Lessico Della Vita Interiore (Enzo Bianchi)

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    Enzo Bianchi

    Lessico della vita interioreLe parole della spiritualit

    Ad Andr Louf

    Abba Antonio disse: Verr un tempo in cuigli uomini impazziranno e al vedere uno che

    non sia pazzo gli si avventeranno contro

    dicendo: Tu sei pazzo! a motivo della sua

    dissimiglianza da loro.

    Prefazione alla nuova edizione

    Sono trascorsi ormai cinque anni da quando decisi di raccogliere alcune riflessioni suparole capaci di tracciare un percorso attraverso gli elementi costitutivi della vitainteriore, di sondare quella dimensione che ogni persona custodisce nel suo intimo eche tuttavia a volte trascura, soprattutto in questepoca in cui sembra prevalerelapparenza, lesteriorit, limmagine.Ne nacquero pagine che, con mia gradita sorpresa,hanno valicato oltre ogni attesa gli spazi entro i quali erano state pensate: tradotte anchein francese e in inglese, hanno incontrato interesse e favore presso lettori di mondiculturali assai diversi. Conferma, questa, del dato che linteriorit elemento umano chetravalica luniverso religioso e di pensiero che la definisce e la plasma per ogni singolapersona.Sono, infatti, pagine che attingono la loro linfa dalla tradizione ebraico-cristiana

    e dalla mia assiduit con i testi biblici e con il vissuto della spiritualit delle chiesedoriente e di occidente, eppure credo che, proprio grazie a questo profondoradicamento, riescano a cogliere elementi universali in cui ogni essere umano possaritrovarsi.In una stagione in cui troppi si affrettano a dipingere scenari da guerre direligione e scontri di civilt, ho cercato di riproporre luoghi comuni per un dialogopossibile, per un riconoscimento reciproco di quanto sta a cuore a ciascuno. E in questaseconda edizione alcune nuove voci testimoniano che litinerario non concluso, chela scoperta di ci che ci abita non un circolo vizioso, ma un avvincente intreccio diconoscenza di s e di conoscenza dellaltro, di custodia del passato e di sguardo apertosul futuro, di ricerca di un Dio che d senso alla vita e di lotta contro falsi di cheasserviscono luomo.Come ogni lessico, anche questo non sostituisce lessenza della

    realt che cerca di delineare: come conoscere alcune parole non significa saper

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    articolare un linguaggio sensato e comprensibile, cos definire la vita interiore nonsignifica viverla quotidianamente. Eppure aiuta a farlo.

    ENZOBIANCHI27 gennaio 2004, Giornata della Memoria

    Prologo

    PERCORSI

    Abba, dimmi una parola! Allinizio del IV secolo, quando ormai il cristianesimo siavviava a divenire religione ufficiale dellimpero e a permeare i costumi della societpagana, questa frase di sconcertante semplicit inizi a risuonare con insolita frequenzanei deserti di Egitto e di Palestina, di Siria e di Persia. Visitatori occasionali o fratelliinesperti erano soliti indirizzarsi cos a un anziano per chiedergli un insegnamentoche, nato da unesperienza di vita nello Spirito, potesse diventare prezioso aiuto nelcammino sulle tracce del Signore: una parola per la vita che, tratta dal vissutoquotidiano, potesse fornirlo di un senso; una parola proveniente dallesterno ma capacedi scendere nelle profondit dellessere; un evento esteriore capace di orientare

    linteriorit dellascoltatore. Trasmesse da bocca a orecchio, accolte nel cuore, meditatee messe in pratica, queste parole, echi della Parola, finirono ben presto per costituire unvero e proprio lessico del deserto, fornendo un linguaggio alla spiritualit e dando unnome alle realt dello Spirito: e dare il nome alle cose significa compiere il primopasso per la loro conoscenza, la presa di possesso, lacquisizione di una consapevolezzache al nome non si ferma. Nacquero ben presto raccolte di detti e fatti dei Padri deldeserto, redatte con lintento di diffondere maggiormente queste perle di sapienza, diovviare allinevitabile rarefazione nel tempo e nello spazio di padri autentici e diritardare il conseguente declino della qualit della vita cristiana. Chi le compilava eraconsapevole dei propri limiti anzi, proprio da questa consapevolezza nasceva ildesiderio di diffondere messaggi che quei limiti varcassero e dei rischi che assumeva

    nellintraprendere una simile opera: I profeti scrissero dei libri, i padri compironomolte cose ispirandosi ad essi, i loro successori li impararono a memoria, la nostragenerazione li ha copiati su papiri e pergamene e li ha messi in ozio sugli scaffali. Purtuttavia la trasmissione avveniva: nuove generazioni ponevano domande e trovavanorisposte, se non direttamente dalle labbra dellabba, almeno dalle righe di qualchemanoscritto letto o ricopiato, oppure dalle riflessioni condivise in una collatiocomunitaria, in uno di quei momenti di scambio fraterno in cui ciascuno al contempoabba e discepolo dellaltro, alla sola condizione di essere autentico nel parlare enellagire. di questa ininterrotta trasmissione che vorrei farmi anello con le pagine cheseguono. La loro origine del resto analoga a quella delle ben pi autorevoli raccoltedei primi secoli del cristianesimo. Nate in risposta a sollecitazioni di fratelli, sorelle e

    ospiti della mia Comunit, hanno assunto la forma scritta con lintento di tessere un

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    dialogo con un uditorio pi vasto, ma non meno interessato, allinterno e, pi soventeancora, allesterno stesso della compagine ecclesiale. E se le pi famose raccolte anticheerano ordinate in modo alfabetico (secondo il nome dellabba) o sistematico(secondo largomento trattato), ho qui preferito seguire il metodo di un percorso fatto di

    rimandi e richiami, in cui un termine ne evoca un altro, ne spiega alcuni aspetti, netralascia altri per riprenderli pi avanti. Metodo antichissimo che, a partire dalleconcordanze bibliche, ha dato vita a infinite varianti di dizionari analogici o lessicitematici e che continua a fornire le griglie di selezione per le voci da inserire anchese in rigoroso ordine alfabetico nelle pi moderne enciclopedie. Metodo che hatrovato una forse inattesa ma dirompente attualit nella navigazione in rete: cosa sonoi tanto decantati link se non il frutto di associazioni di pensiero, di connessionimentali prima che informatiche?In queste pagine allora ho cercato di lasciarmi guidaredalla tradizione biblica e patristica che mi ha preceduto e formato per rispondere allesollecitazioni che mi vengono da quanti, con sincerit e passione, non cessano dichiedermi ragione della speranza che in me (cfr. 1Pietro 3,15). In questo percorso

    non lineare ma sempre orientato, il lettore si trover a volte a ritornare su cammini giabbozzati: ma ogni volta il panorama che si dischiude diverso, il punto di vistacambia, lopzione scelta a un bivio differente. Alcuni luoghi li ho attraversativelocemente, confidando che la loro ricchezza balzasse agli occhi con pochi, essenzialitratti. In altri invece il caso della preghiera, per esempio ho voluto attardarmi,cercando con approcci diversi di pervenire a unirraggiungibile globalit dicomprensione, come la farfalla che danza attorno al fuoco e finisce per conoscerlo inverit solo gettandovisi in mezzo. il prezzo che ho creduto di dover pagare nel miotentativo di restare docile allo Spirito, attento al nuovo che si fa strada nelle nostre vite,in ascolto dellaltro che sconvolge i piani previsti. Perch c una sorta di filo rosso chemi ha accompagnato in questo itinerario nella spiritualit cristiana ed la convinzioneche la nostra vita ha un senso e che a noi non spetta n inventarlo n determinarlo, masemplicemente scoprirlo presente e attivo in noi e attorno a noi: riconosciutolo, ci recain dono la libert di accoglierlo.

    VITA SPIRITUALE

    Non si d vita cristiana senza vita spirituale! Lo stesso mandato fondamentale che lachiesa deve adempiere nei confronti dei suoi fedeli quello di introdurli a unesperienzadi Dio, a una vita in relazione con Dio. essenziale ribadire oggi queste verit

    elementari, perch viviamo in un tempo in cui la vita ecclesiale, dominata dallansiapastorale, ha assunto lidea che lesperienza di fede corrisponda allimpegno nel mondopiuttosto che allaccesso a una relazione personale con Dio vissuta in un contestocomunitario, radicata nellascolto della Parola di Dio contenuta nelle Scritture, plasmatadalleucaristia e articolata in una vita di fede, di speranza e di carit. Questa riduzionedellesperienza cristiana a morale la via pi diretta per la vanificazione della fede.Lafede, invece, ci porta a fare unesperienza reale di Dio, ci immette cio nella vitaspirituale, che la vita guidata dallo Spirito santo. Chi crede in Dio deve anche fareunesperienza di Dio: non gli pu bastare avere idee giuste su Dio. E lesperienza, chesempre avviene nella fede e non nella visione (cfr. 2 Corinti 5,7: noi camminiamo permezzo della fede e non ancora per mezzo della visione), qualcosa che ci sorprende e

    si impone portandoci a ripetere con Giacobbe: Il Signore qui e io non lo sapevo!

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    (Genesi 28,16), oppure con il Salmista: Alle spalle e di fronte mi circondi [...]. Dovefuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, tu sei l, se scendo agli inferi, eccoti(Salmo 139,5 e sgg.). Altre volte la nostra esperienza spirituale segnata dal vuoto, dalsilenzio di Dio, da unaridit che ci porta a ridire le parole di Giobbe: Se vado in

    avanti, egli non c, se vado indietro, non lo sento; a sinistra lo cerco e non lo scorgo,mi volgo a destra e non lo vedo (Giobbe 23,8-9). Eppure anche attraverso il silenziodel quotidiano Dio ci pu parlare. Dio infatti agisce su di noi attraverso la vita,attraverso lesperienza che la vita ci fa fare, dunque anche attraverso le crisi, imomenti di buio e di oscurit in cui la vita pu portarci.Lesperienza spirituale anzitutto esperienza di essere preceduti: Dio che ci precede, ci cerca, ci chiama, cipreviene. Noi non inventiamo il Dio con cui vogliamo entrare in relazione: Egli gi l!E lesperienza di Dio necessariamente mediata dal Cristo: nessuno viene al Padre senon per mezzo di me dice Ges (Giovanni 14,6). Cio lesperienza spirituale ancheesperienza filiale. Lo Spirito santo la luce con cui Dio ci previene e orienta il nostrocammino verso la santificazione, cammino che sequela del Figlio: lesperienza

