esprimere le norme e che l’astrazione concettuale e la comprensione dei significati dei segni sono abilità che anche in ambito giuridico si fondano sulla più fondamentale capacità di usare e comprendere le lingue naturali, a cominciare dal-la lingua madre.

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no); 2) i viali del parco fanno parte del parco come zona verde3; 3) il correre entro uno spazio pre-

suppone il farvi ingresso, tanto che i viali di un parco o di una zona verde si per-corrono, dove il

‘per-’ indica il complemento di moto attraverso il parco/la zona verde.

Le norme dei trattati internazionali sono abitualmente considerate, dai giuristi, ma non solo,

norme speciali rispetto alle norme di diritto internazionale consuetudinario, le quali sono per con-

verso considerate generali rispetto alle prime. La relazione di specialità fra i due insiemi di norme si

basa su un’assunzione implicita relativa all’origine delle norme in questione. L’assunzione da cui si

muove è che le norme dei trattati internazionali derivano dall’accordo di determinati membri della

comunità internazionale (le parti del trattato) e, pertanto, hanno origine in una data forma di intera-

zione (l’accordo) tra agenti identificati (alcuni membri in particolare della comunità). Invece, le

norme consuetudinarie internazionali derivano dall’interazione tra i membri di tale comunità senza

distinzioni, restando indifferente chi e come interagisce. Si noti che anche qui, come nell’esempio

precedente, vi è un’ordinazione logica tra concetti: l’interazione tra membri della comunità interna-

zionale include, come propria specie, l’accordo tra suoi membri determinati4.

Questi esempi mostrano che la specialità giuridica è una questione logico-concettuale, che

dipende da come si concepiscono le norme e inerente alle loro componenti concettuali, e che richie-

de la previa individuazione di un genere e di una o più differenze specifiche rilevanti.

Spesso i teorici tendono a tracciare una differenza essenziale tra i casi di specialità del primo

tipo e del secondo tipo e, anzi, a considerare genuini casi di specialità solo i primi in cui la speciali-

tà si evince dal confronto fra ciò che ciascuna norma prescrive e in particolare fra le situazioni a cui

ciascuna norma si riferisce (il correre in bicicletta nei viali dei parchi cittadini – l’ingresso dei vei-

coli nelle zone verdi delle città). Al proposito si parla anche di specialità relativa alle fattispecie e

quello esemplificato è il caso più tipico e intuitivo di questo tipo di specialità, perché nell’esempio

le modalità deontiche sono identiche (‘vietato’, ‘vietato’) e, dunque, sono un elemento comune alle

due norme.

Tuttavia, anche il secondo esempio è un caso di specialità. Alla base della specialità, in que-

sto caso, vi è una vera e propria teoria dei generi e delle specie, concernente, come dicevo, l’origine

3 Per inciso, questa assunzione non è scontata come potrebbe sembrare: in molte circostanze i viali – e più in generale i percorsi carreggiabili all’interno delle zone verdi – non sono considerati essi stessi zona verde e dunque a essi si appli-cano regole diverse. Nei parchi e giardini cittadini è frequente per esempio che sia proibito circolare con qualunque vei-colo sulle aiuole e sul tappeto erboso (per non rovinarle) ma che sia permesso transitare sui vialetti in bicicletta, coi pat-tini, sullo skateboard, con le automobiline giocattolo, etc. 4 Rispondo in via anticipata a una possibile obiezione: la specialità tra le norme pattizie e consuetudinarie internazionali non si basa su ragioni estensionali relative al campo di applicazione spaziale di tali norme, perché una norma pattizia concordata in ipotesi da tutti i membri della comunità internazionale (che avrebbe perciò massima estensione spaziale) è considerata comunque speciale rispetto alle norme consuetudinarie internazionali (in quanto resta fondata sull’accordo di parti determinate); per converso, una norma consuetudinaria regionale cioè relativa solo ad alcuni territori del Pianeta – e che pertanto ha estensione minore della norma pattizia appena ipotizzata – è comunque considerata una norma gene-rale, sempre in virtù della sua origine/modalità di formazione.

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delle norme internazionali pattizie e consuetudinarie. Spesso si tende ad affrontare il secondo esem-

pio delle norme come una questione di gerarchia fra le fonti, non di specialità. Ma l’una prospettiva

non esclude l’altra. Al contrario, posto che le norme pattizie si fondano sul principio pacta sunt ser-

vanda che è una norma internazionale consuetudinaria, le norme dei trattati internazionali sono una

sua specificazione: norme appunto speciali, rispetto a questo generale principio, per la loro origine.

Dunque, affinché una norma sia speciale rispetto a un’altra norma, occorre previamente in-

dividuare per ciascuna norma almeno un elemento, l’uno rispetto all’altro, in relazione di specie a

genere e viceversa. Prendendo a prestito una nozione della logica, possiamo chiamare questi concet-

ti ‘termini determinanti’ poiché da essi dipende la qualificazione delle norme come speciali e gene-

rali. La specialità/generalità delle norme è perciò, per così dire, una proprietà derivata, che si fonda

su una relazione più fondamentale tra le loro componenti concettuali. L’essere generale e l’essere

speciale sono qualità delle norme logicamente correlate e opposte che indicano e presuppongono

una relazione di genus ad speciem tra talune componenti concettuali alle quali gli interpreti, in base

a previe assunzioni di rilevanza, danno ruolo di genus e di species.

Come mostrano anche gli esempi, la dimensione logica e più precisamente di sintassi logica

della specialità giuridica consiste nel fatto che i termini determinanti per essere ordinati da genere a

specie devono essere ricostruiti come classi logiche (cioè pensati come perfettamente precisi o esat-

tamente definiti) ordinate secondo la relazione di inclusione logica5. Questa relazione formalizzata

dalla logica è una modalità fondamentale del pensiero umano in ogni ambito: per la zoologia, tutti i

mammiferi sono animali, per cui se un porcospino è un mammifero non può non essere anche un

animale; nella geometria euclidea, tutti i quadrati sono rettangoli, per cui per la geometria euclidea

qualunque cosa può avere forma quadrata solo a condizione di essere (prima ancora) rettangolare;

non stupisce che lo sia quindi anche in quello giuridico. Tuttavia, in ogni ambito, come logica e ma-

tematica, così nelle lingue naturali e nel diritto, la relazione di genere a specie come inclusione lo-

gica ha un fondamento semantico per cui la specialità (giuridica) è una questione indubbiamente lo-

gica ma non solo di sintassi logica. Stabilire quali caratteristiche delle norme sono rilevanti e assu-

mono il ruolo di genere e differenza specifica non è una questione logica, ma frutto di scelte concet-

tuali6 e di giustizia. Decidere cosa è e non è rilevante, cosa conta e cosa no come differenza signifi-

5 Parlo di ‘ricostruzione’, perché, evidentemente, fuori dell’ambito dei linguaggi formali come la logica e la matemati-ca, i concetti non sono esattamente o precisamente determinati da regole di interpretazione fisse e previe come avviene per i simboli in logica e si suppone sia per le classi logiche e gli insiemi. 6 Così, considerato che le azioni di società sono titoli di credito, è ad esempio dubbio se la disciplina di conflitto dettata per i titoli di credito in generale dall’art. 59 l. 218/1995 riguardi anche quella particolare categoria costituita dai titoli partecipativi azionari, o se invece questi ultimi debbano essere regolati dalla lex societatis ai sensi dell’art. 25 l. 218/1995. L’alternativa è tra due diverse classificazioni e cioè l’individuazione di diversi generi e differenze specifiche rilevanti: l’applicazione alle azioni della lex tituli si fonda sull’inclusione nel genere dei titoli di credito; l’applicazione della lex societatis si fonda invece sulla loro pertinenza al genere delle società. Cfr. ad es. A. Malatesta, Titoli di credito (voce), in R. Baratta (a cura di), Dizionario di diritto internazionale privato, Giuffrè, Milano, 2011, p. 491; B. Barel, S.

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ca regolare diversamente determinati comportamenti e non altri, e trattare in maniera eguale o di-

versa alcuni individui o classi di individui, anziché altri7. Sotto questo profilo costituiscono un caso

paradigmatico le norme speciali di favore (come ad es. le norme che stabiliscono agevolazioni fi-

scali o semplificano talune procedure amministrative per gli enti di una determinata Chiesa, o delle

confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa con lo Stato italiano o degli enti ecclesiastici8).

Per non dimenticare questa triplice dimensione della specialità (logica, semantica e di giu-

stizia) e che cioè i termini determinanti della specialità giuridica sono talune componenti concettuali

delle norme considerate rilevanti dagli interpreti, è utile distinguere la relazione di specialità tra le

norme, da un lato, e la relazione da genere a specie tra queste componenti, dall’altro lato.

In base a quest’ultima relazione ogni specie eredita i caratteri del genere e si distingue da

ogni altra specie per una differenza specifica che per il genere può esserci o non esserci: è né neces-

saria né sufficiente. Per esempio, i gatti possono essere neri e possono essere bianchi: c’è cioè la

specie dei gatti bianchi e quella dei gatti neri. Ma né l’essere bianco né l’essere nero sono caratteri-

stiche sufficienti o necessarie per essere gatto: vi sono infatti gatti siamesi e cani bianchi.

Tra le norme speciali e generali corre una relazione che ha la forma della conseguenza logi-

ca. Questa relazione si può esprimere dicendo che, ad es., l’obbligo di onorare il padre e la madre

presuppone (logicamente) l’obbligo di onorare un prossimo congiunto ovvero che onorare un pros-

simo congiunto è condizione (solo) necessaria dell’onorare il padre e la madre. Le due relazioni, di

inclusione della specie (il padre e la madre) nel genere (un prossimo congiunto purchessia) e di

conseguenza logica tra le norme, possono essere presentate in modo unitario tramite la relazione di

implicazione stretta di C.I. Lewis9. Questa relazione può essere espressa come segue: se il concetto

di padre e madre è incluso nel concetto di prossimo congiunto, è internamente contraddittorio af-

fermare che si onora il padre e la madre ma non un prossimo congiunto ed è perciò necessario ono-

rare un prossimo congiunto, perché sia possibile onorare il padre e la madre10.

Armellini, Manuale breve di diritto internazionale privato, con pref. S. Bariatti, Giuffrè, Milano, 2011, p. 130; A. Gar-della, Le garanzie finanziarie nel diritto internazionale privato, Giuffrè, Milano, 2007, p. 78-79 nota 165 e ivi per ult. rif. bibliografici. 7 Per un verso, la generalità è giustizia nel senso di trattamento indifferenziato, per altro verso anche la specialità è giu-stizia nel senso di trattamento differenziato, fino al caso estremo del trattamento ritagliato per il caso individuale. 8 Cfr. ad es. G. Casuscelli (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, 3° ed., 2009, Giappichelli, Torino, in particolare G. Casuscelli, Elmenti introduttivi, p. 22; S. Fiorentino, La libertà di religione, p. 84. 9 Per un approfondimento, v. Zorzetto (2010), La norma speciale. Una nozione ingannevole, Pisa, cap. 2 e relativa App. 10 Nell’esempio l’obbligo generale di onorare un prossimo congiunto risulta soddisfatto quale che sia il prossimo con-giunto che si onora. Come indica l’articolo indeterminativo ‘un’ tutte le possibili differenze specifiche di ciascun pros-simo congiunto (inteso come specie o anche individuo) sono egualmente indifferenti. Perciò, rispettando l’obbligo spe-ciale di onorare il padre e la madre, si rispetta anche per definizione l’obbligo generale. Diverso è il caso della norma che impone l’obbligo di onorare i prossimi congiunti, intesi come tutti i prossimi congiunti, non (almeno) uno qualsiasi. In questo caso, onorando il padre e la madre si osserva solo la norma speciale, non anche la norma generale: per osser-vare anche questa occorre onorare anche tutti gli altri prossimi congiunti. Ne segue che colui che osserva la norma spe-ciale resta destinatario dell’eventuale sanzione ricollegata alla inosservanza della norma generale.

