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Università degli Studi di Palermo Dipertimento di Filosofia, Storia e Critica dei Saperi Dottorato di Ricerca in Estetica e Teoria delle Arti - XX Ciclo Coordinatore: Prof. Luigi Russo SSD: M-Fil/04 L'ESTETICA DI JEAN PAUL RICHTER di Erasmo Silvio Storace Tutor: Prof. Salvatore Tedesco Co-tutor: Prof.ssa Silvia Vizzardelli 1

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Università degli Studi di Palermo

Dipertimento di Filosofia, Storia e Critica dei Saperi

Dottorato di Ricerca in Estetica e Teoria delle Arti - XX Ciclo

Coordinatore: Prof. Luigi Russo

SSD: M-Fil/04

L'ESTETICA DI JEAN PAUL RICHTER

di Erasmo Silvio Storace

Tutor: Prof. Salvatore Tedesco

Co-tutor: Prof.ssa Silvia Vizzardelli

1

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INDICE

INTRODUZIONE – NICHILISMO E IRONIA IN JEAN PAUL ................5

PARTE PRIMA – CLASSIFICAZIONE DEI VARI TIPI DI POESIA NELLA

VORSCHULE DER ÄSTHETIK DI JEAN PAUL ........29

CAPITOLO PRIMO – LA “POESIA ANTICA” E LA “POESIA MODERNA” .30

1.1. La “poesia antica” ...............................................................33

1.2. La “poesia moderna” tra materialismo, nichilismo e

romanticismo .............................................................................40

CAPITOLO SECONDO– LA “POESIA MATERIALISTICA” E LA “POESIA

NICHILISTICA” ............................................45

2.1. La “poesia materialistica” ...................................................45

2.2. La “poesia nichilistica” .......................................................51

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2.3. Altre forme di nichilismo nei romanzi di Jean Paul ...........53

2.3.1. Il Discorso del Cristo morto .......................................56

- Contenuto del “Discorso” .................................................59

- Senso del “Discorso” ........................................................65

2.3.2. La Clavis fichtiana ....................................................70

- La disputa su Spinoza e sull'ateismo .................................70

- La Clavis .........................................................................76

- Jean Paul vs. Fichte ..........................................................87

PARTE SECONDA – LA “POESIA ROMANTICA” IN JEAN PAUL: IL GENIO

E L 'ARGUZIA ..............................................97

CAPITOLO TERZO – LA “POESIA ROMANTICA” IN JEAN PAUL ........98

- Genio e ironia nella poesia romantica ...............................110

CAPITOLO QUARTO – IL GENIO .................................................119

4.1. Arte e bellezza nell’estetica romantica e postromantica ...119

4.2. Il genio come facoltà dell’intelletto ..................................122

4.3. Il genio moderno: espressione dell’irrazionale o del

sovrarazionale ..........................................................................123

4.4. Il genio romantico .............................................................124

4.5. La facoltà del genio nella Vorschule der Ästhetik ...............125

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CAPITOLO QUINTO – L' IRONIA .................................................131

5.1. La nozione di ironia nella Vorschule der Ästhetik ...............131

- Il ridicolo e il sublime .....................................................134

5.1.1. Il comico ................................................................138

- Il comico e la satira .........................................................144

5.1.2. L'umorismo ............................................................146

- Umorismo e ironia ...........................................................156

- Umorismo epico, drammatico e lirico ................................159

- Il comico lirico o il capriccio e il burlesco .........................161

5.1.3. L'arguzia ................................................................162

CONCLUSIONI – LA POESIA ROMANTICA ...............................176

R IFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ...................................................................183

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Introduzione

NICHILISMO E IRONIA IN JEAN PAUL

La Vorschule der Ästhetik1 (Propedeutica all'estetica) di Jean Paul

(Johannes Paul Friedrich Richter, Wunsiedel, 21 marzo 1763 –

Bayreuth, 14 novembre 1825) incarna essenzialmente una teorizzazione

estetologica delle forme artistiche concernenti l’ambito poetico-

letterario, dalla poesia al dramma al romanzo2; si può infatti affermare

1 Vorschule der Ästhetik: nebst einigen Vorlesungen in Leipzig Uber die Parteien der Zeit /

Jean Paul; herausgegeben von Joseph Muller; mit einer "Einfuhrung in Jean Pauls

Gedankenwelt" von Johannes Volkelt. - Leipzig: Meiner, 1925; Vorschule der Ästhetik /

Jean Paul; Nach der Ausgabe von Norbert Miller; herausgegeben, textkritisch

durchgesehen und eingeleitet von Wolfhart Henckmann. – Hamburg: Meiner, 1990

(d’ora in poi sarà citata quest’ultima versione).2 Per la letteratura critica sulla Vorschule der Ästhetik , cfr. ad es.: A. M. Bachmann, Das

Umschaffen der Wirklichkeit durch den ‘poetischen Geist’. Aspekte der Phantasie und des

Phantasierens in Jean Pauls Poesie und Poetik , Frankfurt 1986; E. Berend, Jean Pauls

Ästhetik , Berlin 1909 (rist. 1978); G. Carchia, Jean Paul e la teoria dell’umorismo , in

“Rivista di estetica”, 1989; E. Endres, Jean Paul. Die Struktur seiner

Einbildungskraft ,Zuerich 1961; G. Müller, Jean Pauls Ästhetik und Naturphilosophie ,

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che “l’opera maggiore di Jean Paul è una complessa enciclopedia

dell’estetica romantica, intesa come propedeutica alla conoscenza del

mondo che illustra l’origine della poesia, della natura del genio, del

valore del bello. Sono queste forme dell’arte che costituiscono il

fondamento della verità”3.

Questo scritto, pubblicato da Jean Paul nel 1804, ossia in una fase

matura della sua carriera di scrittore (inaugurata all’inizio degli anni

’80 del Settecento e conclusasi nel 1825, anno della sua morte), è,

insieme al trattato Levana, a carattere pedagogico, l’elemento

filosoficamente più rilevante della sua opera, il cui quantitativo

maggiore consta perlopiù di romanzi, alcuni dei quali contengono

comunque digressioni, intermezzi o appendici concernenti tematiche

di filosofia4.

Tübingen 1983; G. Müller, Jean Pauls im Kontext , Wuerzburg 1996; W. Rasch, Die Poetik

Jean Pauls , Göttingen 1967; H. M. Speier, Die Ästhetik Jean Pauls ; W. Wiethölter,

Witzige Illumination ,Tuebingen 1979; G. Wilkending, Jean Paul Sprachauffassung in

ihrem Verhaeltnis zu seiner Ästhetik , Marburg 1968.3 E. Franzini, S. Zecchi, Storia dell’estetica , il Mulino, Bologna 1995, pag. 408.4 Si pensi qui in particolare al “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto

dell’universo sulla non esistenza di Dio”, contenuto nel romanzo Siebenkäs (Siebenkas /

Jean Paul; herausgegeben von Carl Pietzcker. - Stuttgart: Reclam, 1983, tr. it .

Setteformaggi (Siebenkäs) , Milano 1998), e la “Clavis fichteana”, in appendice al

romanzo Titan (Titan; Komischer Anhang zum Titan; Clavis Fichtiana seu Leibgeberiana /

Jean Paul; hrsg. von Norbert Miller; Nachwort von Walter Hollerer. - Munchen:

Hanser, 1961, tr. it . dell’appendice: Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana , a cura

di Eleonora de Conciliis e Hartmut Retzlaff, Cronopio, Napoli 2003).

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L’opera, suddivisa in tre parti, è una teoria delle forme di

produzione letteraria volta a determinare la poetica romantica in

generale e, più in particolare, a ravvisare nel concetto di “ironia” la

cifra del genere letterario “moderno” in contrapposizione a quello

“classico”5. Per tali ragioni, i concetti classici dell’estetica (come

5 Questa concezione, ampiamente diffusa all’interno del dibattito estetologico e

filosofico del protoromanticismo, è ravvisabile anche in diversi altri luoghi, di cui ci

limitiamo a ricordare quelli più noti: - F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica

dell’uomo , Roma 1991; F. Schiller, Saggi estetici , Torino 1959; F. Schiller, Sulla poesia

ingenua e sentimentale , Milano 1993; A. W. Schlegel, Corso di letteratura drammatica ,

Genova 1977; F. Schlegel, Dialogo sulla poesia , Torino 1991; F. Schlegel, Frammenti

critici e scritti di estetica , Firenze 1967; F. Schlegel, Sullo studio della poesia greca ,

Napoli 1988; F. Schlegel, Simbolicità dell’arte , Firenze 1988; F. Schlegel, Frammenti di

estetica , Palermo 1989 ; K. W. F. Solger, Erwin , Berlin 1907. Il Romanticismo è stato

talora interpretato come un tentativo di risposta alla Querelle des anciens et des

modernes (nata nel 1688 con Perrault e ancora centrale non solo negli autori del

Settecento, come Du Bos, ma anche tra i Romantici), al centro della quale si poneva

l’antitesi tra antichità e modernità, tra autorità e ragione, tra pregiudizio e progresso:

se i sostenitori degli antichi affermavano l’impossibilità, in arte, di superare o

uguagliare la grandezza dei modelli antichi, i sostenitori dei moderni, senza negare la

validità dei grandi artisti del passato, attribuivano all’epoca moderna una visione più

vera della realtà delle cose. In questo contesto si inseriscono i Romantici: Friedrich

Schlegel, anzitutto, distingue tra opere antiche, che offrono appagamento, armonia e

perfezione, e che hanno come principio la bellezza, e opere moderne, dominate dal

caos, dal disordine, dall’eccesso, volte a rappresentare non solo il bello, ma anche il

brutto, e caratterizzate da una tensione verso l’indeterminato e l’infinito.

Analogamente, Schiller distingue una poesia ingenua da una poesia sentimentale,

mentre Schelling parlava dell’arte greca, simbolica, in quanto contrapposta all’arte

cristiana, in cui prevale l’allegoria e in cui si gioca la cifra del romanticismo. Il

termine “romantico” viene dunque impiegato per distinguere le opere dei moderni. È

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l’immaginazione, il genio, ecc.) vengono da Jean Paul accostati a

nozioni quali quelle di “ironia”, “ridicolo”, “comico”, “umorismo”,

“arguzia” (o “motto di spirito”), ecc6.

La prima parte prende le mosse da una categorizzazione delle

diverse figure di poesia (nichilistica o materialistica, greco-antica o

romantico-moderna, ecc.), al fine di far emergere quelle categorie

estetiche che agiscono nell’atto della produzione o della fruizione di

un testo poetico: dal genio al ridicolo all’umoristico, ecc. Essa si

articola in otto capitoli (o “programmi”, come scrive Jean Paul): “Sulla

poesia in generale”, “Scala delle forze poetiche”, “Sul genio”, “Sulla

poesia greca o plastica”, “Sulla poesia romantica”, “Sul ridicolo”,

“Sulla poesia umoristica”, “Sull’umorismo epico, drammatico e lirico”.

in questo panorama che si innestano le riflessioni di Jean Paul. Nella Vorschule egli

ironizza intorno alla suddivisione classico/romantico, la riformula e la esemplifica.

“Classico” sta ad indicare la poesia plastica, oggettiva, ideale, quieta e serena dei

Greci, mentre “romantico” si riferisce alla poesia cristiana, in cui viene espresso il

bello senza limitazione, il “bello infinito”. Jean Paul, come diversi altri autori a lui

contemporanei, dedica molte pagine al tema dell’ironia e alle sue possibili variazioni:

il comico, l’umorismo e l’arguzia (o motto di spirito). L’ironia, come vedremo nel

corso di questo lavoro, è per Jean Paul da una parte ciò che può opporsi alla visione

nichilistica del mondo, inverandola, e dall’altra ciò che identifica il genere letterario

moderno, romantico, contrapposto a quello classico.6 Cfr. ad es., Il comico, l’umorismo e l’arguzia , Padova 1994, e in particolare

l’introduzione del curatore, o anche G. Carchia, Jean Paul e la teoria dell’umorismo , in

“Rivista di estetica”, 1989.

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La seconda parte prosegue questo tipo di indagine, partendo dallo

studio dell’arguzia, per poi prendere in esame i caratteri, il dramma

greco, il romanzo, la poesia lirica, per finire con alcune considerazioni

conclusive rivolte allo stile, alla raffigurazione e alla lingua tedesca.

Essa si compone di sette capitoli: “Sull’arguzia”, “Sui caratteri”, “La

trama storica del dramma e dell’epos”, “Sul romanzo”, “Sulla lirica”,

“Sullo stile o sulla raffigurazione”, “Frammento sulla lingua tedesca”.

Una terza e ultima parte riporta tre lezioni tenute a Lipsia,

rispettivamente dedicate agli stilisti, ai poeti e alla poesia poetica.

La Vorschule riassume all’interno del proprio intreccio tematico una

significativa serie di questioni legate agli ambiti della poetica e

dell’estetica che presuppongono tuttavia, nel loro stesso svolgersi, un

riferimento costante all’uomo ed al suo mondo. La natura dello

sguardo verso la dimensione umana dell’esistenza non si riduce

d’altro canto ad una semplice ripetizione meccanica del dato naturale,

così come non prevede in alcun modo l’abbandono alle distorsioni

legate ai romantici e ai nostalgici dell’illuminismo. La risposta di Jean

Paul si muove innanzitutto dalla necessità di riconoscere una unità

all’interno del campo dell’arte; dal momento che, senza l’ammissione

di un principio certo, non si potrà mai proporre una alternativa

realmente percorribile nei confronti del disordine provocato dalla

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ricerca di posizioni estreme e alla moda. Di conseguenza, come è

possibile ravvisare nella terza parte della Vorschule, intitolata Drei

Vorlesungen in Leipzig , Jean Paul si muove consapevolmente in un

quadro di assoluta solitudine, dove viene a trovarsi del tutto

abbandonato dal pubblico, fatta eccezione del solo Albano, il

personaggio principale del romanzo Der Titan.

Il principio dell’unità dell’arte si lega inoltre ad un altro aspetto del

tutto fondamentale agli occhi di Jean Paul – l’autonomia dell’arte

stessa e della sua caratteristica forma di rappresentazione del mondo

attraverso il linguaggio estetico. Una completa e reale forma di

autonomia del linguaggio dell’arte, nei confronti di termini e concetti

filosofici, è tuttavia di ben difficile applicazione. Infatti, parte della

stessa Vorschule, in particolar modo la terza, si svolge attraverso un

dialogo che prende decisamente le mosse dall’esempio lasciatoci dai

più celebri dialoghi platonici. Quanto appena affermato non deve

comunque far sviare l’interpretazione del pensiero di Jean Paul dallo

“spirito cristiano” che rappresenta il vero orizzonte di senso

determinante la sua stessa visione del mondo, legandosi alla nostalgia

per le tradizioni, le feste e lo spirito burlesco del medioevo cristiano,

periodo ancora capace, a differenza del moralismo settecentesco, di

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intendere la profonda serietà del riso al di là della sua apparenza

frivola e superficiale7.

Il rapporto tra il riso e la serietà, nello spirito cristiano, riesce

dunque a rimaner vivo attraverso il senso dell’infinito che, toccando le

corde dell’indeterminato, il non finito appunto, è in grado di andar

7 Il riso e l'ironia in genere sarà uno dei temi ricorrenti del romanticismo, inaugurato

ad esempio dagli studi di Friedrich Schlegel (1772-1829), uno dei più importanti

esponenti del romanticismo tedesco. La propria posizione di teorico romantico va

oltre il kantismo di Schiller, ispirato ancora all’idea di un possibile equilibrio tra

antico e moderno, tra classico e romantico. Schlegel è vicino infatti alla nuova

filosofia di Fichte e si ispira, nel campo della poesia, alle figure di Geothe e Tieck.

D’altra parte, Friedrich è fratello del letterato August Wihelm (1767-1845), il

fondatore con lo stesso Friedrich, nel 1789, della rivista Athenaeum ; inoltre, egli

partecipa attivamente ai circoli di Jena e Berlino, occupandosi di storia, di letteratura

e di crit ica d’arte, ma trovando nella filosofia il proprio reale centro d’interesse, tanto

da essere il primo autore ad esplicitare una vera e propria teoria del movimento

romantico, attraverso i suoi interventi nelle riviste Lyzeum der Schönen Künste ed

appunto nella già ricordata Athenaeum . Il romanticismo, con Friedrich Schegel,

acquista un significato ulteriore rispetto all’originario riferimento al genere letterario

del romanzo ambientato in una età medievale da sogno, venendo così ad identificarsi

con un nuovo modo di guardare alla poesia, dove l’arte stessa si prefigge lo scopo

d’essere arte totale, come mostra il romanzo di Geothe, Wilhelm Meister , classico

esempio di romanzo di formazione. Nell’arte totale l’artista si sforza di raggiungere

quella suprema libertà che è possibile cogliere esclusivamente attraverso uno sguardo

capace di riflettere la realtà a partire dalla più piena comprensione della società e del

tempo storico vissuto. La poesia romantica, intesa come quel luogo dove possono

fondersi gli stili poetici più diversi, diventa così espressione, anche se in forma

ancora aconcettuale, dell’assoluto e dell’infinito, studiato dalla stessa filosofia

fichtiana. La poesia, quindi, non fa altro, secondo Schlegel, che ripetere, seppur in

modo diverso, il lavoro della filosofia; lo specchiarsi della poesia nella filosofia di

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oltre sia allo sterile opporsi di concetti contrari che ad ogni facile

soluzione compiuta sulle ali della dialettica spinte da un eccesso di

spirito di ragione.

Gli aspetti caratteristici della Vorschule appena enunciati, attraverso

il susseguirsi di un rapido sguardo panoramico sul suo stesso valore

critico-conoscitivo, non sono stati in alcun modo intuiti da autori

tedeschi del periodo come Geothe, Hegel e Schlegel, secondo i quali

Jean Paul poteva essere, nel migliore dei casi, un originale quanto

sterile esercizio della fantasia oppure, da un punto di vista più

realistico, solo un buon esempio di indisciplina filosofica, dove la

fatica del concetto veniva risparmiata alla luce di fatui colpi ad effetto

di nessuna sostanza. Friedrich Ast è stato il primo a scorgere una sorta

di unità, anche se non di tipo banale o immediato, all’interno

Fichte, porta lo stesso Schlegel a coniare, sull’esempio della fichtiana filosofia

trascendentale , detta anche filosofia della filosofia , la formula di poesia trascendentale o

poesia della poesia . Gli aspetti che la poesia di Schlegel ha in comune con la filosofia

fichtiana sono poi molteplici, innanzitutto, la fede nella libertà e nella creatività

dell’immaginazione del genio, a loro volte unite ad una visione della filosofia e della

poesia in chiave religiosa, quasi come se fossero le portatrici di una missione decisiva

per tutta l’umanità. D’altra parte, il tema centrale della poesia romantica e della

filosofia idealistica, che riveste di nuova originalità l’arte e la sua verità, è senz’altro

quello dell’ironia – l’ironia dei dialoghi di platonici, rispecchiata dalla figura di

Socrate – che si estende ora, nell’arte romantica, attraverso le opere di Forster,

Lessing, Hemsterhuis e Hülsen, diventando la cifra stessa dell’arte ed espressione di

un nuovo e più profondo modo di leggere il mondo. L’ironia, in quest'ottica, è una

“buffoneria trascendentale”, che tende ad approssimarsi verso l’infinito; ma su questo

torneremo nel capitolo dedicato al concetto di ironia.

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dell’opera di Jean Paul, in cui, al di là dell’apparente succedersi

multiforme di aspetti della vita totalmente distanti tra loro, è presente

una sorta di sintesi capace di portare i volti contrastanti dell’esistenza

ad un livello superiore. Il limite principale dell’originale

interpretazione di Ast si staglia tuttavia sul modo del concepire la

sintesi operata da Jean Paul, interpretando così lo sciogliersi dei

contrasti della vita come parte di un reale movimento dialettico. In

questo modo il principale merito di Jean Paul rimane, agli occhi di

Ast, quello di aver anticipato, anche se non del tutto consapevolmente,

il movimento stesso della dialettica, intesa come cifra del dispiegarsi

stesso, attraverso il ritmo triadico, della vita nel tempo. Il

rinvenimento di un luogo preciso e determinato dove cogliere la

sintesi di questa dialettica rimane però del tutto imprecisato come

conseguenza del fatto che la lettura di Ast, portata alle sue estreme

conseguenze, non fa altro che sovrapporsi alle pagine di Jean Paul,

ritrovando una regolarità della sintesi tra gli opposti che in realtà è

assente nelle intenzioni dell’autore. Del resto è del tutto innegabile

che la Vorschule si presenti, al proprio interno, come attraversata da

una serie di rapporti triadici del tutto evidenti e riconoscibili, anche se

incapaci di insistere su un unico centro di forza unitario capace di

garantirne tout court una effettiva sintesi.

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D’altro canto le triadi afferrate dal pensiero di Jean Paul8, anche se

incapaci di realizzare una sintesi di tipo definitivo, possono trovare

del resto un punto di analisi privilegiato attraverso il riferimento alle

figure caratterizzanti il moto del riso – il comico, l’umorismo e il Witz.

Si presenta ora, in modo del tutto esplicito, il problema del come

intendere la particolare relazione che occorre tra i tre lati, appena

esposti, del riso; infatti, la negazione di una dialettica di tipo

hegeliano in Jean Paul, anche se in forma larvata, come ha mostrato la

critica alla lettura di Ast, non deve tuttavia giustificare la posizione

contraria, rappresentata per esempio da Carchia9, dove viene tolto

valore e senso ad ogni lettura intesa a poggiarsi sul concetto di

mediazione degli opposti. Sempre secondo Carchia la volontà di

riscontrare in Jean Paul un superamento, per mezzo della mediazione

appunto, della travagliata lotta tra gli opposti è figlia esclusivamente

di una impropria proiezione di senso effettuata attraverso categorie

attinte dalla modernità, senza l’uso di alcuna cautela storico-filosofica.

L’osservazione presentata da Carchia può esser messa in discussione

soltanto portando il gioco direttamente a livello delle radici e delle

8 Le diverse forme di triade dialettica, a cui si è appena fatto riferimento, possono

essere raggruppate nelle seguenti serie ternarie: materialismo poetico-nichilismo

poetico-poesia poetica, immaginazione-fantasia-genio, ridicolo-sublime-umorismo,

ironia-Laune-umorismo, arguzia-acume-profondità di pensiero epos-dramma-lirica.9 Cfr. G. CARC HIA , Jean Paul e la teorica dell’umorismo , “Rivista di estetica”, 31, 1989,

pp. 23-31.

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fonti più immediate dell’opera di Jean Paul. Il terreno in cui si radica

la Vorschule è rappresentato, secondo quanto affermato attraverso gli

studi di Proß10, dal riferimento ad Hamann, ad Herder, a Jacobi e a

Pope, senza scordare però il peso determinante della filosofia Leibniz,

rimando costante del periodo giovanile di Jean Paul, soprattutto nelle

satire e negli scritti di carattere filosofico. La relazione tra Jean Paul e

Leibniz non deve tuttavia essere relegata ad un specifico periodo della

vita dell’autore, quasi come se si trattasse di un semplice momento del

passato ormai sepolto dal trascorrere impietoso del tempo; infatti, il

profondo vincolo nei riguardi di Leibniz rimarrà pressoché costante

nella vita di Jean Paul, finendo col fondersi con l’anima stessa del

pensiero espresso attraverso le pagine della Vorschule. Detto

altrimenti, Leibniz è stato sempre così vicino a Jean Paul da non poter

mai esser riconosciuto del tutto attraverso la sua reale presenza nei

pensieri dell’autore – è sempre difficile infatti cogliere ciò che è

vicino, troppo vicino, all’occhio scrutatore del nostro intelletto e della

nostra ragione. Del resto, come potrebbe affermare lo stesso Jean Paul,

è sempre necessaria una distanza, una differenza, nei riguardi di ciò

che si intende spiegare e comprendere, tanto più se la cosa in

questione è il mondo, inteso come quel concetto limite, quella cifra

impossibile, tra reale e possibile o forse al di là del concetto stesso di

realtà e di possibilità.

1 0 Cfr. W. PROS S , Jean Paul geschichtliche Stellung , Tübingen, Niemeyer 1975.

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Per il resto un altro aspetto che rende ardua e difficile

l’identificazione di un chiaro paradigma leibniziano nella Vorschule

consiste nella effettiva e reale contaminazione di questo particolare

modello filosofico con altri non del tutto affini; d’altra parte, però, il

valore della teodicea in chiave estetologico è un tema caratteristico che

richiama esplicitamente, come afferma Casini11, la cultura europea del

Settecento nelle figure di Herder, di Pope, di Rousseau, di Shaftesbury

oltre che dello stesso Leibniz. La sintesi a cui aspira, anche se in modo

sottile, la Vorschule, non è quindi quella di un meccanismo dialettico

non ancora posseduto con aperta evidenza, ma, al contrario, si

identifica con quell’unità capace di riflette, al di là delle dissonanze

del reale, una armonia ideale attraverso la forma dell’arte, la quale

non può in alcun modo trovare nella realtà e nella natura il proprio

modello, in quanto essa stessa, rovesciando il gioco artistico in serietà,

giunge a offrire i modelli ideali, sotto forma di idee platoniche, per la

stessa vita umana.

A questo livello del discorso è possibile introdurre in modo ancora

più chiaro ed aperto quelli che, già in precedenza, sono stati indicati

come i poli costitutivi della triade dialettica principale della Vorschule

– il comico, l’umorismo e l’arguzia. Questi tre momenti non devono

essere visti infatti come lati predeterminati dal pensiero al fine di una

mediazione statica e dialettica; ma ciò non può comportare certo un

1 1 Cfr. P.CAS INI , Introduzione all’illuminismo , Laterza, Roma-Bari 1973.

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rifiuto ad ogni sorta di mediazione all’interno del loro reciproco

relazionarsi ed auto-rimandarsi; dal momento che il rifiuto della

mediazione comporterebbe la rinuncia ad ogni comprensione effettiva

del loro valore e della loro stessa natura.

Il comico, l’umorismo e l’arguzia rappresentano di conseguenza

proprio quella particolare cifra della possibilità, da parte dell’uomo, di

dare un senso alla natura e alla propria vita naturale attraverso il

gioco del tutto serio dell’arte, che, intervenendo sull’assurdo, riesce a

capovolgerne la disarmonia nel suo stesso contrario – l’armonia. Lo

spostamento dalla disarmonia prestabilita del mondo della natura

all’equilibrio armonico è possibile soltanto, come afferma

esplicitamente Blumenberg12, a partire da una secolarizzazione del

teologico in direzione del suo valore esclusivamente estetologico. Nel

comico, in particolare, abitato dalla immediatezza della simpatia

guidata dall’intelletto, è possibile, attraverso un inganno prodotto

dell’intelletto stesso, portare l’assurdo ad una sorta di equilibrio di

senso, per mezzo dell’esercizio del ridicolo, inteso come luogo ideale

per l’espressione di un riso segnato dalla cifra del tutto kantiana del

disinteresse. L’assurdo viene così reso accettabile attraverso il comico,

il quale prepara poi il terreno per l’umorismo, che si differenzia dal

primo in quanto, uscendo dall’immediatezza della simpatia, riesce a

guadagnare un punto di vista più consapevole nei confronti

1 2 Cfr. H. BLUMENB ERG , Die Legitimität der Neuzeit , Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1966.

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dell’assurdità che attraversa la physis, sdoppiandosi così in due figure

opposte, da una parte la natura assurda e caotica e dall’altra un’ideale

di libertà, capace di assolvere la natura nel momento stesso della

propria distruzione. L’ultimo elemento della triade, il Witz, si articola,

in un certo senso, attraverso un grado di complessità superiore

rispetto l’umorismo; infatti, con il Witz, si supera la semplice

opposizione bipolare natura versus idea, costitutiva dell’umorismo, in

direzione, invece, di un continuo rimando alla dimensione giocosa del

linguaggio, attraverso il quale il pensiero riesce a ripetere su di sé

l’esperienza di una densa trama rimandi tra spirito e materia, al pari

del profondo legame che unisce nascostamente gli aspetti più disparati

della realtà e della vita.

L’esempio portato attraverso l’analisi del comico, dell’umorismo e

del Witz ha mostrato come il riso possa tradurre positivamente, nei

suoi stessi effetti concreti, quello che la tradizione ha invece inteso

come il fallimento della teodicea mossa e giocata all’interno di un

orizzonte essenzialmente teologico. Il passaggio, quindi, dal piano

teologico a quello estetologico permette all’uomo di muoversi nel

mondo libero, cercano costantemente di opporsi al vincolo nichilista,

attraverso il principio regolatore di una armonia che deve di continuo

esser cercata ed imposta al caos della natura. L’uomo risulta così

stretto tra due opposti modelli in conflitto, l’essere naturale

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dell’animale e l’essere sovrannaturale di Dio; d’altra parte tali figure

archetipe sono da intendere, secondo Jean Paul, come figure derivate

da una teologia ormai rovesciata, attraverso un chiaro processo di

secolarizzazione, in una dimensione estetologica, in cui la stessa teoria

estetica prende le mosse dalle cadenze prima applicate ad un ambito

umano del tutto differente. Da questo punto di vista risulta chiaro che

il passaggio dal teologico alla dimensione più propriamente

estetologica non comporta in alcun modo un rovesciarsi del

domandare teologico nel campo dell’estetica; ma, al contrario, è

l’estetica stessa che ripete la forma ed i ritmi delle questioni

teologiche.

Il discorso, secondo Jean Paul, si gioca quindi nel campo dell’arte,

l’armonia a cui l’artista deve tendere presuppone infatti la

giustificazione del mondo stesso, il quale, tuttavia, può esser

realmente giustificato solo attraverso una sua riconduzione all’unità; il

mondo disperso e frammentato della physis deve di conseguenza esser

ricomposto, segnando in questo modo lo scopo reale della Vorschule. In

questo modo la sintesi realizzata da Jean Paul si può muovere

riferendosi, piuttosto che a un indeterminato senso dialettico pre-

hegeliano, ad una armonia attraversata da un telos unificante in grado

di coordinare i diversi enti in direzione del modello-uno. Le diverse

monadi possono così essere ordinate secondo un ordine razionale, che

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esclude il prevalere della contingenza nei confronti della regola

dettata dall’idea. L’ordine che si viene a organizzare, non è però una

realtà uniforme ed indistinta; infatti, lo stesso movimento verso l’unità

presuppone una scala di ordini differenziati per gradi dal più basso al

più alto. All’apice di questa scala dell’essere delle monadi estetiche si

trova l’attività dell’arte umana autentica, ossia la poetische Poesie, la

poesia tesa tra le figure del comico, dell’umorismo e del Witz.

La Vorschule declina pertanto il proprio compito di ricerca

dell’armonia a partire da due lati opposti tra loro, che devono esser

entrambi giustificati - il lato del soggetto, o meglio del mondo

interiore del poeta, e quello dell’arte e del riso riferito all’ambito

estetico. In questa teodicea estetologica la tensione verso l’armonia si

gioca tra il particolare e l’universale, in quanto il particolare stesso

deve essere trasfigurato e giustificato in direzione della forma ideale,

attraverso un processo che si declina per gradi di perfezione sempre

maggiore.

Il riferimento all’universale era un aspetto comune sia all’arte greca,

l’arte del senso della vita e dell’oggettività dell’epos, che a quella

romantica, l’arte del senso della morte e della tensione verso il sogno,

il sublime e l’infinito. L’estetica di conseguenza dovrà muoversi tra

questi due momenti, rappresentati rispettivamente dal classicismo e

dal romanticismo, cercando di coglierne la profonda armonia. D’altra

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parte i modelli opposti devono necessariamente trovarsi in una

dimensione armonica, in quanto l’isolarsi degli estremi, privati di ogni

tensione vero l’equilibrio, produce le due forme di poesia che Jean

Paul intende superare - la poesia materialista e la poesia nichilista. La

distinzione dei generi di poesia appena presentata riprende,

proseguendola in modo autonomo, la querelle tra classicismo e

romanticismo13. Il poeta materialista cerca di ripetere la realtà, nella

1 3 A tal proposito va ricordata la nota distinzione tra poesia ingenua e poesia

sentimentale elaborata da Schiller. Nella lettura compiuta da Friedich Schiller,

attraverso la scrittura delle lettere Sulla educazione estetica dell’uomo (1793-1795), i vari

e frequenti dualismi della filosofia kantiana sono interpretati come la cifra di una

nascosta unità armonica della natura che la cultura umana ha il compito di sviluppare

e di portare a compimento, senza fissarsi per questo nel momento della separazione

degli opposti separati dalla contraddizione. Schiller intende poi divulgare la filosofia

kantiana ad un ampio pubblico, radicandola in un ambito allargato anche alla

dimensione politica e pedagogica. Le difficoltà a livello politico sono poi amplificate

dall’insorgere della rivoluzione in Francia e, proprio per questa ragione, Schiller

intende trovare una soluzione che tocchi la radice stessa dei problemi in questione,

intervenendo sulla stessa educazione estetica dell’uomo, in quanto, secondo la sua

opinione, solo attraverso la bellezza è possibile condurre l’uomo alla libertà. I

problemi dell’uomo moderno, attraversato da fratture difficilmente sanabili, erano

sconosciute agli uomini antichi, dove l’unità e l’armonia tra la vita e le sue forme non

era mai messa in discussione. L’uomo moderno vive una radicale frattura tra

intelletto intuitivo e intelletto speculativo, tale scissione è prodotta dall’evolvere

stesso della società, per mezzo della divisione del lavoro, della specializzazione

scientifica e della separazione tra le classi sociali. I benefici di questa nuova

condizione dell’umanità si riflettono esclusivamente nel campo dell’utile sociale, ma

si devono pagare con un prezzo salatissimo, ossia con l’incrinarsi dell’equilibrio

all’interno dell’individuo - il progresso della specie umana compiuto nella modernità

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forma della realtà bella ed esemplare, quasi come se si trattasse di

imitare un meccanismo del tutto privo, a differenza della vera natura,

di una qualsiasi forma di organicità e di possibilità di cambiamento.

L’occhio del materialista porta uno sguardo di Medusa cristallizzato e

fermo di fronte alla multiforme Proteo della natura; mentre il

si paga paradossalmente con un ridimensionamento del valore del singolo uomo. La

situazione difficile in cui si trova l’uomo moderno non è tuttavia il segno di un

irrefrenabile declino, ma, al contrario, rappresenta la premessa per la costruzione di

una nuova forma di umanità, dove l’arte, l’educazione e la bellezza devono esser

intesi come i nuovi mezzi col quale può essere possibile ricomporre l’unità spezzata

degli opposti - libertà dell’individuo e stato, mondo naturale e mondo morale,

sensibilità ed intelletto. L’arte si prefigura come un esercizio necessario per lo

sviluppo dell’armonia all’interno dell’umanità in quanto, attraverso il proprio istinto

del gioco [Spieltrieb], rende possibile la giusta mediazione tra l’istinto materiale

[Stofftrieb], che conduce l’uomo fuori da se stesso verso il divenire della realtà

materiale e accidentale, e l’istinto formale [Formtrieb], che riporta l’uomo in sé per

mezzo del riferimento alla necessità della legge. Il gioco dell’arte conduce quindi

l’uomo ad un equilibrio tra vita e forma - la bellezza dell’idea non viene quindi

infranta dal suo molteplice manifestarsi nella realtà. Nel gioco l’uomo riesce poi a

realizzare un atteggiamento disinteressato verso le cose, divenendo così

effettivamente libero, attraverso il più completo realizzarsi della propria natura.

Nello stadio estetico, in particolare, l’uomo gioca con la bellezza, armonizzando così

le proprie facoltà attraverso un loro reciproco contenersi e limitarsi, soprattutto in

quelli che possono essere gli eccessi negativi di un uso unilaterale della ragione e del

sentimento. Per quanto riguarda i contributi diretti di Schiller al romanticismo è

possibile fare riferimento a due opere in particolare - Sulla grazia e la dignità (1793) e

Sulla poesia ingenua e sentimentale (1795-1796). All’interno del primo scritto è definita

la celebre figura dell’anima bella, dove il dovere è compiuto con naturale spontaneità,

sulla spinta della bellezza morale della stessa azione, superando così, attraverso la

grazia, le opposizioni presupposte al dovere per il dovere kantiano. Analogamente,

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nichilista, ripetendo la solida fiducia dell’io fichtiano, cerca

l’universale dimenticando la sfera di senso dell’accidente, l’universale

si riduce così nell’io stesso senza alcuna mediazione compiuta

attraverso la dimensione transeunte della vita. Dal punto di vista di

Jean Paul, invece, la spinta verso l’universale può esser compiuta solo

smarrendosi prima nel concreto e nell’unilaterale della natura; infatti,

è solo perdendosi che l’uomo può poi ritrovarsi ancora.

nel campo dell’arte, la libertà e la bellezza s’incontrano nella più felice armonia di

opposti, in quanto la stessa libertà viene resa sensibile nonostante la tecnica che è

necessario esercitare per realizzare, nella natura, l’opera d’arte in quanto tale.

Schiller riprende invece, nell’opera Sulla poesia ingenua e sentimentale , la discussione

intorno alla differenza tra l’uomo moderno e l’uomo antico dal punto di vista della

poesia. D’altra parte, secondo la chiave di lettura offerta da Schiller, la poesia degli

antichi è definita ingenua, in quanto l’artista si identifica immediatamente con la

natura; mentre quella dei moderni viene detta poesia sentimentale, poiché il poeta,

proprio poiché non è più uno con la natura, cerca la natura, riflettendo sul proprio

stesso sentimento. L’ingenuità degli antichi non viene pertanto a ricoprire un difetto

o un aspetto negativo della poesia, dal momento che, al contrario, indica la spontanea

identificazione dell’artista con la natura da parte del genio. Un esempio di poesia

ingenua, per Schiller, è senz’altro Omero, il cui corrispettivo, in ambito sentimentale,

è rappresentato dalla figura di Shakespeare. Nelle intenzioni di Schiller, tale

distinzione tra poesia ingenua e sentimentale, è utile, tra l’altro, al fine di distinguere

la propria produzione poetica, ritenuta sentimentale, da quella di Geothe, considerato

appunto espressione di una genialità dal carattere ingenuo. L’esito reale del contrasto

si è rivelato tuttavia di segno del tutto contrario rispetto quanto previsto da Schiller;

infatti la poesia di Geothe verrà ritenuta ingenua nel senso più profondamente

classico del termine e, di conseguenza, proprio in quanto autore classico, lo stesso

Geothe raggiungerà il ruolo di autore modello della poesia sentimentale e romantica.

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La visione che lo stesso Jean Paul ha dell’uomo, in quanto soggetto,

presuppone un rimando imprescindibile all’unità, distinguendosi così

sia dal dualismo cartesiano che da Fichte, il quale, portando alle

estreme conseguenze la stessa posizione cartesiana, giunge ad un

concetto di io, che, proprio in quanto affetto da un radicale

gigantismo, viene attraversato da una profonda serie di irrimediabili

aporie. La centralità dell’uomo e del suo io è quindi ciò che offre alla

poesia lo strumento del suo stesso operare; tuttavia l’importanza

dell’io, dal punto di vista della teoria estetica di Jean Paul, non

incarna un vuoto centro di potere, ma, al contrario, presuppone

l’attenzione per tutti quei particolari che lo rendono un ricco ed

inesausto vortice di senso estetologico, ben al di là dell’astratta

megalomania fichtiana e nichilista. La figura complessa di questo io,

in particolare, rimanda alle stesso orizzonte letterario della

produzione di Jean Paul attraverso i temi celebri delle del sogno, della

follia e della frantumazione dell’io, segnando così in modo esplicito la

sua vicinanza alla cultura romantica intesa come espressione letteraria

dello stesso Cristianesimo.

D’altra parte la vicinanza alla visione del mondo del romanticismo,

espressa nel programma sulla poesia romantica della stessa Vorschule,

non ha reso lo sguardo di Jean Paul cieco di fronte alle deriva verso

cui questo fenomeno culturale si stava dirigendo attraverso una

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evidente degenerazione in chiave irrazionalistica. Il lato nascosto del

romanticismo si dispiega nei mondi incantati dell’evasione e del

delirio onirico, rievocando i miti della tradizione passata oppure della

fantasia legata ad orienti magici14. In questo quadro generale, dove la

realtà trova la propria totale distorsione, la dimensione del riso veniva

del tutto abbandonata, legandosi così ai sentimenti della indifferenza

o dell’incomprensione. Il declino del romanticismo comporta la messa

in crisi di quella stessa visione del mondo che nel momento del suo 14 Su questo tema cfr. ad es. quanto scrive E. Endres in Jean Paul. Die Struktur seiner

Einbildungskraft : “Wenn Jean Paul in seiner <<Vorschule der Ästhetik>> auf die

Phantasie zu sprechen kommt, verweist er auf seinen Aufsatz <<Über die natürliche

Magie der Phantasie>>, der bereits als Anhang zum <<Quintus Fixlein>> erscheinen ist.