    spirituale diviene cos nullaltro che la risposta di fede, speranza e carit al Dio Padreche nel battesimo rivolge alluomo la parola costitutiva: Tu sei mio figlio!. S, figlinel Figlio Ges Cristo: questa la promessa e questo il cammino dischiusi dal battesimo!Come diceva Ireneo di Lione, lo Spirito e il Figlio sono come le due mani con cui Dioplasma le nostre esistenze in vite di libert nellobbedienza, in eventi di relazione e dicomunione con Lui stesso e con gli altri.Alcuni elementi sono essenziali perlautenticit del cammino spirituale. Anzitutto la crisi dellimmagine che abbiamo dinoi stessi: questo il doloroso, ma necessario inizio della conversione, il momento incui si frantuma lio non reale ma ideale che ci siamo forgiati e che volevamoperseguire come doverosa realizzazione di noi stessi. Senza questa crisi non si accedealla vera vita secondo lo Spirito. Se non c questa morte a se stessi non ci sar neppurela rinascita a vita nuova implicata nel battesimo (cir. Romani 6,4). Occorrono poilonest verso la realt e la fedelt alla realt, cio ladesione alla realt, perch nellastoria e nel quotidiano, con gli altri e non senza di essi, che avviene la nostraconoscenza di Dio e cresce la nostra relazione con Dio. a quel punto che la nostra vitaspirituale pu armonizzare obbedienza a Dio e fedelt alla terra in una vita di fede, disperanza e di carit. a quel punto che noi possiamo dire il nostro s al Dio che cichiama con quei doni e con quei limiti che caratterizzano la nostra creaturalit. Sitratter dunque di immettersi in un cammino di fede che sequela del Cristo pergiungere allesperienza dellinabitazione del Cristo in noi. Scrive Paolo ai cristiani diCorinto: Esaminate voi stessi se siete nella fede: riconoscete che Ges Cristo abita in

    voi? (2 Corinti 13,5).La vita spirituale si svolge nel cuore, nellintimo delluomo,nella sede del volere e del decidere, nellinteriorit. l che va riconosciuta lautenticitdel nostro essere cristiani. La vita cristiana infatti non un andare oltre, sempre allaricerca di novit, ma un andare in profondit, uno scendere nel cuore per scoprire che il Santo dei Santi di quel tempio di Dio che il nostro corpo! Si tratta infatti diadorare il Signore nel cuore (cfr. I Pietro 3, I 5). Quello il luogo dove avviene lanostra santificazione, cio laccoglienza in noi della vita divina trinitaria: Se uno miama, osserver la mia parola e il Padre mio lo amer e noi verremo a lui e prenderemodimora presso di lui (Giovanni 14,23). Fine della vita spirituale la nostrapartecipazione alla vita divina, quella che i Padri della chiesa chiamavanodivinizzazione. Dio, infatti, si fatto uomo affinch luomo diventi Dio, scrive

    Gregorio di Nazianzo, e Massimo il Confessore sintetizza in modo sublime: La

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    divinizzazione si realizza per innesto in noi della carit divina, fino al perdono deinemici come Cristo in croce. Quand che tu diventi Dio? Quando sarai capace, comeCristo in croce, di dire: Padre, perdona loro, anzi: Padre, per loro io do la vita. Aquesto ci trascina la vita spirituale, cio la vita radicata nella fede del Dio Padre

    creatore, mossa e orientata dallo Spirito santificatore, innestata nel Figlio redentore checi insegna ad amare come lui stesso ha amato noi. Ed l che noi misuriamo la nostracrescita alla statura di Cristo.

    ASCESI

    Non si nasce cristiani, lo si diventa (Tertulliano). Questo divenire lo spazio in cui

    si inserisce lascesi cristiana. Ascesi oggi parola sospetta, se non del tutto assurda eincomprensibile per molti uomini e, ci che pi significativo, anche per un grannumero di cristiani. In realt ascesi, termine che deriva dal greco askein, esercitare,praticare, indica anzitutto lapplicazione metodica, lesercizio ripetuto, lo sforzo peracquisire unabilit e una competenza specifica: latleta, lartista, il soldato devonoallenarsi, provare e riprovare movimenti e gesti per poter pervenire a prestazionielevate. Lascesi dunque anzitutto una necessit umana: la stessa crescita delluomo,la sua umanizzazione, esige un corrispondere interiore alla crescita anagrafica. Esige undire dei no per poter dire dei s: Quando ero bambino, parlavo e pensavo dabambino ma, divenuto uomo, ci che era da bambino lho abbandonatoscrive sanPaolo (1Corinti 13,11). La vita cristiana poi, che rinascita a una vita nuova, a una vita

    in Cristo, che adattamento della propria vita alla vita di Dio, richiede lassunzionedi capacit non naturali come la preghiera e lamore del nemico: e questo non possibile senza unapplicazione costante, un esercizio, uno sforzo incessante. Purtroppoil mito della spontaneit, che domina ancora in questa fase di adolescenze interminabilie che porta a contrapporre esercizio e autenticit, si rivela un ostacolo determinante allamaturazione umana delle persone e alla comprensione dellessenzialit dellascesi peruna crescita spirituale.Certo, deve essere chiaro che lascesi cristiana resta sempre unmezzo ordinato allunico fine da conseguire: la carit, lamore per il Signore e per ilprossimo. Non possibile senza la continua esperienza di cadute, di fallimenti, dipeccati, che fan s che lascesi cristiana rettamente intesa sia sempre assolutamenteindissociabile dalla grazia: Che uno possa vincere la sua natura non tra le cose

    possibili (Giovanni Climaco). La storia cristiana ha conosciuto molte deviazioni edeccessi dellascesi, ma ha anche sempre saputo condannare tali eccessi che riducevanola vita cristiana a un insieme di imprese eroiche. E ha saputo farlo anche con senso dellohumour: Se praticate lascesi di un regolare digiuno, non inorgoglitevi. Se per questovi insuperbite, piuttosto mangiate carne, perch meglio mangiare carne che gonfiarsi evantarsi (Isidoro Presbitero). Essa non mira al perfezionamento del proprio io, maalleducazione dellio alla libert e alla relazione con laltro: il suo fine lamore, lacarit. Lascesi prende sul serio il fatto che non si possono servire due padroni e chelalternativa allobbedienza a Dio lasservimento agli idoli. Anche linteriorit vaeducata, anche lamore va sempre affinato e purificato, anche le relazioni vanno resesempre pi intelligenti e rispettose: questo dice lascesi! In particolare, il sudore e lafatica (Cabasilas) dello sforzo ascetico sono lapertura al dono di Dio, il disporre tutta

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    la propria persona a ricevere il dono di grazia; possiamo riassumere la dimensionecristiana dellascesi in questa affermazione: la salvezza viene da Dio in Ges Cristo.Lascesi non altro che laccettazione a essere se stessi soltanto per grazia diquellAltro che ha nome Dio, il dire di s a ricevere la propria identit nella relazione

    con questo Altro. In particolare, lascesi corporale, che ha rivestito spesso connotatimeramente negativi e di disprezzo del corpo, soprattutto a seguito dellassunzione di unmodello antropologico di tipo dualista, afferma come essenziale per la conoscenzateologica il coinvolgimento dellintero corpo! Senza questa dimensione il cristianesimosi riduce a esercizio intellettuale, a gnosi, oppure alla sola dimensione morale.Di pi,essendo a servizio della rivelazione cristiana che attesta che la libert autenticadelluomo si manifesta nel suo divenire capace di donazione di s, per amore di Dio edel prossimo, aprendosi al dono preveniente di Dio, lascesi tende a liberare luomodallaphilautia, cio dallamore di s, dallegocentrismo, e a trasformare un individuo inpersona capace di comunione e gratuit, di dono e di amore. Ancora una volta, latradizione cristiana antica mostra capacit di auto critica nelle parole di un padre del

    deserto che constata: Molti hanno prostrato il loro corpo senza alcun discernimento, ese ne sono andati senza trovare alcunch. La nostra bocca esala cattivo odore a forza didigiunare, noi sappiamo le Scritture a memoria, recitiamo tutti i Salmi, ma non abbiamoci che Dio cerca: lamore e lumilt. Solo unascesi intelligente e condotta condiscernimento risulta gradita a Dio. E risulta umanizzante e non disumanizzante. Risultacapace di aiutare luomo nel compito di fare della propria vita un capolavoro, unoperadarte. Forse non casuale che askein sia utilizzato, nella letteratura greca antica, ancheper indicare il lavoro artistico. Questo dunque il fine dellascesi: porre la vita delcredente sotto il segno della bellezza, che nel cristianesimo un altro nome dellasantit.

    SANTIT E BELLEZZA

    La tradizione cristiana, soprattutto occidentale, ha operato uninterpretazioneessenzialmente morale della santit. Questa per non consiste propriamente nel nonpeccare, bens nel fare affidamento sulla misericordia di Dio che pi forte dei nostripeccati e capace di rialzare il credente che caduto. Il santo il canto innalzato allamisericordia di Dio, colui che testimonia la vittoria del Dio tre volte santo e tre voltemisericordioso. La santit cio grazia, dono, e chiede alluomo laperturafondamentale per lasciarsi invadere dal dono divino: la santit dunque testimoniaanzitutto il carattere responsoriale dellesistenza cristiana, un carattere che afferma ilprimato dellessere sul fare, del dono sulla prestazione, della gratuit sulla legge.Possiamo dire che la santit cristiana, anche nella sua dimensione etica, non ha uncarattere legale o giuridico, ma eucaristico: risposta alla charis di Dio manifestata inCristo Ges. Ed segnata perci dalla gratitudine e dalla gioia; il santo colui che dicea Dio: Non io, ma Tu.Questa ottica di grazia preveniente ci porta ad affermare chealtro nome della santit bellezza. S, nellottica cristiana la santit si declina anchecome bellezza. Gi il Nuovo Testamento associa queste due esortazioni ai cristiani:

    avere una condotta santa non altro che avere una condotta bella (cfr. 1 Pietro1,15-16 e 2,12). Articolata come bellezza, la santit appare anzitutto essere impresa non

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    individualistica, non frutto dello sforzo, magari eroico, del singolo, ma evento dicomunione. la comunione raffigurata iconicamente in Mos ed Elia apparsi nellagloria (Luca 9,3r) e nei discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni radunati attorno al Cristosplendente nella luce della trasfigurazione. la communio sanctorum, la comunione dei

    santi, di coloro che partecipano alla vita divina communicantes in Unum, comunicandocon Colui che lunica sorgente della santit (cfr. Ebrei 2,11). Come non ricordare lacattedrale di Chartres con le statue dei santi dellAntico e del Nuovo Testamentoradunati attorno al Beau Dieu come tanti raggi che promanano dallunico sole? Lagloria di Colui che lautore della bellezza rifulge sul volto di Ges, il Cristo (2Corinti 4,6), il Messia cantato dal Salmista come il pi bello tra i figli delluomo(Salmo 45,3), e si effonde nel cuore dei cristiani grazie allazione dello Spiritosantificato re, che plasma il loro volto a immagine e somiglianza del volto di Cristo,trasformando le loro individualit biologiche in eventi di relazione e comunione. E cosla vita e la persona del cristiano possono conoscere qualcosa della bellezza della vitadivina trinitaria, vita che comunione, pericoresidi amore.La santit bellezza che

