L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

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L’Esagono

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L’ Esagono

GIORNALISTA - PUBBLICISTA

Benedetta NapolitanoTu

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serv

ati

con il patrocinio del

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Benedetta Napolitano

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“ Sii sempre lealee gentile

con il prossimo tuo:ogni persona che incontri

sta combattendo,come te stesso,

una meravigliosama dura battaglia! ”

(Benedetta Napolitano)

A mio figlio Antonioe alla memoria dei miei amati nonni.

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L’Esagono

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Presentazione

“L’Esagono” è la prima testimonianza autentica di come i sei Comuni del Baianese siano statida sempre una sola etnia malgrado i virtuali limiti territoriali che gli uomini hanno loro imposto.

Solo campanilismi sterili e mentalità retrograde hanno tentato di dividere questo nostropopolo e tutt’ora ne rallentano uno sviluppo più moderno.

L’approfondimento della storia di ognuno dei sei comuni evidenzia tutti questi caratteriunitari nell’ambito dell’area avellana anche se, per il Litto di Mugnano del Cardinale, permanequalche dubbio dovuto alla sua origine sannita per la particolare ubicazione montana.

Tale discorso unitario è inequivocabile e si evidenzia specialmente nei caratteri folkloristici,economici (agricolo, silvo-pastorali) e nelle attività commerciali. Per la prima volta abbiamola testimonianza vera di come sei popoli parlino una sola lingua, evidenziano una unicaorigine, hanno una sola cronaca negli stessi momenti storici.

Benedetta Napolitano con una ricerca semplice, evidenziando per la prima voltale abitudini più comuni, ha realizzato un pregevolissimo lavoro che deriva da unserio impegno, diligente e certosino.

Altra qualità dell’opera è la facilità di fusione tra avvenimenti importanti della nostra storia edepisodi comuni della nostra vita quotidiana, che vengono presentati con semplicità esemplare ericchezza di particolari come tutto ciò che appartiene al nostro patrimonio culturale.

Quante attività, mestieri, personaggi superati dal correre del tempo e dalla trasformazionedi una società moderna che ci erano sfuggiti ora ritornano nella loro integrità, nel loro essereperché la nostra memoria li aveva solo accantonati.

Dopo la lettura dell’opera un entusiasmo di operosità nuova e di nuovo impegno generosoinvade gli amanti della Storia del territorio per realizzare una nostra società migliore e piùvivibile: “La Città del Baianese” da sempre teorizzata.

Tale idea-progetto si concretizza per la prima volta e sembra a portata di mano, diventaun messaggio persuasivo per gli uomini forti e determinati della nostra area.

Storie talora già note, ricche di un insolito servizio fotografico, diventano un messaggionuovo specialmente per i più giovani e per ogni tipo di operatore pubblico.

Riferimenti concreti di questo progetto nell’ultimo arco di tempo risultano il Piano socio-sanitario previsto dalla legge 328/2000 che vede Mugnano capofila; il P.I.T. (Piano IntegratoTerritoriale) per lo sviluppo degli interessi archeologici monumentali che vede Avella comecapofila; l’unione dei Comuni per una migliore efficienza e funzionalità dei servizi che vedeil Comune di Baiano Comune trainante.

Sono questi i fatti e le promesse concrete per una nuova realtà intercomunale della nostraarea e per collaudare la nuova classe dirigente ai tempi moderni. E l’impegno politico contali obbiettivi diventa più serio e responsabile.

Prof. Giovanni ColucciSindaco di Mugnano del Cardinale

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Benedetta Napolitano

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Introduzione

Finalità

Il presente libro si rivolge in particolar modo ai giovani: gli uomini di domani.Essi dovranno misurarsi con problematiche complicatissime ma piene di stimoli. Laglobalizzazione dell’economia, della politica e del terrorismo. La risoluzione deiproblemi ambientali e di quelli –etici e pratici- posti dall’avanzare delle biotecnologie.Dovranno saper cavalcare il progresso tecnologico per la ricerca di nuove fontienergetiche che rendano sostenibile -e compatibile con l’ambiente- l’indispensabileaumento di produttività, necessario per fronteggiare le emergenze e le necessità deipaesi meno sviluppati. Forse alcuni di loro andranno nello spazio. Altri dovrannocombattere con disoccupazione e disagi sociali.

In ogni caso, si troveranno a vivere in una civiltà dai mutamenti rapidi eimprevedibili. In tale frenetica realtà c’è il concreto rischio di perdersi, perciò èimportante –soprattutto per chi non avesse la fortuna di avere un credo filosofico,politico o religioso- di avere un punto di riferimento che possa fungere da àncora e alquale approdare per riprendere fiato.

La riscoperta delle proprie radici, dell’ambiente naturale, delle proprie tradizionipuò –forse- servire a rigenerare le forze. Questo mio lavoro –senza troppe pretese-vuole essere un piccolo, piccolissimo contributo mirante a far conoscere meglio lenostre radici. Mi auguro, perciò, che questa mia “fatica” possa essere utile –ancheper le informazioni storiche, naturalistiche e statistiche che racchiude- a un discretonumero di giovani e di studenti.

Esso, infine, vuole stimolare i politici di turno ad impegnarsi maggiormente per lacostituzione di una “Città del Baianese”, per poter affrontare in maniera più efficacei vari problemi che ci attanagliano.

Argomenti trattati

La prima parte del libro è costituita da un rapido excursus storico, dalla preistoria finoai giorni nostri, che vuole mettere in evidenza “storia e il destino comuni” dei paesi checostituiscono l’esagono. Indi, segue una dettagliata trattazione della storia dei singolicomuni e delle loro principali espressioni folkloristiche, il tutto corredato con interessantifoto, molte delle quali inedite.

E’ stata aggiunta, poi, una scheda dei dati salienti di ogni Comune e l’annotazionedelle sue principali risorse naturalistiche. Segue la sezione riguardante “l’ultimo secolo”,in cui vengono descritti i modi di vita del secolo scorso, alcune credenze ed usanze, iprincipali antichi mestieri ed alcuni dei giochi dell’epoca.

Per completezza di trattazione sono stati aggiunti alcuni cenni ambientali, con unarapida disamina della flora e della fauna presenti nel nostro territorio, ed alcuni grafici etabelle statistiche riguardanti gli aspetti demografici e produttivi del nostro mandamento.

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Metodologia

Raccogliendo l’esortazione di alcuni stimati amici, è stata aggiunta in appendice una“bibliografia essenziale”, il cui scopo è quello di indicare al lettore alcune pubblicazioni chehanno trattato argomenti di cui si è parlato nel presente libro: la loro citazione non deve,pertanto, essere intesa come un elenco di fonti da cui si sarebbero attinte le informazioni.

Da dove provengono, quindi, le notizie riportate nella presente pubblicazione? Larisposta è che, in questo libro come nel precedente (“La Città del Baianese”), all’approcciometodologico della cosiddetta “ricerca” (su vari testi e documenti, e loro citazione) è statopreferito -tutte le volte che era possibile- quello dell’inchiesta di tipo giornalistico-divulgativo.

Per quanto concerne -ad esempio- la parte archeologica, pur avendo preso visionedelle pregevoli pubblicazioni del Gruppo Archeologico Avellano e della CooperativaTerritorio-Ambiente di Avella, è stato dato maggiore peso alle osservazioni e ai sopralluoghieffettuati in prima persona nei principali siti archeologici, in compagnia di persone espertedel settore (tra le quali cito la mia figlioccia e amica Elisabetta Vitale, archeologa).

Per quanto riguarda la storiografia locale, ho attinto -prevalentemente- dall’imponentearchivio di mio zio, don Giovanni Picariello (curatore de “La Valle munianense” ed autoredi “Mugnano del Cardinale nel tempo”), oltre che -naturalmente- dagli scritti delceleberrimo Antonio Iamalio, che fu insigne professore presso il Liceo-GinnasioAlessandro Manzoni di San Pietro a Cesarano, a Mugnano del Cardinale (e dal quale tuttigli Storici locali -indistintamente- hanno attinto), cercando -comunque- di “leggere” glieventi locali tenendo conto del contesto storico generale.

Per la parte riguardante gli antichi mestieri e le tradizioni dell’area Baianese, ho preferitoeffettuare interviste dirette alle persone più anziane (a cominciare dai parenti più vicini),effettuando anche registrazioni digitali di varie testimonianze, “cunti” e filastrocche (chepotranno eventualmente essere utilizzate per la futura realizzazione di un cd-rom multimediale).

Per gli aspetti ambientali e naturalistici ho utilizzato il materiale fornitomi da miomarito (dottore in Scienze e Tecnologie Agrarie) e le preziose indicazioni del geologo eamico Stefano Lanziello, di Baiano.

Anche per i dati statistici e demografici, pur avendo preso visione di alcuni lavori(come il “Piano di Sviluppo socio-economico” della nostra Comunità Montana), hopreferito consultare direttamente le fonti primarie: annuari ISTAT, Informatore StatisticoCampano, Banca Dati Demografica Evolutiva, Camera di Commercio, Uffici Comunali edel Ce.S.A. (Centro di Sviluppo Agricolo) di Baiano.

Le foto, a parte quelle scattate personalmente durante i vari sopralluoghi (quella delloscheletro a pag.25 è stata addirittura scattata da mio figlio Antonio), provengono in granparte dalla fototeca de “La nuova Gazzetta”. Altre sono state fornite da alcuni amici e daivari fotografi della zona, alcune sono giunte in redazione via e-mail.

Ringraziamenti.

Oltre alle persone già citate, ringrazio per il materiale fornitomi: il carabiniere Renato Mone diAvella, l’armiere Stefano D’Apolito di Sperone, il prof. Felice Colucci (ex Sindaco di Baiano), iconiugi Rita Severo e dott. Vincenzo Marsella di Mugnano, la dott.ssa Caterina De Laurentis di

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Benedetta Napolitano

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L’autriceBenedetta Napolitano

Baiano, il prof. Carmine Montella di Baiano. E, poi, i fotografi: Pierluigi Postiglione di Baiano(che ci ha fornito anche alcune foto dell’archivio di don Pietro Foglia, di Baiano), AntonioMontuori di Sirignano, Vincenzo D’Apolito di Mugnano, Mimmo Liguori di Avella.

Ricordo la grande gentilezza e disponibilità di Armando Sodano di Sperone, del prof.Rino Conte di Avella, grafico e impaginatore de “Il Meridiano” e, insieme ad essi, di tutte lepersone che hanno “subìto” con pazienza , benevolenza e cortesia le mie “interviste”.

Esprimo, poi, la mia riconoscenza agli UTC dei sei Comuni del mandamento per ilmateriale fornitomi (cartine e dati statistici).

Ringrazio, inoltre, il collega giornalista Enzo Pecorelli, il prof. Carmine Strocchia ela dott.ssa Grazia D’Apolito per la cortese e preziosa lettura delle bozze.

Ringrazio, ancora, mio marito per il decisivo e paziente aiuto datomi nella fase diimpaginazione del testo, e l’Amministrazione Comunale del mio paese natìo che, ancorauna volta, ha ritenuto di ospitare la presentazione di una mia pubblicazione nel corsodell’importante manifestazione culturale “Arte Sotto le Stelle”.

Un doveroso e sentito ringraziamento va -infine- al Prof. Giovanni Colucci, Sindacodi Mugnano del Cardinale e illuminato uomo di cultura, per le belle parole usate nellapresentazione del presente libro.

A tutti i lettori auguro che gli argomenti trattati in questo libro possano, in qualchemodo, accrescere la loro conoscenza del nostro territorio, stimolando nei più giovani lavoglia di attivarsi socialmente e politicamente per realizzare, come simbolicamenterappresentato in copertina, un moderno Esagono poggiante sui valori storici e culturalidelle nostre tradizioni.

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Storia e destino comuni

La valle del Baianese, nonostante i “capricci” del complesso vulcanico Vesuvio-Monte Somma-Campi Flegrei, è stata abitata dall’uomo sin dalle epoche pre-protostoriche. Interessanti tracce di insediamenti umani preistorici sono staterinvenute nel territorio di Avella, prevalentemente lungo il corso del torrenteClanio. Le testimonianze più antiche risalgono, addirittura, al Paleolitico Superiore(VIII millennio a.C.), cioè a circa 10.000 anni fa. Esse si riferiscono, con ogniprobabilità, a gruppi tribali costituiti da pochi individui. Per la costituzione di unprimo vero agglomerato urbano, sempre ad Avella, bisognerà attendere il IX-VIIIsecolo a.C.. Notizie antecedenti la fondazione di Roma (753 a.C.) sono, comunque,incerte e avvolte dall’impenetrabile nebbia dei secoli.

Si ritiene che, già prima del V secolo a.C., questo territorio sia stato abitato daantiche popolazioni, come gli Osci, i Volsci, i Sanniti, le cui origini sonoantecedenti agli stessi Etruschi (questi ultimi, secondo accreditati Studiosi, sistanziarono più a Nord e non si sarebbero mai spinti sino ad Avella) e ai Romani,e che interagirono, talora bellicosamente, talora pacificamente, tra di loro e conle prime colonie Greche calcidiesi. Un presunto (non ufficiale) ritrovamento diuna pipa in bucchero di chiara foggia etrusca (cfr. il capitolo su Avella) farebbesupporre, in disaccordo con quanto sopra riportato, che l’antica Avella abbia avutoanche un’epoca etrusca. Ciò concorderebbe con quanto riferito da alcuni Studiosidel XVII secolo a proposito del rinvenimento, sull’altura del Morricone (aMugnano del Cardinale), di alcuni reperti (poi scomparsi) attribuibili allamisteriosa civiltà etrusca.

Poco plausibile, infine,appare una “ermetica” teoriapresentata in una recentepubblicazione, che confonde lacittà osca di Hyria (o Yria) conuna “mitica Avella fondata daEnea”. In realtà, a detta diimportanti Studiosi, è piùprobabile che Hyria si debbaidentificare con la vecchiaNola. La produzione di alcunemonete (didrachme, vedi fotoa pagina seguente) emesseattorno al IV secolo a.C., primada Hyria e Novla (=Nola, cittànuova) e poi solo da Novla,

Avella. Località FontanelleZona abitata fin dal Paleolitico

Paleolitico - Osci - Volsci - Sanniti- Etruschi - Hyria - Novla

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farebbe pensare che si trattassedella medesima città. Avella fualleata di Nola e, insieme ad essa,si oppose a quelle popolazionisannitiche che, dagli appennini,volevano espandersi verso la pianacampana.

Durante la seconda guerrasannitica, Nola ed Avella si opposeroai Romani . Avella, poi, nel 339 a.C.si pose sotto la protezione di Romacome Civitas foederata.

Il nostro territorio pur facendoparte della Campania felix (si vedala mappa al termine dell’introduzione),luogo di villeggiatura dei Romanidell’epoca classica, non potevacompetere, com’è ovvio, con le bellezze naturali ed ambientali della costa e delleisole campane, largamente preferitegli dagli antichi Romani. Ciononostante, comesi è ben compreso in queste poche righe, esso fu ugualmente importante dal puntodi vista militare, data la sua posizione strategica per il controllo delladirettrice di collegamento tra la pianura campana e la valle del Sabato.

Studiando gli eventi dei nostri luoghi ci si rende conto che, quantomeno nelperiodo più antico, la storia dei nostri paesi finisce per coincidere per grandi lineecon quella di Abella, l’antichissima città di Avella (al cui capitolo, per evitareinutili ripetizioni, si rimanda). Da questa vetusta città, più antica della stessaRoma, sono derivati, direttamente o indirettamente, gli altri cinque comuni.

Quadrelle e Sperone sarebbero coevi di Avella romana, della cui strutturamilitare facevano parte integrante.

Quadrelle (Oppidum quadrellarum), doveva essere la fabbrica di grossigiavellotti quadrangolari, detti appunto “quadrèlle”, che venivano incatramati,incendiati e lanciati da apposite catapulte contro gli elefanti degli invasori.Probabilmente, esse furono usate contro Pirro, re dell’Epiro (odierna Albania),nella battaglia di Benevento del 275 a.C., e contro il generale cartaginese Annibale,nella battaglia di Zama del 202 a.C..

Sperone, presumibilmente, costituiva l’avanguardia, la punta più avanzata delterritorio della città romana.

Baiano, Mugnano e Sirignano sarebbero sorti da antiche ville prediali, insiemead altri centri abitati poi scomparsi, come ad esempio Camillanum (che doveva

Monete coniate ad Hyria

Campania Felix - Romani - Ville prediali - Abella romana

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trovarsi fra Mugnano ed il bosco di Arciano). Ciò concorda con gli studi delFlechia, secondo cui nel napoletano tutti i nomi di località terminanti in –ano oin –iano, deriverebbero dal nome del proprietario di una qualche villa prediale.

Nell’82 a.C., durante la guerra sociale, Abella e i suoi casali furono conquistatida Silla, che li assegnò alla 47a Legione Romana (Tribù Galeria). Il dittatoreromano, dopo aver occupato Avella con le sue truppe, vi aveva stabilito una coloniamilitare (oppidum), aveva sottratto i terreni ai vecchi proprietari e li avevadistribuiti ai suoi veterani (dai quali proviene il cognome Vetrano, così diffusonei paesi del baianese). Nel 31 a.C., Augusto, dopo la vittoria di Anzio, intraprendeuna politica di pacificazione sociale. A livello locale, egli concede una certaautonomia alle popolazioni assoggettate e ridona la municipalità ad Avella. Inoltre,cerca sia di favorire l’integrazione con le popolazioni locali sia di promuovere lapermanenza e la sussistenza dei suoi fedeli guerrieri, con la concessione di terreni.Essi, perciò, richiamano le loro famiglie, ricercano le zone più salubri dell’agerpubblicus e vi costruiscono le loro ville prediali. Queste, com’è noto, non eranoluoghi di villeggiatura ma fattorie, dove i nobili romani abitavano e si allenavano allearmi, circondati dai loro schiavi e liberti. Esse erano costituite dalla casa padronale,dalle dimore della servitù, dalle tettoie per il ricovero degli animali e dai magazziniper le derrate alimentari. Di forma quadrangolare, con al centro un grosso spiazzale(di due o tremila metri quadrati) e provviste di un pozzo o di una cisterna centrale.

Dopo la caduta di Roma -e quindi di Avella- le plebi, per sfuggire alle vessazionidelle diverse popolazioni barbariche, trovarono rifugio nelle caverne dei montivicini (Summonte, Campimma, Litto, Montevergine, di San Michele, dei Santi,del Monaco ed altre). Solo con l’avvento dei Normanni, nella seconda metà dell’XIsecolo d.C., essi ridiscesero a valle o in collina e, raccogliendosi attorno alleantiche ville prediali, diedero origine a vari agglomerati urbani.

Le nostre zone furono invase prima dai Visigoti di Alarìco (410 d.C.) e poi daiVandali di Genserico (455 d.C.). Nel 589 d.C. entrarono a far parte del Ducato diBenevento retto dal longobardo Autari.

Avella, facendo parte del gastaldato di Nola, con la Divisio Ducatus dell’849 traRadelchi e Siconolfo, fu assegnata al principato di Salerno, diventandone uno deipunti strategici, essendo posizionata al confine tra i ducati di Napoli e di Capua ed ilprincipato di Benevento.

I territori dell’agro baianese furono, poi, conquistati dai Turchi (Saraceni)nell’anno 884 e dai Bizantini di Napoli nell’887. In seguito, passarono prima alPrincipato Normanno (1075) e, successivamente, agli Svevi di Federico II (sivedano, ancora una volta, i capitoli su Avella e sugli altri singoli comuni).

Avella, Sperone e Baiano proseguirono insieme la loro storia. Mugnano delCardinale, Quadrelle e Sirignano legarono le loro sorti al feudo di Monteforte

Visigoti - Vandali - Turchi - Bizantini

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(1272), per poi ritornare, grazie a Nicolò Orsini, Conte di Nola, nuovamente a farparte della Baronia di Avella (insieme anche a Monteforte). Nel quattrocento,Mugnano del Cardinale, chiamato allora Mugnano di Montevergine passa a farparte della Commenda di Montevergine, separando nuovamente il proprio destinoda quello di Avella e godendo dei numerosi vantaggi che gli derivaronodall’appartenere ad un’importante Istituzione Ecclesiastica (ciò fino al 1511,quando passò alla Casa dell’Annunziata di Napoli). Nel 1510, Enrico Orsini,conte di Nola, istituisce a Baiano, la Bagliva (o “Corte Baiulare”), che vi resteràfino al 1861 (anno dell’Unità d’Italia). Questa istituzione, detta anche Baliva oBaliato, comprendeva sia le funzioni giudiziarie sia quelle di imposizione eriscossione dei tributi.

Il baricentro amministrativo da Avella veniva dunque a spostarsi a Baiano,cui, da quel momento, tutti gli abitanti del comprensorio dovevano far capo per levarie incombenze impositive e giudiziarie.

L’apertura (1757) della Via Regia delle Puglie (ex Strada di Terra di Lavoro,attuale Strada Statale 7 bis), fatta costruire da Carlo III di Borbone, che avevalasciato Avella fuori dal suo tracciato,diede a Baiano l’opportunità di accrescereulteriormente la sua importanza nei secolisuccessivi.

E’ noto, infatti, che la rete viariaprecedente si sviluppava secondo duedirettrici. Un primo tracciato, quello piùimportante, protetto da ben due castelli,partiva da Roccarainola, passava davantial castello medioevale di Avella, quindiper l’antico borgo di Sirignano (località San Ciliesto) e per Quadrelle, per poiinerpicarsi verso il castello svevo del Litto, di Mugnano del Cardinale, e proseguireverso Montevergine. Un secondo tracciato, più a valle, collegava Nola conMonteforte passando per Sperone (molto più all’interno, rispetto alla Nazionale)e poi puntava verso la base di Arciano, passando per l’esterno di Baiano e tra gliantichi abitati di Pontem Mianum (poi divenuta Mugnano del Cardinale) eCamillanum (oggi scomparso).

Nel frattempo, nel 1641, a Mugnano del Cardinale, era stato fondato il Cenobiodi San Pietro a Cesarano che, nei secoli seguenti, rappresentò il centro morale eculturale della valle del baianese.

Alcuni Cronisti dell’epoca ci raccontano che, durante i secoli XVII e XVIII,le nostre contrade furono colpite da un’impressionante serie di eventi nefasti.Epidemie di peste, nel 1635 (probabile “coda” della pestilenza del 1629 descritta

Monteforte. Fontana Carlo-III

Bagliva - Via Regia delle Puglie - Cenobio di S. Pietro a Cesarano

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dal Manzoni ne “I promessi Sposi”) e nel 1656. Eruzioni vesuviane che ricoprironole nostre terre di ceneri e lapilli (e, nel 1631, anche di alghe e pesci cotti).

Nel 1640 un’invasione di cavallette distrusse i raccolti e provocò una gravecarestia, cui seguirono altre numerose eruzioni, inondazioni e morìe di persone edi animali. L’impressionante sequenza di epidemie era dovuta, oltre che allamalnutrizione, alle miserrime condizioni igieniche in cui versavano i centriabitati in quell’epoca storica. Tornando al XVII secolo, conviene ricordare che,all’epoca, vi era l’abitudine di seppellire i morti (almeno quelli appartenenti aiceti più elevati) all’interno di chiese, monasteri e cappelle cimiteriali. In questeultime, i corpi venivano tumulati, nella nuda terra, in semplici fosse poste sotto ilpavimento. Le chiese più grandi erano provviste di sotterranei, ai quali si accedeva

tramite un botularium(una grossa lastra dimarmo che fungeva dachiusura). Le salmevenivano poste sedute innicchiette a forma disedili dette cantarelle.Successivamente le ossavenivano raccolte inun ossario postogeneralmente dietrol’abside. Chiese e cappelle

cimiteriali eranoprovviste di sfiatatoi che, soprattutto nei periodi più caldi, esalavano pestiferi emalsani effluvi che favorivano, insieme alle scorrerie dei topi, le frequentiepidemie. Solo con l’editto napoleonico di Saint-Cloud (promulgato in Francia il12 giugno 1804 ed esteso in Italia il 5 settembre 1806) si pose fine a questausanza e si cominciarono a costruire i primi cimiteri fuori dai centri abitati.

Facciamo, ora, un salto di qualche altro decennio e arriviamo alla RivoluzioneFrancese (1789), i cui princìpi, diffusi da Napoleone Bonaparte in tutta Europa,localmente portarono alla disintegrazione della potente baronìa di Avella. Nel1806, il regno di Napoli, tolto a Ferdinando IV di Borbone, fu dato, com’è noto,prima a Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone (che emanò la leggeche aboliva la feudalità) e, più tardi, quando questi divenne re di Spagna (1808),a Gioacchino Murat, cognato dell’imperatore (che rese operativa tale legge).