Mit Recht erwähnt er hier noch einmal eine der wichtigsten Schriften, die es uns

ermöglicht, seine Werke und seine Anschauungen so zu beurteilen, wie es der

Intention und der inneren Art des Dichters entspricht. Schon der Titel deutet an, daß

es sich hier um eine Magie, also um irgendeine Verzauberung und Veränderung,

handelt, die freilich auf natürliche. Weise stattfinden wird. Was versteht nun Jean

Paul Phantasie? Die ersten Abschnitte zeigen, dass er darunter die Kraft des

Menschen versteht, innere Bilder zu entwerfen, also sich etwas vorzustellen. Er stellt

die Phantasie den Sinnen gegenüber, besonders dem Gesichtsinn. Sie stellt dem

Dichter <<innerhalb>> meines Kopfes einen Blumengarten vor die Seele>> (V, S. 185 Z.

10 f.), ohne dabei wie die Sinne eines unmittelbaren äußeren Eindrucks zu bedürfen.

Sie kann den Inneren des Menschen das zeigen und in ihn das aufstellen, was im

Augenblick nicht von den Sinnen registriert wird. So erinnert man sich etwa eines

Tages an die Kindheit durch ihre Kraft. So sehnt man sich nach etwas, man hofft auf

etwas; die Phantasie stellt dann das Künftige, das die Sinne noch nicht erfassen, wie

das Vergangene nicht mehr, vor die Seele„ (E. ENDRES , Jean Paul. Die Struktur seiner

Einbildungskraft , Atlantis Verlag AG Zürich Buchdruckerei Fritz Frei Horgen, 1961, p.

19-20).

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sorgere ha condotto l’umanità verso una più profonda conoscenza

dell’uomo, del suo mondo e del reale.

Il pericolo di questa deformazione è, secondo Jean Paul, resa ancora

più perniciosa dal profondo legame che l’autore stesso intravede tra la

poesia e la realtà, le quali non rappresentano altro che i due poli

opposti di quella che è già stata introdotta come teodicea estetica.

L’armonia a cui la poesia deve tendere si gioca sul rimandarsi

continuo, sotto la direzione del genio, di una doppia melodia tra

estetica ed arte. Il genio rappresenta la figura in grado di compiere,

attraverso l’esercizio delle proprie facoltà, quell’armonia che, nella

realtà, si deve determinare a partire dal confronto con l’apparente caos

della natura. L’attività del genio si declina attraverso l’applicarsi di

una serie di particolari facoltà - l’immaginazione [Einbildungskraft], la

fantasia [Bildungskraft, Phantasie] e la lucidità [Besonnenheit].

L’immaginazione implica essenzialmente il possesso di una memoria

particolarmente sviluppata, impulsiva sensibile e potente. La fantasia,

invece, rappresenta una facoltà in grado di leggere il libro della natura

attraverso l’esercizio di un particolare spirito di finezza che porta ad

afferrare il generale senza però lo studio analitico e scientifico di ogni

sua parte. La fantasia si declina poi per gradi maggiori o minori di

attività e ricettività. Il genio, al pari della monade leibniziana, si

mostra come specchio incontrastato del mondo, dove gli opposti si

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declinano in un rapporto governato dall’armonia e dall’equilibrio; di

conseguenza la visione del genio si identifica con uno sguardo del

tutto privo di contrasti e di fratture, come se rispecchiasse appunto

una realtà ideale più alta, in quanto pacificata con se stessa e con il

mondo. La figura del genio specchio del mondo si sposa con la

lucidità, intesa appunto in quanto facoltà poetica legata all’equilibrio.

La lucidità si identifica poi, al suo livello più basso, col buon senso,

mentre a quello più alto provoca la scissione del mondo interiore del

genio in un io riflettente ed in un mondo di riflessi proteiformi e

variabili. L’equilibrio del genio è tuttavia un qualcosa di molto fragile

e sottile, è sufficiente infatti un leggero stimolo del mondo esterno per

spezzare l’incanto e rompere quella che Geothe chiamerebbe

Gelassenheit - la quiete del pensiero stesso del genio. In questa quiete il

genio si avvicina alla forma del puro pensiero, in quanto pensiero del

movimento stesso del pensare.

La schiusura di questa nuova dimensione estetologica, aperta

dall’analisi della figura del genio, conduce, ancora una volta, al tema

della teodicea dell’arte, intesa quale luogo del superamento di ogni

lettura in chiave meccanica della natura umana, dove il poeta, al pari

del filosofo, si mostra in quanto occhio del mondo, superando ogni

imitazione ed ogni idolatria della quotidianità. La poesia si realizza

quindi come liberazione dell’uomo, superamento del senso comune, e

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trasformazione dell’uomo stesso, a partire dalla propria “morte”, in

una sorta di divinità, specchio appunto di uno sguardo ideale sul

mondo. In questo orizzonte di senso ogni errore, ogni dolore ed ogni

travaglio deve essere elaborato, attraverso l’armonia, al fine di

sviluppare una reale resistenza dell’uomo nei confronti degli urti e

degli insulti che il mondo gli impone per mezzo della sua

imprevedibile violenza. Jean Paul raffigura questa concezione

particolare dell’arte con una immagine tratta dal mondo naturale;

infatti, così come l’uomo si serve della poesia per superare il dolore,

piegandolo all’armonia, l’ostrica produce in sé la perla, attraverso un

lento concentrarsi delle sue energie, per resistere al mare.

La ricerca dell’equilibrio, attraverso il ritmo armonico della teodicea,

è possibile, secondo Jean Paul, prendendo la giusta distanza dal

mondo; infatti, il poeta non può affatto identificarsi in modo

immediato con la realtà che intende armonizzare con la sua arte.

Pertanto, è necessario un passo all’indietro che permetta la giusta

presa di distanze da parte del genio.

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PARTE PRIMA

CLASSIFICAZIONE DEI VARI TIPI DI POESIA

NELLA VORSCHULE DER ÄSTHETIK DI JEAN PAUL

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CAPITOLO PRIMO

LA “POESIA ANTICA” E LA “POESIA MODERNA”

La Vorschule der Ästhetik si apre con un capitolo intitolato “Della

poesia in generale”, in cui ha luogo una prima classificazione delle

forme poetiche basata sul concetto di imitazione della natura.

Il fine di Jean Paul si espliciterà nel complesso della Prima parte,

inaugurata da questo primo capitolo, e risulterà essere quello di

mostrare come la poesia antica o plastica, incarnata dal mondo greco,

abbia come principio guida un carattere mimetico rivolto alla bellezza

delle forme riscontrabile nella natura, che la poesia romantica

abbandonerà in favore di facoltà estetiche nuove, dall’immaginazione

alla fantasia al genio: tratti caratteristici della poesia moderna saranno

il ridicolo, l’umorismo e soprattutto l’arguzia, su cui torneremo.

La classificazione delle forme poetiche proposta da Jean Paul

consiste anzitutto nel prendere in esame i diversi tipi di poesia “in

generale” (die Poesie überhaupt), dando luogo ad una prima tassonomia

fondata sulla nozione di immaginazione della natura. A questo punto

si renderà necessario prendere in esame anche alcuni concetti

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irrinunciabili dalla tradizione estetologica sette- e ottocentesca,

dall’immaginazione alla fantasia, dal talento al genio. Seguirà poi la

classificazione della poesia sulla base delle sue concrete formazioni

storiche15, distinguendo dunque la poesia greca, definita plastica o

oggettiva, in quanto connessa con gli ideali di bellezza, serenità e

15 Diversi sono stati i tentativi, sia nel protoromanticismo che nel romanticismo

vero e proprio, di classificare le varie forme poetiche sulla base della distinzione tra

poesia antica e poesia moderna: si pensie a Schlegel, ma soprattutto a Schiller, la cui

filosofia incarna il momento esemplare dove il passato ed il presente si incontrano

per mezzo dell’opposizione tra la poesia ingenua – la poesia degli antichi, dove il

poeta si identifica in modo immediato con la natura – e la poesia sentimentale – la

poesia dei moderni, in cui il poeta, a partire dalla propria cultura nata, in buona

sostanza, attraverso l’esercizio della riflessione, cerca proprio quella natura che ha,

con ogni sforzo, abbandonato. La distinzione appena presentata doveva segnare, nelle

intenzioni di Schiller, la differenza tra la propria poesia sentimentale e quella di

Geothe, ritenuta invece espressione ingenua, in quanto frutto appunto di un genio di

natura classica. Il risultato mostrato poi dallo svolgersi della storia è stato invece del

tutto opposto – Geothe, infatti, proprio in quanto ritenuto come autore ingenuo, fu

considerato dagli stessi autori romantici come classico e quindi come il vero modello

della poesia romantica-sentimentale.

L’opposizione antichi-monderni è uno dei temi ricorrenti anche all'interno del

pensiero poetante di Christian Friedrich Hölderlin (1770-1843), dove la

contraddizione si muove, ancora una volta, a partire dalle opposte polarità espresse

dalle sfere della natura e della cultura. Nel romanzo epistolare Iperione, o l’eremita in

Grecia (1797-1799), Hölderlin sviluppa un vero e proprio romanzo di formazione,

dove, partendo dall’unità armonica tra uomo e natura, si passa poi allo stadio della

cultura, letta appunto come dimensione di una nuova ed ulteriore complessità, in cui

i bisogni dell’uomo, moltiplicati dall’uso della ragione, possono trovare il loro

soddisfacimento solo attraverso uno strenuo esercizio delle nostre forze vitali e

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grazia, dalla poesia romantica, propria dell’età cristiana, che tende ad

esprime il bello senza limitazione alcuna, e i cui tratti distintivi

possono essere ravvisati nelle categorie del ridicolo, dell’umoristico e

dell’arguto. Il ridicolo concerne l’infinitamente piccolo ed è definibile

come l’infinita insensatezza intuita in modo sensibile; esso è dunque

l’opposto del sublime, connesso invece con l’infinitamente grande.

L’umorismo rimanda invece ad una sfera più ampia e si differenzia a

seconda del suo relazionarsi con l’ambito della poesia epica,

drammatica oppure lirica. Il vero tratto distintivo della poetica

romantica viene però individuato nel concetto di Witz (arguzia o motto

spirituali. Lungo lo scorrere di questa tensione, l’armonia naturale del tempo passato

viene, da una parte, idealizzata attraverso il riferimento alla Grecia di Omero, mentre

dall’altra è ricondotta al fallimento espresso della Grecia moderna, durante la guerra

del 1770 tra Russia e Turchia, descritta amaramente da Iperione al proprio amico

Bellarmin. L’ideale non può quindi vivere su questa terra, essendo condannato ad un

destino di morte e distruzione, come accade a Diotima, la donna amata da Iperione,

che incarna il dissolversi, in questo mondo, dello stesso ideale della bellezza.

Iperione finirà poi propri giorni come eremita, cercando la pace attraverso il ritorno

armonico alla dimensione della natura, intesa come luogo dove gli opposti possono

finalmente conciliarsi. L’armonia offerta dalla poesia non è però una pace vuota di

significato e di contenuto, ma presuppone, al contrario, l’inscriversi di un nuovo

equilibrio tra elementi prima letti, attraverso gli occhi della cultura, come un

qualcosa di reciprocamente separato e contrastante. Inoltre, nelle pagine della sua

stessa tragedia incompiuta – Empedocle – Hölderlin rappresenta questo filosofo,

Empedocle appunto, che ormai sicuro del proprio essere divino si getta nel cuore

stesso dell’Etna, ritornando così tra le braccia della natura, per mezzo di un gesto,

allo stesso tempo, tragico ed epico.

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di spirito), di cui Jean Paul costruisce una dettagliata descrizione e

classificazione.

Partendo dallo studio della poesia nichilistica, cercheremo in questa

sede di mostrare come tutte queste modalità dell’ironia, riconducibili

alla poetica romantica quale suo tratto distintivo, possano porsi in

relazione con quel fenomeno detto “nichilismo”, cui Jean Paul fa cenno

nelle primissime pagine della sua dissertazione di estetica, la

Vorschule der Ästhetik, riservandosi però di trattarne più

approfonditamente in altre sedi, ossia mettendolo in scena nei suoi

romanzi.

1.1. La “poesia antica”

Nel mondo antico, o meglio, secondo ciò a cui espressamente si

riferisce Jean Paul, nel mondo greco, la poesia non è un elemento

prettamente estetico, ma piuttosto una sorta di atmosfera di cui risulta

intessuta l'intiera società16; scrive Jean Paul: ”L'arte della poesia non

1 6 Scrive Walther Harich: “In den folgenden Teilen [ossia nel Quarto e nel Quinto

Programma] werden die 'griechische oder plastische Dichtkunst' und die 'romantische

Dichtkunst' einander entgegengestellt. Auch hier wieder wird das Griechentum

Herders gegen das Griechentum des Goethe- und Schillerschen Kreises abgegrenzt.

Nicht alseine überzeitliche Norm wird bei Jean Paul das Griechentum begriffen,

sondern aus seinen besonderen Bedingungen heraus verstanden. Was hier, mit den

Augen Herders gesehen, über Griechentum gesagt wird, reicht viel tiefer hinaus als

alles, was seit Lessing die idealistisch klassische Epoche hervorbrachte. Jean Paul und

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era imprigionata, seppellita dentro i muri di una capitale; essa

planava, al contrario, e fluttuava sulla Grecia intiera, parlava tutti i

dialetti greci e collegava così tutte le orecchie ad un unico cuore”17. Il

perno di tutto il mondo greco, e in particolare delle sue manifestazioni

artistiche (che non vanno intese come altro da esso) consiste, secondo

Jean Paul, nel concetto di “bello”, che va dalla bellezza del corpo

umano a quella di un esercito schierato, sino alla bellezza di un'opera

seiner Zeit fehlten freilich noch die historischen Grundbegriffe. Er konnte noch nicht

erkennen, daß das GriechentumGoethes im Grunde von spätrömischen

Zivilisationsmomenten überwuchert war, wie ja bereit Lessings Laokoon das

griechische Bildungsideal aus einer späträömischen Skulptur abgeleitet hatte. Der

große Abschnitt der Vorchule 'Über die griechische oder plastische Dichtkunst' ist die

letzte Abhndlung der Zeit, die das historische Griechentum an ihren Wurzeln faßt.

Unmittelbar nach ihr verliegte der Herdersche Geist in Deutschland. Was durch

diesen großen Welthistoriker und Jean Paul erarbeitet war, ging unter in der

'grichenzenden' Nachahmung einer unwirklichen und konstruirten 'Antike' und

muste in der zweiten Hälfte des Jahrhunderts durch Nietzsche erst wieder erobert

werden. Aber unsere Schulen und Bildungsanstalten sind noch heute von diesem

“griechenzenden' Ideal der Antike besessen, das zu leerem und formalem

Kunstenthusiasmus hinführt statt zu lebendiger Erneuerung aus Griechischem Geiste.

Dem Freiheitsgefühl des griechischen Menschen werden die abgestorbenen instinkte

der spätrömischen Kaiserzeit untergelegt, als hätte nie ein Herder die lebendigen

Quellen des Griechentums erschloffen und in die deutsche Seele hineingeleitet”

(Walther Harich, Jean Paul , cit., pagg. 620-621).1 7 “Die Dichtkunst war nicht gefesselt in den Mauern einern Hauptstadt eingesargt,

sondern schwebte fliegend über ganz Griechenland und verband durch das Sprechen

aller griechischen Mundarten alle Ohren zu einem Herzen”, Jean Paul, Vorschule der

Ästhetik , cit., pag. 69.

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d'arte o alla bellezza spirituale propria di un'anima. “Popolo ebbro di

bellezza”18: così viene definito da Jean Paul il popolo greco.

In un mondo già di per sé traboccante di bellezza, il ruolo della

poesia non può che consistere nel riproporre il bello che pervade la

natura19. O meglio, possiamo dire che la natura consta di diversi gradi

1 8 “Nun dieses schönheittrunkne Volk noch mit einer heitern Religion n Aug' und

Herz, welche Götter nicht durch Buß-, sondern durch Freudentage versöhnte und, als

wäre der Tempel schon der Olymp, nur Tänze und Spiele und die Künste der

Schönheit verordnete und mit ihren Festen wie mit Weinreben drei Viertel des Jahrs

berauschen umschlang – Und dieses Volk, mit seinen Göttern schöner und näher

befreundet als irgendeines, von seiner heroischen Vorzeit an, wo sich, wie auf einem

hohen Vorgebirge stehend, seine Helden-Ahnen riesenhaft unter die Götter verloren,

bis zu Gegenwart, worin auf der von lauter Gottheiten bewohnten oder verdoppelten

Natur in jedem Haine ein Gott oder sein Tempel war, und wo für alle menschliche

Fragen und Wünsche, wie für jede Blume, irgendein Gott ein Mensch wurde, und wo

das Irdische überall das Überirdische, aber sanft wie einen bauen Himmel über und

um sich hatte.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 70.1 9 A tal proposito Jean Paul scrive: “Ist nun einmal ein Volk schon so im Leben

verherrlicht und schon im Mittagschein von eine Zauberrauche umflossen, den andere

Völker erst in ihrem Gedicht auftreiben: wie werden erst, müssen wir alle sagen, um

solche Jünglinge, die unter Rosen und unter der Aurora wachen, die Morgenträume

der Dichtkunst spielen, wenn sie darunter schlummern – wie werden die Nacht-

Blumen sich in die Tag-Blumen mischen – wie werden sie das Frülingsleben der Erde

auf Dichter-Sternen wiederholen – wie werden sie sogar die Schmerzen an Freuden

schlingen mit Venus-Gürteln! – Auch die Heftigkeit, womit wir Nordleute ein solches

Gemälde entwefen und beschauen, verrät das Erstaunen der Armut. Nicht, wie die

Bewohner der warmen schönen Länder, an die ewige Gleiche der Nacht und des Tages

gewöhnt, d. h. des Lebens und der Poesie, ergreift uns sehr natürlich nach der

längsten Nacht ein längster Tag desto stärker, und es wird uns schwer, uns für die

Dürre des Lebens nicht durch die Üppigkeit des Traums zu entschädigen -sogar in

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di bellezza, e che pertanto il compito del poeta consiste nel riprodurre

e nel riproporre ciò che contiene un maggior grado di bellezza: perciò

il poeta canterà ad esempio gli strumenti dell'aratore e non quelli del

panettiere, perché i primi sono più nobili dei secondi, oppure gli

aspetti eterni della natura a discapito dei suoi momenti contingenti,

oppure esalterà ad esempio le macchie che decorano il manto di una

tigre ma non le macchie di grasso, ecc20. Si nota quindi che la facoltà

mimetico-imitativa21, in gioco nell'arte greca, non consiste nella vuota

Paragraphen.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pagg. 70-71.2 0 Portiamo ad esempio le parole stesse di Jean Paul: ”Doch gibt es noch eine reine

frische Nebenquelle des griechischen Ideals. – Alles sogenannte Edle, der höhere Stil

begreift stets das Allgemeine, das Rein-Menschliche und schließt die Zufälligkeiten

der Individualität aus, sogar die schönen. Daher die Griechen (nach Winkelmann)

ihren weiblichen Kunstgebilden das reizende Grübchen nicht kiehn, als eine zu

individuelle Bestimmung. Die poesie fodert überall (ausgenommen die komische, aus

künftigen Gründen) das Allgemeinste der Manschheit; das Ackergeräte z. B. ist edel,

aber nicht das Backgeräte; – die ewigen Teile der Natur sind edler als die des Zufalls

und des bürgerlichen Verhältnisses; z. B. Tigerflecke sind edel, Fettflecke nicht; – der

Teil, wieder in Unterteile zerlegt, ist weniger edel, z. B. Kniescheibe statt Knie; – so

sind die ausländischen Wörter, als mehr eingeschränkt, nicht so edel als das

inländische Wort, das für uns als solches alle fremde der Menschheit umschließt und

darbietet; z. B. das Epos kann sagen die Befehle des Gewissens, aber nicht die

Dekrete, Ukasen etc. desselben; – so reicht und herrscht diese Allgemeinheit auch

durch die Charaktere, welche sich erheben, indem sie sich entkleiden, wie Verklärte,

des individuellen Ansatzes.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pagg. 75-76.2 1 Scrive Paolo D'Angelo: “La tesi che le arti in genere siano riconducibili a una

riproduzione della realtà, a una imitazione della natura, a una mimesi di oggetti o

azioni, appartiene infatti al novero delle convinzioni più stabili e diffuse dell'intera

estetica occidentale fino a tutto il Settecento, ed è anzi la pietra angolare sulla quale

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ed inconsapevole riproduzione meccanica di ogni singolo aspetto della

natura – come accade nella poesia materialistica –, bensì coincide con

una riproduzione mirata di alcuni aspetti che sono stati

precedentemente selezionati dallo sguardo critico dell'artista, che li

giudica come degni di essere riprodotti.

L'artista greco, a detta di Jean Paul, non può esimersi dall'avere a

che fare con un modello natura: per questi motivi egli definisce l'arte

antica oggettiva o plastica, in quanto non può prescindere dal mondo

naturale. In questo processo, però, l'artista deve saper cogliere le varie

gradazioni del bello e saperle riprodurre adeguatamente. Ora, in cosa

consiste la bellezza per l'uomo greco? Secondo Jean Paul, essa si cela

nella “quiete” e nella “gioia serena” – o, secondo le note parole di

Winckelmann, che Jean Paul cita espressamente in queste pagine (cfr.

ad es. § 19, p. 77), in “una nobile semplicità e una quieta grandezza”.

Ci che merita di essere riprodotto dal poeta è ciò che ha in sé il bello,

ovvero ciò in cui si possono ravvisare “equilibrio, serenità, bellezza e

quiete”. Scrive Jean Paul: “La poesia, imitando l'ostrica perlifera, deve

rivestire di sostanza perlacea ogni granello di sabbia grezzo o aguzzo

gettato nella vita”22. E l'artista greco esprime la gioia nella sua arte

si edificano la maggior parte delle teorie estetiche che si sono succedute in questo

lunghissimo lasso di tempo” ( Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo , Il Mulino,

Bologna 1977, pag. 93.).2 2 Leggiamo ancora dalla Vorschule : ”Poesie soll, wie sie auch in Spanien sonst hieß,

die förhliche Wissenschaft sein und ein Tod zu Göttern und Seligen machen. Aus

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della poesia attraverso la quiete23; al contrario,'inquietudine viene

relegati ai generi artistici inferiori, quali ad esempio i drammi satirici

o i ritratti24.

In ultima analisi, ciò che per Jean Paul caratterizza l'arte greca è

sempre la sua imprescindibile valenza etica, tanto che egli arriva ad

affermare che, per i Greci, ogni azione morale è immediatamente

poetischen Wunden soll nur Ichor fließen, und wie die Perlenmuschel muß sie jedes

ins Leben geworfene scharfe oder rohe Sandkorn mit Perlenmaterie überziehen. Ihre

Welt muß eben die beste sein, worin jeder Schmerz sich in eine größere Freude

auflöset und wo wir Menschen auf Bergen gleichen, um welche das, was unten im

wirklichen.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 77.2 3 ”Wie drückt nun der Grieche die Freude in seiner Dichtkunst aus? – Wie an seinen

Götter-Bildern: durch Ruhe. Wie diese hohen Gestalten vor der Welt ruhen und

schauen: so muß der Dichter und sein Zuhörer vor ihr stehen, selig-unverändert von

der Veränderlichkeit.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 77.2 4 ”In Satyrs und in Porträts legten die Alten ie Unruhe, d. h. die Qual des Sterbens.

Es gibt keine trübe Ruhe, keine stille Woche des Leidens, sondern nur die des

Frauens, weil auch der kleinste Schmerz regsam und kriegerisch bleibt. Eben die

glücklichen Indier setzen das höchste Glück in Ruhen, eben die feurigen Italiener reden

von dolce far niente. Pascal hält den Menschen-Trieb nach Ruhe für eine Reliquie des

verlorenen göttlichen Ebenbildes. Mit Wiegenliedern der Seele nun zieht uns der

Grieche singend auf sein großes glänzendes Meer, aber es ist ein stilles. ”, Jean Paul,

Vorschule der Ästhetik , cit., pagg. 78-79.

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poetica25 e, al contrario, ciò che non è etico non può mai essere

poetico26.

2 5 ”Die vierte Hauptfarbe ihrer ewigen Bildergalerie ist sittliche Grazie. Poesie löset

an sich schon den rohen Krieg der Leidenschaften in ein freies Nachspielen derselben

auf, so wie die olympischen Spiele die ernsten Kriege der Griechen unterbrachen und

aussetzten und die Feinde durch ein sanfteres Nachspielender Kämpfe vereinigten.

Da jede moralische Handlung als solche und als eine Bürgerin im Reiche der Vernunft

frei, absolut und unabhängig ist, so ist jede wahre Sittlihkeit unmittelbar poetisch,

und die Poesie wird wiederum jene mittelbar. Ein Heiliger ist dem Geiste eine

poetische Gestalt, so wie das Erhabne in der Körperwelt. Freiliche spricht die Poesie

sich nicht sittlich aus durch das Auswerfen klingender Sentenzen (so wenig als die

Gothaner unter Ernst I. sich sehr durch die Dreier werden gebessert haben, auf

welche er Bibel-Sprüche prägen lassen), sondern durch lebendige Darstellung, in

welcher der sittliche Sinn – so wie der Weltgeist und die Freiheit sich hinter das

mechanische Räderwerk der Weltmaschine verbergen – als unsichtbarer Gott mitten

über eine sündige freie Welt regieren muß, die er erschafft.”, Jean Paul, Vorschule der

Ästhetik , cit., pag. 79.2 6 ”Das Unsittliche ist nie als solches poetisch, sondern wird es nur durch irgendeine

Zumischung; z. B. durch Kraft, durch Verstand; daher ist, wie ich später zeigen

werde, nur ein rein-unsittlicher Charachter, nämlich grausame und feige Ehrlosigkeit,

unpoetisch, nicht aber ihr Gegensatz, der rein-sittliche Charakter höchster Liebe, Ehre

und Kraft. Je größer das Dichtgenie, desto höhere Engelbilder kann dasselbe aus

seinem Himmel auf unsere Erde herunterlassen; da es sie aber, so wenig als eine neue

Anschauung, willkürlich zusammenbauen oder erfinden, sondern nur in sich finden

kann: so besiegelt dies wieder den Bund zwischen Sittlichkeit und Poesie. Man wende

nicht ein: je größer ein Milton, desto größer sein Teufel. Denn zur Schilderung der

Teufelsuperlativen als umgekehrten Götter ist nicht eine bejahende innere

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1.2. La “poesia moderna” tra materialismo, nichilismo e

romanticismo

Una volta delineati i tratti salienti della poesia antica, si tratta per

Jean Paul di tentare una descrizione della poesia moderna che, a suo

dire, si articola in tre differenti possibilità, ognuna delle quali si

caratterizza in base alla propria relazione con la poesia antica e con il

suo modo di rapportarsi alla natura.

Abbiamo visto che per gli antichi la poesia svolge il ruolo di

imitazione (mimesis) del bello secondo un principio selettivo; la poesia

dei moderni, dal canto suo, può essere classificata secondo tre

tipologie, a seconda di quanto questo parametro dell'imitazione venga

utilizzato dal poeta. I poeti della modernità si caratterizzano in genere

o per un uso eccessivo della facoltà imitativa o per un suo rifiuto

completo; solo in rari casi il poeta sa mantenere un giusto equilibrio

tra l'approccio mimetico degli antichi e quello più fantasioso dei

moderni.

Secondo la tassonomia proposta da Jean Paul, la poesia moderna è

poesia materialistica, laddove la mimesis diviene l'unico parametro

attraverso cui relazionarsi alla realtà, la quale viene riprodotta in ogni

suo dettaglio sino all'eccesso della minuzia e del particolare,

dimenticando che la poesia antica imita non ogni aspetto della natura,

bensì il bello di cui la natura, per l'uomo antico, è ebbra. Questo

Anschauung, sondern nur eine Verneigung alles Guten vonnöten; wer also am

reichsten zu bejahen weiß, vermag am reichsten zu verneinen.”, Jean Paul, Vorschule

der Ästhetik , cit., pagg. 79-80.

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spirito materialistico-imitativo, che propone un ritorno all'antico senza

avvedersi del travisamento operato sull'atteggiamento degli antichi,

non incarna però il vero cuore dell'età moderna che, a detta di Jean

Paul, preferisce prendere le distanze dall'antichità, proponendo una

forma nuova di poesia, che nelle pagine della Vorschule viene detta

poesia nichilistica. I poeti nichilisti sono infatti coloro i quali

pretendono di poter fare completamente a meno della facoltà mimetica

e, per contro, si affidano intieramente a ciò che caratterizza l'età

moderna: la fantasia27. Secondo Jean Paul la fantasia è una forma 27 Sul tema della fantasia si è espresso ad esempio R.R. Wuthenow: “Alles kann einer

werden durch – Phantasie, alles Böse, alles Gute. Sie vermag sogar Autonomie zu

verheißen, und sei es auch nur in der bescheidensten Form der Selbstbehauptung –

durch Anpassung, Sie ist Weltaneignung, wiewohl auf trügerische Weise. So entfaltet

Wutz die Strategien seiner Überlebens-Kunst und macht sich sogar noch zum Autoren

der Bücher, die er nicht erwerben kann. So ist Schmelzles Furchtsamkeit nur die

Phantasie eines Tapferen. So wird auch Fibel zum Autor, der immerhin die Grundlage

aller möglichen Autorschaft (nach-)liefert. Nikolaus Marggraf schließlich hegt die

Träume eines ehrgeizigen Bürgers, der er auch als Fürst noch bleibt. Er träumt sich in

die Rolle eines setimentalen Prinzen, dem es nicht und politische Aktionen, um Macht

und Repräsentation zu tun ist, sondern um Großherzigkeit, Sanftmut, Leutseligkeit.

Wer Jean Paul kennt, wird wissen, wovon im Zusammenhang mit Phantasie bei ihm

die Rede ist, wie sehr dieses Phänomen von den Anfängen bis zum fragmentarischen

Spätwerk beschäftigt hat. Es handelt sich jedoch keineswegs um ein nur Jean Paul

betreffendes Problem, aber er vor allem hat es beinahe in seinem ganzen Werk stets

neu behandelt, in immer neuen Varianten erfaßt und durchgespielt, in der harmlosen,

heiteren, liebenswürdigen wie in der folgenschweren, abgründigen Form die

tragische Konsequenzen nicht ausschließt. Hiervon zeugt insbesondere die Gestalt

des Roquairol im <<Titan>>, den der Erzähler gewiß nicht ohne weitere Absicht als

Kind und Opfer seiner Epoche bezeichnet„ (RALPH-RAINER WUTHENOW , “Verfürung

durch Phantasie”, Jean-Paul-Gesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise,

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distorta di immaginazione che porta a generare un mondo altro del

tutto privo di relazione con la natura, dando in questo modo vita a

eccessi di scarso pregio e valore: questo l'atteggiamento tipico del

nichilista che, sul piano estetico, produce un'opera completamente

distaccata dal mondo; sul piano metafisico, al pari di Fichte, dà vita a

un sistema idealistico basato sulla folle pretesa dell'io di essere il

fondamento del mondo; e sul piano morale, invece, genere una perdita

complessiva di valori da cui la degenerazione dell'epoca moderna. Tra

queste due estremità pochi tra i moderni hanno saputo trovare un

sensato equilibrio che sappia conciliare, accogliendola ma anche

superandola dialetticamente, la lezione degli antichi con la nuova

potenza immaginativa dei moderni: stemperando la fantasia

nell'immaginazione, ossia lasciando che in essa agisca anche la mimesis

in quanto selettiva imitazione del bello nella natura, il poeta moderno

autentico, ossia il poeta romantico, si mostra come colui che, per

mezzo della facoltà del genio, sa calibrare correttamente la propria

facoltà immaginativa, accostando ad essa l'altro elemento

fondamentale che distingue l'età moderna da quella antica: l'ironia.

Nell'attenta analisi che Jean Paul compie sulla modernità l'ironia, che

verrà classificata secondo i suoi momenti essenziali del comico,

dell'umorismo e dell'arguzia, troverà proprio in quest'ultima la sua

essenza più propria.

In quest'ottica, anche Paolo D'Angelo fa notare che il romanticismo è

caratterizzato da un vero e proprio superamento del principio di

nur mit Genhmigung der Jean-Paul-Gesellschaft. Druck: Buch- und Offsetdruckerei

Emil Mühl Bayreuth GmbH – 1993, p. 92).

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imitazione; egli scrive: “Se si ricorda che per il romanticismo l'arte è

produzione di verità, che per i romantici noi ci apriamo la via alla

conoscenza del mondo innanzitutto attraverso l'attività artistica, si

comprende subito agevolmente il percorso che condusse l'estetica

romantica a uno dei suoi risultati di più ampia portata, a una

trasformazione che segna un netto discrimine rispetto alle teorie

precedenti: l'abbandono definitivo del principio di imitazione. Se l'arte

è creatrice e instauratrice di verità, se è l'arte a dare l'accesso alla

realtà, è evidente che non è più in alcun modo possibile pensare l'arte

come legata a un mondo o una verità preesistenti da un vincolo di

fedeltà, di imitazione”28. Notiamo che Jean Paul è stato di ciò un

interprete molto acuto, ravvisando tra i suoi contemporanei sia la

tendenza ad abbandonare, o in parte (poesia romantica) o del tutto

(poesia nichilistica) il principio imitativo, sia la tendenza, carsica e

meno frequente, a rifiutare la modernità stessa operando un ritorno

eccessivo ed esasperato al mondo dell'antichità (poesia materialistica),

che in genere viene criticato dai romantici, come sottolinea anche

D'Angelo: “Il concetto di imitazione è ancora centrale tanto per il

classicismo francese, contro il quale quasi tutti i romantici

polemizzano esplicitamente, quanto per i teorici tedeschi della

generazione precedente a quella romantica, per esempio Lessing e

Winckelmann, dei quali invece almeno i componenti del gruppo di

Jena si sentono piuttosto eredi e continuatori. Attraverso la critica al

principio di imitazione, dunque, i romantici definiscono nel modo più

netto la distanza che li separa dai loro predecessori, e operano nel 28 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo , Il Mulino, Bologna 1977, pag. 93.

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paraigma della teoria dell'arte una rottura destinata a non

ricomporsi”29. In questo senso D'Angelo può affermare che l'estetica

romantica, a differenza di quella precedente, non è un'estetica della

ricezione o fruizione dell'opera, bensì un'estetica della produzione,

della creazione artistica: di qui le riflessioni di Jean Paul e dei suoi

contemporanei su concetti quali quello di immaginazione, fantasia,

genio, arguzia, ecc. “Il romantico, insomma”, prosegue D'Angelo,

“avversa la teoria tradizionale dell'imitazione perché essa presuppone

un'attitudine meramente ricettiva e passiva, in luogo di quella

autonoma e creativa che egli richiede all'artista [...]. La poesia e l'arte

non sono registrazioni di impressioni, ma produzioni attive, il cui

movimento va dall'interno verso l'esterno e non viceversa: poetare è

generare”30.

29 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo , cit., pagg. 94-95.30 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo , cit., pag. 96.

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CAPITOLO SECONDO

LA “POESIA MATERIALISTICA” E LA “POESIA NICHILISTICA” IN JEAN PAUL

2.1. La “poesia materialistica”

Nelle prime righe del primo capitolo della Vorschule Jean Paul,

citando Aristotele, esordisce ponendo la questione se l’essenza della

poesia possa essere ricondotta alla bella imitazione della natura, e

nota che questa è, seppur negativamente, la miglior definizione

possibile, dal momento che esclude due estremi: il nichilismo poetico e

il materialismo poetico31.

L’epoca contemporanea, scrive Jean Paul, risulta caratterizzata da tre

elementi: anzitutto un culto sfrenato dell’io, seguito da una perdita dei

valori tradizionali (dalla religione alla patria, ecc.), e accompagnato

infine da una visione del mondo volta ad escludere che la natura possa

essere considerata frutto della creazione di un creatore 32; questi 31 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 30.32 Ivi, pag. 31, dove si legge: “Es folgt aus gesetzlosen Willkür des jetzigen Zeitgeistes

– der lieber ichsüchtig die Welt una das All vernichtet, um sich nur freien Spiel-Raum

im Nichts auszuleeren, und welcher den Verband seiner Wunden als eine Fessel

abreißet –, daß er von der Nachahmung und dem Studium der Natur verächtlich

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risultano essere, in ultima analisi, i tratti fondamentali di quel

fenomeno che verrà specificandosi come “nichilismo”33.

Se i poeti antichi fondano il loro atto creativo sull’imitazione della

natura, i poeti romantici moderni utilizzano piuttosto la facoltà del

genio, che ha la caratteristica di creare una nuova natura34. Ci

sprechen muß. Denn wenn allmählich die Zeitgeschichte einem Geschichtschreiber

gleich wird und ohne Religion und Vaterland ist: so muß die Willkür der Ichsucht

sich zuletzt auch an die harten, scharfen Gebote der Wirklichkeit stoßen und daher

lieber in die Öde der Phantasterei verfliegen, wo sie keine Gesetze zu befolgen findet

als eigne, engere, kleinere, die des Reim- und Assonanzen- Baues. Wo einer Zeit Gott,

wie die Sonne, untergehet; da tritt bald darauf auch die Welt in das Dunkel; der

Verächter des All achtet nichts weiter als sich und fürchtet sich in der Nacht vor

nichts weiter als vor seinen Geschöpfen. Spricht man denn nicht jetzo von der Natur,

als wäre diese Schöpfung eines Schöpfers – worin ihr Maler selber nur ein Farbenkorn

ist – kaum zum Bildnagel, zum Rahmen der schmalen gemalten eines Geschöpfes

tauglich; als wäre nicht das Größte gerade wirklich, das Unendliche? Ist nicht die

Geschichte das höchste Trauer- und Lustspiel?”.33 Cfr. ad es. Jean Paul, Scritti sul nichilismo , Morcelliana, Brescia 1997; F. Masini,

Alchimia degli estremi. Studi su Jean Paul e Nietzsche , Parma 1967; Id., Nichilismo e

religione in Jean Paul , Bari 1974; W. Rehm, Jean Paul - Dostoevskij. Eine Studie zur

dichterischen Gestaltung des Unglaubens , Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1962.3 4 Ivi, pagg. 32-33, dove si legge: “Wie die bildende und zeichnende Kunst ewig in der

Schule der Natur arbeitet: so waren die reichsten Dichter von jeher die

anhänglichsten, fleißigsten Kinder, um das Bildnis der Mutter Natur andern Kindern

mit neuen Ähnlichkeiten zu übergeben [.. .]. Bei gleichen Anlagen wird sogar der

unterwürfige Nachschreiber der Natur uns mehr geben (und wären es Gemälde in

Anfangbuchstaben) als der regellose Maler, der den Äther in den Äther mit Äther

malt. Das Genie uterscheidet sich eben dadurch daß es die Natur reicher und

vollständiger sieht, so wie der Mench vom halbblinden und halbtauben Tiere; mit

jedem Genie wird uns eine neue Natur erschaffen, indem es die alte weiter enthüllet.

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troviamo dunque dinanzi a due polarità opposte: la mera imitazione

della natura, da una parte, e pretesa del genio, dall’altra, di creare

qualcosa di inedito. Jean Paul vuole mostrare come l’elemento più

proficuo consista in una compenetrazione di questi due aspetti e non

nell’esaltazione esasperata di uno di essi, dalla quale avrebbero

appunto luogo due forme estreme di poesia: quella nichilistica e quella

materialistica appunto.

La poesia nichilistica35 è per Jean Paul una delle prime modalità

della poesia moderna: possono essere definiti poeti nichilisti coloro i

quali presuppongono una visione del mondo dominato dal caso, in cui

tutti i valori tradizionali vengono rinnegati in favore del culto dell’Io.

I poeti nichilisti, a differenza dei poeti antichi, non si limitano ad una

semplice riproduzione della natura, che sarà sempre insufficiente in

quanto non potrà mai esaurire il proprio modello; essi pretendono

piuttosto di creare la loro opera indipendentemente da qualsiasi

regola36.