    contesta la bruttura della chiusura in s, dellegocentrismo, della philautia. gioia checontesta la tristezza di chi non si apre al dono di amore, come il giovane ricco che sene and triste (Matteo 19,22). Ha scritto Lon Bloy: Non c che una tristezza, quelladi non essere santi. Ecco la santit, e la bellezza, come dono e responsabilit delcristiano. Allinterno di un mondo che cosa bella come scandisce il racconto dellaGenesi luomo viene creato da Dio nella relazione di alterit maschio-femmina estabilito come partner adeguato per Dio, capace di ricevere i doni del suo amore, equestopera creazionale viene lodata come molto bella (Genesi 1,31). In un mondochiamato alla bellezza, luomo, che posto come responsabile del creato, ha laresponsabilit della bellezza del mondo e della propria vita, di s e degli altri. Se labellezza una promessa di felicit (Stendhal), allora ogni gesto, ogni parola, ogniazione ispirata a bellezza profezia del mondo redento, dei cieli nuovi e della terranuova, dellumanit riunita nella Gerusalemme celeste in una comunione senza fine. Labellezza diviene profezia della salvezza: la bellezza ha scritto Dostoevskij chesalver il mondo.Chiamati alla santit, i cristiani sono chiamati alla bellezza, ma alloranoi ci possiamo porre questo interrogativo: che ne abbiamo fatto del mandato dicustodire, creare e vivere la bellezza? Si tratta infatti di una bellezza da instaurare nellerelazioni, per fare della chiesa una comunit in cui si vivano realmente rapporti fraterni,ispirati a gratuit, misericordia e perdono; in cui nessuno dica allaltro: lo non hobisogno di te (1 Corinti 12,21), perch ogni ferita alla comunione sfigura anche labellezza dellunico Corpo di Cristo. una bellezza che deve caratterizzare la chiesa

    come luogo di luminosit (cfr. Matteo 5,14-16), spazio di libert e non di paura, didilatazione e non di conculcamento dellumano, di simpatia e non di contrapposizionecon gli uomini, di condivisione e solidariet soprattutto con i pi poveri. bellezza chedeve pervadere gli spazi, le liturgie, gli ambienti, e soprattutto quel tempio vivente diDio che sono le persone stesse. la bellezza che emerge dalla sobriet, dalla povert,dalla lotta contro lidolatria e contro la mondanit. la bellezza che rifulge l dove si favincere la comunione invece del consumo, la contemplazione e la gratuit invece delpossesso e della voracit. S, il cristianesimo philocalia, via di amore del bello, e lavocazione cristiana alla santit racchiude una vocazione alla bellezza, a fare dellapropria vita un capolavoro di amore. Il comando Siate santi perch io, il Signore, sonosanto (Levitico 19,2; 1Pietro 1,16) ormai inscindibile dallaltro: Amatevi gli uni gli

    altri come io vi ho amati (Giovanni 13,34). La bellezza cristiana non un dato, ma un

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    evento. Un evento di amore che narra sempre di nuovo, in maniera creativa e poetica,nella storia, la follia e la bellezza tragica dellamore con cui Dio ci ha amati donandocisuo Figlio, Ges Cristo.

    SENSI E SPIRITO

    Appare problematica, oggi, lintegrazione della dimensione sensoriale nellesperienzaspirituale. Ha ancora senso lespressione esperienza di Dio? O bisogna rassegnarsialla sua diluizione in una dimensione puramente intellettuale (esperienza di Dio intesacome parlare di o scrivere su Dio) o alla sua riduzione allattivit sociale caritativa efilantropica (esperienza di Dio intesa come relazione altruista) o a fame lappannaggio

    del mondo della mistica? Lincontro con Dio avviene s nella fede e non nella visione,ma si impone a tutto luomo, corpo e sensi compresi. Agostino lo proclama: Michiamasti e il tuo grido lacer la mia sordit; balenasti e il tuo splendore dissip la miacecit; diffondesti la tua fragranza e respirai e anelo verso di te; gustai e ho fame e sete;mi toccasti e arsi dal desiderio della tua pace (Confessioni X, 27,38).Il testo diAgostino echeggia quella dottrina dei sensi spirituali che ha in Origene il suoiniziatore. Scrive lalessandrino: Il Cristo diventa loggetto di ciascun sensodellanima. Egli chiama se stesso la vera luce per illuminare gli occhi dellanima, ilVerbo per essere udito, il pane di vita per essere gustato. Parimenti, egli chiamatoolio e nardo perch lanima si diletti dellodore del Logos, egli divenuto il Verbofatto carne palpabile e attingibile, perch luomo interiore possa cogliere il Verbo di

    vita (Commento al Cantico II,167,25). Il Dio fattosi uomo ha affermato, una volta persempre, leminente dignit spirituale del corpo. vero che la dottrina tradizionale deisensi spirituali si fonda a volte sulla contrapposizione e rottura fra sensi corporei e sensispirituali, ma in certe sue modulazioni (per esempio in Bonaventura) si percepisce lacontinuit fra i due livelli di sensi e comunque, al di l delle antropologie oggiforzatamente impraticabili che sottostavano alle antiche formulazioni dottrinali, essenziale recuperare e riformulare listanza profonda che esse esprimevano. Il sensus

    fidei non un sapere dottrinale, ma connesso a un vissuto, a una conoscenza praticadi Dio che porta ad assumere il senso delle cose divine, cio il discernimento.Magistero di questo discernimento la liturgia eucaristica, dove il mistero celebrato ilmistero della fede: ma la liturgia eucaristica esperienza che coinvolge tutti i sensi delcredente: ascoltare la Parola di Dio proclamata, vedere le icone, le luci, i volti deifratelli, gustare il pane e il vino eucaristici, odorare i profumi, lincenso, toccare laltrocon labbraccio di pace... Nellincarnazione la rivelazione entrata nelluomo attraversotutti i sensi; nelleconomia sacramentale la celebrazione del mistero coinvolge s tutti isensi delluomo, ma esigendo anche un loro affinamento e una loro trasfigurazione: sitratta di cogliere la realt in Cristo. I sensi non sono aboliti, ma ordinati dalla fede,allenati dalla preghiera, innestati in Cristo, trasfigurati dallo Spirito santo: il battezzatopu cos manifestarsi quale nuova creatura che vede realmente il Figlio di Dio;ode e ascolta la sua parola; lo tocca e si nutre di lui; lo gusta; respira la vitanello Spirito santo. Cos si esprime lesegeta Donatien Mollat mostrando lemergere

    dei sensi spirituali nel quarto Vangelo. E non si pensi che si tratti di unesperienzamistica, inaccessibile ai pi. Lascolto della Parola di Dio attraverso la lettura

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    orante delle Scritture porta il credente a vedere il volto del Cristo, a toccare la suapresenza che gli si impone, a gustare la consolazione dello Spirito, a piangere presoda compunzione... la concretissima esperienza spirituale.Lesperienza di fede esperienza di bellezza, di un incontro tanto reale quanto indicibile, di una presenza pi

    intima a noi del nostro stesso intimo. Ed esperienza che investe anche il corpo e isensi. In Oriente il santo luomo con il volto luminoso, il cui corpo esala profumo, lacui somaticit ormai evento di bellezza e di comunione. Certo, guai a confondere lopsicologico e lemozionale con lo spirituale, ma lo spirituale traversa lo psichico einveste i sensi del corpo. E allora i sensi spirituali non sono solo metafore, maconnotano lesperienza della comunione con il Signore nei vari aspetti in cui si pumanifestare allanimo umano: dolcezza, forza, intimit, adesione amorosa, obbedienza,presenza intensa. la sobria ebrietas; lesperienza dellamore. Quando Agostinoafferma che locchio vede a partire dal cuore e che solo lamore capace di vedere, cisuggerisce che i sensi spirituali sono i sensi permeati dallesperienza profondadellamore di Dio. Amore che purifica, ordina e rende intelligente lamare umano.Ma

    chi oggi sa farsi iniziatore alla vita spirituale del corpo, in un mondo che confondendoo separando corpo e spirito li ha perduti entrambi e va morendo di questa perdita?(Cristina Campo).

    VIGILANZA

    Non abbiamo bisogno di nientaltro che di uno spirito vigilante. Questo apoftegma di

    abba Poemen, un padre del deserto, esprime bene lessenzialit che la vigilanza rivestenella vita spirituale cristiana. In che consiste? Il Nuovo Testamento, opponendola allostato di ubriachezza e a,quello della sonnolenza, la definisce come la sobriet e iltenere gli occhi ben aperti di colui che ha un fine preciso da conseguire e da cuipotrebbe essere distolto se non fosse, appunto, vigilante. E poich lo scopo daconseguire per un cristiano la relazione con Dio attraverso Ges Cristo, la vigilanzacristiana totalmente relativa alla persona di Cristo che venuto e che verr. Basilio diCesarea termina le sue Regole morali affermando che lo specifico del cristianoconsiste proprio nella vigilanza in ordine alla persona di Cristo: Che cosa proprio delcristiano? Vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronto nel compiere perfettamenteci che gradito a Dio, sapendo che nellora che non pensiamo il Signore viene.Lasottolineatura della dimensione temporale presente in questo testo non casuale. Tipodel vigilante il profeta, colui che cerca di tradurre lo sguardo e la Parola di Dionelloggi del tempo e della storia. La vigilanza dunque lucidit interiore, intelligenza,capacit critica, presenza alla storia, non distrazione e non dissipazione. Unificatodallascolto della Parola di Dio, interiormente attento alle sue esigenze, luomo vigilantediviene responsabile, cio radicalmente non indifferente, cosciente di doversi prenderecura di tutto e, in particolare, capace di vigilare su altri uomini e di custodirli. Essereepiscopus, vescovo, scrive Lutero significa guardare, essere vigilante, vigilarediligentemente. dunque, la vigilanza, una qualit che richiede grande forza interioree produce equilibrio: si tratta di attivare la vigilanza non solo sulla storia e sugli altri,

    ma anche su di s, sul proprio ministero, sul proprio lavoro, sulla propria condotta,insomma su tutta la sfera delle relazioni che si vivono. Affinch su tutto regni la

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    signoria di Cristo.La difficolt della vigilanza consiste proprio nel fatto che anzitutto su di s che occorre vigilare: il nemico del cristiano in lui stesso, non fuori di lui.Vegliate su voi stessi e pregate in ogni tempo: che i vostri cuori non si appesantiscanoin dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, dice Ges nel Vangelo di Luca. La

    vigilanza al prezzo di una lotta contro se stessi: il vigilante il resistente, colui checombatte per difendere la propria vita interiore, per non lasciarsi trascinare dalleseduzioni mondane, per non farsi travolgere dalle angosce dellesistenza, insomma, perunificare fede e vita e per mantenersi nellequilibrio e nellarmonia; vigilante coluiche aderisce alla realt e non si rifugia nellimmaginazione, nellidolatria, che lavora enon ozia, che si relaziona, che ama e non indifferente, che assume con responsabilit ilsuo impegno storico e lo vive nellattesa del Regno che verr. La vigilanza dunquealla radice della qualit della vita e delle relazioni, al servizio della pienezza della vitae combatte le seduzioni che la morte esercita sulluomo. Cos Paolo ammonisce icristiani di Tessalonica: Non dormiamo come gli altri, ma restiamo svegli e siamosobri. Per la simbolica biblica, ma anche per altre culture (si pensi alla mitologia greca

    che fa diHypnos, Sonno, il gemello di Thanatos, Morte), cadere nel sonno significaentrare nello spazio della morte. Vigilare, invece, non solo un atteggiamento propriodelluomo attento e responsabile, ma acquisisce un significato particolare per il cristianoche pone la sua fede nel Cristo morto e risorto. La vigilanza assunzione intima eprofonda della fede nella vittoria della vita sulla morte. Cos il vigilante diviene nonsolo uomo sveglio, che si oppone alluomo addormentato, intontito, che ottunde i suoisensi interiori, che rimane alla superficie delle cose e delle relazioni, ma diviene ancheuomo di luce e capace di irradiare luce. illuminati tramite limmersione battesimale, icristiani sono figli della luce chiamati a illuminare: Risplenda la vostra luce davantiagli uomini affinch, vedendo il vostro operare la bellezza, rendano gloria al Padrevostro che nei cieli (Matteo 5,16). Non si tratta di esibizionismo spirituale, anzi,delleffetto traboccante della luce che, abitando un cuore vigilante, non pu rimanerenascosta, ma di per s emerge e si diffonde. In certo senso, la vigilanza lunica cosaassolutamente essenziale al cristiano: essa la matrice di ogni virt, il sale di tuttolagire, la luce del suo pensare e parlare. Senza di essa tutto lagire del cristiano rischiadi essere in pura perdita. Disse abba Arsenio: Bisogna che ognuno vigili sulle proprieazioni per non faticare invano.