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Configurare la specialità come implicazione stretta, ha il pregio sia di mostrare il fondamen-

to semantico della specialità, sia di distinguere tra il livello delle norme e quello delle loro compo-

nenti concettuali. Distinguere i due livelli è necessario perché la specialità giuridica varia in funzio-

ne delle componenti concettuali che gli interpreti considerano rilevanti e, ai loro occhi, normalmen-

te, non tutte le componenti contano ai fini della specialità delle norme.

Per esempio, la norma “è vietato introdursi in una abitazione altrui contro la volontà

espressa o tacita del proprietario ovvero clandestinamente o con inganno” è da tutti considerata

generale rispetto alla norma (speciale) “è vietato a ogni pubblico ufficiale d’introdursi nei luoghi

indicati dalla norma precedente, abusando dei poteri inerenti alle proprie funzioni” 11, perché si dà

rilevanza (si considerano come termini determinanti) il destinatario delle norme (chiunque e il pub-

blico ufficiale) e il modo in cui il pubblico ufficiale agisce (abusando dei suoi poteri), mentre non si

contano (non si considerano come termini determinanti ai fini del rapporto di specialità) le modalità

dell’agire contro la volontà espressa o tacita del proprietario o clandestinamente o con inganno. Se

si considerassero anche queste, avremmo due norme che hanno alcuni aspetti comuni e altri diversi

e pertanto interferenti, non speciali e generali12.

Sia i giuristi che i teorici usano fondare la specialità anche su elementi esterni alla fattispecie

delle norme, ma che di fatto sono trattati come una componente implicita delle norme essenziale ai

fini della specialità. Oltre al caso iniziale delle norme pattizie e consuetudinarie internazionali, dove

determinante ai fini della specialità è la loro origine o modalità di formazione, un’altra ipotesi assai

diffusa riguarda la cosiddetta materia ossia il campo di applicazione materiale delle norme che vie-

ne presupposto dall’interprete.

Per esempio, dagli artt. 77 Rappresentanza del procuratore e dell’institore e 317 Rappresen-

tanza davanti al giudice di pace cod. proc. civ. it. (art. 77 “Il procuratore generale e quello prepo-

sto a determinati affari non possono stare in giudizio per il preponente, quando questo potere non è

stato loro conferito espressamente, per iscritto, tranne che per gli atti urgenti e per le misure caute-

lari.”; art. 317 “Davanti al giudice di pace le parti possono farsi rappresentare da persona munita

di mandato scritto in calce alla citazione o in atto separato, salvo che il giudice ordini la loro com-

parizione personale.”), la dottrina e la giurisprudenza ricavano, rispettivamente, le norme seguenti:

(Ng) (sott. In ogni giudizio civile), le parti possono farsi rappresentare, rilasciando una procura in

forma scritta, soltanto da una persona che ha potere rappresentativo anche sostanziale; (Ns) (sott.

Nel procedimento civile), davanti al giudice di pace, le parti possono farsi rappresentare da una

11 Cfr. articoli 614 Violazione di domicilio e 615 Violazione di domicilio commessa da pubblico ufficiale cod. pen. it. 12 Questa situazione è spesso chiamata di c.d. «specialità bilaterale» o «reciproca», anche se la relazione logica corri-spondente non è l’inclusione di una classe sotto-ordinata in una sovra-ordinata o di un insieme meno esteso in uno più esteso, ma è l’interferenza fra classi o insiemi.

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persona munita di mandato scritto, anche se non ha potere rappresentativo anche sostanziale. La

prima norma è considerata generale in quanto applicabile (in linea di principio, salvo deroghe

espresse) a ogni giudizio civile. La seconda norma è considerata speciale perché invece è applicabi-

le ai soli procedimenti civili avanti al giudice di pace. Determinante per la costruzione della rela-

zione da genere a specie, qui, è l’ambito di applicazione materiale delle norme; non invece la linea

di condotta prescritta, cioè il potere di conferire procura alle liti. Se consideriamo questo profilo, il

potere di rappresentanza attribuito dalla prima norma generale è più circoscritto (meno esteso, più

specifico), invece che più generico di quello attribuito dalla seconda norma speciale. Per la norma

speciale la rappresentanza in giudizio può essere conferita a chiunque (purché con procura per

iscritto). Per la norma generale, questa sola formalità non basta e occorre anche che il rappresentan-

te processuale sia pure rappresentante sostanziale (i.e. procuratore generale o institore preposto a

determinati affari). Rispetto alla norma speciale, la norma generale richiede quindi un requisito in

più (anziché in meno) per esercitare validamente il potere che regola. In questo modo, la generalità

dei soggetti (cioè le parti in un giudizio civile) ha un onere in più (anziché in meno) rispetto a quel-

lo che ha la particolare classe di soggetti costituita dalle parti in un giudizio civile che agiscono

avanti al giudice di pace.

Come risulta da questo esempio, distinguere tra (specialità delle) norme e (relazione da ge-

nere a specie fra i) termini determinanti permette anche di spiegare il fenomeno – peraltro diffuso –

delle norme speciali più generiche delle norme generali e viceversa13.

Un altro atteggiamento comune a giuristi e teorici è quello di considerare, di regola, rilevan-

te ai fini della specialità la componente che esprime il destinatario delle norme. Questo elemento

13 Un altro esempio si ricava dal confronto tra gli artt. 182, 1° e 2° co. e 421, 1° co., cod. proc. civ. it. Il primo articolo dispone che “1. Il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi. 2. Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnova-zione della stessa. omissis”. Il secondo articolo dispone che “Il giudice indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi (…)”. La prima disposi-zione per tutti enuncia una norma generale perché riguarda il processo civile ordinario di primo grado avanti il Tribuna-le (che è considerato il caso generale paradigmatico di processo), la seconda esprime per tutti una norma speciale, per-ché riguarda il processo civile ordinario di primo grado secondo il rito del lavoro. Anche in questo caso è essenziale quindi ai fini della specialità il campo di applicazione materiale delle due norme; considerando la linea di condotta pre-scritta dalle due norme, la norma generale è ben più specifica della norma speciale che ha contenuto assai più generico. Un altro esempio è dato dall’art. 43, 3º co., r.d. 16 marzo 1942 n. 267 secondo cui “L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo” (si parla di estinzione automatica) e dall’art. 300 cod. proc. civ. secondo cui in caso di per-dita della capacità della parte costituita “a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione vo-lontaria o la riassunzione” da parte di coloro ai quali spetta di proseguirlo. Nella prima disposizione dottrina e giuri-sprudenza leggono una norma speciale, rispetto a quella formulata nel Codice di procedura civile, in quanto il fallimen-to viene considerato una particolare ipotesi di perdita di capacità. La norma speciale è più generica di quella generale, perché per essa qualunque dichiarazione o notificazione è indifferente, tanto che, anche se avviene, il dies a quo per riassumere il giudizio non decorre da quel momento ma da quello dalla sentenza di fallimento.

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non solo conta quasi sempre, ma spesso è più rilevante di altri elementi e talvolta è persino decisivo.

Invece, ogni altro elemento risulta tendenzialmente essere o non essere rilevante a seconda delle as-

sunzioni da cui si muove volta per volta. Di solito, non contano la conseguenza o gli effetti giuridi-

ci. Perciò, ad esempio, le norme penali sono classificate come speciali e generali pensando alla

norma nella forma categorica “è vietato che p” anziché nella forma ipotetica “se p, allora si è sog-

getti alla pena x”: in questo modo la specialità è tracciata solo dal lato della fattispecie (la cosiddetta

figura criminis) e la conseguenza della norma penale, cioè la pena, non costituisce una differenza

specifica ulteriore rilevante. Anche nel diritto civile, i giuristi tendono a qualificare le norme come

speciali e generali in ragione della fattispecie, omettendo di considerare ai fini della specialità le

conseguenze (queste sono rilevanti ai fini di stabilire se la norma speciale deroga o no e quindi se le

conseguenze si cumulano o no). Così, ad esempio, la norma secondo cui è “se per circostanze im-

prevedibili si verificano aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da

determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto

per l’opera, allora l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo per la

differenza che eccede il decimo” (cfr. art. 1664 cod. civ. it.) è considerata speciale rispetto alla nor-

ma generale secondo cui “se in un contratto a esecuzione continuata o periodica la prestazione di

una delle parti diventa eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e im-

prevedibili, allora la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto”.

La specialità è costruita dal lato delle fattispecie concependo gli aumenti o diminuzioni, oggetto

della prima norma, come una specie del genere eccessiva onerosità sopravvenuta, oggetto della se-

conda14.

Malgrado quest’abitudine dei giuristi e dei teorici a tracciare la relazione di specialità tra le

fattispecie delle norme (eventualmente intese in senso ampio, includendovi come sopra accennato la

componente costituita dalla sfera materiale, temporale o spaziale, etc.), anche le conseguenze o gli

effetti giuridici e le modalità di qualificazione deontica potrebbero essere termini determinanti della

specialità giuridica.

Possiamo fare tre esempi elementari per ciascuna ipotesi: a) la norma “se non si osservano i

comandi paterni, allora si è puniti” è speciale per la fattispecie rispetto alla norma “se si trasgredi-

14 Per la giurisprudenza la norma speciale di cui all’art. 1664 cod. civ. deroga alla norma generale di cui all’art. 1467 cod. civ., il che serve a evitare, stante la diversità delle conseguenze, che nei casi di eccessiva onerosità sub specie di aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo, vi sia la possibilità di chiedere in via alternativa o la risoluzione o la revisione. Appunto per evitare la possibilità di questo cumulo alternativo di domande, “con riferimento al contratto di appalto, attesa la sussistenza di una disciplina speciale in merito, di cui all’art. 1664 c.c., (…) il rimedio risolutorio di cui all’art. 1467 c.c., può ritenersi applicabile (…) solo nell’ipotesi in cui l’onerosità sopravvenuta sia da attribuire a cause diverse da quelle menzionate nell’art. 1664, dovendo altrimenti la norma speciale prevalere sulla norma generale, in quanto di-sciplina specifica di un contratto commutativo con caratteristiche particolari” (T. Napoli-Frattamaggiore, 13-7-2007, in Strum. avv., 2007, 1, p. 53).