Ogni feudo, perciò, veniva ad essere diviso in tre parti: un terzo andava alvecchio feudatario; un terzo agli istituendi comuni; un terzo al demanio statale

Scolatoi o cantarelle

Editto di Saint-Cloud - Epidemie

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per poter procedere alla lottizzazione e all’assegnazione a prezzi modici aicontadini e ai privati. Spesso i poveri cafoni e i bifolchi, non avendo alcun poteredi acquisto, funsero da prestanomi per borghesi, mercanti ed altri galantuominiche, con pochi spiccioli, costituirono o consolidarono le proprie fortune. Moltedelle famiglie agiate dei nostri paesi acquisirono in tale modo le proprie ricchezze.I primi ad approfittare di questalegge furono i cittadini di Avella(1809), seguiti da quelli di Baiano(1810), di Sirignano, di Mugnano,di Quadrelle e, per ultimo (1836)di Sperone. Furono assegnate adAvella le proprietà di Bosco diCiesco, del Castello, delle Lenze,di Campo di Volpe e Sopraciesco.A Baiano andarono Arciano,Campimma, Carbonara, Santo eTorone. Mugnano ebbe il Litto. Sirignano ottenne il Tuoro e Sperone la Paradina.

La legge eversiva della feudalità, ottima nelle intenzioni, nella sua applicazionepratica finì per ridurre alla fame le popolazioni rurali. La borghesia, come abbiamovisto, aveva usurpato alle plebi le quote di terreni baronali loro spettanti. Inoltre,queste ultime avevano perso, improvvisamente, il diritto degli usi civici (raccoltadi legna e castagne, uso di pascoli e di seminativi), giacché i terreni erano divenutidi proprietà o dei comuni o della ricca borghesia (i galantuomini).

I popolani più deboli e timorosi si rassegnarono ad una vita miserevole ma ipiù ribelli si organizzarono in bande armate (le “comitive”) e diedero vita alfenomeno del brigantaggio (che poi doveva far sentire maggiormente i suoi effettinel 1848 e negli anni a cavallo dell’Unità d’Italia).

In questa prima fase (1817) l’agro baianese era controllato dalle bande diTuppillo (al secolo Giuseppe Caruso fu Antonio di Sirignano), FrancescoNapolitano (alias Romaniello) e Francesco Abbate di Domenico, di Avella.

Nella confusa situazione politica di quel periodo avvenne, a Mugnano delCardinale, un importante episodio storico: un sanguinoso scontro tra giacobini esanfedisti (1799). In quell’occasione i mugnanesi (presumibilmente appoggiatidal Clero, solidale con i Borboni) si schierarono contro i repubblicani (ndr.l’importante episodio sarà trattato, per evitare ripetizioni, nel capitolo di Mugnano).

In seguito al congresso di Vienna (1814-1815) che, dopo la caduta di Napoleone,stabiliva il ripristino delle leggi e degli ordinamenti in vigore prima del 1789, ilRegno di Napoli fu restituito a Ferdinando IV di Borbone, che rinunciò al duplicetitolo di “Re di Napoli e di Sicilia”, per assumere quello di Ferdinando I, re delleDue Sicilie, trasferendo la capitale da Palermo a Napoli. Il tentativo di restaurazione

Briganti catturati dalla Guardia Nazionale

Brigantaggio - Giacobini e Sanfedisti

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del vecchio ordinamentocomportò, ovunque, la ribellionedelle popolazioni e sorsero un po’dappertutto le società segrete(come la Carboneria).

Ai primi di luglio del 1820 leguarnigioni di Nola e di Avellino,per opera di due ufficiali dicavalleria, Michele Morelli eGiuseppe Silvati, e del prete LuigiMinichini, inalberarono il vessillodei Carbonari (azzurro, rosso enero), e al grido “viva il Re e lacostituzione di Spagna” mosseroverso Napoli. A capo degli insortisi mise il generale Guglielmo Pepe(che aveva già militato con Murat)con parte della guarnigione diNapoli. Il 13 di luglio Ferdinandodi Borbone giurò sul Vangelo laliberale costituzione di Spagna. Inostri compaesani, in quellaoccasione, si dimostrarono imbellie timorosi e non si aggregarono all’esercito del Minichini, con la cocente delusionedi Nicola Luciano, di Avella, fervente carbonaro.

Facciamo un altro salto e arriviamo all’unificazione d’Italia. Il 18 febbraio1861 si inaugurò a Torino il primo Parlamento italiano, e il 14 marzo VittorioEmanuele fu proclamato re d’Italia. Le condizioni delle popolazioni rurali,però, non migliorarono in seguito a questo importante avvenimento politico.

Semplicemente i nuovi padroni (i liberali), presero il posto dei vecchi (igalantuomini) e si appropriarono dei beni demaniali.

Quindi, mentre con i Borboni (Ferdinando II), in seguito ai moti del 1820e del 1848 e con lo scopo di tenere sotto controllo il fenomeno delbrigantaggio, le affamate popolazioni rurali avevano riavuto parzialmentegli usi civici (legnatico, erbatico, fogliatico, soccida e castagnatico), conl’Unità d’Italia avevano visto peggiorare la loro condizione. Il nuovo governo,infatti, per far fronte alle nuove spese necessarie per la ristrutturazione delnascente Stato Unitario, non aveva trovato di meglio che svendere i beniecclesiastici. Ciò aveva determinato un ulteriore impoverimento delle classi

Onorificenza di Cavaliere di Vittorio Veneto( prima guerra mondiale), concessa a

De Rosa Domenico di Sirignano

Società segrete - Unità d’Italia

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Baiano. Anni ‘50

Baiano.21.04.1933. Cerimonia diconsegna del libretto di pensione

più deboli (perdita dell’uso, tollerato, dei fondi ecclesiastici) e la reazione(più o meno palese) di gran parte del Clero.

A livello locale, questo comportò la recrudescenza del brigantaggio (soprattuttofra il 1861 e il 1865) che, questa volta, fu sfruttato dai Borboni (Franceschiello),i quali, cavalcando il malcontento popolare, speravano in una insurrezionedell’intero territorio di Terra di Lavoro, che ridesse loro il trono (magari a Caserta).Questa seconda fase del fenomeno del brigantaggio ebbe, nell’agro baianese, isuoi maggiori esponenti nei fratelli Giona e Cipriano La Gala (di Nola), cheavevano posto le loro basi sui Monti di Avella e sul Massiccio del Taburno.

Questi “scorridori” (come venivano anche chiamati), che giunsero a formare unpiccolo esercito di oltre trecento armati, non si limitarono solo a “togliere ai ricchi perdare ai poveri” ma, come riportano alcuni atti ufficiali dell’epoca, commisero numerosimisfatti ai danni delle popolazioni di Sirignano, Quadrelle, Avella e Moschiano nondisdegnando frequenti sortite nel Sannio e nella provincia di Terra di Lavoro. Questasanguinaria banda di briganti venne sgominata in una cruenta battaglia, il 18 dicembre1861. I fratelli La Gala riuscirono, però, a mettersi in salvo e, quasi a voler confermarei loro rapporti col clero, ripararono nello Stato Pontificio.

Più piccole, ma non meno feroci, furono le “comitive” di Antonio Manfra diMonteforte, e quelle di Nicola Picciocchi di Baiano, di Francesco Abbate e diGiuseppe Lauria.

La più temibile fu, probabilmente, quella di Angelo Bianco, detto Turri Turri,di Mugnano del Cardinale, che si rese responsabile, tra l’altro, dell’uccisione delpatriota quadrellese Andrea Mattiis, e che terrorizzò la banda musicale di Avella

(per il solo fatto che isuonatori, come i garibaldini,portavano un berretto rosso).Questa banda di delinquentisanguinari fu prestosgominata dalla GuardiaNazionale (cfr. capitolo suMugnano).

Molti briganti nostrani,secondo quanto citramandano i cronistidell’epoca, godettero dellasimpatia e della protezionedelle popolazioni locali. E’

noto, infatti, che le carbonaie (le donne che dai boschi di Campimma, Litto eTora, portavano a dorso di muli il carbone nei vari paesini) erano il tramite con ilquale i signorotti filoborbonici fornivano di provviste e di munizioni la banda di

Il brigantaggio nel Baianese

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Nicola Picciocchi. E’ risaputo, inoltre, che essi ebbero anche il sostegno dellesuore del monastero di Santa Filomena: la madre superiora, suor ConcettaAttanasio (che aveva personali vincoli di amicizia con i borboni) fu addiritturaarrestata per questo. Vale la pena ricordare che un’altra conseguenza dellecondizioni miserevoli di quel periodo fu una prima ondata migratoria (1860-1886)che interessò le nostre popolazioni fino al 1914 (prima guerra mondiale). Questoprimo flusso migratorio si diresse, prevalentemente, verso gli Stati Unitid’America.

I nostri paesi, già compresi nella provincia di Terra di Lavoro (l’attualeprovincia di Caserta), distretto di Nola (uno dei cinque in cui si divideva laprovincia), circondario di Bajano (uno degli otto in cui si divideva il distretto)passano, dopo il 1861, con l’Unità d’Italia e con il conseguente nuovo assetto politicoe amministrativo, prima al Sannio e, poi, alla provincia di Principato Ulteriore (oPrincipato Ultra), distretto (o circondario) di Avellino, mandamento di Bajano.

Da tale r ipart izione amministrat iva deriva, quindi , i l termine“mandamento” comunemente usato da tutti gli abitanti del baianese perdefinire l’intero circondario, l’esagono dei sei comuni. Esso, infatti,(Legge Rattazzi,1859) indicava una circoscrizione amministrativaintermedia tra il circondario e il comune, in vigore fino al 1923.

L’11 luglio 1885 fu inaugurata laferrovia Napoli-Nola-Bajano,mentre i collegamenti con Avellinoavvenivano tramite rocambolesche“corse” di robuste diligenze trainateda temerari cavalli.

Come già anticipato, la fine delXIX secolo e l’inizio del XX (finoalla prima guerra mondiale) viderole prime emigrazioni di massa (a cui

poi dovevano seguire, mezzo secolo dopo, quelle del secondo dopoguerra).

Durante l’era fascista le nostre popolazioni, a detta dei nostri nonni,videro migliorare per alcuni aspetti la loro situazione (maggiore ordine,istruzione, prime pensioni, refettori dell’E.C.A.), ma dovettero anchesubire la tracotanza dei podestà e degli squadristi. I gruppi più esagitatierano quelli di Mugnano del Cardinale che, in più di un’occasione, ebberodei violenti scontri con i loro compagni di partito di Baiano. In alcuneoccasioni, ci furono anche delle revolverate.

Quando, il primo settembre 1939, l’esercito di Hitler aggredì la Polonia, moltinapoletani temettero, a ragione, l’inizio della seconda guerra mondiale. Circa

Baiano. Anni ‘50.

Emigrazione - Nascita del “mandamento” - Circumvesuviana - Fascismo

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duecento famiglie, pari ad un migliaio di persone, giunsero a Baiano grazie allalinea ferroviaria della circumvesuviana. Si trattava, quasi sempre, di famiglie dicommercianti o dell’alta e mediaborghesia. Persone agiate eprofessionisti che portarono unaventata di innovazione nei piccolipaesi del comprensorio baianese.

Rimasero per pochi mesi, fino agennaio del 1940. Poi, illusi dallapolitica di non belligeranza diMussolini, ritornarono a Napoli. Maquando, nel giugno del 1940, l’Italiaentrò in guerra a fianco della Germania, ci fu un nuovo e più consistente arrivo dinapoletani. Ma il fenomeno degli sfollati, come testimoniano i nostri compaesanipiù anziani, assunse dimensioni drammatiche nell’autunno del 1942.

I frequenti bombardamenti di tedeschi ed americani sulla città partenopeaprovocarono morte e distruzione, spingendo i nostri amici napoletani adabbandonare la città per rifugiarsi nei paesini di provincia, dove potevano sentirsipiù al sicuro e nelle cui campagne potevano trovare più facilmente di che sfamarsi.La popolazione del mandamento di Baiano si triplicò. Intere famiglie, compostespesso di otto o dieci persone, si rassegnarono a vivere in un’unica stanza.

La solidarietà dei nostri compaesani fu concreta e discreta e durò circa treanni. Ma, naturalmente, gli sfollati napoletani si diedero da fare per proprio contoe s’ingegnarono nella coltivazione dei campi, nel commercio e nel contrabbando(della pasta e del grano provenienti dalla provincia di Foggia; dei salumi nostranie delle sigarette -rispettivamente- verso e da Napoli).

Purtroppo, il sovraffollamento e le scarse condizioni igieniche che ne derivaronoprovocarono l’insorgenza di gravi epidemie di vaiolo e di tifo, difficili da fronteggiareper la carenza di medicinali.

Nel mese di settembre del 1943, il mandamento conobbe, in maniera ancorapiù diretta, gli orrori della guerra. Il 18 di quel mese i cacciabombardieri americani,nell’intento di scacciare i tedeschi, sganciarono alcune bombe su Baiano,provocando 18 morti e numerosi feriti. Anche su Mugnano del Cardinale fusganciata qualche bomba che, per fortuna, o per intervento di Santa Filomena,mancò l’obbiettivo. Seguì la mobilitazione generale della impaurita popolazioneche, ripetendo il percorso fatto dai loro antenati per sfuggire agli invasori medioevali,si rifugiò sulle montagne circostanti. La gente fuggita sulle colline, non potendo portarecon sé tutti i suoi averi e volendoli proteggere dalle razzie dei tedeschi e dai numerosi“sciacalli”, li nascondeva nei posti più impensati, li murava nei piccoli vani(mandrilli) dei forni a legna o li calava nei pozzi e nelle cisterne.

Gli sfollati - Seconda guerra mondiale

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I soldati tedeschi, allo scopo di rallentare l’avanzata dell’esercito degli Alleati,fecerono saltare alcune abitazioni presso il “ponte” del Cardinale, a Mugnano.Minarono la strada nazionale (nei pressi della curva ove ora si trova la clinica“Villa Maria”) e posero la loro artiglieria nella zona del Fusaro di Avella: il nostrocomprensorio stava per diventare, suo malgrado, teatro di una violenta battaglia,ma un provvidenziale e violento nubifragio, tra il 2 e il 3 ottobre 1943, spazzòvia gran parte dell’artiglieria della retroguardia teutonica, demoralizzando itedeschi che decisero di abbandonare le loro postazioni.

Ai primi di ottobre di quello stesso anno, due colonne di soldati americani,una proveniente da Monteforte e l’altra da Summonte, scesero a “liberare” i nostripaesi dai tedeschi occupando, a loro volta, i migliori palazzi di Mugnano delCardinale, Baiano e Avella. Qui posero la loro artiglieria, sullo stesso suolo che,nel 1976, ci avrebbe restituito l’anfiteatro romano. Altri campi militari alleatifurono posti a Baiano, a Sperone (marocchini) e ad Avella (inglesi), ove costruironola piscina del Fusaro.

L’occupazione alleata si protrasse per circa un anno e i nostri intraprendenticompaesani stabilirono proficui rapporti “commerciali” (contrabbando) con i soldatialleati. Alcune vecchiette raccontano anche di alcuni casi di ragazze chefamiliarizzarono eccessivamente con i soldati.

Nel dopoguerra cominciò l’eman-cipazione femminile nel baianese.Com’è noto, le donne poterono votareper la prima volta solo nelle ammini-strative della primavera del 1946(D.L.luogotenenziale n.23 del 2 febbra-io 1945) e, subito dopo, nel Referen-dum Istituzionale del 2 giugno 1946. Il18 aprile 1948 (prime elezioni politi-che) a Sirignano, unico fra i paesi del

mandamento, vinsero le sinistre e le neovotanti donne, insieme agli uomini, presero partead una rumorosa sfilata per tutto il circondario. Mugnano del Cardinale, in quei tempi, sicaratterizzò invece per una costante e netta prevalenza delle destre.

Ebbene, negli anni 1948-1950, vi fu il primo vero sciopero del mandamento diBaiano. Protagoniste furono le operaie delle fabbriche di ciliegie ( ‘e cirasare), gui-date dall’allora giovanissimo comunista Stefano Vetrano, che sarebbe poi diventatodeputato della Repubblica.

Un’altra tappa importante del nostro mandamento fu l’apertura, nel 1965,del casello dell’autostrada di Baiano (A-16), che migliorò in maniera

Sperone. Radio Lem. 1976.

Dopoguerra - Voto alle donne - Primo sciopero del Baianese

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Sirignano. 1981. Post-terremoto.Proprietà Saveriano.Via Nazionale.

considerevole i nostri collegamenti con il resto del Paese. I mitici anni ‘60 eil boom economico, sfiorarono appena i nostri paesini. Ci furono alcuni gruppimusicali (The Florials, I Dolci Pensieri ed altri) e ci fu anche una certa ripresadell’economia, dovuta soprattutto alle rimesse degli emigranti (da Francia, Svizzera

e Germania) e degli operai chesi erano trasferiti nel Nordindustrializzato. Gli anni ‘70, gli “anni dipiombo”, videro -anche danoi - qua lche a r res to d ipersone appartenenti ai NAP(nuclei armai proletari) ovic ini ad a l t r i moviment iterroristici (brigate rosse).Ma si trattò solo di qualchecaso i so la to . Nacquero

numerose radio private (Radio Lem di Sperone, Radio Mandamento di Baiano,ed altre). La prima ed unica televisione privata del comprensorio fu Telebaiano(1982-1994) del “maresciallo” Peppe Esposito.

Ad un secolo di distanza dalla fondazione del primo periodico del baianese( “La favilla” del 1882) videro finalmente la luce alcuni giornali locali (“l’Alba”,“la Voce”) che ebbero vita molto breve (ad essi sono seguiti, in tempi più recenti“Il Meridiano”, del Prof. Pierino Luciano di Avella, e “La nuova Gazzetta” deldott. Pellegrino De Rosa, di Sirignano).

In seguito al terremoto del 23 novembre 1980, che funestò l’Alta Irpinia, ea quello del 14 febbraio 1981 (con epicentro tra i Monti di Avella) i nostripaesi subirono danni di media entità. Più dannosa delle stesse scosse tellurichefu la gestione del post-terremoto che, se da un lato, con la ricostruzione offrìun po’ di respiro alla anemica economia locale, dall’altro produsse, in nomedi una presunta rimodernizzazione, la scellerata distruzione di graziosissimicentri storici e di importanti ed imponenti edifici, che avrebbero potuto essereinvece conservati e valorizzati.

Dal punto di vista ecclesiatico, i paesi del baianese, hanno fatto parte dellaDiocesi di Avella (che comprendeva anche Roccarainola) fino a circa la metà delXIII secolo. Poi passarono (tra il 1215 e il 1264) alla Diocesi di Nola (II decanato).

Il nostro mandamento, storicamente, culturalmente e, finanche,linguisticamente, ha maggiori affinità col napoletano che con l’entroterrairpino. Ciò, insieme ad altre considerazioni di ordine poli t ico e

I gruppi musicali - Le radio private - Tele Baiano - I giornali locali

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amministrativo, ha spinto negli ultimi anni alcuni politici locali acaldeggiare la possibilità della istituzione di una “provincia di Nola”,nella quale entrare a far parte -per avere maggior peso politico- noncome singoli comuni ma, tutti insieme, come “Città del Baianese”.

Le ultime vicende (costruzione del CDR al confine di Avella) hanno, infattimesso in evidenza ancora una volta il fatto che i sei comuni divisi non godono,attualmente, di alcuna considerazione sia da parte della Provincia sia dellaRegione.

Esistono (così si dice) la “Comunità Montana Vallo di Lauro e Baianese”, ilParco Regionale del Partenio (che comprende Avella, Baiano, Quadrelle eSirignano) e i PIT (piani integrati territoriali) ma, al momento, non si apprezzanessun loro effetto positivo sull’economia o sull’ambiente.

Nel 2002, il mandamento del Baianese non è più terra di emigranti. Esso, anzi,accoglie -secondo alcune stime sicuramente più veritiere degli ultimi dati ISTAT-circa trecento extracomunitari, provenienti in gran parte dalle sponde meridionalidel Mediterraneo e dai Paesi del vicino est europeo (Polonia, Ucraina, Romania). Un consistente numero di persone provenienti dall’hinterland partenopeo sista trasferendo nei paesi del baianese, ove è possibile trovare abitazioni a prezzopiù conveniente e, soprattutto, un ambiente più tranquillo.

Ma la nostra non è un’economia ricca. I nostri problemi sono quelli tipicidelle zone interne non industrializzate e incapaci di valorizzare le loro risorseambientali che, tra l’altro, nel frattempo vanno degradandosi.

Periodicamente si ha notizia di rifiuti (piùo meno tossici) interrati, più o menoclandestinamente, in vari siti (valloneAcquaserta di Quadrelle, Panoramica diAvella, Fossa di Mugnano, Vasca traAvella e Sperone). Il fenomeno droga è inpreoccupante aumento. Urgono seri edecisivi provvedimenti.

A proposito della mancanza di iniziativa dei nostri politici in sedeamministrativa, si tramanda il seguente divertente aneddoto:

Un nostro ex Consigliere Provinciale, uomo simpaticissimo e stimatoprofessionista, o perché privo di idee o per “educazione”, non aveva maiosato prendere la parola durante le sedute del Consiglio Provinciale.Naturalmente, per questo motivo era aspramente criticato dagli avversari politici.Ma un bel giorno, nell’ultima seduta del Consiglio Provinciale, tra la sorpresagenerale, si alzò di scatto in piedi e, puntando minacciosamente l’indice control’esterefatto e sorpreso Presidente Provinciale, urlò: «ma la volete chiudere ono quella benedetta finestra dietro le spalle; non vedete che c’è corrente?».

2002. Il costruendo CDR

Il Baianese oggi - Città del Baianese - Provincia di Nola - CDR

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1-Complesso vulcanico Monte Somma - Vesuvio; 2-Monti Lattari (Penisola Sorrentina);3- Monti di Sarno; 4- Monti di Lauro; 5- Monti di Avella; 6- Massiccio del Taburno;7- Avellino; 8- Cis di Nola; 9- Alenia di Pomigliano d’Arco; 10- Mandamento di Baiano.

Rare foto satellitari del nostro territorio (sotto) e della piana campana (in alto)

Le coordinate del nostro mandamento (riferite a Baiano) sono:40°57’00’’ latitudine Nord e 14° 37’ 00’’ longitudine Est

Foto satellitare e coordinate geografiche del “mandamento”

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Avella

Avella si chiamava, anticamente, Abella. Questo nome deriverebbe, secondoalcuni Autori, da Aberula, termine osco che significherebbe “città del cinghiale”(aper in latino). Tale ipotesi sarebbe avvalorata dal fatto che nell’attuale stemmacivico (detto dagli avellani più anziani affettuosamente ‘o puorco) si trovaraffigurato proprio un cinghiale con l’Appennino sullo sfondo. Secondo altri, ilnome della città proverrebbe da Abblona, città delle mele, toponimo indoeuropeoderivante da Apfer o Apple. Altri, ancora, ritengono che esso derivi da Abel, campoerboso, nella lingua di una popolazione anatolica di razza semitica che sarebbecapitata dalle nostre parti fuggendo dai Caldei, dopo la guerrra di Troia. La stessapopolazione si sarebbe spinta, successivamente, nell’entroterra irpino e vi avrebbefondato Abellinum, il primo nucleo della moderna Avellino. Alcuni Studiosiritengono -infine- che il nome Abella possa derivare da avellere, verbo latino chesignifica sradicare, spazzare via; in riferimento al forte vento di tramontana che sferzale nostre terre nelle stagioni invernali ed autunnali. L’ipotesi che Abella significassesemplicemente poco incline alla guerra non viene generalmente accettata, anche inconsiderazione dell’indole fiera dell’antico popolo avellano.

Secondo la leggenda, Avella sarebbe stata fondata da Èbalo, alleato di Turno(re dei Rùtuli) che si opponeva ad Enea sbarcato sulla costa laziale. Virgilio, infatti,nell’Eneide (libro VII, 733-743) racconta quanto segue:

«Nec tu carminibus nostris indictus abibis, (733)Oebale, quem generasse Telon Sbethide nympha

Fertur, Teleboum Capreas cum regna teneret,iam senior; patriis sed non et filius arviscontentus late iam tum dicione tenebat

Sarrastis populos et quae rigat aequora Sarnusquique Rufras Batulumque tenet atque arva Celemnae

et quos maliferae despectant moenia Abellae, (740)Teutonico ritu soliti torquere cateias,

tegmina quis capitum raptus de subere corex,aerataque micant peltae, micat aereus ensis.». (743)

«Né di te tacerò nel mio canto; Èbalo nato da Telonunito ormai vecchio alla Ninfa Sebètide quando su Capri

regnava coi suoi Teleboi; ma il figlio non pagodei campi paterni già dominava i Sarrasti

e i campi che il Sarno attraversa, le genti di Bàtulo,di Rufra e Calemma e quelle che le mura di Abella

ricca di mele guardano in basso dall’alto;usano lanciare catée al modo Teutonico

e copre il lor capo corteccia strappata dal sugheroe brillan gli scudi di bronzo, le spade di bronzo».

