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Nell’elaborato che segue verrà affrontata, senza pretese di esaustività, la tematica del suono, facendo riferimento a questioni riguardanti la sua natura fisica e percettiva in funzione del suo legame con le tecnologie analogiche e digitali, quali mezzi artistici necessariamente legati a indissolubili requisiti di carattere cognitivo. Funzionalmente a quanto stabilito di trattare sarà illustrata nella prima parte dello scritto la natura fisica del suono, tralasciando volontariamente formule matematiche e dimostrazioni teoriche che poco sono utili ai fini dell’elaborato, ma concentrandosi maggiormente su caratteri di natura pratica.

Non proponendosi di riportare, se non entro certi limiti di veridicità e pertinenza, spiegazioni altrui, questo scritto si basa su rielaborazioni che poggiano a loro volta sulla personale conoscenza ed esperienza in ambito sonoro dell’autore di questo lavoro.

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“Nello spazio nessuno può sentirti gridare1” era il tagline di una famosa pellicola di fine anni ’70.

+)$,)"&-.'/"0"12&'E’ noto che il suono non si trasmette attraverso il vuoto: esso necessita di un mezzo elastico un «tramite» per potersi propagare, sia questo solido, liquido o gassoso. Anche la sua emissione richiede un dispositivo dotato di proprietà elastiche: intese come la capacità di un corpo, una volta soppresse le forze che lo hanno deformato, di riprendere la sua forma originaria.

Il suono prodotto, trasmesso e percepito, corrisponde alle variazioni impresse dalle modificazioni meccaniche della fonte sonora alla pressione dell’aria circostante. La distribuzione dei movimenti di compressione e decompressione in un mezzo elastico, causati dall’eccitazione meccanica di una fonte sonora (o fonte acustica), si dice onda sonora.

Per lo studio delle onde sonore è possibile avvalersi di un supporto visivo, utilizzando un grafico cartesiano, riportante il tempo (t) sull’asse delle ascisse, e gli spostamenti delle particelle (S) su quello delle ordinate:

Il periodo T è il tempo impiegato dalla particella per compiere un’oscillazione completa, da esso si ricava la frequenza f di un’onda sonora calcolando il numero di periodi nell’unità di tempo, che si misura in hertz (Hz).

La frequenza di un suono è indicativa, entro certi limiti, della sua altezza percepita: più la frequenza è elevata, più un suono viene percepito acuto, viceversa, basse frequenze vengono percepite più gravi.

Vi è poi da considerare l’ampiezza dell’oscillazione, che determina l’intensità di un suono, direttamente collegata all’energia posseduta dall’onda. Per esprimere l’intensità di un suono in acustica si ricorre al decibel (dB).

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!1 “Alien” (1979) – Ridley Scott.

Onda sonora

La particella si sposta dal punto 0, nel

quale si tova in uno stato di quiete, fino al

limite superiore del movimento oscillatorio

(a) cioè al massimo assoluto della funzione.

Poi inizia un nuovo movimento, ma in

direzione opposta, attraversando il punto di

riposo e continuando per inerzia fino al

limite inferiore del movimento oscillatorio

(a1) cioè al minimo assoluto della funzione.

La particella quindi continua il suo

movimento di salita fino a trovarsi

nuovamente nella situazione di partenza e

ripetere nuovamente la sequenza di

spostamenti (periodicità).

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L’intensità sonora è espressa convenzionalmente in riferimento alla soglia di udibilità umana:

Livello di intensità

dB Condizione ambientale Effetto sull’uomo

140 Soglia del dolore

120 Clacson potente, a un metro

Lesioni permanenti all’orecchio nel caso di

esposizione prolungata

110 Picchi di intensità di una grande orchestra

100 Interno della metropolitana

90 Picchi di intensità di un pianoforte

Zona pericolosa per l’orecchio

80 Strada a circolazione media

75 Voce forte, a un metro

70 Conversazione normale, a un metro

60 Ufficio

Zona di fatica

50 Salotto calmo

40 Biblioteca Zona di riposo (giorno)

30 Camera da letto molto calma (notte)

20 Studio di radiodiffusione

0 Soglia di udibilità

Zona di riposo (notte)