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sce un ordine, allora si è puniti”; b) la norma “se si usa il mulino del signore per macinare il grano,

allora si deve pagare una tassa in proporzione alla quantità di grano macinato” è speciale per la

conseguenza rispetto alla norma “se si usa il mulino del signore per macinare il grano, allora si deve

versare un tributo”; c) la norma “è obbligatorio votare” è speciale per la modalità di qualificazione

deontica rispetto alla norma “è permesso votare” posto che solo se è permesso votare, votare può

essere obbligatorio.

La norma speciale è necessariamente compatibile con la norma generale in tutti i casi in cui

la norma speciale è una specificazione della norma generale, avendo la stessa modalità di qualifica-

zione deontica e riferimento in relazione da specie a genere rispetto a quello della norma generale,

come nell’esempio “è vietato recare disturbo ai condomini dell’edificio” ed “è vietato giocare in

giardino nelle ore di riposo stabilite dal regolamento condominiale”, oppure quando i termini de-

terminanti in relazione da genere a specie sono proprio le modalità di qualificazione deontica delle

norme, come nel caso dell’obbligo di vaccinazione che presuppone il permesso di vaccinarsi (per-

messo positivo): infatti, solo se è permesso vaccinarsi, allora vaccinarsi potrà essere altresì obbliga-

torio. Si parla in questi casi di relazione di sub/super-implicazione o sub/super-alternazione. Analo-

gamente, solo se è permesso non sfruttare il lavoro minorile (permesso negativo), sfruttare il lavoro

minorile potrà essere pure vietato: ogni divieto presuppone logicamente un permesso negativo ov-

vero una facoltà d’astensione.

Eccettuati questi casi, ogni norma speciale può essere o compatibile o incompatibile rispetto

a ogni altra norma più generale, a seconda di quali sono le modalità di qualificazione deontica delle

norme prese in considerazione: per esempio, rispetto al permesso generale rivolto a tutte le persone

di esprimere il proprio pensiero pubblicamente sono speciali tanto la norma che permette di fare

propaganda a favore di un determinato partito politico (norma speciale compatibile) quanto quella

che vieta di lanciare insulti offensivi dell’onore o della reputazione altrui in pubblici discorsi (nor-

ma speciale incompatibile).

3. La deroga

Corollario di questa concezione della specialità è che nessuna norma speciale è di per sé de-

rogante rispetto alle norme più generali, poiché la deroga – a differenza della specialità/generalità –

non è una questione logico-concettuale inerente alle norme (e, alla base, alle loro componenti), ma è

una questione di diritto positivo che riguarda la scelta delle norme con cui decidere i casi giuridici.

La possiamo chiamare una scelta di giustificazione esterna, in opposizione alla giustificazione in-

terna con cui si trae la conclusione pratica del caso. Gli attributi ‘esterna’ e ‘interna’ indicano, con

una metafora spaziale, una successione logica: per trarre qualunque conclusione pratica (che è una

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norma singolare o individuale) prima è necessario determinare/scegliere quale norma (generale)

adoperare come base del ragionamento o fondamento della giustificazione. L’alternativa a cui dà

una soluzione il principio della lex specialis è appunto se, nella giustificazione giuridica, si debbano

adoperare le norme più speciali o quelle più generali.

Per esempio, per decidere o sapere se a un lavoratore spetta o no la retribuzione corrispon-

dente all’esercizio di mansioni superiori rispetto a quelle per cui è stato assunto, quale norma si de-

ve scegliere tra la norma generale secondo cui “il lavoratore ha diritto a una retribuzione propor-

zionata alla quantità e qualità del suo lavoro” (cfr. prima parte art. 36 Cost. it.) e la norma speciale

che prevede che “lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza com-

porta il diritto alle differenze retributive”?15 A seconda di quale norma sceglieremo, comportamenti

diversi saranno corretti o scorretti, conformi o no a diritto (al proposito, è interessante notare che la

giurisprudenza considera in questa ipotesi necessaria la norma speciale espressa, escludendo di po-

ter derivare il diritto alla maggiorazione retributiva per le mansione di fatto svolte dalla norma ge-

nerale ex art. 36 Cost.)16.

Tutte e due le norme dell’esempio si riferiscono (al diritto) alla retribuzione del lavoratore e

il problema è proprio sapere se solo una o tutte e due serve/ono a regolare tali casi. A tale fine, oc-

corre distinguere tra la qualificazione giuridica da un lato e la giustificazione giuridica dall’altro la-

to, cioè tra l’applicabilità interna delle norme ossia cosa è giuridicamente rilevante o significativo

per un determinato diritto e l’applicabilità esterna delle norme ossia in base a quali norme si deve

agire e decidere per quel dato diritto: la prima questione è logicamente precedente rispetto alla se-

conda, in questo senso le norme qualificano in funzione dell’azione o, in breve, sono ragioni per

agire17.

La risposta alla domanda “perché è proibito realizzare un balcone sulla facciata di un con-

dominio?” 18 può essere “perché ciascun partecipante non può servirsi della cosa comune alterando-

ne la destinazione e impedendo agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”

(norma generale proibitiva) oppure “perché è vietato aprire sulla facciata di un condominio luci e

vedute dirette, laterali od oblique che determinino un’alterazione estetica e il decoro architettonico

15 Cfr. art. 56 d.lgs. n. 29/1993, come sost. dall’art. 25 d.lgs. n. 80/1998 e mod. dall’art. 15 d.lgs. n. 387/1998. 16 Vedi C. Stato, sez. VI, 3-2-2011, n. 758, in Foro amm.-Cons. Stato, 2011, 528 (m), per esteso in banca dati Pluris Utet e i precedenti richiamati in motivazione. 17 I giuristi positivi tendono a non distinguere tra la qualificazione giuridica e la giustificazione giuridica e questa omis-sione è una delle ragioni per cui la norma speciale è considerata derogante per forza propria. 18 La giurisprudenza affronta tale questione considerando rilevanti la norma in materia di distanze legali tra fondi conti-gui di cui all’art. 905 cod. civ. e la norma in materia di uso della cosa comune di cui all’art. 1102 cod. civ. Quest’ultima è considerata una norma speciale riguardando una situazione di comproprietà, mentre la prima è considerata generale riguardando la proprietà in generale (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. II, 18-3-2010, n. 6546, in Giust. civ., 2011, I, 1040). In realtà, salva quest’assunzione, confrontando le norme in questione, risulta che esse sono non in relazione di speciali-tà, ma di interferenza. Perciò, nell’esempio del testo mi discosto dal caso reale in modo da esaminare due norme l’una speciale rispetto all’altra.

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dell’edificio” (norma speciale proibitiva) – nel qual caso in assenza di deroga avremmo due ragioni

concorrenti per non realizzare il balcone. La risposta alla domanda “entro o non entro nel fondo al-

trui per salvare la vita di Tizio?” può essere sia “sì, perché in stato di necessità è permesso accedere

a luoghi privati altrui” oppure “no, perché è vietato violare la proprietà altrui”. In quest’ultimo caso,

in assenza di deroga da specialità, l’agente si trova di fronte a un dilemma pratico cioè a due rispo-

ste normative incompatibili.

Sia che abbiamo più ragioni/norme concorrenti (come nei due esempi della retribuzione e

del condominio), sia che abbiamo invece ragioni/norme incompatibili (come nell’ultimo esempio

dello stato di necessità), dipende dal diritto positivo quale norma seguire/adoperare per decidere

come ci si deve comportare: se quella (più) generale o quella (più) speciale o ambedue. Per sceglie-

re tra tali norme ci vuole una terza norma diversa e distinta. Nella cultura giuridica europeo-

continentale contemporanea e non solo, l’enunciazione più famosa di questa terza norma è appunto

l’adagio o brocardo “lex specialis derogat legi generali”.

Un diritto positivo potrà allora scegliere i) che ogni norma speciale deroghi a ogni norma

più generale sancendo il noto adagio riguardo a tutto l’ordinamento o a un suo ambito o settore (cfr.

per esempio l’art. 15 cod. pen. it. e l’art. 8 cod. pen. spagnolo); ii) che solo alcune norme speciali

deroghino ad alcune norme generali prevedendo l’adagio solo in via puntuale (come fa per esempio

l’art. 840 cod. civ. it. per il quale la norma generale secondo cui la proprietà del suolo si estende al

sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene non si applica alle miniere cave e torbiere; oppure l’art.

2401 del cod. civ. francese in materia di ipoteca legale19 e l’art. 1153 del medesimo codice in mate-

ria di interessi per ritardo nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie20); iii) che qualche norma

generale deroghi alle eventuali norme più speciali secondo il principio reciproco lex generalis dero-

gat legi speciali (come è avvenuto nella storia per talune consuetudini generali imperiali prevalenti

sulle consuetudini speciali locali; nel diritto italiano attuale, ai sensi dell’art. 9 l. n. 689 del 1981, le

norme penali nazionali prevalgono sulle norme speciali delle regioni e province autonome che pre-

vedono sanzioni amministrative); infine, iv) che talune norme non deroghino le une alle altre e le

norme speciali e le norme generali “concorrenti” guidino a pari titolo le scelte pratiche dei cittadini

e le decisioni dei giudici e dei pubblici funzionari (come nel caso del concorso di reati oppure

dell’art. 18 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex art. 12 TCE) secondo cui “Nel

19 Cfr. Art. 2401 Code civil (Version consolidée au 2 juin 2012) “Sous réserve tant des exceptions résultant du présent code, d’autres codes ou de lois particulières que du droit pour le débiteur de se prévaloir des dispositions des articles 2444 et suivants, le créancier bénéficiaire d’une hypothèque légale peut inscrire son droit sur tous les immeubles ap-partenant actuellement à son débiteur, sauf à se conformer aux dispositions de l’article 2426.”. 20 Cfr. Art. 1153 Code civil (Version consolidée au 2 juin 2012) “Dans les obligations qui se bornent au paiement d’une certaine somme, les dommages-intérêts résultant du retard dans l’exécution ne consistent jamais que dans la condam-nation aux intérêts au taux légal, sauf les règles particulières au commerce et au cautionnement.”.

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campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi pre-

viste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità.”).

Ovviamente, ciascun diritto potrà poi prevedere tutto ciò in modo espresso (in apposite di-

sposizioni, come gli articoli sopra citati) oppure tacitamente (con norme non formulate).

Il principio lex specialis derogat legi generali è dunque una regola di giudizio contingente

che può essere o non essere contemplata da un certo diritto vigente. Si tratta propriamente di una

meta-regola sull’applicazione esterna che regola il procedimento di decisione dei casi giuridici, sia-

no essi casi reali (c.d. casi concreti), siano essi prospettati per esercizio intellettuale (c.d. casi astrat-

ti). Perciò, suoi destinatari sono anzitutto i funzionari, primi fra tutti i giudici, ma anche i cittadini,

dato che anche costoro sono evidentemente interessati a sapere se al comportamento loro e altrui va

applicata una sola norma o più norme (più o meno generali) e se l’unica norma applicabile sia quel-

la speciale o generale.