Alle dichterische Darstellungen, welche eine Zeit nach der andern bewundert,

zeichnen sich durch neue sinnliche Individualität und Auffassung aus”.35 A tal proposito si veda, oltre al volume di Eduard Berend, Jean Pauls Ästhetik , cit.,

anche il testo di Waltraud Wiethölter, Witzige Illumination. Studien zur Ästhetok Jean

Pauls , cit., in particolare da pag. 68 a pag. 82.36 Scrive: Walther Harich: “In dem ersten ‘Programm’, wie Jean Paul die einzelnen

Abteilungen der Vorschule bezeichnet, stellt er die ‘poetischen Nihilisten’ und die

‘poetischen Materialisten’ einander entgegen. Schon diese Definitionen zeigen die

Frontstellung an. Unter Nihilisten versteht er jene Kunstrichtung, deren

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D’altro canto, la poesia materialistica, modellata sulla lezione degli

antichi senza però coglierla nel suo significato ultimo, risulta essere il

contraltare della poesia nichilistica, dal momento che consiste soltanto

in una piatta imitazione della natura, priva di utilità, come scrive lo

stesso Jean Paul.

Partendo dall’analisi di queste due forme di poesia, Jean Paul ci

conduce nel cuore di una tematica squisitamente estetologica, ossia il

tema della imitazione della natura (Nachahmung der Natur), rigettata

dai nichilisti poetici ed esasperata dai materialisti poetici. Jean Paul

prende le distanze da entrambe queste due possibili impostazioni, che

Formensprache des Untergrundes der Wirklichkeit entbehrt. Es ist der gleiche

Vorwurf, den er von jeher der Weimarischen Schule machte und den er jetzt,

entsprechend den ‘Titan’ (‘Liane’), auch auf die Romantiker von der Reiheit und

Durchsichtigkeit eines Novalis ausdehnt. Unter den Materialisten fertigt er die

platten rationalistischen Nachahmer der Natur, wie Hermes, Brockes oder Gellert, ab.

Auch gegen Kants Ästethik wendet er sich. Kant suchte, wie das rein sittlich Gute, so

auch das ästhetisch Vollendete durch Isolierung des Begriffs. Jean Paul hingegen hat

als obersten Leitpunkt ständig das Leben selbst im Auge. ‘Dem Nihilisten mangelst

der Stoff und daher wieder die Form, kurz, beide durchschneiden sich in Unpoesie’

Der rechte Dichter ‘wird begrenzte Natur mit der Unendlichkeit der Idee umgeben,

und jene wie auf einer Himmelsfahrt in diese verschwinden lassen’. Damit war kurz

umrissen, was Jean Paul unter Dichtung oder Kunst überhaupt versteht. Schon hier

wird die Methode des Buches klar: er leitet nicht Begriffe aus Begriffen ab, sondern

sucht durch Bilder und Metaphern sein Ideal der Kunst erlebbar zu machen. Er baut

nicht ein lückenloses System der ästhetischen Werte auf, sondern er fügt Stein auf

Stein sein Kunsterlebnis in das Leben ein, wie es von jedem klar gefühlt und erlebt

wird.” (Walther Harich, Jean Paul , H. Haessel Verlag, Leipzig 1925, pagg. 616-617).

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non sono altro che forme di non-poesia (Unpoesie), mostrando che la

creazione artistica non può prescindere del tutto dall’imitazione, ma

che tale imitazione non deve però ridursi ad un mero tentativo di

riproduzione del reale, bensì deve darsi in quanto opera del genio, che

per definizione deve già sempre produrre una nuova natura. Il quarto

paragrafo del primo capitolo si intitola infatti “Precisazione sulla bella

imitazione della natura”, e arriva appunto a stabilire che la poesia non

deve limitarsi a copiare dei modelli né pretendere di poter creare una

natura ex novo e svincolata da ogni modello, ma deve perseguire la

bella imitazione, ossia l’equilibrio tra questi due estremi, che deve sì

avere come fine l’elaborazione di una copia, la quale deve però poter

risultare più ricca del modello37. E questo qualcosa in più altro non è

37 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 43, dove si legge: “Wir kommen zum

Grundsatze der poetischen Nachahmung zurück. Wenn in dieser Abbild mehr als das

Urbid enthält, ja sogar das Widerspiel gewährt – z. B. ein gedichtetes Leiden Lust –:

so entsteht dies, weil eine doppelte Natur zugleich nachgeahmt wird, die äußere und

die innere, beide ihre Wechselspiegel. Man kann dieses mit einem scharfsinnigen

Kunstrichter sehr gut ‘Darstellung der Ideen durch Naturnachahmung’ nennen. Das

Bestimmtere gehört in den Artikel vom Genie. Die äußere Natur wird in jeder innern

eine andere, und diese Brotverwandlung ins Göttliche ist der geistige poetische Stoff,

welcher, wenn er echt poetisch ist, wie eine anima Stahlii seinen Körper (die Form)

selber bauet, und ihn nicht erst angemessen und zugeschnitten bekommt. Dem

Nihilisten mangelt der Stoff und daher die belebte Form; kurz, beide durchschneiden

sich in Unpoesie. Der Materialist hat die Erdscholle, kann ihr aber keine lebendige

Seele einblasen, weil sie nur Scholle, nicht Körper ist; der Nihilist will beseelend

blasen, hat aber nicht einmal Scholle. Der rechte Dichter wird in seiner Vermählung

der Kunst und Natur sogar dem Parkgärtner, welcher seinem Kunstgarten die

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che il prodotto del genio, che deve creare una nuova natura, senza

avere però la presunzione di poter agire senza alcun sostrato di

partenza da imitare per poter originare la propria opera.

Il genio, da una parte, e l’ironia, dall’altra, si mostreranno come i

due tratti distintivi caratterizzanti la poesia moderna – ma su questi

aspetti torneremo nelle prossime pagine.

Vediamo dunque che in queste prime pagine della Vorschule Jean

Paul ha già delineato i tratti essenziali di quel fenomeno, detto

nichilismo, che vedremo poi approfondito i due luoghi molto

significativi della sua produzione letteraria: il “Discorso che Cristo

morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”,

contenuto nel romanzo Siebenkäs, e la “Clavis fichteana”, in appendice

al romanzo Titan. Nella Vorschule der Ästhetik viene abbozzata una

nozione di nichilismo connessa, in sede estetica, con una rinuncia

totale al principio di imitazione ad opera di un genio che pretende

presuntuosamente di poter fare a meno di ogni modello, e, in sede

etica, con una perdita di valori, religiosi e socio-culturali, strettamente

correlata con un culto sfrenato dell’io, la cui genesi viene da Jean Paul

ravvisata nella filosofia di Fichte quale reazione esasperata e

Naturumgebungen gleichsam als schrankenlose Fortsetzungen desselben anzuweben

weiß, nachahmen, aber mit einem höhern Widerspiele, und er wird begrenzte Natur

mit der Unendlichkeit der Idee umgeben und jene wie auf einer Himmelfahrt in diese

verschwinden lassen”.

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nichilistica della filosofia trascendentale di Kant – come vedremo nei

prossimi paragrafi.

2.2. La “poesia nichilistica”

In conclusione, le tre forme artistiche che, a detta di Jean Paul,

caratterizzano l'età moderna, sono dunque il Romanticismo, il

Materialismo e il Nichilismo, laddove queste ultime due non sono

altro che variazioni esasperate della prima. Ricapitolando, potremmo

dire che il Materialismo è il tentativo di negare lo spirito romantico,

attraverso una inattuale ripresa delle metodologie estetologiche

antiche, fraintendendole e banalizzandole.

Il materialista poetico rifiuta infatti di avvalersi della facoltà del

genio e pretende di utilizzare soltanto la facoltà dell'imitazione,

attraverso cui riprodurre inutili copie della natura, senza avvedersi

del fatto che la mimesis, per l'artista greco, era qualcosa di altro: una

imitazione della natura, sì, ma che ne prediligeva e isolava gli aspetti

più belli (ossia dotati di ordine, armonia e serenità), al fine

sensibilizzare ed educare lo spettatore.

Il poeta romantico è invece colui il quale coglie in modo positivo la

lezione degli antichi, senza fossilizzarsi su di essa: egli sviluppa il

concetto di mimesis attraverso gradi diversi, attraverso le facoltà della

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fantasia (o immaginazione) e del genio, che le racchiude tutte. La

fantasia è anzitutto fantasia ricettiva, ossia immaginazione

riproduttiva, e di poco si discosta dalla mimesis degli antichi. Essa può

però svilupparsi sempre più, sin quasi a perdere il controllo di se

stessa.

Il poeta nichilista è dunque colui che fa un uso illecito e sfrenato

degli strumenti utilizzati dal poeta romantico: egli sa portare le facoltà

della fantasia e del genio ai loro estremi, laddove la fantasia diviene

“la grande immaginazione creatrice di finzioni” e il genio una sorta di

“arbitrio ribelle ad ogni legge, [che] sacrifica il mondo e il tutto al

culto sfrenato dell'Io, per liberarsi nel nulla in un libero spazio di

gioco [...]. Quando la storia di un'epoca si mette ad assomigliare ad

uno storico, e non ha più né religione né patria, il furore dell'Io, nel

suo arbitrio, viene fatalmente contro le regole dure e taglienti della

realtà; essa ama di più volare nel deserto delle chimere, dove essa si

trova ad osservare solo le piccole regole particolari e ristrette della

combinazione delle rime e delle assonanze. Là dove Dio, un tempo,

come il sole, scompariva all'orizzonte, il mondo non tarda ad entrare

nelle tenebre; lo spregiatore del tutto non tiene conto che di se stesso e

non teme, in questa notte, che le sue stesse creature”38. Non è difficile

notare che il tratto più caratteristico, interessante ed anche innovativo

del pensiero di Jean Paul consiste non tanto nella teorizzazione della

3 8 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 31.

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poesia romantica, già tentata svariate volte in quegli anni, ma proprio

nella determinazione di quelle forme che da essa hanno origine ma che

possono prendere una via del tutto autonoma. Questo è senza dubbio

il caso del Nichilismo, che non a caso, negli anni successivi, diverrà il

fenomeno cultura più ampiamente diffuso e forse anche maggiormente

stimolante.

Ciò che in questa sede vogliamo mostrare (senza pretese di

originalità, dato che è già stato tentato in molti altri luoghi, ma

semplicemente ripetendo quanto è già stato detto attraverso le parole

di un autore cui la storia del pensiero non ha forse ancora dato il

giusto peso) è proprio la genesi romantica di quel fenomeno che è il

Nichilismo, che non viene per l'appunto inventato ex nihilo, ma che

affonda le proprie radici in quell'humus fertile e variegato che è la

cultura Protoromantica e Romantica, sviluppatasi a cavallo tra il XVIII

e il XIX secolo, cui Jean Paul Richter ha a suo modo contribuito.

2.3. Altre forme di nichilismo nei romanzi di Jean Paul

Il Nichilismo è dunque la vera cifra dell'età moderna, ossia l'ultimo

sviluppo del Romanticismo, che ne accentua ed al tempo stesso ne

esaspera tratti essenziali.

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La nozione di “nichilismo”, che si mostrerà particolarmente utile

all'interno della nostra trattazione in quanto risulterà strettamente con

un'altra nozione, quella di “ironia” (che verrà in seguito presa in

esame, quale altro elemento fondamentale della poesia romantica, o

meglio, dell'epoca contemporanea tout court, tanto nel suo aspetto

romantico quanto in quello nichilistico), non soltanto – come abbiamo

già visto – viene affrontata ed esposta da Jean Paul tra le prime pagine

del suo capolavoro filosofico ed estetologico, la Vorschule der Ästhetik,

ma viene inoltre tratteggiata, attraverso un approccio di diverso

genere, in alcuni dei suoi romanzi, e in particolare nel “Discorso che

Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”,

contenuto nel romanzo Siebenkäs , e nella “Clavis fichteana”, in

appendice al romanzo Titan.

Scrive a tal proposito Paolo D'Angelo: “Nel romanticismo, e anche

nel primo romanticismo, non ci sono soltanto toni squillanti, attese

piene di fede, impeti rivoluzionari, non si guarda alla storia

esclusivamente come alla garanzia di una palingenesi. Non meno

caratteristici sono atteggiamenti del tutto diversi, anzi antitetici, nei

quali l'oscurità e la notte prendono il posto della luce, la disperazione

quello della speranza, l'incredulità quello della fede, e invece di

annunciare la pienezza di senso della storia si dà espressione alla pura

insensatezza del mondo”39: questo è il fenomeno che chiamiamo

39 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo , cit., pagg. 83-84.

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nichilismo40. “È stato in particolare il filosofo F.H. Jacobi (1743-1819)

ad utilizzare il termine nella sua polemica con le dottrine di Fichte. In

alcune lettere dirette a quest'ultimo, fatte circolare nella primavera del

1799 e stampate nell'autunno dello stesso anno, Jacobi interpretava il

soggettivismo fichtiano e la sua costruzione che fa scaturire tutto

dall'io come una negazione di ogni più seria realtà e di ogni fede.

L'esaltazione della produttività del soggetto, risolvendo ogni ente

nell'io, fa sì che ogni cosa diventi nulla al di fuori della mia

immaginazione. L'idealismo è un nichilismo e conduce all'ateismo”41.

In questo panorama si inseriscono le posizioni di Brentano, Von

Kleist, Tieck, Wackenroder e soprattutto Jean Paul, che affronta il tema

del nichilismo in quanto perdita di valori e in quanto culto sfrenato

dell'io rispettivamente nel Discorso del Cristo morto e nella Clavis

fichteana che ora andremo ad analizzare.

40 Ovviamente il termine non va confuso con quello tanto usato da Nietzsche in poi:

“Se per indicare questi aspetti si fa ricorso alla parola 'nichilismo', il lettore non pensi

ad un anacronismo in cui si incorra per sfruttare il potere suggestivo di un termine

che, da Nietzsche in poi, non ha cessato di dominare il dibattito filosofico. Per

quanto, infatti, l ' impiego della dizione 'nichilismo' venga comunemente fatto risalire

appunto a Nietzsche per quel che riguarda le sue valenze filosofiche, e al romanziere

russo Turgenev (in particolare al suo romanzo Padri e figli , del 1862) per le sue

valenze letterarie e socio-politiche, pure è certo invece che le prime occorrenze

rilevanti del nome e della cosa risalgono proprio all'epoca romantica” (Paolo

D'Angelo, L'estetica del romanticismo , cit., pag. 84).41 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo , cit., pag. 84.

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2.3.1. Il Discorso del Cristo morto

Parlando di “morte di Dio”, ovvero dell'arcinota sentenza che

risuona quale emblema del nichilismo novecentesco, non si può

ovviamente non pensare a Nietzsche, che ha elaborato e sviluppato

questo concetto che ha avuto così tanta fortuna sino ai nostri giorni.

Eppure, non tutti sanno che questa idea della “morte di Dio” era già

stata sviluppata, seppur in modi e con parole diverse, da Jean Paul

all'interno del “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo

sulla non esistenza di Dio”, contenuto, come “Primo pezzo fiorito”, nel

romanzo Siebenkäs, il cui titolo completo suona come: Blumen-, Frucht-

und Dornenstücke, oder Ehestand, Tod und Hochzeit des Armenadvokaten F.

St. Siebenkäs (Fiori, frutti e spine, ossia vita coniugale, morte e nozze

dell'avvocato dei poveri F. St. Setteformaggi). Tale romanzo è comparso

anzitutto in una prima edizione, datata 1796, e poi in una edizione

definitiva, fortemente rielaborata, nel 1818.

Anzitutto, come fa notare Adriano Fabris nella sua “Prefazione” a

Jean Paul, Scritti sul nichilismo42, in cui è riportata una versione

italiana del celebre dialogo, questo Discorso va collocato all'interno

del romanzo che lo contiene, nonché all'interno delle altre opere di

Jean Paul, soprattutto dove contengono rimandi ad esso o dove, in

qualche modo, lo anticipano, come ad esempio la “Lamentazione di

42 Jean Paul , Scritti sul nichilismo , cit., p. 7 e ss.

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Schakespeare morto, fra ascoltatori morti nella chiesa, in cui si

proclama che non vi è Dio alcuno”, nonché il “Secondo pezzo fiorito”

del Siebenkäs, ossia “Il sogno nel sogno”43. Pur tenendo conto di tutti

questi passi, chi scrive si limiterà però, in questa sede, ad estrapolare

da tutti questi materiali, e il particolare dal “Discordo del Cristo

morto”, ciò che potrà risultare utile ai fini della presente trattazione.

43 Scrive a questo proposito Adriano Fabris: “Isolare [.. .] questo brano dal contesto

più ampio in cui si trova inserito comporta il rischio di avallare un'interpretazione

parziale ed inadeguata di esso. In primo luogo, infatti, il Discorso del Cristo morto

rappresenta il punto d'arrivo di una particolare ricerca espressiva condotta da Jean

Paul:una ricerca che è scandita da alcuni momenti letterari altrettanto ricchi di

invenzioni linguistiche, e tuttavia non così famosi come il Primo pezzo fiorito del

Siebenkäs . Fra di essi spicca, accanto ad altri scritti, la Lamentazione di Schakespeare

morto, fra ascoltatori morti nella chiesa, in cui si proclama che non vi è Dio alcuno : un

breve testo contenuto a sua volta, come Primo intermezzo serio , all 'interno della

Baierische Kreuzerkomödie (la cui elaborazione risale alla seconda metà del 1789). In

tale scritto è la figura di Schakespeare quella che di notte, da dietro l'altare di una

chiesa abitata da spiriti inquieti, afferma che Dio non esiste. [. . .] In secondo luogo,

poi,lo stesso Discorso del Cristo morto dev'essere considerato nel quadro complessivo

di quel romanzo, Siebenkäs , all 'interno del quale esso compare come Primo pezzo

fiorito . Per un verso, infatti, può essere mostrato come alcuni dei motivi presenti nel

Discorso ricorrano anche entro la struttura narrativa del Siebenkäs , e trovino in esso

sviluppo in una chiave ironica. Per l 'altro verso, soprattutto, bisogna tenere nel

giusto conto il fatto che, in quest'opera, a seguire il Primo , compare un Secondo pezzo

fiorito , Il sogno nel sogno . A ben vedere, infatti, in quest'ultimo scritto la prospettiva

del Discorso del Cristo morto risulta per molti aspetti rovesciata: ad esso sembra quasi

indicare, se letto in relazione con il brano che lo precede, una possibile via d'uscita,

letterariamente elaborata, al prepotente incombere del nichilismoche quel testo

illustrava.” (A. Fabris, “Prefazione”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo , cit., pp. 8 e 9).

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Jean Paul distingue tra varie modalità di nichilismo, e quella che

compare qui di seguito concerne quella “perdita di valori”, che

abbiamo già trovato tra le prime righe della Vorschule der Ästhetik. Dio

rappresenta infatti tutti i valori, e l'annuncio della sua morte o della

sua non esistenza sta ad indicare quel complesso fenomeno,

caratteristico dell'epoca contemporanea, secondo il quale i valori

tradizionali si dissolverebbero in un mero e vuoto nulla.

Il “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non

esistenza di Dio” è un breve brano, di una decina di pagine, in cui

viene narrato un sogno inquietante. In una delle precedenti versioni, o

meglio, in uno degli abbozzi preparatori della “Lamentazione di

Shakespeare morto”, riportato in una pagin del diario di Jean Paul

(fasc. 13c) datata 3 agosto 198944, il Nostro utilizza come titolo:

“Rappresentazione dell'ateismo. Egli predica che non vi è Dio alcuno”.

Il “Discorso del Cristo morto”, sin dai suoi primi abbozzi, vuole

dunque essere una “rappresentazione dell'ateismo” – o, potremmo

dire, del “nichilismo” torut court. Qui Jean Paul mette in scena

un'angusta, tetra ed angosciosa (per usare le sue stesse parole)

immagine onirica, che lascia inorriditi come facendo esperienza del

“velenoso miasma” cui va incontro chi per la prima volta s'imbatte in

quell'esperienza che è l'ateismo.

44 Cfr. Jean Paul , Scritti sul nichilismo , cit., p. 19.

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Contenuto del “Discorso”

Così esordisce Jean Paul, nelle due paginette che introducono il

“Discorso”: “Lo scopo di quest'opera è la giustificazione della sua

stessa audacia. Gli uomini negano l'esistenza di Dio con la stessa

pochezza di sentimento che, ai più, consente di ammetterla. Persino

nei nostri veraci sistemi raccogliamo, come avidi collezionisti di

numismatica, unicamente parole, gettoni e medaglie; – e solo

successivamente trasformiamo le parole in sentimenti e le monete in

possessi. Si può credere per vent'anni all'immortalità dell'anima – –

ma solo al ventunesimo, in un istante grandioso, ci si stupisce del

ricco contenuto di questa fede, del calore che offre una tale sorgente di

combustione”45. Già da queste prime battute si nota lo spirito audace e

polemico attraverso cui Jean Paul vuole trattare il tema, allora tanto

discusso, dell'ateismo, laddove questo va inteso come una delle

manifestazioni possibili, e forse la più alta, di quel fenomeno che

viene a delinearsi tra le pagine di Jean Paul assumendo il nome di

“nichilismo”. Egli prosegue: “Allo stesso modo sono rimasto inorridito

dal velenoso miasma che spira soffocante incontro al cuore di chi, per

la prima volta, s'avventura nell'edificio dottrinario dell'ateismo. La

negazione dell'immortalità mi fa meno male di quella della divinità: in

quel caso, non perdo nient'altro che un mondo coperto da coltri

nebbiose; in questo, vengo a perdere il mondo presente, il sole che lo

45 Jean Paul , Scritti sul nichilismo , cit., p. 23.

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illumina; l'intero universo spirituale viene spaccato e frantumato in

innumerevoli punti-io, come di mercurio, i quali brillano, stillano,

errano, fuggono, incontrandosi e separandosi, senza unità né

consistenza”46. Negare Dio significa non soltanto perdere la speranza

di una vita ultraterrena, bensì tutto ciò che si possiede nella vita

attuale, che improvvisamente di tramuta in un'orrida e cieca casualitò

priva di consistenza e di valore. Infatti egli può proseguire dicendo:

“Nessuno è così solo nel Tutto come colui che nega Dio – costui,

avendo perduto il Padre più grande, si trova in lutto, con il cuore

orfano, accanto allo smisurato cadavere della natura, il quale non è più

animato e unito dallo spirito del mondo, e che s'accresce nella tomba; e

il miscredente s'affligge così a lungo, fino a quando egli non si stacca,

sfaldandosi, da quel cadavere. Davanti a lui sta immobile il mondo

intero, come la grande Sfinge egizia di pietra semisdraiata nella

sabbia; e il Tutto è la fredda maschera di ferro dell'informe eternità” 47.

Notiamo anzitutto che qui si parla di un vero e proprio “lutto” per

aver “perduto il Padre più grande”, e in conseguenza di ciò il cuore

dell'uomo è “orfano accanto allo smisurato cadavere della natura”: qui

non si sta parlando semplicemente dell'ateismo inteso come “non

esistenza di Dio”, bensì di quel concetto, sottilmente differente, che

diverrà centrale nel pensiero di Nietzsche: la “morte di Dio”. Ovvero,

46 Jean Paul , Scritti sul nichilismo , cit., pp. 23-24.47 Jean Paul , Scritti sul nichilismo , cit., p. 24.

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Dio è pensato non come qualcosa di inesistente, bensì come una sorta

di nozione storica, che ha trovato senso in determinate epoche e che

invece nell'epoca del nichilismo, ossia nelle estreme propaggini della

cultura romantica propria dell'età moderna, risulta non più possibile,

e dunque destinato a venir meno, a soccombere. Questo è il nichilismo:

la vita nell'epoca della consapevolezza dell'impossibilità di Dio,

ovvero di tutti i valori che, sul piano assiologico, possono dare una

direzione alla vita dell'uomo: per questo gli individui sulla terra,

orfani di Dio, sono come schegge impazzite o – per usare l'esempio di

Jean Paul – gocce di mercurio che rotolano in ogni direzione, unendosi

e dividendosi senza sosta e senza criterio. Il Dio che viene meno non è

il “Padre buono” che dona l'immortalità, di cui si può ben fare a meno,

bensì il “Padre più grande”, ossia il supremo garante dell'ordine e

della regolarità della natura: se esso viene meno, ciò di cui ne va è

questo ordine stesso, la cui perdita porta ad uno stato di confusione e

di caos, ad una bruta ed informe casualità, ad un atomismo democriteo

in cui ogni certezza viene meno. Di qui l'estrema solitudine di chi nega

l'esistenza di Dio.

Dopo questa breve introduzione, che svolge la funzione di cornice,

ha inizio la narrazione vera e propria, ossia il racconto di questa

tremenda visione onirica ambientata nella chiesa di un camposanto a

mezzanotte, ossia “nell'ora in cui il nostro sonno sfiora l'anima sino a

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toccarla, oscurando anche i sogni, [e] i morti si levano dal sepolcro e

scimmiottano nelle chiese il servizio divino dei vivi”48. Il sogno si

svolge dunque di notte, in un camposanto, ovvero in un tipico

scenario romantico, dove, al chiaro di luna, i morti escono dalle loro

tombe per recarsi nella chiesa attigua: “tutte le tombe erano

scoperchiate, e le porte di ferro dell'ossario si aprivano e si

chiudevano aperte da mani invisibili. Sui muri fluttuavano ombre che

nessuno proiettava, e altre tombe vagavano ritte nell'aria”49. Vengono

qui evocate immagini fortemente nichilistiche, dai sarcofagi vuoti alle

mani invisibili, dalle ombre che nessuno proietta alla morte stessa: si

tratta cioè di modi attraverso cui evocare quel nulla che verrà

pienamente descritto laddove si proclamerà la non esistenza di Dio,

ovvero la sua morte. Il racconto prosegue con la descrizione di altre

immagini simili; dopodiché entra in scena “una figura alta e nobile,

accompagnata da un dolore inestinguibile”50: Gesù Cristo. Vedendolo,

“tutti i morti gridarono: 'Cristo! Non c'è Dio alcuno?'. Egli rispose:

'Non c'è'. L'ombra di ogni defunto tremò tutta intera, non solamente

nel petto, e per questo tremito ciascuna fu disgiunta dall'altra. Cristo

proseguì: 'Ho attraversato i mondi, sono salito fino ai soli e ho

percorso a volo, lungo le vie lattee, i deserti del cielo; ma non c'è Dio

48 Jean Paul , Scritti sul nichilismo , cit., p. 25.49 Jean Paul , Scritti sul nichilismo , cit., p. 25.50 Jean Paul , Scritti sul nichilismo , cit., p. 26.

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alcuno. Sono disceso fin dove l'essere proietta le sue ombre e ho

scrutato nell'abisso gridando: 'Dove sei tu, Padre?'. Ma ho udito

solamente l'eterna tempesta che nessuno governa, mentre il variopinto

arcobaleno degli esseri, senza che vi fosse un sole a crearlo, s'inarcava

e sgocciolava sopra l'abisso. E quando levai lo sguardo al mondo

sconfinato, cerando l'occhio divino, esso mi fissò con una vuota orbita

senza fondo; e l'eternità si stendeva sopra il caos e lo erodeva e

ruminava se stessa. – Continuate a risuonare, o note dissonanti,

stridete sino a dissolvere le ombre; poiché Egli non c'è'” 51. In questo

passo è racchiuso il cuore del “Discorso che Cristo morto tenne

dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”, in cui emerge con

forza ciò che Jean Paul intende con Nichilismo: un mondo privo di

valori, su cui regna il caos, in cui il solo garante dell'ordine morale e

fisico, Dio, è venuto meno. L'ateo non è colui il quale s'avvede della

non esistenza di Dio, bensì colui che compie di sua mano il deicidio,

come si vede bene da alcune parole dette da Cristo. Anzitutto egli dice

che, “cercando l'occhio divino, esso [lo] fissò con una vuota orbita senza

fondo”: al pari dei morti descritti poche righe più su, anche l'occhio di

Dio risulta vuoto, ossia si è putrefatto a seguito della sua morte –

nessuna orbita vi sarebbe, infatti, se egli non fosse mai stato, ossia,

un'orbita vuota è appartiene propriamente ad un cadavere che si sta

decomponendo (si notino qui queste lugubri immagini, che a detta di

51 Jean Paul , Scritti sul nichilismo , cit., pp. 26-27.

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Jean Paul sono tipiche della poetica romantica a differenza di quella

antica). Inoltre, poche righe più sotto, egli dice che “siamo tutti

orfani” (e si è orfani, è ovvio, di un padre che è venuto a mancare, ma

che prima esisteva): “Le ombre sbiadite volarono via, e scomparvero

come il bianco vapore del gelo si dissolve a un soffio caldo; e tutto si

fece vuoto. Giunsero allora nel tempio, spettacolo orribile per il cuore,

i bambini morti che si erano svegliati nel camposanto, e si gettarono

davanti all'alta figura presso l'altare e dissero: 'Gesù! non abbiamo noi

un padre?' – Ed egli rispose, piangendo: 'Siamo tutti orfani, io e voi,

siamo tutti senza padre'”52. Al suonare di queste parole, il mondo

intero inizia a sprofondare in un abisso senza fine e il gigantesco

serpente dell'eternità inizia a stritolare tutto, e proprio nel momento

in cui sta per suonare l'ultima ora del mondo, il terribile incubo

finisce. Ecco le parole di Jean Paul a commento di tale sogno: “La mia

anima pianse dalla gioia di poter adorare di nuovo Dio – e la gioia e il

pianto e la fede in lui furono la mia preghiera. E quando mi alzai il

sole riluceva ancora, al fondo, dietro le colme spighe purpuree, e

gettava, in pace, il riflesso del suo tramonto sulla piccola luna, che,

senza aurora, si levava da oriente; e fra cielo e terra distendeva le sue

brevi ali un gioioso mondo transeunte, che viveva, come me, al

52 Jean Paul , Scritti sul nichilismo , cit., p. 27.

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cospetto del Padre infinito; e da tutta la natura che mi circondava

fluivano suoni di pace, come da campane remote nella sera”53.

Senso del “Discorso”

Ora che abbiamo presentato i contenuti del “Discorso che Cristo

morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”

dobbiamo tentare di estrapolarne la valenza filosofica ed estetologica,

riconducibile alle nostre indagini sin qui condotte.

Iniziamo seguendo la chiave di lettura offerta da Adriano Fabris nel

saggio “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in

Jean Paul”, riportato in appendice alla edizione italiana degli Scritti

sul nichilismo di Jean Paul54. Come nota Fabris, in sede preliminare si

deve sottolineare che l'importanza di questo testo consiste nel fatto

che esso è uno di quei luoghi della storia del pensiero in cui emerge,

in modo chiaro e distinto, o comunque in modo esplicito e

consapevole, quel fenomeno che oggi riconosciamo nel concetto di

nichilismo e che viene inaugurato e vede la luce proprio in queste

pagine55. Significativo è anzitutto il fatto che venga qui preso in 53 Jean Paul , Scritti sul nichilismo , cit., p. 30.5 4 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean

Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo , cit., pp. 39-84.5 5 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean

Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo , cit., p. 42. Notiamo qui che, pur essendo

possibile intendere il nichilismo come un fenomeno culturale in senso lato,

ravvisandone la genesi magari nel mondo greco, qui si sta semplicemente dicendo che

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considerazione, parlando della genesi del concetto di nichilismo, non

un trattato di filosofia bensì un romanzo, ossia il pensiero non di un

filosofo speculativo bensì di un romanziere reso noto – certo – anche

per le sue speculazioni filosofiche, ascrivibili però precipuamente

all'ambito estetico56: ciò sta a significare che il concetto di nichilismo

ha avuto una genesi estetica.

Uno dei luoghi in cui le tematiche del Discorso vengono

preannunciate è una lettera del 15 novembre 1790, in cui egli scrive:

“La sera più importante della mia vita:giacché provai il pensiero della

morte; che non c'è assolutamente nessuna differenza se io muoio

domani o fra trent'anni; che ogni progetto e tutte le cose si dileguano

davanti a me, e che devo amare i poveri uomini, che così presto vanno

a fondo con il loro brandello di vita; il pensiero [della morte] si

trasformò in quello dell'inutilità di ogni faccenda. Mi spinsi davanti al

mio futuro letto di morte, attraversando i trent'anni, mi vidi con la

mano da defunto, abbandonata, con il viso da malato, disfatto, con gli

occhi di marmo, udii il combattersi delle mie fantasie nell'ultima

notte... Oh voi, miei fratelli, vi voglio amare di più, vi voglio dare più

la genesi di tale termine e di tale concetto, il quale poi può ovviamente, in modo più

o meno lecito o più o meno corretto, venire applicato anche ad altri periodi storici, va

ravvisata proprio in questi anni a cavallo tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX

secolo.5 6 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean

Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo , cit., p. 43.

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gioia. Come potrei tormentare il vostro paio di giorni decembrini di

vita piena, le vostre immagini, colme di colori mondani, che

sbiadiscono nel riflesso tremolante della vita? Non dimenticherò mai

quel 15 di novembre”. Come si vede già in queste righe, quello di

nichilismo non è un concetto filosofico che possa essere elaborato a

tavolino, ma nasce da un'esperienza molto forte, di tipo estetico –

potremmo dire –, ovvero un'esperienza vissuta57 del corpo e dello

spirito che precede ogni categorizzazione dell'intelletto ma che

concerne una percezione diretta e immediata della morte, che coincide

con la nullità e l'inutilità della vita stessa. La percezione e la paura (o

angoscia) della morte, cui va di pari passo la sensazione che la vita sia

vana, è un'esperienza estetica originaria e genuina e non un'inferenza

logica operata dall'intelletto: quest'ultimo può sopravvenire in un

secondo momento laddove l'angoscia, una volta messa da parte, può

essere osservata e studiata al fine di interrogarsi circa la condotta

pratica da intraprendere in una visione del mondo in cui la vita risulta

vanificata dal suo epilogo. Il nichilismo nasce dunque come esperienza

estetica della finitudine e vanità della vita, cui segue una sorta di

nichilismo derivato, e comunque intellettualizzato, che tenta di

oggettivare e spiegare tale concetto, per poi applicarlo alla vita pratica 5 7 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean

Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo , cit., p. 47, dove si legge: “Nel racconto di

questa esperienza vissuta non c'è più spazio, a ben vedere, per l 'esercizio di quel

sovrano distacco dell'ironia”.

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in modo da indicare una condotta possibile in un mondo reso vano

dalla finitudine che esso cela in grembo e che può solo essere esperita

direttamente, tramite l'esperienza dell'angoscia.

Qualcosa di analogo accade nella già citata Lamentazione di

Shakespeare morto: “In esso [...] è già menzionata la presenza, di notte,

di uno spirito nella chiesa che predica la vanità di tutte le cose: una

vanità che non apre, cristianamente, all'ambito in cui tutto, da ultimo,

può risultare salvaguardato all'interno di una prospettiva escatologica;

che evita, cioè, il rimando a una dimensione finale di salvezza, ma che

piuttosto dà voce ad un senso di irredimibile, universale, reiterata

dissoluzione”58.

Nel testo che invece stiamo prendendo in esame, il “Discorso che

Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”,

è Cristo stesso a fare da protagonista: non più lo stesso Jean Paul,

come nella lettera del 15 novembre 1790, e non più un importante

personaggio della storia della letteratura come Shakespeare, ma Cristo

stesso esprime quell'esperienza della morte che ciascuno di noi ha

vissuto in alcune situazioni limite della propria vita. Scrive Fabris:

“Nella prospettiva nichilistica messa in scena da Jean Paul – una

prospettiva implicita sui possibili esiti del cristianesimo –, sarebbe il

Cristo stesso a risultare quasi un 'doppio' dell'uomo. Il Discorso del

58 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean

Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo , cit., p. 48.

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Cristo morto, infatti, non solo lo raffigura nella sua incarnazione in

sembianze umane, non solo, una volta proclamata la morte di Dio, lo

vede assumere la dolorosa consapevolezza di essere uomo tra gli

uomini, orfano tra gli orfani, ma soprattutto lo presenta come

quell'alter ego, come quella figura accomunata alle creature da un

medesimo destino, nella quale un uomo privilegiato – il narratore –

proietta se stesso e ritrova la propria angoscia”59. In questo scritto,

l'esperienza della morte (della propria e di quella di Dio), e l'angoscia

che ne consegue, non viene esperita direttamente, bensì all'interno di

un angoscioso sogno che raffigura scenari di morte; scrive ancora

Fabris: “Il sogno, qui, ha la stessa funzione che tradizionalmente è

propria della teoria: offre cioè la possibilità di rivolgere al mondo uno

sguardo dall'alto, di porsi in una dimensione di lontananza rispetto ai

coinvolgimenti e agli affanni della quotidianità. [...] Tuttavia, ad uno

sguardo più attento, la capacità di raggiungere un effettivo distacco

dal mondo seguendo la via del sogno risulta puramente illusoria.

Giacché il sogno bensì trascende l'io, ma [...] all'io costitutivamente e

in primo luogo rimanda. Il sogno, in altre parole, permette certamente

di vedere meglio la realtà in cui l'uomo è coinvolto e sembra

addirittura essere in grado di racchiuderla in sé, riproducendola e

ricreandola con una lucidità non comune. E tuttavia, nel contempo, la

5 9 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean

Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo , cit., p. 56.

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stessa visione onirica fa parte a sua volta di questa realtà, ne è in

effetti contenuta”60.

2.3.2. La Clavis fichtiana

Se sin qui abbiamo visto la “pars destruens” del Nichilismo, ossia la

sua forza negatrice e distruttrice che pretende di sbarazzarsi di tutti i

valori tradizionali, arrivando persino a proclamare la morte di Dio, a

questo punto dobbiamo studiare questo fenomeno nella sua “pars

construens”, ovvero mostrare che “nichilismo” non significa soltanto

annichilamento e perdita di tutti i valori, bensì anche “autoesaltazione

dell'Io”. Prima di prendere in esame il luogo dell'Opera di Jean Paul in

cui avviene questo passaggio ci è però utile tratteggiare a brevi linee il

panorama storico in cui ciò si colloca: la cosiddetta disputa su Spinoza

e sull'ateismo, in cui si inscrivono sia le tematiche del Discorso del

Cristo morto che abbiamo appena descritto, sia quelle che emergono

nella Clavis fichtiana in cui Jean Paul polemizzerà contro il sistema di

Fichte.

La disputa su Spinoza e sull'ateismo

La disputa su Spinoza si delinea in Germania tra il 1783 e il 1887,

nutrendosi delle critiche che Schelling e Hegel muovono a Friedrich

Heinrich Jacobi (1743-1819), per poi confluire nelle polemiche sul

6 0 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean

Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo , cit., pp. 58-59.

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kantismo e nella successiva “disputa sull’ateismo” compiuta a partire

dalla discussione di tesi fichtiane.

Il dibattito si apre in occasione della commemorazione di Lessing

(1729-1781) voluta e realizzata da Mendelssohn (1729-1786), il quale si

propone pubblicamente come centro di raccolta di materiale sul

celebre filosofo tedesco. Tra i filosofi e uomini di cultura che

accolgono la proposta di Mendelsshon, si trova Jacobi, il quale riporta

su carta il contenuto di una discussione che egli stesso aveva avuto

tempo addietro con Lessing, sostenendo che quest’ultimo gli avesse

confidato che non è in alcun modo possibile una filosofia diversa da

quella elaborata da Spinoza. L’affermazione di Jacobi crea scalpore, in

quanto la filosofia di Spinoza era ritenuta all’epoca come una esplicita

forma di ateismo o, per lo meno, veniva interpretata come una

filosofia che negava in modo incontrovertibile il valore della

rivelazione. L’affermazione compiuta da Jacobi provoca di

conseguenza una forte reazione in tutti quei filosofi che intendono

conciliare una visione religiosa della realtà con la filosofia

razionalistica di Leibniz e di Wolff; tra l’altro, a peggiorare la

situazione contribuisce il fatto che lo stesso Lessing era celebre agli

occhi del grande pubblico per la propria avversione nei confronti della

filosofia di Spinoza.

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Nel successivo dibattito che segue a questo polemico inizio, Jacobi si

schiera apertamente contro la filosofia di Spinoza, finendo col

sostenere, nelle Lettere sulla filosofia di Spinoza (1785), che lo

spinozismo è ateismo così come la scuola leibnizio-wolfiana è fatalista,

essendo di fatto riducibile ai principi del pensiero dello stesso

Spinoza. Il senso della polemica di Jacobi è pertanto chiaro, dal

momento che, dal suo punto di vista, ogni sforzo del pensiero

filosofico razionalista non può che condurre al determinismo, ossia

alla negazione della libertà dell’uomo.