34'56#$)&'Il rumore viene definito in vari modi. Si tratta infatti di un fenomeno sonoro al quale possiamo estendere quasi tutte le considerazioni fatte finora sul suono. Da un punto di vista strettamente fisico si definisce rumore un insieme di suoni non periodici2. Tuttavia nel corso del ‘900 il repertorio delle sonorità utilizzate in musica si è costantemente allargato fino a comprendere suoni che presentano caratteristiche fisiche proprie dei rumori. Negli ultimi anni grazie alle tecniche digitali di campionamento, sono comparsi, in particolare nei brani di musica “techno”, veri e propri rumori utilizzati con finalità ritmiche o addirittura melodiche.

Per questi motivi mi sento di condividere maggiormente la definizione secondo la quale il rumore viene descritto - da un punto di vista non più fisico ma funzionale – semplicemente come suono non voluto, intendendo proprio quei suoni che recano fastidio all’atto della fruizione del prodotto sonoro, come ad esempio i rumori compulsivi o di fondo che si avvertono durante l’ascolto di un disco in vinile.

+)$,*7*8"$%&'Abbiamo detto che il suono si propaga in mezzi elastici, fra questi ovviamente l’aria. L’aria è formata da molecole unite tra loro da legami elastici. Quando un corpo vibra (fonte sonora) trasmette le sue vibrazioni alle molecole d’aria circostanti “spingendole” contro quelle adiacenti, che

a loro volta fanno lo stesso con quelle seguenti, e così via. Immediatamente i legami elastici che uniscono le molecole “richiamano” le prime nella loro posizione iniziale di equilibrio che, per effetto della forza d’inerzia, continuano il loro spostamento fino a raggiungere una posizione quasi speculare al punto di massima escursione in avanti. Questa serie si movimenti si trasmette alle molecole contigue per un certo lasso di tempo. Per effetto di tali movimenti avremo alternate, zone dove vi è compressione dell’aria (C), e altre dove essa è più rarefatta (R).

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Sono chiare le analogie con quando descritto nel secondo paragrafo della parte dedicata alla definizione di onda

sonora.

Data una sorgente, il suono si propaga allo stesso modo in tutte le direzioni secondo fronti d’onda che potremmo definire sferici. La superficie del fronte d’onda aumenta in proporzione con il quadrato della distanza dalla fonte sonora. L’energia posseduta dal fronte d’onda si distribuisce uniformemente su tutta la superficie, di conseguenza l’energia su una singola unità di superficie decresce proporzionalmente anche’essa col quadrato della distanza.

Poiché l’energia, come già detto, è direttamente collegata all’intensità di un’onda sonora3 possiamo affermare che l’intensità sonora decresce con il quadrato della distanza. Il suono si propaga ad una velocità che dipende dalla natura del mezzo elastico nel quale si diffonde. Per esempio la velocità di diffusione del suono nell’aria è di 340 m/s (metri al secondo). Tale velocità è influenzata da elementi quali la temperatura dell’aria, la pressione atmosferica e il tasso di umidità, anche se in esigua misura.

9*',&)1&8"$%&'6#*%*':'+0"1$*160-"1*'Abbiamo fin qui esaminato il suono e la sua propagazione secondo dei principi fisici, definendo alcune grandezze fondamentali quali la frequenza e l’intensità. La domanda che ci poniamo ora è:

Quali suoni sono in grado di essere percepiti dal nostro orecchio?

La capacità dell’udito umano varia fortemente da individuo a individuo e decade nelle prestazioni con l’aumentare dell’età. Mediamente l’uomo è in grado di udire suoni la cui frequenza è compresa tra i 20 ai 20000 Hz. Tale gamma di suoni è definita gamma udibile. I suoni la cui frequenza si colloca al di sotto dei 20 Hz sono chiamati infrasuoni ( o gamma subsonica). I suoni la cui frequenza eccede i 20000 Hz sono definiti ultrasuoni. Alcuni animali possiedono una gamma udibile più ampia di quella dell’uomo, in particolare per quanto riguarda il limite superiore. Vi sono per esempio alcuni ultrasuoni che possono essere uditi dai cani ma non dall’uomo.