Origini del nome Abella - La citazione nell’Eneide

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Da questa descrizione del sommo poeta si evince che gli antichi avellaniusavano lanciare le catèe, una sorta di sottili giavellotti legati da una fune che neconsentiva il recupero, e che si coprivano il capo con corteccia di quercia dasughero. Ma gli archeologi e i paleontologi ci rivelano che il territorio dell’odiernaAvella era abitato dall’uomo ancora prima. Fin dalle ere pre-protostoriche.

Numerosi ritrovamenti risalgono, infatti, al Paleolitico Superiore (VIIImillennio a.C.), al Tardo Neolitico (IV millennio a.C.) e all’Età del Bronzo (XIV

secolo a.C.). In particolare, il sitoarcheologico individuato in localitàMulino S.Antonio, alle sorgenti deltorrente Clanio, ha restituito unaserie di significativi reperti chesuggeriscono antichi rapporti dellepopolazioni indigene con altrinuclei preistorici, anchenotevolmente distanti dalla vallebaianese. Infatti , accanto aceramica figulina condecorazione dipinta databile acirca seimila anni fa (TardoNeolitico), sono state rinvenutealcune asce di selce importate dalGargano, asce in pietra verde

provenienti dalle regioni alpine e strumenti in ossidiana, originaria delle Eolie(Lìpari) e dell’isola di Palmarola.

Lo studio della sequenza stratigrafica, effettuato in vari siti del territorioavellano (lungo il Vallone Serroncello, località Fusaro, Fontanelle, Caravatta,Campopiano, Mulino S.Antonio ed altre) ha posto in evidenza l’alternanza dialcuni paleosuoli con eventi vulcanici vesuviani e flegrei.

Strati di materiale vulcanico (pomici, lapillo, ceneri) e strati di dilavamento sialternano ad antichi suoli (paleosuoli) che ci hanno restituito resti di animali(cervi, orsi, caprioli, tartarughe, cinghiali e così via) e primitivi manufatti.

Questi reperti rappresentano un’ulteriore conferma di come questo territoriosia stato costantemente abitato dall’uomo, nonostante i numerosi e devastantieventi eruttivi subiti. Inoltre (secondo una notizia non confermata), alcuniintraprendenti avellani avrebbero calato una telecamera con relativo farettoall’interno di una fossa del terreno, riuscendo ad osservare, in tal modo, una grottacon all’interno primitive pitture rupestri.

La persistenza dell’uomo in questo territorio è dovuta alla presenza di numerosegrotte, alla ricchezza di selvaggina e di vegetazione e, soprattutto, alla presenza

Presunta pipa etrusca (in bucchero)

Gli insediamenti umani preistorici

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di un importante corso d’acqua: il Clanio. Questo torrente, a giudicare dalleincisioni e dalle grotte che ha lasciato lungo il suo corso, alcune migliaia di annifa doveva avere una portata d’acqua ben più consistente di quella attuale e dovevaessere, presumibilmente, navigabile tramite zattere e canoe almeno in alcuni tratti.

Esso ha rappresentatoun’importante via naturaledi popolamento, dicomunicazione e diinterscambio dell’interaarea, mettendo incomunicazione le costedel Tirreno (ove termina ilsuo corso, nei pressi dellafoce del fiume Volturno)con l’entroterra campano,favorendo (come risulta

da recenti scavi nell’area a sud dei Regi Lagni) l’addensamento di insediamenti umanilungo tutta la direttrice fluviale.

I primi villaggi sorsero sulle alture del Clanio circa mille anni prima diCristo. Ma il primo vero e proprio agglomerato urbano si fa risalire,comunemente, a prima del secolo VIII a.C. (quindi, ad ancora prima dellafondazione di Roma, che la tradizione fa risalire al 21 aprile del 753 a.C.).

Avella fu, quindi, Greca Calcidiese, Osca, Etrusca, Sannita e Romana (oltreche, in epoche successive, Normanna e Saracena). Greci ed Etruschiprovenivano dalla costa tirrenica, mentre i Sanniti provenivano dall’entroterra.I primi, come testimonianza della loro presenza, lasciarono oggetti e manufattisimili a quelli rinvenuti ad Ischia (Pithecusa) e a Cuma; i secondi lasciaronoalcune sepolture, cinturoni e vasi a vernice nera, sulle colline del Clanio.

Avella era diventata un luogo di incontro (e di scontri) tra le popolazioniprovenienti dalla valle del Sabato e quelle della piana campana. I SannitiCaudini la fortificarono con solide mura in opus incertum, cioè con blocchettiirregolari di tufo. Essa fece, poi, parte della Lega Sannitica, insieme a Nola.

In seguito, apparvero i Romani, che vi si insediarono per la sua importanteposizione strategica. Nel 339 a.C. si pose sotto la protezione di Roma comeCivitas foederata. Nell’87 a.C. venne distrutta dai Sanniti. Fu, poi, municipio e,più tardi, vi venne insediata una colonia da parte di Silla, dittatore romano (82 a.C.).

Avella riacquistò una rinnovata importanza tra la fine del periodo repubblicanoe l’inizio dell’età imperiale (circa 2000 anni fa). Fu, infatti, menzionata daimportanti Autori classici tra cui -come abbiamo visto- Virgilio, che la citanell’Eneide fra coloro che si allearono con Turno (re dei Rùtuli), contro Enea.

Alto Clanio

Il torrente Clanio - I Sanniti - I Greci - La “Civitas foederata”

Avella

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Le due facciate del monolitico “Cippus Abellanus”

Plinio la nomina per le nocciòle, “Nucae Abellanae”. Anche Diocleziano laricorda nel suo editto, sempre per gli stessi frutti (“Nucium Abellanorum”).

L’antica Abella subì le invasioni barbariche e fu saccheggiata dai Visigoti,guidati da Alarico, nel 410 d.C., e da Genserico re dei Vandali e degli Alari, nel455 d.C.. Successivamente fu devastata dalla guerra gotico-bizantina. Nel VIIsecolo d.C., subì la dominazione prima dei Goti e poi dei Longobardi. Questiultimi vi costruirono il castello, non in legno, come facevano in altre parti d’Italiama in pietra, sfruttando evidentemente la manodopera locale già esperta in talicostruzioni; essi diffusero la coltivazione dell’albero di tiglio, che adoravano.

Avella fu assalita dai Saraceni nell’884 d.C. e nell’887 d.C. fu presa daiBizantini di Napoli, guidati da Atanasio II.

Nel 937 d.C., secondo quanto riportato nella “Chronica Monasterii Casinensis”,in seguito a una scorreria degli Ungari, Avella fu distrutta insieme con Cimiterium(Cimitile) e Sarno. Con la caduta della longobardia minore, nell’XI secolo divennenormanna. Fu feudo dei baroni normanni, e angioini, per poi passare ai conti Orsini,Doria, Cattaneo, Spinelli Del Balzo, Janvilla, Caracciolo, Pellegrino, Loffredo, adAspreno Colonna Doria del Carretto e ai Toledo, ultimi discendenti baronali.

Si ipotizza che nel XIV secolo, sotto Nicola Janvilla, sia stata coniata anche unamoneta: un tornese in ramerecante al dritto una croce patenteed al rovescio il Castello con lalegenda “De Avelle do 2”.

Abella Romana

Abella romana era situatanella zona di San Pietro e avevasei porte: Porta Casale, versoTufino; Porta di Corte nel terri-torio di Sperone; Porta Venturanei pressi di Via Carmignano;Porta di Ponte, verso Est; Por-ta Riva nella zona di San Pie-tro; Porta Castello nei paraggidella chiesa di San Giovanni.

La disposizione urbanisticadi Abella romana si può intuiredalla disposizione delle stradedell’attuale centro storico dellamoderna Avella che, purtroppo,

Invasioni barbariche - Abella romana

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è stata costruita in gran parte sulla città antica. E’ risaputo che i Romanicostruivano le loro città e i loro accampamenti militari in maniera molto

caratteristica. Vi era un asse principale,sempre orientato da Est adOvest, detto decumanusmajor, affiancato da duestrade parallele secondarie,una per lato (decumani mi-nori). Dall’asse principale sidipartivano, poi, i cardini,disposti trasversalmente aiprimi e in numero variabile. Questa particolare dispo-sizione detta “a scacchieraippodomea”, derivava dal

modo in cui l’augure (l’indovino, interprete del volere degli dei ) delimitavail templum celeste (uno spazio circoscritto della volta celeste in cui “leggere”i presagi). Corso Vittorio Emanuele corrisponderebbe al decumanus major.

I cardines, partendo da piazza Municipio, sarebbero, sulla sinistra: viaRoma, viale San Giovanni, via Santa Croce, via Foro Avellano, via Molino esulla destra: via Carmignano, via Cardinale D’Avanzo, Via A. Buongiovanni,via San Nicola e via Cancelli. Probabilmente Piazza Municipio doveva esse-re lo stadio, mentre le necropoli erano poste fuori la città (Località S.Nazzaroe S.Paolino).

Il Cippus Abellanus

E’, forse, il reperto archeologico più importante di Avella, per il contributodeterminante dato alla conoscenza della lingua osca. E’ costituito da una pietra calcarea(larga m. 0,81 ed alta m. 1,83), risalente presumibilmente al II sec. a.C. e recanteun’iscrizione scolpita su due lati.

Questo reperto rappresenta uno dei più importanti documenti epigrafici in linguaosca, dai più ritenuta un’emanazione della lingua etrusca, risalente al periodo successivoalla seconda guerra punica; vi si trovano anche alcuni termini greci e latini.

Esso, secondo i primi archeologi che l’hanno studiato, era conficcato a terracome confine, probabilmente all’altezza del ponte di Schiava (frazione diCasamarciano e di Tufino). L’iscrizione, scolpita su entrambi i lati, risale proba-bilmente al II secolo a.C. e riporterebbe i termini dell’accordo tra Abella e Nolaper la regolarizzazione dell’uso comune del tempio di Ercole (non ancora riporta-

Avella. Località San Nazzaro.Tomba romana con scheletro

La scacchiera ippodomea - Il cippus abellanus

Avella

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to alla luce) e delle aree circostanti, adibite a mercato. L’ipotetica esistenza diquesto tempio sarebbe avvalorata da un recente ritrovamento (in localitàMontagnola, al confine traAvella, Schiava e Visciano)di due statuette bronzee raf-figurante il forzuto dio.

Altri archeologi, recen-temente, hanno messo indubbio sia l’originaria loca-lizzazione del Cippus sia ilfatto che, ad Avella, sia mairealmente esistito un tempiodedicato ad Ercole.

Il Cippus Abellanus fu rinvenuto secondo alcuni Autori nel 1685 tra lerovine del castello. Secondo altri, fu scoperto nel 1745 dal prete mugnanesedon Pasquale Bianco. Sembra, comunque, che fu il Remondini (ma non c’èaccordo neppure su questo) a portarlo, nel 1750, presso il Seminario Vescoviledi Nola, ove ancora si trova.

Nel 1984, durante uno scavo in località San Pietro, è stata rinvenuta una se-conda iscrizione osca, composta da tre frammenti.

L’Anfiteatro romano

Fu portato alla luce solonel 1976. Si trova nella zonadetta di San Pietro, nell’im-mediata periferia della cit-tà. Ha un diametro massi-mo di 90 metri.

Per grandezza e periododi costruzione può parago-narsi a quello di Pompei. E’tra i più antichi dellaCampania, fu costruito tra ilI secolo a.C. ed il II secolod.C.. Venne edificato in se-guito alla guerra sociale e ilsuccessivo insediamento diuna colonia da parte di Silla. Esso sorgeva all’estremità orientale del decumanusmaior (attuale corso Vittorio Emanuele), all’altro capo del quale era il foro (nelle

1) arena. 2) fossa per la custodia di fiere e attrezzature.3) canale di deflusso delle acque. 4) podio.5) ingresso per animali. 6) vomitori. 7) corridoi anulari.8) meniani. 9) matroneo. 10) velario.

Struttura di un anfiteatro

Monumenti Funerari (incustoditi)

L’anfiteatro romano

Avella

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vicinanze dell’attuale piazza San Pietro). Realizzato in “opus reticulatum” di tufo,ha forma ellittica, a doppia arcata. La struttura è appoggiata in parte alle muraperimetrali dell’antica città, e in parte ad un pendio naturale. La cavea presentatre ordini di gradinate: l’ima, media e summa cavea; di quest’ultima rimane soloqualche traccia. Contrariamente ad altri anfiteatri più recenti non presenta sotter-

ranei o cunicoli. Inol-tre, l’asse maggiore sipresenta traslato ri-spetto allo schemaurbano con cui si svi-luppò la città diAbella. L’anfiteatro pre-senta dei piccolitempietti dedicati adErcole, davanti aiquali si soffermavanoa pregare i gladiatori

prima dell’inizio dei combattimenti. All’arena si accedeva attraverso due porteprincipali: la “porta triumphalis”, orientata in direzione della città, e dal lato op-posto la “porta libitinensis”, dalla quale venivano portati via i gladiatori morti incombattimento. Una terza porta, ad ovest, era riservata ai giudici di gara.

L’Anfiteatro venne distrutto dai Sanniti nell’87 a.C. e poi fu ricostruito. Erasicuramente accessibile nel periodo medioevale, poiché all’interno del perimetrodella sua arena sono state trovate alcune tombe risalenti a tale epoca. Le pietre ditufo che costituivano le gradinate, nei tempi passati, sono state asportate ed utiliz-zate per altre costruzioni. Presumibilmente, inoltre, l’anfiteatro veniva allagatoutilizzando le acque del vicino torrente Clanio in occasione di rappresentazioni dibattaglie navali (naumachìe).

I mausolei

Sono tombe romane (epigee) o “monu-menti funerari” risalenti al periodo com-preso fra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.. Risul-tano posizionati sulle più importanti vie dicomunicazione che collegavano la città diAbella con Suessola (Acerra) e Calatia(Maddaloni), Abellinum (Avellino) e l’an-tica Nola, o nei pressi di ville rustiche.

Anfiteatro

Mausolei

I mausolei

Avella

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Pianta della fortificazioneA- Ingresso al borgoB- Ponte elevatoioC- Cinta muraria interna (longobarda)D- Cinta muraria esterna (normanna)E- Cisterna di raccolta d’acqua piovanaF- CappellaG- Donjon normanno (castrum)H- Torrione o Mastio angioinoI- Torretta aragonese

Ad Avella, i mausolei sono sparsi un po’ dovunque quasi sempre incustoditi ein rovina. Addirittura, alcuni diessi venivano utilizzati dagliagricoltori del posto, come ci-sterne o come case rurali: i me-glio conservati sono quelli inlocalità Casale. I monumentisono costituiti da due corpisovrapposti, con pianta inferio-re quadrangolare e superiorecircolare o poligonale, termi-nante in cuspide o sormontatada un’edicola. Sono costruiti in“opus incertum” e rivestiti constucco. All’interno è situatauna camera sepolcrale in cuiveniva collocata l’urna con leceneri del defunto.

I mausolei appartenevano,naturalmente, ai ceti sociali piùelevati e al cosiddetto “ordo”.

Il castello medioevale( “Castello Longobardo”, CastelloNormanno” o “di San Michele”).

Secondo la tradizione (manon tutti concordano) esso sor-gerebbe sulle rovine di un anti-chissimo tempio pagano consa-crato ad Ercole. Nel suo gene-re, è tra i meglio conservati dell’Italia meridionale. Costruito in posizione strate-gica, a 320 metri sul livello del mare, su una collinetta a nord-ovest della città,domina la valle sottostante e consente di godere del panorama fino al golfo di Napoli.

E’ raggiungibile grazie a una strada carrabile che, attraversato il torrente Clanio,si inerpica per la collina fino al Piano della Calcara, ove s’incontrano i primiruderi. Caratteristica peculiare di questa fortezza sono la tecnica di costruzionee i materiali usati. La manodopera locale dell’epoca, costituita da contadini abi-lissimi a costruire i muri a secco delle campagne, ma poco avvezzi a realizzaregrandi strutture, costrinse i costruttori ad utilizzare blocchi irregolari di pietra

Il castello medioevale

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calcarea locale tenuti insieme da malta, disposti secondo una tecnica costruttivache richiama, vagamente, l’opus incertum.

Attualmente restano due cinte murarie degradanti sul pendio della collina.Quella esterna, normanna, di forma rettangolare, è costituita da solide mura (1,5

metri di spesso-re) intervallateda otto torri qua-drangolari.

Queste, a duelivelli, sono mu-nite di strette fes-sure per la difesaed ornate conmerlature guelfe,che ne favoriscono

la difesa dall’alto. Questa prima linea di difesa racchiude un’area di circa 4 ettari epresenta, nella parte in basso a destra, un’apertura che consentiva l’ingresso al borgo.

La cinta muraria interna, più antica (VII sec d.C.), di forma ellittica, corri-sponde al primo inse-diamento longobardo eracchiude un’area di cir-ca 1,2 ettari.Essa comprende diecitorrette difensive (sei diforma tondeggiante equattro di forma qua-drata). Le torrette pote-vano ospitare, al mas-simo, due difensori.

Nella parte alta dellacollina si elevano le strutture meglio conservate e più imponenti dellafortificazione: il torrione (mastio o maschio) svevo-angioino, alto venti me-tri, e il massiccio donjon normanno.

Nel lato est della fortificazione, tra il torrione e il donjon, si apriva l’in-gresso principale del castello, costituito da un’apertura a sesto acuto, protettada un ponte elevatoio (di cui non vi è più traccia). Erano presenti anche unacisterna di circa 10 x 8 metri per lato e una cappella.

Alcuni avellani più anziani sostengono, infine, che vi sia un cunicolo sotterra-neo che condurrebbe fino all’altura delle Forestelle.

Le cinte murarie - Il mastio - Il donjon

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Un mosaico avellano

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In un documento spagnolo del 1529 esso è descritto come “Fortelezacon una tierra iunta disabitata; sobre un monte sta el castillo, mal tratadoaunque antiguamente era bello y grande”.

Un altro documento del 1603, così parla del castello: “...sopra un montedalla parte di occidente (vi è) lo castellocon la cittadella e palazzo... nel quale viè una torre grande con cortiglio. Unasala con otto camere in piano e moltaaltra comodità. Questa cittadella è mu-rata con dodici altre torrette attorno dettemure ... e dentro vi sono circa cento fochidistrutti e disabitati. Vi è anco la Par-rocchia e cisterna grandissima ... (e, inol-tre) vi si ponevano i carcerati di malavita...”.

Il castello venne abbandonato nel 1371ma, poi, fu fatto restaurare nel 1533 daPietro Spinelli.

A partire dal 1986, la struttura è statainteressata da vari interventi di restauro.

Gli ultimissimi lavori hanno portatoalla luce alcuni ruderi che, a quanto sem-bra, rappresenterebbero ciò che rimane dialcuni locali adibiti a stalle.

Il Cippo onorario L.E. Invento.

E’ un blocco di pietra calcarea databile attorno al 170 a.C. dedicato a LucioEgnazio Invento. Su di un lato, è visibile uno schema dell’anfiteatro (con ima,media, summa cavea e la doppia arcata) e, sull’altro, due lottatori.

L’Acquedotto romano (o “di San Paolino”).

E’ un acquedotto a cielo aperto, le cui vestigia sono ancora visibili lungo iltorrente Clanio (in particolare in località “Capo di Ciesco”).

Esso comprendeva due diramazioni: una, posta più in alto, che andava versoRoccarainola, e l’altra, più in basso, che forniva Avella e giungeva sino a Nola. L’ac-quedotto di San Paolino, fu costruito gratuitamente dagli Avellani (410 d.C.) su richiestadi San Paolino, per approvvigionare Cimiterium (Cimitile). Successivamente è stato adibitoper la funzionalità dei quattro mulini lungo la strada che ora costeggia il fiume Clanio.

Tombe ipogee

Il cippo onorario - L’aquedotto romano

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Altri reperti

Delle Terme sono state rinvenute solo misere tracce in via Foro Avellano,sempre nei pressi del fiume Clanio. Il Teatro non è ancora stato portato alla luce;alcuni pensano che doveva trovarsi nel territorio divenuto ora del comune di Sperone.

Nessuna traccia è stata rinvenuta di Ginnasio, Pretorio e Piscina. Sono statiinvece riportati alla luce importanti mosaici, come quello di “Edipo che uccideLaio” del I sec., (ora al Museo Nazionale di Napoli) ed altri rinvenuti (nel 1965)in Vico Luciano e in Via Cancelli.

Tombe ipogee, sepolte, monumenti e interessanti corredi funerari sono statiportati alla luce in località San Paolino (Circumvallazione, Via Fusaro), in loca-lità San Nazzaro e in altri numerosi siti.

Altri scavi hanno portato alla luce pezzi di antiche strade un po’ dovunque.Ugualmente importanti sono i reperti archeologici riguardanti vasi di argillafigulina (di influsso greco ed etrusco) e vari oggetti ornamentali: bracciali, fibulee ventagli. Non mancano vasi dipinti e monete, come ben sanno i “tombaroli”nostrani. Inoltre, due Aree Sacre sono state individuate in località ben precisate:sul Colle del Seminario e a Campopiano.

La prima località, nota anche per il ritrovamento di fossili di organismi mari-ni risalenti a ben 125 milioni di anni fa (cretacico), è una collinetta posta al limitetra i comuni di Avella, Tufino e Roccarainola. La seconda località è rappresentata

Acquedotto romano (ponte)

Mosaici - Aree sacre - Ritrovamento fossili marini

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da un bassopiano che si estende dalle colline di San Cataldo e delle Forestellefino a raggiungere i primi contraffortidell’appennino. In tali aree sono stati rin-venuti manufatti risalenti a varie epochestoriche, a partire dall’VIII secolo a.C..

Nel 1996, al confine del Comune diTufino (nei pressi della località Schiava),in seguito ai lavori di costruzione delmetanodotto italo-algerino, vennero allaluce i resti di una villa romana. Si pensache in quella zona (ponte di Schiava) sitrovi, coperto da pochi metri di terra,l’importante Santuario di Eracle (per igreci) o Ercole (per i romani), a cui fariferimento il Cippus Abellanus.

E’ stato già detto che accreditati Studiosisembrano dubitare dell’esistenza di tale santuario,ritenendo che il tesaurus per le offerte al dio potesse essere costituito anche da una sempliceurna di piccole dimensioni, non necessariamente collocata in un tempio. Ma insistenti vocidi paese, non confermate, riportate per pura cronaca, insistono nel ritenere che il “sottosuolo”di Avella sia molto più interessante di quanto gli archeologi ufficiali sembrano o voglianolasciar credere. Ma non è dato sapere di più. Su questi argomenti permane un silenzio datomba (romana). Anzi, da “tombarolo”.

Non sono improbabili, infine, futuri (o passati, ma non ufficiali) ritrovamentidi tombe dell’età sannitica, come quelle già portate alla luce nel vicino agro nolano.

Altre voci riferiscono, insistentemente, di ritrovamenti di un grossa pipa, forseetrusca, in bucchero (si veda la foto ad inizio capitolo, pervenuta via e-mail allaredazione de “La nuova Gazzetta”). Si tratta solo di uno scherzo o di un importanteritrovamento? Ogni lettore potrà farsi una sua personale idea. Ma, nel caso cheil reperto sia originale e veramente proveniente da Avella, cosa mai potevanofumare gli antichi avellani (etruschi o osci), visto che il tabacco è stato portatoin Europa dopo la scoperta dell’America (12 ottobre 1492)?

Forse la spiegazione deve essere ricercata in una certa raffigurazione su di unmisterioso e inafferrabile vaso (della cui reale esistenza non vi sono prove certe)rappresentante un uomo intento a cogliere foglie di vite. E, se si fosse trattato non diun disegno di una vite ma di una stilizzazione della cannabis? (*)

Al di là della fondatezza di tale ipotesi, resta certo che i ritrovamenti casuali (per lopiù in cantieri edili) e non, hanno alimentato un intenso e assai prospero commercioclandestino di reperti di ogni tipo.

Vaso Avellano. Regolarmente registrato.Proveniente da una collezione privata.