    LOTTA SPIRITUALE

    Movimento essenziale della vita spirituale cristiana la lotta spirituale. Gi la Scritturaesige dal credente tale atteggiamento: chiamato a dominare allinterno del creato,luomo deve esercitare tale dominio anche su di s, sul peccato che lo minaccia: Ilpeccato accovacciato alla tua porta; verso di te il suo istinto, ma tu dominalo(Genesi 4,7). Si tratta dunque di una lotta interiore, non rivolta contro esseri esterni as, ma contro le tentazioni, i pensieri, le suggestioni e le dinamiche che portano allaconsumazione del male. Paolo, servendosi di immagini belli che e sportive (la corsa, ilpugilato), parla della vita cristiana come di uno sforzo, una tensione interiore a rimanere

    nella fedelt a Cristo, che comporta lo smascheramento delle dinamiche attraverso lequali il peccato si fa strada nel cuore delluomo per poterlo combattere al suo sorgere. Il

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    cuore, infatti, il luogo di questa battaglia. Il cuore inteso nel senso, derivatodallantropologia biblica, dellorgano che meglio pu rappresentare la vita nella suatotalit: centro della vita morale e interiore, sede dellintelligenza della volont, ilcuore contiene gli elementi costitutivi di quella che noi chiamiamo la persona e si

    avvicina a ci che definiamo coscienza. Ma tutto questo, nel cristianesimo, non affatto semplicemente un movimento di discernimento e di aggiustamentopsicologico: questa, dice Paolo, la lotta della fede (1 Timoteo 6,12), lunica lottache pu essere definita buona. cio la lotta che nasce dalla fede, dal legame conCristo manifestato dal battesimo, che avviene nella fede, cio nella fiducia della vittoriagi riportata dal Cristo stesso, e che conduce alla fede, alla sua conservazione e al suoirrobustimento.La lotta spirituale mira, secondo la tradizione cristiana, a custodire lasanit spirituale del credente. Se il suo fine lapatheia, questa va intesa non nelsenso dellimpassibilit, ma dellassenza di patologie. Cos la lotta spirituale mette inatto la valenza terapeutica della fede. Essendo la vita spirituale una realissima econcretissima vita, essa deve essere nutrita e corroborata per poter crescere e devessere

    curata quando minacciata nella sua integrit. Sia lOccidente che lOriente cristianohanno codificato gli ambiti, gli spazi, in cui va esercitata tale lotta per mantenere ilcredente in un atteggiamento sano, cio di comunione e non di consumo. La tradizionemonastica ha sempre affermato con grande forza che la vita di fede assume la forma diunincessante lotta contro le tentazioni. Antonio, il padre dei monaci, ha detto:Questa la grande opera delluomo: gettare su di s il proprio peccato davanti a Dio, eattendersi tentazioni fino allultimo respiro. Ma che significa tentazione?Con questaespressione si indica un pensiero (i Padri greci parlano di loghismoi), una suggestione,uno stimolo che muove dallesterno delluomo (ci che si vede, che si ascolta, che ci staintorno ecc.) oppure dal suo stesso interno, dalla sua struttura personale, dalla sua storia,dalle sue peculiari fragilit, e che insinua nelluomo la possibilit di unazionemalvagia, contraria allEvangelo. Dal catechismo frequentato in fanciullezza moltiricorderanno la lista dei sette peccati capitali, diffusasi nel mondo cattolicosoprattutto nellepoca della Contro riforma, ma risalente a Gregorio Magno, il qualeparlava di vanagloria, invidia, ira, tristezza, avarizia, gola, lussuria. A sua volta questalista di sette era un rifacimento dellelenco degli otto pensieri malvagi formulato daEvagrio Pontico nel IV secolo e volgarizzato in Occidente da Giovanni Cassiano.Rileggere oggi questi peccati uscendo dalla griglia moralistica e dalla casistica concui sono giunti fino a noi e interpretarli come rapporti pu mostrare la lorosconcertante modernit (molti vi hanno visto una forma di psicoanalisi ante litteram) eaiutarci a raggiungere il nucleo profondo ed estremamente semplice da cui sgorgavano

    al di l delle forme pi o meno maldestre con cui ci sono stati fatti conoscere.Evagrioparlava anzitutto di gastrimargha, la quale non investe solo il rapporto con il cibo (nva banalizzata nel peccato di gola), ma ogni forma di patologia orale (si pensi allearticolate implicazioni della bulimia e dellanoressia). La pornea designa poi glisquilibri nel rapporto con la sessualit, soprattutto la tendenza a cosificare il corpoproprio e dellaltro, ad assolutizzare le pulsioni e a ridurre a oggetto di desiderio chi chiamato a essere soggetto di amore. La philarghyria designa s lavarizia, ma piprofondamente ci rinvia al rapporto con le cose e denuncia la tendenza delluomo alasciarsi definire da ci che possiede. Lorgh (ira) indica il rapporto con gli altri, chepu essere stravolto fino alla violenza con la collera, e in cui il credente chiamato alpaziente e faticoso esercizio (cio, etimologicamente, allascesi) dellaccettazione

    dellalterit. La lype indica la tristezza, ma anche la frustrazione di chi non vive in modo

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    equilibrato il rapporto con il tempo e resta incapace di arrivare allunificazione deltempo della propria vita. Lacerato tra nostalgia del passato e fughe irreali in avanti,luomo preda dello spiritus tristitiae incapace di aderire alloggi, al presente.Lakedia(acedia; scomparso nella lista occidentale di Gregorio Magno probabilmente perch

    fatto confluire nella tristezza) designa una pigrizia, un taedium vitae, una demotivazioneradicale che diviene pulsione di morte e financo tendenza suicidaria. Si manifesta comeinstabilit radicale, disgusto di ci che si vive, volont di azzeramento della propriaesistenza, e rivela lincapacit di vivere armonicamente il rapporto con lo spazio. Lakenodoxia, vanagloria, la tentazione di definirsi a partire da ci che si fa, dal propriolavoro, dalla propria opera: essa investe dunque lambito del rapporto con il fare, conloperare. Infine, layperephania (superbia) designa la hybris nel rapporto con Dio. lorgoglio, laffermazione dellego, la sostituzione di io a Dio.Non difficilevedere come il combattimento spirituale, che individua questi ambiti riassuntivi ditutti i rapporti costitutivi della vita come campi di battaglia, voglia guidare ilcredente alla maturit personale e al dispiegamento della piena libert. Vigilanza e

    attenzione sono la fatica del cuore (Barsanufio) che consente al credente di operarnela purificazione: dal cuore infatti che escono le intenzioni malvagie ed il cuore chedeve divenire dimora del Cristo grazie alla fede. In questo senso la custodia del cuore(phylak tes kardias) lopera per eccellenza delluomo spirituale, la sola veramenteessenziale. Ma come avviene tale lotta? La sconfinata letteratura asceticasullargomento, dal De agone christiano di Agostino alle opere di Evagrio Pontico e diGiovanni Cassiano fino al celebre trattato Combattimento spirituale di Lorenzo Scupoli(1530-1610), consente di individuare un itinerario preciso, un dinamismo attraverso cuisi sviluppa la tentazione nel cuore umano e che occorre disarticolare con la lottainteriore. un dinamismo in quattro momenti fondamentali: la suggestione, il dialogo,lacconsentimento, la passione (o vizio).La suggestione linsorgere nel cuoredelluomo della possibilit di unazione malvagia, peccaminosa. Questo caratterenegativo del pensiero discernibile dal fatto che provoca turbamento nel cuore, toglie lapace e la serenit. Questo momento assolutamente universale: nessuno ne esente. Secon questo pensiero ci si intrattiene e si dialoga, se si neutralizza, ricorrendo aespedienti autogiustificatori, il disagio e il turbamento che esso ingenera nel profondodelluomo, allora esso diviene, pian piano, una presenza prepotente nel cuore, presenzanon pi dominabile, ma che domina luomo. E allora che avviene lacconsentimento,cio una presa di posizione personale che contraddice la volont di Dio. Se gliacconsentimenti si ripetono perch non si mostra alcuna capacit di lotta, allora sidiventa schiavi di unapassione, di un vizio. Questo processo elementare pu invece

    essere spezzato da una lotta che si eserciti subito, alloro nascere, contro i pensieri e lesuggestioni.Ma di nuovo: quali sono, molto concretamente, le modalit di tale lotta?Anzitutto lapertura del cuore allinterno di una relazione con un padre spirituale; quindila preghiera e linvocazione del Signore; lascolto e linteriorizzazione della Parola diDio; una vita di relazione, di carit, intensa e autentica. Questa lotta esige poi unagrande capacit di vigilanza su di s e sui molti rapporti che si intrattengono e sui qualipu innestarsi la tentazione, cio la possibilit dellidolatria. Le forme che la tentazionepu rivestire sono molteplici e abbracciano la molteplicit dei rapporti antropologicifondamentali. li rapporto col cibo, col proprio corpo e la propria sessualit, con le cose(in particolare i beni, il denaro), con gli altri, con il tempo, con lo spazio, con loperaree, infine, con Dio. Tutti questi ambiti del nostro vivere, che definiscono la nostra

    identit umana e spirituale, devono essere ordinati e disciplinati attraverso una lotta.

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    Sempre, in tutti questi ambiti, la tentazione si configura come seduzione di vivere nelregime del consumo invece che in quello della comunione. E per questo la lotta controla tentazione trova il suo magistero eminente nelleucaristia, che appunto celebrazionedella vita come comunione con Dio e con gli uomini.A questa lotta occorre esercitarsi:

    bisogna anzitutto saper discernere le proprie tendenze di peccato, le proprie fragilit, lenegativit che ci segnano in modo particolare, quindi chiamarle per nome, assumerle enon rimuoverle, e infine immettersi nella lunga e faticosa lotta volta a far regnare in sla Parola e la volont di Dio!Organo di questa lotta infatti il cuore, inteso biblicamentecome organo della decisione e della volont, non tanto dei sentimenti. La capacit dilotta spirituale, lapprendimento dellarte della lotta (Salmo 144,1; 18,35) essenzialeper laccoglienza della Parola di Dio nel cuore umano. Se essa manca, allora lepreoccupazioni mondane, linganno della ricchezza e tutte le altre bramosie soffocano laParola nel cuore delluomo e questa rimane senza frutto (Marco 4,19). Chi sperimentato nella vita spirituale sa che questa lotta pi dura di tutte le lotte esterne,ma conosce anche il frutto di pacificazione, di libert, di mitezza e di carit che essa

    produce. grazie ad essa che la fede diviene fede che rimane, perseveranza. grazie adessa che lamore viene purificato e ordinato. Ha testimoniato il Patriarca ecumenicoAtenagora: Per lottare efficacemente contro il male bisogna volgere la guerraallinterno, vincere il male in noi stessi. Si tratta della guerra pi aspra, quella contro sestessi. lo questa guerra lho fatta. Per anni e anni. stata terribile. Ma ora sonodisarmato. Non ho pi paura di niente, perch lamore scaccia la paura. Sonodisarmato della volont di spuntarla, di giustificarmi alle spese degli altri. S, non ho pipaura. Quando non si possiede pi niente, non si ha pi paura. Chi ci separerdallamore di Cristo?. S, la tentazione, come ha scritto Origene, fa del credente unmartire o un idolatra.