Se consideriamo i suoni compresi nella gamma udibile, ci accorgiamo che all’aumentare della frequenza la sensazione di altezza percepita non aumenta linearmente. Ad esempio, nel caso di un suono a 100 Hz e uno a 110 Hz, ad un’escursione frequenziale di 10 Hz corrisponde una chiara differenza di altezza del suono udito. Ponendoci invece nel caso di un suono a 14.000 Hz e uno a 14.010 Hz, seppur lo scarto rimanga di 10 Hz, non ne corrisponde nessuna differenza udibile in termini di altezza.

L’udito è un sistema estremamente complesso e trova il suo elemento chiave nell’orecchio. L’orecchio è l’organo deposto alla cattura del suono, esso, infatti, agisce da trasduttore trasformando l’energia meccanica posseduta dalle onde sonore in impulsi elettrici interpretabili dal cervello. L’apparato uditivo è composto da tre sezioni: l’orecchio esterno, l’orecchio medio e l’orecchio interno.

Orecchio esterno

Il primo organo che un’onda sonora incontra quando raggiunge l’orecchio è il padiglione auricolare. Questo offre una vasta superficie al fronte sonoro e permette di

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!3 Ivi pag. 4

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raccogliere e convogliare nel canale uditivo un’ampia porzione del fronte d’onda.

Orecchio medio

Il canale uditivo termina su una membrana, il timpano, che vibra in conformità al suono canalizzato nel canale uditivo. Dall’altra parte del timpano ci sono le tre più piccole ossa del corpo umano: martello, incudine e staffa. Questi hanno la funzione di amplificare la vibrazione del timpano (20 volte c.ca) e trasmetterla alla coclea (o chiocciola).

Orecchio interno

Questa sezione è incaricata di convertire l’energia meccanica, giunta attraverso il percorso sopra descritto, in impulsi elettrici da inviare al cervello. La coclea è un piccolo osso a forma di chiocciola contenente un fluido che trasporta le oscillazioni sonore trasmesse dalla staffa, all’organo deputato della conversione della vibrazione in impulsi elettrici: l’organo del Corti. All’interno dell’organo del Corti si trovano circa 4000 ciglia collegate ad altrettante terminazioni nervose in grado di convertire le vibrazioni delle ciglia in impulsi elettrici da inviare al cervello che elabora la sensazione uditiva. In pratica l’organo del Corti è un sofisticatissimo analizzatore del suono nelle sue componenti frequenziali basse, medie e alte che, per ogni tipo di registro, invia informazioni diversificate al cervello. È interessante notare che la parte dedicata alla ricezione delle frequenze che vanno dai 20 Hz fino ai 4000 Hz ricopre circa i due terzi dell’estensione della membrana basilare sulla quale risiede l’organo del Corti. La rimanente porzione di superficie si occupa di un range molto più esteso di frequenze (dai 4000 Hz ai 20000 Hz). Ne consegue che la percezione dei suoni sopra ai 4000 Hz risulta più difficoltosa, a causa della minore porzione di organo del Corti dedicata alla sua ricezione. Non a caso il range di frequenze 20 Hz – 4000 Hz corrisponde pressappoco alle prime 7 ottave musicali, considerate le più importanti, e all’estensione del pianoforte.

Quindi la musica si è sviluppata nel modo più intelligibile possibile per le capacità del nostro sistema percettivo.

Conoscere i meccanismi di percezione è essenziale per l’elaborazione di un segnale sonoro efficace, di queste problematiche si occupa la psicoacustica.

Nella realizzazione di un prodotto sonoro, come può esserlo un brano musicale, ma anche il complesso audio di un film, devono essere presi in considerazione i meccanismi della fruizione e sfruttarli per ottenere il massimo effetto possibile.