Il misterioso santuario di Ercole e la presunta pipa etrusca

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Piazza municipio 1920

Chiesa della SS.ma Annunziata eConvento dei frati minori

Chiesa di Santa Marina e Collegiatadi San Giovanni Battista

(si noti il ponte a tre arcate sul Clanio eil “passaggio” in pietra)

(*) non la Cannabisindica, naturalmente,che giunse in Europasolo qualche millenniodopo, ma la CannabisSativa, da fibra e dagranella, che pur aven-do una minore concen-trazione di THCrisulta ugualmenteallucinogena, e che dasempre è presente inEuropa. Giardino Livia Colonna. Statua del Dio Nilo.

Alcune vecchie foto di Avella

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Avella: i beni architettonici

La Chiesa di San Pietro, risalente al 1300, nell’antichità fu la cattedrale diAvella e sede del suo antico vescovato, che comprendeva anche gli attuali comunidi Baiano, Mugnano del Cardinale, Sperone, Quadrelle, Sirignano e Roccarainola.La prima citazione nota è del 1308 (come risulta dal libro delle Decimeecclesiastiche). A tre navate, fu costruita sulle rovine di un palazzo gentilizioromano, nella zona dell’antico foro avellano. Lo stile della costruzione è romanicocon influenze arabo-normanne. La chiesa com’è oggi risale al XVII secolo.Sull’ingresso è situato un bassorilievo marmoreo dell’età imperiale, provenientedal monumento sepolcrale di Lucio Sitrio Modesto. Una cappella annessacustodisce un bell’altare in marmo con colonne in porfido di colore verde anticoe, alle spalle di questo, un sarcofago sul quale è incisa in esametri latiniun’appassionata e bella iscrizione a Prenestina, consorte di Veio, che testimoniala fede dell’autore nell’immortalità dell’anima.

La Chiesa della SS.maAnnunziata, ad una sola navata,annessa al convento dei FratiMinori Osservanti, inizialmentefu dedicata alla Vergine degliAngeli e, nel 1725, fu intitolataalla SS.ma Annunziata. Edificatatra il 1580 e il 1589, presenta unsoffitto a cassettone e dipinti diGiuseppe Castellano. Vi siconserva gelosamente una“deposizione” in legno che si dice

copia del Rubens, un Sant’Antonio da Padova della scuola Salernitana, unbellissimo Crocefisso, un coro ligneo di G. Del Tito del 1625. Il suo chiostro èsorretto da colonne monolitiche, alcune delle quali provengono da palazzi omonumenti romani. Esso venne poi abbellito da A. Buongiovanni, artista avellano,con scene raffiguranti la vita di San Francesco. Al centro del chiosco, nel 1653,fu fatta scavare una cisterna da padre Giuseppe di Fontanarosa.

La Chiesa parrocchiale di S. Marina e Collegiata di San Giovanni Battista, fucostruita nel 1798 su una preesistente basilica paleocristiana che era stata fattaedificare dall’avellano Papa Silverio, nel VI secolo d.C.. Un documento del 1324ricorda il titolo della chiesa di S.Marina, che sorgeva ad Ovest dell’attualecampanile. Nello stesso sito vi erano anche l’antica Collegiata e la Cappella

Convento dei Frati Minori. Porticato.

La sede del Vescovato - Il Papa di Avella - Alcune chiese

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dell’Immacolata. Successivamente queste furono abbattute perché in pessimo statoe al loro posto venne edificata l’attuale costruzione.

Di stile vanvitelliano, caratterizzata dal campanile isolato, con il particolarecastello campanario originario in legno. A croce latina, ad una sola navata, fuabbellita da Papa Onorio e da San Gregorio. Notevoli l’altare maggiore in marmipolicromi e il sarcofago del cardinale Bartolomeo D’Avanzo. Nella sacrestia ècustodita una tavola di Cristo che versa sangue e su cui si legge l’iscrizione “DetiusTramontos facebat” (1581). Custodisce alcune tele settecentesche di N.Malinconico e O. Fischetti. La torre campanaria, restaurata nell’800, presenta iresti di alcuni affreschi tardo-trecenteschi. Di notevole interesse sono le acquasantieredel 1501, probabili resti dell’antica basilica fondata da Papa San Silverio.

Altre chiese

Tra le altre chiese, degna di menzione è senz’altro la Chiesa San Romano, checonserva una tavola su fondo dorato del XV secolo e un quadro della Madonna discuola leonardesca. Sulla destra della sua facciata è situato il campanile sorrettoda un’arcata sotto cui passa la strada.

Da segnalare, ancora, la graziosa chiesetta detta “dei sette preti” (già notacome Cappella di S. Maria delle Grazie e, poi, della SS.ma Visitazione di Maria),la piccola chiesina di Santa Candida, e la Chiesa del Purgatorio (frazione di Avella),ove si possono ammirare una scultura in marmo con un angelo benedicente,un’edicola sacra rappresentante l’Annunciazione e il soffitto dipinto raffigurantela SS.ma Trinità, la Vergine e le anime purganti (oltre al ritratto del canonicoDomenico Viola, che nel 1745 prese possesso della Chiesa e la ingrandì).

Complesso Palazzo Ducale-Giardino Colonna.

Di notevole interessearchitettonico è il Palazzo DucaleAlvarez De Toledo e il retrostantebel giardino vanvitelliano, detto diLivia Colonna. Il palazzo, oggi diproprietà del comune di Avella, èsituato al centro della cittadina. Fusede del Museo Archeologico diAvella, realizzato nel 1969. E’ unesempio di rara bellezzaarchitettonica della prima metà del XVI secolo. Ha pianta longitudinale e presentaai lati due torrette. Nel giardino, all’italiana, è presente una fontana marmorea

GiardinoLivia Colonna.

Palazzo Ducale - Giardino Livia Colonna

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rappresentante il dio Nilo(secondo altri, il fiumeClanio). Vi sono anche duepeschiere a forma direttangolo lobato, in mezzoal quale era presente ungigantesco platano secolaredi cui oggi non rimane che il tronco rinsecchito. Siepi di bosso delimitano i quattro

viali ortogonali e le gradevoli aiuole. Il palazzoappartenne agli Spinelli, ai Cattaneo, agli Orsinie ai Colonna. Conservato egregiamente fino allamorte del suo ultimo proprietario, conte AlvaroAlvarez De Toledo, fu danneggiato dal sismadell’80 e dall’incuria. E’ stato da pococompletato un accurato restauro dell’interocomplesso architettonico.

La Grotta di San Michele

E’una chiesa rupestre risalente al medioevo(VIII sec. d.C.). Un tempo era abitata da monacieremiti. Fu ricavata in una grotta naturale diorigine carsica, internamente risulta divisa in

tre cavità fra loro comunicanti, dette dell’Immacolata, del Salvatore e di SanMichele. In quest’ultima è presente un baldacchino barocco (1816) e, sopra l’altare,la statua dell’ Arcangelo. Vi sono, inoltre, numerosi affreschi di argomentoreligioso di chiaro influsso greco-bizantino (IX-XIV secolo d. C.).

Oggi è chiusa ai visitatori ma, pare, che stiano per partire i lavori direstauro (nell’ambito dei P.I.T., Piani Integrati Territoriali), grazie ancheall’interessamento della Curia Vescovile di Nola, proprietaria dell’antro.

Anni addietro vi si svolgevano suggestive cerimonie nella notte di Natale.

Avella moderna

E’ nata dalla fusione di almeno quattro piccole borgate, presenti giànel XIII secolo: Cortalùpini, Farrìa, San Pietro e Cortabucci. Infatti,almeno f ino ai primi anni ‘20, quest i quattro agglomerati eranochiaramente individuabili sulle piantine catastali dell’epoca. Solosuccessivamente sono andati a confluire, lentamente, in un unico grossoagglomerato urbano.

Grotta di San Michele

Palazzo Ducale

Grotta di San Michele - Avella moderna

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Avella: il folklore

La rappresentazione de“e’ misi”, la farsa de “’A zeza”, i balli e le musiche de“’O laccio d’ammore”, erano spettacoli itineranti legati ai festeggiamenti delcarnevale. Queste manifestazioni folkloristiche -ad esclusione di qualche lodevoleeccezione- non vengono più rinnovate ormai da molti anni.

Della Zeza e dei misi verrà riferito nel capitolo di Sirignano, ove si è assistitoad un recupero di queste tradizionali rappresentazioni.

‘O laccio d’ammore è ricomparso, in termini piuttosto semplificati erimaneggiati, in alcune sfilate di Carnevale tenutesi negli anni scorsi a Baiano.Ma la tradizione del “laccio (o palo) d’ammore” era particolarmente viva ad Avella,almeno fino agli anni ‘70 (foto sopra).

A memoria dei più anziani, il ballo “del laccio” vero e proprio era preceduto,di norma, da altri tre balli: il primo di questi rappresentava l’incontro tra i ragazzie le ragazze e mimava alcuni cenni di corteggiamento; il secondo, un ballo incerchio con un passamano, simboleggiava la ritrosia della ragazza; il terzo, in cuilo spasimante -fattosi coraggio con un buon fiascodi vino- porta la serenata alla sua bella che accettail corteggiamento, è costituito da una vivace polka.L’intreccio del “laccio d’ammore”, infine,rappresentava l’epilogo del matrimonio.

In altri anni, ‘O laccio d’ammore venivarappresentato solo limitatamente all’ultimo“movimento”: l’intreccio, vero e proprio.

Questa ballata popolare rappresenterebbe,secondo gli Autori più eruditi, un antico ritopropiziatorio degli antichi popoli di agricoltori e dipastori del mediterraneo.

Si tratta di una danza popolare attorno a un palo,dominato dal segno del “sole nuovo”, dal quale

‘O laccio d’ammore

Avella

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pendono 24 nastri policromi che -nel corso della danza- vengono incrociati,formando varie figure geometriche.

Il “Fucarone” di San Sebastiano si tiene il 20 gennaio, in occasione deifesteggiamenti del Santo Patrono. In tale occasione, normalmente, vengono anchetagliati e messi in vendita degli alberi (maio), ma quest’ultima tradizione haun’importanza piuttosto secondaria e non raggiunge gli apici del maio baianese.

Semplicemente, l’albero più alto viene eretto in piazza e attorno ad esso vieneacceso un falò.

In occasione dei festeggiamenti di San Pellegrino (25 agosto), si organizzanodelle sfilate di battenti che si portano (a piedi) fino ad Altavilla Irpina.

In passato, come già ricordato altrove, la notte di Natale si svolgevano dellesuggestive cerimonie nella Grotta di San Michele.

Avella, così come gli altri paesi del mandamento, hasubìto negli ultimi anni gli influssi della “globalizzazionedel folklore”. Ormai (ad Avella e altrove) si organizzanosagre prive di qualsiasi tradizione e di qualsiasicollegamento con le potenzialità del territorio. Di talimanifestazioni, che esulano dagli scopi di questo libro,non verrà dato alcun cenno.

La modella Lucia Barba, diAvella. Ha partecipato alle fasifinali del concorso di Miss-ItaliaEdizione 2001, classificandosifra le più belle ragazze d’Italia.

Clanio

Avella

‘O Fucarone - Il maio - I battenti

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A V E L L AAbitanti: 7.674 Avellani (al 21.10.2001)

Superficie territoriale: 3.038 ettariAltitudine sul livello del mare (min/max): 126/1.591 m

Altitudine sito casa comunale: 207 m slmScuole:

Asilo nido (statale)Scuole Materne (statali e non statali)Scuole Elementari (statali e non statali)Scuole Medie Inferiori (statali)Scuola Media Superiore: Istituto Professionale

Strutture sportive:Stadio Comunale, Campo da Tennis/calcetto. Palestre: scuole medie e scuole elementari.

Informazione e cultura:

Attività economiche:

Cittadini illustri:* Papa Silverio, nato ad Avella e fatto morire di fame, nel giugno del 538 d.C., dal

generale bizantino Bellisario, nell’ isola di Ponza ;* Cardinale Bartolomeo D’Avanzo (1835), già Vescovo di Castellaneta, di Calvi e di

Teano;* Frate Giovanni Trottola, celebre matematico del XVII secolo nonché insigne musicista;* Maria Giovanna Teresa Doria del Carretto, duchessa di Tursi e principessa di Avella

(1745), edificò un edificio carcerario in cui stabilì la divisione degli uomini dalledonne.

- “Il Meridiano” -Periodico fondato dal prof. Pierino Luciano (con sede a Nola);- “Clanion” edito dal Gruppo Archeologico Avellano;- Biblioteca Comunale, curata dal prof. Nicola Montanile;- Biblioteca dei Frati Minori, ubicata nel Convento «SS.ma Annunziata» con

vari manoscritti e testi di rilievo.- Antiquarium- Museo paleontologico ed archeologico (reperti locali).

- Industrie boschive (produzione legna da ardere);- Industrie trasformazioni alimentari (cherry, maraschino);- Aziende zootecniche: apicoltura - allevamento di bufali, ovini e caprini;- Agricoltura: olivicoltura e corilicoltura;- Turismo: ristorazione - alberghi (uno);- Industria produzioni elettroniche;- Industrie metalmeccaniche artigianali (tornitori);- Terziario: piccoli negozi - nessun supermercato;- Produzione orafa;- Edilizia.

- Misericordia del Baianese;- Expo Città di Avella: fiera dell’ industria, commercio, agricoltura e servizi

(l’ultima edizione non ha avuto luogo per problemi organizzativi).- Scouts- Stazione dei C.C.

Per altri dati demografici e statisticiconsultare il capitolo “aspetti demografici”

Dati essenziali

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Avella: risorse ambientali

Bosco del CiglioGrazioso bosco di faggi e cerri, di circa 50 ettari di superficie. A circa 12 Km dall’abitato.Vi si accede tramite la strada sterrata Castellone.

Cerreto Serra-PalumboCastagneto da frutto, con estensione di circa 15 ettari. Ideale per la raccolta dei funghi.Sito nella località omonima. E’ raggiungibile tramite la strada Percicati-Cucciarda, a circa7 Km dall’abitato.

CognuloArea di circa 6 ettari di estensione, ad un’altitudine di 600 metri slm, comprendente siaconifere che latifoglie e tratti rocciosi di un’aspra bellezza E’ raggiungibile tramite lastrada asfaltata Panoramica, a circa 5 Km dall’abitato.

ForestellaBosco ceduo di castagni, comprendente un’intera collinetta di circa 60 ettari. Vi si accedetramite la strada per Campopiano, a circa 2 Km dall’abitato.

PianuraFaggeto di circa 50 ettari di estensione, posto ad un’altitudine di circa 800 metri slm. Vi siaccede tramite la strada asfaltata Panoramica, a circa 12 Km dall’abitato.

Pineta del FusaroSita nella località omonima. E’ costituita da un’area adibita a verde attrezzato dell’estensionedi circa 3 ettari. Ideale per pic-nic. A circa 1,5 Km dal centro abitato.

SalmolaCirca 10 ettari di conifere e latifoglie, con ampi tratti rocciosi e soleggiati. A 600 metrislm, vi si accede tramite la strada Patricciano, a 6 Km dal centro abitato.

Vallone Serroncello-Fontanelle e torrente ClanioVallone dalla bellezza selvaggia con scoscesi rupi rocciose ai lati del torrente. Vi è unacaratteristica fonte di freschissima acqua. Sono stati realizzati di recente gradevoli spazi diverde attrezzato. In questa zona sono venute alla luce tracce dei primi insediamenti umani.

Cascata di Acquapendente

Grotta di San MicheleFormazione carsica, costituita da tre cavità. Custodisce alcuni affreschi di epoca bizantina.

Grotta di Camerelle di PianuraVi si accede tramite una stretta buca del terreno. Si apre alla quota di 900 metri, sul fianco orientaledel Vallone S. Egidio, in prossimità della fontana di Pianura. Si estende per circa 150 metri.

Grotta degli SportiglioniSi estende per circa 120 metri. Nel corso dell’800 è stata depredata di gran parte delle suestalattiti e stalagmiti (note come “pietra di Avella”). Situata più a monte delle grotte di SanMichele, lungo il Vallone Serroncello. Importante dal punto di vista biologico perché inessa vivono tre specie saprofaghe endemiche (un acaro, un collembolo e un coleottero).

Avella

Iinerari naturalistici

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L’Esagono

41 Avella

Itinerari turistici

Monti AvellaAcquapendente

Il castello negli anni ‘50

Grotte di S. Michele

Grotta di Camerelle di Pianura

sezione

pianta

pianta

sezione

Grotta degli Sportiglioni

Il castello sullo sfondo del Vesuvio-Monte Somma

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Benedetta Napolitano

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Baiano

Secondo alcuni Studiosi il nome di Baiano deriverebbe da praedium Vallejanum(Villa di Valleo) oppure da praedium Badianum (Villa di Badio), da cui per “cor-ruzione fonetica” si giunse a Vallejanum, Bajetaum ed infine a Baianum.

Poichè nello stemma del comune c’è una lettera V che inquadra un cervo, sipuò ipotizzare che Baiano sia derivato dal nome di Valleo, uno dei più insignicittadini della vicinaurbs Abella, vissuto aitempi del basso Impe-ro e discendente da unanobile e potente fami-glia romana.

Ma non è esclusoche Baiano, come ri-portato in una prece-dente pubblicazione(“La Città delBaianese”, diNapolitano e DeRosa) possa derivare semplicemente da Baianum, ovvero da Baia, la famosa loca-lità flegrea, costantemente presentata -nelle fonti antiche- come un luogo di de-lizie, a caratterizzare il quale si uniscono le bellezze naturali, la presenza di son-tuose ville e di grandiosi impianti termali e la “dolce vita” che vi si svolgeva.

Si potrebbe ipotizzare, quindi, che Baiano fosse un “luogo di delizie” per gliantichi avellani o che la villa prediale, da cui esso prese origine, derivasse da unqualche importante personaggio originario o proveniente da Baia, l’impero deivizi. Della località flegrea, Varrone nelle sue “Satire” dice: “Lì non solo le ver-gini divengono un bene comune, ma molti vecchi ringiovaniscono e numerosifanciulli si effeminano”. Marziale cita la località termale ammonendo che: “ABaia una donna arriva come una Penelope e ne riparte come un’Elena”, a sotto-lineare come neanche la più virtuosa delle donne riuscisse a sottrarsi alle lusin-ghe della costa flegrea.

Secondo questa ipotesi, quindi, Baiano doveva essere ben più di un semplicecasale di Avella. Ricco, un tempo, di importanti rovine. Infatti, secondo quantoriportato da Gianstefano Remondini, in alcune opere datate 1785-1797, Baianoviene indicato come: “…vetusta e popolata terra (2273 ab.), in cui si veggonoanche delle vestigia di antichi monumenti, infrante colonne, tronchi busti, e smi-nuzzate lapidi di marmo…”. La lettera “V” presente nello stemma di Baiano, diper sé non costituisce alcuna prova in nessun senso, in quanto potrebbe essere,

1911

Le origini del nome

Baiano

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L’Esagono

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semplicemente, il numero cinque in latino e stare a significare che Baiano era, inordine di tempo, il quinto possedimento di Avella, o il quinto “casale” che si eravenuto a costituire.

Di origini antichissime, questa cittadina presenta tracce di insediamenti umanirisalenti all’età neolitica. Databile all’età del Ferro (VIII-VII secolo a.C.) è unanecropoli, con tombe a fossa, rinvenuta all’altezza della località Cava, al confinecol comune di Avella.

Durante la guerra sociale, questo casale fu conquistato da Silla che loassegnò alla 47° Legione Romana (82 a.C.). Nell’anno 79 a.C. fu saccheggiatodall’esercito di Spartaco. Sotto l’imperatore Augusto, nella divisioneamministrativa della penisola italiana, venne assegnato alla tribù Galeria.Seguì, poi, le vicende della vicina Avella.

Caduto l’Impero Romano, questo nucleo abitato andò soggetto a numeroseincursioni barbariche (Alarico nel 410 d.C. e Genserico nel 455 d.C.). Insiemead Avella nel 589 d.C. entrò a far parte del Ducato di Benevento, retto dallongobardo Autari. Dopo nuove invasioni barbariche (prima i Saraceni e poigli Ungari) il casale passò al principato di Salerno e nel 1075 fu aggregato alPrincipato Normanno.

Considerato ancora “de pertinentiis Avellarum” nel XIII secolo, il casale diBaiano viene citato in “privilegi” di Papa Celestino nel 1197, di Papa InnocenzoIII nel 1203, in quellidell’Imperatore Federico II diSvevia nel 1250 e di PapaUrbano IV nel 1264. Già nel1210, comunque, cessa di esserecasale di Avella e comincia adessere tassato a parte. Dopo ladominazione normanna passòsotto il controllo degli Svevi diFederico II. Nel 1371 la ReginaGiovanna I donò il territorio diBaiano, insieme a quello di Avella, a Nicola Jamnvilla, conte di S. Angelo deiLombardi, la cui famiglia ne ebbe il possesso fino al 1427 allorché il feudo futolto a Marino Jamvilla dalla Regina Giovanna II che nel 1431 ne fece dono a SerGiovanni Caracciolo. Quest’ultimo lo concesse alla sorella Isabella dalla qualepassò, per matrimonio, a Raimondo Orsini.

Nel 1510 Enrico Orsini, conte di Nola, vi istituisce la Bagliva o “Corte Baiulare”e la dona, per compensarne i servigi, a Tommaso Mastrilli, nobile nolano, la cuifamiglia l’amministra fino al 1594, anno in cui essa viene ceduta ad Ottavio

1981

Insediamenti preistorici - Invasioni barbariche - Bagliva

Baiano

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Benedetta Napolitano

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Cattaneo. Poi, con decreto reale del 9.9.1605, fu assegnato alla Baronia di Avella,retta da Don Giovanni Andrea Doria. Il XVII secolo fu per Baiano (come per glialtri borghi della zona) particolarmente funesto a causa di un’epidemia diffusasi

nel 1635 e per la peste del 1656 che nedecimò la popolazione. Il successivo econsistente incremento demografico si ebbesoprattutto grazie all’accoglimento dinumerosi fuoriusciti dal Regno napoletano,alla fine dello stesso secolo.

Sembra che, nel corso del XVII sec., inun monastero di Baiano, si sia verificatoun misterioso suicidio di massa, in cuifurono coinvolte alcune decine di suore (LaCarità di Giulia, di Fabio Romano - Ed.Intra Moenia, Napoli. pag.368). Alla fine del XVIII secolo Baianorisultava appartenere ancora ai Doria, conMaria Giovanna moglie di Francesco Sforza

Visconti marchese di Caravaggio, che esercitò il proprio potere fino all’abolizionedella feudalità. Il territorio di Baiano acquistò l’autonomia da Avella tra la finedel XVII e il principio del XVIII sec., ad ogni modo prima del 1726 quando ottenne,con decreto reale, l’uso civico del bosco di Arciano. Nel 1757, il passaggio dellaVia Regia delle Puglie (fatta costruire da Carlo III di Borbone) costituì per Baianoun altro piccolo passo verso l’emancipazione da Avella, rimasta fuori dal tracciatodell’importante via di comunicazione.

La definitiva autonomia fu raggiunta agli inizi dell’Ottocento. In quel periodo,con l’emanazione della legge eversiva della feudalità da parte di GiuseppeBonaparte (1806) e a seguito della ripartizione dei beni baronali da assegnare inproprietà ai singoli comuni, si originarono, tra questi, aspre contese.

La commissione feudale fu molto benevola con Baiano, attribuendogli leproprietà di Arciano, Santo, Campimma, Carbonara e Torone. Questa situazionedemaniale finì per privilegiare il paese, favorendone la successiva e continuacrescita d’importanza.

Come avvenne per gli altri comuni vicini, esso fu incluso nella provincia diTerra di Lavoro (l’attuale provincia di Caserta) e compreso nel distretto di Nola(uno dei cinque in cui si divideva la provincia), circondario di Bajano (uno degliotto in cui si divideva il distretto).

Dopo il 1861, con l’Unità d’Italia e il conseguente nuovo assetto politico eamministrativo, passa alla provincia di Principato Ulteriore (o Principato Ultra),

Epidemie - Il suicidio delle suore - Affrancamento da Avella

Baiano

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distretto (o circondario) di Avellino,mandamento di Bajano.

In quel periodo (come abbiamo già vistonel capitolo “Storia e destino comuni”, e alquale si rimanda) il territorio fu interessato dalfenomeno del brigantaggio.

Nel 1888, il Principe di Sirignano,Giuseppe Caravita, vi fonda la Cassa PopolareAgricola di Baiano (primo istituto di creditoin provincia di Avellino).