Si pensi alle diverse attitudini pratiche che normalmente si sviluppano in presenza di norme

elementari come “è vietato l’accesso agli animali” ed “è vietato l’accesso ai cani senza la museruo-

la e il guinzaglio”: due norme destinate ai loro padroni o accompagnatori, i cui atteggiamenti pratici

saranno assai diversi a seconda che la seconda norma deroghi o no alla prima. Peraltro, in presenza

di norme siffatte in cui la norma speciale ha ad oggetto non una specie, ma una sotto-specie (non i

cani tout court, ma i cani senza la museruola e il guinzaglio), spesso ci si pone il problema se non

sia regolata in maniera opposta la classe complementare e quindi l’accesso ai cani con museruola e

guinzaglio debba intendersi implicitamente permesso. Quando la differenza specifica che identifica

la sotto-specie sembra essere la ragione decisiva del divieto (o dell’obbligo o del permesso etc.), si

tende a rispondere in maniera affermativa.

Da quanto detto segue che la tesi comune per cui le norme speciali e generali sono incompa-

tibili dà conto solo in parte della specialità giuridica escludendo una parte importante di tale feno-

meno. Parimenti, la concezione del principio di specialità come principio di soluzione delle antino-

mie mette in luce solo una delle sue funzioni, dal momento che esso può essere impiegato anche per

evitare l’applicazione congiunta delle norme speciali e generali compatibili.

Inoltre, una cosa è la specialità, altro è la deroga. Pertanto, le norme speciali possono dero-

gare così come non derogare alle norme generali. Infatti, in forza della relazione di specialità, per

un verso, ogni norma generale si riferisce a ciò a cui si riferisce anche ogni norma più speciale; per

altro verso, ogni norma speciale qualifica una parte dei casi qualificati anche da ogni norma più ge-

nerale. Dunque, sia la norma speciale sia la norma generale sono, l’una rispetto all’altra, ridondanti

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sul piano dell’applicabilità interna ossia nella qualificazione giuridica21. Presupposto di applicazio-

ne del principio della lex specialis non è allora l’incompatibilità fra le norme speciali e generali ma

l’esistenza dell’ambito comune di qualificazione (o applicabilità interna) dato appunto dalla spe-

cie22.

Se le norme in gioco sono compatibili e non deroganti avremo una ridondanza, tanto sul

piano dell’applicabilità interna, quanto sul piano della applicabilità esterna e, dunque, un concorso

di norme e cumulo di conseguenze. Se le norme in gioco sono incompatibili e non deroganti avre-

mo una ridondanza che genera un dilemma pratico. Se una delle due norme (ad es. quella speciale)

deroga all’altra (quella generale), in forza di un criterio gerarchico (ad es. il principio della lex spe-

cialis), avremo ridondanza solo sul piano dell’applicabilità interna ossia della qualificazione giuri-

dica.

L’incompatibilità non è nemmeno la ragione di deroga, perché in base al principio della lex

specialis la norma speciale prevale, non perché incompatibile, ma perché speciale, sulla norma ge-

nerale. La specialità, non l’incompatibilità è ragione di deroga. Naturalmente, una norma (speciale)

può prevalere sulle norme più generali anche per ragioni diverse, come ad esempio perché più favo-

revole, perché emanata da una certa autorità, etc. In tali ipotesi, la meta-regola sull’applicazione

usata non è il principio della lex specialis, ma il criterio di prevalenza della norma più favorevole

(criterio de ley más favorable) o di competenza e così via.

Noto per inciso che, nell’applicazione delle norme speciali e generali, il criterio della disci-

plina di maggior favore è talvolta impiegato anche per escludere la deroga fra le norme speciali e

generali. Così, ad esempio, in materia di legge applicabile alla filiazione, l’art. 33, 1° e 2° co., della

L. 218/1995 dispone che “1. Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al mo-

mento della nascita23. 2. È legittimo il figlio considerato tale dalla legge dello Stato di cui uno dei

genitori è cittadino al momento della nascita del figlio”. Nel secondo comma si vede una norma

speciale rispetto a quella formulata nel primo comma, perché mentre quest’ultima riguarda lo status

di figlio legittimo, l’altra riguarda lo status di figlio. Parte degli interpreti, muovendo dai lavori pre-

paratori, ma soprattutto per ragioni di favore nei confronti dello status di figlio legittimo (c.d. favor

filiationis, sub specie legitimationis)24, afferma che la norma speciale non deroga alla norma gene-

21 Sono norme ridondanti anche le norme interferenti (cfr. supra nota 11), come per esempio la norma che obbliga gli studenti di giurisprudenza e di lettere a studiare filosofia del diritto e quella che impone di studiare almeno una materia filosofica nella facoltà di giurisprudenza. 22 Vi è spazio per la deroga anche nelle situazioni chiamate di c.d. «specialità bilaterale» o «reciproca». Per quanto detto (cfr. supra note 11 e 20), in questa ipotesi ragione di deroga non potrà essere la specialità; potrà essere invece, ad esem-pio, il trattamento più o meno severo, il maggior favore o vantaggio per una certa categoria, etc. 23 Segnalo solo, perché esula dal tema della mia analisi, l’evidente circolarità di questo criterio di collegamento. 24 E’ interessante notare che qui il concetto di favore non ha significato di migliore trattamento o trattamento più van-taggioso per la categoria dei figli, perché non conta affatto quale legge, ad es., permette un più facile o celere accerta-mento della filiazione naturale. Il favor sta nell’ampliare il novero delle leggi applicabili alla filiazione. L’assunto im-

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rale: in particolare, la designazione della legge nazionale dei genitori (cfr. 2° co.) lascerebbe impre-

giudicata l’applicabilità della legge nazionale del figlio (cfr. 1° co.), per cui la legittimazione sareb-

be regolata, in via principale, dalla legge nazionale del figlio e, in via sussidiaria, dalla legge dello

Stato di cui uno dei genitori è cittadino. In senso opposto, parte degli interpreti ritiene che la condi-

zione di figlio legittimo sia regolata esclusivamente dalle leggi dei genitori (ex 2° co. cit.): la norma

speciale derogherebbe quindi alla norma generale. A seconda degli orientamenti, si argomenta in tal

senso o in forza di un’argomentazione sistematica e a contrario degli altri articoli in materia di fi-

liazione25 o in quanto lo status di figlio legittimo sarebbe connesso più al rapporto di coniugio tra i

genitori che non alla filiazione naturale. Si noti che in tal caso si usano due teorie dei generi e delle

specie diverse, una ai fini della specialità, una ai fini della deroga: ai fini della specialità, come det-

to, si assume che lo status di figlio legittimo sia incluso nello status di figlio (genere-1); ai fini della

deroga, si assume invece che la legittimazione sia un’implicazione del matrimonio (genere-2).

4. Le ridondanze linguistiche nelle lingue naturali

Come noto, con la nozione di ridondanza in linguistica si suole individuare, allo stesso tem-

po, un fenomeno molto generale (secondo un orientamento, una caratteristica essenziale) delle lin-

gue naturali26 e una serie molto ampia di fenomeni micro- e macro-linguistici. Quella di ridondanza

linguistica è perciò una nozione: per un verso, generica; per altro verso, notevolmente ambigua27. In

base a una definizione standard nella linguistica contemporanea, il termine ‘ridondanza’ designa la

reiterazione di elementi linguistici che fa sì che un’informazione già data sia veicolata sotto altra

forma28. La ridondanza viene perciò generalmente vista come “the amount of linguistic signals ex-

ceeding the minimum necessary in order to render the messagge”29: “l’identité ou la quasi-identité

plicito da cui si muove è che l’esistenza di un maggior numero di criteri di collegamento favorisca l’accertamento dello status di figlio. Come dirò subito nel testo, questo assunto è contraddetto, nel caso di specie, dalla circostanza che i cri-teri sono intesi non come alternativi, ma come l’uno sussidiario all’altro ed è evidente che in astratto non si può sapere se la legge del (preteso) figlio rende più facile o, invece, più difficile l’accertamento della filiazione naturale rispetto a quella dei (presunti) genitori. 25 Cfr. artt. 34, 1° co., e 35, 1° co., della L. 218/1995, in tema di legittimazione per susseguente matrimonio e di ricono-scimento del figlio naturale, che a differenza dell’art. 33, 2° co., richiamano espressamente la legge nazionale del figlio. 26 Cfr. E. Pulgram, The Reduction. and Elimination. of Redundancy, in Essays in honor of Charles F. Hockett, by F.B. Agard, G. Kelley, A. Makkai, and V. Becker Makkai, Leiden, E. J. Brill., 1983 p. 107; C. Isabella, Ridondanza e lin-guaggio. Un principio costitutivo delle lingue, Carocci, Roma, 2002. 27 Forse l’unico punto che si può considerare fermo in linguistica sulla ridondanza è che essa “cependant n'est pas la caractéristique d'un élément isolé, mais d'une séquence d'éléments. La redondance serait nulle si tous les mots dans une suite étaient également probabile”: R. Pelchat, La redondance de la langue écrite et ses incidences sur la lecture, in Québec français, n. 52, 1983, p. 78. 28 Cfr. J. !abr"ula, Redondance et Économie, in Acta Universitatis Carolinae, Philologica, Romantica, Pragensia, 9, 1975, p. 101-124, spec. p. 101. 29 Cfr. G. Panek, Towards a Norm-Based Approach in Translation of Legal Provisions / Rola normy prawnej w przek!adzie przepisów prawnych, in Investigationes Linguisticae, Vol. XVII, 2009, p. 82, dove cita B.Z. Kielar, Angiel-skie ekwiwalenty polskich terminów prawnoustrojowych, Warszawa, PWN, 1973.

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des signifiés produit de la redondance, soit, au sens le plus large, l’itération d’un même contenu”30.

Stante questa genericità, molti, se non tutti, i fenomeni di ridondanza linguistica sono abitualmente

anche catalogati sotto altre voci: ricordando alcune tra le più note, si parla ad es. di pleonasmo31,

perissologia32, tautologia, ripetizione, iterazione, superfetazione, elementi riempitivi33, dummies

elements34, ipercaratterizzazione del segno linguistico35, abundantia, commoratio, expolitio36, etc.

Per analizzare e classificare i fenomeni di ridondanza delle lingue naturali, sono state propo-

ste numerose distinzioni, basate su criteri eterogenei, di natura logico-semantica, lessicale, sintatti-

ca, morfologica, fonetica, ciascuno dei quali denota un diverso metodo di analisi e una concezione

differente della origine, natura e funzionamento delle lingue naturali e del linguaggio. Premetto che

non privilegerò, né proporrò l’uso di una teoria in particolare, perché credo che prestare attenzione a

diversi approcci possa giovare a una migliore comprensione del fenomeno delle ridondanze nel lin-

guaggio giuridico.