Facendo un parallelismo con il mondo informatico potremmo dire che il nostro udito adotta una politica “lossy” di compressione audio, indicando quale parte del segnale ridurre, o addirittura sopprimere, senza perdite significative nella qualità del suono. Questo spiega perché, ad esempio, il secco battito delle mani in un ambiente silenzioso, possa sembrare tremendamente rumoroso rispetto allo stesso suono riprodotto in un ambiente più rumoroso. Un’applicazione pratica di questo effetto, ormai inflazionato nel cinema d’azione moderno, è definita di “logica esterna” (al materiale) dal teorico dell’ascolto e dell’audiovisione Michel Chion4. Pensiamo, per esempio, al già citato “Alien” di Ridley Scott: un espediente che viene utilizzato spesso per creare il cosiddetto “salto sulla poltrona” è quello di inserire un suono forte e inaspettato (magari accompagnato dall’apparizione di qualche mostro alieno) all’interno di lunghe sezioni di inquietante silenzio.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!4 Michel Chion – “L’audiovisione suono e immagine nel cinema” Cap. III, pag. 50-51

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Una delle questioni più dibattute dagli audiofili di tutto il mondo è quella che riguarda il confronto fra digitale e analogico. Questi due termini, che sono ormai entrati a far parte del linguaggio comune, sono spesso accompagnati dalle implicite equivalenze:

Analogico = vecchio = scarsa qualità. Digitale = nuovo = alta qualità.

Analogico e digitale sono due modi di codificare, elaborare e comunicare informazioni in un sistema. Un sistema è detto analogico se i valori dei suoi segnali sono continui (teoricamente infiniti) in un dato intervallo; è detto digitale se tali valori sono misurati mediante un sistema numerale finito e discreto. E’ importante premettere che in natura non esistono segnali veramente analogici: le varie forme di trasmissione comunemente chiamate “analogiche” in realtà si basano su una discretizzazione più o meno accurata realizzata dalle varie soluzioni fisiche adottate. La risoluzione di un LP è limitata dalle dimensioni (quindi una misura discreta) delle asperità su cui striscia la puntina, un segnale elettrico consta nel flusso di un numero finito di elettroni, il suono è veicolato nell’aria da molecole di gas (altro insieme discreto).

Ciò che permette di convertire un segnale continuo nel tempo (analogico) in uno discreto (digitale) è la tecnica del campionamento. Il campionamento di un segnale consiste nella misurazione dell’ampiezza di tale segnale ad intervalli di tempo regolari (frequenza di campionamento). La quantizzazione è quell’operazione, facente parte del processo di campionamento, che permette la trasformazione dei livelli istantanei di tensione del segnale analogico (campioni) in un gruppo discreto di numeri binari a virgola mobile. A seconda della lunghezza del numero binario che si desidera ottenere (ad esempio 16 bit, 24, bit, 32 bit, etc.) si parla di quantizzazione a 16 bit, 24, bit, 32 bit e così via. La frequenza di campionamento e la risoluzione di quantizzazione sono indicative del grado di conformità del file digitale rispetto al segnale analogico dal quale è stato creato: la qualità di un file digitale è maggiore tanto più i valori della frequenza di campionamento e della risoluzione di quantizzazione sono elevati.

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Per operare la conversione di un segnale analogico in digitale è necessario un dispositivo chiamato ADC (Analog

(to) Digital Converter) che attraverso le procedure di campionamento e quantizzazione opera la trasformazione. Analogamente è necessario che il segnale digitale venga di nuovo trasformato nella sua controparte analogica per essere riprodotto da un diffusore acustico, questa operazione è affidata al dispositivo DAC (Digital (to) Analog

Converter) che, in funzione del valore digitale, genera il corrispettivo segnale analogico sotto forma di differenza di potenziale elettrico.

L’analogico, che tende ad evidenziare il legame che esiste tra i fenomeni secondo grandezze continue, è testimone della tradizione; il digitale rappresenta il regno del discreto, del discontinuo, ma soprattutto non necessita di un fenomeno referente per legittimare la sua esistenza.

In ambito audio i principali supporti analogici sono il nastro magnetico e il disco in vinile, mentre il supporto digitale più utilizzato è il Compact Disc. Il disco in vinile è stato introdotto ufficialmente nel 1948 negli Stati Uniti come successore dei vecchi dischi in gommalacca (SP). È costituito da una piastra circolare realizzata in materiale plastico (PVC) incisa con un solco a spirale che avanza dall’esterno verso l’interno. Si trova in commercio in vari formati:

Diametro Giri al minuto (RPM) Denominazione Durata approssimativa per facciata

12” circa 30,5 cm 33! 33 giri, Long-Playing (LP) 30 minuti 12” circa 30,5 cm 45 / 33! Maxi-Single 15 minuti 10” circa 24,5 cm 78 78 giri, Single-Playing (SP) 3 minuti 7” circa 17,8 cm 45 45 giri 4 minuti

Ecco le principali limitazioni riconosciute ai dischi in vinile:

! Il disco è soggetto a graffi che ne compromettono la qualità o in casi peggiori la funzionalità stessa, inoltre è sensibile all’attacco di muffe che ne inficiano la qualità di riproduzione: pertanto necessita di periodici interventi di cura e pulizia.