Nel corso del XIX secolo Baiano andòincontro ad un forte incremento demografico,divenendo il centro più popoloso della zona.L’11 luglio 1885 fu inaugurata la ferroviaNapoli-Nola-Bajano. Il paese fu interessato daun consistente fenomeno migratorio, neiperiodi tra il 1860 e il 1866 e, più tardi, tra il1887 e il 1914, quando si verificò il grosso

dell’emigrazione italiana. Durante la seconda guerra mondiale, nei mesi disettembre ed ottobre 1943, Baiano subì alcuni bombardamenti aerei, cui seguì unamobilitazione generale della popolazione che, ripetendo il percorso fatto dai suoiantenati per sfuggire agli invasori medioevali, si rifugiò sulle montagne circostanti.

In seguito ai terremoti del 23 novembre 1980 e del 14 febbraio 1981 subì danniabbastanza seri. Più grave ancora fu la gestione del post-terremoto. Molti centristorici ed edifici importanti furono distrutti, come -ad esempio- il solidissimoedificio scolastico (posto a sinistra, nella foto sopra, e nella foto a pag.48).

Caratteristico è il quartiere antico di Baiano detto di ‘e Vesuni (i Visoni).Di sicuro, questo nome non ha nulla a che vedere con i simpatici animali dapelliccia. Alcuni Autori sostengono che esso possa derivare dai volti nonproprio da fotomodelli dei villici che vi abitavano nei secoli scorsi, deformatidagli stenti e dalle malattie. Questa fantasiosa versione non appare del tuttocondivisibile. Più plausibile si può ritenere la versione del prof. GalanteColucci, secondo cui il nome proverrebbe da una divinità osca, chiamataVesuna o Venusia, alla quale -forse- era stato eretto un tempio nel caratteristicoe antico quartiere. Questa affascinante ipotesi non è, però, suffragata da provedocumentarie né da rinvenimenti di ruderi.

Pare più probabile, invece (cfr. Napolitano-De Rosa, op.cit.), che in questoantico agglomerato urbano ci fosse un tempio dedicato a Giano bifronte. Comedel resto appare probabile che ve ne fosse uno più importante sulla montagna

Monumento dei caduti in guerra

Brigantaggio - Ferrovia - Il quartiere ‘e Vesuni

Baiano

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di Arciano (=Arx Janui,altura di Giano). Questadivinità viene solitamenterappresentata con duegrossi “faccioni”, da cui,appunto, Vesuni.

Tale ipotesi sembraessere avva lora ta da lfatto che, secondo quantoriferiscono i più anziani,molti antichi portali delquartiere dei Vesuni, presentavano in corrispondenza della “ chiave divolta” (la parte superiore dell’arco), l’effige di grossi “capoccioni”,scolpiti nella bianca pietra calcarea o nel più friabile e nero piperno.

Diversi elementi fanno ritenere che Baiano, in passato, dovesse essereparticolarmente soggetto agli eventi alluvionali. Lo stesso Corso, doveva esserestato, in tempi remoti, poco più che un lagno. Infatti, durante i lavori del 1930,con cui si costruì una parziale rete fognaria e si provvide alla lastricatura dellestrade principali, con “basolato” di pietra vulcanica (basalto), furono rinvenutesotto il piano stradale dell’attuale Corso le cosiddette “catene”: lastre di pietracalcarea usate per imbrigliare il deflusso delle acque. Inoltre, antichi cronistiriportano che Baiano: «... situato in luogo piano, (era) soggetto a continue alluvioni,per le grandi acque che calano da Summonte, dalla montagna della Tora, e dallealtre di Quadrelle e Monteforte...». I più anziani, a tale proposito, raccontano cheil tratto di strada che si trova fra la casa comunale e il monumento ai caduti venivachiamata ‘o malepasso, proprio per indicarne la pericolosità durante le piogge.

E’ noto, infine, che fino alla metà del secolo scorso durante la stagione invernalegli studenti che uscivano dal vecchio edificio scolastico (demolito dopo il terremotodel 1980) venivano aiutati a “guadare” la strada tramite un piccolo carretto.

Secondo una leggenda, fu proprio a causa di un miracolo occorso duranteun’alluvione che venne eretto il Santuario di Santo Stefano Protomartire.

Il titolo della suddetta chiesa viene ricordato fin dal 1308, nel libro delle DecimeEcclesiastiche. Essa sorge su una vecchia Cappella cimiteriale, ad un’unica navata,successivamente ampliata ed elevata al rango di Chiesa Madre, in seguito ad unmiracolo avvenuto nei primi decenni del 1700.

Si tramanda che, mentre i fedeli erano riuniti nella vecchia Chiesa Madre diSanta Croce per una funzione religiosa, si scatenasse un temporale così violentoda trasformare in una vera e propria fiumana la strada antistante la chiesa e in

1930

La lastricatura del corso - Il miracolo del 1700

Baiano

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palude i terreni retrostanti. Ebbene, sembra che, mentre i fedeli intrappolati sipreparavano al peggio, un provvidenziale raggio di luce penetrato attraversouna vetrata dell’abside, illuminasse un quadro di Santo Stefano e, riflettendosi sudi esso, indicasse ai presenti la via della salvezza. I Baianesi gridarono al miracolo evollero che a Santo Stefano, divenuto protettore del paese, fosse edificata una chiesa.Così, l’antica Cappella cimiteriale, ampliata a tre navate e ristrutturata, divenne lanuova Chiesa Madre dedicata a Santo Stefano Protomartire.

Il quadro del Santo finì, poi, a Sirignano dove probabilmente ancora si trova.Da alcuni documenti storici, conservati nella Curia nolana, si apprende che questachiesa funzionava da Parrocchiale già alla fine del 1586 (anno della visita pastoraledi Mons. Scarampi). La statua di Santo Stefano risale al 1750. Il Santuario furestaurato nel 1920.

La Chiesa della Confraternita di Santa Croce, dalla pregevole facciata in stilegotico, conserva un dipinto su tavola raffigurante l’Invenzione della Santa Croce,del 1610, realizzato da Pompeus Landolfus e pregevoli stucchi seicenteschi.

La Chiesa dei SS. Apostoli Giacomo e Filippo viene citata per la prima voltanel 1324. Presenta il caratteristico portone d’ingresso rivestito di lastre metalliche,risalente al 1794. All’interno si può apprezzare il pulpito in legno, con un affrescoraffigurante la Madonna delle Grazie e la pala dell’altare maggiore con un dipintosu tela siglato Galasso, raffigurante la Vergine col Bambino tra i SS. ApostoliFilippo e Giacomo e le anime purganti.

La Cappella della SS.ma Annunziata, del Seicento, è caratterizzata dallanotevole e pregiata struttura architettonica esterna, in piperno (pietra lavica).

Nel quartiere dei Vesuni è possibile ammirare la graziosa Chiesa di SanGiacomo, recentemente restaurata.

Ancora più recententemente (marzo 2002) sono stati riaperti, dopo un certosinorestauro, anche l’eremo e lachiesetta di Gesù e Maria,che verranno gestiti per 99anni dalla Curia Vescoviledi Nola.

Su questo colle, dal1400 al 1700, prima anco-ra che si chiamasse Gesùe Maria, si dice che furbiaccattoni esercitassero lastregoneria e messe sata-niche (sabbah), per ap- L’eremo prima del restauro

Le varie chiese - L’eremo di Gesù e Maria - I Sabbah

Baiano

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profittarsi degli ingenui contadini e pastori. Riti magici, vino, orge e qual-che erba medicinale consentivano a stregoni e fattucchiere di plagiare e disfruttare i poveri villici. Il fenomeno era diffuso in forma e misura diverse intutti i paesi vicini, in particolare a Quadrelle e ad Avella.

Sant’Alfonso dei Liguori (che fu, tra l’altro, l’autore di “Tu scendi dalle stelle”, laceleberrima canzoncina di Natale) combatteva tenacemente queste pratiche satani-che. Perciò, trovandosi in missione a Nola nel dicembre del 1756, venne in carrozzaad Avella e poi a Baiano. Qui, dopo aver predicato nella Chiesa di Santa Croce, chieseed ottenne che sul menzionato colle venisse edificata una chiesetta da dedicare a Gesùe Maria. Questa fu costruita tra il 1756 e il 1759 sui vecchi ruderi di un precedenteeremo (risalente al IV sec. d. C.). In seguito all’Unità d’Italia (1861) e alle leggi che

prevedevano la vendita dei beni ec-clesiastici, la piccola chiesetta ven-ne abbandonata, fu imposto il di-vieto di culto e le due statue di SantaLucia e di Sant’Aniello furono por-tate in paese nella parrocchia diSanto Stefano.

1918-19

1937

Si noti la fontana davanti all’edifi-cio scolastico. Essa fu successivamen-te spostata nella piazza IV novembre esostituita dal monumento ai caduti.

Sant’Alfonso dei Liguori

Baiano

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L’Esagono

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anni ‘30

Chiesa di Santa Croce

‘e Vesuni

‘e Vesuni

Alcune foto di Baiano

Baiano

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Le manifestazioni popolari più tipicamente baianesi sono concentrate nelperiodo natalizio. Esse si fondano su tradizioni ataviche e pagane, successivamentecristianizzate dalla “lungimirante” politica del clero.

La festività del maio baianese si svolge nel giorno di Natale e consiste,essenzialmente, nell’offerta a Santo Stefano Protomartire, protettore di Baiano,dell’albero più maestoso (maius=più grande) del bosco di Arciano.

Il folklore baianese

Il periodo natalizio, infatti, coincide -grosso modo- con il solstizio d’inverno (21dicembre), quando il sole sembra fermarsi nel cielo (da cui il nome “solstizio”) e le oredi luce giungono al minimo. Le antiche religioni, più sensibili ai ritmi della natura,festeggiavano in questo periodo la ripresa del ciclo astronomico. I romani, ad esempio,celebravano il Natalis Solis in onore del dio Mitra (personificazione del sole).

In tali credenze pagane, inoltre, affondano presumibilmente anche le radici dei“focaroni”, con cui gli antichi cercavano -ritualmente- di contrastare l’avanzare delletenebre.

Si tratta (analogamente alla festa dei gigli di Nola) dellatrasposizione religiosa di un’antica festa pagana dedicata aCibele; divinità della Frigia, il cui culto si diffuse prima in Grecia,poi, fra il IV e il III secolo a.C., nella Magna Grecia e,successivamente, nella nostra regione.

Sul Monte Partenio (Montevergine) sorse un tempiodedicato alla “grande madre” Cibele, che venne chiamatoParthenios (da “vergine”) dai greci e Cibellinus dai romani. Ifesteggiamenti della dea si celebravano in primavera con ritiorgiastici ed erano intrecciati con il culto di Attis, il giovanetanto amato dalla dea e da questa trasformato poi in pino. Perricordare questo giovane nume, il 22 marzo ( giorno successivoall’equinoziodi primavera), si portava in processione un grandepino che, essendo sempreverde, simboleggiava l’immortalità(o, più precisamente, la morte e la rinascita) di Attis.

I giorni successivi erano dedicati a festeggiamenti dal ritualespiccatamente orgiastico e lascivo, con cui le plebi partecipavanoalla ripresa vegetativa (primavera) della Natura e al rinnovo ditutto il Creato. Nei secoli seguenti il culto di Cibele si indebolìsino a sparire del tutto. Sulle rovine dell’antico tempio, sembra

tra il VI e il XII secolo d.C., si insediò e si consolidò una comunità cristiana e venne edificata una cappelladedicata alla Vergine, da cui prese origine l’attuale Santuario di Montevergine. La festa pagana, però, sopravvisseed il vecchio albero di pino venne sostituito da grossi alberi, dalla indiscutibile simbologia fallica, che fino al1700 venivano portati per le strade di Nola, prima di essere “cristianizzati” ed essere trasformati nei più famosie pittoreschi gigli dedicati a San Paolino. A Baiano la festa del maio venne traslata dall’inizio della primaveraal mese di dicembre, a Natale.

La tradizione pagana legata ai riti orgiastici e gaudenti di Cibele sembra però riemergere, in manierapresumibilmente più casta e in chiave più ecologica, nelle antelucane “passiate a Montevergine”, chehanno luogo nei mesi di maggio e di settembre, in cui schiere di ragazzi e ragazze dei centri del Baianeses’incamminano, nottetempo, per i sentieri montani, alla volta del Santuario di Montevergine in allegra,rumorosa e goliardica compagnia.

Il maio - Il mito di Cibele - Le passiate a Montevergine

Baiano

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L’Esagono

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I preparativi della grande festa collettiva del maio iniziano con la Novena diNatale, consistente nelle cosiddette messe ‘e notte, che si celebrano alle cinquedi mattina, dal 13 dicembre -giorno di Santa Lucia- fino alla vigilia di Natale.

Gruppi di ragazzi e ragazze, una volta finita la messa, fanno il giro del paesecantando- oltre alle classiche canzoni natalizie- la più tipica ‘Oi Stefanì (vedi apag. seguente)

La sera della vigilia, dopo il tradizionale cenone, dal centro storico di Baiano(quartiere Vesuni), ove è allestito un piccolo presepe, parte la processione delBambin Gesù. Una folta folla di fedeli segue la processione (senza prete)

per le strade del paese, tra musiche e spari di tradizionali fucili adavancarica (schioppi, o “scuppette”, e archibugi) impropriamentedenominati carabine, di tracchi e (una volta) di “mascarielli”.

La processione si conclude nella Chiesa di Santa Croce, dove il parrocoaccoglie i fedeli e celebra la Santa Messa.

Alle cinque del mattino successivo (giorno di Natale), nella Chiesa di SantoStefano Protomartire, si celebra la Messa che si conclude con la benedizione diattrezzi, carabine e delle squadre di persone (una volta quasi tutti boscaioli) chesi recheranno a tagliare il maio nel bosco di Arciano. Qui giunti (a bordo dicamionette, e poi a piedi) gli uomini scelgono l’albero di castagno più bello e piùgrande e vi incidono le lettere S.S.(iniziali di Santo Stefano) ed esplodono alcunicolpi in segno di festa.

Fattosi ormai giorno, il maio viene abbattuto e sfrondato (lasciando -però- lafrasca apicale) per poi essere trasportato fino a valle, insieme a tutti i rami ed allesàrcine e sarcinelle (fascine) raccolte sul posto. Giunti al paese, fra un

‘E mascarielli erano costituiti da unachiave femmina e da un chiodo tenuti insiemeda uno spago. Nel foro della chiave venivamessa della polvere da sparo e poi il chiodo.

La percussione del “mascariello” controun muro, dal lato del chiodo, provocava ilbotto.

‘E messe ‘e notte - Processione del Bambin Gesù

Baiano

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3) Sott’o braccio, a ccore a ccore ‘mbri-

acat ‘ e passione, nce ne jamme ‘o fucarone chesta sera Stefa-

nì. E là ‘nnanz’ ‘a chellu fuoco, ie te giuro tutt’o bbene, tut-

t’ammore che me vene d’’a stu core mio, pe’ tte. E... viene, sì --

--- ecc..

Questa canzone , composta nel 1928 per una donna (Stefanina), diventò poi l’inno di Santo Stefano.

Spartito di Oi Stefanì

Baiano

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L’Esagono

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indescrivibile tripudio di spari e botti di ogni genere, uniti ai canti dedicati alSanto, si unisce al corteo l’Antico Gruppo Avancarica Baianese (fondato nel

1993). I proprietari delle“carabine” (alcune dellequali sono vere e propripezzi d’antiquariato)danno vita, quindi, ad unaspettacolare gara diabilità.Le vecchie carabine

borboniche vengonocaricate (anteriormente)con polvere nera (di tiporinculante e non esplosiva,

come ci assicura l’armiere Stefano Lippiello). Per ovvii motivi di sicurezza, lacarica viene effettuata solo con polvere da sparo, senza aggiungere le palle dipiombo. Lo sparo produce una vera spettacolare fiammata, seguita da una vera epropria nuvola di fumo.

Il forte rinculo dell’armaviene attenuato da un sapientemovimento rotatorio dellebraccia, talora un tantinoesagerato dalla estrosità e dallasensibilità coreografica dello“sparatore”.

Il maio, portato con uncarro trainato da cavalli, sulpiazzale antistante il Santuario, viene innalzato -a mo’ di obelisco- con unacomplessa e spettacolare operazione. La base del maio viene fatta scivolare dal

carro direttamente nell’appositabuca al centro della piazza, mentrerobuste funi vengono calate dallasommità della facciata dellaChiesa e legate all’estremità dellungo tronco. Altre due funi (chelo tengono dritto) vengono tiratelateralmente. Indi, il grande alberoviene issato a forza di braccia e conuna tecnica collaudata per decenni.Secondo una tradizione che si

Antico Gruppo Avancarica Baianese

Moschetto

Moschettone degli ussari

Trombone della marina

Alcune repliche di armi borboniche ad avancarica,realizzate dall’armeria Lippiello Stefano di Sperone

Carabine

Baiano

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Benedetta Napolitano

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tramanda da padre in figlio, un agile e temerario giovanotto si arrampica -poi-fino in cima al maio per liberarlo dalle funi.

Fino ad una decina di anni fa, a questo punto seguiva un enorme fragoreprodotto dagli spari di fucili e doppiette caricati a pallini, diretti contro la cimadel maio. Lo scopo era quello di colpire alcuni barattoli che venivano appesi allafrasca apicale. In seguito questa tradizione venne abbandonata e si cominciò asparare solo verso i rami. Oggi, non viene più consentita né l’una né l’altrausanza, per comprensibili motivi di sicurezza. Ma ciò non impedisce ai “focosi”baianesi di far esplodere le “trecce” di fuochi pirotecnici appese precedentementeall’imponente albero di castagno.

A circa un’ora di distanza dall’innalzamento del maio, un centinaio di ragazzie ragazze (ancora praticamente a digiuno) cominciano a girare per tutta Baianoper fare incetta di fascine, pezzi di vecchi mobili e di quant’altro possa fungere

Foto dei primi del ‘900

Fontana Vecchia

La raccolta delle sàrcine

Baiano

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L’Esagono

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da “combustibile” per il fucarone (falò) che sarà acceso in serata. Il tutto vieneportato, in varie riprese, nello spiazzale antistante il Santuario. Ma al gruppo deigiovani “raccogli-legna” non viene consegnata solo della legna: al loro festosopassaggio, tra canti, balli e spari di tracchi, la gente cala dai balconi decine dipanettoni e di bottiglie di spumante, ai quali la squadra di raccoglitori non mancadi rendere onore. Allegramente rifocillati, i giovani continuano il loro giro finoad incontrarsi, nella piazza del municipio, con gli “sparatori” di carabine. Questigli impediscono scherzosamente il passaggio, dando vita ad una pittorescaesibizione di spari con la carabina. I “raccoglitori”, per farsi strada, rispondonocon scariche di tracchi e di rauti. E’ una vera e propria battaglia fino all’ultimogranello di polvere pirica!

In serata, sempre nello spiazzale del Santuario di Santo Stefano, vienefinalmente acceso un suggestivo “fucarone”, tutt’intorno al maio (ma a una certadistanza). I Baianesi, naturalmente, non si lasciano sfuggire questa occasione perdare vita ad un nuovo tripudio di spari e tracchi. Anticamente le donne usavanoportare a case un pò di brace del focarone, poiché ritenevano che il fuoco del“fucarone” fosse sacro.

Il giorno seguente (26 dicembre) è il giorno di Santo Stefano e i festeggiamentiproseguono con la processione e, al pomeriggio, con la vendita del maio.

La caratteristica principale del maio baianese resta, comunque, la sentita etotale partecipazione popolare all’evento folkloristico-religioso pari, per intensità,solo alla manifestazione dei battenti di Santa Filomena, di Mugnano del Cardinale.

Altre tradizioni da segnalare sono: la sfilata dei battenti, che si tiene il 3 diagosto; le scampagnate del mercoledì in Albis a Fontana Vecchia e le gite fuoriporta del martedì in Albis all’ameno eremo di Gesù e Maria.

In passato si svolgeva a Baiano anche un’importante Festa del vino. Nell’ultimodecennio, infine, si tengono a Baiano delle manifestazioni carnevalesche di buonlivello, comprendenti sfilate di carri allegorici e balli (vi sono stati anche deitentativi di riproposizione del “laccio d’ammore”).

Il fucarone - I battenti - Fontana Vecchia - Gesù e Maria - Carri

Baiano

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Manifestazioni folkloristiche

Baiano

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L’Esagono

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FESTA DEL VINO

Sopra. 1910.’E Stefanini. Fanfaretta di Santo Stefano:suonava delle marcette durante il maio.

Sotto. La Villa Comunale di BaianoLa Casa ComunaleIl monumento dei caduti

1921

Altri contributi fotografici

Baiano

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B A I A N OAbitanti: 4.658 Baianesi (al 21.10.2001)

Superficie territoriale: 1.225 ettariAltitudine sul livello del mare (min/max): 174/796 m

Altitudine sito casa comunale: 191 m slmScuole:

Asilo nido (non statale)Scuole Materne (statali e non statali)Scuole Elementari (statali)Scuole Medie Inferiori (statali)

Strutture sportive:Stadio Comunale, Campo da Tennis/calcetto. Palestre: scuole medie e scuole elementari.Moderno Palazzetto dello Sport.

Informazione e cultura:

Attività economiche:

Cittadini illustri:* Mons. Agnello Renzullo, Vescovo di Nola e poi di Filadelfia;* Prof. Vincenzo Bocciero, avvocato e parlamentare, direttore archivio di Stato di AV;* Dott. Giuseppe Lembo, finanziere, uomo politico e medico;* Avv. Giuseppe Lippiello, amministratore comunale e provinciale;* Canonico Don Stefano Boccieri, professore al Seminario Vescovile di Nola, parrocodi Santo Stefano, cameriere segreto soprannumerario di Sua Santità presso il Vaticano,autore di un saggio agiografico su Santo Stefano e di due raccolte di novelle.

- Biblioteca Comunale

- Industrie boschive (produzione legna da ardere);- segheria legno tropicale- Industria trasformazioni del nocciolo (clamorosamente “sfuggita” alle rilevazioni

del Piano di Sviluppo della Comunità Montana)- Aziende zootecniche: bovini, ovini e caprini;- Agricoltura: olivicoltura e corilicoltura;- Turismo: ristorazione ;- Industrie metalmeccaniche artigianali (tornitori);- Terziario: piccoli negozi e supermercato;- Produzione componenti elettriche ed elettroniche;- Artigianato: produzione di “sporte”- Edilizia.

Varie:- Comando di Compagnia dei Carabinieri;- Casa di Cura “Villa Maria”;- Guardia medica, medico condotto ASL;- Caserma Guardia di Finanza;- Uffici del Corpo Forestale dello Stato;- Sede del Ce.S.A. (Centro di Sviluppo Agricolo, ex-Ispettorato Agrario, già Ce.Zi.Ca);- Sede della Comunità Montana (la sede operativa è stata trasferita a Quadrelle);- Capolinea della Circumvesuviana (1885) - Casello Autostrada A-16 (1965).

Per altri dati demografici e statisticiconsultare il capitolo “aspetti demografici”

Dati essenziali

Baiano

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L’Esagono

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Baiano: risorse ambientali

Bosco di ArcianoSito nella località omonima, a circa 400 m slm, bosco di ceduo castanile di circa200 ettari. Accesso dalla strada Carcara e dalla via omonima, a circa 3 kmdall’abitato. Vi crescono ottimi funghi. Questo bosco, a lungo conteso fra Mugnanoe Baiano ha più volte, con i suoi castagni, sottratto alla morsa della fame e delfreddo i nostri avi. Inoltre, è famoso fra i fitopatologi di tutto il mondo perchéproprio qui, per la prima volta in Italia fu rinvenuto un pericoloso fungo(microscopico) parassita: l’agente del cancro della corteccia del castagno, orasotto controllo.

Casone-ArcianoBoschetto di conifere di circa 3 ettari.

Piano della CisternaVasto altopiano di circa 20 ettari di castagneto da frutto. Ideale per funghi, a circa8 km dall’abitato.

Foto aerea del 1996

Itinerari naturalistici

Baiano

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Mugnano del Cardinale

Il toponimo Mugnano deriverebbe, secondo alcuni Autori, dalla divinità GioveAmmone di cui, anticamente, doveva sorgere un tempio alle falde del colle delLitto (Lyctus). Secondo altri, invece, esso proverrebbe da Munianus, una villaprediale appartenuta ad un romano di nome Munio.

E’ certo, comunque, che Mugnano abbia origini molto antiche. Infatti (cfr.Napolitano e De Rosa, op. cit.), antichi Studiosi riferiscono che, ai loro tempi (fine

‘700), era ancora possibileosservare i ruderi delle«…torri con gli spalti e letorricelle avanzate sullascoscesa del burrone diPontemiano detta “la difesa”,e le mura di cinta ed alcunitratti di un cunicolo».