    IDOLATRIA

    Cosa evoca in noi il termine idolatria? Ormai abbandonata o, meglio, confinata alleestreme terre delle sempre pi esigue popolazioni rimaste pagane laccezionefeticistica, trasposta in ambito di popolarit sportiva o musicale la dimensione diadorazione incantata di un personaggio, messa in crisi una certa idealizzazionepolitica con il relativo culto della personalit, non si pu per certo dire che gli idoli

    siano scomparsi dalla nostra esistenza, con tutto il loro carico di asservimento e diappiattimento delluomo e della sua libert. Gli idoli, infatti, continuano a essere operadelluomo, e la loro creazione, sopravvivenza, trasformazione e funzionamentorispondono a precise istanze e bisogni antropologici.Non dimentichiamo che lidolo inteso come simulacro, feticcio non la personificazione del dio, e in questo noninganna ladoratore che perfettamente consapevole di trovarsi di fronte non al dio inpersona bens a unopera delle proprie mani, un manufatto che egli stesso offre al diocome immagine visibile affinch questi acconsenta ad assumerne il volto. Cos, chiadora una statua sa benissimo che il dio non coincide con quellidolo: in essa trova ilvolto accettato dal divino che sta prima di ogni immagine. In questo senso si pu direche lesperienza umana del divino precede il volto che quel divino assume in essa,lelaborazione umana del divino anticipa il volto idolatrico e cos lidolo restituisce

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    alluomo, sotto la forma del volto di un dio, la sua stessa esperienza del divino.Cosquello che emerge a livello di simulacro, di oggetto, si rivela autentico anche allivello pi profondo (o pi alto) dellimmagine: lidolo, che sia esso statua o realtimmateriale o ideologia, non inganna ma fornisce certezze riguardo al divino. Anche

    quando appare nel suo aspetto terribile, lidolo rassicurante perch identifica,il divinonel volto di un Dio. Forse da questo aspetto nasce la sua sorprendente efficaciapolitica: anticamente esso rendeva vicino, a portata di mano il dio che, identificandosicon la polis, le assicurava unidentit. Ecco perch, anche dopo il tramonto delpaganesimo, la politica non ha cessato di suscitare degli idoli: che siano il grandecondottiero o luomo della Provvidenza o il pi amato dalla gente, questi uomini,divinizzati, scongiurano il divino o, se si preferisce, il destino umano. lidolatria aconferire dignit al culto della personalit, a trasformarla in una figura vicina,familiare, addomesticata del divino. Qui si coglie la dimensione politica dellidolatria, ilsuo essere un attentato alla libert umana, e si comprende anche come la lotta anti-idolatrica richieda adesione alla realt e lattivazione dellinteriorit, di uno spazio

    interiore, della capacit critica, affinch la libert non sia solo libert di reagire, ma diagire, di proporre, di progettare.Non solo, ma questo annullamento della distanza,questa familiarit che rende schiavi (non dimentichiamo che il termine familiaindicava allorigine linsieme dei servitori di una casa), la si ritrova anche negli idoliimmateriali cos potenti ai giorni nostri: non un caso che il mito oggi piaffascinante il successo in termini di potere, di denaro e di sesso venga incontro edia sfogo a tre libidines insite in ogni essere umano: la libido dominandi, la libido

    possidendi e la libido amandi. Cos, opera non delle mani ma delle pulsioni delluomo,queste tre forze si ergono di fronte a lui, gli chiedono adorazione e servizio, gli rubanola libert promettendogli partecipazione al divino, accesso al sovraumano, protezionecontro le forze mortifere.Ora, quando il cedimento ai richiami delle tre libidines passadalla sfera personale a quella sociale, assume connotati idolatrici che nella nostrasociet occidentale si possono identificare sul piano economico con ladorazione di tuttoci che si pu calcolare, dalla quotazione di unazione in borsa al saldo di un contocorrente, al numero di esecutori della propria volont.In particolare, potremmoaffermare, echeggiando il Benjamin di Capitalismo e religione, che, in una societ incui il paradigma dellhomo oeconomicus ha preso il posto dellhomo religiosus, sempredi pi il denaro e le istituzioni del mercato tentano di appagare quelle preoccupazioni equelle ansie a cui un tempo davano risposta le religioni. Forse la miglior raffigurazionedellidolo si trova nella moneta, nella banconota: lo spiritodel denaro si incarna nellamoneta e le immagini delle banconote sono le icone che rivelano ed emanano tale

    spirito. Nel denaro si crede e, certo, la maggior parte degli uomini pone la fiducia neldenaro: il denaro d sicurezza, fiducia. Eppure esso, ci ricorda il filosofo VittorioMathieu nella sua Filosofia del denaro, non una cosa fisica e non neppure legato allamateria se non come simbolo.Sul piano etico e sociologico lattitudine idolatrica siidentifica invece con ladeguarsi al comportamento della massa: giusto quello chefanno tutti, in una sorta di dedizione demagogica delladagio vox populi, vox Dei. Maquesta massa, la tanto decantata gente, non unentit autonoma, libera, non uncorpo le cui membra interagiscono per il bene comune, bens un agglomerato indefinito,un accostamento di individualit pesantemente manipolato: cos i sondaggi nonregistrano lorientamento degli intervistati ma lo determinano, cos le opere dellafinzione letteraria, cinematografica, teatrale non testimoniano i sentimenti e i

    comportamenti di unepoca e di una cultura ma li condizionano, cos le immagini non

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    garantiscono lautenticit di un fatto ma lo creano. La realt virtuale non solo supera,ma scaccia la realt effettiva: allora vero, oggettivo ci che appare; lecito ci chetecnicamente possibile; encomiabile ci che suscita invidia.In fondo la strada versolidolatria resta sempre la stessa: unaffascinante strada di schiavit, le cui catene e la

    cui gabbia appaiono sempre pi dorate ma si rivelano sempre pi rigide. la stradadelloperare umano svincolato da unistanza superiore la dimensione del divino che sola capace di far emergere tutta la grandezza delluomo e di conferirgli unit epienezza. significativo che per la Bibbia non esistano gli atei, i senza-Dio: esistonoinvece gli idolatri ed esiste soprattutto la tentazione dellidolatria che colpisce tutti, ilcredente come chi credente non pu definirsi. Luomo abbandonato a s, luomo cheignora o disprezza limmagine di Dio che abita in se stesso e nel proprio simile, luomoche pretende di costruire la propria vita da se stesso non ateo, idolatra, schiavo diquelle emanazioni, di quelle forze oscure che penetrano nel cuore umano e nemettono in moto gli elementi deteriori.

    ACEDIA

    Atonia dellanima. Cos Evagrio Pontico, monaco vissuto nel IV secolo, definiscelakedia, quel male il cui nome praticamente intraducibile in una lingua moderna e cheindica la situazione dello spirito afflitto da un malessere le cui sfumature comprendonodisgusto della vita, noia, scoraggiamento, pigrizia, sonnolenza, malinconia, nausea,riluttanza, tristezza, demotivazione... Giovanni Cassiano (IV-V secolo) lha trasmesso

    allOccidente nella traslitterazione latina acedia e pi tardi Gregorio Magno lhaidentificato, nella sua lista dei vizi capitali, con la tristitia. Malessere che secondoEvagrio affligge particolarmente gli anacoreti (coloro che fanno una vita monasticapiuttosto solitaria e ritirata), in realt lacedia soltanto stata osservata e riconosciutacon acutezza e lucidit negli ambienti monastici, ma un fenomeno comune a tuttalumanit, anzi il prezzo dellessere uomo, afferma padre Gabriel Bunge, eminentestudioso di Evagrio.Lacedia si manifesta come uninstabilit che rende incapaci di unrapporto equilibrato con lo spazio e con il tempo: non si sopporta di rimanere insolitudine nella propria cella, non si riesce ad abitare il proprio corpo, ad habitaresecum, e si percepisce con pesantezza immane il trascorrere del tempo. Scrive Evagrio:Lacedia fa s che il sole appaia lento a muoversi o addirittura immobile, e che il

    giorno sembri di cinquanta ore. una sorta di asfissia o soffocamento dellanima checondanna luomo allinfelicit portandolo a disdegnare ci che ha, la situazione (dilavoro, affettiva, sociale) in cui vive e a sognarne una irraggiungibile, lo rende preda dipaure svariate (per esempio, di malattie pi immaginarie che reali), inefficiente sullavoro, intollerante e incapace di sopportazione verso gli altri (che diventano spesso ilbersaglio su cui scaricare frustrazione e aggressivit), impotente a governare i pensieriche si affollano nella propria anima e che lo gettano nello scoramento, in una taleinsoddisfazione di s che egli si interroga se non abbia sbagliato tutto nella propria vita.Essa pu divenire un vero e proprio stato depressivo (il Catechismo della ChiesaCattolica la definisce una forma di depressione dovuta al rilassamento dellascesi, a unvenir meno della vigilanza, alla mancata custodia del cuore) in cui luomo tentato di

    azzerare la propria vita passata (rompere il vincolo matrimoniale o abbandonare i voti

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    religiosi o comunque cambiare) o addirittura di darsi la morte. Lacedia, scrive Isaccoil Siro, fa gustare linferno.Nelle antiche descrizioni monastiche essa il demonemeridiano che colpisce soprattutto a met del giorno, durante le ore pi calde e pesantidella giornata (fra le dieci e le quattordici) prima dellunico pasto che i monaci

    prendevano intorno alle quindici. Troviamo poi descrizioni analoghe, almenoparzialmente, in Pascal e Baudelaire, Kierkegaard e Guardini, Bergson e Janklvitch;inoltre sono stati rilevati i contatti con forme depressive descritte dalla psicologia. interessante notare che si vista unanalogia fra questo male che di preferenza colpisceluomo nel mezzo del giorno, con la crisi del superamento della met della vita, che siabbatte sulluomo appunto fra i trentacinque e i quarantanni. Sembra che vi sia unacausa biologica alla base di quel senso di apprensione, di quei tormentati interrogativi,della mancanza di entusiasmo in uomini e donne poco dopo la trentina. forse questolo stato danimo che i dotti medievali chiamavano accidia, il peccato capitale di pigriziadello spirito? lo credo di s (Richard Church). Le svariate forme di reazione di fronte aquesta crisi sono del resto molto simili a quelle di chi preda dellaccidia: diniego,

    rimozione, svalutazione di s, arroccamento al potere, rigidismo legalista, depressione,eccessi nel bere e nel mangiare, intontimento...Ma come combattere lacedia? Anzituttoaccettando i limiti costitutivi dellesistenza umana: il passare del tempo e la mortalit (iPadri monastici esortavano alla memoria mortis), lassunzione della responsabilit dellapropria vita passata e delle incapacit e imperfezioni che ci abitano, la perseveranza, lapazienza (che larte di vivere lincompiuto), una vita di relazioni, limpegnare il corpoin attivit lavorative, il farsi aiutare (per i Padri monastici, da un padre spirituale), lapreghiera. Evagrio in particolare d un consiglio: Fissati una misura in ogni opera.Ovvero, esercitati, dandoti una regola, a divenire padrone di te stesso.