! La riproduzione ad alti volumi di frequenze molto basse può innescare il feedback o effetto Larsen, nel quale l’impianto di riproduzione entra in risonanza con gli emettitori, con effetti spesso deleteri per i diffusori acustici.

! La risposta in frequenza e la qualità di riproduzione di un disco in vinile possono ridursi con l’ascolto frequente, in particolar modo se la puntina del giradischi è consumata o la testina è regolata con un peso di lettura eccessivo, oppure se l'articolazione dello stilo ha perso l'originaria cedevolezza meccanica, necessaria per seguire accuratamente i solchi del disco. La RIAA (Recording Industry Association of America, Associazione americana dei produttori discografici) ha quantificato la riduzione alle alte frequenze in base al numero di ascolti: sarebbero udibili fino a 20 kHz dopo un ascolto, 18 kHz dopo tre ascolti, 17 kHz dopo cinque ascolti, 16 kHz dopo otto, 14 kHz dopo quindici, 13 kHz dopo venticinque, 10 kHz dopo trentacinque, 8 kHz dopo ottanta ascolti. Il degrado può aumentare, se si ascolta il vinile ripetutamente in rapida successione. L'enorme pressione dello stilo sulle pareti del solco, equivalente a circa una tonnellata per centimetro quadro per ogni grammo di peso, causa, in una scala microscopica, una deformazione delle pareti del solco generata dall’attrito e la conseguente distorsione sonora.

A causa della delicatezza di questi supporti e alla difficile (se non impossibile) reperibilità di alcuni esemplari, molti collezionisti hanno l'abitudine di riversare il contenuto del disco su nastro o su supporto digitale, privilegiando in questo modo la durabilità del supporto piuttosto che dell’ascolto del suono originale.

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Il CDDA (Compact Disc Digital Audio) è lo standard qualitativo di registrazione audio su supporto compact disc. Le specifiche prevedono una capacità standard per un cd di 747 Megabyte equivalenti a 74 minuti di musica stereofonica campionati a 44,1 kHz a 16 bit di risoluzione. Lo standard di campionamento è stato stabilito con il presupposto di ottenere una fedeltà audio tale da equiparare in termini di ascolto quella di un disco in vinile. Esiste un aneddoto in proposito: la moglie del presidente della Sony ( la multinazionale

che insieme alla Philips sviluppò il brevetto del compact disc nel 1980) impose che su un CD dovesse starci per intero la Nona di Beethoven e così la durata fu fissata in 74 minuti. Sul compact disc il flusso audio è memorizzato in formato digitale, i bit sono incisi sul disco in un'unica traccia lunga oltre 5 chilometri sotto forma di settori di superficie più o meno riflettenti (pits e lands). Per ovviare al problema del deterioramento dei supporti (graffi, polvere, etc.) sono stati introdotti complessi algoritmi che prevedono la correzione degli errori provocati dall’alterazione della superficie di lettura.

Il progressivo passaggio dall’analogico al digitale al quale stiamo assistendo negli ultimi decenni è da attribuirsi ai numerosi vantaggi che quest’ultimo presenta rispetto all’analogico. Tradizionalmente i diversi tipi di informazione erano associati ad altrettanti differenti supporti: i film utilizzavano la pellicola, i suoni i nastri magnetici, le fotografie i rullini, i testi scritti la carta. Con l’avvento del digitale è stata possibile l’unificazione dei supporti dove archiviare e conservare informazioni di carattere eterogeneo e difficilmente integrabili in ambito analogico. La convergenza digitale è la risposta alla chiusura di un’epoca e all’apertura di un’altra, caratterizzata dalla multimedialità e dall’ipertestualità.