La reazione alle tesi di Jacobi è molto dura, la sua condanna del

razionalismo, implicato dal pensiero filosofico di Spinoza, suscita

infatti una forte polemica in chiave opposta; dal momento che gli

stessi esponenti dello Sturm und Drang, tra i quali figuravano Geothe e

Herder, riprendono il concetto spinoziano di immanenza di tutte le

cose in Dio, rovesciandolo però da un piano razionalistico-

deterministico, per leggerlo poi nei termini di un illuminato flusso

della vita. La verità, la vita interiore e la stessa esistenza, secondo

Herder, possono essere pensate a partire dal loro manifestarsi

attraverso le singole cose, in quanto modificazioni dell’esistenza

suprema, intesa, a sua volta, come l’unica realtà effettivamente

esistente, la quale non è tuttavia da leggere in termini esclusivamente

razionali ed astratti, dal momento che indica invece l’infinita ed eterna

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radice dell’albero stesso della vita. La riduzione dell’essere infinito

della vita a cosa, attraverso un modo vuoto ed astratto di considerare

il linguaggio, è quindi la ragione per cui Jacobi vede nel “Dio” di

Spinoza solo un vuoto nome che nasconde dietro di sé il sordo rumore

di un sistema meccanicistico-deterministico universale. La lettura in

chiave deterministica di Spinoza è quindi conseguenza di un errore di

prospettiva di chi interpreta la filosofia spinoziana a partire da un

proprio personale ateismo, giustificato per mezzo di una nozione

meccanica e deterministica dello stesso Dio.

L’accusa di Jacobi a Spinoza di non aver rispettato i caratteri

antropomorfici di Dio, oltre al fatto di averlo risolto nella serie

meccanica delle operazioni da lui stesso generate, viene

paradossalmente del tutto accolta dai romantici e dagli idealisti, ma

non nella forma di un limite del pensiero spinoziano, bensì alla

stregua di una sua caratteristica del tutto positiva. I romantici,

tuttavia, si batteranno apertamente per una interpretazione della

filosofia spinoziana scevra dalle influenze determinate dai vecchi

paradigmi geometrizzanti della scuola cartesiana.

I motivi del dissenso di Jacobi nei confronti di Spinoza si radicano in

un profondo anti-intellettualismo filosofico, finendo così per difendere

i diritti dell’esperienza interiore nei confronti dell’illuminismo senza

per questo cedere, come già mostrato, alle posizioni estreme dello

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Sturm und Drang. Jacobi vede tra l’altro l’insorgere di una nuova forma

di spinozismo, dal carattere esplicitamente nichilistico, nella nuova

filosofia idealistica, dove la libertà umana viene, in qualche modo

misconosciuta, attraverso il sovrapporsi della ragione alla vita. Le

ragioni che giustificano l’avvicinarsi al nichilismo di istanze

idealistiche, sono, agli occhi di Jacobi, essenzialmente due, anche se

entrambe legate indissolubilmente tra loro: da una parte, infatti, si

realizza una ipertrofizzazione della coscienza, la quale, attraverso un

vero e proprio processo di assolutizzazione, rende poi possibile, in un

secondo momento, la negazione della realtà. Il concetto della

negazione, in particolare, si declina verso la negazione della stessa

esistenza della realtà, la quale trova il proprio fondamento nella

separazione radicale che viene così a cadere tra la coscienza e la realtà

del mondo e di Dio.

In questo modo è possibile comprendere il motivo per cui le critiche

aperte dall’anti-intellettualismo di Jacobi si leghino poi, ancora una

volta, al tema dell’ateismo, come accade nel 1798, con la disputa

sull’ateismo [Atheismusstreit]. All’origine di questa nuova disputa si

trovano un articolo di Fichte e uno scritto del kantiano Forberg. Il

saggio di Fichte, in particolare, dal titolo Sul fondamento della nostra

fede in un governo divino del mondo [Über den Grund unseres Glaubens an

eine göttlische Weltregierung] sostiene che Dio non è da intendere in

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senso antropomorfico come se fosse una persona di natura

trascendente, ma, al contrario, come ordine morale del mondo. La

stesura dell’articolo costa a Fichte l’accusa di ateismo, il quale, invece,

di sedare la polemica, arriva a minacciare il governo stesso di lasciare

l’università di Jena, credendosi affiancato dai propri colleghi e da

buona parte degli studenti dell’università. La rigidità di Fichte gli

aliena l’appoggio di Geothe e di Schiller, cosa che lo porterà presto al

più totale isolamento e ad accettare le proprie dimissioni.

Lasciata Jena, Fichte si dirige a Berlino, dove rimane fino al 1805,

rielaborando intanto la propria Dottrina della scienza ; d’altra parte la

disputa sull’ateismo lascia il proprio segno, oltre che sulla vita

accademica, sulla sua stessa filosofia; infatti, Fichte giunge a rivedere

il concetto di Dio, il quale non era più soltanto ordine morale, ma

ordinans, principio attivo, che arriva poi ad identificare in modo del

tutto esplicito con la vita stessa. Durante il periodo berlinese Fichte

vede aumentare ancora il proprio isolamento, così come accrescono

costantemente anche gli attacchi diretti alla sua filosofia da parte sia

di filosofi che di scrittori: Bardili, Hegel, Nicolai, Reinhold, Schelling e

Jean Paul. Ad aggravare la situazione contribuisce ulteriormente il

fatto che Fichte perde l’appoggio anche del circolo romantico di

Berlino, dove viene ora apertamente attaccato da Schleiermacher. Il

distacco da Schelling, come già ricordato, avviene in questo stesso

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periodo, segnando così il definitivo tramonto della filosofia di Fichte,

cominciato con una discussione che intendeva conciliare l’ordine

divino e morale del mondo con la liberta espressa dalla stessa capacità

umana di comprendere ed afferrare la vita.

La Clavis

Si è detto che il fenomeno del Nichilismo, così come emerge tra le

pagine di Jean Paul e dei suoi contemporanei, può constare di una

“pars destruens” di assoluta negazione e rifiuto dei valori tradizionali,

e di una “pars construens”, che porta alla già citata “autoesaltazione

dell'Io”.

Ciò che dobbiamo notare, in via preliminare, è il fatto che questi due

aspetti non possono essere pensati come isolati l'un l'altro, in quanto

costituiscono un circolo,per così dire, laddove l'uno è fondamento per

l'altro, e viceversa. L'autoesaltazione dell'Io risulta infatti essere la

condizione a partire da cui i valori tradizionali possono essere

transvalutati, depauperati della loro valenza originaria e dunque

annichilati: è questo stesso Io che opera questa negazione – negazione

che concerne tanto l'ambito morale quanto quello estetico. D'altro

canto, però, la condizione che consente all'Io di autoesaltarsi ed

ergersi a giudice supremo della natura, potendo negarla e ricrearla a

proprio piacimento attraverso le facoltà della fantasia e del genio

esasperate nel loro uso e nelle loro potenzialità, è proprio la perdita

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dei valori: solo in un mondo in cui niente ha valore, ossia in cui i

valori tradizionali hanno perduto la loro forza e capacità di imporsi

come incontrovertibili, è possibile che l'Io esalti se stesso sino al punto

di immaginarsi come creatore della natura. Risulta evidente che i

riferimenti all'Io fichteano che in primo luogo pone se stesso e che, in

secondo luogo, oppone a sé un non-Io, non sono certo casuali, e che

pertanto il vero bersaglio polemico, sul piano filosofico, di Jean Paul

inizia a prendere le sembianze di Fichte, che verrà direttamente

attaccato in quel noto pamphlet detto Clavis fichtiana.

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La Clavis fichtiana seu leibgeberiana61 – come cita il titolo completo –

pensata come “Prima appendice comica” al romanzo Titan, iniziato tra

il 1798 e il 1800 ma pubblicato nel 1806, è stata progettata in due sole

settimane, nel dicembre del 1799, quale risultato dell'intenso dialogo

intrapreso in quegli anni con Jacobi e con Herder (nonché con lo stesso

Fichte, incontrato nel 1798 – ma sul rapporto con Fichte si veda il

paragrafo successivo), e pubblicata indipendentemente prima

dell'uscita del romanzo, nel marzo del 1800. Questo scritto si inserisce

nella ben nota “polemica sull'ateismo” che, a cavallo tra il 1798 e il

61 Scrive S. Hesse a proposito della Clavis : “In der Clavis Fichtiana seu Leibgeberiana

unterzieht Jean Paul Fichtes Frühphilosophie einer facettenreichen Kritik. Seine

Einwände, die sich insbesondere gegen den transzendentalphilosophischen Ansatz

der Jenaer Wissenschaftslehre richten, beinhalten sowohl sprachkritische wie auch

epistemologische und moralphilosophische Überlegungen. In der Absicht, nicht nur

eine >>Widerlegung gegen Fichte<< abzufassen (SW III/3,263), sondern sich auch

>>über die Dinge der Zeit ganz aus[zu]lassen<< (ebd., 291), verknüpft Jean Paul seine

Fichte-Kritik zudem mit einer Kritik am Geist seiner Epoche, als dessen deutlichste

Manifestation ihm neben der Wissenschaftslehre die zeitgenössische Literatur gilt.

Mit den knappen poetologischen Anmerkungen, die er in seine im Mai 1800

erschienene Schrift einfließen lässt, antizipiert Jean Paul einen Teil jener Kritik, die er

vier Jahre später unter deutlicher Bezugnahme auf die Frühromantik in seiner

Vorschule der Ästhetik üben wird„ (S. HESS E , “Mir (empirisch genommen) grauset vor

mir (absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen Reflexion in

Jean Pauls Clavis Fichtiana”, in Jahrbuch … der Jean-Paul-Gesellschaft , Weimar: Verlag

Hermann Böhlaus Nachfolger Weimar Erscheint jährlich. – Früher im Verl. Mühl,

Bayreuth. – 2005, p. 107).

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1799, costringerà Fichte a lasciare la sua cattedra presso l'Università di

Jena.

Come è stato notato molto bene dai curatori dell'edizione italiana

nell'“Avvertenza”62, ci troviamo qui di fronte ad un testo molto denso

e complesso, data la sovrapposizione di diversi livelli, letterali e

6 2 Cfr. Eleonora de Conciliis e Hartmut Retzlaff, “Avvertenza per il lettore”, in Jean

Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana , cit., p. 7 e ss. Per inquadrare il panorama cui

questo testo va riprodotto, riportiamo qui di seguito una parte di tale “Avvertenza”:

“Il testo s'inserice a pieno titolo nella famosa polemica sull'ateismo, che negli anni

179-99 travolse Fichte obbligandolo a lasciare l'insegnamento universitario a Jena.

Esso costituisce un bizzarro pendant della Lettera che Jacobi aveva inviato qualche

mese prima al filosofo in segno di solidarietà, ma anche di dissenso; ne rappresenta

un originalissimo 'doppio' narativo, in cui Jean Paul, se da un lato ricalca la posizione

teoretica di Jacobi, dall'altro prova i fuochi d'artificio della propria fantasia creativa

nell'aria rarefatta e seriosa della filosofia. In un'epoca di giganti come Goethe,

Schiller e Herder, nella quale le dispute si animavano, spesso violentemente,

attraverso la circolazione di epistole, recensioni e pamphlet , la Clavis si presenta come

un complicato ibrido filoofico-letterario, traboccante di dopi sensi, di invettive e

riferimenti alle vicende contemporanee, ma anche di un gusto tard-illumiistico per

l 'enciclopedismo, i virtuosismi filologici ed i rimandi alla cultura classica. Lo stesso

titolo originario, Chiave per la visione del mondo di Fichte, cioè di Leibgeber , è modellato

sulla Clavis ciceroniana di J. A. Ernestis (1739), che una volta viene anche menzionata

nel testo. Per esso Jean Paul usa sempre l'articolo maschile (der Clavis), mentre la

forma femminile compare soltanto di sfuggita in un passo del Titan . La struttura della

Clavis e finanche il suo titolo presuppongono una continua sovrapposizione di realtà

storica e finzione letteraria, frutto di un espediente narrativo tipicamente

jeanpauliano: l 'Autore finge che il testo sia stato scritto da Heinrich Leibgeber, un

personaggio del suo precendente romanzo, il Siebenkäs (1797); si tratta di un alter ego ,

di un doppio claudicante, estroverso ed ironico del protagonita (l 'avvocato dei poveri

Firmian Siebenkäs, cioè Setteformaggi), che riapparirànel Titan – l 'originalissimo

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filosofici, e di diversi piani di lettura, nonché di sovrapposizioni tra la

realtà storica e la finzione letteraria. Lo scopo è per l'appunto quello

di tentare una critica all'impianto dell'Io trascendentale, così come è

stato elaborato da Fichte nella Dottrina della scienza.

romanzo cui Jean Paul lavora già nel 1799 – nelle vesti del satirico Schoppe. In

tedesco, Leibgeber significa datore-di-corpo; nel Siebenkäs , egli 'dona' la propria

identità al suo amico Setteformaggi, per aitarlo ad evadere da un matrimonio

malriuscito e a farsi un'altra vita. Schoppe è il nuovo nome che il protagonista

assume nel Titan , dove svolge un'importante funzione nella formazione del

protagonista Albano, di cui è tutore. Nella versione definitiva, Schoppe impazzisce

per aver letto la Dottrina della scienza di Fichte, e muore dopo aver reincontrato il suo

vecchio amico Setteformaggi, protagonista del romanzo precedente. Dunque, quando

a Jean Paul venne l'idea di uno scritto polemico contro Fichte – un personaggio reale

– egli 'prese in prestito' la figura letteraria di Schoppe, che era in piena elaborazione

psicologica nel Titan ; lo scrittore era infatti solito creare una sorta di continuità

narrativa tra i suoi romanzi, corredandoli di prefazioni e appendici in cui egli stesso

poteva apparire in qualità di personaggio; talvolta questa tecnica veniva

sapientemente associata a quella della cornice o dell'incastro, per ottenere un effetto

di indistinzione tra piano letterario e piano storico reale. Anche nella Clavis , testo in

cui torna all' 'acetificio satirico' della sua prima giovinezza, Jean Paul adotta la mise

en abìme , portandola quasi all'esasperazione. L'identità Schoppe-Leibgeber viene

piegata a favore del secondo: Jean Paul si finge curatore dello scritto composto dal

misterioso ed errante personaggio; costui glielo avrebbe inviato già in preda alla

follia, dopo aver studiato il pensiero di Fichte a Jena. Jean Paul lo fa precedere da un

proprio, antifichtiano Prologo (sotto forma di lettera a Jacobi), e lo correda di un

Protektorium – una sorta di salvacondotto da esibire ai suoi amici per evitare di

passere per fichtiano –, nel quale inserisce, tra l 'altro, una delirante lettera 'privata'

dello stesso Leibgeber, indirizzata all'Autore assieme al testo della Clavis ; essa rivela

confusamente a Jean Paul, ce vi appare nelle vesti di amico e biografo di Leibgeber,

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Scrive Eleonora De Conciliis nel saggio intitolato “Fichte e il suo

doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, posto in appendice

all'edizione italiana della Clavis fichtiana seu leibgeberiana: “La Clavis

racconta di un filosofico sogno di onnipotenza che pian piano diventa

indistinguibile dalla realtà, ed infine incubo: ruotando intorno al

paradosso per cui la libertà assoluta si crea una resistenza all'agire

non nel pensiero, ma semplicemente nella lingua, essa apre con largo

anticipo il problema dell'ambigua simbolicità del linguaggio

trascendentale di Fichte. Non si può rimproverare a Jean Paul di aver

capito male il senso della terminologia fichtiana, perché questa è usata

da Fichte in modo da escludere ogni rapporto immediato tra

significante e significato: la riflessione instaura delle tautologie prive

di rinvio al reale, per poter fondare trascendentalmente la struttura

del reale medesimo; ma così facendo, l'idealismo rompe con la

prudenza kantiana ed inaugura un nuovo metodo – per metà narrativo

e per metà filosofico – di impiegare il linguaggio. Secondo Jean Paul,

l'ambiguità di questo metodo nasconde un circolo vizioso: nel concetto

l 'occasione e le circostanze del suo smarrimento filosofico, che culmina nella

convinzione, da parte di Leibgeber, di essere egli stesso l'autore della Dottrina della

scienza , e dunque un nuovo doppio, questa volta di Fichte. Ma, trattandosi pur

sempre di un personaggio romanzesco dietro cui si cela l 'identità di Jean Paul,

Leibgeber rinvia continuamente al suo creatore, che si pone così come l'autentico

doppio rovesciato del filosofo Di Rammenau” (Eleonora de Conciliis e Hartmut

Retzlaff, “Avvertenza per il lettore”, pp. 12-14, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu

leibgeberiana , cit) .

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di produzione del mondo sensibile, che si verifica perché sia possibile

l'agire, Fichte avrebbe già presupposto linguisticamente l'agire stesso.

Ma la Dottrina della Scienza occulta questo circolo, quando fa un uso

arbitrario – simbolico – dei vaghi significati risuonanti nelle parole

'produrre' e 'agire': essa, intendendo fondare teoreticamente il

comportamento umano, ha scambiato la conoscenza (l'enunciazione

linguistica) per l'azione”63.

Dobbiamo anzitutto notare che questo testo, a carattere filosofico,

non può essere inteso come un vero e proprio trattato di filosofia: Jean

Paul riprende qui le terminologie e i modi di procedere tipici della

filosofia al fine di confutarli attraverso il potente mezzo dell'ironia; il

linguaggio filosofico viene qui deformato e ridicolizzato, ossia portato

ai suoi eccessi al fine di mostrarne l'inconsistenza64. A tal proposito

6 3 Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, pp.

119-120, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana , cit.64 Sulla struttra del testo vedasi ad es. quanto scrive Sandra Hesse: “Der Text der

Clavis Fichtiana besteht aus drei Teilen. Der erste Teil ist mit Vorrede , der zweite mit

Protektorum für den Herausgeber und der dritte mit Clavis betitelt. Verbunden sind

diese Teile durch eine literarische Fiktion, die Jean Paul in der Vorrede und dem

Protektorium entwirft. Dort wird gleichsam die Geschichte eines Romanautors erzählt,

dem eine seiner Figuren unversehens al real gewordene Person gegenübertritt. Bei

diesem Romanautor handelt es sich um >Jean Paul<, also nicht um den historischen,

außerhalb seiner Werke existierenden Jean Paul, sondern um einen jener fiktionalen

Stellvertreter, die das Werk realen Jean Paul bevölkern. Im Protektorium berichtet

dieser >Jean Paul< nun, dass er, ohne selbst zur Feder gegriffen zu haben, von einer

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scrive Eleonora De Conciliis: “Nella Clavis fichtiana seu leibgeberiana il

lettore cercherà invano quella filosofia seria o accademica, che Jean

Paul disprezzava cordialmente; egli voleva che il suo pamphlet

confutasse l'idealismo ridicolizzandolo: nello scherzo doveva

nascondersi la verità. Una verità che, a dispetto di quanti sono stati

tentati di liquidare il testo come un cumulo di farneticazioni, indusse

Fichte a prenderlo sul serio ed a confrontarsi con il suo autore”65.

La filosofia accademica, rappresentata dall'idealismo fichtiano, non

viene qui confutata con le medesime armi dell'argomentazione, bensì

viene messa in ridicolo mostrando come un siffatto discorso, se

portato alle sue estreme conseguenze, possa apparire in una veste

ridicola che ne confuta i contenuti più di qualsiasi serrata critica

costruita su coerenti dimostrazioni logico-razionali. La Clavis non è

aus seinem Siebenkäs bakannten Gestalt, nämlich Leibgeber, einen Brief erhalten habe,

in dem ihn dieser bitte, einen seinem Schreiben beiliegenden Text zur Philosophie

Fichtes – die Clavis – herauszugeben. >Jean Paul< kommt dieser Bitte nach. Dabei setz

er sich allerdings über eine implizite Aufforderung Leibgebers hinweg. Dessen

Schreiben enthält nämlich eine weitere, wenngleich indirekte Bitte: die, dass >Jean

Paul< lediglich als Herausgeber und nicht etwa – aus Furcht vor Angriffen auf seine

Person, die er sich durch die Herausgeberscharf zuziehen könnte – auch als Lektor

und Kommentator der Clavis fungieren möge„ (S. HESS E , “Mir (empirisch genommen)

grauset vor mir (absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen

Reflexion in Jean Pauls Clavis Fichtiana”, Jahrbuch …der Jean-Paul-Gesellschaft.-

Weimar: Verlag Hermann Böhlas Nachfolger Weimar Erscheint jährlich.- Früher im

Verl. Mühl, Bayreuth.- 2005, p. 114). 6 5 Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, p.

116, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana , cit.

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dunque un trattato filosofico bensì un pamphlet satirico; scrive

Eleonora De Conciliis: “In filosofia, esattamente come in politica, la

satira si assume il compito di dissolvere le illusioni ideologiche; nella

Clavis, lo strumento con il quale Jean Paul sceglie di far andare,

secondo le sue stesse parole, in 'metastasi' il pensiero di Fichte, è il

linguaggio: attraverso l'uso virtuosistico della metafora, dell'ipotassi,

della digressione e della sospensione del discorso, la lingua tedesca gli

permette di creare una sorta di rizomatico rispecchiamento formale

dell'Io fichtiano, che ruota però attorno ad emozioni reali, a paradossi

empirici pieni di contenuto concreto. Se la filosofia trascendentale

fichtiana si autofonda nel puro pensiero e nella facoltà linguistica

coagulata intorno al deittico 'io', Jean Paul mostra il rovescio di tale

fondazione: davanti al lettore della Clavis si aprono le infinite

possibilità deliranti del linguaggio che dice 'io' e gli s mostra, come in

un caotico affresco, l'immagine capovolta dell'idealismo e delle sue

aspirazioni sistematiche. Attraverso la proliferazione incontrollata

della scrittura, Jean Paul persegue una sorta di scomposizione

dell'autocoscienza fichtiana, creando una Dottrina della Scienza

schizoide e in miniatura – una filosofia 'esplosa', nella quale l''Io' è

allo stesso tempo assoluto, empirico, divisibile, megalomane e

desiderante. Vi si illustrano tutte le conseguenze della pretesa

fichtiana di fondare l'esistenza del mondo sull'Io, e di stabilire

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contemporaneamente l'esistenza di una molteplicità di soggetti empirici.

Per mostrare quanto questa pretesa sia assurda, Jean Paul non si limita

a riprendere alcuni argomenti di Jacobi, ma si attiene al proprio

metodo satirico: invece di costruire un sistema, egli semplicemente ne

critica un altro, respingendo ciò che in esso non va. Jean Paul si sottrae

così alla seduzione di plausibilità tipica del sistema filosofico,

credendo che l'unica a poter pretendere di sedurre senza convincere

non sia la filosofia, ma la letteratura: in quanto la finzione letteraria è

anti-sistematica, egli la sceglie come alternativa alla filosofia; con essa,

e non con la ragione, combatte l'ateismo e lo scetticismo. E negli stessi

anni in cui il giovane Fichte si lasciava sedurre dal sistematico e

razionale Kant, in Jean Paul nasceva una sorta di venerazione per l'ex

stürmeriano Herder (del quale, peraltro, criticava lo spinozismo

panteistico ed ogni tentativo di compartimentazione specialistica del

sapere): da lui avrebbe mutuato lo spirito linguistico col quale

confutare il Grundsatz della Dottrina della Scienza”66.

Notiamo a margine che a queste considerazioni possono essere

ricollegate alcune riflessioni di Hartmut Retzlaff che, in un commento

al paragrafo centrale della Clavis, ossia il paragrafo 13, scrive: “Questo

rito della rappresentazione del linguaggio è stato definito come la fine

del pensiero classico. Fondamentalmente per il 'pensiero classico' era

6 6 Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, pp.

117-118, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana , cit.

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l'ontologia nella quale il mondo è rappresentabile; tutta la discussione

settecentesca a proposito dell'origine delle lingue non abbandona

quest'assioma. Lo schema delle corrispondenze che regnava nel

pensiero classico' trova il suo parallelo nelle concezioni economiche

che consideravano il bisogno fisico e materiale, cioè il valore d'uso, il

riferimento assoluto per i valori di scambio. Foucault colloca il

passaggio dal valore d'uso al valore di scambio dal passaggio da Smith

a Ricardo, oppure, più genericamente, nel passaggio dal Settecento

all'Ottocento, quando le analogie 'classiche' vengono sostituite da

concetti riflessivi. Da allora in poi il pensiero filosofico non è più

congruente con il sapere pragmatico e con la sopravvivenza nel mondo

reale. Qui troviamo la costellazione storica in cui collocare la tanto

acida critica jeanpauliana al 'porre' della 'riflessione pura' di Fichte”67.

Anche Adriano Fabris spende alcune parole circa la critica

jeanpauliana dell'io fichtiano: “Se [...] l'io stesso, in quanto tale, risulta

in sé scisso, allora sostenere, fichtianamente, che 'Io è uguale a Io'

equivale ad affermare una stabilità che non può affatto essere

mantenuta. Significa rischiare, in altre parole, di presentarsi

tragicamente esposti [...] davanti all'irrompere, che non tarderà a

verificarsi, del proprio 'doppio'. Un 'doppio' che [...] è indice del fatto

che esso [...] non è in grado di dominare, non soltanto le sue creature,

67 Hartmut Retzlaff, “Il paragrafo 13, visto da vicino”, pp. 139-140, in Jean Paul, Clavis

Fichteana seu leibgeberiana , cit.

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ma neppure la sua propria identità. [...] L'io è, in se stesso, altro da sé,

ma [...] questo altro, nel contempo, si configura come sosia, immagine

dell'io: addirittura, a volte, come l'unica sua vera espressione. [...] Si

tratta di un processo che non conduce affatto, in ultimo, a un sicuro

possesso di sé, ad un'autoaffermazione dell'io, ma che nel sé, come in

uno specchio, vede rifrangersi l'altro, in mille modi e secondo mille

deformazioni. Gacché solo nell'altro risiede il fondamento autentico

dell'io. E tuttavia, proprio nel momento in cui [...] ci si accorge che

questa stessa alterità dell'io è insensata, e che tutto è vano, ecco che

l'io stesso appare vuoto, inutile, come uno specchio che nulla riflette.

Si compie così, in definitiva, una radicale correzione del fichtiano

'Primo principio assolutamente incondizionato' della Dottrina della

scienza del 1794/95: quello per cui l'io 'si pone nel mezzo del suo mero

essere ed è per mezzo del suo mero esser posto'. L'io, infatti, potrebbe

porre arbitrariamente anche il proprio annullamento. Come vien detto

nel Discorso del Cristo morto: 'Se ogni io è padre e creatore di se stesso,

perché non può essere anche il proprio angelo sterminatore?'”68.

Jean Paul vs. Fichte

Come abbiamo visto, Fichte risulta essere il vero bersaglio polemico,

a livello filosofico, del testo che abbiamo precedentemente preso in

6 8 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean

Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo , cit., pp. 54, 55, 61.

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esame: la Clavis fichtiana seu leibgeberiana69. Fichte rappresenta, per

Jean Paul, uno dei principali emblemi di quel fenomeno, detto

“nichilismo”, che porterebbe ad una distorsione degli elementi

originari e genuini di quel movimento, caratteristico dell'età moderna,

detto “romanticismo”. Entrambi sono frutti dell'epoca moderna, ed

entrambi si avvalgono delle medesime facoltà estetico-conoscitive, e in

particolare della fantasia (o immaginazione) e del genio. Il poeta

nichilista, potremmo dire, è un poeta romantico che ha perduto il

controllo di sé e delle proprie forze: dotato di una forza mostruosa, la

Einbildungkraft, egli non sa però controllarla e, al pari del sonno della

ragione, la veglia troppo prolungata della fantasia genera mostri.

69 Sandra Hesse mostra ad esempio la duplice lettura della Clavis attraverso cui Jean

Paul viene elaborando le sue critiche all'idealismo fichteano: “Die zweifache

Darstellung von Fichtes Philosophie als solipsistischer Theorie, die die Clavis bietet,

wurde von der Forschung allein in ihrer Valenz als ontologischer Solipsismus

wahrgenommen und dabei von den ältern Autoren häufig als Produkt eines

Mißverständnisses gewertet: die Haltung, die Jean Paul Fichte unterstelle, sei von

diesem keineswegs vertreten worden; als (ontologischer) Solipsismus stelle sich die

Wissenschaftslehre Jean Paul bloß deshalb dar, er das absolute Ich mit dem

empirischen Ich verwechsle und für ein ontologisches Prinzip halte, also die Rede

vom >Setzen< als Existenzstiftung fehlinterpretiere. Was hier Jean Paul, dem realen

Verfasser der Clavis , angelstet wird, ist jedoch zunächst einmal Leibgeber, dem

fiktiven Verfasser, in Rechung zu stellen„ (S. HESS E , “Mir (empirisch genommen)

grauset vor mir (absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen

Reflexion in Jean Pauls Clavis Fichtiana”, Jahrbuch …der Jean-Paul-Gesellschaft.-

Weimar: Verlag Hermann Böhlas Nachfolger Weimar Erscheint jährlich.- Früher im

Verl. Mühl, Bayreuth.- 2005, p. 123).

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Uno degli artefici di questo modo di pensare è, secondo Jean Paul,

colui che potremmo definire il vero padre del Romanticismo, come

esso viene oggi inteso, ossia Fichte. Egli rappresenta quel vaso di

Pandora che non può essere richiuso e che erompe con forza nel

mondo, riscrivendo in modo nuovo le categorie kantiane.

Se è vero che tutta la cultura romantica nasce come tentativo di

risposta a Fichte, di certo lo stesso Jean Paul non può essere escluso

dal novero di quanti, in modo più o meno polemico, si siano accostati

a quella novità assoluta costituita dalla Dottrina della scienza fichteana.

Proprio leggendo e commentando questo testo viene usato, in senso

proprio, il termine “nichilismo”, che Jean Paul è tra i primi ad

utilizzare in modo ricorrente e sistematico. Questo termine diviene

centrale nel dibattito filosofico con la polemica di Jacobi contro Fichte

del 1798-99, ovvero contro la filosofia trascendentale, accusata di

dissolvere il mondo in apparenza; in questa polemica intervennero

anche Wackenroder, Clemens Brentano, Von Kleist, e appunto Jean

Paul.

Il Nostro, nello stesso anno in cui aveva pubblicato il romanzo

Siebenkäs, contenente il “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto

dell’universo sulla non esistenza di Dio”, ossia nel 1796, aveva avuto

modo di conoscere di persona Goethe, Schiller e soprattutto Herder,

col quale stringerà una forte amicizia. In quel periodo, in cui inizia a

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scrivere il Titan e la Clavis fichtiana, intraprende una serrata

corrispondenza con Jacobi, di cui condivide la religiosità anti-

idealistica. Pochi mesi dopo, ma prima dello scoppio della “polemica

sull'ateismo”, conosce Fichte a Jena e ha modo di discutere con lui

circa i contenuti della Dottrina della scienza. A seguito di questo

incontro, e stimolato dal dialogo con Jacobi e con Herder, scrive la

Clavis fichteana seu leibgeberiana, che vedrà la luce nel 1800.

Questo testo, come abbiamo cercato di illustrare, non intende

rispondere all'idealismo fichtiano criticandolo sul piano teorico, come

farà ad esempio Schelling, nel 1795, con la sua recensione negativa alla

Dottrina della scienza fichtiana intitolata Sulla possibilità di una forma

della filosofia in generale, né tanto meno elaborando un sistema

filosofico alternativo – si prenda ancora come esempio Schelling e il

suo Sistema dell'idealismo trascendentale. Jean Paul decide invece di

mostrare l'assurdità, e anche i rischi, di un sistema come quello di

Fichte cercando di portarlo alle sue estreme conseguenze, ossia

esagerandone i tratti fondamentali attraverso la potente arma

dell'ironia. Secondo Jean Paul, l'idealismo fichtiano è sinonimo di

solipsismo, in quanto porta ad un distacco dalla realtà, e dunque, in

ultima analisi, di nichilismo70. 70 “Die Epochen-Kritik, die Jean Paul auf diese Weise in seiner Clavis Fichtiana

entfaltet, birgt nun insofern eine latente Selbstkritik, als der fiktionale >Jean Paul<

auf den realen Jean Paul verweist. Die Kritik, die Jean Paul in der Vorschule an seiner

eigen Dichtung übt, indem er ihr Affinität zum poetischen Fichteanismus

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Il nichilismo è dunque quel fenomeno che si manifesta in varie

forme: nella poesia, laddove il poeta pretenda di fare un uso

sconsiderato della propria fantasia illudendosi di poter prescindere da

ogni modello nel momento della creazione della propria opera;

nell'esperienza della vita di tutti i giorni, in cui è possibile esperire in

modo diretto la morte e, provando angoscia dinanzi ad essa, arrivare a

concepire il mondo nella propria vacuità, inutilità e assenza totale di

valori, a cominciare da Dio stesso che viene meno; nel solipsismo

idealistico, infine, in cui l'io schizoide e scisso pretende di essere

fondamento di se stesso e del mondo intiero, perdendo in tal modo

ogni contatto col mondo reale.

Leggiamo a questo proposito una bellissima pagina di Eleonora De

Conciliis, che molto bene si ricollega alle riflessioni che abbiamo

frühromantischer Prägung bescheinigt, präfiguriert er in der Clavis Fichtiana , indem

er seinem fiktionalem Stellvertreter als poetischen Fichteaner agieren lässt . Während

sein Alter ego mit der Kritik am potischen Fichteanismus eine Selbstkritik formuliert,

ohne sich dessen bewusst zu sein, gestaltet Jean Paul seine Kritik an der

Wissenschaftslehre und den Geist der Zeit in Form eines ausgeklügelten Textgefüges,

das den Blick auf seinem Autor zurücklenkt. So birgt die Auseinandersetzung mit

dem absoluten >>alles gebärende[n]<< Ich Fichtes eine Schöpfertum reflektiert – ganz

so, als klage dieser gemeinsam mit seinem Leibgeber: >>Mir (empirisch genommen)

grauset vor mir (absolut genommen)<<, vor dem in mir wohnenden grässlichen

Demogorgon .<< (I/3, 1049)„ (S. HES S E , “Mir (empirisch genommen) grauset vor mir

(absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen Reflexion in

Jean Pauls Clavis Fichtiana”, Jahrbuch …der Jean-Paul-Gesellschaft.- Weimar: Verlag

Hermann Böhlas Nachfolger Weimar Erscheint jährlich.- Früher im Verl. Mühl,

Bayreuth.- 2005, p. 149).

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condotto sin qui: “Il filosofo idealista perde il senso della realtà e

muore al mondo, poiché è isolato nella propria soggettività: egli è un

suicida. La reazione a ciò è lo spostamento della filosofia verso

l'estetica, dove il nesso centrale è quello fra soggetto e mondo:

soltanto l'estetica pone in relazione i diversi 'mondi' individuali che

popolano la realtà. La fantasia e la creazione artistica reggono in tal

modo alla disgregazione del soggetto; giocando con la molteplicità dei

linguaggi, esse rappresentano un mondo altro capace di arginare

ironicamente la minaccia del disgregamento: assecondandola, la

esorcizzano, mentre la pura ragione, chiusa nella fortezza dell'Io,

rischia di sprofondare nella follia. Per guadagnare l'infinità dell'Io,

Fichte finisce con perdere il mondo; ma perdendo l'oggetto, il soggetto

perde anche se stesso. Secondo Jean Paul, non è l'Io infinito a porre il

mondo, e neppure esso è costituito dalla morta materia: il mondo

esplode piuttosto dal nulla, e con il linguaggio lo si percorre per

divertimento, prima di ritornare al nulla; la ragione, inventando

mondi, coniuga l'immaginazione produttiva (Einbildungskraft) alla

facoltà dell'ingegno (Witz), che crea giocosamente l'oggetto letterario.

L'estetica jeanpauliana, a differenza di quella protoromantica, è in

questa prospettiva la vera madre dell'etica: soltanto l'arte è capace di

evitare l'arroccamento solipsistico dell'Io in se stesso, e di fornire

all'uomo quei mondi immaginari del desiderio, in cui vengono

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incontrati gli altri esseri umani e rappresentate – senza negarle – le

parti conflittuali del proprio io. La realtà, linguisticamente percepita, è

il contro-veleno che ha da prendere il filosofo se vuole sfuggire al

suicidio,se vuole ottenere una sintesi immaginativa fra esterno ed

interno. Così Jean Paul riduce la differenza, pur sempre mantenuta da

Kant, tra filosofia ed arte (una differenza che nascondeva in effetti

un'alternativa, ed una coerente scelta kantiana a favore della filosofia);

l'artista non inventa sistemi, ma epopee, romanzi, dunque inventa in

senso artistico – crea nuove idee: l'arte non è una menzogna, ma uno

sforzo morale, e dunque una forma diversa di filosofia”71.

Questa parole confermano la tesi che abbiamo cercato di far

emergere nelle nostre pagine, ossia che il concetto di nichilismo goda

in ultima analisi di una genesi di tipo estetico. Questo concetto nasce

infatti proprio con Jean Paul, o comunque attorno a lui, tra quei

pensatori che in un modo o nell'altro hanno cercato di contrapporsi

all'idealismo fichtiano. Oggi, quando si parla di nichilismo, si pensa

subito ad una categoria ontologica, ad un concetto metafisico

elaborato sul piano teorico. La genesi del concetto di nichilismo va

invece ricondotta all'ambito estetico sia in senso storico che in senso

ideale. Sul piano storico, è facile mostrare – ed è ciò che abbiamo fatto

sin qui – che il termine “nichilismo”, e il dibattito intorno ad esso,

71 Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, pp.

134-135, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana , cit.

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nascono proprio nel settore della critica letteraria, ossia della

riflessione estetologica intorno allo statuto della poesia e delle altre

forme artistico-letterarie, che si sviluppa tra la fine del Settecento e gli

inizi dell'Ottocento, proprio tra le pagine jeanpauliane e tra quelle dei

suoi contemporanei. Sul piano delle idee, invece, abbiamo cercato di

mostrare che quello di nichilismo non è semplicemente un vuoto

concetto filosofico che risulti da un'elaborazione teorica all'interno di

un pensiero razionale e sistematico, bensì che esso si dà in prima

istanza come esperienza diretta: esso si colloca cioè sul piano della

sensibilità, e solo in un secondo momento può essere desunto

dall'intelletto per esser trasformato in una categoria concettuale.

Nichilismo è dunque, a detta di Jean Paul, anzitutto l'esperienza,

sentita e vissuta, della vacuità della vita resa vana dalla morte che

incombe ed angoscia: dalla morte propria, in quanto anticipata; dalla

morte altrui, in quanto esperita nella vita di tutti i giorni; dalla morte

di Dio, infine, che rappresenta, sul piano assiologico, la perdita di

valori tipica dell'epoca del nichilismo che in quegli anni sta venendo

alla luce. Nichilismo è, in secondo luogo, la conseguente assurda

pretesa dell'io, resosi consapevole della vanitas mundi, di poter

produrre da sé se stesso e il mondo. Nichilismo è, infine, in ambito

artistico, quella forma di poesia che crede di poter rinunciare alla

lezione degli antichi e all'approccio mimetico da loro elaborato,

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avvalendosi della facoltà, tipicamente romantica, del genio, utilizzata

però non in modo equilibrato, bensì portata ai suoi eccessi. Lo scopo

di Jean Paul consiste dunque nel portare alla luce siffatte dinamiche,

mostrando come il pensiero di Fichte sia una delle manifestazioni

dell'approccio nichilistico dilagante, al fine di poter elaborare un

approccio estetico al mondo di tipo nuovo, che tenga insieme

l'insegnamento degli antichi e il progresso dei moderni, attraverso una

categoria estetica innovativa e potente, che sappia contrapporsi al

nichilismo e ai suoi esiti negativi: l'ironia.

L'analisi che Jean Paul conduce nella Vorschuele der Ästhetik, che noi

abbiamo seguito sino alla chiarificazione del concetto di poesia

moderno-romantica nei suoi rapporti con la poesia antica, con la

poesia materialistica e con la poesia nichilistica (su cui ci siamo

soffermati maggiormente), proseguirà nel prossimo capitolo

evidenziando ulteriori tratti caratteristici dell'arte romantica rispetto a

quella antica, ravvisando nel concetto di “ironia” la cifra del genere

letterario “moderno” in contrapposizione a quello “classico”. Di qui la

necessità di studiare le nozioni di “ironia”, “ridicolo” o “comico”,

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“umorismo”72, “arguzia” (o “motto di spirito”), ecc., laddove giocherà

un ruolo di primo piano il concetto di Witz.