    DESERTO

    Lesperienza del deserto stata per me dominante. Tra cielo e sabbia, fra il Tutto e ilNulla, la domanda diventa bruciante. Come il roveto ardente, essa brucia e non siconsuma. Brucia per se stessa, nel vuoto. Lesperienza del deserto anche lascolto,lestremo ascolto (Edmond Jabs). Forse questo legame con lascolto che fa s chenella Bibbia il deserto, presenza sempre pregna di significato spirituale, sia cosimportante. Certo, esso anzitutto un luogo, e un luogo che nellebraico biblico hadiversi nomi: caravah, luogo arido e incolto, che designa la zona che si estende dal Mar

    Morto fino al Golfo di Aqaba; chorbah, designazione pi psicologica che geograficache indica il luogo desolato, devastato, abitato da rovine dimenticate;jeshimon, luogoselvaggio e di solitudine, senza piste, senzacqua; ma soprattutto midbar, luogodisabitato, landa inospitale abitata da animali selvaggi, dove non crescono se nonarbusti, rovi e cardi. Il deserto biblico non quasi mai il deserto di sabbia, ma fruttodellerosione del vento, dellazione dellacqua dovuta alle piogge rare ma violente, ed caratterizzato da brusche escursioni termiche fra il giorno e la notte (cfr. Salmo 121,6).Refrattario alla presenza umana e ostile alla vita (Numeri 20,5), il deserto, questo luogodi morte, rappresenta nella Bibbia la necessaria pedagogia del credente, liniziazioneattraverso cui la massa di schiavi usciti dallEgitto diviene il popolo di Dio. insostanza luogo di rinascita. E, del resto, la nascita del mondo come cosmo ordinato nonavviene forse a partire dal caos informe del deserto degli inizi? La terra segnata da

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    mancanza e negativit (Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespugliocampestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perch il Signore Dionon aveva fatto piovere sulla terra: Genesi 2,4b-5) diviene il giardino apprestato perluomo nellopera creazionale (Genesi 2,8-15). E la nuova creazione, lera messianica,

    non sar forse un far fiorire il deserto? Si rallegreranno il deserto e la terra arida,esulter e fiorir la steppa, fiorir come fiore di narciso (Isaia 35,1-2). Ma tra primacreazione e nuova creazione si stende lopera di creatio continua, lintervento salvificodi Dio nella storia. Ed in quella storia che il deserto appare come luogo delle grandirivelazioni di Dio: nel midbar (deserto), dice il Talmud, Dio si fa sentire comemedabber (colui che parla). nel deserto che Mos vede il roveto ardente e riceve larivelazione del Nome (Esodo 3,1-14); nel deserto che Dio dona la Legge al suopopolo, lo incontra e si lega a lui in alleanza (Esodo 19-24); nel deserto che colma didoni il suo popolo (la manna, le quaglie, lacqua dalla roccia); nel deserto che si fapresente a Elia nella voce di un silenzio sottile (1Re 19,12); nel deserto che attirernuovamente a s la sua sposa-Israele dopo il tradimento di questultima (Osea 2,16) per

    rinnovare lalleanza nuziale...Ecco dunque abbozzata, tra negativit e positivit, lafondamentale bipolarit semantica del deserto nella Bibbia che abbraccia i tre grandiambiti simbolici a cui il deserto stesso rinvia: lo spazio, il tempo, il cammino. Spazioostile da attraversare per giungere alla terra promessa; tempo lungo ma a termine, conuna fine, tempo intermedio di unattesa, di una speranza; cammino faticoso, duro, traunuscita da un grembo di schiavit e lingresso in una terra accogliente, che stilla lattee miele: ecco il deserto dellesodo! La spazialit arida, monotona, fatta silenzio, deldeserto si riverbera nel paesaggio interiore del credente come prova, come tentazione.Valeva la pena lesodo? Non era meglio rimanere in Egitto? Che salvezza mai quellain cui si patiscono la fame e la sete, in cui ogni giorno porta in dote agli umani lavisione del medesimo orizzonte? Non facile accettare che il deserto sia parteintegrante della salvezza! Nel deserto allora Israele tenta Dio, e il luogo desertico simostra essere un terribile vaglio, un rivelatore di ci che abita il cuore umano.Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questiquarantanni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevinel cuore (Deuteronomio 8,2). Il deserto uneducazione alla conoscenza di s, e forseil viaggio intrapreso dal padre dei credenti, Abramo, in risposta allinvito di DioVaverso te stesso! (Genesi 1 2,1), coglie il senso spirituale del viaggio nel deserto. Ildeserto il luogo delle ribellioni a Dio, delle mormorazioni, delle contestazioni (Esodo14,11-12; 15,24; 16,2-3.20.27; 17,2-3.7; Numeri 12,1-2; 14,2-4; 16,3-4; 20,2-5; 21,4-5).Anche Ges vivr il deserto come noviziato essenziale al suo ministero: il faccia a

    faccia con il potere dellillusione satanica e con il fascino della tentazione sveler inGes un cuore attaccato alla nuda Parola di Dio (Matteo 4,1-11). Fortificato dalla lottanel deserto, Ges pu intraprendere il suo ministero pubblico!Il deserto appare anchecome tempo intermedio: non ci si installa nel deserto, lo si traversa. Quaranta anni,quaranta giorni: il tempo del deserto per tutto Israele, ma anche per Mos, per Elia,per Ges. Tempo che pu essere vissuto solo imparando la pazienza, lattesa, laperseveranza, accettando il caro prezzo della speranza. E, forse, limmensit del tempodel deserto gi esperienza e pregustazione di eternit! Ma il deserto anche cammino:nel deserto occorre avanzare, non consentito disertare, ma la tentazione laregressione, la paura che spinge a tornare indietro, a preferire la sicurezza dellaschiavit egiziana al rischio dellavventura della libert. Una libert che non situata al

    termine del cammino, ma che si vive nel cammino. Per per compiere questo cammino

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    occorre essere leggeri, con pochi bagagli: il deserto insegna lessenzialit, apprendistato di sottrazione e di spoliazione. Il deserto magistero difede: esso aguzzalo sguardo interiore e fa delluomo un vigilante, un uomo dallocchio penetrante.Luomo del deserto pu cos riconoscere la presenza di Dio e denunciare lidolatria.

    Giovanni Battista, uomo del deserto per eccellenza, mostra che in lui tutto essenziale:egli voce che grida chiedendo conversione, mano che indica il Messia, occhio chescruta e discerne il peccato, corpo scolpito dal deserto, esistenza che si fa camminoper il Signore (nel deserto preparate la via del Signore!, Isaia 40,3). TI suo cibo parco, il suo abito lo dichiara profeta, egli stesso diminuisce di fronte a colui che vienedopo di lui: ha imparato fino in fondo leconomia di diminuzione del deserto. Ma havissuto anche il deserto come luogo di incontro, di amicizia, di amore: egli lamicodello sposo che sta accanto allo sposo e gioisce quando ne sente la voce.S, a questaambivalenza che ci pone di fronte il deserto biblico, e cos esso diviene cifradellambivalenza della vita umana, dellesperienza quotidiana del credente, della stessacontraddittoria esperienza di Dio. Forse ha ragione Henri le Saux quando scrive che

    Dio non nel deserto. il deserto che il mistero stesso di Dio.

    ATTESA DEL SIGNORE

    Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nellattesa dellatua venuta. Al cuore della celebrazione eucaristica, queste parole ricordano al cristianoun elemento costitutivo della sua identit di fede: lattesa della venuta del Signore. Ilcristiano, ha scritto il cardinale Newman, colui che attende il Cristo. Certo, neitempi del tutto e subito, dellefficacia e della produttivit, in cui anche i cristianiappaiono spesso segnati da attivismo, parlare di attesa pu rischiare limpopolarit elincomprensione totale: a molti infatti attesa appare sinonimo di passivit e inerzia,di evasione e de- responsabilizzazione. In realt il cristiano, che non si lascia definiresemplicemente da ci che fa, ma dalla relazione con il Cristo, sa che il Cristo che egliama e in cui pone la fiducia il Cristo che venuto, che viene nelloggi e che verrnella gloria. Davanti a s il cristiano non ha dunque il nulla o il vuoto, ma una speranzacerta, un futuro orientato dalla promessa del Signore: S, verr presto (Apocalisse22,20). In realt attendere, a partire dalla sua etimologia latina (ad-tendere), indicauna tensione verso, unattenzione rivolta a, un movimento centrifugo dello spirito

    in direzione di un altro, di un futuro. Potremmo dire che lattesa unazione, perunazione non chiusa nelloggi, ma che opera sul futuro. La Seconda lettera di Pietroesprime questa dimensione affermando che i cristiani affrettano, con la loro attesa, lavenuta del giorno del Signore (2 Pietro 3,12).La particolare visione cristiana del tempo,che fa del credente un uomo che ha speranza (cfr. 1Tessalonicesi 4,13), che attendeil Cristo (Filippesi 3,20; Ebrei 9,28), che definito non solo dal suo passato ma anchedal futuro e da ci che il Cristo in tale futuro operer, dovrebbe diventare una preziosatestimonianza (o, forse, controtestimonianza) per il mondo attuale dominato da unaconcezione del tempo come tempo vuoto che evolve in un continuum che esclude ogniattesa essenziale e ingenera quel fatalismo e quella incapacit di attesa tipici delluomomoderno. Venir meno a questa dimensione significa pertanto non solo sminuire la

    portata integrale della fede, ma anche privare il mondo di una testimonianza di speranza

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    che esso ha diritto di ricevere dai cristiani (cfr. 1Pietro 3,15). Luomo anche attesa: sequesta dimensione antropologica essenziale, che afferma che luomo ancheincompiutezza, viene misconosciuta, allora il pericolo dellidolatria alle porte, elidolatria sempre auto sufficienza del presente. La venuta del Signore impone invece

    al cristiano attesa di ci che sta per venire epazienza verso ci che non sa quando verr.E la pazienza larte di vivere lincompiuto, di vivere la parzialit e la frammentazionedel presente senza disperare. Essa non soltanto la capacit di sostenere il tempo, dirimanere nel tempo, di perseverare, ma anche di sostenere gli altri, di sopportarli, ciodi assumerli con i loro limiti e portarli. Ma lattesa del Signore, lardente desideriodella sua venuta, che pu creare uomini e donne capaci di pazienza nei confronti deltempo e degli altri.E qui vediamo come lattesa paziente sia segno di forza e di solidit,di stabilit e di convinzione, non di debolezza. E soprattutto lattitudine che rivela unprofondo amore, per il Signore e per gli altri uomini: Lamore pazienta (1Corinti13,4). Mossa dallamore, lattesa diviene desiderio, desiderio dellincontro con ilSignore (2 Corinti 5,2; Filippesi 1,23). Anzi, lattesa del Signore porta il cristiano a

    disciplinare il proprio desiderio, a imparare a desiderare, a frapporre una distanza tra se gli oggetti desiderati, a passare da un atteggiamento di consumo a uno di condivisionee di comunione, a un atteggiamento eucaristico. Lattesa del Signore genera nelcredente anzitutto la gratitudine, il rendimento di grazie e la dilatazione del cuore che siunisce e d voce allattesa della creazione tutta: La creazione attende con impazienzala rivelazione dei figli di Dio [...] e nutre la speranza di essere liberata dalla schiavitdella corruzione (Romani 8,19-21). la creazione tutta che attende cieli e terra nuovi,che attende trasfigurazione, che attende il Regno. Lattesa della venuta del Signore daparte dei cristiani diviene cos invocazione di salvezza universale, espressione di unafede cosmica che consoffre con ogni uomo e con ogni creatura. Ma se queste sono levalenze dellattesa del Signore, se questa una precisa responsabilit dei cristiani,dobbiamo lasciarci interpellare dallaccorato e provocante appello lanciato a suo tempoda Teilhard de Chardin: Cristiani, incaricati, dopo Israele, di custodire sempre viva lafiamma bruciante del desiderio, che cosa ne abbiamo fatto dellattesa?.