Torniamo per un attimo alla nostra equivalenza: analogico = vecchio = scarsa qualità, digitale = nuovo = alta qualità. È importante sempre tener conto che la rappresentazione digitale è sempre un’approssimazione (anche se molto raffinata) di quella analogica e per questo essa non sarà mai in termini ideali la stessa cosa.

Su questa tematica sono state scritte centinaia e di pagine senza mai giungere ad una conclusione univoca. Entrambi i sistemi presentano vantaggi e ovvie limitazioni che rendono la questione interpretabile in termini di “gusto”. Innanzi tutto è necessario fare i conti con la realtà: le varie considerazioni che vengono fatte presuppongono che si disponga di un impianto di riproduzione di qualità non meno eccellente delle incisioni dibattute. Per far luce su questa questione si è fatto ricorso al test in “doppio cieco”, descritto per la prima volta in ambito audio da Daniel J. Shanefield. Esso consiste nel paragonare due fonti audio conosciute (A e B) ad una terza (X), selezionata di volta in volta a caso tra le prime due. Dai test è risultato che la maggioranza dei partecipanti non era in grado, a parità di impianto di riproduzione, di distinguere tra una registrazione su 33 giri ed una su CD. E’ forse imputabile agli instancabili sostenitori del vinile di caricare il supporto di una carica emozionale che ne limita la valutazione razionale.

Con il digitale “giunge a compimento quel percorso […] che separa definitivamente creatività e talento manuale” 5 infatti, mentre possiamo considerare la restituzione analogica come “un’emanazione” del referente, ciò non è più possibile in ambito digitale.

“Il genio del digitale è precisamente l'indefinita modificabilità dei costrutti generati attraverso di esso […] nel digitale non vi e' alcuna resistenza da parte della materia nei confronti della forma perché non vi e' nulla di materiale da formare nell'opera, e l'unica “resistenza” e' di natura cognitiva (le poetiche, gli strumenti, processi che regolano il sistema opera-fruitore-ambiente...).”6

Il digitale è quindi, per sua natura, un formidabile strumento artistico, il cui avvento ha schiuso un’infinità di nuovi sentieri artistici, molti ancora da esplorare, all’interno dei quali ci si può spingere con l’ausilio di pochi mezzi, rendendoli, di fatto, potenzialmente percorribili da tutti.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!M!Pier Luigi Capucci – L’arte remota - http://www.undo.net!

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Nel settore della produzione musicale, grazie al supporto del digitale, è stato possibile operare una vera e propria rivoluzione. A partire dagli anni ’90 grazie al computer e alla crescente disponibilità di hardware sempre più performante è stato possibile lo sviluppo di software dedicati alla produzione musicale. Con l’introduzione nel 1983 del protocollo MIDI (Musical Instrument Digital

Interface), si gettarono le basi per l’avvento dei sequencer. Il MIDI è un protocollo di comunicazione standard che regola l’interazione degli strumenti musicali elettronici garantendone la piena compatibilità. Dalla sua nascita il protocollo MIDI è rimasto pressoché inalterato nella sostanza pur subendo periodici perfezionamenti, tra i quali l’aggiornamento all’odierno protocollo GM2 (General MIDI Level 2) introdotto nel 1999 dalla MIDI Manufacturers Association (MMA).

Grazie agli standard introdotti dall’adozione del protocollo MIDI fu possibile implementarne le funzionalità comunicative all’interno dei sistemi di elaborazione: nascono così alla fine degli anni ’80 i primi sequencer software, delle applicazioni in grado di gestire attraverso l’interfaccia MIDI qualsiasi altro dispositivo compatibile. Uno dei primi programmi dedicati alla gestione MIDI attraverso il computer fu Cubase lanciato nel 1989 dalla tedesca Steinberg Media Technologies GmbH. Cubase permetteva di programmare attraverso MIDI partiture per sintetizzatori e drum machine fino a 16 esecuzioni polifoniche contemporaneamente, con tutto il corrispettivo corredo di espressioni esecutive. Nei primi anni ’90 viene implementata in Cubase la possibilità non solo di comandare via MIDI apparecchiature esterne, ma anche di assegnare agli stessi MIDI dei campioni audio (samples) e di manipolarli attraverso effetti audio: siamo agli albori del Virtual Instrument. Nel 1996 Steinberg conferma nuovamente il suo primato con l’uscita di Cubase VST, nuova versione dell’acclamato Cubase, la quale implementa una nuova importantissima funzionalità: il protocollo VST.