7 2 A tal proposito bisogna citare un curioso riferimento che Jean Paul fa all'interno

della Propedeutica all'estetica , laddove parla del concetto di umorismo, che noi

affronteremo nel capitolo successivo: “Nell'umorismo l'io gode di un risalto

parodistico, e questa peculiarità spinse 25 anni or sono molti autori ad omettere l'io

grammaticale per meglio evideziarlo mediante l'elllissi. Un autore migliore di loro lo

sostituì, parodiando la parodia, con dei tratti in grassetto che sottolineavano la

soppressione: parlo ancora del delizioso Musäus nei suoi Viaggi fisiognomici , questi

veritieri e pittoreschi viaggi i piacere del comus e del lettore. Ben presto, gli io defunti

risorsero in massa grazie all'aseità, all 'egoità e al vocalismo egolatrico di Fichte”

(Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 135, tr. it . Jean Paul, Il comico, l'umorismo e

l'arguzia , cit., pag. 141).

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PARTE SECONDA

LA “POESIA ROMANTICA” IN JEAN PAUL:

IL GENIO E L'ARGUZIA

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CAPITOLO TERZO

LA “POESIA ROMANTICA”

L'essenza dell'età moderna, ovvero il periodo in cui Jean Paul scrive,

coincide, a suo dire, con il Romanticismo. Il punto consiste dunque nel

trovarne i tratti caratteristici, al fine di giungere ad una soddisfacente

definizione della poesia moderna, che altrimenti rischia di vacillare tra

i due estremi che già abbiamo visto all'opera: il materialismo e il

nichilismo.

Uno degli errori dell'età moderna consiste, secondo Jean Paul,

nell'esaltare oltremodo l'antichità a discapito della contemporaneità:

“Nessuna epoca è soddisfatta della propria epoca; ovvero, i giovani

idealizzano l'avvenire in rapporto al presente, ed i giovani attempati

in rapporto al passato. Riguardo la letteratura, pensiamo allo stesso

tempo come dei giovani e come degli anziani”73; e ancora: “Abbiamo

7 3 ”Keine Zeit ist mit der Zeit Zufrieden; das heißet, die Jünglinge halten die künftige

für idealer als die gegenwärtige, die Alten die vergangne. In Rücksicht der Literaur

denken wir wie Jünglinge und Greise zugleich. Da der Mensch für seine Liebe

dieselbe Einheit sucht, die er für seine Vernunft begehrt; so ist er so lange für oder

wider Völker parteiisch, als er ihre Unterschiede nicht unter einer höhern Einheit

auszugleichen weiß. – Daher mußte in England und noch mehr in Frankreich die

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vantato la più alta potenza delle dottrine greche con soggetto dei ed

eroi. Tuttavia, bisogna sempre guardarsi dal sistemare l'anima di un

popolo in uno dei molteplici elementi che formano la sua vita, e di

credere che i frutti, che le uova di cui si nutre siano una fioritura, una

covata prossima a schiudersi”74. Non si tratta certo di disconoscere la

lezione degli antichi, ma semplicemente di ridimensionarla, al fine di

poter dare anche alla propria epoca il giusto peso.

Scrive Jean Paul: “Con una maggiore coscienza, reclamiamo una

migliore coscienza di noi stessi. – E infine (per nominare il cattivo

genio dell'arte), la poesia era un tempo oggetto del popolo, come il

popolo oggetto della poesia; al giorno d'oggi, si canta da una camera

di studio ad un'altra, che interessa di più i loro due occupanti. Per

divenire parziale, non c'è più nulla da aggiustare. Ma biogna che la

Vergleichung der Alten und Neuern allzeit entweder im Wider oder im Für parteiisch

werden. Der Deutsche, zumal im 19ten Jahrhundert, ist imstande, gegen alle Nationen

– seine eigne verkannte ausgenommen – unparteiisch zu sein.”, Jean Paul, Vorschule

der Ästhetik , cit., pag. 82.7 4 Scrive Jean Paul: ”Wir priesen oben die Kraft der griechischen Götter- und Heroen-

Lehre. Nur aber manche man doch nie im vielgliederigen Leben eines Volks irgendein

Glied zur Seele und nicht nährende Früchte und Eier sogleich zu aufgehenden und

ausgebrüteten! Ging nicht der Zug der Götter-Schar aus Ägyptens traurigen

Labyrinthen über Griechenlands helle Berge auf Roms sieben Hügel? Aber wo schlug

sie ihren poetischen Himmel auf als nur auf dem Helikon, auf dem Parnaß und an den

Quellen beider Berge? – Dasselbe gilt von der Heroen-Zeit, welche auch auf Ägypter,

Peruaner und fast alle Völker herüberglänzte, ohne doch in irgendeinem so wie im

griechischen einen poetischen Widerschein nachzulassen.”, Jean Paul, Vorschule der

Ästhetik , cit., pag. 84.

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verità abbia colpito con tutta la sua franchezza! – A dire il vero, è

perfettamente vano fissare tutti i popoli – e di più le loro epoche – e,

per finire, i giochi di colore sempre mutevoli dei loro geni – cioè un

grande corpo vivente, dalle membra multiple, sempre diverse in

primavera, – ossia fissarli ad una coppia di larghe generalità (come la

poesia plastica e romantica, o oggettiva e soggettiva) come se li si

stesse inchiodando a due assi sulla croce; poiché, senza dubbio, questa

divisione è vera, tanto vera quanto la divisione analoga della natura in

linee diritte e linee curve (laddove quella curva, visto che è infinita, è

la poesia romantica), da cui la divisione in quantità e qualità; e tanto

giusta quanto la divisione che scinde tutta la musica tra quella in cui

domina l'armonia e quella in cui domina la melodia o, più brevemente,

in un regno della simultaneità e in uno della successione; è inoltre

tanto giusta quanto le distinzioni polarizzanti e vuote degli esteti

schellinghizzanti; ma la vita dinamica che ha da guadagnare da questa

atomistica arida? Ad esempio, anche la divisione di Schiller tra poesia

ingenua ('oggettiva' sarà più chiaro) e sentimentale (termine, questo,

che non esprime che un aspetto della soggettività moderna) risulta

altrettanto poco efficace nel designare e distinguere il diverso

romanticismo di uno Shakespeare o di un Petrarca, di un Ariosto o di

un Cervantes, ecc., e il termine 'ingenuo' risulta altrettanto inefficace

nel designare e distinguere l'oggettività diversa di un Omero, di un

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Sofocle, di un Job o di un Cesare. Ogni popolo particolare, ed insieme

ad esso la sua epoca, si organizza in un clima di poesia, ed è molto

difficile estrarre, in vista di un sistema, la ricchezza diffusa di questa

organizzazione senza perciò dimenticare tante parti vitali rispetto a

quante ne vengono trattenute. Ciononostante, non si tratterà di

sopprimere la grande distinzione fra poesia greca e poesia romantica:

la scala continua degli animali non sopprime infatti la classificazione

per specie del loro regno”75.

Da queste ultime parole notiamo un aspetto essenziale nel pensiero

di Jean Paul, cui abbiamo già fatto cenno nel paragrafo precedente

mostrando che imitazione e immaginazione non sono due facoltà

eterogenee bensì due tonalità di una scala cromatica continua in cui i

colori si trasfigurano l'uno nell'altro: allo stessomodo, poesia antica e

poesia romantica non sono due compartimenti stagni, due settori

autonomi, eterogenei e privi di relazione l'uno con l'altro. La poesia

antica e quella moderna, in tutte le sue varianti, vanno pensate in

continuità tra di loro, laddove la seconda rappresenta uno sviluppo

della prima e non qualcosa di autonomo ed isolato: porre infatti delle

vuote distinzioni significa depauperare la vita della propria

dinamicità e continuità, della propria forza inarrestabile, pretendendo

di scomporla in elementi fissi e statici, a mo' di atomi, che hanno senso

7 5 ”[Wir] dringen mit mehr Selbstbewußtsein jetzo auf mehr Selbstbewußtsein.”, Jean

Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pagg. 85-86.

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solo nelle scomposizioni e ricostruzioni degli scienziati ma che non

hanno piglio alcuno all'interno della fatticità e della motilità della

vita. Ossia, la poesia per Jean Paul rappresenta la più alta

manifestazione dello spirito di un popolo (abbiamo poc'anzi letto che

“ogni popolo particolare e la sua epoca si organizzano in un clima di

poesia”), ma lo spirito dei popoli si sviluppa storicamente, attraverso

gli influssi che un popolo recepisce da un altro e viceversa. La poesia

romantica non sarebbe dunque pensabile senza quella antica: esse si

trovano sì in continuità tra di loro, ma ciò non toglie che ciascuna

possa conservare le proprie differenze specifiche

Si tratta ora di giungere ad una determinazione dell'essenza della

poesia romantica; leggiamo le parole di Jean Paul con cui si apre il §

23: “L'origine il carattere di tutta la poesia moderna si deduce così

facilmente dal cristianesimo che potremmo anche chiamare la poesia

romantica 'poesia cristiana'”76. Leggiamo, attraverso le parole stesse di

Jean Paul, le motivazioni attraverso cui egli stesso giustifica questa

sua affermazione, che in quegli anni generò alcune polemiche77: “Tale

7 6 ”Ursprung und Charakter der ganzen neuern Poesie lääßt sich so leicht aus dem

Christentume ableiten, daß man die romantische ebensogut die christliche nennen

könnte.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 93.7 7 Si rende qui necessario un chiarimento: nella edizione precedente era il paragrafo

precedente che si apriva con le parole poc'anzi citate (secondo cui “l 'origine il

carattere di tutta la poesia moderna si deduce così facilmente dal cristianesimo che

potremmo anche chiamare la poesia romantica 'poesia cristiana”), mentre, nella

versione definitiva, esso risulta preceduto da un paragrafo, il § 22, che si apre con le

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ad un Supremo Giudizio, il Cristianesimo estirpa l'intiero mondo dei

sensi con tutte le sue seduzioni, lo riduce fino a non essere che il

debole rigonfiamento di una tomba, di un'orma di cielo, e mette al suo

posto un nuovo mondo di spiriti. La demonologia diviene la mitologia

propria del mondo dei corpi, e i diavoli tentatori andranno a

medesime parole, poste tra virgolette, al fine di spiegare tale frase preliminare, in

quanto era divenuta oggetto di critiche da parte di Boutewerk e soprattutto di Horn,

in quale aveva fatto notare che il rigetto cristiano della sensualità non può costituire

l 'essenza della poesia romantica, in quanto quest'ultima, soprattutto in riferimento

agli sviluppi della “poesia meridionale”, si caratterizza al contrario per una

sensualità esacerbata (cfr. a tal proposito quanto scrive in nota il traduttore francese:

“C'est-à-dire Bouterwek et surtout F. Horn qui, dans sa critique du Cours , avait fait

observer que le rejet chrétien de la sensualité ne peut constituer l 'essence de la poésie

romantique, si celle-ci, en particulier à l 'époque florissante de la litérature

méridionale, se caractérise au contraire par une sensualité exacerbée” , Jean Paul,

Cours preparatoire d'Esthetique , cit., p. 91). A fronte di queste critiche, Jean Paul

introduce, nell'ultima edizione, un paragrafo (§ 22), che reca il titolo: “Essenza

dell'arte poetica romantica, differenze fra quella del sud e quella del nord”; qui egli

cerca appunto di dar ragione della propria affermazione, secondo cui la poesia

romantica può essere detta poesia cristiana, anche alla luce della distinzione tra

poetica romantica del sud (Italia e Spegna) e del nord. A tal proposito, basti notare

che la soluzione proposta da Jean Paul ripete la sua concezione secondo cui tra

imitazione e immaginazione, e tra poesia antica e poesia moderna, non vi sarebbe

discontinuità bensì continuità: le poesie del sud presentano tratti più difficilmente

riconducibili a quegli aspetti tipicamente cristiani che invece contraddistinguono la

poesia romantica del nord, e ciò sta ad indicare, ancora una volta, che sarebbe

ingenuo pretendere di parlare di un'unica specie di “poesia romantica”, laddove

questa, soprattutto in determinate aree geografiche e in precisi momenti storici, si è

sviluppata in modi diversi in quanto ha subito influssi di vario genere. Se la poesia

del nord può dunque, a pieno titolo, venir chiamata “poesia cristiana”, le poesie del

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sistemarsi negli uomini e nelle statue degli dei; ogni presenza sulla

terra sarà svanita per un avvenire in cielo. Che cosa resta allora allo

spirito poetico, prima che il mondo esteriore sia crollato? – Questo

mondo interiore, nel quale l'altro crolla. Lo spirito discende in lui

stesso, discende nella sua notte e vive di spiriti. Ma come la finitezza

non concerne che i corpi, e come negli spiriti tutto è infinito o

inaccessibile, il regno dell'infinito si mette a fiorire nella poesia, sotto

le ceneri della finitezza. Angeli, diavoli, santi, fortunati, così come

l'Essere infinito, non avevano nessuna carne divina, né forma

corporale; così il mostruoso e l'incommensurabile aprivano i loro

abissi; al posto della gioia serena dei Greci, ora un'infinita nostalgia,

ora la beatitudine ineffabile, – la dannazione senza né fine né limiti –

nord, d'altro canto, conservano caratteristiche proprie del Cristianesimo, che sono

state però storicamente mediate e modificate per tramite di influssi orientali, ad

esempio, o pagani. (Per tali ragioni, è possibile – a detta di Jean Paul – classificare

anche la poesia orientale, e in particolare quella indiana, come poesia “romantica”

perché, pur non avendo relazioni con la religione cristiana, presenta molti più aspetti

in comune con la poesia romantica che non con quella antica). Scrive Jean Paul: “Va

da sé che il Cristianesimo, benché padre comune dei bambini romantici, deve

generare certi figli al sud, e certi altri al nord. Bisogna che in Italia, il cui clima la

rende simile alla Grecia, il romanticismo del sud, ad esempio in un Ariosto, abbia un

soffio più sereno, e s'involi e dilegui meno lontano dalla forma antica che ne fa, in

uno Shakespeare, il romanticismo del nord, come di nuovo, quello del sud, nella

scottante Spagna, prenda una figura differente e più arditamente orientale. La poesia

e il romanticismo del nord sono un'arpa eolia che traspone la poesia e il romanticismo

del nord, che risolve il clamore in accordo, ma una malinconia trema sulle sue corde,

e talora anche un dolore straziante” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 92).

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la paura degli spiriti, che trama davanti ad essa stessa, – l'amore

esaltato e contemplativo – la rinuncia senza limiti, – la filosofia

platonica e neoplatonica. Nella vasta notte dell'infinito, l'uomo

provava più spesso la paura che la speranza. La paura è già più

potente e ricca della speranza [...], poiché la paura, ben più della

speranza, rende la fantasia feconda di immagini”78.

Due sono i tratti precipui che distinguono la poesia romantica da

quella antica: il genio, di cui già si è detto nel paragrafo precedente, e

l'ironia, e in particolare il Witz, che saranno oggetto di studio della

Seconda Parte del presente lavoro.

La poesia romantica – possiamo azzardare – consiste nella perfetta

sintesi tra la poesia nichilistica e quella materialistica. Entrambe

queste forme, caratteristiche dell'epoca moderna, non risultano infatti

per Jean Paul pienamente soddisfacenti per dare vita ad una forma

artistica equilibrata, scevra di contraddizioni interne e soprattutto

dotata di un nesso effettivo con la realtà, senza prevaricarla (come

accade nel caso della poesia nichilistica) e senza limitarsi a riprodurla

in una copia priva di utilità (come accade nel caso della poesia

materialistica).

In sintesi, l'epoca moderna risulta, a detta di Jean Paul,

caratterizzata da tre forme di poesia: materialistica, nichilistica e

78 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pagg. 93-94.

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romantica. La prima si limita ad emulare la metodologia estetologica

della poesia antica, tra l'altro cogliendone ed esasperandone

unicamente l'aspetto riproduttivo; la seconda pretende invece di

saltare a piè pari la lezione degli antichi, avvalendosi unicamente

della facoltà del genio, inteso però come facoltà di creare ex nihilo.

L'equilibrio tra queste due forme artistiche è dato, secondo Jean Paul,

dalla poesia romantica, che sa modulare in modo coerente e

consapevole la facoltà del genio, che ha il compito di imitare sì la

natura, bensì al fine di operare una riproduzione non banalmente

fedele al modello ma più ricca di esso, dando cioè vita ad una natura

di secondo livello, potremmo dire, ossia ad una sorta di natura

ulteriore, o virtuale, che ha preso spunto dalla natura in sé ma che da

essa si è discostata ed emancipata, seppur presupponendola. L'opera

del genio non consiste dunque nella creatio ex nihilo, che non potrebbe

che portare alla creazione di un mero nulla, ovvero a qualcosa di

totalmente irreale e distaccato dall'esperienza: tale ipotesi risulta,

nell'ottica di Jean Paul, del tutto insensata nonché autocontraddittoria,

dal momento che ogni volta che il genio o la fantasia si mettono

all'opera per creare qualcosa di nuovo, non possono mai prescindere

da un qualche materiale empirico o da una qualche forma data di cui

si è già fatta esperienza; ciò significa che, pur essendo possibile

fantasticare su qualcosa di inesistente come un cavallo alato, sarà pur

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sempre necessario, al fine di costruire questa immagine, partire

dall'esperienza empirica di un cavallo e delle ali di un uccello per

poter dar vita a questa immagine. Ogni creazione artistica non può

dunque prescindere da un sostrato materiale (la natura), ma al tempo

stesso non assolverebbe al proprio compito qualora si limitasse a

riprodurre, con dovizia di particolari, il modello in questione: anche

questa operazione sarebbe infatti altrettanto assurda, per il fatto che la

copia di un modello è, nella sua essenza, già da sempre qualcosa di

altro dal modello stesso, non solo perché realizzata su un supporto

diverso (ad esempio sulla tela di un pittore o tra le pagine di un

romanzo), ma anzitutto per il fatto che il principium individutionis li

costringerà ad essere sempre altri l'uno rispetto all'altro, anche

laddove potessero raggiungere una somiglianza pressoché assoluta (si

pensi ad esempio ad un quadro che riproduce un altro quadro). Creatio

ex nihilo e mera riproduzione del reale sono dunque non solo inutili e

fini a se stesse, ma soprattutto impossibili, in quanto risultano in

ultima analisi in sé autocontraddittorie.

Secondo un'altra ottica, le quattro forme di poesia sin qui prese in

esame (materialistica, nichilistica, antica e romantica) possono essere

interpretate secondo una sorta di rapporto di proporzione del tipo: “la

poesia materialistica sta a quella antica, come quella nichilistica sta a

quella romantica”, laddove la poesia materialistica e quella nichilistica

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sarebbero due forme difettive, derivate ed inautentiche rispetto alle

forme autentiche o genuine, date dalla poesia antica e da quella

romantica. Ovvero, Jean Paul ci sta qui mettendo di fronte ad una

sorta di fenomenologia delle forme poetiche, presentandocele nelle sue

manifestazioni originarie o comunque massimamente complete e

compiute, e anche nelle sue varianti difettive, laddove questo o

quell'aspetto è stato esasperato dando vita a forme artistiche di

discutibile valore, che vanno tuttavia prese in esame dal momento che

risultano ampiamente diffuse nell'epoca moderna. Ecco dunque che il

compito di una Vorschule der Ästhetik, di una propedeutica all'estetica

deve anzitutto consistere nel mostrare le forme artistiche più genuine,

sia al fine di costruire una teoria dell'arte che ne spieghi le dinamiche

più cogenti, ma anche al fine di – potremmo dire – “guidare la mano

dell'artista” (o, in questo caso, del poeta) indirizzandolo verso la

corretta struttura formale di una dinamica artistica e non verso le sue

variazioni perniciose ed infruttuose.

Una volta descritte le forme alterate della poesia antica e romantica,

che consistono rispettivamente nelle varianti moderne della poesia

materialistica e nichilistica, Jean Paul passa a tracciare i tratti salienti

della poesia antica al fine di descrivere, attraverso la facoltà del genio

ma anche attraverso le categorie del ridicolo, dell’umoristico e

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dell’arguto, ciò che gli sta maggiormente a cuore, ossia la poesia

romantica, in cui consiste, a suo dire, la vera essenza dell'età moderna.

Genio e ironia nella poesia romantica

L’opera di Jean Paul è volta, in ultima istanza, a determinare,

attraverso una riflessione aperta sul campo dell’estetica, l’essenza

stessa del romanticismo, inteso come quel particolare movimento del

pensiero umano che cerca di andare oltre i modelli ereditati dalla

classicità, in quanto intende piuttosto rappresentare un nuovo volto

dell’essere al mondo da parte sia dell’uomo che dell’artista. Infatti, al

cambiare del mondo muta l’occhio stesso di chi vive e scruta le nuove

idee, le nuove speranze ed i bisogni fino a poco tempo prima taciuti e

nascosti nelle pieghe più profonde dell’anima della storia. L’irrompere

detonante della Rivoluzione francese (1789-1799) giustifica sul piano

della realtà effettuale ciò che il movimento romantico vuole esprimere

nel campo della cultura e dell’arte. La Rivoluzione compiuta in

Francia negli ultimi anni del Settecento rappresenta infatti, da questo

punto di vista, la cifra della natura stessa delle pretese di

rinnovamento incarnate dal romanticismo, destituendo in maniera

radicale leggi e abitudini secolari fondate nel principio di autorità e

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nella tradizione ereditata fedelmente dal passato. L’umanità che esce

da questa esperienza si trova così di fronte ad inesplorate possibilità

di vita; nel campo della filosofia, in particolare, il pensiero romantico

attraversa, per mezzo di un nuovo modo di concepire della facoltà

dell’immaginazione, gli spazi della ragione dischiusi dalla filosofia

kantiana e fichtiana. Il romanticismo si presenta di conseguenza come

il pensiero di una frattura nata dallo scontrarsi tra istanze opposte,

quasi come se questa contraddizione non sia altro che la radice e la

linfa stessa della sua natura più profonda. Per questo motivo, tra

l’altro, può risultare particolarmente significativo introdurre la figura

di Jean Paul, riferendosi alla spaccatura costitutiva del movimento

romantico attraverso la querelle tra classicismo e romanticismo, o

meglio, usando la stessa immagine jeanpauliana, la disputa tra la

poesia degli antichi e la poesia dei moderni.

La distinzione - poesia degli antichi e poesia dei moderni - viene

ripresa, come è stato appena ricordato, dallo stesso Jean Paul, anche se

in modo più ricco e articolato di quanto lo potrebbe essere la semplice

opposizione binaria su cui, a livello semplicemente introduttivo, si è

fatto riferimento sinora.

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La poesia antica rappresenta, per prima cosa, quella particolare

forma di arte dove il poeta imita la natura. L’operazione compiuta

attraverso l’esercizio di questa mimesis non è però da intendere come

un atto rivolto indistintamente alla natura tout court; l’artista – in

particolare l’artista greco – volge il proprio sguardo in direzione di

quegli aspetti della natura capaci di rappresentare in modo esemplare

quella bellezza che attraversa, anche se modulata in diversi gradi di

intensità, la vita stessa dell’uomo. Il bello, infatti, incarna per il

popolo greco una realtà che si muove ben oltre il semplice ambito

dell’arte, finendo così col pervadere ogni aspetto del reale. Tuttavia,

come già ricordato, la bellezza può esser celebrata solo per mezzo

dell’esercizio di una mimesis rivolta agli aspetti ritenuti degni di esser

rappresentati in virtù della loro stessa dignità e nobiltà. Lo sguardo

dell’artista implica pertanto una selezione critica di quella parte di

mondo che deve venir imitata dall’arte; ma, proprio per questa

ragione, l’atto mimetico presuppone quindi necessariamente il mondo

della natura come suo modello di riferimento – l’arte greca è di

conseguenza ritenuta arte oggettiva e plastica, radicandosi così in una

immagine della bellezza segnata dai caratteri, resi celebri dalla lettura

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compiuta da Winckelmann, di quiete, di nobiltà, di semplicità e di

grandezza.

La poesia moderna, invece, rigetta il modello greco classico,

sostituendo il concetto di mimesis della natura con quello di genio,

dove l’imitazione si compenetra con l’aspetto originale incarnato dalla

creazione di una nuova natura. Tale frattura nei confronti dei modelli

offerti dal passato non porta tuttavia ad una definizione, oltre che ad

una realizzazione, monolitica ed unidirezionale di quello che

rappresenta in effetti la poesia moderna, la quale, in ragione della

propria costitutiva complessità, risulta attraversata da tensioni e da

tendenze scaturite da opposte sfere di senso. La poesia moderna,

intesa come poesia romantica, riposa quindi su una doppia polarità

espressa da tendenze contrarie – la riproduzione del mondo naturale e

la creazione di una nuova natura per mezzo della facoltà del genio.

Ogni volta che l’equilibrio tra queste dimensioni opposte si spezza, il

peso dell’agire poetico giunge a concentrarsi su un aspetto particolare

della relazione, perdendo così di vista l’altro. La poesia moderna, per

questa ragione, può dar luogo a tre distinte forme di arte – la poesia

romantica propria mente detta che, come già ricordato, unisce

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imitazione e genio; la poesia materialistica e la poesia nichilistica. A

partire dal quadro teorico appena delineato risulta in modo

pienamente esplicito che, secondo Jean Paul, la poesia romantica

presenta una completezza ed un valore intrinseco maggiore rispetto

alle altre due forme di poesia.

La poesia materialistica, da parte sua, intende rifarsi esplicitamente

all’arte degli antichi, ma, travisando il concetto greco di mimesis, cade

nel semplice atto del ricopiare la natura tale e quale nel modo in cui si

presenta di fatto allo sguardo. L’imitazione della natura, pur

incarnando, secondo Jean Paul, un aspetto imprescindibile della

poesia, non deve cristallizzare l’arte in forme rigide e prive di vita;

l’arte materialistica esaspera il valore della mimesis fino allo svuotarla

del tutto di senso. D’altra parte, un eccesso del tutto identico, si trova,

oltre che nella poesia materialistica, nella stessa poesia nichilistica,

anche se di segno rovesciato.

La poesia nichilistica, infatti, si realizza a partire dalla pretesa di

poter fare a meno dell’imitazione per mezzo dell’esercizio sfrenato

della fantasia, la quale si traduce nell’annullamento del mondo

attraverso il realizzarsi del proprio gioco senza regole. La facoltà della

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fantasia, che gli antichi riconducevano alle regole della mimesis, viene

invece dilatata ed esasperata dalla poesia nichilistica fino a cancellare

la realtà stessa di quel mondo naturale che prima svolgeva il ruolo di

modello imprescindibile dell’arte. L’atto di superamento del mondo

naturale è realizzato quindi attraverso una fantasia che, seguendo

ormai una facoltà del genio priva di regole, viene ampliata al punto da

cadere nell’arbitrio più grande rappresentato della creazione ex nihilo.

La facoltà del genio, perdendo il contatto con la norma, svuota di

significato la propria caratteristica capacità creativa, dal momento che

si riduce a facoltà sregolata capace esclusivamente di assecondare i

sogni e le fantasticherie di un io ormai reso solo come l’immagine

megalomane ed eslege di se stesso.

Il mondo, o meglio il non-mondo, dischiuso dal nichilismo della

poesia trova la propria ripetizione e giustificazione teorica nella

filosofia fichtiana, in cui, a partire dalla scissione insanabile tra

l’umanità e la natura, espressa dall’opposizione tra Io e non-Io, si

gettano le basi proprio per quella ipertrofica soggettività capace di

creare da sé - ex nihilo - l’intero mondo. Tuttavia, secondo il pensiero

di Jean Paul, la posizione nichilistica comporta la dissoluzione di ogni

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possibile ordine morale, dal momento che viene meno un qualsiasi

principio di ordine e di armonia; da questo punto di vista l’arte stessa,

oltre alla morale, non è più capace di offrire modelli, in quanto sembra

trovare il proprio luogo solo nella trasgressione che viola

costantemente la regola – temi questi, in particolare quello della

“perdita di valori”, che sono trattati da Jean Paul già nelle prime righe

della Vorschule der Ästhetik. Il nichilismo conduce di conseguenza,

sulla scia di quanto già affermato in precedenza, l’uomo all’ateismo,

incarnando così quella stessa “morte di Dio”, di cui Jean Paul parla nel

“Discorso del Cristo morto” proprio con l’intenzione di dare vita ad

una effettiva rappresentazione della visione atea dell’esistenza.

L’unica possibile via d’uscita dalla contraddizione, rappresentata

dall’opporsi della poesia materialistica rispetto alla poesia nichilistica,

è la poesia romantica, la quale cerca di mediare la contraddizione

presente nei due poli opposti – materialismo-nichilismo -,

conducendoli all’ordine attraverso quella che si potrebbe definire

come una sorta di doppia correzione reciproca; dal momento che tanto

la poesia materialistica richiede, secondo Jean Paul, di esser mediata

da quella nichilistica, al fine di poter guadagnare un reale equilibrio

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interno, quanto la stessa poesia nichilistica necessita di esser mitigata,

in quella che risulta essere la propria straripante spinta creatrice, dalla

prospettiva rappresentata dalla poesia materialistica.

La poesia romantica poggia le proprie basi sulla facoltà

dell’immaginazione, la quale, a differenza della fantasia utilizzata dai

poeti nichilistici, presuppone necessariamente il riferimento ad una

regola con la quale rapportarsi alla natura, poiché la natura stessa è un

qualcosa di presupposto che non può esser annullato come nel caso,

appunto, della poesia nichilistica, in virtù del riferimento ad una

vuota ed annichilente potenza creatrice. La libertà dell’immaginazione

non si identifica quindi con l’esercizio di una libertà assoluta, ma, al

contrario, implica l’appoggio del genio, inteso come quella capacità in

grado di portare, attraverso la realizzazione di uno sguardo olistico ed

innovatore sull’esistenza, una nuova intuizione del mondo e della vita.

Il genio, a partire dalla stessa natura, trova pertanto la forza di creare,

per mezzo del proprio agire, un qualcosa di mai visto prima, essendo

capace di racchiudere in sé la potenza di una nuova visione del

mondo.

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Il genio romantico incarna di conseguenza, in virtù della propria

originale, anche se sottoposta a regola, forza creatrice, l’essenza stessa

del romanticismo. Tuttavia, il solo riferimento alla facoltà del genio

non è sufficiente a comprendere il movimento di idee, oltre che il

cambiamento di prospettiva, rappresentato dalla stagione romantica,

dal momento che la cifra stessa del romanticismo e della sua capacità

di creare nuovi modi di intuire la vita e il mondo è rappresentato dal

concetto di ironia. Da questo punto di vista l’ironia indica senz’altro

una delle più potenti ed efficaci alternative nei riguardi della poesia

nichilistica, in quanto incarna quella capacità concreta e positiva di

leggere, oltre che di riconoscere, tutti quei nessi nascosti tra le pieghe

più sottili della realtà. Detto in altri termini, è l’esercizio attivo

dell’ironia che permette all’uomo di armonizzare le fratture di senso

che si inscrivono nella propria particolare esperienza della vita e del

mondo.

L’importanza e la centralità dell’ironia è rispecchiata, d’altra parte,

dall’interesse che Jean Paul manifesta per questo concetto,

sottoponendolo ad uno studio attento e meticoloso, al fine di

mostrarne le differenti stratificazioni di senso sottese alla sua stessa

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variegata fenomenologia. L’ironia, infatti, non incarna un fenomeno

semplice ed elementare, che può esser visto come espressione di una

realtà monolitica e pacificata in se stessa; dal momento che questo

concetto sottende al proprio interno una ulteriore ramificazione che si

dirige in direzione di quelli che possono essere letti come i tre

principali tipi di ironia – il comico, l’umorismo e l’arguzia.

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CAPITOLO QUARTO

IL GENIO

4.1. Arte e bellezza nell’estetica romantica

Per approcciare il concetto di genio nell'opera di Jean Paul è

necessario, in via preliminare, sottolineare alcuni aspetti connessi alla

nozione di bellezza e alla sua relazione con l'arte romantica.

Il concetto di bellezza presenta una grande varietà di significati

diversi tra loro - l’interessante, il piacevole, l’utile legato alla nozione

di scopo, il divino, il vero, il buono. Uno dei paradigmi di bellezza che

hanno maggiormente influenzato l’estetica è stato comunque quello di

origine platonica, il quale lega il concetto di bello all’idea di bene,

delineandolo così attraverso il riferimento eslicito all’unità e alla

forma.

Nella filosofia di Plotino la bellezza si vincola ancora al concetto di

forma, mentre il suo opposto, il brutto, a quello di mancanza di forma,

l’informe. D’altra parte, Agostino associa invece la bellezza al

riferimento all’unità. Al di là delle varie ripetizioni del paradigma

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platonico, si trova la concezione aristotelica della bellezza, definita dai

caratteri di ordine, simmetria e perfezione – aspetto ripreso poi dal

pensiero stoico, latino e rinascimentale.

Per quanto riguarda invece il concetto di bellezza legato all’estetica,

attraverso il delinearsi di una vera e propria dottrina del bello, si può

parlare dell’introduzione del concetto di perfezione sensibile, come è

avvenuto nel caso di Baumgarten. Secondo questa particolare

prospettiva teorica, la questione sul bello si distingue in due punti ben

determinati; il primo riguarda la rappresentazione sensibile intesa

come rappresentazione artistica, mentre il secondo insiste sulla

dimensione di piacere implicata dalla stessa attività estetica.

I due lati della questione sul bello appena presentati vengono poi

ripresi da Kant, per mezzo di una definizione che determina la

bellezza come oggetto di un piacere disinteressato, riassumendo così i

concetti chiave espressi sia dall’estetica razionalista che empirista.

Kant distingue poi la bellezza in “bellezza libera”, pulchritudo vaga, ed

in “bellezza aderente”, pulchritudo adhaerens. La bellezza libera si lega

a quella del bello naturale, in quanto non presuppone alcun concetto

che possa in qualche modo limitare la natura dell’oggetto in questione.

La bellezza aderente, invece, presuppone sia il concetto dell’oggetto

che quello dello scopo a cui l’oggetto implicato dall’oggetto stesso. Il

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bello, con la lettura kantiana, diventa inoltre per la prima volta

autonomo nei confronti della sfera morale e gnoseologica.

Il romanticismo identificava l’arte con la bellezza, cosa che poi verrà

invece respinta in modo del tutto esplicito dall’estetica postidealista.

D’altra parte, la stessa identità tra arte e bello non rappresentava una

lettura semplice ed immediata di facile definizione. Nello stesso

romanticismo possiamo infatti riscontrare tre distinti significati della

relazione arte e bellezza. L’arte si avvicina, secondo Schiller, alla sfera

del gioco e della libertà; mentre Schelling lega invece l’esercizio

dell’arte alla facoltà creatrice del genio. Hegel identifica inoltre, a

differenza degli altri due autori, la bellezza con la verità.

Nella visione del mondo romantica è possibile trovare traccia di ciò

che è stato definito come estetismo, corrente di pensiero in cui i valori

estetici sono considerati come il culmine della stessa vita spirituale.

L’arte acquista, in questo modo, una valenza del tutto particolare, che

si traduce poi in un altro aspetto caratteristico del romanticismo - il

riconoscimento di un valore conoscitivo dell’arte, inteso come un

qualcosa di distinto sia dalla conoscenza scientifica che da quella

filosofica. Nella lettura compiuta da Schelling l’arte è invece

l’“organo” della stessa conoscenza metafisica, la quale è inscritta

nell’assoluto, inteso come luogo dell’identità tra finito ed infinito. La

bellezza si schiude pertanto nel manifestarsi dell’infinità nel finito

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stesso. Hegel intende invece l’arte, al pari della religione e della

filosofia, come una delle manifestazioni più alte dell’assoluto, anche

se nella forma a-concettuale della rappresentazione.

4.2. Il genio come facoltà dell’intelletto

Il termine genio rappresenta una facoltà dell’intelletto fino alla fine

del XVII secolo. L’ingegno appartiene invece all’ambito della retorica,

legandosi all’appariscente e all’arguto e distinguendosi così sia

dall’intelletto che dalla ricerca della verità perseguita dalla dialettica

razionale. L’ingegno, tradotto anche nei termini di acutezza, da parte

di Baltasar Gracian, si identifica col concetto di creatività ed inventiva

artistica, oltre che di accortezza pratica in ambito morale. Lo sguardo

guidato dall’ingegno è capace di produrre quella particolare forma di

sguardo panoramico e immediato, reso dal concetto di discrezione e di

“tatto”. Nel suo senso più proprio, quindi, il termine ingegno, reso in

francese dall’espressione esprit, identifica una facoltà umana legata

alla capacità inventiva propria del campo dell’arte, dando luogo una

lunga serie di termini sinonimi tutti derivati dal latino genius, ricavato

dal verbo gigno: genero – inglese: genius; francese: génie; tedesco:

Genius.

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4.3. Il genio moderno: espressione dell’irrazionale o del

sovrarazionale

Il genio o ingegno fu da sempre riferito ad una capacità tecnico-

pratica di carattere prevalentemente intellettuale, anche se legata alla

sfera emotiva del sentimento o della fantasia. Dal Settecento, tuttavia,

il concetto di genio arriva ad identificarsi con una sorta di rivelazione

degli aspetti irrazionali o sovrarazionali appartenenti al mondo della

natura. Diderot dedica, ad esempio, al genio una delle voci della sua

Enciclopedia, mentre Kant lo definisce, all’interno della Critica del

Giudizio, come quella “disposizione innata dell’animo (ingenium) per

mezzo della quale la natura dà la regola all’arte”. Il genio, pertanto,

giunge così a legarsi profondamente col dono naturale di creare ciò di

cui non esiste alcuna regola - la creatività si sposa quindi con la libertà

e l’inventiva. Il fatto stesso di essere dotati del genio artistico non

comporta però la possibilità di saper spiegare il modo in cui è stato

possibile attingere alle proprie intuizioni. La natura soprannanturale

del genio è stata confermata anche da Hamann, che la rende con il

concetto di Urkraft, forza originaria, la quale giunge poi ad

identificarsi con quella creatività naturale capace di alludere, quasi

come se fosse una sua nascosta manifestazione, al carattere più

proprio di Dio.

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4.4. Il genio romantico

Il tema del genio e della genialità è poi ripercorso in modo del tutto

evidente nell’età romantica, dove il senso estetico legato al genio viene

ampliato in una maniera del tutto significativa ed originale; infatti, a

partire dall’esempio offerto da Fichte, si è realizzata la sua estensione

all’ambito religioso ed etico. La figura del genio implica pertanto, in

Fichte, la tensione verso il mondo spirituale, la quale cerca di

anticipare in qualche modo la perfezione futura che l’umanità sarà in

grado di conquistare con le proprie forze. D’altra parte, con Schelling

il genio diventa la sola facoltà in grado di cogliere l’assoluto

attraverso l’intuizione dell’infinito nel finito, racchiudendo così al

proprio interno la natura e lo spirito, così come l’inconsapevolezza

ingenua del naturale e la capacità, presente a se stessa, di creare

caratteristica dell’uomo. Nella filosofia di Schopenhauer il genio è

distinto in due forme differenti del modo di conoscere - il modo del

filosofo e quello dell’artista -, a cui si affiancano parallelamente le due

modalità pratiche dell’uomo morale e dell’asceta. Alla figura del genio

si accosta, ancora in Schopenhauer, il fenomeno della pazzia, tema che

poi avrà ancora un più ampio successo, nell’età positivistica, con

Lombroso, dove una alterazione dell’equilibrio fisico dell’uomo è letto

come la causa che il genio, la delinquenza e la pazzia hanno in

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comune. Il genio viene poi normalmente spiegato da fenomeni

fisiologici, come accade ad esempio in Taine, provocando in tal modo

una reale demitizzazione di questa facoltà, i cui frutti sono di fatto

ricondotti, nella loro particolare natura di opere d’arte, ad aspetti

ambientali che rispecchiano la società in cui la capacità creativa stessa

si nutre ed è esercitata dall’artista.

4.5. La facoltà del genio nella Vorschule der Ästhetik

Ciò che caratterizza l'arte moderna, a differenza di quella antica, è,

secondo Jean Paul, la facoltà del genio, che cercheremo ora di

presentare. Anzitutto bisogna chiarire che il genio non può essere

inteso come un'unica facoltà79, bensì come una “armonia”80 che

comprende in sé diverse facoltà: “Nel genio, tutte le facoltà sbocciano

nello stesso tempo; e l'immaginazione non è un fiore di questo buoquet,

ma essa è la dea dei fiori che assicura l'ordine dei calici dai quali i

pollini mescolati fanno schiudere nuove fioriture; essa è, per così dire,

la facoltà nella quale sono racchiuse tutte le altre”81.