    RICERCA DI DIO

    Dio vuole essere cercato, e come potrebbe non voler essere trovato? Il nipote di R.

    Baruch, il quale era a sua volta nipote del Baal Shem, giocava una volta a rimpiattinocon un altro ragazzo. Egli si nascose e stette lungo tempo l ad attendere, credendo cheil compagno lo cercasse e non riuscisse a trovarlo. Ma dopo che ebbe aspettato a lungo,usc fuori, e non vedendo pi quellaltro, cap che costui non laveva mai cercato. Ecorse nella camera del nonno, piangendo e gridando contro il cattivo compagno. Con lelacrime agli occhi R. Baruch disse: Lo stesso dice anche Dio. Dio vuole esserecercato, dice questa storiella chassidica. Oggi, altre storie e altre lacrime, sempreebraiche, pongono in modo differente la questione della ricerca di Dio: sono le storie ele lacrime sgorgate da quellabisso di male rappresentato da Auschwitz. Scrive ElieWiesel: Dio e Auschwitz non vanno insieme. Non accetto e reclamo, esigo unarisposta... Dio nel male? In quale male? E Dio nella sofferenza? In quale sofferenza? lonon so. Non ho risposta. Cerco sempre. E accanto ad Auschwitz, prima e dopo, gli altri

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    genocidi, gli altri sterminii, le sofferenze degli innocenti, di milioni di uomini ovunquenel mondo, pongono in modo tragicamente rinnovato la domanda dov Dio?. Nelconflitto con il male che si gioca nella storia Dio sembra soccombere, e nettamente! Etutto questo non pu non dare un orientamento particolare al modo di interrogarsi oggi

    sulla ricerca di Dio, su quel quaerere Deum che sempre stato uno dei temi pisignificativi e importanti della spiritualit cristiana. Anzi, tutto questo arriva a porre inradicale questione i termini dellargomento: quale ricerca? e di quale Dio?La Scritturaattesta lindiscutibile priorit della ricerca che Dio fa delluomo, afferma che luomo e ilsuo mondo sono la sfera di interesse di Dio, che la rivelazione di Dio precede e fonda laconoscenza che luomo pu avere di Lui. Ovviamente non si tratta tanto di una prioritcronologica, perch il problema di Dio inscritto nelluomo stesso, nelle domande cheegli porta su di s e sul senso della propria vita e del mondo. Pertanto, domanda su Dioe domanda sulluomo sono naturalmente unite. Le grandi tradizioni religiose hannosempre affermato linscindibilit delle due questioni: non solo i tre monoteismi, maanche la religione grecoromana, la cui linfa stata assorbita dalle nostre radici di

    europei occidentali. Luomo che si recava al tempio di Apollo a Delfi per consultareloracolo si vedeva rimandato a se stesso dalliscrizione posta sul frontone del tempio:Conosci te stesso. Riproporre oggi questa tematica implica il rendersi conto delladrammaticit assunta da questa doppia domanda: alla figura del filosofo cinico Diogeneche in pieno giorno si aggira per le strade di Atene con una lanterna gridando: Cercoun uomo! , si sovrappone la figura del pazzo nietzschiano che, anchegli in pienogiorno e munito di lanterna, grida sulla pubblica piazza: Cerco Dio!, e rivela a chi loderide che Dio morto, stato assassinato dalluomo, e celebra il funesto eventoentrando in una chiesa e intonando un Requiem aeternam Deo. E risponde a chi lointerroga: Che altro sono ancora le chiese se non le tombe e i monumenti funebri diDio?. Ma, osservava giustamente M. Foucault, pi che la morte di Dio, ci cheannuncia il pensiero di Nietszche la morte del suo assassino, cio delluomo.Nellattuale clima culturale nichilista, di secolarizzazione della secolarizzazione,luomo contemporaneo non solo senza Dio, ma anche senza luomo (C. Geffr).Egli si muove smarrito nellassenza di certezze, respira un assurdo caratterizzato nontanto dal non-senso, quanto dallisolamento degli innumerevoli sensi, dallassenza di unsenso che li orienti, dalla mancanza del senso del senso, come ricordava Lvinas.Sintomatico di questo smarrimento di s tipico delluomo contemporaneo il tantoconclamato ritorno di Dio, visibile dietro ai fenomeni di ritorno del sacro, dietro alfiorire di stte, movimenti sincretistici, aggregazioni varie, dietro al diffondersi disensibilit e atteggiamenti spirituali in cui Dio immediatamente trovato, pi che

    cercato, in un divino impersonale, nella fusione con lOceano dellEssere, nellevasioneverso il taumaturgico, nella preghiera ridotta a ingiunzione a Dio affinch soddisfi ilbisogno umano. Tutto questo ci dice che oggi ricerca di Dio devessere anche ricerca eapprofondimento dellumano, ricerca di ci che veramente umano, capacit diridestare lumanit l dove assopita. li Dio rivelato dalle Scritture ebraico-cristianenon ha infatti altri luoghi in cui essere cercato se non la storia e la carne umana,lumanit. Storia e carne umana che sono anche i due ambiti abitati da Dionellincarnazione per andare incontro alluomo, alla sua ricerca, e consentire cosalluomo di trovarlo.E non dimentichiamo che Dio non lo si possiede nemmeno quandolo si conosce: Si comprehendis, non est Deus scrive Agostino; cio, se pensi diaverlo compreso, non pi Dio. La categoria della ricerca salvaguarda la distanza fra

    cercatore e Cercato: distanza essenziale perch il Cercato non oggetto, ma anchegli

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    soggetto, anzi il vero soggetto, in quanto colui che per primo ha cercato, chiamato,amato, suscitando cos, come risposta alla sua iniziative, la ricerca e il desideriodelluomo. Latteggiamento di ricerca implica latteggiamento fondamentaledellumilt, grazie alla quale soltanto pu fondarsi il rapporto con laltro. Cercare Dio

    significa deporre le presunzioni di autosufficienza, smettere di pensare di essere idetentori della verit, cessare di considerarsi superiori agli altri. Ricerca di Dio, allora,significa anche cercarlo nellaltro che abbiamo di fronte, confessarlo come non estraneoallaltro.

    PAZIENZA

    La Scrittura attesta che la pazienza anzitutto una prerogativa divina: secondo Esodo34,6 Dio makrothymos, longanime, magnanimo, paziente (in ebraicolespressione equivalente suona letteralmente: lento allira). Il Dio legato in alleanzaal popolo dalla dura cervice non pu che essere costitutivamente paziente. Questapazienza stata manifestata compiutamente nellinvio del Figlio Ges Cristo e nella suamorte per i peccatori, ed ancora ci che regge il tempo presente: Il Signore nonritarda nelladempire la promessa [...], ma usa pazienza (makrothymei) verso di voi, nonvolendo che alcuno perisca, ma che tutti giungano a conversione (2 Pietro 3,9). Lapazienza del Dio biblico si esprime al meglio nel fatto che Egli il Dio che parla:parlando, dona il tempo alluomo per una risposta, e quindi attende che questa arrivi allaconversione. La pazienza di Dio non va confusa con limpassibilit di Dio, anzi, essa

    il lungo respiro della sua passione (E. Jngel), la lungimiranza del suo amore, unamore che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (Ezechiele33,11), ed una forza operante anche quando il movimento di conversione non ancoracompiuto. La pazienza di Dio trova cos la sua espressione pi pregnante nella passionee croce di Cristo: l la dissimmetria fra il Dio che pazienta e lumanit peccatrice siamplia a dismisura nella passione di amore e di sofferenza di Dio nel Figlio Ges Cristocrocifisso. Da allora la pazienza, come virt cristiana, un dono dello Spirito (Galati5,22) elargito dal Crocifisso-Risorto, e si configura come partecipazione alle energieche provengono dallevento pasquale.Per il cristiano la pazienza dunque coestensivaalla fede: ed sia perseveranza, cio fede che dura nel tempo, che makrothymia,capacit di guardare e sentire in grande, cio arte di accogliere e vivere

    lincompiutezza. Questo secondo aspetto dice come la pazienza sia necessariamenteumile: essa porta luomo a riconoscere la propria personale incompiutezza, e diventapazienza verso se stessi; essa riconosce lincompiutezza e la fragilit delle relazioni congli altri, strutturandosi cos come pazienza nei confronti degli altri; confessalincompiutezza del disegno divino di salvezza, configurandosi come speranza,invocazione e attesa di salvezza. La pazienza la virt di una chiesa che attende ilSignore, che vive responsabilmente il non ancora senza anticipare la fine e senza ergerese stessa a fine del disegno di Dio. Essa rigetta limpazienza della mistica comedellideologia e percorre la via faticosa dellascolto, dellobbedienza e dellattesa neiconfronti degli altri e di Dio per costruire la comunione possibile, storica e limitata, congli altri e con Dio. La pazienza attenzione al tempo dellaltro, nella piena coscienzache il tempo lo si vive al plurale, con gli altri, facendone un evento di relazione, di