La tecnologia VST (Virtual Studio Technology) rende possibile la creazione di strumenti musicali in forma virtuale (VSTi – Virtual Studio Technology Instrument), escludendo completamente tutti i dispositivi hardware esterni alla DAW (Digital Audio Workstation), prima indispensabili. Con la complicità di un hardware ogni giorno più performante i sequencer diventano sempre più efficienti, economici e, grazie all’adozione di un’interfaccia user friendly, alla portata di un’utenza scarsamente specializzata.

Un VSTi è un sintetizzatore software capace di generare il suono di uno strumento in ambiente virtuale senza l’ausilio di hardware dedicato. Generalmente un VSTi può essere un sintetizzatore (synthesizer), se genera il suono in maniera totalmente virtuale attraverso algoritmi matematici che emulano i componenti elettronici e la circuitazione del sintetizzatore fisico originale, oppure un sampler, se basa il suo funzionamento su campioni preregistrati dallo strumento originale. Uno dei primi VSTi fu il Neon VSTi, un sintetizzatore software incluso nel

pacchetto di Cubase VST.

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L’accuratezza di alcuni VSTi rende il suono generato da questi ultimi praticamente indistinguibile da quello degli strumenti originali e spesso sono dotati persino di una fedele riproduzione dell’interfaccia dello strumento.

Nel 2000 fa il suo debutto Reason, un’applicazione musicale creata dalla software house svedese Propellerhead Software, che intraprende una strada diametralmente inversa a quella seguita dagli altri sequencer: se infatti la tendenza di Steinberg e di altre compagnie era stata quella di creare prodotti il più possibile distaccati dalle metodologie dell’era hardware, Reason si propone di simulare i vecchi studi di registrazione, fatti da rack di sintetizzatori collegati tra loro attraverso matasse di cavi, guadagnandosi in questo modo l’approvazione di molti

addetti ai lavori e nostalgici del settore. Tuttavia Reason non abbandona completamente la politica di un’interfaccia intuitiva e di una programmazione dei suoni di facile attuazione: tutte le devices presenti in Reason (tra le quali mixer, synths, drum machines, effetti…), sono collegabili attraverso un sistema di cavi creati dall’utente con il semplice movimento del mouse.

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Le innovazioni introdotte dallo sviluppo delle nuove tecnologie di sintesi e manipolazione sonora hanno infranto, come era successo un secolo prima per la fotografia, il legame esistente tra opera d’arte e abilità manuale, rendendo addirittura non essenziale l’esistenza di un referente materiale alla base dell’evento sonoro. La simulazione e la virtualità giocano un ruolo centrale nella resa dell’evento sonoro, il quale deve rispondere a requisiti imprescindibili dai meccanismi della percezione umana, sia per soddisfare esigenze di realismo o per distaccarsene.

Max Mathews7, il padre della computer music, ha affermato che la sintesi diretta con il computer permette di comporre direttamente con il suono, piuttosto che limitarsi semplicemente ad assemblare le note. La composizione coi suoni permette, di fatto, il superamento del concetto di “nota”, cui prende posto il più generale concetto di “processo” e di “evento sonoro”: il processo è soprainsieme dell’evento sonoro che a sua volta è soprainsieme della nozione di nota intesa come entità palpabile, non come segno convenzionale. Processi e eventi sonori possono essere semplici, talvolta coincidendo con una singola nota, ma anche estremamente complessi e difficilmente assimilabili al tradizionale concetto di mero suono musicale.

Alla fine ciò che conta di un evento sonoro è il suo effetto concreto sull'ascoltatore, il suo valore aggiunto.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!G!Max Vernon Mathews (13 novembre 1926, Columbus, Nebraska - )!

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! Loris Azzaroni – Canone infinito: Lineamenti di teoria della musica – Bologna: CLUEB, 1997. ! Michel Chion – L’audio-vision. Son et image au cinéma – Parigi: Edition Nathan, 1990 –

[trad.ita, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Lindau s.r.l., 2001].

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