Ciò detto, vediamo quindi alcuni tipi principali di ridondanze individuati dai linguisti37:

i. la ridondanza sintattica relativa alla ripetizione dei segni (morfemi - grafemi), con rife-

rimento alla quale si individuano ad esempio: (i) la ridondanza sistemica relativa ai c.d.

morfi operatori, come ‘se’, ‘nel caso che’, ‘nella misura in cui’, e che perciò riguarda la

presenza di strutture grammaticali con la stessa funzione; (ii) la ridondanza sintagmatica

che dipende dalla linearità del testo e riguarda la diversa frequenza degli elementi di un

livello (grafemi) e ha origine nelle restrizioni a livello morfologico e a livello sintattico

(ad es. uso di affissi e suffissi e la reggenza); (iii) la ridondanza morfologica sintagmati-

ca o lineare data ad esempio dai fenomeni di accordo; (iv) la ridondanza sintagmatica

funzionale facoltativa38 che si realizza ad esempio con la reduplicazione dell’oggetto o

30 “La redondance peut servir notamment à s’assurer de la bonne transmission et réception du contenu en contrant le bruit, c’est-à-dire les obstacles à ceux-ci (ou encore à la compréhension du contenu)”: L. Hébert, Dictionnaire de sé-miotique générale, avec coll. de G. Dumont Morin, 2012, Polysémiotique (Produit -) ad vocem, p. 160, in http://www.signosemio.com/documents/dictionnaire-semiotique-generale.pdf. 31 Figura di stile in cui si usano più parole del necessario per esprimere un’idea al fine di rafforzarla 32 Figura retorica che designa l’uso di un pleonasmo senza intento letterario. 33 Cfr. http://www.accademiadellacrusca.it. 34 In base alla nozione standard “a dummy sign (…) is defined as a sign lacking the signified” (cfr. ad es. D. El Kassas, Representation of Zero and Dummy Subject Pronouns within multistrata dependency framework, paper presentato all’International Conference on Dependency Linguistics, Barcelona, September 5-7- 2011, in http://depling.org/). Di regola come esempi tipici di questi “elements with no semantics” si portano l’“expletive ‘it’, or the copula ‘is’, in some of its manifestations in English” (cfr. R. Carston, Thoughts and Utterances: The Pragmatics of Explicit Communication, e-book, 14 January 2008, Wiley, cap. 1 Pragmatics and Linguistic Underdeterminacy, p. 74). Come noto, che possano esistere elementi segnici semanticamente vuoti (segni senza significato) è estremamente controverso in semiotica. 35 Cfr. ad es. R. Sornicola, La languée et les pronoms sujets, in Communication and Cognition: La Deixis temporelle, spatiale et personnelle, 1995, pp. 41-70, p. 56. 36 Cfr. R. Caterina, L. Lantella, Il diritto che non c’è, in Riv. dir. civ., I, 2011, p. 477 ss. 37 Non tratterò della ridondanza fonologica, relativa quindi ai fonemi; tratterò solo della ridondanza linguistica relativa ai morfemi e lessemi di una data lingua e al loro uso. 38 Una fondamentale distinzione in tema di ridondanze linguistiche è quella tra ridondanze “facoltative” e “obbligato-rie”. Mentre queste ultime sono inerenti alla morfologia e sintassi della lingua stessa, le altre sono frutto delle scelte

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del soggetto e la doppia negazione; (iv) la ridondanza distribuzionale o combinatoria at-

tinente all’ordine delle parole; (v) la ridondanza paradigmatica che dipende dal reperto-

rio di elementi, a livello di lessemi, presenti nel sistema linguistico e dal loro tasso d’uso

e misura il grado di saturazione del sistema;

ii. la ridondanza semantica relativa alle proprietà semantiche dei segni e le relazioni con-

cettuali tra i loro significati, nella sua dimensione di ridondanza logica caratterizzata dai

nessi di implicazione e presupposizione tra concetti, nella sua dimensione di ridondanza

concettuale relativa alla sinonimia e comunanza di componenti di significato39;

iii. la ridondanza pragmatica o contestuale o enunciativa40 (talvolta denominata anche reto-

rica)41 relativa al concreto uso della lingua fatto dagli utenti in uno specifico contesto

comunicativo; a livello pragmatica, la ridondanza può riguardare il canale o mezzo co-

municativo impiegato oppure il contenuto del messaggio linguistico per come esso viene

formulato/compreso in quella particolare situazione comunicativa (si baderà dunque alla

sua forza espressiva, eleganza stilistica, maggiore o minore felicità rispetto agli obiettivi

comunicativi dell’emittente e/o del ricevente, etc.).

comunicative degli utenti. “Il codice comprende non solo i tratti distintivi, ma anche i tratti configurativi e ridondanti che danno origine alle varianti contestuali, e i tratti espressivi che governano le varianti facoltative” (R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 2002, pp. 87-88). “I mezzi dei processi grammaticali costituiscono gli aspetti obbligatori del codice e intorno ad essi si distribuisce la costellazione delle altre scelte, delle ridondanze, parallele a quelle che osserviamo nel significante”: L. Heilmann, Introduzione, a R. Jakobson, op. cit., p. xxiii. 39 L’analisi delle proprietà/relazioni tra i significati dei segni spesso viene condotta nella dimensione mini- o micro- semantica, andando alla ricerca dei semi, dei grafi concettuali e tavole delle relazioni semantiche o matrici gravitanti attorno a un morfema secondo approcci alla semantica diversi: ad es. le teorie di F. Pottier (cfr. Linguistique générale. Théorie et description, Klincksieck, Paris, 1974) e di F. Rastier (cfr. Sémantique et recherches cognitives, PUF, Paris, 1991; v. anche F. Rastier, M. Cavazza, A. Abeillé, Sémantique pour l’analyse, Masson, Paris, 1994, pp. 111-139) oppu-re la teoria della grammatica trasformazionale (cfr. D.T. Langehdoen, The Nature of Syntactic Redundancy, in Compu-ter and Information Sciences, II, Academic Press Inc., New York, 1967, p. 303-314) o un approccio fondamentalmente costruttivista al linguaggio sulla scia delle teorie di Ullmann, Katz e McCawley (cfr. F.G. Droste, Semantics as a Dy-namic Device: Redundancy Rules in the Lexicon, in Linguistics, 182, 1976, pp. 5-33). V. anche C.F. Canon-Roger, Lit-térature et linguistique 1, Diversité des langues, 2006, XI, 1, in http://www.revue-texto.net/Reperes/Themes/Canon-Roger/Canon-Roger1.html; A. Wierzbicka, La quête des primitifs sémantiques: 1965-1992, in Langue Française, 98, 1993, pp. 9-23; Id., Sens et grammaire universelle: théorie et constats empiriques, 2007, in http://linx.revues.org/520. 40 La ridondanza enunciativa viene di regola contrapposta alla ridondanza grammaticale che dipende dalla struttura del sistema linguistico, astraendo dai suoi possibili usi linguistici, e dipende dunque ad esempio dalle restrizioni imposte dalle regole morfologiche e sintattiche della lingua. Tale distinzione a volte è fatta risalire alla opposizione tra langue e parole. 41 Quando si parla di ‘ridondanza retorica’, spesso, si assume una concezione della pragmatica come analisi non semio-tica ma causale-socio-psicologica dei contesti comunicativi oppure ci si interessa prevalentemente agli effetti stilistici ed espressivi dei messaggi. In un’accezione negativa – propria anche del linguaggio ordinario – si parla di ‘ridondanza’ e di ‘ridondanza retorica’ per sottolineare un vizio o difetto della comunicazione consistente nell’uso eccessivo e spro-porzionato di elementi linguistici rispetto a quelli richiesti dalle esigenze comunicative specifiche; in questo ridondante è sinonimo di superfluo, inutile, sovrabbondante, etc. (Cfr. ad es. S.R. Suleiman, Redundancy and the “Readable” Text, in Poetics Today, Vol. 1, No. 3, Special Issue: Narratology I: Poetics of Fiction,1980, pp. 119-142). Includo nell’ampia categoria delle ridondanze pragmatiche anche quest’ultima accezione dispregiativa, perché la superfluità, l’inutilità, l’eccesso, etc. riguarda l’uso di un certo strumento comunicativo, si valuta rispetto all’obiettivo e al contesto comunica-tivo e perciò si apprezza, appunto, sul piano pragmatico.

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Per renderci conto della varietà di fenomeni linguistici che sono normalmente ricondotti alla

categoria della ridondanza linguistica ne elenco alcuni a titolo di esempio:

1. l’accordo dal nome al verbo o dal nome all’aggettivo e/o all’articolo come ad esempio ‘un veuf

malhereux’; ‘un viudo desconsolado’; ‘un povero vedovo’, dove tutti gli elementi in corsivo in-

dicano il genere maschile e il numero singolare; oppure ad es. la frase ‘The boys were eating

their lunches’, nella quale il numero plurale è iterato in ogni componente (soggetto, predicato,

complemento, attributo possessivo)42;

2. il rafforzamento dei deittici (‘questo qui’, ‘quello lì’), di congiunzioni e in particolare della ne-

gazione (‘non ne ho mai visto uno!’);

3. l’uso enfatico di particelle pronominali come ad esempio ‘ci’, ‘si’, ‘vi’, etc.;

4. la reduplicazione pronominale come ad esempio ‘même’43;

5. gli elementi paragogici come l’inserzione di una vocale, identica all’ultima vocale precedente,

dopo una consonante finale: ad es. la ‘-i’ finale dell’avverbio ‘imò’ nella forma ‘imòi’44;

6. l’introduzione pleonastica di frasi pseudo-relative come ‘quello/-a che è’, ‘quelli/- e che sono’;

7. le formule di esordio con verbi fatici come ad es. ‘si comunica che’, ‘si fa presente che’, etc.

8. le locuzioni congiuntive come ‘attendu que’;

9. i segni fatici aventi funzione di richiamo: ‘Attenzione:’; ‘AVVISO: …’, ‘ISTRUZIONI PER

L’USO: …’;

10. le forme avverbiali più ricercate rispetto a quelle più comuni come ‘ovverossia’ rispetto a ‘os-

sia’ o ‘ovvero’, ‘purtuttavia’ rispetto a ‘tuttavia’, ‘even though’ rispetto a ‘though’, etc.

11. l’uso congiunto di morfemi lessicali, uno dei quali contiene componenti più fini o proprietà se-

mantiche che sono o tutte oppure in parte proprie anche di un altro, come ad esempio ‘vegetale’

e ‘verde’45; ‘salir su’; ‘annihilation totale’; ‘chronique du temps’, ‘applaudir des deux mains’,

‘abuso excesivo’, ‘requisito imprescindible’, ‘aterido de frío’, etc.; la casistica riconducibile a

quest’ultima categoria è ampia e variegata, possiamo ricordare ad esempio:

42 Cfr. A.S. Horning, Redundancy and Readability, in Reading Horizons, Vol. 22, No. 4, 1982, pp. 275-281; Id., Rea-dable Writing: The Role of Cohesion and Redundancy, in Journal of Advanced Composition, Vol. 11, No. 1, 1991, pp. 135-145. 43 Cfr. R. Sornicola, Un problema di linguistica generale: la definizione degli espletivi, in Studi linguistici in onore di Roberto Gusmani, a cura di R. Bombi, G. Cifoletti, F. Fusco, L. Innocente, V. Orioles, Ed. dell’Orso, Alessandria, 2006, pp. 1651-1671. 44 A.L. de Martini, Introduzione, a Frate Antonio Maria de Esterzili, Libro de commedias, CUEC, Cagliari, 2006, nota 38 p. XXX. 45 Al riguardo, a ragione, Droste sottolinea che “[i]t is important to be aware of the interrelatedness of the semantic properties. If an item contains the property (Vegetable), a whole series of related properties may be redundantly speci-fied, either upward (by implication) or downward (by expansion). We may think, for the latter, of (Ea able), (Growing), (Green), (Boil), and the like. And these properties in their turn are interwoven with other features by implication rules or expansion rules; the latter features may well be activated in a certain situation or in relation to a certain context” (F.G. Droste, Semantics as a Dynamic Device: Redundancy Rules in the Lexicon, in Linguistics, 182, 1976, p. 31). Il punto di riferimento è P.F. Strawson, Subject and predicate in logic and grammar, Methuen, London, 1974, p. 17 ss.