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    incontro, di amore. Per questo, forse, oggi, nellepoca stregata dal fascino del temposenza vincoli in cui la libert viene spesso immaginata come lassenza di legami, divincoli, come possibilit di operare dei ricominciamenti assoluti dalloggi al domani,che riportino a un incontaminato punto di partenza, azzerando o rimuovendo tutto ci in

    cui prima si viveva, e anzitutto le relazioni e gli impegni assunti pu apparire cosfuori luogo, e al tempo stesso cos urgente e necessario, il discorso sulla pazienza: s,per il cristiano, essa centrale quanto lagape, quanto il Cristo stesso. TI pazientare,cio lassumere come determinante nella propria esistenza il tempo dellaltro (di Dio edellaltro uomo), infatti opera dellamore. Lamore pazienta (makrothymei), dicePaolo (1 Corinti 13,4). E la misura e il criterio della pazienza del credente non possonorisiedere, in ultima istanza, che nella pazienza di Cristo(2 Tessalonicesi 3,5:hypomon tou Christou).Ecco perch spesso la pazienza stata definita dai Padri dellachiesa come la summa virtus (cfr. Tertulliano,De patientia 1,7): essa essenziale allafede, alla speranza e alla carit. Ha scritto Cipriano di Cartagine: Il fatto di esserecristiani opera della fede e della speranza, ma perch la fede e la speranza possano

    giungere a produrre frutti, abbisognano della pazienza (Cipriano,De bono patientiae13). Innestata nella fede in Cristo, la pazienza diviene forza nei confronti di se stessi(Tommaso dAquino), capacit di non disperare, di non lasciarsi abbattere nelletribolazioni e nelle difficolt, diviene perseveranza, capacit di rimanere e durare neltempo senza snaturare la propria verit, e diviene anche capacit di sup-portare gli altri,di sostenere gli altri e la loro storia. Nulla di eroico in questa operazione spirituale, masolo la fede di essere a propria volta sostenuti dalle braccia del Cristo stese sulla croce.In questa difficile opera il credente sorretto da una promessa: Chi persevera fino allafine sar salvato (Matteo 10,22; 24, 13). Promessa che non va intesa semplicementecome un rimanere saldi in una professione di fede, ma come un mettere in pratica lapazienza e lattiva sopportazione tanto nei rapporti intra-ecclesiali, intra-comunitari(sopportatevi a vicenda, Colossesi 3,13), quanto nei rapporti della comunit cristianaad extra, con tutti gli altri uomini (siate pazienti con tutti, 1Tessalonicesi 5,14). Lapazienza diviene cos una categoria che interpella la struttura interna della comunitcristiana e il suo assetto nel mondo, in mezzo agli altri uomini, ai non credenti. E mentreinterpella, inquieta!

    FEDELT NEL TEMPO

    Ascoltate oggi la sua voce (Salmo 95,7): nella Bibbia lalleanza con il Signore chedefinisce il tempo di Israele, del popolo di Dio: un tempo esistenziale misurato suldavar, la parola-evento del Signore, e sullobbedienza del popolo di Dio a questaparola. TI tempo nella Scrittura sempre legato alla storicit radicale delluomo, allasua struttura di creatura che nelloggi decide il proprio destino tra vita e morte, trabenedizione e maledizione. Per questo la storia orientata a un tlos fine e meta svelato dagli interventi di Dio che si manifesta nei progressi e nelle regressionidellumanit, ed storia di salvezza perch Dio chiama continuamente luomo acamminare verso la luce, verso una meta che il Regno, e gli fornisce i mezzi per farlonellattesa dello shalom, dono di Dio e coronamento della fedelt degli uomini. questaconcezione del tempo che verr prolungata nel Nuovo Testamento: venuta la pienezza

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    del tempo (Galati 4,4), Dio manda suo Figlio, nato da donna, e la sua vita, la suapassione-morte-resurrezione appaiono eventi storici, unici, collocati in un tempopreciso, e inaugurano gli ultimi tempi, quelli in cui noi viviamo nellattesa della suagloriosa venuta, attesa del Regno e del rinnovamento del cosmo intero. Con la prima

    venuta di Ges nella carne ha inizio un kairos, un tempo propizio che qualifica tutto ilresto del tempo. Ges, inaugurando il suo ministero, annuncia che il tempo compiuto(Marco 1,15), che lora della piena realizzazione iniziata, che occorre convertirsi ecredere allEvangelo (Marco 1,15; Matteo 4,17); di conseguenza occorre utilizzare iltempo: il tempo di grazia realt in Ges Cristo! Passione, morte e resurrezione di Gesnon sono un semplice evento del passato: sono la realt del presente sicch loggiconcreto immerso nella luce della salvezza. Questo il tempo favorevole, questo ilgiorno della salvezza (cfr. 2 Corinti 6,2)!Il primo atteggiamento del cristiano di fronte altempo allora quello di cogliere loggi di Dio nel proprio oggi, facendo obbedienza allaParola che oggi risuona. Il nostro rapporto con il tempo, con Chronos tiranno che divorai suoi figli, viene cos trasformato per assumere dei connotati precisi: si tratta di saper

    giudicare il tempo (cfr. Luca 12,56), di discernere i segni dei tempi (Matteo 16,3) pergiungere a cogliere il tempo della visita di Dio (Luca 19,44). Il credente sa che i suoitempi sono nelle mani di Dio: Ho detto: Tu il mio Dio; i miei tempi nella tua mano(Salmo 3I,I5B-I6A). latteggiamento fondamentale: i nostri giorni infatti non ciappartengono, non sono di nostra propriet. I tempi sono di Dio e per questo nei Salmilorante chiede a Dio: Fammi conoscere, Signore, la mia fine, qual la misura dei mieigiorni (Salmo 39,5) e invoca: Insegnaci a contare i nostri giorni, e i nostri cuoridiscerneranno la sapienza (Salmo 90,12). La sapienza del credente consiste in questosaper contare i propri giorni, saperli leggere come tempo favorevole, come oggi di Dioche irrompe nel proprio oggi.Il cristiano deve vegliare e pregare in ogni tempo (Luca21,36), impegnato in una lotta antidolatrica in cui il tempo alienato lidolo, il tirannoche cerca di dominare e rendere schiavo luomo. Per Paolo il cristiano deve cercare diusare il tempo a disposizione per operare il bene (cfr. Galati 6,10), deve approfittare deltempo e, soprattutto, quale uomo sapiente, deve salvare, redimere, liberare, riscattare iltempo (cfr. Efesini 5,16; Colossesi 4,5).Tutto questo perch il tempo del cristiano tempo di lotta, di prova, di sofferenza. Anche dopo la vittoria di Cristo, dopo la suaresurrezione e la trasmissione delle energie del Risorto al cristiano, resta ancoraoperante linflusso del dio di questo mondo (2 Corinti 4,4), sicch il tempo delcristiano permane tempo di esilio, di pellegrinaggio (cfr. 1Pietro 1,17), in attesa dellarealt escatologica in cui Dio sar tutto in tutti (cfr. 1Corinti 15,28). Il cristiano infatti sa e non ci si stancher mai di ripeterlo in unepoca che non ha pi il coraggio di parlare

    n di perseveranza n tanto meno di eternit, in unepoca appiattita sullimmediato elattualit il cristiano sa che il tempo aperto alleternit, alla vita eterna, a un temporiempito solo da Dio: questa la meta di tutti i tempi, in cui Ges Cristo lo stessoieri, oggi e sempre (Ebrei 13,8; cfr. Apocalisse 1,17). Il tlos delle nostre vite la vitaeterna e quindi i nostri giorni sono attesa di questo incontro con il Dio che viene.Sequesta la dimensione autentica del tempo del cristiano, allora capiamo in profondit laportata di queste affermazioni di Dietrich Bonhoeffer: La perdita della memoriamorale non forse il motivo dello sfaldarsi di tutti i vincoli, dellamore, del matrimonio,dellamicizia, della fedelt? Niente resta, niente si radica. Tutto a breve termine, tuttoha breve respiro. Ma beni come la giustizia, la verit, la bellezza e in generale tutte legrandi realizzazioni richiedono tempo, stabilit, memoria, altrimenti degenerano. Chi

    non disposto a portare la responsabilit di un passato e a dare forma a un futuro, costui

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    uno smemorato, e io non so come si possa colpire, affrontare, far riflettere unapersona simile.Scritte pi di cinquantanni fa, queste parole sono ancora molto attuali epongono il problema della fedelt e della perseveranza: realt oggi rare, parole che nonsappiamo pi declinare, dimensioni a volte sentite perfino come sospette o sorpassate e

    di cui si pensa solo qualche nostalgico dei valori di una volta potrebbe auspicareun ritorno. Ma se la fedelt virt essenziale a ogni relazione interpersonale, laperseveranza la virt specifica del tempo: esse pertanto ci interpellano sulla relazionecon laltro. Non solo, i valori che tutti proclamiamo grandi e assoluti esistono eprendono forma solo grazie ad esse: che cos la giustizia senza la fedelt di uominigiusti? Che cos la libert senza la perseveranza di uomini liberi? Non esiste valore nvirt senza perseveranza e fedelt! Cos come, senza fedelt, non esiste storia comune,fatta insieme. Oggi, nel tempo frantumato e senza vincoli, queste realt si configuranocome una sfida per luomo e, in particolare, per il cristiano. Questultimo, infatti, sabene che il suo Dio il Dio fedele, che ha manifestato la sua fedelt nel Figlio GesCristo, lAmen, il Testimone fedele e verace (Apocalisse 3,14) in cui tutte le

    promesse di Dio sono diventate s (cfr. 2 Corinti 1,20).Queste dimensioni sono dunqueattinenti al carattere storico, temporale, relazionale, incarnato della fede cristiana, e ladelineano come responsabilit storica. La fede esce dallastrattezza quando non si limitaa informare una stagione o unora della vita delluomo, ma plasma larco della suaintera esistenza, fino alla morte. In questa impresa il cristiano sa che la sua fedelt sostenuta dalla fedelt di Dio allalleanza, che nella storia di salvezza si configuratacome fedelt allinfedele, come perdono, come assunzione della situazione di peccato,di miseria e di morte delluomo nellincarnazione e nellevento pasquale. La fedelt diDio verso luomo cio diventata responsabilit illimitata nei confronti delluomostesso. E questo indica che le dimensioni della fedelt e della perseveranza pongonoalluomo la questione ancor pi radicale della responsabilit. Lirresponsabile, coscome il narcisista, non sar mai fedele. Anche perch la fedelt sempre fedelt a untu, a una persona amata o a una causa amata come un tu: non ogni fedelt pertanto autentica! Anche il rancore, a suo modo, una forma di fedelt, ma nellospazio dellodio. La fedelt di cui parliamo avviene nellamore, si accompagna allagratitudine, comporta la capacit di resistere nelle contraddizioni.Janklvitchdefinisce la fedelt come la volont di non cedere allinclinazione apostatica. Essa pertanto unattiva lotta la cui arena il cuore umano. nel cuore che si gioca la fedelt!Questo significa che essa vivibile solo a misura della propria libert interiore, dellapropria maturit umana e del proprio amore! Le infedelt, gli abbandoni, le rotture diimpegni assunti e di relazioni a cui ci si era impegnati, situazioni tutte che spesso

    incontriamo nel nostro quotidiano, rientrano frequentemente in questa griglia. E diconocome sia limitante, allinterno della chiesa, ridurre il problema della fedelt e dellaperseveranza, e quindi del loro contrario, alla sola dimensione giuridica, di una legge daosservare. In gioco vi sempre il mistero di una persona, non semplicemente un gestodi rottura da sanzionare. Il gesto di rottura va assunto come rivelatore della situazionedel cuore, cio della persona. Anzi, in profondit, la dimensione dellinfedelt non estranea alla nostra stessa fedelt, cos come lincredulit traversa il cuore del credentestesso. Che altro la Bibbia se non la testimonianza della tenacissima e ostinata fedeltdi Israele a voler narrare la storia della propria infedelt di fronte alla fedelt di Dio?Ma come riconoscere la propria fedelt se non a partire dalla fede in Colui che fedele?In questo sens