E, riferendosi allalocalità Litto, ci tramandanoche: «veggonsi… i ruderi dimolte fabbriche (fabbricati)…vestigi di antica gran

torre, di alcuni molini ad acqua … e poco distante una sorgente di acqueleggere, salubri e limpidissime».

Si ritiene che il castello svevo del Litto (ora ridotto ad un misero ammasso diruderi), sia stato edificato su una più antica fortificazione di epoca romana, a suavolta eretta sui resti di una precedente fortezza fatta costruire dai Greci Calcidiesi(provenienti dalla città cretese di Lyctos e che avevano stabilito una potente colonia aCuma), i quali fra il V e il IV secolo a.C. colonizzarono i territori di Nola, Avella,Avellino e Benevento. Quasi sicuramente Mugnano ebbe anche un’era Sannitica.

Esistono, poi, incontestabili evidenze di una “Villa Caesarana”, di epocaromana, che sorgeva sull’altura del Morricone, sul sito che poi sarebbe statoutilizzato per la costruzione della chiesa dei SS. Pietro e Paolo, prima, e delCenobio di San Pietro a Cesarano, poi.

Secondo quanto tramandano antichi Studiosi, durante i lavori di costruzionedi questo monastero (1641) furono rinvenute alcune tubature in piombo chedovevano far parte, evidentemente, dell’impianto termale della villa gentilizia.Nel corso degli stessi lavori sarebbe stata rinvenuta anche una statua in marmo,raffigurante un vitello, prontamente distrutta perché ritenuta l’effige di un idolopagano. Fu ritrovato anche un bassorilievo rappresentante “il prosperoso senodelle dea Cerere e i numerosi serpenti che lo circondavano”.

Castello Svevo del Litto. Ruderi.

Le origini del nome - Il castello del Litto - La Villa Caesarana

Mugnano del Cardinale

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L’Esagono

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Nel 1749, dallo stesso sito archeologico emersero altre importanti traccedell’antica Villa romana. Nel giardino del convento furono rinvenuti un mosaicoe alcune fondamenta di mura. Ci si accorse, inoltre, che i pilastri laterizi chereggevano le volte dell’antichissima chiesa dei SS. Pietro e Paolo (risalente al VIsecolo d.C.) altro non erano che i resti dell’antica Villa Caesarana.

Infine, antiche ed autorevoli fonti documentarie assicurano che, a Mugnano delCardinale, siano stati : “... in ogni tempo scoverti e poi distrutti per ignavia o ignoranza,sepolcri laterizi, con entro scheletri e monete e vasi fittili e idoletti e fibule e anelli, etanti altri oggetti di non dubbia antichità osca, etrusca, greca e romana”.

Viene comunemente accettata la tesi che l’attuale Mugnano del Cardinale derividalla confluenza di più nuclei abitati, di origine ed età diverse: Litto, rione Cardinale,rione Archi, Pontem Mianum (o Pontem Mignanum) e Camillanum. Quest’ultimonucleo abitato si trovava tra l’attuale Mugnano del Cardinale e il bosco di Arciano(zona della Circumvallazione o Via San Silvestro). Di esso è fatta menzione in un“privilegio” di Papa Urbano IV del 1264 (cfr. capitolo su Quadrelle).

Ponte Miano era posto oltre il cimitero del paese, andando verso Monteforte,nella zona della prima grande curva (‘o ponte ‘e vascio), dall’altra parte del vallonedella Difesa. Esso, in antico, costituiva il confine tra i possedimenti di Avella e quellidel santuario di Cibele (nda. futura Montevergine) e, nel medioevo, tra il feudo avellanoe quello di Monteforte. Sembra che da qui, nei primi anni del 1200, quaranta famigliesi trasferissero a Mugnano (il cui nucleo primitivo probabilmente già esisteva).

Tra Pontem Mianum e rione Archi, doveva esistere un altro piccolo agglomeratodetto Pucciano (Pupianum). Esso era situato nella zona dell’odierno cimitero,

S. Pietro a Cesarano

Pontem Mianum - Camillanum - Rione Archi - Pupianum

Mugnano del Cardinale

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Pontem Mianum

fatto costruire nel 1856. Il rione Archi che tanto ha fatto discutere (e,inspiegabilmente, finanche litigare) gli Storici locali, deve presumibilmente ilsuo nome al fatto che si trova su una piccola salita (Arx = altura).

La prima notizia documentata (pergamena n. 219 dell’ Archivio diMontevergine) dell’esistenza di Mugnano del Cardinale, risale al 1135.

Altre pergamene, diepoche diverse -conservatenel medesimo MonasteroVerginiano- sembrano farriferimento a Mugnano delCardinale, definendoloFundum mammulleianum.

Litto e Ponte Mignano (oPonte Miano) furono diproprietà di Riccardo IScillato, sotto l’alta signoria

del feudatario di Monteforte, perlomeno dal 1272. Nel 1312 il feudo fu cedutoall’Abbazia di Montevergine in cambio di altre terre che i monaci possedevano aSan Marzano (San Mauro). Per la precisione lo scambio avvenne con “San Mauroe i molini di Nocera”. Questa permuta fu voluta dal monastero di Montevergineper gestire direttamente le lucrose entrate delle taverne, delle bettole e dei luoghidi ristoro posti lungo la strada che passava per Mugnano e Monteforte, e lungoquella che passava per il Litto, che -dopo nove miglia di sentiero tra i boschi-giungeva sino a Montevergine.

Nicolò Orsini, conte di Nola, ottenne in fitto le terre di Litto, Pontemianoe Quadrelle, ed alla fine del trecento le incorporò nella baronia di Avella,unitamente a Monteforte.

Le sorti di Mugnano, frattanto organizzato a Universitas (ndr. una sorta dicomune), si intrecciano con quelle di Raimondo Orsini, marito di IsabellaCaracciolo ed alleato di Marino della Leonessa in una guerra alla Badìa diMontevergine. Il Papa Martino V scomunicò gli usurpatori e fece restituire tuttii possedimenti alla Badìa.

Allora Mugnano, chiamato Mugnano di Montevergine, divenne un feudodell’Abbazia di Montevergine e fu indicato nei documenti con la dicitura: “hominescasalis Mugnani”.

Nel quattrocento, l’Abate feudatario Palamides lo cedette al Cardinale UgoneLusignano, cognato della regina Giovanna II, e Mugnano entrò a far parte dellaCommenda di Montevergine.

La “Commenda” era un istituto ecclesiastico grazie al quale una chiesa o un beneficioprivi di titolare venivano affidati, “raccomandati”, ad un importante personaggio.

Le origini

Mugnano del Cardinale

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Procaccia

Il Cardinale Commendatario governava Mugnano tramite i suoi delegati,monaci anch’essi, e Giovanni d’Aragona commendatario tra il 1466 e il 1485,figlio del re Ferdinando D’Aragona, fece costruire il palazzo del Cardinale.

Il centro abitato assunse, così, il nome di Mugnano del Cardinale.Successivamente il palazzo cardinalizio venne trasformato in una grandeforesteria, denominata il Procaccia. (In tempi a noi più vicini esso fu utilizzato,prima come deposito di carbone e, poi, come sala cinematografica, denominataCinema Partenio).

Storici dell’epoca narrano che, prima che fosse costruita la Via Regia dellePuglie, « … qui (davanti al “Procaccia”) terminava la strada rotabile in piano, ecominciava la mulattiera, che, ripida e sassosa, ma confortata da svariatispettacoli naturali e bellissimi paesaggi, si inerpicava su per le balze e per leforre del celebre Partenio. Qui si lasciava la vettura per la cavalcatura, eviceversa…».

Di qui «...nel verno del 1497 … (passò) una nobile schiera di Cavalierinapoletani, per venire incontro e scortare il cardinale Alessandro Carafa,arcivescovo di Napoli, il quale reduce dal Santuario (di Montevergine), recavaseco le preziose reliquie di San Gennaro, guadagnate a quei monaci riluttanti.Era il 13 gennaio, e nel rigido e sereno meriggio invernale fu visto dai monti diMugnano, bianchi di neve, discendere (per la mulattiera) in lungo ordine

Procaccia - San Gennaro

Mugnano del Cardinale

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serpeggiante il sontuoso corteo…». La notte del 13 gennaio del 1497, le sacrespoglie di San Gennaro, sostarono nel menzionato palazzo d’Aragona del rioneCardinale. Nel 1511 la commenda di Montevergine passò alla Casa dell’Annunziatadi Napoli (A.G.P., Ave Grazia Plena) per circa 300 ducati.

Nel 1641 -come già accennato- venne fondato (dal prete missionario MicheleTrabucco) il Cenobio di San Pietro a Cesarano, dei Padri Pii Operai. QuestoIstituto esercitò una funzione altamente morale sulle popolazioni di questecontrade, tra il Seicento ed il Settecento, quando epidemie e carestie funestavanoqueste terre.

L’apertura della Via Regia delle Puglie (1757), costituì un decisivo fattore dicrescita economica per Mugnano del Cardinale, che divenne un importantecrocevia commerciale tra le Puglie e Napoli. Da Mugnano venivano esportati isalumi in Puglia e da qui giungevano formaggi, olio e bovini. Risalgono a

quell’epoca i primissimi salumificiartigianali, mentre per le prime vereindustrie bisognerà aspettare iprimi del Novecento. Altre attivitàdi una certa importanza erano,come nei paesi limitrofi, lasericoltura (allevamento del bacoda seta), la coltivazione dellacanapa da fibra, l’allevamento delbestiame e lo sfruttamento deiboschi per legnami, carbone ecastagne.

Nel Palazzo d’Aragona (o delCardinale) venne istituito unufficio postale e una delle piùimportanti barriere daziali delRegno, che raccoglieva dazi, tassee balzelli di tutte le provincie

dell’entroterra. Perciò, tale palazzo venne da quel momento chiamato “delProcaccia”. Bettole, osterie, industrie e attività di ogni tipo sorsero lungol’importante arteria stradale e molte case gentilizie furono costruite in quell’epocadi vero e proprio “boom economico”.

Nel 1799 al passo del Gaudo (tra Mugnano e Monteforte) e al ponticello delrione Cardinale si svolse un’importante e cruenta battaglia tra giacobinirepubblicani e sanfedisti realisti, di cui è opportuno dare qualche cenno.

San Pietro a Cesarano

Mugnano del Cardinale

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Via Casa Canonico. 1918.

Nel convento di San Pietro a Cesarano era stato confinato, fin dal 1793, ilsacerdote calabrese Don Antonio Jerocades (uno dei maggiori esponenti delmovimento massonico e giacobino meridionale), che con il suo indiscutibilecarisma aveva raccolto proseliti in tutti i paesi della valle.

Quando, il 23 gennaio 1799, in seguito agli eventi della Rivoluzione Francese,l’esercito Francese entrò a Napoli e vi proclamò la Repubblica, i patriotimugnanesi, guidati da Jerocades, furono i primi in Irpinia ad istituire il Municipiorepubblicano e le milizie civiche, e a piantare (nel rione Archi) l’Albero dellaLibertà (simbolo della repubblica partenopea). Come sempre succede nellerivoluzioni, vi furono anche violenze e saccheggi incontrollati.

Nel nostro mandamento erano presenti, comunque, anche numerosi realistifiloborbonici. Tra questi è opportuno menzionare Michele Mario Bisesti diMugnano del Cardinale; Pietro Foglia di Baiano; i sacerdoti Michele d’Aciernoe Biagio Cassese (a Sirignano) e don Saverio Bisesti (del Cardinale), che,segretamente, si preparavano alla restaurazione della monarchia.

Avvenne che il 7 maggio i francesi ritirarono da Napoli gran parte delle lorotruppe per mandarle al Nord a soccorrere i soldati impegnati contro gli austro-russi, abbandonando larepubblica partenopea (mairichiesta né eletta dal popolo).Vi furono insurrezioni un po’dovunque, spesso, soffocatenel sangue.

Il generale repubblicanoAgamennone Spanò (il giorno20 o 21 maggio) passò unaprima volta per Mugnano (ovevenne accolto con grandi onori)per raggiungere le Puglie ericongiungersi con la colonnadel generale Federici. Ma,giunto ad Avellino, ebbe notiziache Foggia era stata presadall’esercito sanfedista delcardinale Ruffo, perciò decise diritornare a Napoli.

La notizia della sconfitta deiRepubblicani a Foggia, giuntaa Mugnano la sera del 27maggio, mise in azione tutti i

1799: scontro tra Giacobini e Sanfedisti

Mugnano del Cardinale

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reazionari filoborbonici, che discesero armati a Sirignano, Avella, Baiano,Sirignano, Sperone (allora ancora casale di Avella), dando una caccia spietataai repubblicani e abbattendo ovunque l’Albero della Libertà per sostituirlocon la Croce della Santa Fede.

La plebe tutta e gran parte dei repubblicani si affrettarono a cambiare bandierae a ridiventare filoborbonici.

Il giorno seguente (28 maggio), il generale Spanò, ignaro di quanto accaduto,ritornò verso Mugnano ma fu attaccatoall’altezza del Maisone e subì ingentiperdite. Riuscì ad entrare a Mugnano ead operare una rappresaglia. Ma unamoltitudine di profughi proveniente daMontoro, Sanseverino e Mercogliano,giunse in soccorso ai Mugnanesi e lirifornì di armi e munizioni. Costoro siriorganizzarono e scacciarono irepubblicani di Spanò. Inoltre, una partedi essi (raggiunti dai realisti di Baiano edi Sirignano) si andarono ad appostaresul ponticello del Cardinale e quiprepararono un’altra micidialeimboscata ai giacobini. Secondo le fonti storiche, la battagliadurò circa cinque ore e non meno di

cinquecento uomini rimasero sul campo, numerosi furono anche i feriti. Ilgenerale Spanò riuscì, travestito, a mettersi in salvo ma la “colonnacampana” da lui comandata, composta da circa ottocento soldati, era statacompletamente annientata. Nel combattimento si distinse, tra i realisti, ilmugnanese Camillo Speltra.

Non tutti i mugnanesi cambiarono bandiera. Si tramanda, infatti, che quandoil 10 giugno giunse, diretto a Napoli, il cardinale Ruffo, un certo AntonioNapolitano, di indubbia fede repubblicana, dall’alto della sua abitazioneall’altezza del ponte Figlioline (nel rione Archi), ebbe l’audacia di sparare uncolpo di schioppo in direzione del menzionato cardinale, senza però colpirlo, e diriuscire a fuggire verso il bosco di Arciano, per riapparire solo nel 1806, quandoritornarono i francesi.

Famosissimo è il Santuario di Santa Filomena, la cui storia inizia alla fine delsecolo XVI, quando la comunità mugnanese, con il ricavato del taglio della selvademaniale delle Vallicelle, diede inizio alla costruzione della chiesa di Maria Santissima

Rione Cardinaleprimi del ‘900

Il Santuario di Santa Filomena

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delle Grazie che, circa due secolidopo, sarebbe divenuta il Santuariodella giovane Martire, onorata evenerata in tutto il mondo.

In origine, l’edificio religiosoaveva un solo bellissimo campanile,posto sul lato est. Alto più di 58 metri,a terrazze quadrate fino a circa la metàdell’altezza, la parte superiore diforma ottagonale, terminante con unacupoletta a pera, portante in cima una palla di bronzo dorato, a sua volta sormontatada una banderuola e dalla croce. Il 30 maggio 1673 il campanile fu danneggiatogravemente da un fulmine, ma fu prontamente ricostruito. Ma ciò che nonriuscirono a fare gli eventi naturali (come spesso è accaduto nella storia di Mugnanoe dell’intero mandamento) lo fecero gli uomini. Infatti, tra il 1850 e il 1860, pervolere del marchese d’Avalos, la chiesa della Madonna delle Grazie fu restauratae il bellissimo campanile fu abbattuto non per essere ricostruito com’era, ma peressere sostituito dalle due, modestissime, torri campanarie che ancora oggi si vedono.

Il 25 maggio 1802, durante gli scavi nelle catacombe di Priscilla, a Roma, furinvenuto il corpo di una giovanissima martire, di circa dodici o tredici anni:Santa Filomena. Don Francesco De Lucia (1772-1847), sacerdote pio e colto diMugnano, trovandosi a Roma l’8 luglio 1805, chiese e (grazie alla mediazionedel suo amico Mons. Bartolomeo De Cesare, Vescovo di Potenza), ottenne, dalPapa Pio IX, il corpo della Santa bambina.

Il 10 agosto 1805 le reliquie della Santa fecero il loro ingresso trionfale emiracoloso nella città di Mugnano del Cardinale. Le cronache raccontano che

«...all’arrivo delle Sacre reliquie, al Cardinale diMugnano, un avvenimento straordinario sconvolsel’entusiasmo della folla: un vento impetuoso si scatenòall’improvviso per placarsi di colpo quando il piosacerdote Don Francesco De Lucia esortò la folla a nonaver paura perché si trattava del vano tentativo delleforze del male che tentavano, inutilmente, di ostacolarel’arrivo della Santa. Con la meraviglia di tutti, le candeleardenti davanti all’urna della Martire non furono spentedal forte vento». Numerosi altri miracoli, verificatisi successivamente,contribuirono alla repentina diffusione del culto dellaSanta in tutto il mondo.Maria Cristina di Savoia

Santa Filomena

Mugnano del Cardinale

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Giunsero a Mugnano, per adorare la Santa, vescovi, arcivescovi e, il 7 novembre1849, lo stesso Pontefice Pio IX, per essere stato guarito da una grave malattia.Vi vennero, inoltre, l’imperatrice del Brasile Maria Teresa; la regina Maria Isabellamoglie di Francesco I; la regina di Francia Amalia Borbone moglie di Luigi Filippo;la regina Maria Cristina di Sardegna vedova di Carlo Felice, l’infante di Spagna; il reFerdinando II e la sua prima moglie Maria Cristina di Savoia (poi diventata beata),che volle farvi costruire un’educandato.

Grazie alla devozione per Santa Filomena, Mugnano fu citato da alcunigrandi scrittori come Alessandro Dumas e Marino Moretti (la cui madre,di nome Filomena, era devota della giovane Martire).

Nel 1838 venne costruito “lo stradone”, in terra battuta. Nel 1847 il re delleDue Sicilie, Ferdinando II, devotissimo di Santa Filomena (si narra che venne aMugnano non meno di una settantina di volte) fece allargare e pavimentare questogrande viale, abbellendolo da due filari di alberi di tiglio. Fu allargata la piazza,che all’epoca era occupata da “rurali casamenti” e fu costruito un imponente edificioche ospitò per alcuni anni le suore della Carità (e che poi divenne Palazzo Rega).

Questo edificio occupava l’angolo formato dal lato est della parte alta dellostradone e dal lato sud della piazza. Il 7 novembre1849, il papa Pio IX, da unbalcone di questo edificio benedisse la folla acclamante.

L’11 gennaio 1853, sorse, attiguo al Santuario, il maestoso edificio a tre pianiche poi ospitò l’Istituto Maria Cristina di Savoia (e, negli anni ’70 del XX secolo,il Liceo Scientifico “P.S. Mancini”, sezione distaccata di Avellino).

Le suore della Carità vi si trasferirono immediatamente, abbandonando ilvecchio edificio che, verso il 1870, fu acquistato “con tenue pecunia” dal SenatoreGiuseppe Rega.

Quest’ultimo edificio avrebbe poi avuto una lenta decadenza, fino ad esserecompletamente distrutto “dagli eventi postsismici del terremoto del 1980”.

Palazzo Rega

Maria Cristina di Savoia - Papa Pio IX - Post-terremoto del 1980

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Il salame di Mugnano

A Mugnano del Cardinale si producono salumi da tempo immemorabile,quantomeno fin dall’epoca romana. E’ risaputo, infatti, che i Romani (che colo-nizzarono anche questo territorio) conoscevano bene le tecniche di conservazionedelle carni tramite essiccamento, salagione e affumicamento. In passato, si produ-

cevano salumi, a livello casalingo, in tutti i paesi delmandamento. Antichi Cronisti ci informano di un fiorentecommercio di salumi mugnanesi con le lontane Puglie, giànel corso del XVI° secolo. I primi veri e propri salumificisorsero, però, solo agli inizi del XX° secolo, a Quadrelle. Mugnano del Cardinale divenne l’indiscussa patria deisalumi nostrani solo nel corso del secondo dopoguerra.Vi operano, attualmente, circa una dozzina di aziende acarattere prevalentemente artigianale. Parte di esse stan-no tentando, con gli auspici dell’amministrazione comu-nale, di riunirsi in un consorzio che possa tutelare latipicità del prodotto, favorire la realizzazione di impian-

ti di dimensioni più adeguate alle mutate esigenze produttive e mettere in attotutte le politiche (economiche e di marketing) necessarie per dare un nuovo im-pulso a questo importante settore produttivo.

Si stima che il fatturato annuo del comparto si aggiri attorno agli 80 miliardi divecchie lire (circa 40 milioni di euro). Nel comprensorio non esiste una suinicolturalocale, per cui la materia prima deve essere acquistata altrove.

Alcuni salumifici adoperano ancora carnefresca, altri solo mezzene congelate. Attualmen-te, vengono lavorate circa 3000 tonnellate di car-ne suina, acquistata al nord Italia o all’estero(Francia, Germania, Austria, Inghilterra e Spa-gna), al prezzo di circa 2,50 euro al chilogram-mo. I prezzi di vendita all’ingrosso si aggiranoattorno ai 4,50 euro al chilo mentre quelli al con-sumo variano tra i 7,50 e i 9,50 euro al chilo.

Qualche salumificio adopera, nell’impasto,anche carne proveniente da tagli “più nobili”(coscia e longissimus dorsi) che solitamentevengono utilizzati per la produzione, rispetti-vamente, di prosciutto e di coppa (o capocollo).In questo caso, la consistenza del salame si av-vicina a quella della “soppressata”. affumicamento

Un prodotto da valorizzare: il “salame tipo Napoli”

Logo del Consorzio

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Normalmente, per l’insaccaggioviene utilizzato l’intestino tenue dibovino (raramente quello di suino),in nessun caso vengono adoperatibudelli artificiali.

A Mugnano del Cardinale si pro-ducono vari tipi di salumi (pancet-ta, salsicce, capicolli , salami,soppressate e prosciutti) ma il pro-dotto principe è, senz’altro, il cosid-detto “salame di Mugnano” o “salame tipo Napoli”, dalle particolari caratte-ristiche organolettiche e gastronomiche.

La tipicità del prodotto deriva dai tagli di carne impiegati, dalla specificità delleformulazioni (rapporto tagli magri/tagli adiposi, quantità di cloruro di sodio, nitrato dipotassio o salnitro, spezie, tipo e quantità di zuccheri), dall’impiego di microrganismiautoctoni (lattobacilli, micrococcae, lieviti, enterobatteri non patogeni), dalla tradi-zionale tecnica di asciugamento con fumo e, soprattutto, dalla particolare lavorazioneartigianale, eseguita dalle espertissime insaccatrici o “suppressatare”.

A proposito della presunta “loquacità” delle simpaticissime suppressatare, i mugnanesi hannoconiato il proverbio: «’E suppressatare: comme taglian’ ‘e suppressat’, accussì taglian’ pure ‘ecristian’» che -tradotto lliberamente- sta a significare: «così come tagliano i salami, così “tagliano”(con la loro affilatisima lingua) pure le persone.

«Un possibile sviluppo del comparto salumiero potrebbe essere quello di creare ex novo altriprodotti che, in futuro, diventeranno tipici. Ad esempio, si potrebbero allevare razze suine più rustiche(come la Casertana, la Cinta Senese, la Siciliana ed altre), che possano pascolare e “grufolare”liberamente, castagne, radici ed altro. Con la macellazione di tali animali si possono ottenere prodottidal gusto particolare che possono trovare una loro collocazione negli agriturismi e in una cucinarurale orientata al soddisfacimento di un turismo di nicchia. Il tradizionale salame di Mugnano, pur con l’indispensabile adeguamento delle strutture, dovrebbecontinuare ad essere prodotto e stagionato in maniera tradizionale: modernizzare troppo la produzionepotrebbe condurre alla perdita delle caratteristiche organolettiche del prodotto.».(dagli appunti del dott. agr. Pellegrino De Rosa)

‘e suppressatare

quann’ s’accirev’ ‘o puorco

La tipicità del salame di Mugnano del Cardinale

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Il folklore mugnanese

La tradizionale sfilata de«‘E Vat t ient i ‘e SantaFilumena», risalente al 1934,rappresenta la manifestazionefolkloristica più importante diMugnano del Cardinale.