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11.1. l’uso di aggettivi che amplificano un carattere già espresso dal sostantivo cui si rife-

riscono, come ad esempio nell’espressione ‘volitabant assidui’, l’aggettivo ‘assidui’ ampli-

fica il carattere insistente e la rapidità del volo già espressi dal frequentativo ‘volitare’46;

11.2. le determinazioni tautologiche relative alle unità di misura, quantità, estensione, etc.

come ad esempio ‘40 anni di età’, ‘orario d’apertura dalle ore 14 alle ore 18’, ‘la giornata o

il giorno 27 ottobre’, ‘la somma di 10 euro’, e simili47;

11.3. le duplicazioni di taluni avverbi e locuzioni avverbiali come ad es. ‘entro e non oltre’

e ‘solo ed esclusivamente’, ‘solo e unico’, che sono duplicazioni di ‘entro’ e ‘solo’; si pensi

anche all’accostamento del numerale ‘uno’, ‘una’ e ‘solo’, ‘sola’ e a locuzioni come ‘[sott.

non farmi dire] altro di più’;

11.4. l’accostamento espressivo di parole semanticamente affini accomunate da figure re-

toriche come l’assonanza o l’allitterazione: ad esempio ‘propugnacula pinnae murorum’ in

cui ‘pinna’ indica la merlatura delle mura di una struttura difensiva ed è perciò ridondante

rispetto a ‘propugnacula’48;

11.5. le espressioni perifrastiche composte da più vocaboli che non apportano un contribu-

to di significato rilevante al messaggio come ad esempio ‘gran cantidad económica de di-

nero’, ‘opinión pública general’, ‘relación bilateral entre dos países’;

11.6. l’accostamento di avverbi, perlopiù che terminano in ‘-mente’ ed esprimono non gra-

duabilità, ad aggettivi che indicano qualità già di per sé non suscettibili di graduazione co-

me ad es. l’essere gratuito, alieno, ricolmo: ‘absolutamente lleno’, ‘completamente abarro-

tado’, ‘totalmente gratis’, etc.49;

11.7. le precisazioni temporali come ‘andremo domani’ e ‘un anno fa andammo’, in cui il

futuro e il passato sono indicati e genericamente dal predicato, e specificamente dal com-

plemento di tempo;

11.8. l’esplicitazione di sotto-classi rispetto a quella denotata da un sostantivo, spesso ac-

compagnata da congiunzioni che funzionano da marcature: come ad esempio, nelle espres-

sioni, ‘i cani, anche piccoli, e persino se tenuti al guinzaglio, non possono entrare’50;

46 Cfr. R. Romagnino, Ammiano Marcellino, Res gestae XVI, Saggio di commento. Tesi di dottorato in “Storia, Lettera-ture e Culture del Mediterraneo”, XXII ciclo, Università degli Studi di Sassari, 2009-2010, p. 33. 47 Cfr. D. Fortis, Il linguaggio amministrativo italiano, in Revista de Llengua i Dret, núm. 43, 2005, pp. 64-65. 48 Cfr. R. Romagnino, Ammiano Marcellino, Res gestae XVI, Saggio di commento, cit., p. 72. 49 S. Guerrero Salazar, Las redundancias en español: un medio para pulir la lengua en los niveles de perfeccionamien-to, in ¿Qué español enseñar?: norma y variación lingüisticas en la enseñanza del español a extranjeros: actas del XI Congreso Internacional ASELE, Zaragoza 13-16 de septiembre de 2000, 2000, págs. 423-430. 50 Cfr. R. Caterina, L. Lantella, Il diritto che non c’è, cit., p. 479.

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11.9. le proposizioni o espressioni incidentali aventi funzione esplicativa, eventualmente,

introdotte da congiunzioni esplicative come ‘ossia’, ‘cioè’: ‘puoi accomodarti, cioè sedere’;

‘un principio, ossia una regola’;

11.10. le espressioni tautologiche come ad esempio ‘i volatili volano’51, ‘pensare un pensie-

ro’, ‘ideare un’idea’, ‘aguzzare l’ingegno’, etc.;

11.11. le espressioni come ‘mai e poi mai’ o ‘è buona norma e regola’, in cui pure la ridon-

danza assume la forma di una tautologia ma, a differenza del caso precedente, assolve a una

precisa funzione espressiva.

Dagli studi di linguistica sulle ridondanze si possono trarre alcune lezioni utili per esaminare

le ridondanze fra norme.

In primo luogo, nella misura in cui nel diritto – scritto e orale (cfr. i dibattimenti nei processi

e le discussioni orali delle cause) – si fa uso di una lingua naturale (normalmente quella/e naziona-

le/i ufficiale/i), le formulazioni dei testi giuridici e le norme che da essi si ricavano per via di inter-

pretazione presentano le ridondanze linguistiche cui si è sopra accennato, a cominciare da quelle

strutturali proprie della sintassi e morfologia della lingua. Sotto questo profilo sarebbe interessante

approfondire, ma non è questa la sede per farlo, se i discorsi giuridici seguono, a questo livello, re-

gole eguali o diverse rispetto a quelle dei discorsi ordinari, se il linguaggio giuridico presenta feno-

meni di ridondanza morfo-sintattica propri e ulteriori rispetto alla lingua naturale.

In secondo luogo, la ridondanza può riguardare i segni linguistici (frasi, sintagmi, termini,

etc.) oppure i significati veicolati dai segni (i concetti e le loro componenti semantiche). Nel diritto

bisogna, quindi, distinguere tra la ridondanza delle formulazioni giuridiche e delle norme. E come si

è visto dagli esempi alla ripetizione dei segni non segue necessariamente la ridondanza di significati

(ad es. ‘a mano a mano’ significa ‘gradatamente’, non ripetutamente o due volte a mano, perché ‘a

mano’ ha altro significato), né viceversa (così ad es. ‘contratto di donazione’ è espressione concet-

tualmente ridondante in italiano e nel diritto italiano perché la donazione è un contratto).

In terzo luogo, le ridondanze linguistiche hanno fondamento nella struttura della lingua, nel-

le possibilità di uso e combinazione dei suoi segni e lessemi, considerando quindi i significati delle

unità linguistiche. Ma alcune ridondanze sono “obbligate” e altre “facoltative”.

Ridondanze “obbligate” sono quelle che, sotto l’aspetto strutturale, sono proprie della sin-

tassi e morfologia della lingua e, sotto l’aspetto funzionale, possono essere considerate parte della

macro-pragmatica delle lingue naturali (da questo punto di vista le ridondanze sono considerate un

fattore di economia, predicibilità, stabilità del sistema linguistico, etc.).

51 Cfr. R. Caterina, L. Lantella, Il diritto che non c’è, cit., p. 481.

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Una ridondanza è invece “facoltativa” quando, pur avendo comunque origine nella morfolo-

gia e nella sintassi e nel lessico di una data lingua, dipende dalle scelte linguistico-discorsive degli

utenti che sfruttano le flessibilità interne al sistema linguistico. Questo secondo genere di ridondan-

ze (cfr. punto 11 della rassegna precedente) si apprezza e diversifica sul piano micro-pragmatico,

considerando le concrete occorrenze ed enunciazioni nel loro contesto d’uso, in relazione alle diver-

se funzioni del linguaggio, allo scopo del discorso, alle competenze linguistiche degli utenti. Questo

vale anche per i diritti vigenti, che sono caratterizzati da una molteplicità di forme di ridondanza,

alcune delle quali proprie del linguaggio giuridico e della lingua naturale in cui sono formulati i di-

scorsi giuridici, altre frutto delle scelte discorsive dei partecipanti alla pratica giuridica.

La distinzione tra ridondanze “obbligate” e “facoltative” è cruciale non solo sul piano de-

scrittivo, ma anche della politica del diritto: perché costituisce la base per chiedersi quali ridondan-

ze sono né evitabili, né eliminabili, stante l’uso di una data lingua e le caratteristiche del linguaggio

giuridico; e quali invece, essendo frutto delle scelte linguistiche del legislatore, dei giudici, dei fun-

zionari, etc., sono una variabile contingente delle pratica giuridica e come tali, de iure condendo,

sono modificabili ed eventualmente eliminabili o sostituibili.

In quarto luogo, avvicinandoci al fenomeno delle norme speciali e generali, nei diritti vigen-

ti, la coesistenza in un ordinamento di norme speciali e generali (deroganti e non, compatibili o in-

compatibili) è un fattore di ridondanza significativo, anche se certo non è l’unico saliente come mo-

stra la rassegna precedente. La ridondanza fra norme speciali e generali, mentre sul piano logico è

una conseguenza necessaria della specialità, sul piano linguistico rappresenta un fenomeno non uni-

tario che può avere varia origine e caratteri differenti come in linguistica e rispondere a diverse esi-

genze macro- e micro-pragmatiche. Le ridondanze fra norme (speciali e generali) costituiscono un

fenomeno più pervasivo di quello delle antinomie giuridiche («parziali-totali»), tanto più che – co-

me s’è detto – anche le norme (speciali e generali) incompatibili danno luogo a ridondanza, avendo

un ambito comune di qualificazione.

5. Le ridondanze fra norme (speciali e generali)

Proviamo ad applicare in ambito giuridico l’analisi precedente delle ridondanze linguistiche,

considerando alcuni esempi. 1. Disposizioni a più norme tra loro in relazione di specialità

U.S. Code: Title 18, Part I, Chapter 44, § 924 (c) (1)(A): “… any person who, during and in relation to any crime of violence or drug trafficking crime (including a crime of violence or drug trafficking crime that pro-vides for an enhanced punishment if committed by the use of a deadly or dangerous weapon or device) for which the person may be prosecuted in a court of the United States, uses or carries a firearm, or who, in fur-therance of any such crime, possesses a firearm, shall, in addition to the punishment provided for such crime of violence or drug trafficking crime — (i) be sentenced to a term of imprisonment of not less than 5 years; (ii) if the firearm is brandished, be sentenced to a term of imprisonment of not less than 7 years; and (iii) if the firearm is discharged, be sentenced to a term of imprisonment of not less than 10 years.”