7 9 ”Der Glaube von instinkmäßiger Eikräftigkeit des Genies konnte nur durch die

Verwechslung des philosophischen und poetischen mit dem Kunsttriebe der

Virtuosen kommen und bleiben.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 55.8 0 ”Das Dasein dieser Harmonie und dieser Harmonistin begehren und verbürgen

zwei große Erscheinungen des Genius.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 56.8 1 ”Im Genius stehen alle Kräfte auf einmal in Blüte; und die Phantasie ist darin nocht

die Blume, sondern die Blumenkelche für neue Mischungen ordnet, gleichsam die

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Già da subito notiamo lo stretto legame che intercorre tra la facoltà

del genio e quella dell'immaginazione o fantasia82: se l'estetica antica

ruota attorno al concetto di “imitazione” (“mimesis”), quella moderna

non può invece prescindere dall'“immaginazione”, o “fantasia”. Scrive

Jean Paul: “L'immaginazione [Einbildungskraft] è la prosa delle facoltà

delle immagini [Bildungskraft] o fantasia [Phantasie]83. Essa non è che

un ricordare più intenso e più alto in colori, che possiedono anche gli

animali, poiché arrivano a sognare e ad avere paura. Le sue immagini

non sono che turbinii di foglie staccate dal mondo reale; la febbre, la

Kraft voll Kräfte.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 56.8 2 Spesso questi termini sono usati da Jean Paul come sinonimi: si veda ad esempio il

paragrafo 7 della Vorchule der Ästhetik, dove – già nel titolo – queste due nozioni

risultano interscambiabili; “Bildungskraft oder Phantasie”, cfr. Jean Paul, Vorschule

der Ästhetik , cit., pag. 47.8 3 Si rende necessario qui un chiarimento terminologico: Jean Paul fa uso qui di tre

termini: Einbildungskraft (immaginazione), termine classico e tecnico volto ad indicare

la rappresentazione non percettiva; Bildungskraft (facoltà delle immagini), termine

raro, se non addirittura proprio di Jean Paul, che designa la facoltà di formare o

creare immagini; Phantasie (fantasia), uno delle nozioni-chiave del romanticismo,

volta ad indicare la grande immaginazione creatrice di finzioni. Per questa scelta di

traduzione, cfr. anche la scelta del traduttore francese: “JP use de trois termes:

Einbildungskraft , terme classique et technique pour la représentation non-perceptive;

Bildungskraft , terme rare sinon propre à JP, et qui désignerait plutôt la faculté de

former ou forger – ou créer – des images; Phantasie , und des maìîtresmots d

romantisme, la grande imagination créatrice de fictions. Nous traduisons comme

l'indique, dans l'ordre, notre phrase”, Jean Paul, Cours preparatoire d'Esthetique ,

traduction et annotation de Anne-Marie Lang et Jean-Luc Nancy, L'Age d'Hommes,

Lausanne 1979, p. 57.

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debolezza dei nervi, le bevande possono ingrassare e gonfiare queste

immagini al punto che esse passano dal mondo interiore a quello

esteriore, come solidificate, e vi prendono corpo“84. E, nel paragrafo

successivo: ”Ma la fantasia, o facoltà delle immagini, è più alta: essa è

l'anima del mondo delle anime, e lo spirito elementare delle altre

facoltà; una grande fantasia può vedere il proprio corso scavato e

isolato secondo facoltà particolari, quelle del tratto dello spirito, per

esempio, o dell'acume, mentre nessuna di queste facoltà si lascia

ingrandire secondo le dimensioni della fantasia”85.

La fantasia va pensata alla stregua di una facoltà molteplice, che

consta di diversi gradi: da una sorta di grado zero, in cui essa è

meramente ricettiva, e che senza dubbio richiama l'immaginazione

riproduttiva di kantiana memoria, si giunge fino alla fantasia vera e

propria, intesa quale facoltà in grado di generare finzioni. Questo

modo di intendere la fantasia, ossia secondo un cromatismo di

8 4 ”Einbildungskraft ist die Prose der Bildungskraft oder Phantasie. Sie ist nichts als

eine potenzierte hellfarbigere Erinnerung, welche auch die Tiere haben, weil sie

träumen und weil sie fürchten. Ihre Bilder sind nur zugeflogne Abblätterungen von

der wirklichen Welt; Fieber, Nervenschwäche, Getränke können diese Bilder so

verdicken und bleiben, daß sie aus der innern Welt in die äußere treten und darin zu

Leibern erstarren.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 47.8 5 ”Aber etwas Höheres ist die Phantasie oder Bildugskraft, sie ist die Welt-Seele der

Seele und der Elementargeist der übrigen Kräfte; darum kann eine große Phantasie

zwar in die Richtungen einzelner Kräfte, z. B. des Witztes, des Scharfsinns u. s. w.,

abgegraben und abgeleitet werden, aber keine dieser Kräfte lässet sich zur Phantasie

erweitern.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 47.

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sfumature che trascolorano l'una nell'altra, è uno dei tratti più

significativi del pensiero estetologico di Jean Paul: in questo modo,

infatti, egli ci propone di non intendere l'imitazione e l'immaginazione

come due categorie eterogenee ed incompatibili l'una rispetto all'altra,

bensì come paradossalmente legate tra di loro quasi come se una fosse

lo sviluppo dell'altra. Ossia, l'imitazione, che riproduce

mimeticamente la natura, può configurarsi come una mera e banale

riproposizione di un contenuto dato (poesia materialistica), ma può

anche agire in modo selettivo, evidenziando alcuni aspetti della natura

a discapito di altri (poesia antica): qui ovviamente si vede già bene che

la mimesis e la fantasia ricettiva, o immaginazione riproduttiva,

rischiano di trascolorare l'una nell'altra. Questo processo astrattivo

può affinarsi sempre di più, dando luogo alla fantasia (o

immaginazione) vera e propria, in cui consiste la più alta delle facoltà

che appartengono alla facoltà (o meta-facoltà, potremmo azzardare)

del genio (poesia romantica); facoltà, questa, che può essere esasperata,

sino a dar luogo ad una sorta di variazione negativa o difettiva,

laddove il genio o la fantasia pretendono di poter creare la propria

opera ex nihilo (poesia nichilistica).

A questo punto potremmo dunque affermare che la facoltà del genio

altro non sia che l'equilibrio tra l'imitazione e l'immaginazione, tra la

mimesis e la phantasia, ovvero che coincida con la fantasia nella sua

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accezione più originaria ed equilibrata, e non distorta per difetto o per

eccesso; o, in altre parole, ripetendo l'espressione di Jean Paul che

abbiamo già citato all'inizio della nostra trattazione, la facoltà del

genio altro non deve essere che quella “bella imitazione”86, propria

della poesia romantica, volta ad imitare la natura realizzando una

copia che risulti più ricca del modello, laddove questo qualcosa in più

è per l'appunto il prodotto del genio, che crea una nuova natura, senza

avere però l'assurda pretesa di prescindere in toto da qualsivoglia

modello di partenza.

Scrive Jean Paul: “Il cuore del genio, al quale tutte le altre facoltà

non fanno che portare la loro luce e il loro aiuto, possiede e conferisce

un solo marchio autentico: una intuizione nuova del mondo o della

vita. Laddove il talento non espone che delle parti, il genio espone

tutto dell'esistenza”87. Scopo del genio è dunque quello di portare ad

8 6 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., I Programm “Über die Poesie überhaupt”,

§ 1-5, pagg. 30-47.8 7 Scrive a tal proposito Jean Paul: ”Das Herz des Genies. welchem alle andere Glanz-

und Hülf-Kräfte nur dienen, hat und gibt ein echtes Kennzeichen, nämlich neue Welt-

oder Lebens-Anschauung. Das Talent stellet nur Teile dar, das Genie das Ganze des

Lebens, bis sogar in einzelnen Sentenzen, welche bei Schakespeare häufig vor der Zeit

und Welt , bei Homer und andern Griechen von den Sterblichen , bei Schiller von dem

Leben sprechen. Die höhere Art der Welt-Anscheuung bleibt als das Feste und Ewige

im Autor und Menschen unverrückt, indes alle einzelnen Kräfte in den Ermattungen

des Lebens und der Zeit wechseln und sinken können; ja der Genius muß schon als

Kind die neue Welt mit andern Gefühlen als andere aufgenommen und daraus das

Gewebe der künftigen Blüten anders gesponnen haben, weil ohne den frühen

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una “intuizione nuova del mondo o della vita”, ovvero, il suo tratto

distintivo consiste nell'elemento di novità che esso deve apportare

nell'atto della sua creazione: il genio opera cioè rifacendosi alla

natura, dando luogo ad una “bella imitazione” che, prediligendo

sapientamente alcune cose a discapito di altre, possa mettere in luce la

bellezza presente nel mondo naturale, al fine di dischiudere una nuova

intuizione del mondo e della vita.

Il genio, accanto all'ironia, è ciò che caratterizza la poesia romantica.

Unterschied kein gewachsenerdenkbar wäre. Eine Melodie geht durch alle Absätze

des Lebens-Liedes. Nur due äußere Form erschafft der Dichter in augenblicklicher

Anspannung; aber den Geist und Stoff trägt er durch ein halbes Leben, und in ihm ist

entweder jeder Gedanke Gedicht oder gar keiner.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik ,

cit., pag. 64.

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CAPITOLO QUINTO

L' IRONIA

5.1. La nozione di ironia nella Vorschule der Ästhetik

La parte centrale della Vorschule der Ästhetik di Jean Paul prende in

esame la nozione di ironia in senso lato, operando una variegata e

dettagliata fenomenologia delle forme del ridicolo, mostrando come in

esse sia possibile rintracciare la cifra della poesia romantica, che si

distingue da quella antica proprio per il fatto di essere per essenza

una poesia umoristica, basata cioè sullo humor, ossia sul comico

romantico, e ancor di più sul concetto di Witz, che traduciamo qui, in

accordo col traduttore della versione italiana di questi capitoli della

Vorschule, con arguzia, ma che potrebbe essere reso anche con ingegno,

motto di spirito, ecc.

L'ironia è uno degli argomenti più trattati dagli autori romantici: basti

citare Schlegel, Solger, ma soprattutto lo stesso Jean Paul. “Per Hegel

(ma anche per il Kierkegaard di Sul concetto di ironia) l'ironia

romantica è la riduzione di ogni contenuto, di ogni serietà, all'arbitrio

del soggetto che, sentendosi, come accade in Fichte, origine di ogni

sapere, pensa di poter porre e annullare a piacimento ogni cosa: è una

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genialità arbitraria, che dissolve tutto quel che ha valore, una fatuità

che gioca solo con se stessa e lascia perire ogni realtà. Ora, se si vuole

arrivare a cogliere il significato che l'ironia assume per i romantici, è

necessario lasciare da parte questa lettura hegeliana, che non solo fa

slittare immediatamente un giudizio di valore sulla cosa da

comprendere, connotando il romanticismo come incapacità di

affrontare la concretezza, come disperdimento nella vanità o nello

struggimento sentimentale, ma isola nell'ironia il solo aspetto

dell'affermazione della soggettività, precludendo una comprensione

che tenga nel dovuto conto i molteplici aspetti e le diverse istanze che

nell'ironia trovano espressione [...]. Quando Fr. Schlegel comincia a

usare il termine 'ironia', negli scritti del 1797, egli intende distanziarsi

subito dall'accezione retorica, in base alla quale 'ironia' vuol dire

affermare una cosa intendendo in realtà l'opposto, utilizzare il

vocabolario dell'avversario per farne risultare l'inattendibilità, e per

rendere evidente questo distanziamento Schlegel oppone nel modo più

netto all'ironia retorica l'ironia di Socrate”88. Il concetto schlegeliano

di ironia si sposa con la pretesa dell’artista romantico di distaccarsi

dal mondo al fine di poter esercitare, attraverso una costante parodia

di se stessi, la propria libertà, la quale è realizzata con quel particolare

gusto per lo spiritoso e l’umorismo che rende possibile l’oggettività

della stessa opera d’arte. L’ironia, secondo le stesse parole di Schlegel,

non è altro che una “buffoneria trascendentale”, capace di superare le

opposizioni inscritte nell’idea kantiana in direzione di un inesausto

approssimarsi verso l’infinito, ripetendo in questo modo lo sforzo 88 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo , cit., pag. 99.

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stesso della filosofia idealistica di Fichte. Il realizzarsi dell’ironia

comporta il rispetto di almeno due condizioni a cui non è possibile in

alcun modo rinunciare: in prima istanza è necessario il presentarsi,

attraverso due termini di natura opposta, di un contrasto; mentre, in

seconda battuta, si manifesta l’assoluta libertà da parte del soggetto. Il

ritmo dell’ironia riprende, non a caso, i movimenti della filosofia

fichtiana, dove la stessa realtà del mondo, intesa sia in senso

conoscitivo che morale, trova le proprie radici nell’opposizione tra la

libertà e la costitutiva limitazione che segna l’io fin dalle sue più

profonde origini. L’ironia tocca poi anche l’ambito dell’estetica, senza

trovare però una reale soluzione che possa pacificare in modo assoluto

i termini opposti dell’antitesi in cui si inscrive il suo particolare spazio

di gioco; il compito dell’artista romantico non è infatti quello di

soffocare la contraddizione in un equilibrio armonico di tipo

schilleriano, ma, al contrario, deve rendere produttiva l’antitesi,

attraverso l’esercizio della propria immaginazione, creando di

continuo nuovi mondi come risposta al loro costante crollare su se

stessi e mostrando in questo modo l’insopprimibile libertà del

soggetto rispetto alla resistenza incarnata dalla natura del non-Io

ostile.

Quanto a Jean Paul, invece, vedremo che egli pone la questione in

termini diversi e probabilmente più radicali. Egli in primo luogo

esordisce con una disanima intorno al concetto di ridicolo, che non

può “piegarsi ad entrare nelle definizioni dei filosofi [...] perché la

sensazione che gli è peculiare assume tante forme quante sono le

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deformità”89. La facoltà di ridere e quella di piangere da sempre sono

state associate all'essenza dell'uomo quali differenze specifiche che lo

contraddistinguono dagli animali da lui difformi, come emerge dalle

riflessioni della Poetica di Aristotele che Jean Paul richiama all'inizio

delle sue disquisizioni sul ridicolo: “l'antica definizione di Aristotele”,

scrive Jean Paul, “segue [...] la traiettoria giusta, pur se non giunge a

segno quando afferma che il ridicolo nasce da un'assurdità innocua.

Ma né l'assurdità innocua degli animali né quella dei pazzi è comica,

né sono comiche le più grandi assurdità di popoli interi”90. Jean Paul

esordisce dunque richiamandosi alla definizione di ridicolo offerta da

Aristotele, al fine di farla propria per poi criticarla e ampliarla nelle

pagine che seguono.

Il ridicolo e il sublime

Le considerazioni di Jean Paul dedicate al tema del ridicolo

prendono le mosse dal concetto opposto, determinando il quale sarà

possibile, per differenza, giungere ad una definizione soddisfacente

del ridicolo stesso; scrive Jean Paul: “Il miglior modo di scrutare una

sensazione è di interrogarla sul suo opposto. Qual è dunque il riflesso

inverso del ridicolo? Né il tragico, né il sentimentale [...]. Il nemico

8 9 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 102, tr. it . Jean Paul, Il comico, l'umorismo

e l'arguzia. Arte e artificio del risto in una “Propedeutica all'estetica” del primo Ottocento ,

a cura di Eugenio Spedicato, Il Poligrafo, Padova 1994, pag. 113.9 0 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pagg. 102-103, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 113.

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giurato del sublime è il ridicolo”91. Il ridicolo viene dunque definito in

prima istanza come opposto al sublime, la definizione del quale viene

desunta da Kant e Schiller i quali, nell'interpretazione di Jean Paul,

sostengono che la sublimità ideale consiste “in un infinito, che i sensi

e la fantasia rinunciano a dare e a comprendere, mentre la ragione lo

crea e lo tiene saldamente. Ma il sublime,per esempio il mare o un'alta

catena montuosa, non può essere un'entità che i sensi non riescono a

concepire, poiché proprio i sensi abbracciano lo spazio nel quale quel

sublime è innanzitutto allogato [...]. Inoltre il sublime è sempre legato

a un segno sensibile (dentro o fuori di noi); ma sovente tale segno non

attinge né alle forze della fantasia né a quelle dei sensi [...]. Pertanto la

sublimità estetica dell'agire riposa sempre su un rapporto inverso con

l'importanza del segno sensibile, e solo il segno più piccolo è più

sublime [...]. Kant divide inoltre il sublime in matematico e dinamico,

o, secondo l'espressione di Schiller, in quel che supera la nostra forza

cognitiva e in quel che minacia la nostra forza vitale” 92. A seguito di

queste considerazioni, Jean Paul arriva a definire, in modo sintetico, il

sublime come l'infinito applicato93.

9 1 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pagg. 104-105, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 115.9 2 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pagg. 105-106, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 117.9 3 Leggiamo a questo punto l'intero passo in cui Jean Paul espone questa definizione:

“Se mi è lecito definire il sublime come l' infinito applicato , s'instaura allora una

ripartizione quintuplice o anche triplice: il sublime applicato all'occhio (matematico o

ottico) – all'orecchio (dinamico o acustico) – la fantasia deve, a sua volta, dall'interno,

porre l'infinità in rapporto con la propria sensibilità quantitativa e qualitativa, in

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Se il sublime, ossia il riflesso inverso del ridicolo, è il sentimento

dell'infinitamente grande, che risveglia l'ammirazione, il ridicolo sarà,

di contro, il sentimento dell'infinitamente piccolo, che suscita la

sensazione opposta94, che non riguarda però la sfera morale bensì

quella dell'intelletto: “Nel regno morale non esistono misure piccole,

rivolte alla vita interiore, la moralità genera stima, la nostra e l'altrui;

la sua assenza disprezzo;rivolta alla vita esteriore genera amore; la sua

quanto incommensurabilità e divinità – o poi vi è ancora la terza o quinta sublimità,

che si rivela proprio nel rapporto inverso con il sensibile e con il segno esterno e

interno: la sublimità etica o dell'azione. Come può, dunque, l 'infinito essere applicato

proprio ad un oggetto sensibile, se quest'ultimo, come ho dimostrato, è più piccolo

delle ali dei sensi e della fantasia? Il prodigioso salto dal sensibile come segno al non

sensibile come significato – un salto che la fisiognomica e la patognomica devono

compiere ogni istante – solo la natura può offrircelo, non una qualche idea

intermediaria; per esempio tra l 'espressione mimica dell'odio e l 'odio stesso, o tra la

parola e l 'idea, non vi è alcuna equivalenza. Tuttavia, occorre trovare le condizioni

nelle quali un certo oggetto sensibile piuttosto che un altro diventa segno spirituale.

Estensione e intensità sono ambedue necessarie all'orecchio; il suono del tuono deve

anche essere un suono prolungatgo. Dato che nell'intuizione noi non conosciamo altra

forza se non la nostra, e poiché la voce è in qualche modo la parola d'ordine della

vita, riusciamo a capir meglio perché sia proprio l'orecchio a designare il sublime

della forza.Non bisogna escludere del tutto un rapido paragonare i nostri suoni con i

suoni altrui. Persino il silenzio può diventare sublime, quello di un'aquila in volo

planato o quello del mare prima della tempesta o quando dopo il fulmine attendiamo

il tuono”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 106, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 117.9 4 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 109, tr. it . Jean Paul, Il comico, l'umorismo

e l'arguzia , cit., pag. 119, dove si legge: “All'infinitamente grande che risveglia

l 'ammirazione, deve opporsi un infinitamente piccolo dello stesso tipo, che susciti il

sentimento opposto”.

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assenza odio; il ridicolo è troppo debole per agitare il disprezzo,

troppo innocuo per generare l'odio. Non gli resta dunque che il regno

dell'intelletto, e di questo regno, in particolare, la provincia

dell'insensatezza. Ma perché l'intelletto desti un sentimento, occorre

che i sensi lo intuiscano in un'azione o in uno stato, il che è possibile

solo se l'azione rappresenta, in qualità di suo opposto, l'opinone

dell'intelletto e ne punisce le menzogne”95.

9 5 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pagg. 109 e s., tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 119; il passo prosegue con queste parole, che è il caso

di riportare: “Non siamo ancora al traguardo. Dato che nessun contenuto sensibile

può essere di per sé ridicolo – ovvero nulla di inanimato può esserlo, fuorché tramite

personificazione –, e parimenti nessun contenuto spirituale può di per sé diventar

tale – né il puro errore, né la pura irragionevolezza –, allora ci si chiede: quale

sensibile offre allo spirituale il suo specchio, e quale spirituale vi si riflette? Un

errore in sé e per sé non è ridicolo, come non lo è l 'ignoranza, altrimenti i diversi

partit i religiosi e ceti non farebbero che deridersi a vicenda. Occorre infatti che

l'errore possa manifestarsi in uno sforzo, in un'azione. Così, quella manifestazione

d'idolatria la cui semplice descrizione ci lascia seri, ci apparirà ridicola se la vediamo

direttamente. Una persona che goda di buona salute, eppure sia convinta d'esser

malata, non ci parrà comica prima d'aver preso serie precauzioni contro la propria

malattia. Affinché la contraddizione possa toccare l'apice del comico, sforzo e

situazione devono essere ambedue intuibili. Anche in tal caso avremmo ancora

tuttavia, semplicemente, un errore finito espresso nell'intuizione e non già

un'assurdità infinita. Non vi è infatti persona che possa agire in qualsivoglia

circostanza altrimenti ch in base alle proprie rappresentazioni. Quando Sancio, per

una notte intera, si tiene sospeso su una fossa poco profonda, perché suppone che un

abisso stia spalancato sotto di lui, il suo sforzo, data la suposizione, è pienamente

sensato, e anzi egli sarebbe un pazzo se ardisse di sfracellarsi. Perché. ciononostante,

ridiamo? Qui viene il punto decisivo: noi prestiamo al suo sforzo il nostro giudizio e il

nostro punto di vista, e da questa contraddizione generiamo l'infinita assurdità; e solo

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5.1.1. Il comico

I tre volti dell’ironia si stagliano lungo un orizzonte estetico dove il

comico, permeato dalle caratteristiche della semplicità e dall’assenza

di complicazioni, rappresenta il primo punto d’approdo – il preludio

per poi poter andar oltre la dura terra dell’umorismo attraversato dal

dolore e dalla serietà96. Il comico è pervaso da una simpatia immediata

e di natura intellettuale, che, nell’umorismo, si rovescia invece in una

l 'evidenza del'errore, offerta all'intuizione sensibile, permette alla nostra fantasia –

mediatrice anche qui come per il sublime tra interiore ed esteriore – di operare tale

trasposizione. Questo nostro autoinganno, che ci porta ad attribuire allo sforzo altrui

un sapere che lo contraddice, fa dello sforzo quel minimum dell'intelletto e

quell'insensatezza intuita che ci fanno ridere, sicché dunque il comico, come il

sublime, non dimora mai nell'oggetto, ma nel soggetto”.96 Si vedano, a mo' di introduzione sul tema, queste parole di uno die maggiori

critici del pensiero di Jean Paul, Johannes Ast: “Auf das Gebiet seines eigensten

Wesens kam jedoch Jean Paul erst mit der Untersuchung über das Lächerliche und

den Humor. Bisher hatte er weit umherreichend das Gebiet seines Geistes und seines

Schicksals im ganzen Gefüge der Dichtung umschreiben, nun begann er von seiner

eigen Mitte her noch einmal nachzubilden, was in seinem Werte sich schon natürlich

enfaltet hatte. In reichen Kapiteln „Über den Epischen“, „Über die humoristische

Dichtkunst“, „Über den epischen, dramatischen und lyrischen Humor“ und „Über den

Witz“ zeigte Jean Paul mit einer Mahrhast wissenschaftlichen Fachkenntnis das

Gesetz des Komischen und erwies an ungemein treffenden Verweisen auf Sterne,

Swift, Pope, Voltaire, Rabelais, Cervantes, Aristophanes und fast alle sonstigen mehr

oder minder bedeutenden abendländischen Humoristen und Satiriker die Einheit des

Humors im Taufendfältigen„ (J. AS T , Jean Paul , E. H. Beck’sche

Verlangsbuchhandlung, München 1925, p. 324).

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simpatia sofferta e segnata dalla ragione, proprio in quanto,

nell’umorismo stesso, l’immediatezza che caratterizza il comico lascia

spazio ad una difficile e dolorosa mediazione. Il concetto di simpatia

espresso da Jean Paul che, come mostrato, si trova alle radici del

comico, attinge, secondo la lettura compiuta da Hörhammer 97, alla

Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith98, anche se argomenti affini

sono già presenti, in qualche modo, negli scritti di Hume, di

Hutcheson e di Shaftesbury. La simpatia viene intesa da Smith come

quella particolare facoltà che ci permette, senza abbandonare noi

stessi, di immedesimarci con gli altri, anche se l’atto stesso

dell’immedesimazione non può mai trovare una conferma certa in chi

lo prova, in quanto il contatto con l’altro viene mosso paradossalmente

sempre restando nella sfera dell’io. Un secondo elemento essenziale

per il realizzarsi del comico è quello del contrasto; dal momento che

l’effetto comico, per prodursi, presuppone un inganno dell’intelletto,

capace di far stridere le diverse serie contrastanti di pensieri che, in

questo modo, vengono generate. Riprendendo ora gli stessi concetti da

un punto di vista più generale è possibile affermare che il comico,

attraversato dalla simpatia guidata dall’intelletto, arriva, per mezzo di

un inganno prodotto dell’intelletto stesso, a portare l’assurdo –

rappresentato dalle serie contrastanti di pensieri – all’armonia, intesa

come quell’equilibrio di senso che, con l’attuarsi del comico, rende

9 7 CFr. D. HÖRHAMMER , Die formation des literarischenn Humors. Ein psychoanalytischer

Beitrag zur bürgerlichen Subjektivität , Fink, 1984, München.9 8 A. SMITH , The Theory of Moral Sentiments. A new edition , con una pref. dell’autore,

Basil, J.J. Tourneisen, 1793, vol. I, p. 7.

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possibile la libertà dell’intelletto. Tale libertà può realizzarsi in quanto

l’intelletto non è più costretto a scegliere una serie di pensieri in

opposizione a tutte la altre, ma è appunto kantianamente libero,

secondo il principio di disinteresse, di giocare, attraverso una

consapevole illusione, con i propri pensieri, conducendo così il

contrasto in direzione dell’armonia.

Il termine “comico” deriva dal greco kòmos , che indica la processione

bacchica e che dà in seguto il nome alla commedia e al genere comico

per l'appunto. Nella terminologia di Jean Paul la nozione di “ridicolo”

e quella di “comico” sono sovrapponibili; se il primo indica però un

ambito più generico, il secondo viene più spesso usato, nella Vorschule

der Ästhetik, in riferimento alla poesia romantica (Jean Paul usa infatti

l'espressione “comico romantico”), ossia come specificazione del

genere del ridicolo, cui pertengono anche la satira, l'umorismo, l'ironia

(in senso stretto) e il capriccio, che da esso si distinguono.

“Il comico”, scrive Jean Paul, “come il sublime, non dimora mai

nell'oggetto, ma nel soggetto”99: una stessa situazione, spiega Jean

Paul, può infatti generare o meno in noi il nostro riso a seconda che

noi siamo più o meno in grado di comprendere tale situazione 100. Il

9 9 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 110, tr. it . Jean Paul, Il comico, l'umorismo

e l'arguzia , cit., pag. 120.100 “Das Lächerliche ist für Jean Paul die Umkehrung des Erhabenen, d. h. auf sein

eigenes Leben angewandt: er, der absolut Ernste, wie er es als Kind, als Knabe und

selbst nach Jüngling war, während er schon Satiren schreib, der auch später (wie

erstaunende Berichte immer wieder anzeigen) in seiner Rede einfach und gemütvoll,

geistig und warm, aber selten Zopferscheinung selbst den Gegenfaß des reinen

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soggetto, infatti, riconoscendo un errore con rapidità attraverso

l'intuizione sensibile, può ridere dinanzi a ciò che è infinitamente

piccolo. Ciò, come si è detto, accade sotto l'egida dell'intelletto, il

quale, per generare il ridicolo e dunque il riso, deve destare un

sentimento, ed è necessario che i sensi lo intuiscano in un'azione che

rappresenti il proposito dell'intelletto o il suo opposto, oppure nelle

intenzioni altrui che possono venire intuite. In questo senso, è

impossibile ad esempio ridere di se stessi nel momento in cui si

compie un'azione ridicola: è necessario che, passato del tempo, il

soggetto guardi se stesso come un oggetto, ovvero come un altro

soggetto, diverso da se stesso, la cui azione può essere intuita ed

essere giudicata ridicola101.

inneren Impulses und des äußeren Seins zuerst zornig als „objectiven Kontrast“

erkannt, dann während seiner zehnjährigen satirischen Arbeit diellrsachen dieses

Zornes als „sinnlichen Kontrast“ anzuschauen gelernt, bis schließlich durch die

Zusammenschmelzung seiner absolut reinlebendigen Innerlichkeit (ihr Symbol war

die universale Natur) und des empfangenen Zopfbildes aus dem „anschaulich

ausgedrückten endlichen Irrtum“ der Satire die „unendliche Ungereimtheit“ seines

Humors wurde. Denn erst als Jean Paul dem lächerlichen Treiben, in das er

hineingeboren wurde, seine Einsicht verlieh, konnte sich an ihm die Flamme des

Komischen entzünden; dem echten Zopfbürger ist seine Verschrobenheit

unbezweifelbarer Ernst wieder eine Hauptursache des Lächerlichen ist„ (J. ALT , Jean

Paul , E. H. Beck’sche Verlangsbuchhandlung, München 1925, pp. 324-325).1 0 1 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 114, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 122: “Ecco perché nessuno, mentre agisce, può nutrire

la sensazione di essere ridicolo; bisognerà che sia trascorsa un'ora, e allora noi,

essendo divenuti il nostro secondo io, potremo fittiziamente attribuire al primo io i

giudizi del secondo. L'uomo può apprezzarsi e disprezzarsi mentre compie un'azione

che è oggetto dell'uno o dell'altro io, ma non può deridersi da solo, come non può

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Per definire il ridicolo, secondo Jean Paul, non ci si può liitare, come

fanno le definizioni a lui precedenti o contemporanee, a considerare il

contrasto reale tralasciando quello apparente: “Ciò spiega l'erroneità

delle definizioni correnti del ridicolo, che si limitano a considerare

solo il contrasto reale e non anche quello apparente; ecco perché

l'essere ridicolo, con le sue deficienze, deve avere almeno la parvenza

della libertà; ecco perché ridiamo solo degli animali più intelligenti, i

quali ci consentono, con un credito di antropomorfismo, di prestar

loro una personalità; e perché il ridicolo cresca con l'intelletto della

persona ridicola; e perché l'uomo che si eleva al di sopra della vita e

dei suoi motivi allestisca per sé la più lunga delle commedie, in

quanto, attribuendo i propri elevati moventi alle vili aspirazioni della

massa, può ridurre queste ultime a manifestazioni di assurdità; ma

uno qualsiasi dei mediocri può rendergli la pariglia attribuendo i

propri bassi moventi agli aneliti del grand'uomo; e perché una folla di

programmi, di annunci e di annunciatori eruditi, comprese le più grevi

creature del mercato librario tedesco, le quali, considerate per quel che

sono, strisciano indolenti e ripugnanti, si drizzano d'incanto,

trasformate in opere d'arte, non appena s'immagini (prestando dunque

ad esse moventi più elevati) che qualcuno le abbia concepite a fin di

burla o di parodia”102.

Il ridicolo, a detta di Jean Paul, si basa su tre tipi di contrasto,

oggettivo, sensibile, e soggettivo, a partire da cui hanno origine i vari

amarsi e odiarsi”.1 0 2 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pagg. 113-114, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 123.

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generi del comico; scrive Jean Paul: “Mi si consenta [...] che per amor

di brevità io chiami i tre costituenti del ridicolo, considerato come

l'intuizione sensibile dell'insensatezza infinita, semplicemente così

come faccio: il contrasto in cui lo sforzo o l'essere del soggetto ridicolo

si oppone al rapporto offerto all'intuizione sensibile lo chiamo

contrasto oggettivo; questo rapporto offerto all'intuizione sensibile lo

chiamo contrasto sensibile; e il contrasto tra i precedenti, che noi

affibbiamo loro in questo secondo contrasto prestando la nostra anima

e il nostro punto di vista, lo chiamo contrasto soggettivo. Questi tre

costituenti, trasfigurati nell'arte, a seconda del prevalere di uno di essi

sugli altri, devono generare i vari generi del comico. La poesia antica o

poesia plastica lascia prevalere nel comico il contrasto oggettivo con lo

sforzo sensibile; il contrasto soggettivo si cela dietro l'imitazione

mimica. In origine ogni imitazione fu dileggio, tant'è che presso tutti i

popoli il teatro incominciò con la commedia. Per riprodurre sotto

forma d'illusione quanto suscitava amore o incuteva terrore, furono

necessari tempi più maturi. E il comico, con i suoi tre costituenti,

poteva venire offerto nel modo più semplice proprio attraverso

l'imitazione mimica. Dagli scimmiottamenti dei mimi si passò

all'imitazione dei poeti. Ma nel comico, come nella serietà, gli antichi

restarono fedeli alla loro plastica oggettività; ecco perché, presso di

loro, gli allori del comico ornano solo i teatri, mentre presso i moderni

anche altri luoghi”103.

1 0 3 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 114, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pagg. 123-124.

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Il comico e la satira

“Il regno della satira confina con il regno del comus”104: così Jean

Paul apre il quarto paragrafo (§ 29, “Differenza tra la satira e il

comico”) del VI Programma della Propedeutica all'estetica dedicato al

comico o ridicolo.

Se la satira si caratterizza come una seria indignazione morale, in

versi, nei confronti del vizio105 – e qui Jean Paul porta come esempi

Giovenale e Persio, che “colmano di amarezza la bocca già pronta al

riso”106 –, il comico, dal canto suo, costruisce il suo gioco poetico sulle

piccole cose insensate, rendendoci liberi e allegri107. “Il regno della

satira è piccolo – scrive Jean Paul – poiché costituisce la metà del

regno morale, e pertanto non si può mai schernire a talento; ma l regno

del riso è grande infinitamente, grande come il regno dell'intelletto o

della finitezza, poiché a ogni grado sarebbe possibile trovare un

contrasto soggettivo atto a rimpicciolire. In quel regno ci si trova

1 0 4 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 115, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 124.1 0 5 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 115, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 124.1 0 6 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 115, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 124.1 0 7 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 115, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 124.

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legati alla morale, in questo liberati dalla poesia. Lo scherzo non

conosce altro fine se non la propria esistenza”108.

E purtuttavia, questi due regni non sempre sono così eterogenei tra

di loro, tanto che spesso risulta facile il trapasso e la mescolanza dei

due: spesso infatti la satira è portata a venire a contatto con lo scherzo,

strumento tipico della comicità, il quale risulta volto a colpire

l'insensatezza e la vanità che si trova in essa109. Infatti, “quanto più

una nazione o un'epoca non possiede il senso della poesia, tanto più

inclinerà a prendere lo scherzo per satira, come pure, al contrario,

tanto più trasformerà la satira in scherzo quanto più diventa immorale

[...]. Lo scherzo ci manca semplicemente per mancanza di... serietà; sul

suo trono vacante si è seduta colei che rende tutte le cose uguali,

l'arguzia, che deride e annulla virtù e vizio”110. 1 0 8 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 116, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 124.1 0 9 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 116, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 125.1 1 0 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 117, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pagg. 125-126; sulla relazione tra satira, idillio e umorismo

si leggano queste parole di G. Voigt: “Satire, Idylle oder, vom Humoristen aus

gesehen, besser: Elegie und Rhapsodie, das also waren die literarischen

Sprachgebärden für den Humor, die Jean Paul im einzelnen von seinem unmittelbaren

drei deutschen Vorgängern überkamen. Ihm als dem nächstfolgenden Humoristen fiel

damit die Aufgabe zu, endgültig ein jedes Stilmomente mit dem anderen zu

vereinigen. Zur innern Anlage, die Jean Paul dies zu erfüllen bestimmte, traten

besondere äußere Unstände, welche dieser Bestimmung zur Verwirklichung

verhalfen. Man weiß, wie dem Knaben und noch dem Jünglinge in der weltentlegenen

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5.1.2. L'umorismo

L’umorismo esprime la possibilità di ridere della finitezza umana

senza, tuttavia, spezzare l’unità stessa del reale, ma, al contrario,

cercando di trasfigurare le violenze e gli urti subiti dalla vita in

direzione di quell’armonia, dove, per mezzo del riso, è possibile

mostrare ancora “un dolore e una grandezza”. Il tema dell’umorismo,

presente nella Vorschule tra la trattazione del comico e quella

dell’arguzia, comporta quindi il realizzarsi di quella teodicea del riso,

Abgeschiedenheit des kleinstädtischen Hof die große Kulturumwälzung fast ganz

fremd blieb. Während der Sturm und Drang längst die Aufklärung überwunden und

bereits die eigene Höhe erreicht hatte, rang er noch mit den veralteten Problemen

jener, hatte er sich in diesem Ringen gerade zum „skeptischen Aufklärer“ entwickelt.

Als Künstler begann er deshalb mit der Satire. Und nun sehen wir, wir sich in der

Seele des Einsamen selbst die Geschichte des deutschen Humors im 18. Jahrhundert

gleichsam in verkürzter Perspektive wiederholt. Denn ganz von selbst findet sich sein

Genius von der Satire weiter zur Elegie und zur Rhapsodie. Jede dieser drei Formen

prägt er zunächst für sich in einer Reihe kleinerer Dichtungen aus; sie stellen Jean

Pauls Frühwerk dar. Mit dessen Befragung muß unsere Untersuchung anheben, wenn

anders sie den aus den genannten Formen synthetisierten Humor Richters verstehen

will, wie er dann glanzvoll in den großen Romanen der Reifezeit hervortritt, wenn

anders sie vor allem der Figur des Humoristen in diesen Romanen gerecht werden

soll„ (G. VOIGT , “Die humoristiche Figur bei Jean Paul”, Jean-Paul-Gesellschaft

Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, nur mit Genhmigung der Jean-Paul-

Gesellschaft. Druck: Buchdruckerei Emil Mühl Bayreuth – 1969, p. 15).

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che acquista il suo senso più proprio in relazione al rovesciarsi, sul

piano estetico, di quell’orizzonte di significati aperto dal concetto

leibniziano di armonia. L’esercizio del riso, in particolare quello

realizzato attraverso l’umorismo, permette quindi di redimere la parte

di realtà che istintivamente l’uomo vorrebbe vedere allontanata da sé,

in quanto causa di un dolore vissuto come estraneo e privo di senso.

Detto in altri termini, l’umorismo ha il compito di muoversi in

direzione dell’irrazionale, del brutto e dell’accidentale al fine di

elaborarne un senso positivo in grado di mostrare come anche questi

aspetti della realtà appartengano al nostro mondo di uomini razionali;

infatti, e non a caso, l’umorismo si lega, a differenza del comico, alla

ragione e non all’intelletto, incarnando così una sorta di vero e proprio

esercizio filosofico capace di trovare comunque l’armonia in un mondo

che sembra ormai avvolgersi intorno ad un asse spezzato. In questo

modo è possibile cogliere in senso pieno il fatto che l’umorismo

rappresenti, secondo Jean Paul, lo strumento capace, a partire da un

orizzonte di riferimento estetologico, di muovere il pensiero dell’uomo

dal finito all’infinito – opposizione quest’ultima che, tra l’altro, fonda

tradizionalmente le basi sia filosofiche che poetiche del movimento

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romantico, da cui Jean Paul eredita comunque, al di là delle differenze

che lo contraddistinguono, una visione dualistica della realtà, intesa

essenzialmente come il frutto della spaccatura tra mondo degli antichi

e mondo dei moderni.

Il passaggio alla modernità produce pertanto, all’interno della

coscienza dell’uomo, il crearsi di coppie di contrari – io-mondo, finito-

infinito ed interiore-esteriore – che la poesia ha il compito di

sciogliere, come avviene appunto nel romanticismo, attraverso

l’esercizio della propria fantasia. La poesia romantica si pone pertanto

il problema di affrontare il conflitto esplicito che viene a crearsi tra

esistenza e realtà a partire dall’introduzione dell’idea cristiana di

infinito. D’altra parte, quanto affermato spiega, allo stesso tempo, il

motivo per cui, secondo Jean Paul, il concetto stesso di umorismo si

leghi necessariamente, al pari delle posizioni più tipicamente

romantiche, all’idea di infinito, trovando così in questo ruolo la

giustificazione della propria importanza e centralità.