I battenti sono vestiti con ma-glia e pantaloni bianchi adornaticon una fascia rossa (vedi foto) erigorosamente a piedi scalzi. Ma,contrariamente a quanto farebbe pensare il nome, i “battenti” nostrani (intelligen-temente) non si flagellano affatto, come invece fanno i “flagellanti” o “’e fuienti”di altre zone del meridione d’Italia. Le manifestazioni di Mugnano del Cardina-le (e degli altri centri del mandamento) sono molto più solari e allegre.Ciononostante, l’evento è molto sentito dai fedeli.

Questa tradizionale marcia si tiene la seconda domenica di agosto, in occasio-ne dei festeggiamenti di Santa Filomena (amatissima dai mugnanesi, almeno quantola Madonna delle Grazie, che è la Patrona di Mugnano del Cardinale).

Si tratta di un miscuglio tra sacro e profano che, talora, assume interes-santi aspetti sociologici e antropologici che andrebbero meglio analizzati.

La sfilata dei battenti

Mugnano del Cardinale

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Benedetta Napolitano

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Prendono parte a questa manifestazione persone di ogni età e di ogni estrazio-ne sociale; lo studente, l’operaio, il politico, il collaboratore ecologico e an-che «…qualche piccolo delinquente che –mentre prepara un’altra malefatta-spera, con questa performance “atletico-religiosa” di farsi perdonare di quelleprecedenti». Vi partecipano anche alcuni vecchietti, che nei giorni normali siaiutano col bastone, ragazzi e ragazze nel pieno del loro vigore fisico e –solo perqualche metro- minuscoli bambini, anche di pochi mesi- portati teneramente in

braccio dai loro sudatissimi papà.Lo spettacolo è veramente sug-

gestivo. Un vero e proprio sciamedi persone parte da Cimitile e -apiedi scalzi sull’asfalto rovente-avanza per chilometri, sotto il solecocente e senza interrompere mai ilpasso, per giungere dopo circa treore di marcia al Santuario della San-ta. A Mugnano vi sono due squadredi battenti.

La “prima squadra”, più numerosa, è composta da quasi un migliaio difedeli. Prima di giungere al Cardinale si unisce, in coda al corteo, la cosiddet-ta “barca” (un quadro di Santa Filomena posto su una piattaforma abbellita dacolonne e nastri), portata a spalla da alcuni battenti (che, a differenza di tuttigli altri, indossano fasce azzurre).

Quando i primi battenti giungono al ponticello del Cardinale, viene sparatauna prima scarica di fuochi pirotecnici a cui fa seguito una seconda salva di colpiallorquando essigiungono ai piedidello scalone delSantuario.

Qui i battenti siinginocchiano peralcuni minuti, insegno di devozione.Poi –sempre in gi-nocchio- salgono loscalone e striscianofino all’urna dellaMartire ove depon-gono dei ceri (alcu-ni dei quali di di-

Santa Filomena

I battenti: la prima squadra

Mugnano del Cardinale

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L’Esagono

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mensioni veramente ragguardevoli). A distanza di circa mezz’ora, giunge la “se-conda squadra” composta da circa trecento battenti. La sfilata si conclude versomezzogiorno e ad essa segue la celebrazione della Santa Messa.

Già in mattinata, verso le nove, erano giunti i battenti di San Pellegrino daAltavilla Irpina. E, dopo di loro, quelli di Bitonto (Bari).

Negli ultimi anni, i battenti di Altavilla hanno arricchito la coreografia,portando sulle spalle -per la salita dello “stradone”- una piattaforma con so-pra una ragazzina di dodici-tredici anni, che rappresenta Santa Filomena (laSanta Bambina).

I battenti di Santa Filomena, a loro volta, ricambiano la visita a San Pellegrino,il 24 agosto.

Ad Altavilla Irpina, entrano prima i battenti Mugnano del Cardinale, poi ledue compagnie provenienti da Avella, seguite da quelle di Roccarainola, diManocalzati, e, per ultima, da quella di Altavilla.

La Seconda squadra - Il gemellaggio con Altavilla Irpina

Mugnano del Cardinale

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A Mugnano del Cardinale, come in tutti i paesi del mandamento, si perpetuaanche la tradizione del maio.

Il 10 gennaio, verso le sei mattina, i membri del Comitato per i festeggiamentidi Santa Filomena, partecipano alla Santa Messa e ricevono la benedizione del

Rettore di Santa Filomena, donGiovanni Braschi, che –uscito dalSantuario- benedice anche gli au-tocarri e le attrezzature.

La colonna di automezzi viene“scortata” dalla banda musicalefino al rione Cardinale, dopodichési porta in montagna (località Litto,Cerreta, Faitiello) per andare a ca-ricare i mai, già tagliati da qualche

giorno. Normalmente, vengono abbattuti circa una decina di alberi.Essi non vengono innalzati, ma sono semplicemente venduti per contribuire

alle spese per la Festa di Santa Filomena. Dopo aver caricato i mai sui camion, gliuomini si trattengono in montagna per partecipare ad un luculliano banchetto a basedegli ottimi e tipici salumi locali, innaffiati con generose quantità di buon vino.

Verso le cinque o le sei del pomeriggio, preceduta dal crepitìo di tracchi, rauti ecastagnole, e dallo strombazzare dei clacson, giunge in paese la colonna di camioncarichi di alberi che sporgono oltre la motrice, come canne di grossi cannoni.

Sul primo automezzo del corteo, generalmente, prendono posto alcuni musicanti,muniti di tamburi, trombe e piatti che intonano ritmiche canzoni napoletane.

Gli altri uomini,“armati” di sacchi at raco l la p ien i d itrik-trak , lancianofuochi a r t i f ic ia l itutt’intorno.

Dopo aver attra-versato la Nazionale,la chiassosa e festantecolonna di automezziimbocca lo “stradone”e giunge nella piazzaadiacente al Santua-rio, dove gli imponenti alberi vengono scaricati per poi essere venduti.

In certi anni (vedi foto sopra), alcuni mai vengono tirati a forza dibraccia, per brevi tratti.

Il maio

Mugnano del Cardinale

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L’Esagono

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Il fucarone a Mugnano del Cardinale viene acceso il 13 dicembre, giornodi Santa Lucia. Per quanto riguarda le festività religiose è d’obbligo citarequantomeno la festa di SS. Maria delle Grazie, la Patrona di Mugnano. Aquesta Santa i mugnanesi sono così legati da fare il possibile -da qualsiasiparte del mondo si trovino- per essere presenti a Mugnano nel giorno dellacelebrazione della festa (2 luglio).

Una tradizione ancora viva è quella delle scampagnate a Gesù e Maria, unachiesetta del XV secolo, situata incollina. Il martedì in Albis interefamigliole o comitive di giovani,partecipano prima al rito religioso chesi celebra nella graziosa chiesetta dapoco restaurata e poi si trattengono aprender parte a tavolate nelle campagnecircostanti o a romantiche ed ecologicheescursioni alla pineta di San Pietro o,più sopra, “all’acqua del Litto”.

Negli ultimi anni, al rione Cardinale, sta prendendo piede la simpaticausanza di allestire -nel periodo natalizio- un grazioso presepe. Tutti si auguranoche questa bella iniziativa possa prendere piede e perpetuarsi di anno in anno,migliorando sempre di più.

In occasione del Carnevale anche a Mugnano si svolge la farsesca celebrazionedel funerale del Re Carnevale.

A Mugnano del Cardinale questa tradizione risale agli inizi del secolo, quandole “soppressatare”, le operaie addette alla lavorazione dei salumi, la organizzavanocome una sorta di rito propiziatorio di un futuro anno felice e laborioso. Essepartecipavano al rito vestite di nero, piangendo, urlando e disperandosi -naturalmente per finta- per la morte di Carnevale.

Negli ultimi anni, purtroppo, anche questa tradizione è andata affievolendosi,come accade un pò ovunque nel mandamento, a beneficio delle tante sagre e dellefeste “d’importazione” (del tipo di “Halloween”, di origine celtica-statunitense,che ricorre la notte tra il 31 ottobre e il primo novembre).

Da menzionare la rassegna culturale Arte Sotto le Stelle, che si svolge nei primi giorni disettembre, nel caratteristico quartiere di Cordaràura. Questa suggestiva manifestazione, laprima del genere nel mandamento di Baiano, è nata nel 1997, per volontà dell’Assessore Prof.Stefano D’Apolito e del Sindaco Prof. Giovanni Colucci.

Durante i cinque giorni della manifestazione si tengono convegni, rappresentazioni teatrali,mostre di opere d’arte, presentazioni di libri e incontri con importanti personaggi nazionali edinternazionali (ad esempio il regista Ettore Scola, nel 2000, e il “presidente” Biagio Agnes,nel 2001), grazie anche alla fattiva collaborazione del collega giornalista dott. Enzo Pecorelli.Uno degli scopi di questa importante manifestazione è il recupero del centro storico e delletradizioni delle nostre terre.

‘O fucarone - Gesù e Maria - Arte sotto le Stelle

Mugnano del Cardinale

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76Mugnano del Cardinale

Il palazzo del Cognulo

Turri Turri

Angelo Bianco (Alias “Turri Turri”). «... Era stato condannato per un omicidio a sco-po di furto, aveva passato una decina di anni in carcere, ed era stato liberato nel genna-io 1859. Era ancora sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di presentarsi ognigiorno al capo-urbano di Mugnano; ma Turri Turri profittò dei disordini successiviall’impresa garibaldina, e si dette alla macchia con altri mugnanesi. [...] Turri Turri,che dai Borbone non aveva avuto che processo e carcere, improvvisatosi “campioneborbonico”, andava in giro impugnando una bandiera borbonica. Riuscì a formare unabanda di circa trecento briganti. In un giorno dell’agosto del 1862 fermò una carrozzaproveniente da Avellino, e chiese ai quattro viaggiatori atterriti: viva chi? Uno di essirispose “viva Vittorio Emanuele”. Turru Turri spianò la carabina e lo fulminò. Gli altritre, vista la fine del loro compagno di viaggio, si affrettarono a rispondere “viva Fran-cesco”. Le milizie mandamentali di Baiano ed una compagnia di bersaglieri si miseroalla caccia dei briganti su per le montagne mugnanesi. Il generale Pinelli che coman-dava la divisione di Nola ed era rigido esecutore degli ordini di Cialdini, quando per-lustrava la via delle Puglie, se incontrava una persona che non sapesse lì per lì dareragione della sua presenza, non esitava a comandare ai suoi soldati: “Fusilé, fusilé”.La popolazione era stretta tra i briganti e la legge marziale. Un brigante della banda diTurri Turri, incontrata una ragazza mugnanese che era stata fidanzata e che lo avevalasciato, non esitò a puntare contro di lei il suo schioppo e la stese a terra. Turri Turriaveva un macabro capriccio, bruciare i baffi o la barba delle persone, perché barba epizzo potevano significare simpatia per Vittorio Emanuele. Altra sua impresa: s’imbatténella banda musicale di Avella; i bandisti avevano un’uniforme con berretto rosso; ilrosso garibaldino faceva infuriare Turri Turri, che sequestrò berretti e strumenti. Poila schiera si assottigliò ma il capo rapì Filomena di Pietro, una bella massarottamugnanese, la portò in montagna e la possedette, sotto gli occhi dei suoi fratelli, Raf-faele e Filomeno della Mammana. La donna e i suoi fratelli per vendicare l’oltraggiouccisero Turri Turri; gli segarono la testa mentre dormiva. Era la fine di dicembre1862. I superstiti furono catturati e passati per le armi un mese dopo, il 31 gennaio1863». (La presente nota è stata tratta da: G. De Matteo “Brigantaggio e Risorgi-mento - legittimisti e briganti tra i Borbone e i Savoia” A. Guida Editore, Napo-li.2000)

Il brigante Turri Turri

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MUGNANO del CardinaleAbitanti: 4.910 Mugnanesi (al 21.10.2001)

Superficie territoriale: 1.214 ettariAltitudine sul livello del mare (min/max): 223/1.406 m

Altitudine sito casa comunale: 280 m slmScuole:

Scuole Materne (statali e non statali)Scuole Elementari (statali)Scuole Medie Inferiori (statali)

Strutture sportive:Stadio Comunale, Campo da Tennis/calcetto. Palestre: scuole medie e scuole elementari.

Informazione e cultura:- Biblioteca Comunale- Centro Informagiovani

Attività economiche:

Cittadini illustri:* Rev. don Paolo D’Ippolito, Superiore della congregazione dei Preti Missionari di SanPietro a Cesarano, nel 1697; autore della biografia del rev. don Michele Trabucco;* Senatore Giuseppe Rega, deputato e senatore del Regno, contribuì allo sterminio delbrigantaggio nel nolano. Dopo il 1860 fece istituire a Mugnano una Scuola Normalefemminile, annessa al Santuario di Santa Filomena;* Don Francesco De Lucia, primo rettore del Santuario di Santa Filomena, portò aMugnano le sacre spoglie della Santa bambina;* Avv. Camillo Renzi, Commissario di Pubblica Sicurezza ad Aosta, Comandante delleguardie del corpo di Sua Altezza Reale Maria José. Patriota e partigiano;* Michele Criscuolo (1881-1911), pittore.

- Produzione salumi tipici (salame di Mugnano, salame tipo Napoli);- Industrie trasformazione alimentari (funghi, pomodori, ciliege, albicocche, sottaceti);- Industrie boschive (produzione legna da ardere);- Industria tessile;- Agricoltura: olivicoltura e corilicoltura;- Allevamenti ovini;- Turismo: ristorazione;- Terziario: piccoli negozi e supermercato;- Artigianato: produzione di ceramiche;- Edilizia.

Varie:-Casa per anziani

-Festival canoro “voci nuove”

Per altri dati demografici e statisticiconsultare il capitolo “aspetti demografici”

Dati essenziali

“Monete” fatte coniare nel1869, dal mugnanese donSanto Bellusci. Valevano“una giornata di lavoro”.

La foto ci è stata fornita dalprof. Giovanni Colucci,Sindaco di Mugnano delCardinale.

Mugnano del Cardinale

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Faio della ToppaGrazioso bosco di faggi di circa 50 ettari situato a 1150 m slm. E’ raggiungibiletramite la strada del Litto, a 12 Km dall’abitato.

CerretaDi circa 40 ettari, è situato nella località omonima a 650 m slm. Si accede dallastrada del Litto, a 9 Km dall’abitato.

MorriconeBosco di ceduo di castagno di circa 30 ettari di estensione. Vi si accede dallastrada del Litto, a circa 4 km dal centro abitato.

FaitielloBosco di ceduo castanile di circa 20 ettari. In prossimità della “fossa”. Vi si accededalla strada del Litto.

DifesaCeduo castanile, posto alla quota di circa 500 metri slm, di circa 25 ettari disuperficie. Anche questo bosco si trova in prossimità della “fossa”.

Pineta di San PietroSituata in località San Pietro-Vallicelle-Morricone, ricca di conifere. Estesa circa20 ettari. E’ raggiungibile tramite la strada del Litto, a 1,5 Km dall’abitato.

Fontana del Litto e faggetaOttima meta per scampagnate. Nei boschi circostanti, facendosi spazio tra le verdifelci, è possibile trovare castagne, porcini e fragole. L’acqua è leggerissima efresca. Qui, ad appena 700m slm, si trovano robusti alberi di faggio, relittuali,testimoni di un clima più freddo di quello attuale.

Valle freddaUn’estesa faggeta e un’acqua buonissima e freddissima.

FossaFormazione carsica originatasi, presumibilmente, dal crollo della volta di una grottasotterranea a sua volta originatasi da una dolina. Purtroppo, oggigiorno, essa èparzialmente riempita da ogni sorta di rifiuti. Vedi foto a pag. 139.

Mugnano: risorse ambientali

Itinerari naturalistici

Mugnano del Cardinale

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L’Esagono

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Quadrelle

Si ritiene che il paese di Quadrelle (così come anche Sperone) sia coevo diAvella romana, in quanto costituiva una struttura finalizzata alla sua difesa. Il suonome deriverebbe, infatti, come è stato già detto altrove, da Oppidum quadrellarum,

dal nome di grossi giavellotti incendiariche, avvolti in stoppa e pece, venivanolanciati a mezzo di catapulte contro ifianchi degli elefanti. Secondo tale ipo-tesi, a Quadrelle doveva esistere unafucina per la forgiatura delle temibiliarmi sopra descritte. Secondo un’altra ipotesi il nome de-riverebbe da un castello a forma qua-drangolare, eretto dai Normanni sui re-sti dell’antica “fabbrica”. Questa ipo-tesi sembra trovare conferma nellequattro torri presenti nello stemmacivico. Ma il castello in esso rappre-sentato potrebbe essere anche il vec-chio Castello svevo del Litto, nell’at-tuale territorio di Mugnano del Cardi-nale (di cui Quadrelle in epocanormanna, sec. XI d.C., era un casale). Il 26 ottobre del 1254, probabil-mente, a Quadrel le sostò i l reManfredi di Svevia, reduce dall’in-

contro di Ceprano con il Papa Innocenzo IV.Il nome di Quadrelle appare, per la prima volta, in un “privilegio” di Papa

Urbano IV del 1264 (Mastrullo, Monte Vergine sacro;Napoli, 1663; pag.459) chetestualmente recita: « In Diocesi nolana, homines redditus quo habetis in Casali,quae Muniarum, Camillarum, Quadrellas et Siriniarum vulgariter nuncupantur..».

Successivamente, ritroviamo Quadrelle in un rogito del gennaio del 1282.Secondo alcuni Autori, nel 1297, il casale fu concesso da Carlo II D’Angiò aTommaso Scillato, nobile salernitano cortigiano della Magna Curia.

Secondo altri Studiosi, Quadrelle sarebbe già stato in possesso di Riccardo IScillato (almeno dal 1272) sotto l’alta signoria del feudatario di Monteforte.

Comunque sia, alla morte di Tommaso, il suffeudo di Quadrelle andò al figlioRiccardo II, il quale nel 1312 (come abbiamo visto a proposito di Mugnano) ce-dette all’Abbazia di Montevergine (distante solo nove miglia di sentiero monta-

Giardino Pagano. Prospetto e pianta.

Le origini del nome - Le prime citazioni

Quadrelle

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no) Quadrelle e Mugnano (il Litto e Pontemiano), ricevendo in permuta altreterre che questa possedeva nella zona dell’agro nocerino-sarnese.

I monaci qui stabilirono una grancia (ovvero una costruzione in cui essi lavo-ravano e custodivano le derrate alimentari), probabilmente sul fabbricato sortosull’antica fucina di quadrèlle. Fra i servizi feudali che si dovevano prestare aimonaci, i vassalli del Casale di Quadrelle avevano l’obbligo di: consegnare illegnatico a settembre di ogni anno; di portare al monastero le pale che dovevanoservire a raccogliere la neve, che poiveniva pigiata e trasformata in ghiaccio,conservato per i periodi estivi nelle fos-se montane (nevane o neviere); di for-nire i cerchi di legno per le botti ed itinacci sia di Montevergine che delLoreto. L’Abate di Montevergine rima-se feudatario di Quadrelle fino al 1431,anno in cui i Cardinali Commendatarispogliarono l’Abate dei suoi feudi e sene impossessarono. Inizialmente, essi vi-vevano a Napoli, ma successivamente (altempo del loro settimo rappresentante)si stabilirono al rione Cardinale, aMugnano del Cardinale.

Nel secolo XIV, sui ruderi dellagrancia (sorta, secondo alcuni Autori,su una torre dell’ipotetico castellonormanno, da non confondere con il ca-stello svevo del Litto) fu costruito un Palazzo Baronale (oggi di proprietà dellafamiglia Pagano).

Nel 1515 il feudo passa alla Santa Casa dell’Annunziata di Napoli, la qualeinvia a Quadrelle, col compito di amministrare i suoi beni, una casata fedele eblasonata alle sue dipendenze, concedendole in cambio titoli e terre.

Nel 1599 fu edificata la Chiesa dell’Annunziata, dagli artistici altari, e un im-ponente acquedotto in muratura per l’acqua potabile, in comune con Mugnano.

E’ in questa fase che nella storia di Quadrelle compaiono le prime famiglie nobiliresidenti. Agli inizi del XVII sec., i Barile, nobile famiglia napoletana, acquistano inQuadrelle “una casa con giardino” da identificarsi con l’antica sede di proprietàabbaziale. Da sito agricolo legato a necessità produttive, il giardino comincia ad assu-mere il carattere di luogo di ornamenti e di delizie che conserva ed accresce con isuccessivi proprietari: D. Paolo Braccio, barone di Cutignano, D. Francesco Emanue-le Pinto, principe di Ischitella e, dal 1773 a tutt’oggi, la famiglia Pagano.

Giardino Pagano. Esedra.

Da grancia a Comune

Quadrelle

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Il palazzo, a pianta quadrata con cortile centrale nella originale edizioneseicentesca, ha subìto nel tempo notevoli trasformazioni tra cui la demolizionedel volume sulla strada per la creazione di una piazzetta.

Il giardino, pur non avendo ricevuto l’ordinaria manutenzione (al punto cheoggi i manufatti architettonici mostrano un avanzato stato di degrado) ha peròconservato gli elementi dell’originaria edizione: la geometria, le fontane, ilconfine murato,gran parte dellespecie botaniche.

Esso ha unaestensione di 3500mq frazionati inquattro riquadri e inun boschetto sullato nord. Tre fonta-ne in grotte ed edi-cole sono collocatein aderenza al murodi fondo; una quar-ta circolare è all’in-crocio dei due vialimediani. Poggi esedili punteggiano,infine, le prospetti-ve più significative dei viali. Gli elementi architettonici sono realizzati con strut-ture in pietrame calcareo e tufaceo, rivestiti di intonaco e piastrelle maiolicate.

L’apparato decorativo è ottenuto mediante stucchi, frammenti di schiuma dilava, di alabastro, di corallo, di vetro, di conchiglie, tutti concorrenti a comporrefigure e spartiti architettonici. Il patrimonio botanico oggi esistente comprendemonumentali lecci plurisecolari accanto a bossi, mirti, lauri, pervinche, palme ealberi da frutta. Gli impianti idraulici, oggi del tutto inattivi, sono tuttaviapresenti e potenzialmente efficienti per alcuni tratti. E’ presente un leccioplurisecolare già esistente nel seicento.

Il simbolismo nel giardino è svelato da una piccola scultura marmorea. Essaraffigura un mascherone (poi trafugato) dalla cui bocca sgorgava acqua, inscrittoin un ovale alla cui sommità appare la testa di un monaco incorniciata dal cappuc-cio del saio. Iconografia legata all’originale proprietà abbaziale del luogo.

Nel ‘500 il passaggio a famiglie nobiliari porta alla rimozione del sim-bolismo religioso e alla sostituzione con figurazioni naturalistiche, astro-nomiche e demoniache. Il polo della morte è riassunto visivamente dalla

Quadrelle. Proprietà Sebastiano Schettino. Ruota in pietra.L’Autrice durante il sopralluogo ai resti del mulino ad acqua.

Il giardino Pagano

Quadrelle

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ricorrente figura del cipresso, ma il giardino è anche frutteto, dunqueelemento di vita; nel giardino, l’acqua compone giochi e spazi di frescuraper divenire poi una fonte per gli abitanti di Quadrelle. Un’antica fonte,generata dal monte Campimma, ha alimentato dalle origini fino agli anni’30 le fontane del giardino.

Nel cellaio del palazzo fino al ‘700 gli abitanti del paese attingevano l’acqua,poi erogata da una fontana costruita nella piazzetta antistante dal principe diIschitella. Singolare e densa di significati è la tradizione popolare che assegnaall’acqua dell’antica fonte virtù terapeutiche, per cui la modesta fontanella evocaun rapporto ancestrale e simbolico con questa acqua, quando essa era elemento digioco e di frescura, ma anche, in senso letterale, fonte di vita.

Quadrelle è stato, da sempre, terra di abilissimi artigiani pirotecnici. Già inalcuni documenti del 1844, infatti, si legge che «…quelli che senza permessotraggono in aria folgori o altri fuochi artificiali… saranno multati di 15 carlini edi due giorni di prigionia».

Quadrelle, inoltre, è la vera patria del salame nostrano. Proprio qui infatti,ancor prima di quelli più famosi di Mugnano del Cardinale, sorsero i primissimisalumifici artigianali del nostro mandamento.

Mascherone, ora trafugato, unavolta situato nel “Giardino Pagano”

I primi “fuochisti” - I primi salumifici

anni ‘50

1925. Piazzetta antistante il Palazzo Pagano

Cappella Fiordelisi e resti Chiesadi S. Giovanni Battista

Quadrelle

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Il folklore quadrellese

La manifestazione folkloristica più importante di Quadrelle è il maio diSant’Antuono, Sant’AntonioAbate, il protettore degli animalie dei contadini. In questo giorno(il 17 gennaio), una dozzina dipersone, autorizzate dal Comune,si portano nei boschi circostanti(Litto, Vallefredda) per tagliarealcuni grossi alberi.