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Le parti evidenziate indicano elementi ridondanti sul piano semantico52. La parentesi esplici-

ta una sotto-classe di crimini (violenza e traffico di droga commessi con l’uso di armi o altri mezzi

mortali o pericolosi) già inclusi, per definizione, nelle figure criminose generali della violenza e del

traffico di stupefacenti. I verbi ‘use’, ‘carry’, ‘possess’ (sott. ‘a firearm’) hanno un’area comune di

significati, dal momento che esprimono concetti parzialmente, se non totalmente, equivalenti. Gli

elementi citati rappresentano, il primo, il presupposto (generale e speciale) della condotta, il secon-

do, le tre condotte punite. Abbiamo quindi una disposizione che esprime più norme in relazione di

specialità. La scelta di individuare fattispecie e sotto-fattispecie, tramite categorie generali con spe-

cificazioni esplicite ed enumerazioni di elementi ridondanti risponde – almeno nelle intenzioni dei

legislatori penali – per un verso, all’obiettivo di una maggiore determinatezza delle formulazioni,

per altro verso, all’obiettivo di ridurre i margini di discrezionalità interpretativa delle corti53.

2. Norme definitorie generali e norme speciali di condotta e sanzionatorie Art. 2, L. 21 novembre 2000, n. 353, Legge-quadro in materia di incendi boschivi “1. Per incendio boschivo si intende un fuoco con suscettività a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all’interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o in-colti e pascoli limitrofi a dette aree.” Art. 10 l. cit. “1. Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni. È comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell’atto. Nei comuni sprovvisti di piano regolatore è vietata per dieci anni ogni edificazione su area boscata percorsa dal fuoco. È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti so-prassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data. Sono vietate per cinque anni, sui predetti soprassuoli, le attivi-tà di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica autorizzazione concessa dal Ministro dell’ambiente, per le aree naturali protette statali, o dalla regione com-petente, negli altri casi, per documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia ur-gente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici. Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia.” In questo caso abbiamo una norma definitoria generale con alcune specificazioni, ridondanti,

sotto il profilo linguistico (semantico), ma funzionali sul piano pragmatico a evitare dubbi interpre-

tativi. Questo tuttavia è un caso di cattiva legislazione perché si delimita l’oggetto regolato (le si-

tuazioni di incendio boschivo) tramite la norma definitoria generale (“Per incendio boschivo si deve

intendere … ”) della quale però ci si dimentica nelle norme che stabiliscono le condotte, le sanzioni,

52 cfr. L. Morra, Normative Implicatures in Normative Texts, in Perspectives on Pragmatics and Philosophy, a cura di A. Capone, F. Lo Piparo, M. Carapezza, Springer, 2011, letto come inedito. 53 Questo modo di formulare le norme penali, tipico della common law inglese, non è estraneo alla cultura giuridica eu-ropea e anzi sta diventano sempre più comune. Esemplare, per rigore, resta il Theft Act 1968 Ch. 60 Definition of “theft”, in cui la Basic definition of theft “A person is guilty of theft if he dishonestly appropriates property belonging to another with the intention of permanently depriving the other of it”, è seguita dalla definizione di ciascuna sua com-ponente: “Dishonestly”, “Appropriates”, “Property”, “Belonging to another”, “With the intention of permanently depri-ving the other of it”.

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etc. La conseguenza è che la specificazione presente nella norma definitoria generale finisce per es-

sere cancellata dalla giurisprudenza. Così, per esempio, la giurisprudenza esclude di poter applicare

la norma sopracitata di cui all’art. 10 all’incendio di un’area coltivata a uliveto che al catasto risulta

classificata come area a coltura agraria. Per la giurisprudenza (cfr. T.a.r. Lazio, sez. II, 17-11-2009,

n. 11242) la seconda disposizione esprime una norma speciale perché limita “l’applicazione dei di-

vieti, prescrizioni e sanzioni soltanto a «zone boscate e pascoli i cui soprassuoli» sono stati percorsi

dal fuoco”, e non anche alle “zone arborate” e quindi “un insieme di aree naturali e vegetali più de-

limitato rispetto” a quello oggetto della norma definitoria. Rilevato che “nella definizione di ‘bosco’

il legislatore sia nazionale che regionale ha previsto una equiparazione dello stesso alla foresta e al-

la selva (…) ed ha individuato alcune fattispecie assimilate a bosco (…), inoltre ha distinto la vege-

tazione forestale da quella arbustiva (…)”, si conclude che nessuna norma nazionale o regionale ri-

guarda proprio “le coltivazioni di ulivo e tanto meno qualifica queste ultime come vegetazione ar-

borata rientrante nel patrimonio forestale, selvatico, naturalistico” protetto dalla L. n. 353 del 2000.

Un uliveto, per i giudici, è una “coltura che non rientra tra quelle che possono essere ricomprese nel

concetto di ‘bosco’”, perché “come i frutteti, gli ulivi sono privi di caratteristiche forestali, che

nell’uso corrente si individuano nell’esser il bosco incolto, fitto, intricato, folto e costituito anche da

alberi di specie diversa”.

3. Specificazioni ridondanti che esprimono anti-regole

Art. 1269 cod. civ. italiano: “Il terzo delegato per eseguire il pagamento non è tenuto ad accettare l’incarico, ancorché sia debitore del delegante.”

La disposizione in questione introduce una precisazione ridondante sul piano semantico che

ha la funzione di escludere che l’interprete ricavi la seguente antiregola: il debitore del delegante è

tenuto ad accettare l’incarico. Considerando quest’anti-regola probabile, il legislatore in via preven-

tiva precisa che, al contrario, anche il debitore del delegante non è tenuto ad accettare l’incarico54.

4. Norme speciali e generali ridondanti e discontinuità storica di disciplina

Art. 1178 cod. civ.“Quando l’obbligazione ha per oggetto la prestazione di cose determinate soltanto nel genere, il debitore deve prestare cose di qualità non inferiore alla media.” Art. 664 cod. civ.“Nel legato di cosa determinata soltanto nel genere, la scelta, quando dal testatore non è affidata al legatario o a un terzo, spetta all’onerato. Questi è obbligato a dare cose di qualità non inferiore alla media (…)” Art. 1286, comma 1, cod. civ. “La scelta [i.e. nelle obbligazioni alternative] spetta al debitore, se non è sta-ta attribuita al creditore o ad un terzo” Art. 665 cod. civ. “Nel legato alternativo la scelta spetta all’onerato, a meno che il testatore l’abbia lasciata al legatario o a un terzo”.

Le disposizioni sulla scelta nel legato alternativo (supra artt. 664 e 665) esprimono norme

speciali compatibili rispetto a quelle generali riferite alle obbligazioni alternative (supra artt. 1178 e

54 Cfr. R. Caterina, L. Lantella, Il diritto che non c’è, in Riv. dir. civ., I, 2011, pp. 485-487.

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1286). Il legislatore ripete (quasi) per intero le stesse parole: uniche variazioni sono ‘a meno che’ /

‘se non’ che hanno identica funzione grammaticale; e ‘legatario’ in luogo di ‘creditore’ e ‘onerato’

in luogo di ‘debitore’, ma tra legatario e onerato c’è un rapporto obbligatorio di credito-debito. Qui,

la ridondanza ha forse ragioni storiche: anzitutto, la parziale discontinuità dell’attuale Codice rispet-

to al Codice civile del 1865 e sembra perciò funzionale (nell’ottica del legislatore del 1942), più che

a evitare un dubbio interpretativo o escludere una probabile antiregola, a facilitare la ricostruzione

della disciplina del legato (in parte nuova nel 1942), senza consultare altre parti di Codice.

5. Norme speciali e generali limitative e obiettivi di politica del diritto Art. 30, 1° comma, L. 183/2010 Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro: “1. In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile e all’articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferi-mento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi gene-rali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al com-mittente.

La disposizione citata esprime una norma speciale limitativa e per rafforzare questo obietti-

vo è ridondante sotto più profili. Anzitutto, “le norme in tema di instaurazione di un rapporto di la-

voro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso” sono appunto “comprese”

nella materia di lavoro subordinato privato ex art. 409 cod. proc. civ. it. e di pubblico impiego ex

art. 63, d.lgs. 165/2002. Inoltre, un limite segna, per definizione, un’esclusione (‘limitato esclusi-

vamente’). Poi, stante l’opposizione ‘legittimità’/‘merito’, tertium non datur, e l’aggiunta “non può

essere esteso …” è tautologica. Ancora, gli attributi “tecniche, organizzative e produttive” condivi-

dono un’area di significato comune e costituiscono una triade, elementi costitutivi di un tutto. Si po-

teva insomma scrivere: qualunque valutazione che compete al datore di lavoro55, dove il problema

è dato invece da cosa compete e cosa non compete al datore di lavoro.

Un altro elemento di ridondanza è il requisito della “conformità ai principi generali

dell’ordinamento”. La ridondanza qui si apprezza facendo una prova di sostituzione: è evidente-

mente un non-senso prescrivere che il controllo giudiziale deve essere compiuto “non in conformi-

tà”, cioè in contrasto con i principi generali dell’ordinamento.

Le forme di ridondanza appena viste sono diffusissime anche nella storia del diritto e riguar-

dano anche norme o principi generali aventi la medesima funzione delimitativa dei poteri giudiziari.

E’ emblematico in tal senso l’art. VIII della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del

1789: “La Loi ne doit établir que des peines strictement et évidemment nécessaires, et nul ne peut

être puni qu’en vertu d’une Loi établie et promulguée antérieurement au délit, et légalement appli- 55 Ometto il riferimento al ‘committente’ che è anch’esso ridondante perché in questo caso anzi essere un’aggiunta utile crea rumore: in materia di lavoro subordinato privato e di pubblico impiego non c’è un committente, il quale – stando al Codice civile – è al contrario la parte di un contratto d’opera senza vincolo di subordinazione.

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quée”. Il requisito della legalità, espresso dall’avverbio ‘légalement’, è ridondante, tanto che, come

visto, se si prova a sostituirlo con l’opposto ‘illegalmente’ si genera un non-senso. Inoltre, è una

contraddizione in termini parlare di necessità non stretta o lassa (“strictement … nécessaires”):

qualcosa che è non strettamente necessario, semplicemente è non necessario; e lo stesso vale per

“évidemment nécessaires”. L’espressione “établie et promulguée” è un’endiadi perché la promulga-

zione di una legge include che essa sia approvata. La funzione declamataria della norma in questio-

ne giustifica – o almeno spiega sul piano storico – le ridondanze ora viste.

6. Specialità/identità tra norme e ridondanza come difetto redazionale Art. 24 TFUE (ex art. 11 TUE) “(…) La politica estera e di sicurezza comune è soggetta a norme e procedu-re specifiche. Essa è definita e attuata dal Consiglio europeo e dal Consiglio che deliberano all’unanimità, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente. È esclusa l’adozione di atti legislativi.” Art. 31 TFUE (ex art. 23 TUE) “Le decisioni a norma del presente capo [i.e. disposizioni specifiche sulla po-litica estera e di sicurezza comune] sono adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio che deliberano all’unanimità, salvo nei casi in cui il presente capo dispone diversamente. È esclusa l’adozione di atti legi-slativi.”