Al di là delle analogie e dei punti in comune più evidenti, in

particolare la centralità dell’idea di infinito, è necessario tuttavia

sottolineare quella che risulta essere la distinzione fondamentale tra

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l’ironia romantica e quella espressa invece da Jean Paul attraverso il

concetto di umorismo. In prima istanza, infatti, è pur vero che sia

l’ironia che l’umorismo traggono la propria origine da una spaccatura

tra finito e infinito, dove, attraverso il prodursi di un sentimento del

contrario, del contrasto e della contraddizione, si realizza la nostalgia

per quell’infinito che distingue il sentire stesso della modernità.

Tuttavia, nel caso dell’ironia romantica, il contrasto e la scissione

tra il finito e l’infinito vengono portati e ripetuti nell’opera d’arte

stessa, la quale, così, attraverso il proprio spezzarsi, mostra il suo

essere di prodotto arbitrario in quanto frutto della libera poiesis

dell’artista.

Mentre, nel caso dell’umorismo jeanpauliano, viene preservata

l’unità e l’organicità dell’opera d’arte, che, in questo modo, trova in sé

la forza di rispecchiare, attraverso se stessa e la propria natura

armonica, il migliore dei mondi possibili. Risulta di conseguenza che

l’umorismo, pur trovando le proprie radici nel contrasto tra finito e

infinito, supera la contraddizione leggendo, per mezzo dell’orizzonte

di senso dischiuso dal mondo dell’arte, il finito come parte e specchio

dell’infinito, realizzando così, in chiave esplicitamene estetologica – e

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non pertanto in modo dialettico formale –, il concetto leibniziano di

teodicea.

L’umorismo incarna, proprio in quanto strumento per il concretarsi

della teodicea, lo sforzo in direzione della totalità, intesa, nella stessa

Vorschule, come la parte ultima della “grande catena dell’Essere”. Una

prima ed ancora acerba tensione verso la totalità era tuttavia già

presente, secondo Jean Paul, all’interno del comico, attraverso la

spinta verso il fondersi tra soggetto e oggetto, cercata, anche se

impossibile da realizzare, da parte del sentimento della simpatia – il

sentimento chiave del comico stesso.

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Da questo punto di vista è possibile tracciare una linea comune tra

comico ed umorismo – l’umorismo, infatti, non fa altro che ripetere in

se stesso una propensione già presente nel comico, differenziandosi

tuttavia dal comico stesso in virtù di una propria maggiore

consapevolezza ed efficacia, in quanto è nell’umorismo che si rende

propriamente possibile quella elaborazione del contrasto in chiave

armonica ed equilibrata, presupposta dal concetto di totalità, o meglio

da quel pensiero del tutto (das All) implicato dalla jeanpauliana

Poetische Poesie. Detto ancora in altri termini, nel comico si rivelano i

limiti costitutivi dell’intelletto di fronte alla realtà dell’esistenza,

lasciando così spazio alla figura della simpatia, intesa come quel

sentimento capace di condurre l’assurdo della contraddizione

all’armonia. Mentre, a livello dell’umorismo, la ragione è la facoltà

che, attraverso il proprio procedere, rende possibile quel colpo

d’occhio sulla realtà, comprendendo così al proprio interno le stesse

contraddizioni che segnano necessariamente l’esistenza. L’atto

razionale che segna l’umorismo non è da intendere tuttavia come un

vuoto esercizio compiuto secondo le regole della logica, ma, al

contrario, presuppone una netta distinzione tra quello che, nella

Critica della ragione pura kantiana, era l’intelletto legislatore e la

ragione stessa, letta come quella facoltà capace di afferrare, a livello

esplicitamente prelogico, la totalità dell’esperienza dischiusa dai

fenomeni appartenenti al nostro mondo. Il carattere prelogico

implicato dall’umorismo comporta di conseguenza la messa tra

parentesi di ogni proiezione rigidamente schematica riguardo

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l’armonia dischiusa da questa particolare forma di ironia. L’umorismo,

quindi, cela in sé quella innocente freschezza che permette all’uomo di

tornare bambino, superando così l’odio fomentato da ogni ferrea

dicotomia di tipo logico-razionale.

Il comico o ridicolo, ci spiega Jean Paul alla fine del VI Programma,

“resta [...] eternamente al seguito della finitezza spirituale”111 essendo

un contrasto tra finito e finito; da esso si distingue lo humor, o

umorismo, che è “il comico romantico”112.

1 1 1 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 124, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 131.1 1 2 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 124, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 132. A proposito del concetto di umorismo qui

accennato, scrive G. Voigt: “Im §m 35 der „Vorschule“ über „humoristiche

Sinnlichkeit“ wird als Funktion des Sinnes beschreiben, die einzelnen realen Dinge

und Vorgängezu umfangen. Wie umgekehrt der Verstand sich auf das Ganze bezieht

und wie demzufolge das Nebeneinanderwirken von Verstand und Sinn im Humor

aussieht, wird in § 32 (S. 125) vergegenwärtigt: „Der Humor, als das umgekehrte

Erhabne, vernichtet nicht das einzelne, sondern das Endliche durch den Kontrast mit

der Idee. Es gibt für ihn keine einzelne Torheit, keine Toren, sondern nur Torheit und

eine tolle Welt… der Humorist nimmt fast lieber die einzelne Torheit in Schutz, den

Schergen des Prangers aber samt allen Zuschauen in Haft, weil nicht die bürgerliche

Torheit, sondern die menschliche, d. h. das Allgemeine sein Inneres bewegt.“ Indem

aber des Humoristen Verstand solchermaßen „die menschliche Torheit“, d. i. das

menschliche Dasein in seiner Fragwürdigkeit durchschaut, wird ihm die Wirklichkeit

in ihrem großen Ganzen zum Gegenstande eines „Skeptizismus, welcher… entsteht,

wenn der der Geist sein Auge über die fürchterliche Menge kriegerischer Meinungen

um sich her hinbewegt, gleichsam ein fremde der ganzen stehenden Welt umwandelt“

(a. a. O. § 33, S. 132). Dies nun ist der Augenblick, wo „der Humor… den Verstand

verlässt, um vor der Idee fromm niederzufallen“ (ebd.). Das Gefühl tritt in seine

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In poche parole, potremmo anticipare che l'umorismo altro non è che

il comico così come esso viene utilizzato nella poesia romantica quale

forma compiuta della poesia moderna nella sua accezione più propria,

ossia in quanto distinta e distante dagli estremi in cui essa può

deformarsi, la poesia materialistica, da un lato, quale mera imitazione

del modello al fine di emulare, esasperandoli, i dettami della poesia

antica, e la poesia nichilistica, dall'altro lato, che pretende di poter

agire facendo a meno di qualsiasi forma di imitazione avvalendosi

unicamente della facoltà immaginativa del genio portata all'eccesso

trasformandola in una fantasia che pretende di poter produrre ex

nihilo da sé il mondo113. Prendendo le distanze sia dalla poesia antica,

Rechte. In diesem Sinne „gibt sicht der Humor als eine Grundsstimmung zu erkennen

zu erkennen, zu welcher die Beigaben des Intellekts sich nur als ‚dienende Geister’

verhalten (Bahnsen, S. 113). Wahrlich als dienende Geister! „Bahnt“ doch „seine

Höllenfahrt“ auf dem Schüdderump des Verstandes des Humor „die Himmelfahrt“

auf den Schwingen des Gefühls. Der Humor „gleich dem Vogel Merops, welcher zwar

der Himmel den Schwanz zukehrt, aber doch in dieser Richtung in den Himmel

auffliegt. Dieser Gaukler trinkt, auf dem Kopfe tanzend, den Nektar hinaufwärts“ (a.

a. O. §33, S. 129)„ (G. VOIGT , “Die humoristiche Figur bei Jean Paul”, Jean-Paul-

Gesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, nur mit Genhmigung der Jean-

Paul-Gesellschaft. Druck: Buchdruckerei Emil Mühl Bayreuth – 1969, pp. 16-17).113 Sul tema dell'umorismo si esprime ad es. J. Alt nel suo compendio dedicato

all'opera di Jean Paul: “Gestalt, heroischen Tatendrang und Magie, zwischen hohem

menschlichen Begehren nach Begehren nach herdischer Erfüllung und unstetem

Ungenügen am Wirklichen, das immer wieder zur brennenden Sehnsucht nach einem

glücklicheren Jenseits trieb. Doch bestand das Wertvolle des Jean Paulischen Humors

gerade darin, daß er trotz dieser metaphysischen Zerrissenheit das Erdendasein mit

stolzer Kühnheit packte und bezwang. Solche Kühnheit konnte zwar das

Verhängnisvolle nicht im Grunde zu Beglückung wandeln, aber doch die Lebensfahrt

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di tipo prettamente mimetico, sia dalle forme difettive di poesia

moderna, quella materialistica e quella nichilistica, la poesia

romantica cerca di calibrare correttamente la facoltà del genio,

correggendo (e non sostituendo) l'imitazione con l'immaginazione, e

modulando pertanto lo strumento della comicità in conformità con

questo suo nuovo modus operandi. Da questa operazione nasce dunque

l'umorismo quale forma di comicità propria della poesia romantica 114,

durch Schluchten und Gefahren zu einer furchtlosen ritterlichen Tat machen. Darum

lobte Jean Paul die Besonnenheit so sehr, die ihm der Humor verliehen hatte; sie gab

ihm die Macht nüchterner Beherrschung noch in der größten magischen Verzückung

und idyllischen Beseligung und damit Jene Kühle, die Jean Paul bei aller

Aufpeitschung der Empfindungen und Gefühle doch nie weichlich erscheinen lässt,

eher grausam in der Art, wie er die glühende Seele in die kalten Widerspruche des

Realen hineintaucht. Doch ohne diese Härte, mit der Jean Paul auch sein eigenes

Leben zügelte, würde seiner Dichtung die entscheidende Würde und Größe fehlen, da

erst die Strenge, mit der hier Qual und Schmerz immer wieder in das Göttliche

hineingeleitet und mit der das Absolute rein und unverletzbar gewahrt wird, die

andauernde „Vernichtung des Endliches durch den Kontrast mit der Idee“ ertragbar

macht. Jean Paul wurde durch seine sittliche Größe, die als innere Zucht auch sein

Werk adelt, vor solcher Verflüchtigung bewahrt„ (J. ALT , Jean Paul , E. H. Beck’sche

Verlangsbuchhandlung, München 1925, pp. 326-327).1 1 4 Leggiamo a tal proposito quanto scrive lo stesso Jean Paul: “In opposizione alla

poesia plastica, abbiamo dato alla poesia romantica lo spazio d'azione di quel'infinità

del soggetto in cui il mondo degli oggetti, come in un chiaro di luna, perde i suoi

contorni. Ma come può il comico divenire romantico, se consiste semplicemente nel

contrasto tra finito e finito e non può ospitare infinità alcuna? L'intelletto e il mondo

oggettivo conoscono solo la finitezza. E solo qui troviamo quel contrasto infinito tra

le idee (della ragione) e la finitezza nella sua globalità. Che accadrebbe però se ora,

passandola sottobanco, prestassimo questa finitezza, come contrasto soggettivo ,

all 'idea (l'infinità), vista come contrasto oggettivo , e se in luogo del sublime, l 'infinito

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e si caratterizza come un “sublime alla rovescia”, dal momento che

non consiste in un contrasto tra due finiti, bensì in un contrasto con

l'idea stessa (l'infinito), che porta ad annullare la finitudine 115.

L'umorismo dunque, a differenza del comico, è un ridicolo applicato

ad una totalità, all'idea in quanto infinità o, con le parole di Jean Paul,

alla “follia stessa degli uomini, cioè l'universalità”116.

Ora, Jean Paul si chiede che cosa distingua l'umorista che riscalda

l'anima dal canzonatore che la raggela, e a suo dire si tratta di ciò che

egli chiama “idea annientante”117. Leggiamo questo esempio che porta

Jean Paul: “Se l'uomo, come solevano fare gli antichi teologi, osserva il

mondo terreno dal mondo ultraterreno, lo vedrà, minuscolo e vano,

passare e allontanarsi; ma se egli, con il piccolo mondo, unisce il

mondo infinito, e misura la sua estensione come suol fare l'umorismo,

allora nascerà quel riso in cui ancora alberga un dolore e una

grandezza. Ecco perché se la poesia greca, in contrasto con la poesia

moderna, colmava l'uomo i gioie, l'umorismo, in contrasto con l'ilarità

applicato, ottenessimo un finito applicato all'infinito, dunque solamente

un'infinitezza del contrasto, vale a dire un'infinitezza negativa? Avremmo allora lo

humor , o il comico romantico” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 124, tr. it .

Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 132).1 1 5 “Nella sua qualità di sublime alla rovescia, introducendo il contrasto con l'idea,

l 'umorismo non annichila l 'individuale bensì il finito” (Jean Paul, Vorschule der

Ästhetik , cit., pagg. 124-125, tr. it . Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia , cit., pag.

132).1 1 6 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 125, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 133.1 1 7 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 129, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 136.

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dei tempi antichi, gli infonde un certo grado di serietà; l'umorista

cammina sui bassi socchi, ma spesso porta la maschera tragica, se non

sul volto nella mano [...]. Gli antichi erano troppo felici di vivere per

poter nutrire il disprezzo umoristico della vita”118. Nell'umorismo

dimora pertano una sorta di parziale serietà119, che viene a compensare

quel contrasto che in esso si incarna. Ciò che agisce nell'umorismo è

pertanto ciò che Jean Paul definisce “idea annientante”, giacché

l'umorismo si rifiuta di inchinarsi alla finitudine propria dell'intelletto

e dei contrasti che in esso possono generarsi, e mostra al contrario la

propria devozione nei confronti dell'idea, ossia dell'infinito120,

dall'alto della cui totalità e infinità il mondo terreno appare dunque

come un puro nulla, una vacuità che solo l'umorismo, per mezzo

dell'idea annientante, sa far emergere.

Umorismo e ironia

Se l'umorismo ha prevalentemente a che fare con la soggettività,

ossia con un contrasto soggettivo121 dell'io con l'idea, cioè con 1 1 8 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 129, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 136.119 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 129, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 136.1 2 0 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 131, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 138.1 2 1 Nella Propedeutica all'estetica di Jean Paul si legge: “Come il romanticismo serio,

anche quello comico – in opposizione all'oggettività classica – è il reggente della

soggettività. Se il comico è dato infatti dal contrasto in cui massima soggettiva e

massima oggettiva s'invertono, non potrò mai pensare di situare l'oggettiva – che

deve essere, dopo quanto s'è detto, un'infinità desiderata – fuori bensì dentro di me, e

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l'infinità, l'ironia in senso stretto è invece quella forma di umorismo

che, occultando il contrasto soggettivo, pone in rilievo quello

oggettivo: “Là dove solo il contrasto oggettivo o la massima oggettiva

vengono posti in rilievo, mentre il contrasto soggettivo viene

occultato: questo luogo è l'ironia, che di conseguenza, in qualità di

pura rappresentante dell'oggetto ridicolo, deve apparire sempre seria e

prodiga di lodi, e non importa in quale forma conduca il suo gioco, se

in forma di romanzo, come in Cervantes, o di panegirico, come in

Swift”122.

Ciò che caratterizza l'ironia in senso stretto è la serietà, o meglio,

l'apparenza di serietà: “La serietà dell'ironia è sottoposta a due

condizioni. Innanzitutto, considerando il linguaggio, si studierà

l'apparenza di serietà, al fine di cogliere la serietà dell'apparenza o

qui le attribuirò surrettiziamente la soggettiva. La conseguenza è che io stesso mi

situo in tale scissura – ma non in una posizione estranrea, come accade nella

commedia – e suddivido il mio io nel fattore finito e nel fattore infinito, lasciando

derivare il secondo dal primo. Ma ecco che il lettore esclama ridendo: 'È impossibile!

È troppo folle!' . Sicuro! Ecco perché presso tutti gli umoristi l ' io recita il ruolo di

protagonista e, quando può, inscena nel suo teatro comico persino le sue relazioni

personali, benché al solo fine di distruggerle attraverso la poesia. L'io che scrive è il

buffone di corte, il quartetto italiano di maschere, ed anche il reggente e il regista di

se stesso, e perntanto ha bisogno che il lettore gli porti un po' d'amore, perlomeno

non un sentimento d'odio, e che non scambi l'apparenza con l'essere; non vi è da

dubitare che il migliore autore sarebbe colui il quale sapesse gustare a proprie spese

senza riserve il sapore umoristico di un testo giocoso” (Jean Paul, Vorschule der

Ästhetik , cit., pagg. 132-133, tr. it . Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia , cit., pag.

139).1 2 2 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 148, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pagg. 153-154.

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serietà ironica”123. In ciò, l'ironia si distingue dal capriccio, “dal

momento che il secondo è lirico e soggettivo, mentre la prima è

oggettiva”124. La prima caratterizza infatti chi è maggiormente dotato

d'intelletto, la seconda coloro nei quali prevale la fantasia125.

Jean Paul aggiunge che “la materia dell'ironia deve essere oggetto,

l'essenza epica deve convertirsi in una massima apparentemente

razionale e deve fare il proprio gioco, non quello dell'ilarità del poeta;

la serietà dell'apparenza deve perciò addensarsi anche nell'oggetto,

non solo nel linguaggio. Ad un tal fine l'ironista non potrebbe mai

dare all'oggetto ragioni e un'apparenza bastevoli”126.

1 2 3 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 148, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 154; prosegue Jean Paul: “Chi voglia sostenere

un'opinione con serietà, tanto più se si tratta di una persona colta, lo fa solo con

pudore; egli dubita – domanda – spera – teme – nega la negazione o ancora il

superlativo dell'avversario – dice: non avrò l'ardire di affermare che, – opure: avrei

torto a pensare che, – o: decidano gli altri se, – oppure: preferirei non dire che, – mi

vuol sembrare come se, – ed impiega le formule di esordio e di connessione indicate

da Peucer o da qualche altro stilista passabile. Ebbene, è proprio con questa dotta

parvenza di moderazione e di modestia che alla serietà ironica conviene presentare al

mondo le proprie affermazioni” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 148, tr. it .

Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 154.).1 2 4 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 152, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 157.1 2 5 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pagg. 153-154, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 159.1 2 6 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 154, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 159.

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Umorismo epico, drammatico e lirico

A questo punto Jean Paul passa a distinguere le tre forme di

umorismo così come esse si manifestano nelle tre forme letterarie

dell'epica, del dramma e della lirica127.

Innanzitutto, a detta di Jean Paul, occorre separare l'epos dal

dramma serio128: “Benché le descrizioni di ambedue siano di tipo

oggettivo, l'uno rappresenta soprattutto l'esteriore, i personaggi e i

destini, l'altro l'interiore, le sensazioni e le decisioni; l'uno il passato,

l'altro il presente; l'uno una successione lenta, con lunghi prologhi

prima delle azioni, l'altro la folgorazione lirica delle parole e degli

127 Leggiamo quanto scrive Jean Paul: “Nel passare dal comus epico al comus

drammatico ci imbattiamo subito nella differenza per cui da un lato numerosi poeti

epici comici grandi e piccoli, Cervantes, Swift, Ariosto, Voltaire, Steele, Lafontaine,

Fielding, non scrissero commedie o ne scrissero di brutte, dall'altro grandi

commediografi fanno la figura di carrivi ironisti, per es. Holberg nei suoi saggi in

prosa, Foote nella sua commedia I retori . La difficoltà di questo passaggio – o ogni

difficoltà in genere – presuppone una gerarchia di valori o solamente una differenza

di capacità e di esercizio? La seconda, probabilmente. Omero avrebbe faticato a

trasformarsi in Sofocle, e Sofocle viceversa in Omero; e la storia non ci offre un

grande poeta epico che sia stato anche un grande drammaturgo e viceversa; e tra

serietà epica e serietà tragica vi è una via più lunga persino di quella che le unisce

allo scherzo, poiché quest'ultima, pur portando in un luogo opposto, forse incomincia

già dietro l'angolo. Se ne ricava in generale, perlomeno, che la vis epica e l 'esercizio

dell'epica non rimpiazzano né rendono superflue le facoltà corrispondenti nel

dramma, e viceversa; ma quant'è alto il muro divisorio?” (Jean Paul, Vorschule der

Ästhetik , cit., pag. 156, tr. it . Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia , cit., pagg. 158-

159).1 2 8 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 157, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 161.

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atti; – il primo, nella parsimoniosa unità di luogo e di tempo, perde ciò

che il secondo guadagna. Tutti questi tratti presi insieme rendono il

dramma più lirico; non si potrebbe d'altronde trasformare tutti i

personaggi del dramma in caratteri lirici? E se non si potesse, i cori di

Sofocle non sarebbero allora, in questa armonia, delle lunghe note

false?”129. Il poeta dell'epos serio è dunque colui che tenta di elevarsi

sempre più, e il suo elevarsi sarà sempre un tendere al sublime oltre il

quale egli non può però ergersi; il poeta dell'epos comico, dal canto

suo, “insiste invece sull'opposizione tra pittore e oggetto”130: egli, al

pari dell'attore comico, duplica il contrasto soggettivo con l'oggetto, al

contrario del poeta serio che invece, analogamente all'attore tragico,

“nel quale non si vuole né si deve presumere e osservare alcuna forma

di parodia o alcun controcanto del ruolo eroico” 131. Il lavoro del poeta

comico può dunque apparire quasi più arduo rispetto a quello del

poeta serio, giacché occorrono grandi doti, a detta di Jean Paul, per

esprimere un ideale attraverso un equilibrato sodalizio con figure

scimmiesche: “il poeta deve persino saper scrivere all'inverso, così che

la sua scrittura diventi leggibile nella seconda inversione dello

specchio dell'arte”132. L'arduo compito del poeta comico consiste

129 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 157, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 161.130 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 157, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 161.131 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 120, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 126.132 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 120, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 126.

160

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dunque nell'unione della sostanza divina con quella umana, che spesso

porta non a una nuova natura ibrida, bensì all'annullamento delle due

nature.

Il comico lirico o il capriccio e il burlesco

A differenza delle figure sin qui descritte, il poeta lirico rappresenta

contemporaneamente se stesso e il folle: “nel medesimo istante

d'insensatezza deve essere ridicolo e ridente, ma facendo sì che

prevalgano il sensibile e il contrasto soggettivo”133: “L'umorismo, nella

sua qualità di spirito comico universale, si rivela qui come entità

minuscola e prigioniera, uno spiritello del focolare e del bosco,

un'amadriade del serto spinoso, ovvero un capriccio”134. Pertanto,

prosegue Jean Paul, l'umorismo sta al capriccio come l'ironia sta alla

canzonatura135.

Il poeta burlesco è invece colui che incarna il mondo della bassezza

e, con la prpria opera, realizza il proprio autoritratto: egli “è una

sirena, bella per metà del corpo; ma questo poeta lascia affiorare alla

133 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 161, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 165.134 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 162, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 165.135 Prosegue Jean Paul: “Il primo [l'umorismo] colloca più in alto, il secondo [il

capriccio] più in basso il rispettivo punto di paragone. Il poeta si identifica sino a un

certo grado con l'oggetto della decisione; e tra le corde di una tale lire l 'oggettiva

soggettività del Pan di Schelling riappare ai nostri occhi con il nome di burlesco”

(Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 162, tr. it . Jean Paul, Il comico, l'umorismo e

l'arguzia , cit., pag. 165).

161

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superficie l'altra metà, e spesso si tratta di una poesia pastorale latrata

da un cane pastore”136.

5.1.3. L'arguzia (Witz)

Già nel VI Programma l'arguzia era stata definita come “colei che

rende tutte le cose uguali”137. Ora invece, nel IX Programma della

Propedeutica all'estetica, Jean Paul si occupa di approfondire in modo

molto più dettagliato questo concetto, partendo dalla sua

definizione138.

136 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 161, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pagg. 165-166.137 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik , cit., pag. 120, tr. it . Jean Paul, Il comico,

l'umorismo e l'arguzia , cit., pag. 126.1 3 8 Queste parole di F. Cambi introducono al tema in questione: “Systematisch

behandelt Jean Paul die Ästhetik und Poetik des Witzes in den 13 Abschnitten, die

das 9. Programm der <<Vorschule der Ästhetik >> ausmachen. In den 15 Programmen,

in die sich die ersten beiden Abteilungen der <<Vorschule>> untergliedern, nimmt

bezeichnenderweise der poetologische und linguistische Aspekt des Witzes den

breitesten Raum ein. Es ist angebracht, an dieser Stelle zunächst die Schwierigkeiten

herauszustellen, die sich im Bemühen um ein eindeutiges Verständnis des Begriffes

<<Witz>> ergeben, sei es, weil der Begriff über die weite Zeitspanne seiner Existenz

ein sehr breites und veilfältiges Spektrum an Stellungnahmen und

Deutungsversuschen hervorgerufen hat, sei es, weil sich seine Definition selbst im

begrenzten Rahmen des theoretischen Gebäudes Jean Pauls als problematisch erweist.

In der <<Vorschule>> versteht Jean Paul unter <<Witz>> sprachliche Technik und

Spiel, die sich auf lexikalischer und rhetorischer Ebene mit dem Begriff des Bonmts

wiedergeben lassen, der geisstreich-satirischen Äußerung, der bissigen Bemerkung:

Alles ist Ausdruck der dem Geist eigenem Vernunftbegabung und Kreativität. Dank

162

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Tutta la tradizione romantica si è confrontata con questo concetto,

che in sintesi, secondo alcune note parole di Schlegel, può essere

definito come la “facoltà di creare somiglianze”. Franco Rella scrive

che “il Witz (wit in inglese) è la 'battuta di spirito'. Diventa parola

chiave per il romanticismo di Schlegel, Novalis e Solger [...]. Il Witz è

la possibilità di cogliere il reale non nel concetto ma in una

costellazione di senso. Solger ne farà l'organo principale di quello che

definirà 'l'intelletto artistco'”139. Friedrich Schlegel aveva infatti

definito il Witz come “la possibilità di creare somiglianze tra oggetti,

che sono del tutto indipendenti, differenti e diversi, e così di

connettere a unità ciò che più è molteplice, differente: è lo spirito

einer Synthese gelingt es Jean Paul, die geistige Quelle mit den rhetirisch-stilistischen

Vorgaben in Einklang und Übereinstimmung zu bringen und damit die Beziehung

zwischen Idee, Zeichen und Bedeutung zu intensiviren. Die dehnbare Wesensart des

Witzes als Erzeuger von Bildern, heiteren Sprüchen und Sprachspielen, in deren

Rahmen die Unangemessenheit der Verknüpfungen und Fügungen um eine weitere

Bilderquelle, die Metapher, bereichert wird, findet ihre, wenn auch anfechtbare und

stets spannungsvolle Rechtfertigung und Vervollständigung in der humoristichen

Einstellung zur Wirklichkeit„ (F. CAMBI , “<<Geist>> und <<Witz>> in der Ästhetik

JeanPauls”, Jean-Paul-Gesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, nur mit

Genhmigung der Jean-Paul-Gesellschaft. Druck: Buch- und Offsetdruckerei Emil Mühl

Bayreuth GmbH – 1994, p. 95).139 Franco Rella, L'estetica del romanticismo , Donzelli, Roma 2006, pagg. 35-36.

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combinatorio”140. Come scrive Franco Rella, “il nuovo pensiero mitico

è quello che si muove attraverso il Witz e l'arabesco: attraverso la

'facoltà di creare somiglianze' [...]. Dunque 'essenza della forma del

moderno', scrive Schlegel, 'è l'intrigo' [...], di cui l'arabesco è

immagine. Con questo Schlegel rovescia il senso di una metafora che

ha percorso i secoli, segnando, nel suo mutamento, una svolta epocale.

Il labirinto, da figura d'orrore che si può dominare soltanto con il filo

dell'astuzia (Arianna) e con il filo tagliente della spada (Teseo) diventa

in quanto arabesco il luogo di infinite esplorazioni e di infinite

scoperte: una peripezia verso il mutamento del nostro stesso concetto

di realtà, del nostro stesso ethos, vale a dire del nostro luogo dentro il

reale”141. Paolo D'Angelo fa notare che il Witz va oltre la semplice

capacità di cogliere lontane somiglianze, in quanto rappresenta,

soprattutto in Jean Paul, “la capacità di cogliere legami inaspettati”142;

scrive D'Angelo: “In senso stretto l'arguzia non è semplicemente la

capacità di cogliere lontane somiglianze, ma la facoltà di istituire

paragoni tra grandezze a prima vista incommensurabili, come quando

140 Cfr. Friedrich Schlegel , Kritische Friedrich Schlegels Ausgabe , a cura di E. Behler, J.J.

Anstett e H. Eichner, Schoeningh, Paderborn-Muenchen-Wien 1958, pagg. 403-404.141 Franco Rella, L'estetica del romanticismo , cit., pagg. 35-36.142 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo , Il Mulino, Bologna 1977, pag. 106.

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si compie un salto dall'ordine delle cose fisiche a quelle spirituali e si

dice, ad esempio, che la verità è un sole; la capacità inversa è l'acume,

che agisce piuttosto sciogliendo e separando le somiglianze date,

laddove l'arguzia le produce. Essa coglie i rapporti tra le cose, mentre

il comico o il ridicolo si dirige di preferenza alle relazioni tra le

persone. Il contrassegno esteriore più evidente nell'arguzia è la

brevità, giacché l'analogia per essere efficace deve balzare in un solo

tratto dinanzi all'intuizione, e per questo un esempio tipico

dell'arguzia è incarnato dal gioco di parole, nel quale il paragone è

evocato spesso dal piccolissimo scarto tra due termini prossimi. Ma

l'arguzia, questo 'prete travestito, che riesce a sposare ogni coppia',

può agire sia attraverso le immagini, e allora opera in lei la fantasia,

sia senza di esse, lasciando campo all'intelletto; ne discendono, nei

diversi casi, differenti tipi di figure retoriche: la metafora e l'allegoria,

ad esempio, sono esempi di arguzia che procede attraverso

l'immagine”143.

L’arguzia (Witz) rappresenta, in quanto vera e propria facoltà

poetica su cui si snoda l’apparato teorico ed estetologico della 143 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo , Il Mulino, Bologna 1977, pagg. 107-108.

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Vorschule, il ruolo del tutto particolare del linguaggio, inteso come

quel processo di ricomposizione armonica dell’esperienza mondana in

grado di gettar nuova luce sui nessi di senso nascosti allo sguardo

quotidiano, che, per lo più, ci attraversa e percorre, rendendo così

dura e impenetrabile la scorza dei fenomeni appartenenti alla nostra

stessa esistenza di uomini concreti. In prima istanza, l’arguzia procede

quindi deformando la realtà e spezzandone i rimandi comuni, al fine

di poter poi attuare, per mezzo delle finzioni tessute dal linguaggio,

una nuova veste di senso con cui significare in modo nuovo la realtà,

che ne rimane in questo modo arricchita e giustificata. D’altra parte,

l’arricchimento e la giustificazione della vita, a cui si è appena

accennato, non fanno altro che rinviare ancora una volta ad un

orizzonte di significati di chiara origine leibniziana; infatti, come è già

stato mostrato in precedenza relativamente alle figure del comico e

dell’umorismo, in Jean Paul lavorano ancora i concetti cardine,

espressi appunto da Leibniz, di teodicea e di armonia prestabilita,

anche se piegati e svolti ormai, attraverso una riflessione di ordine

estetico, su un piano esclusivamente secolarizzato.

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L’arte, intesa a partire dal suo stesso agire poietico, acquista

pertanto il valore della monade, letta dallo stesso Leibniz, come

immagine e specchio dello stesso universo. La varietà e la molteplicità

espresse dall’esperienza vengono quindi ricondotte all’unità – unità

che, secondo Jean Paul, può esser guadagnata attraverso un lungo

cammino nelle terre dell’arte e della poesia –; in questo senso è infatti

possibile, come già ricordato, parlare di teodicea, rovesciando così il

suo stesso significato in giustificazione della vita e dell’esperienza

umana nel mondo. Il linguaggio deve pertanto dar luogo, attraverso

l’esercizio dell’arguzia, ad una vera e propria arte combinatoria in

grado di tessere, in una trama comune, aspetti della realtà

all’apparenza scissi e irrimediabilmente separati tra loro.

Il nucleo teorico-estetico dell’arguzia viene svolto nel nono

programma della Vorschule con la precisa intenzione, da parte di Jean

Paul, di utilizzare le finzioni ed i mondi artificiali, di cui l’arguzia

stessa si serve, al fine di poter instaurare poi una nuova e più ricca

serie di trame e di relazioni col mondo. Detto in altri termini, è

possibile affermare che l’arguzia realizza la propria funzione nel più

paradossale dei modi, in quanto contribuisce ad allargare il concreto

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rapporto con la realtà per mezzo di ciò che, innanzitutto e per lo più,

reale non è – la finzione e l’illusione. L’allargamento e l’inspessirsi del

mondo, attraverso l’attuarsi dell’arguzia, implica un sottile e delicato

esercizio linguistico per mezzo delle possibilità di gioco dischiuse

dalla natura proteiforme della metafora – l’arguzia stessa è un

qualcosa di inscindibile dalla metafora; tanto che, come afferma

esplicitamente Baierl144, gli aspetti teorici sottesi al Witz jeanpauliano

non sono, in senso proprio, nulla di diverso da una riflessione

sull’essenza e sul senso della metafora145.

1 4 4 Cfr. R. BAIERL , Transzendez. Weltvertrauen und Weltverfehlung bei Jean Paul ,

Würzburg, Königshausen & Neumann, 1992, pp. 73 sgg.1 4 5 A tal proposito si è espresso anche F. Cambi, in un articolo in cui viene posto in

essere il problema della relazione tra Geist e Witz : “Jean Paul sieht in der <<Kürze>>

den <<Körper und die Seele des Witzs>> und erkennt just in ebenderselben, im

Klarheit gewährenden Fehlen alles Überflüssigen, den Einfluß von Tacitus und den

Spartanern, von Cato, Seneca, Hamann, Gibbon, Bacon, Lessing und Rousseau auf die

Geschichte der Volkskultur und volkstümlichen Sentenz. Während der konkrete Witz

als geistige Verknüpfungstechnik sentenzözer Art verstanden wird, erwächst der

bildliche Witz primär aus der Phantasie. Tatsächlich kann die typologische

Differenzierung des Witzes ganz schematisch auf den Gegensatz zwischen der

Sentenz als Ausfluß des Verstanden und der Metapher als Ausdruck der Phantasie

reduziert werden; Metapher und Allegorie sind es, mit denen sich die

Hauptparagraphen des Programms befassen. Hier stoßen wir uns Zentrum der Poetik

vor, an der sich das literarische Werk Jean Paul orientiert; wobei nebensächlich ist,

dass weder der Übergang des Witzes zur Metapher noch die eventuelle

Wesensgleichheit beider überzeugend erklärt werden. Vom scharfsinnigen und

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Il legame appena espresso tra arguzia e metafora mostra come il

carattere più profondo del Witz si leghi alla possibilità stessa di

istituire paragoni e confronti. Lo stesso Jean Paul, d’altra parte,

afferma esplicitamente che l’arguzia “scopre il rapporto di

somiglianza, vale a dire la parziale eguaglianza che si cela dietro una

dissomiglianza più grande”146. Tuttavia, la dimensione dell’arguzia

non si riduce al semplice atto di cogliere una somiglianza effettiva o

parziale all’interno della multiforme molteplicità che costituisce la

nostra esperienza del mondo. L’arguzia, secondo Jean Paul, si declina

infatti per gradi, al Witz, capace, come già mostrato, di cogliere

l’analogia all’interno della differenza, si affianca una facoltà dalle

caratteristiche del tutto contrarie, lo Scharfsinn147, il quale, a partire da

una uguaglianza, ne svela il rapporto di dissomiglianza ad essa

beißenden Witz, der in den satirischen Jugendwerken als Angriffswaffe des

Verstandes eingesetzt worden war und wie ein Seismograph die Abgründe und

Wirbelstürme der menschlichen Existenz registriert hatte, scheinen sich hier die

Spuren zu verlieren„ (F. CAMBI , “<<Geist>> und <<Witz>> in der Ästhetik JeanPauls”,

Jean-Paul-Gesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, nur mit

Genhmigung der Jean-Paul-Gesellschaft. Druck: Buch- und Offsetdruckerei Emil Mühl

Bayreuth GmbH – 1994, p. 107-108). 1 4 6 W , v, p. 171.1 4 7 Lo Scharfsinn , secondo le parole dello stesso Jean Paul, “scopre il rapporto di

dissomiglianza, vale a dire la parziale ineguaglianza che si nasconde dietro

un’eguaglianza più grande” (Ivi).

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sotteso; mentre il Tiefsinn148, ultimo stadio dell’arguzia, rappresenta,

in buona sostanza, la possibilità stessa di poter afferrare l’identità

all’interno dell’universo dischiuso dal molteplice, permettendo in

questo modo il realizzarsi di quella che Jean Paul ha definito come

poetische Poesie.

Il Tiefsinn, che può esser tradotto con l’espressione “profondità di

pensiero”, declina il proprio operare legandosi alla facoltà della

ragione, al fine di dirigersi poi verso quel superamento delle

differenze e delle dissonanze che ricorda, per certi versi, il concetto di

totalità dischiuso dall’analisi dell’umorismo. Il nesso che unisce il

Tiefsinn alla ragione non si fonda tuttavia all’interno di una

concezione astratta e formale del razionale; la ragione si identifica

pertanto, in questo contesto, con una sorta di mistica raziocinante,

incarnando così un concetto limite capace di cogliere la totalità

dell’esperienza, facendo leva su quella profondità del pensiero, il

Tiefsinn appunto, che rimanda ad un orizzonte di senso determinato,

in modo del tutto esplicito, da un riferimento essenzialmente

teleologico. Il telos espresso dalla profondità del pensiero arguto, che

guida e dirige la ragione verso l’unità opposta alla dispersione caotica 1 4 8 Cfr. Ivi , v, pp. 172-173.

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presentata dallo sguardo ingenuo sulla molteplicità, rinvia ancora una

volta al concetto di teodicea estetica.

Tornando ora al concetto di arguzia, inteso come la possibilità di

istituire, per mezzo di un uso metaforico del linguaggio, paragoni e

confronti, è possibile, seguendo lo stesso Jean Paul, distinguere tra

una arguzia riflessiva e una arguzia figurata.

L’arguzia riflessiva, detta anche arguzia non figurata, declina il

proprio svolgersi nell’ambito della retorica, prescindendo da ogni

riferimento alle immagini, in quanto si muove a partire dalle regole

implicate dalla logica, anche se all’apparenza pare trasgredirle per

mezzo delle figure retoriche della sineddoche e della metonimia, le

quali, d’altra parte, pur sembrando di fatto infrangere la logica,

presuppongono sempre il riferimento a determinati contenuti logici.

L’esercizio dell’arguzia riflessiva non è tuttavia privo di valore, anzi,

al contrario, è possibile affermare che svolge una funzione

esplicitamente propedeutica nei riguardi dell’arguzia figurata, in

quanto ne allena il pensiero in direzione di quella flessibilità

necessaria ai fini del suo stesso realizzarsi.

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L’arguzia figurata, invece, si identifica con quella particolare facoltà

umana che è stata precedentemente descritta attraverso la propria

vicinanza con il linguaggio metaforico guidato dalla fantasia, la quale,

a sua volta, permette, col realizzarsi del telos razionale che la percorre,

di porre le basi per l’armonizzazione del rapporto tra il mondo reale

ed il mondo ideale, tagliando così la radice stessa di quel pericoloso

dualismo - anima-corpo, interno-esterno e finito-infinito -

presupposto, sempre secondo Jean Paul, dalle forme degenerate di

poesia, incarnate, in modo del tutto esemplare, sia dalla poesia

materialistica che da quella nichilistica. L’attacco diretto di Jean Paul

nei confronti della poesia materialistica e nichilistica comporta, allo

stesso tempo, una chiara ed irrimediabile avversione nei riguardi della

filosofia fichtiana, la quale, attraverso la propria particolare forma di

idealismo trascendentale, giustifica e fissa, in maniera

incontrovertibile, una visione dualistica e scissa della realtà.