Queste formulazioni esprimono norme interamente ridondanti, tanto che si può discutere se

siamo di fronte a due norme identiche o una sia più generale dell’altra. Esse sono solo un esempio

della tecnica redazionale adoperata dal legislatore europeo nella stesura dei Trattati UE e FUE. In

questo caso la ridondanza ha natura tale da poter essere considerata davvero un difetto, che mi pare

non sia compensato da altre funzioni discorsive rilevanti (ad es. espressive nei confronti dei destina-

tari, rafforzative dell’efficacia, declamatorie, etc.). La norma che si ricava da queste due disposizio-

ni poteva essere così formulata: “La politica estera e di sicurezza comune è definita e attuata da de-

cisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che deliberano all’unanimità, salvo che i trattati di-

spongano diversamente. È esclusa l’adozione di atti legislativi.”

7. Norme generali, iterazioni segniche e norme speciali “locali”

Art. 51 Tutela della salute dei non fumatori L. 16 gennaio 2003, n. 3: “1. E’ vietato fumare nei locali chiusi, ad eccezione di: a) quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico; b) quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati”.

Questa disposizione esprime una norma generale proibitiva. Come noto, nei locali chiusi

non aperti al pubblico o riservati ai fumatori vi sono segnali che ripetono il divieto di fumare. An-

che in questo caso abbiamo una ridondanza (se badiamo ai segni e segnali), ma in questo caso non

la consideriamo una ridondanza fra norme, perché interpretiamo i singoli segnali di divieto non co-

me norme specifiche circoscritte (su basi pragmatiche) al relativo luogo; bensì come mere iterazioni

segnaletiche prive di forza normativa propria. Lo stesso avviene per l’obbligo di viaggiare sui mezzi

pubblici con biglietto (ove necessario convalidato) e tutti gli avvisi affissi sui detti mezzi. Accenno

anche a questa ipotesi, perché non è affatto ovvio che simili segnali non debbano o possano essere

interpretati come norme caratterizzate da un ambito di applicazione locale. Un contro-esempio è da-

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to dai segnali stradali che tutti noi interpretiamo come divieti (di circolazione in un certo senso o a

una certa velocità, per un certo tratto di strada, etc.), permessi di accesso, obblighi di stop, doveri di

moti (segnale verde), etc.56

8. Norme speciali espresse ridondanti rispetto a norme o principi generali inespressi sovra-ordinati Art. 2 Convenzioni internazionali della L. 218/1995 di Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato: “1. Le disposizioni della presente legge non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni interna-zionali in vigore per l’Italia.”

Questa disposizione e la norma che si ricava sono ridondanti per due profili. Primo, che una

norma di legge ordinaria (quale la L. 218/1995) non possa pregiudicare norme di convenzioni inter-

nazionali (anche di diritto internazionale privato e processuale) deriva dal principio pacta sunt ser-

vanda, principio vigente nel diritto italiano (a prescindere della tesi sul diritto internazionale da cui

si muove) in forza di una norma espressa in Costituzione (cfr. art. 10 Cost., “L’ordinamento giuri-

dico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”). Secon-

do, è ridondante l’inciso ‘in vigore per l’Italia’, perché se una convenzione non è in vigore, non vi è

l’obbligo di osservarla e le sue norme non possono essere applicate, né prevalere. La dottrina, pur

considerando l’inciso superfluo, lo interpreta come un richiamo a fare attenzione a eventuali riserve

ai trattati.

9. Norme generali (attributive di poteri) e norme speciali attuative ridondanti

Ley Orgánica 6/2001, de 21 de diciembre, de Universidades Título Preliminar De las funciones y autonomía de las Universidades Art. 1. Funciones de la Universidad. “2. Son funciones de la Universidad al servicio de la sociedad: a) La creación, desarrollo, transmisión y crítica de la ciencia, de la técnica y de la cultura. (…) c) La difusión, la valorización y la transferencia del conocimiento al servicio de la cultura, de la calidad de la vida, y del desarrollo económico.” Art. 2 Estatudos de la Universidad Carlos III de Madrid57 “En el cumplimiento de las funciones que le cor-responden según las Leyes, la Universidad: (…) b) Velará por el adecuado desarrollo de la docencia para la transmisión y crítica de la ciencia, de la técnica y de la cultura. (…) f) Procurará la mayor proyección so-cial de sus actividades, mediante el establecimiento de cauces de colaboración y asistencia a la sociedad, con el fin de apoyar el progreso social, económico y cultural.” Art. 152 Estatudos de la Universidad Carlos III de Madrid “La Universidad contribuirá al desarrollo cultu-ral, social y económico de la sociedad y procurará la mayor proyección de sus actividades. Para ello, a ini-ciativa propia o en colaboración con entidades públicas o privadas, promoverá la difusión de la ciencia, la cultura y el arte por los siguientes medios: a) Los acuerdos o convenios de carácter general. b) Los trabajos de asistencia científica, técnica o artística. c) La extensión universitaria.”

Questo esempio illustra un caso ricorrente di norme speciali che non derogano, ma si inte-

grano con le norme generali: quello delle norme speciali attuative. Interpretando le disposizioni ci-

tate si ricavano norme generali (di rango gerarchico superiore, nel caso di specie, precetti aventi 56 Cfr. G. Lazzaro, Entropia della legge, Giappichelli, Torino, 1985, p. 43 ss. ritiene che la maggior parte delle ridon-danze nel diritto siano di tipo parziale come nell’esempio “del segnale più generico «divieto di sorpasso per due chilo-metri». E poi il semplice: «divieto di sorpasso» ripetuto nel corso di quei due chilometri di strada, di solito nei punti più pericolosi”. 57 Testo refundido, Decreto 95/2009, de 12 de noviembre, del Consejo de Gobierno, por el que se aprueba la modifica-ción de los estatutos de la Universidad Carlos III de Madrid, in BOCM, núm. 288, de 4 de diciembre de 2009, p. 66-77, in http://www.uc3m.es.

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forza di “ley organica”) e speciali attuative (di rango gerarchico inferiore), ampiamente ridondanti.

Per ragioni di brevità, non esamino in dettaglio gli elementi di ridondanza (vedi parti sottolineate).

Noto solo che nei diritti vigenti moltissime norme speciali attuative prescrivono la stessa cosa in al-

tra forma, anziché solo specificare quanto prescritto dalle norme generali. L’integrazione risulta

evidente specie se, rispetto alle norme generali da attuare, quelle speciali attuative hanno rango ge-

rarchico inferiore sul piano formale, come nell’esempio. La differenza di rango gerarchico è però

solo un elemento accidentale. Piuttosto, il fatto che le norme speciali attuative normalmente non de-

roghino alle norme generali dipende dal contenuto della norma generale. In particolare, non vi è mai

deroga quando la norma generale è una norma attributiva di poteri (normativi). Infatti, nella misura

in cui la norma generale è una norma attributiva di un potere normativo le norme speciali attuative

sono dettate nell’esercizio del potere e quindi per definizione non derogano ma, appunto, attuano, si

integrano, specificano la norma generale di delegazione58.

6. Osservazioni finali

La rassegna casistica precedente rappresenta solo un campione parziale. Illustra cioè solo al-

cuni casi comuni di norme speciali e generali compatibili, deroganti e non deroganti.

Dagli esempi si ricava che, dal punto di vista linguistico, il fenomeno della ridondanza fra

tali norme è estremamente variegato e che il livello di analisi che permette di discernere tra i vari

casi è quello semantico-pragmatico. La ridondanza, pur nascendo sempre nelle pieghe della lingua,

si differenzia e spiega sulla base delle funzioni linguistiche e degli scopi del discorso.

Le ridondanze possono così servire a evitare dubbi interpretativi, escludere determinate in-

terpretazioni probabili, esplicitare obiettivi di politica del diritto, facilitare il reperimento del mate-

riale normativo, dimostrare continuità nell’attuazione delle norme più generali. Possono essere una

spia di norme implicite. Sono necessarie ove le norme hanno una sfera spaziale di applicazione lo-

cale. Possono essere sintomo di difetti redazionali dei testi giuridici o al contrario assolvere a una

precisa funzione espressiva o rafforzativa oppure declamatoria. A questo elenco si possono aggiun-

gere altre due ipotesi: il caso delle norme speciali ridondanti che hanno la funzione di esprimere la

58 Si pensi ad esempio alle norme dell’Intesa tra il Ministro per i beni e le attività culturali e il Presidente della Confe-renza episcopale italiana, firmata il 26 gennaio 2005, relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso apparte-nenti a enti e istituzioni ecclesiastiche cui è stata data esecuzione con il D.P.R. 4-2-2005 n. 78, le quali hanno carattere applicativo, attuativo e integrativo della norma generale di cui all’art. 12 dell’Accordo, con protocollo addizionale, fir-mato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Re-pubblica italiana e la Santa Sede, ratificato con L. 25-3-1985 n. 121 secondo cui “La Santa Sede e la Repubblica italia-na, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico. Al fine di armonizzare l'applica-zione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso ap-partenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche”. Cfr. M. Lugli, I beni culturali, in G. Casuscelli (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., pp. 241-242.

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ratio o il fondamento di giustificazione di una serie di altre norme più specifiche59; il caso delle ri-

dondanze di disciplina relative a specie nuove per un certo diritto (ad es. “il patto di famiglia”) che

servono a saldare il rapporto neo-istituito con un genere tradizionale per quel diritto (nell’esempio,

il contratto) 60.

59 Cfr. ad es. art. 121 cod. proc. civ. “Libertà delle forme”: “Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede for-me determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo.”. La dottrina sotto-linea che l’articolo esprime una norma speciale che è manifestazione del principio generale della libertà delle forme in materia di forma degli atti processuali e osserva che anche se è difficile immaginare atti del processo per i quali la legge non predetermini forme e “pertanto la norma in esame potrebbe apparire superflua (…) nella sua portata letterale”, essa è però “tutt’altro che superflua nella sua portata sistematica, in relazione alla sua tipica funzione di cosiddetta chiusura del sistema (…) la norma in esame assolve alla importante funzione di palesare all’interprete di tutte le norme che comunque concernono le forme degli atti processuali, che a quel medesimo criterio – quello per cui le forme deb-bono essere le più idonee per il raggiungimento dello scopo – si è ispirato anche il legislatore quando non ha omesso di disciplinare le forme degli atti, ma le ha effettivamente disciplinate”: C. Mandrioli, A. Carratta, Corso di diritto pro-cessuale civile. I – Nozioni introduttive e disposizioni generali, 10° ed., Giappichelli, Torino, 2012, p. 259. 60 Così l’art. 768-septies cod. civ. “Il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno con-cluso il patto di famiglia (…) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti” previsti per il patto di famiglia stesso enuncia una norma ridondante rispetto all’art. 1372 cod. civ. secondo cui “Il con-tratto (…) può essere sciolto per mutuo consenso”. L’art. 768-quinquies, 1° co., Vizi del consenso che “1. Il patto [di famiglia] può essere impugnato dai partecipanti ai sensi degli articoli 1427 e seguenti.” traccia un nesso ridondante con la disciplina generale dell’annullamento del contratto. Cfr. A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, 20° ed. a cura di F. Anelli e C. Granelli, Giuffrè, Milano, p. 1301.