Il riferimento jeanpauliano alla fantasia non deve però lasciar spazio

ad una lettura disincarnata e derealizzante dell’agire poietico

dell’artista149. L’arte, infatti, non crea e non riflette un mondo vuoto in

149 Wiethölter, in questa pagina che riportiamo, si è espresso sulla relazione tra

Witz e Phantasie : “Der Witz ist der Produkt der Phantasie: „Wie an dem unbildlichen

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quanto privo di luce propria. Il pensiero dischiuso dalla poesia è

pertanto un pensiero, secondo Jean Paul, reale e concreto, tanto da

esser in grado di offrire nuovo spessore e nuovo senso al mondo

dell’uomo. La realtà, così come ci è offerta da una visione del mondo

dischiuso della sensibilità, è effettivamente uno spazio dell’esistenza

più arido e più povero dell’orizzonte di senso dischiuso dalla teodicea

estetica e dall’armonia prestabilita ricercata dall’arte. La fantasia e la

Witze der Verstand, so hat am bildlichen die Phantasie den überwiegenden Anteil […]

“ (V 182). Grundsätzlich gilt das für den beseelenden; denn in beiden Fällen bedarf es

der Vermittlung zwischen Inkommensurablem, und nur ein ausgeprägtes

Vorstellungsvermögen vermag die Idee in sinnliche Gestalt umzusetzen bzw. die

diversen Dinge als Zeichen eines Geistes zu deuten. Indes bringt erst letzteres die

Phantasie voll zur Transzendenz bestimmt. In Anlehnung an die traditionelle

Vermögenslehre sind beide, Witz und Phantasie, Seelenvermögen, doch übersteigt die

Phantasie, wenngleich sie sich >>leicht zum Witz einbükken<< (V 200) kann, die

witzige Potenz die weitem. Sie bildet das Zentrum aller Vermögen: „sie ist die Welt-

seele der Seele und der Elementargeist der übrigen Kräfte; darum kann eine große

Phantasie zwar in die Richtungen einzelner Kräfte, z. B. des Witzes, des Scharfsinn u.

s. w., abgegraben und abgeleitet werden, aber keine dieser Kräfte lässet sich zur

Phantasie erweitern“ (V 47). Ist der Witz das >>spielende Anagramm der Natur<<, das,

Geist und Körper tauschend, ihre Ordnung stört und sie mutwillig zum rätselhaften

Vexierbild macht, so die Phantasie >>das Hieroglyphen-Alphabet derselben, wovon sie

mir wenigen Bildern ausgesprochen wird<< (v 47). Phantasie deutet die Natur,

übersetzt deren Chiffren und vermittelt sie im Medium einer ästhetisch modellierten

Sinnlichkeit auf ihre eigene, sonst verhüllte Bedeutung hin . In diesem Sinne, als

produktive, die Endlichkeit transzendierende >Kräfte<, sind Phantasie und Poesie

identisch„ (W. W IETHÖLTER , Witzige Illumination: Studien zur Ästhetik Jean Pauls , Max

Niemeyer Verlag, Tübingen 1979, pp. 139-140).

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ragione, intesa come ragione che guarda alla vita attraverso la totalità

aperta dal concetto di telos, comportano il realizzarsi di un effettivo

valore ontologico ed estetico in grado di percorrere e, allo stesso

tempo, di allargare, con uno sguardo più profondo, la realtà del

mondo e della stessa esistenza. L’arguzia figurata, quindi, riesce a

porsi al di là di ogni altra facoltà umana in quanto presuppone

sempre, all’interno del proprio operare, quella conciliabilità e armonia

degli elementi opposti che è invece del tutto estranea alle estreme

visioni del mondo dischiuse dal materialismo e dal nichilismo. L’arte,

quindi, all’interno della concezione dell’uomo rappresentata da Jean

Paul, risponde all’esigenza del tutto umana di metter ordine tra parti

necessariamente in conflitto tra loro – la sensibilità ed i bisogni, oltre

che l’azione e la possibilità concreta della sua stessa realizzazione.

D’altra parte, ciò che permette effettivamente il concretarsi di questo

equilibrio non è altro che il linguaggio. L’uomo quindi non si

distingue dall’animale per il fatto di possedereeel igue oIitniar il

i n ni al r cop e

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dal linguaggio, da una lingua e dalla parola. Il legame a

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Conclusioni

LA POESIA ROMANTICA

Il presente lavoro è stato volto a delineare la struttura dell'estetica

elaborata da Jean Paul (Johannes Paul Friedrich Richter) all'interno

della sua Vorschule der Ästhetik, prendendo inoltre in considerazione

alcuni dei suoi romanzi, al fine di evidenziarne i concetti fondamentali

cercando poi di esaminarli e ridiscuterli anche alla luce del contesto

storico-culturale di riferimento nonché della letteratura critica

successiva.

Anzitutto si è trattato di mostrare quale sia, secondo Jean Paul,

l'essenza della poesia romantica, definendola inizialmente secondo

una via negativa esplicitandone le differenze rispetto alla poesia

antica, a quella nichilistica e a quella materialistica. Ci si è quindi

occupati di delineare positivamente ciò che caratterizza la poesia

romantica, attraverso i concetti di genio e immaginazione e di ironia e

arguzia che in essa risultano centrali.

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L'estetica di Jean Paul, così come viene delineata nella sua

Propedeutica all'estetica, i cui tratti salienti si inverano d'altra parte

anche nei personaggi dei suoi romanzi, si propone di caratterizzare

l'intima essenza della poesia romantica, quale punto più alto della

poesia moderna, che consta di altri due aspetti: la poesia

materialistica, che esaspera l'atteggiamento mimetico proprio della

poesia antica, e la poesia materialistica, che invece pretende di farne a

meno operando solo attraverso l'uso della fantasia. Il Romanticismo,

per Jean Paul, incarna dunque non esattamente l'essenza della

modernità, bensì la sua possibilità più propria, il compito verso cui

essa deve tendere al fine di proporre un modo nuovo di relazionarsi al

mondo che non si limiti a scimmiottare la lezione degli antichi ma che,

al tempo stesso, prenda le distanze dalla folle pretesa nichilistica,

incarnata ad esempio dall'idealismo, di creare da sé il mondo ex nihilo

attraverso l'uso sregolato della fantasia. La forza del romanticismo

deve consistere, in ultima analisi, nel saper calibrare la fantasia

rifuggendo dagli eccessi che in essa attraggono, al fine di avvalersi di

una facoltà nuova, nata dall'equilibrato connubio di fantasia e

imitazione. L'essenza del romanticismo si fonda dunque nel concetto

di genio, che opera attraverso l'immaginazione; Jean Paul ci insegna

che il genio è anzitutto armonia: “armonia di facoltà diverse”,

equilibrio tra mimesis e fantasia, tra mondo antico ed età moderna, che

sa rendere attuale il principio dell'arte greca della “bella imitazione”

della natura, dando in questo modo vita ad un nuovo mondo, ad una

nuova natura modellata sì su quella già di per sé esistente, di cui è

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però stato selezionato solo ciò che in essa vi è di bello, così da creare

una copia che sia più ricca del modello. Scopo dell'arte romantica, e

del genio che in essa opera, è quindi quello di portare ad una

intuizione nuova del mondo o della vita. Altro aspetto caratteristico

della poesia romantica, in cui il genio si manifesta quale equilibrio

delle diverse facoltà, è l'ironia, concetto chiave delle riflessioni

filosofiche ed estetologiche del Romanticismo. L'ironia, di cui Jean

Paul offre una dettagliatissima tassonomia attraverso un'attenta

disanima degli aspetti principali in cui essa si manifesta, dal comico

all'umorismo all'arguzia, trova proprio in quest'ultima la sua essenza

più profonda: l'ironia romantica si concentra infatti, a detta di Jean

Paul, proprio nel Witz (arguzia o motto di spirito), ossia in quella

capacità di instaurare nessi e paragoni tra concetti che apparentamente

non mostrano somiglianze. La forza dell'arguzia consiste dunque

nell'istituire nuovi orizzonti di senso, nuovi mondi che nascono nel e

dal linguaggio attraverso la sua forza originaria di creare nuovi nessi

tramite l'uso della metafora. Attraverso l'esercizio dell'arguzia il

linguaggio dà luogo ad una vera e propria arte combinatoria che

coniuga aspetti della realtà apparentemente non correlati tra di loro.

Questa dunque la grande potenzialità dell'arte romantica, che non si

limita a imitare la natura ma che, d'altro canto, non deve far uso

sfrenato della fantasia: attraverso quell'armonia che è il genio essa

deve, di contro, saper modulare la facoltà dell'immaginazione dando

vita a nessi sempre nuovi che nella natura sono latenti, in attesa di

poter emergere ad opera del poeta e del suo linguaggio. Di qui dunque

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l'incommensurabile valore della poesia e del pensiero poetico, che sa

concretamente offrire e dischiudere nuovi sensi al mondo e alla vita

dell'uomo.

La poesia non deve, con fatica miserevole, “spremere la primavera

da zolle e tronchi, leccando via una crosta di neve dopo l’altra e

strappando erba su erba”; piuttosto essa deve essere “la nave volante

che da un inverno tempestoso d’un tratto ci trae su di un mare

placido, dinanzi a una costa in piena fioritura”.

Il mondo viene visto dalla poesia come se fosse una realtà esterna e

lontana, in quanto il genio-poeta si pone, attraverso un particolare

atteggiamento del suo sguardo, “in un inverno tempestoso”, dove,

portando su di sé il peso del negativo, è possibile cogliere la bellezza

stessa la realtà. La poesia deve quindi condurre all’armonia, a partire

da una dimensione interiore, rappresentata dalla “nave volante”, per

poi dirigersi verso un mondo primaverile e ricco degli aspetti varianti

e cangianti della vita. Il gioco interno-esterno degli opposti io-mondo

permette a Jean Paul quella mediazione del tutto particolare con la

realtà che era invece preclusa all’arte greca, dove l’io dell’artista

veniva a dissolversi nell’opera, lasciando spazio alla sola oggettività

plastica specchio di un sereno mondo ultraterreno.

In quest'ottica, il Cristianesimo è ciò che spezza l’incanto greco

attraverso l’insorgere dell’angusto lamento [enge Klage], che mette a

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tacere la gioia dell’Essere infinito celebrata dall’arte classica. La

spaccatura provocata dal Cristianesimo conduce l’arte verso il

materiale e l’unilateralità dell’accidente, senza però fermarsi di fronte

a questa stessa dimensione corporea, ma, al contrario, usandola come

punto di leva per rovesciare il proprio sguardo nell’infinito; dal

momento che è proprio dalla spaccatura tra gli opposti io-mondo,

finito-infinito, dolore-gioia e morte-vita che è possibile il prodursi

appunto di quel sentimento dell’infinito, dove l’arte, a partire dalle

oscurità segrete dell’io, può condurre il poeta verso un mondo

trascendente, inteso come figura di un ordine prima del tutto

disperato.

Il senso dell’infinito del romanticismo, inteso come vera e propria

arte del Cristianesimo, si muove quindi dal particolare con il compito

di portarlo in direzione di una redenzione estetica, conducendolo cioè

verso l’universale oltre il mondo della semplice materia bruta.

L’attenzione al senso dell’infinito è volta così a superare ogni lettura

in chiave esclusivamente materialistica dell’uomo; in questo modo

l’ideologia del materialismo è superata intendendo il particolare e il

materiale esclusivamente come espressione del finito, il quale, a sua

volta, acquisisce un proprio orizzonte di senso solo nella misura in cui

è ordinato dallo Spirito. Nella poesia la stessa opera armonizzante

dello Spirito si produce attraverso un processo che si declina per

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gradi, sforzandosi costantemente nel superare il principio di

individuazione in direzione del suo opposto, il generale, il quale

rappresenta la dimensione della bellezza e delle idee-modello.

La dimensione contraria alla individuazione, caratteristica del

particolare concreto, ricorda quindi il mondo delle idee platoniche,

che, attraverso il lavoro dell’arte, rappresentano quella forza in grado

di condurre l’uomo verso la nuova armonia del migliore dei mondi

possibili. Le stesse idee, in quanto espressione di un modello

sovrasensibile, conducono l’arte e l’etica a toccarsi; infatti, lo stesso

Jean Paul afferma in modo del tutto esplicito che “il culmine

dell’eticità e il culmine della poesia si perdono in una sola altezza

celeste”.

L’arte come specchio del migliore dei mondi possibili è definita,

nell’ultima sezione della stessa Vorschule, come poetische Poesie, la

quale si definisce per opposizione rispetto alla Poesie der Poesie di

Schlegel, che presuppone invece un chiaro contatto con la filosofia

fichtiana, rispecchiandone sia i dualismi che l’ostentata fiducia nel

ruolo dell’io. Jean Paul, d’altra parte, rifiuta esplicitamente il concetto

di Poesie der Poesie, poiché, dato l’influsso fichtiano, i due termini che

lo compongono sono in chiaro e aperto contrasto tra loro,

rispecchiando così una delle molteplici opposizioni che si possono

generare seguendo fedelmente il paradigma espresso dal pensiero

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dello stesso Fichte. La posizione fichtiana, infatti, viene apertamente

criticata da Jean Paul nella Clavis, dal momento che, pretendendo di

risolvere l’universo nell’io, finisce col condurre l’uomo verso un

solipsismo vuoto di determinazioni concrete e di realtà. L’esercizio di

una poesia condotta in base a presupposti fichtiani si lega, secondo

Jean Paul, ad una arte specchio del nichilismo, diventando così

soltanto una fredda immagine capace di riflettere, in modo debole e

vuoto, esclusivamente delle indefinite modulazioni della luce prive di

forma. All’arte nichilista manca quindi la forza di condurre le proprie

riflessioni verso una reale forma; Jean Paul, infatti, concentra le

proiezioni dell’io in direzione del manifestarsi di Gestalten, di figure,

intese nella forma di centri di forza su cui l’equilibrio della teodicea

dell’arte deve innestarsi, tendendo così verso il migliore dei mondi

possibili. Le figure dell’arte, in quanto modello di armonia conquistata

dalla forza ordinatrice dello Spirito, rovesciano il gioco dell’arte nella

serietà del modello ideale; l’illusione deve quindi aver la forza di farsi

idea, portando così il proprio giocare a conclusione – il punto più alto

dell’arte arriva, ancora una volta, a coincidere con la dimensione etica

dell’uomo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

OPERE DI JEAN PAUL (JOHANNES PAUL FRIEDRICH

RICHTER)

A) GESAMTAUSGABEN

1) Jean Paul. Sämtliche Werke. Reimer, Berlin 1826ff.

- Jean Pauls Sammtliche Werke. - 3. vermehrte Aufl. - Berlin: Reimer.

- Jean Pauls ausgewahlte Werke. - 2. Ausg. - Berlin: Reimer, 1865.

2) Eduard Berend (Hrsg.): Jean Paul. Sämtliche Werke . Hist. krit.

Ausgabe hrsg. v.d. Preuss. Akademie der Wiss. Berlin. H. Böhlaus

Nachfolger, Weimar 1927ff., Repr. Akademie-Verlag, Berlin 1996ff.

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3) Norbert Miller (Hrsg.): Jean Paul. Sämtliche Werke . 10 Bde. Carl

Hanser Verlag, München 1959ff., 1974ff., WBG, Darmstadt 1974, 2000.

- Sämtliche Werke / Jean Paul; [herausgegeben von Norbert Miller;

Nachwort von Walter Höllerer]. - München: Hanser;

- Samtliche Werke / Jean Paul; herausgegeben von Norbert Miller,

Nachwort von Walter Hollerer. - Darmstadt: Wissenschaftliche

Buchgesellschaft.

- Jean Pauls sämtliche Werke: historisch-kritische Ausgabe / hrsg. von

der Preussischen Akademie der Wissenschaften in Verb. mit der

Akademie zur wissenschaftlichen Erforschung und zur Pflege des

Deutschtums (deutsche Akademie) und der Jean-Paul-Gesellschaft. -

Weimar : Böhlaus - v.

- Jean Pauls sämtliche Werke: historisch-kritische Ausgabe /

herausgegeben von der Preussischen Akademie der Wissenschaften;

in Verbindung mit der Akademie zur wissenschaftlichen Erforschung

und zur Pflege des Deutschtum (Deutsche Akademie) und der Jean

Paul Gesellschaft. - Leipzig : Zentralantiquariat der Deutschen

Demokratischen Republik, 1975- .

184

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B) TESTI

- 1: Die unsichtbare Loge; Hesperus / Jean Paul; hrsg. von Norbert

Miller; Nachwort von Walter Hollerer. - Munchen: Hanser, c1960.

- 2: Siebenkäs; Flegeljahre / Jean Paul; hrsg. von Gustav Lohmann. -

Munchen: Hanser, 1959.

- 3: Titan; Komischer Anhang zum Titan; Clavis Fichtiana seu

Leibgeberiana / Jean Paul; hrsg. von Norbert Miller; Nachwort von

Walter Hollerer. - Munchen: Hanser, 1961.

- 4: Kleinere erzählende Schriften, 1796-1801 / Jean Paul; hrsg. von

Norbert Miller; Nachwort von Walter Hollerer. - Munchen: Hanser,

1962.

- 5: Vorschule der Ästhetik; Levana oder Erziehlehre; Politische Schriften

/ Jean Paul; hrsg. von Norbert Miller. - Munchen: Hanser, 1963.

185

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- 5: Vorschule der Asthetik; Levana oder Erziehlehre; Politische Schriften

/ Jean Paul; herausgegeben von Norbert Miller. - 6., korriegierte Aufl.

- 6: Schmelzles Reise nach Flätz; Dr. Katzenbergers Badreise; Leben

Fibels; Der Komet; Selberlebensbeschreibung; Selina / Jean Paul; hrsg.

von Norbert Miller; Nachwort von Walter Hollerer. - Munchen:

Hanser, 1963.

- 6.1 Dichtungen, Merkblatter, Studienhefte, Schriften zur Biographie,

Libri legendi: Text / Jean Paul; hrsg. auf Veranlassung der Deutschen

Schillergesellschaft Marbach am Neckar von Gotz Muller; unter

Mitarbeit von Janina Knab; Vita-Buch hrsg. von Winfried Feifel. -

Weimar: Bohlaus Nachfolger, c1996.

- 6.2 Dichtungen, Merkblatter, Studienhefte, Schriften zur Biographie,

Libri legendi: Apparat / Jean Paul ; hrsg. auf Veranlassung der

Deutschen Schillergeselllschaft Marbach am Neckar von Gotz Muller

; unter Mitarbeit von Janina Knab ; Vita-Buch hrsg. von Winfried

Feifel. - Weimar : Bohlaus Nachfolger, c1996.

- 7: Philosophische, asthetische und politische Untersuchungen / Jean

Paul; hrsg. auf Veranlassung der Deutschen Schillergesellschaft

186

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Marbach am Neckar von Gotz Muller unter Mitarbeit von Janina

Knab. - Weimar: Bohlaus Nachfolger, c1999. -...

- 8: Gedanken. 1: Text / [Jean Paul]; herausgegeben auf Veranlassun

der Deutschen Schillergesellschaft Marbach am Neckar von Eduard

Berend und Winfried Feifel. - Weimar: Bohlaus, 2000.

- 8: Gedanken. 2: Apparat / [Jean Paul]; herausgegeben auf

Veranlassung derDeutschen Schillergesellschaft Marbach am Neckar

von Eduard Berend und Winfried Feifel. - Weimar: Bohlaus, 2004.

- *: Jugendwerke 1 / Jean Paul; herausgegeben von Norbert Miller

unter Mitwirkung von Wilhelm Schmidt-Biggemann. - Darmstadt:

Wissenschaftliche Buchgesellschaft, c1974.

- *: Vermischte Schriften 2 / Jean Paul; herausgegeben von Norbert

Miller. - Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, c1978.

- *: Bemerkungen uber den Menschen. - Leipzig: Zentralantiquariat

der Deutschen Demokratischen Republik, 1984.

- *: Briefe 1780-1793 / Jean Paul. - Berlin: Akademie Verlag, 1956.

187

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- *: Briefe 1809-1814 / Jean Paul. - Berlin: Akademie Verlag, 1952.

- Dr. Katzenbergers Badereise / Jean Paul; mit einem Nachwort von

Otto Mann. - Stuttgart: Reclam, c1961.

- Des Feldpredigers Schmelzle Reise nach Flatz: mit fortgehenden Noten,

nebst der Beichte des Teufels bei einem Staatsmanne / Jean Paul; mit

einem Nachwort von Kurt Schreinert. - Stuttgart: Reclam, c1963.

- Flegeljahre / Jean Paul; mit einem Nachwort von Paul Requadt. -

Stuttgart: Reclam, c1957.

- Friedens-Predigt an Deutschland / Nachwort von Christoph Brant. -

Wien: Heller, 1918.

- Idylle und Idyllik bei Jean Paul: eine Motivuntersuchung zur Rolle von

Narrentum und Poesie im Werke des Dichters: Dissertation, 1972.

- Jean Paul Brevier / herausgegeben von Heinz Hund. - Wiesbaden:

Metopen, 1947.

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- Leben des Quintus Fixlein aus funfzehn Zettelkasten gezogen, nebst

einem Musteil und einigen Jus de tablette / Jean Paul; mit einem

Nachwort von Ralph-Reiner Wuthenow. - Stuttgart: Reclam, c1972.

- Leben des vergnugten Schulmeisterlein Maria Wutz in Auenthal: eine

Art Idylle / Jean Paul; mit Anmerkungen und einer Biographischer

Notiz. - Stuttgart: Reclam, c1977.

- Levana, oder Erzieh-Lehre / von Jean Paul. - Leipzig: Reclam, [1886].

- The literary works of Leonardo Da Vinci / compiled and edited from

the original manuscripts by J.P. Richter; commentary by C. Pedretti. -

Oxford: Phaidon press, 1977.

- Selberlebensbeschreibung: Konjektural-Biographie / Jean Paul; mit

einem Nachwort von Ralph-Rainer Wuthenow. - Stuttgart: Reclam,

c1971.

- Siebenkas / Jean Paul; herausgegeben von Carl Pietzcker. -

Stuttgart: Reclam, 1983.

189

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- Siebenkase; Flegeljahre / Jean Paul; herausgegeben von Norbert

Miller, Nachwort von Walter Hollerer. - 4., korrigierte Aufl. -

Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, c1959 (stampa 1987).

- Vorschule der Ästhetik: nebst einigen Vorlesungen in Leipzig Uber die

Parteien der Zeit / Jean Paul; herausgegeben von Joseph Muller; mit

einer "Einfuhrung in Jean Pauls Gedankenwelt" von Johannes

Volkelt. - Leipzig: Meiner, 1925.

- Vorschule der Ästhetik / Jean Paul; Nach der Ausgabe von Norbert

Miller; herausgegeben, textkritisch durchgesehen und eingeleitet von

Wolfhart Henckmann. – Hamburg: Meiner, 1990.

190

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- L’arte di prender sonno, Genova 1991;

- Autobiografia; La morte di un angelo, Milano 1900.

- Clavis Fichteana, Napoli 2003.

- Il comico, l’umorismo e l’arguzia, Padova 1994;

- Il discorso del Cristo morto e altri sogni, Parma 1977;

- Elogio della stupidità, Firenze 1995;

- L’età della stupidera, Milano 1996;

- Giornale di bordo dell’astronauta Giannozzo, Milano 1992;

- Levana e altri scritti, Torino 1972;

- Opere, Torino 1958;

- Scritti sul nichilismo, Brescia 1997;

- Setteformaggi (Siebenkäs), Milano 1998;

- Il sogno di una folle, Milano 1996;

- La sposa di legno, Piombino 1990;

- Vita di Maria Wuz, Milano 1988;

- La vita del Quintus Fixlein, Bologna 1987.

191

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LETTERATURA CRITICA SU JEAN PAUL

- AA.VV. (Kemp/Miller/Philipp), Jean Paul. Werk, Leben, Wirkung;

- J. Ast, Jean Paul, Muenchen 1925;

- H. L. Arnold, Jean Paul, München 1983;

- A. Bégun, Traumwelt und Romantik, Bern 1972;

- E. Bernarni, Jean Paul. Satira e sentimentalità, Milano 1974;

- G. de Bruyn, Das Leben des Jean Paul Friedrich Richter, Frankfurt a.

M. 1991;

- J. Cloot, Geheime Texte. Jean Paul und die Musik, De Gruyter, Berlin

2001;

- F. L. F. von Dobeneck, Das deutschen Mittelalters Volksglauben und

Heroensagen, Hildesheim 1974;

- W.G. Fieguth, Jean Paul als Aphoristiker, Mainz 1965;

- W. E. Gerabek, Naturphilosophie und Dichtung bei Jean Paul. Das

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Germanistik; 202), Akademischer Verlag Heinz, Stuttgart 1988;

- A. Giourtsi, Pädagogische Anthropologie bei Jean Paul, Verlag Henn,

Düsseldorf 1966;

- M. Hagge, Il sogno e la scrittura, Firenze 1986;

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- W. Harich, Jean Paul, Leipzig 1925;

- W. Harich, Jean Paul Kritik am phlosophischen Egoismus, Frankfurt

1968;

- W. Harich, Jean Pauls Revolutionsdichtung. Versuch einer neuen

Deutung seiner heroischen Romane, Rowohlt, Reinbek 1974;

- H. Hesse, Über Jean Paul, Frankfurt a. M. 1970, tr. it. in Id., Saggi e

poesie, Milano 1965;

- H. von Hoffmannstahl, Blick auf Jean Paul, Frankfurt a. M. 1952;

- W. Hörner (Hrsg.), Jean Paul und das Bier. „Bier, Bier, Bier wie es

auch komme“; eine Dokumentation, Verlag, Wehrhahn, Laatzen 2006;

- Jahrbuch der Jean-Paul-Gesellschaft, hrsg. v. K. Wölfel, 1ff, 196ff;

- M. Kommerell, Jean Paul, Frankfurt a. M. 1972; tr. it. in Walter

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- B. Langer, Jean Pauls Weg zur Metapher. Sein Buch „Leben des

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- F. Masini, Alchimia degli estremi. Studi su Jean Paul e Nietzsche ,

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- F. Masini, Nichilismo e religione in Jean Paul, Bari 1974;

- G. W. Meister, Jean Paul, Nördilingen 1968;

- P. Nerrlic, Jean Paul. Sein Leben und seine Werke, Berlin 1989;

- H. J. Ortheil, Jean Paul, Reinbek bei Hamburg 1984;

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- C. Pietzcker, Einführung in die Psychoanalyse des literarischen

Kunstwerks am Beispiel von Jean Pauls „Rede des toten Christus“,

Königshausen und Naumann, Würzburg 1985;

- K. Christian Planck, Jean Paul´s Dichtung im Lichte unserer

nationalen Entwicklung, Verlag Reimer, Berlin 1867;

- W. Rehm, Jean Paul - Dostoevskij. Eine Studie zur dichterischen

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- A. M. Bachmann, Das Umschaffen der Wirklichkeit durch den

‘poetischen Geist’. Aspekte der Phantasie und des Phantasierens in Jean

Pauls Poesie und Poetik, Frankfurt 1986;

- E. Berend, Jean Pauls Ästhetik, Berlin 1909 (rist. 1978);

- H. Bosse, Theorie und Praxis bei Jean Paul. § 74 der "Vorschule der

Ästhetik" und Jean Pauls erzählerische Technik, besonders im "Titan",

Bonn: Bouvier 1970 = Abhandlungen zur Kunst-, Musik- und

Literaturwissenschaft. 87

- G. Carchia, Jean Paul e la teoria dell’umorismo, in “Rivista di

estetica”, 1989;

- E. Endres, Jean Paul. Die Struktur seiner Einbildungskraft ,Zuerich

1961;

- R. Hess, Untersuchungen zu Albert Vigoleis Thelens "Die Insel des

zweiten Gesichts", Frankfurt a.M., Bern, New York: Lang 1989

(=Europäische Hochschulschriften. R.1. 1162.) Zugl. Diss. Frankfurt

a.M. 1989. Kap.: Humoristische Tradition: Jean Pauls "Vorschule der

Ästhetik" und die "Insel", S.53-60

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Zurich/Paris 1993;

- A. Lorenczuk, "Wie Jean Paul sagt": Jean Pauls 'Vorschule der

Ästhetik' als Quelle für Eichendorffs Kritik an Novalis und dessen

"Jüngern". Eine Miszelle, In: Aurora 53 (1993), S. 173-177;

- D. F. Mahoney, Der Roman der Goethezeit (1774-1829), Stuttgart:

Metzler 1988 (=sammlung metzler. 241.) Kap. IV.2: "Die unsichtbare

Loge", "Hesperus" und "Siebenkäs", S.65-72; Kap.IV.9: "Titan",

"Flegeljahre" und "Vorschule der Ästhetik", S.108-116; Kap.V.5: "Der

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- G. Müller, Jean Pauls Ästhetik und Naturphilosophie, Tübingen 1983;

- G. Müller, Jean Pauls im Kontext,Wuerzburg 1996;

- W. Rasch, Die Poetik Jean Pauls, Göttingen 1967;

- O. Reincke, Sprachkritik als Kritik des philosophischen Denkens. Zur

weltanschaulichen Genesis der "Vorschule der Ästhetik" von Jean Paul, In:

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- H. M. Speier, Die Ästhetik Jean Pauls;

- W. Wiethölter, Witzige Illumination,Tuebingen 1979;

- G. Wilkending, Jean Paul Sprachauffassung in ihrem Verhaeltnis zu

seiner Ästhetik, Marburg 1968.

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ALTRI TESTI DI RIFERIMENTO

- A. G. Baumgarten, L’estetica, Palermo;

- A. G. Baumgarten, Lezioni di estetica, Palermo;

- A. Baeumler, Hegels Ästhetik, Muenchen 1922;

- C. Batteux, Le belle arti ricondotte a un unico principio , Palermo

1992;

- W. Benjamin, Avanguardia e rivoluzione, Torino 1973;

- W. Benjamin, Il concetto di critica nel romanticismo tedesco , Torino

1982;

- E. Burke, Inchiesta sul bello e sul sublime, Palermo 1992;

- B. Croce, Breviario di estetica e Aesthetica in nuce, Milano 1990;

- B. Croce, L’estetica come scienza dell’espressione e teoria linguistica

generale, Milano 1990;

- B. Croce, Nuovi saggi di estetica, Napoli 1992;

- B. Croce, La poesia, Bari 1936;

- B. Croce, Problemi di estetica, Napoli 1992;

- B. Croce, Storia dell’estetica per saggi;

- W. Dilthey, Esperienza vissuta e poesia, Milano 1949;

- J. B. Du Bos, Riflessioni sulla poesia e la pittura, Milano 1990;

197

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- G. Gentile, Filosofia dell’arte, Milano 1931;

- G. Gentile, Frammenti di estetica e di teoria della storia , Firenze

1992;

- J. W. Goethe, Opere, Firenze 1944-1961;

- J. W. Goethe, Scritti sull’arte e sulla letteratura, Torino 1992;

- J. G. Hamann, Scritti e frammenti di estetica, Firenze 1938;

- G. F. W. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio;

- G. F. W. Hegel, Fenomenologia dello spirito;

- G. F. W. Hegel, Lezioni di estetica, Milano 1997;

- M. Heidegger, L’arte e lo spazio, Genova 1984;

- M. Heidegger, Essere e tempo, Milano 2006;

- M. Heidegger, Nietzsche, Milano 1995;

- M. Heidegger, Pensiero e poesia, Roma 1977;

- M. Heidegger, La poesia di Hoelderlin, Milano 1988;

- M. Heidegger, Segnavia, Milano 1987;

- M. Heidegger, Sentieri interrotti, Firenze 1984;

- M. Heidegger, Tempo ed essere, Napoli 1988;

- J. G. Herder, Giornale di viaggio, Milano 1984;

- J. G. Herder, Plastica, Palermo 1994;

- E. T. A. Hoffmann, Romanzi e racconti, Torino 1962;

- F. Hölderlin, Scritti di estetica, Milano 1980;

- H. W. von Humbolt, Scritti di estetica, Firenze 1934;

198

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- F. J. Jacobi, Idealismo e realismo, Torino 1948;

- I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, Torino 1999;

- I. Kant, Critica della ragione pratica;

- I. Kant, Critica della ragione pura;

- G. E. Lessing, Lacoonte, Palermo 1991;

- G. Lukàcs, L’anima e le forme, Milano 1992;

- G. Lukàcs, Arte e società, Roma 1972;

- G. Lukàcs, Contributi alla storia dell’estetica, Milano 1975;

- G. Lukàcs, Il dramma moderno, Milano 1976-80;

- G. Lukàcs, Estetica, Torino 1975;

- G. Lukàcs, Goethe e il suo tempo, Torino 1983;

- G. Lukàcs, Primi scritti sull’estetica, Milano 1973;

- G. Lukàcs, Teoria del romanzo , Milano 1963;

- K. P. Moritz, Scritti di estetica, Palermo 1990;

- F. W. Nietzsche, Opere, Milano 1992;

- Novalis, Opera filosofica, Torino 1993;

- J. J. Rousseau, Opere, Firenze 1972;

- F. Schelling, Filosofia dell’arte, Napoli 1986;

- F. Schelling, Le arti figurative e la natura; Palermo 1989;

- F. Schiller, Kallias, o della bellezza e altri scritti di estetica , Milano

1993;

- F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, Roma 1991;

199

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- F. Schiller, Saggi estetici, Torino 1959;

- F. Schiller, Sulla poesia ingenua e sentimentale, Milano 1993;

- A. W. Schlegel, Corso di letteratura drammatica, Genova 1977;

- F. Schlegel, Dialogo sulla poesia, Torino 1991;

- F. Schlegel, Frammenti critici e scritti di estetica, Firenze 1967;

- F. Schlegel, Sullo studio della poesia greca, Napoli 1988;

- F. Schlegel, Simbolicità dell’arte, Firenze 1988;

- F. Schlegel, Frammenti di estetica, Palermo 1989;

- F. D. E. Schleiermacher, Estetica, Palermo 1988;

- A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione;

- E. Severino, L’essenza del nichilismo;

- K. W. F. Solger, Erwin, Berlin 1907;

- J. G. Sulzer, Saggi sul genio;

- W. H. Wackenroder, Opere e lettere, Lanciano 1916;

- W. H. Wackenroder, Scritti di poesia e di estetica, Torino 1993;

- R. Wagner, L’arte e la rivoluzione e altri scritti politici, Rimini 1973;

- R. Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire, Milano 1983;

- R. Wagner, Religione e arte, Roma 1963;

- J. J. Winkelmann, Il bello nell’arte. Scritti sull’arte antica, Torino

1980;

- J. J. Winkelmann, Pensieri sull’imitazione, Palermo 1992.

200

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ALTRI SAGGI DI CRITICA

- AA.VV. (L. Russo, R. Salizzoni, M. Ferraris, M. Carbone, E.

Mattioli, L. Amoroso, P. Bagni, G. Carchia, P. Montani, M. B. Ponti,

P. D’Angelo, L. Pizzo Russo), Ripensare l’Estetica: Un progetto

nazionale di ricerca, Palermo 2000;

AA.VV., Dal simbolo al mito, Milano 1983;

- N. Accoliti Gil Vitale, Il pensiero estetico di Schiller, Milano 1951;

- V. E. Alfieri, L’estetica dall’illuminismo al romanticismo, in AA.VV.,

Momenti e problemi di storia dell’estetica;

- A. Aliotta, L’estetica di Kant e degli idealisti romantici, Roma 1950;

- L. Anceschi, Autonomia ed eteronomia dell’arte, Milano 1992;

-A. Banfi, Vita dell’arte. Scritti di estetica e filosofia dell’arte, Reggio

Emilia 1988;

-D. Bosurgi, L’estetica di Friedrich Schiller, Napoli 1902;

-M. Brion, L’arte romantica, Milano 1960;

- C. Carbonara, L’estetica filosofica di Antonio Banfi, Napoli 1960;

-U. Cardinale (a cura di), Problemi del romanticismo, Milano 1983;

- M. Cometa, Il romanzo dell’infinito, Palermo 1991;

201

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- F. Cuniberto, Friedrich Schlegel e l’assoluto letterario, Torino 1991;

- P. D’Angelo, E. Franzini, G. Scaramuzza, Estetica, Milano 2002;

- P. D’Angelo, L’estetica del romanticismo, Bologna 1997;

- G. Della Volpe, Crisi dell’estetica romantica e altri saggi, Roma 1960;

- G. Della Volpe, Nietzsche e il problema di un’estetica antiromantica ,

Messina 1941;

- A. De Paz, Europa romantica, Napoli 1994;

- A. De Paz, La rivoluzione romantica, Napoli 1984;

- A. De Paz, Il romanticismo europeo, Napoli 1987;

-G. Di Giacomo, Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento

e Novecento, Roma-Bari 1999;

- G. Di Giacomo, Icona e arte astratta, Palermo 1999;

- G. Di Giacomo, Sulla rappresentazione, Roma 2001;

- G. Di Giacomo, Il tema della bellezza nel romanzo moderno, Roma

2003;

- F. Fanizza, Letteratura come filosofia, Manduria 1963;

- M. Ferraris, Nietzsche e la filosofia del Novecento, Milano 1989;

- D. Formaggio, L’arte come comunicazione, Milano 1953;

- D. Formaggio, Fenomenologia della tecnica artistica, Parma 1979;

- D. Formaggio, La ‘morte dell’arte’ e l’estetica, Bologna 1983;

- D. Formaggio, Studi di estetica, Milano 1962;

- E. Franzini, L’estetica del Settecento, Bologna;

202

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- E. Franzini, Estetica e filosofia dell’arte;

- E. Franzini, Fenomenologia dell’invisibile. Al di là dell’immagine,

Milano;

- E. Franzini, Filosofia dei sentimenti;

- E. Franzini, Verità dell'immagine;

- S. Giametta, Hamann nella considerazione di Hegel, Goethe, Croce,

Napoli 1984;

- T. Griffero, Immagini attive. Breve storia dell’immagina-zione

transitiva, Firenze, 2003;

- R. Haym, La scuola romantica, Milano 1965;

- H. Hesse., Saggi e poesie, Milano 1965;

- K. Korff, Geist der Goethezeit, Leipzig 1957;

- K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche;

- B. Magnino, Storia del romanticismo;

- A. Marini (a cura di), Schopenhauer ieri e oggi, Genova 1991;

- L. Mittner, Storia della letteratura tedesca, Torino 1978;

- G. Moretti, L’estetica di Novalis, Torino 1991;

- G. Moretti, Nichilismo e romanticismo, Fiesole 1988;

- G. Morpurgo Tagliabue, Nietzsche contro Wagner, Milano1993;

- H. Paetzdol, Ästhetik des deutschen Idealismus. Zur Idee aesthetischer

Rationalitaet bei Baumgarten, Kant, Schelling, Hegel und Schopenhauer,

Wiesbaden 1983;

203

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- F. Papi, Vita e filosofia, Milano 1990;

- L. Pareyson, L’estetica dell’idealismo tedesco, Torino 1950;

- L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Milano 1988;

- L. Pareyson, Etica ed estetica in Schiller, Milano 1983;

- L. Pareyson, Teoria dell’arte, Milano 1965;

- N. Petruzzellis, L’estetica dell’idealismo, Padova 1950;

- M. Puppo, Il romanticismo, Roma 1990;

- F. Rella, L’estetica del romanticismo;

- G. Riconda, Schopenhauer interprete dell’Occidente, Milano 1986;

- L. Russo (a cura di), Estetica della scultura, Palermo 2003;

- L. Russo, La nuova estetica italiana, Palermo 2002;

- L. Russo, Una storia per l’estetica, Palermo 2004;

- L. Rustichelli (a cura di), Il romanticismo tedesco;

- V. Santoli, Wackenroder e il misticismo estetico, Rieti 1930;

- G. Scaramuzza, Antomio Banfi, la ragione e l’estetico, Padova 1984;

- L. Sestov, La filosofia della tragedia: Dostoevskij e Nietzsche , Napoli

1950;

- G. Simmel, Schopenhauer e Nietzsche, Firenze 1995;

- C. Sini, Figura dell’enciclopedia filosofica, Milano 2005;

- P. Szondi, Poetica dell’idealismo tedesco, Torino 1974;

- W. Tatarkiewicz, Storia di sei idee, Palermo;

- S. Tedesco, Studi sull’estetica dell’Illuminismo tedesco, Palermo 1998;

204

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- S. Tedesco, L’estetica di Baumgarten, Aesthetica preprint. Supplementa n. 6,

Palermo 2000;

- S. Tedesco, Il metodo e la storia, Aesthetica Preprint Supplementa, n. 16,

Palermo 2006;

- G. Vattimo, Poesia e ontologia, Milano 1985;

- O. Walzel, Il romanticismo tedesco;

- K. von Westernhagen, Richard Wagner. L’uomo, il creatore, Milano

1983;

- S. Zecchi, Romanticismo, Milano 1987;

- S. Zecchi, E. Franzini, Storia dell’estetica, Bologna 1995;

- E. Zoccoli, L’estetica di Arthur Schopenhauer. Propedeutica

all’estetica wagneriana, Milano 1901.

205