Vista la presenza, a Quadrelle,di due famiglie di abilissimipirotecnici, ai partecipanti alla fe-sta non mancano certo i botti di qualsiasi forma e grandezzza. E, considerata lapresenza di alcuni importanti salumifici, di sicuro non mancano “soppressate” esalami. I mai giungono in paese verso le 17, trascinati da camion e da camionetteper essere lasciati ‘ncopp ‘o ponte, lo spiazzo che copre il torrente Rio secco. Ifusti non vengono innalzati ma sono semplicemente venduti per contribuire con ilricavato alle spese dei festeggiamenti.

Esiste anche l’usanza d’‘o fucarone, che viene preparato il giorno prima dairagazzi che raccolgono la legna e le fascine, in paese e per le campagne.

Tra le fiamme del grande falò vengono lanciate petardi, botte a muro e grosse“cipolle” esplosive.

I più anziani narrano di un certo vient’ ‘e terra (vento di terra), un personaggio un pòsempliciotto e molto corpulento, che pare avesse delle capacità psicocinetiche.

Quando questi si arrabbiava, cominciava a soffiare e a roteare vorticosamente lebraccia fino a “richiamare” un fortissimo vento che sollevava le gonne delle donne e, avolte, gli faceva cadere dalla testa le “conche” di rame piene d’acqua.

Si racconta, inoltre, un episodio che sarebbe accaduto nella prima metà del secoloscorso. Una giovane donna di Quadrelle diventava ogni giorno sempre più triste e de-pressa perché gli mancava tantissimo il suo giovane marito, emigrato da alcuni anni inAmerica. Nelle lettere che gli giungevano il marito la invitava a farsi forza; alla fine i lorosacrifici sarebbero serviti a migliorare la loro posizione economica: egli sarebbe tornatoe avrebbero potuto, finalmente, acquistare un “vascio” (nda “basso”: piccola casa a pianoterra) e un pezzetto di terra. Ma la donna voleva rivedere ad ogni costo il suo amatomarito. Una persona del luogo, notando la sofferenza della giovane sposa, la avvicinò e-dopo essersi fatta giurare di mantenere il segreto- gli propose uno stupefacente metodoper fargli rivedere il marito. Questa persona possedeva il libro cumanna padrò (Coman-da Padrone); un libro di magia bianca e di magia nera. Fecero il rito, recitarono le “paro-le” e, mentre le compagne di lavoro della giovane donna la vedevano lavorare ai salami(in uno dei primissimi salumifici casalinghi di Quadrelle), il suo corpo etereo, sul dorsodi un caprone, giunse in un batter d’occhio in America, dal marito. Questi (visto anche ildiverso fuso orario) stava dormendo profondamente. La donna lo toccò, lo accarezzò, gli

Maio - fucarone - “Vient’ ‘e terra” - “Cumanna patrò”

Quadrelle

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diede un calcio per farlo svegliare ma riuscì solo a farlo muovere leggermente nel sonno. Delusa,ritornò indietro. Ancora più amareggiata. Chissà quale fu il prezzo di questo servigio del demonio!Di certo, i più vecchi raccontanno che -quando qualcuno gli chiedeva: «... mi racconti di comeandasti in America sulla capra?» la donna, ormai vecchia, mandava violentemente a quel paese ilmalcapitato che aveva osato ricordargli quel grave sbaglio di gioventù.

Quadrelle

Anni ‘70

Chiesa SS.ma Annunziata

Ponte dell’Acquaserta

Ponte dell’Acquaserta

Il maio tirato a forza di braccia

Giardino Pagano

Acqua della fica

Quadrelle ieri ed oggi

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Q U A D R E L L EAbitanti: 1.574 Quadrellesi (al 21.10.2001)

Superficie territoriale: 692 ettariAltitudine sul livello del mare (min/max): 270/1.368 m

Altitudine sito casa comunale: 300 m slmScuole:

Scuole Materne (statali e non statali)Scuole Elementari (statali)

Strutture sportive:Stadio Comunale, Campo da Tennis/calcetto. Palestre: scuole elementari.

Informazione e cultura:- Biblioteca Comunale

Attività economiche:

Cittadini illustri:* Andrea Mattis, fervente patriota, venne ucciso dalla banda di Turri Turri* rev. don Beniamino Masucci, insigne professore di latino e greco

- Produzione salumi tipici (salame tipo Napoli);- Industrie trasformazione alimentari (ciliege, cioccolato);- Industrie boschive (produzione legna da ardere);- Agricoltura: olivicoltura e corilicoltura;- Allevamenti ovini;- Terziario: piccoli negozi;- Artigianato: fabbriche di fuochi artificiali;- Edilizia.

Varie:- E’ l’unico paese del mandamento che non dispone di un’edicola;- Sede operativa della Comunità Montana “Vallo di Lauro e Baianese”;- Sede del GAL (gruppo di azione locale);- Sede volontari della Croce Rossa.

Quadrelle

Travertone-RoccheBosco di faggi di circa 25 ettari situato su un territorio scosceso ed irto, ideale perfunghi. E’ raggiungibile tramite la strada panoramica di Sirignano.

Vallicelle-MorriconeCirca 10 ettari di conifere e latifoglie. A circa 450m slm. Vi si accede dalla strada delLitto di Mugnano del Cardinale.

VallefreddaBosco di castagni, aceri e cerri secolari. Estensione: circa 25 ettari. Ideale per campeggie pic-nic. Vi si accede dalla strada del Litto.

ChiaioCirca 4 ettari di conifere. Vi si accede dalla strada “chiaio”.

Risorse ambientali

Dati essenziali - Itinerari naturalistici

Per altri dati demografici e statisticiconsultare il capitolo “aspetti demografici”

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Sirignano

Sirignano è situato all’estremo lembo di Campimma, un colle che raggiungei 673 m slm, alle falde dei monti di Avella. Nell’antichità il territorio diSirignano e i suoi sparuti abitanti gravitavano verosimilmente attorno all’anticaAvella e ne seguirono -presumibilmente- le vicende.

L’etimologia del toponimo Sirignano deriva, secondo l’ipotesi più accreditata,da fundus Serenianus, ovvero, da una villa prediale appartenuta ad un nobileromano di nome Serenio. In alcune antiche pergamene conservate nell’archiviodell’Abbazia di Montevergine, viene citato un fondo denominato Serrallinianum,da cui alcuni Studiosi farebbero discendere il nome di questo antico borgo.

Ma non tutti concordano con tale ipotesi. Probabilmente, in antico,Sirignano era semplicemente uno dei tanti pagi (intesi come “case rurali sparse”)

Le origini del nome

Sirignano

Stemma in legno e stucco posto, un tempo, sulla facciata del Palazzo Caravita.La foto, presumibilmente scattata nel 1981, è inedita. Essa potrà contribuirealla riproduzione dei particolari araldici di cui si era persa memoria.

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della valle del baianese (o, come altri preferiscono dire, della valle avellana).Successivamente, nel medioevo, seguì le vicende storiche di Avella, dicui era un casale (frazione).

Le prime notizie accertate su Sirignano risalgono al 1130 e si riferi-scono alla donazione di un terreno da parte di un certo Angelo, dettoScambatus, al monastero di Montevergine. Altre notizie riguardano latassazione della comunità sirignanese per l’importo di otto once, all’epo-ca della dominazione angioina.

A quel tempo, Sirignano come tutti gli altri nuclei abitati, era situatopiù in alto e nei pressi di una fonte d’acqua. Secondo la tradizione, infatti,esso doveva trovarsi nella località ancora oggi chiamata “San Celiesto”, nellazona collinare, in prossimità del luogo detto delle “quattro vie”, nelle immediateadiacenze della sorgente della Fontana del Lago (o “Lavo”), appartenente ora alterritorio di Baiano. Qui era ubicata la chiesa di San Celeste, di cui, però, ogginon si ha più traccia. I più anziani riferiscono che, in quei paraggi, erano presentianche dei ruderi somiglianti ai mausolei romani di Avella.

Nonostante l’Abbazia di Montevergine possedesse, fin dal 1130, alcuni beninelle pertinenze di Sirignano, provenienti da varie donazioni, il paesino non ven-ne compreso fra i suoi possedimenti ma rimase, sino agli inizi del 1800, nellagiurisdizione feudale di Avella. Infatti, mentre esso non viene mai citato (perquanto si conosce fin’ora) nei documenti del XIII e XIV secolo che riguardano

Piazza Principessa Rosa. La fontana com’era negli anni ‘50. In alto una dellequattro rane in ghisa che l’abbellivano e dalla cui bocca sgorgava l’acqua.

San Celiesto - I primi riferimenti storici

Sirignano

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Litto e Ponte Miano e i loro rapporti con Montevergine, viene chiara-mente menzionato in alcuni documenti riguardanti la baronìa di Avella.

Sirignano appartenne, poi,ai Fellecchia, nobile e potentefamiglia nolana, che vi edifi-carono probabilmente un loropalazzo padronale.

Nel 1614 il casale di Sirignanoottenne un primo spiraglio diautonomia con la stipula di unaconvenzione con l’Università( il comune) di Avella.

In base a tale accordo iSirignanesi iniziarono, final-mente, ad eleggere da sé i propri amministratori. Il suffeudo passò, poi, per matri-monio agli Albertini di Cimitile e, in seguito, ai Caracciolo della Gioiosa.

Nel 1700 il feudo divenne Principato. I De Gennaro furono i primi a potersifregiare del titolo di “Principe di Sirignano”. Nel 1772, tale titolo pervenne permatrimonio al marchese Tommaso Saverio Caravita, napoletano, discendente dauna nobile famiglia spagnola.

Con la soppressione del feudalesimo da parte di Giuseppe Bonaparte (1806),il borgo divenne comune autonomo (nel 1837).

Come avvenne anche per gli altri comuni vicini, esso fu incluso nella provin-cia di Terra di Lavoro (l’attuale provincia di Caserta) e compreso nel distretto diNola (uno dei cinque in cui si divideva la provincia), circondario di Bajano (unodegli otto in cui si divideva il distretto). Nel 1861, con l’Unità d’Italia e il conse-guente nuovo assetto politico, passò alla provincia di Principato Ulteriore (oPrincipato Ultra), distretto (o circondario) di Avellino, mandamento di Bajano.

Nel 1799, Raimondo DeGennaro dei Principi diSirignano venne eletto, a Na-poli, tra i 25 rappresentantidella Commissione legislati-va della RepubblicaPartenopea. Ma alla caduta diquesta, venne rinchiuso nelcarcere di Castelnuovo e poicondannato, dalla Giunta diStato, all’esilio perpetuo dalRegno delle Due Sicilie.

Anni ‘20. ‘ncopp capo casale

Anni ‘20. Via Santa croce

Dal 1614 al 1799

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Nel corso del 1800, in-tanto, il feudo passò a variproprietari, ma i Caravita,formalmente, continuano amantenere il titolo nobilia-re di “Prìncipi diSirignano”, fin quando essogiunge a Giuseppe Caravita(1849-1920).

Questi ricomprò le proprie-tà che un tempo avevano co-stituito l’antico feudo diSirignano e fece costruire, intorno al 1885, sulle rovine del vecchio castello feudale, losplendido maniero in stile neogotico, conosciuto come il palazzo del Principe (nella foto).

Nella “belle èpoque” (tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento),questa sfarzosa residenza fu meta di personaggi di levatura internazionale.Tra questi è d’obbligo ricordare il poeta Salvatore Di Giacomo, il tenore En-rico Caruso e il pittore Eduardo Dalbono.

Nel 1891 il Principe Giuseppe Caravita, in contrapposizione al BaroneGirolamo Del Balzo, fu eletto Deputato del Parlamento del Regno d’Italia e par-tecipò alle prime sedute parlamentari. Tuttavia, il Del Balzo contestò il risultatoelettorale e riuscì a far annullare l’elezione del Principe Caravita (che, però, nel1913 fu Senatore) e a far convalidare la propria.

Ultimo principe di Sirignano è stato don Francesco Caravita, detto pupetto,(1908-1998), noto per i clamori della sua vita mondana, per le sue apparizioni

televisive e per il suo fortunato libro “Memorie diun uomo inutile”, edito da Mondadori, nel 1981. Inquesto piacevolissimo libro (ormai introvabile e dicui, forse, sarebbe opportuna una ristampa) il Prin-cipe, narrando in prima persona, racconta tra l’al-tro che: «...la famiglia De Gennaro dalla quale ilmio antenato prese il titolo (di Principe di Sirignano)discendeva dalla “Januaria gens”, lo stesso ceppoal quale apparteneva San Gennaro, Patrono diNapoli. E nella mia famiglia accade un fatto deci-samente inspiegabile: nella prima decade di mag-gio e il 19 settembre di ogni anno, nel preciso istantein cui nelle teche custodite nel Duomo di Napoli esulla pietra a Pozzuoli, dove il Santo fu decapitato,il sangue di San Gennaro miracolosamente si li-

Il PrincipeGiuseppe Caravita

I Prìncipi di Sirignano e il castello - Memorie di un uomo inutile

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quefa, sulla nuca del primogenito maschio dei Caravita, all’attaccatura dei capelli,appare una striscia sanguigna che ricorda vagamente la cicatrice di una sciabolata escompare quando il sangue nelle teche e sulla pietra torna a coagularsi.» .

Il “Palazzo del Principe”, abitato dalla famiglia Caravita fino alla prima metàdel ‘900, fu progressivamente abbandonato e spogliato delle opere d’arte checustodiva. Lo stupendo parco è stato prima abbandonato a sé stesso e poiparzialmente espropriato dal Comune nel 1980. Nel 1992, infine, si è avuto ilcrollo della parte destra della facciata e l’abbattimento della parte superiore delletre torri, con le caratteristiche merlature guelfe.

Il “Castello del Principe” rappresenta il cuore dell’antico borgo e buona partedella stessa identità storica dei sirignanesi. Come tale, andrebbe recuperato e valorizzato.Attualmente, l’antico maniero sta cadendo letteralmente a pezzi, ma sembra che sistia lavorando ad un serio progetto di restauro.

Oltre al “Palazzo del Principe”, in piazza Principessa Rosa (dal nome dellaprima moglie del Principe Giuseppe Caravita, la nobildonna cubana Rosa Plazaolay Limonta) sono degne di menzione il palazzo del Municipio Vecchio costruito,pare, su progetto di Carlo Vanvitelli e la Chiesa di Sant’Andrea Apostolo Martire,

questa, risalente al 1500,secondo don AntonioSorbo, che fu parroco diSirignano “.. . fu fattaristrutturare dai Principidi Sirignano, com’èattestato dagli stemmipresso l’altare maggiore.

I Principi avevanoanche il diritto dinominarne il parroco.Successivamente, questa

facoltà fu acquisita da Re Ferdinando II di Borbone, che la esercitò finoall’Unificazione d’Italia. Sembra che Sua Maestà venisse spesso nell’ameno borgoa trascorrere le sue vacanze. Successivamente il diritto di nomina passò al Vescovodi Nola, della cui Diocesi Sirignano faceva già parte. Nel 1863, il nuovo parroco,don Salvatore Napolitano, trovando la chiesa in stato di grave abbandono laricostruì con i fondi provenienti da Sua Maestà Vittorio Emanuale II di Savoia,da poco diventato Re d’Italia. Rifece l’atrio e vi pose due pietre ... con la scrittaC.P.S.A. (chiesa parrocchiale San Andrea Apostolo)”.

La chiesa, ad una sola navata in stile barocco, profanata in passato da manivandaliche che ne asportarono parte del vecchio altare, custodisce le statue dilegno del protettore Sant’Andrea Apostolo, della Immacolata, della Madonna

Interno del castello. Anni’70

Piazza Principessa Rosa

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delle Grazie e di San Pasquale. Al centro dell’abside venne costruito l’altaremaggiore, in marmi pregiati, cesellato con madreperla. Al centro dell’altare, unbellissimo quadro in legno con sopra dipinto, in alto, la Madonna delle Grazie;giù al centro, Sant’Andrea Apostolo; a destra San Giuseppe e a sinistra SantaLucia. Tutto l’insieme è incastonato in un trono di chiara fattura barocca.

In Piazza Croce è posta lagraziosa Chiesetta della Madonnadell’Arco, fatta erigere dalla famigliaSgambati, nel 1609 (foto a lato).

Degno di menzione è ilPalazzetto Sgambati, risalente alXVII secolo. Si riporta, percuriosità, che il rione Sirignano,nel quartiere Chiaia a Napoli, deveil suo nome al fatto che là vi sonopalazzi della famiglia Caravita.

Sirignano fu, nell’ormai lontano 1948, il solo comune del “mandamento” in cui , alleelezioni, vinsero le sinistre. In conseguenza di ciò, l’allora parroco di Sirignano, don LiberatoGallicchio, evidentemente infastidito da quei risultati elettorali, in una veemente predicaaffibbiò ai Sirignanesi il noto epìteto di coreani.

Cimitero di Sirignano.Lapide di don Serafino De Lucia.

Collaboratore di Guglielmo Marconi.

Via Santi. Anni ‘70Vecchio municipio. Anni ‘70.

Genesi del soprannome “coreani”

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La tradizione sirignanese più tipica è senza dubbio quella del festeggiamentodel Natale piccirillo (piccolo Natale).

Questa usanza che, per la verità -come tante altre- si va perdendo, ha soprattut-to risvolti culinari. Si fanno abbondanti pranzi a base degli stessi piatti che si

consumano in occasione delle feste natalizie (scarole, baccalà, “capitone”, fritturadi pesce, broccoli e così via). Si tratta, in realtà, della festa di Sant’AndreaApostolo, patrono di Sirignano, che cade il 30 novembre e che viene festeggiatoanche con “’o fucarone ‘e Sant’Andrea” e con il maio.

La domenica che precede la ri-correnza di Sant’Andrea, alcunecomitive di giovani, provvisti diuna ragguardevole scorta ditracchi e petardi (e di un generosovinello), si portano nelle montagnecircostanti per tagliare tre grossi al-beri, generalmente di pioppo.

Una volta effettuati il taglio e ilcaricamento dei mai sui camion, i

Il folklore sirignanese

I mai sirignanesi, in Piazza Principessa Rosa

Natale Piccirillo - Il maio

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giovani si concedono un lauto banchetto: un’ottima occasione per socializzare eper divertirsi. A volte, alla comitiva si uniscono anche alcuni suonatori di fisar-monica e di mandolino. I mai vengono poi trasportati in paese, tra un tripudio ditracchi e di clacson, e vengono lasciati nel rione “Capo Casale”.

La sera del 29 novembre (“vigilia” del “Natale Piccirillo”), si accende il“fucarone ‘e Sant’Andrea”. In passato questa era una buona occasione, per igiovani sirignanesi, di mettere in mostra le loro capacità atletiche e la loro pre-stanza fisica. Essi, infatti, si disponevano a cerchio intorno al falò tenendosi perle braccia e reggevano sulle spalle -a mo’ di piramide- un altro cerchio di giovani.Girando intorno al falò, intonavano canzoni improvvisate.

La mattina del 30 novembre, i mai vengono letteralmente trascinati fino allavecchia piazza, davanti alla chiesa.

Nell’ultimo lustro, a Sirignano, si sta assistendo ad un recupero delle antiche tradi-zioni, come la rappresentazione farsesca della “Zeza” e la cantata de “’e misi”.

Si tratta -com’è noto- di scenette carnevalesche cantate e recitate in vernacolo.Quasi sempre le due rappresentazioni vengono presentate insieme, quasi fossero dueatti del medesimo spettacolo. Un tempo gli “attori” erano esclusivamente maschi ma,attualmente (vedi foto sopra), vi partecipano -e con notevole successo- anche alcunedonne. Alla base di questi spettacoli itineranti vi è un canovaccio che è sempre lostesso, anche se la rappresentazione può variare di anno in anno ( e di luogo in luogo).

‘O fucarone - La Zeza - ‘E misi

Sirignano

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Lo spettacolo si svolge all’aperto e comincia con lo scambio di alcune battute tra“Capuranno” e “Polecenella”. Segue la rappresentazione de “’e misi” e, dopo unaallegra quadriglia, quella della “Zeza”.

Nei misi ciascun personaggio, in ordine cronologico e senza interagire con glialtri, recita una parte a sé stante costituita da una filastrocca in cui presenta sé stesso.

La Zeza (diminutivo di Lucrezia) narra delle contrastate nozze di Don Nicola,studente calabrese, con Tolla (o Vicenzella), figlia dell’intrigante Zeza e del gelosis-simo Pulcinella (quest’ultimo personaggio, nel baianese è sostituito da “Maretiello”).

I tradizionali festeggiamenti di Sant’Andrea, maio escluso, non si tengo-no peraltro alla data della festa liturgica (30 novembre), ma a fine agosto,quando è lecito attendersi condizioni climatiche presumibilmente migliori.

In tale occasione si tiene anche la sfilata dei battenti, a cui partecipa-di anno in anno- un numero di persone sempre maggiore, compresa unafolta rappresentanza femminile.

A destra, la pubblicazione del Prof. Pasquale Colucci. Alla quale si rimanda per eventuali approfondimenti

I battenti

Sirignano

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S I R I G N A N OAbitanti: 2.366 Sirignanesi (al 21.10.2001)

Superficie territoriale: 625 ettariAltitudine sul livello del mare (min/max): 225/1.368 m

Altitudine sito casa comunale: 270 m slm

Scuole: Asilo nido (non statale)Scuole Materne (statali e non statali)Scuole Elementari StataliScuole Medie Inferiori Statali

Strutture sportive:Stadio Comunale, Piscina olimpionica, Campo da Tennis/calcetto. Palestra scuole medie

Mezzi di informazione:Stampa locale: “La nuova Gazzetta - Periodico fondato dal dott. Pellegrino De Rosa”Portale Internet: http://www.tuttobaianese.it

Attività economiche:Edilizia, Industria di trasformazione della frutta (ciliege solforate), commercio al minuto,agricoltura part-time (olivicoltura, corilicoltura), allevamento bovini (una sola azienda).

Cittadini illustri:* Giuseppe Caravita (1849-1920). Principe di Sirignano, Deputato e Senatore del Regno.* Francesco Caravita, (1908-1998). Principe di Sirignano. Scrittore.* Cav. Serafino De Lucia, maresciallo di marina, collaboratore di Guglielmo Marconi.* Cav. Domenico De Rosa, Cavaliere di Vittorio Veneto. Decorato con croce di ferro.* Dott. Carlo Fiordelisi, magistrato, procuratore del re, presso il Tribunale di Avellino.* Prof. Sac. don Francesco Fiordelisi, rettore del Collegio Pareggiato «A.Manzoni».* Dott. Giovanni Fiordelisi, medico pediatra, morto nel 1941 a bordo dell’incrociatore

Egeo, in azione di guerra.* Cav. Pietro Fiordelisi, Sindaco di Sirignano per 20 anni (a cavallo tra l’800 e il ‘900)

Varie:- Casa per anziani (in costruzione).

CiglioBosco di conifere che si estende su una supeficie di circa 6 ettari. Vi si accede tramite lastrada panoramica di Sirignano.

FaiabellaFaggeta di circa 22 ettari di superficie, con accesso dalla strada panoramica di Sirignano.Ottimo sito per funghi.

TorritielloBosco di faggi di circa 6 ettari.

ForninoBosco ceduo castanile, di circa 12 ettari. Vi si accede dalla strada panoramica di Sirignano

Risorse ambientali

Per altri dati demografici e statisticiconsultare il capitolo “aspetti demografici”

Dati essenziali - itinerari naturalistici

Sirignano

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Sperone

Il nome Sperone deriverebbe dal fatto che, in epoca romana, esso costitu-iva la punta più avanzata della fortificazione avellana: infatti, in origine, ilterritorio speronese era compreso entro la cinta delle mura di Abella.

La storia di questo Comune perciò coincide -almeno per quanto ri-guarda gli eventi più remoti- con quella dell’antica Avella, alla quale -per evitare inutili ripetizioni- si rimanda.

Qui vogliamo solo riportare che, comunemente, si ritiene che le popolazionilocali appartenessero al ceppo irpino del gruppo etnico-linguistico osco-sannita.

Infatti, dopo le guerre sostenute vittoriosamente da Roma contro le popolazio-ni italiche degli Osci, Sanniti, Volsci, Equi ed Etruschi, un gruppo di sconfittiosco-sanniti fu depor-tato dal proprio terri-torio, il Samnium (si-tuato più a nord dell’at-tuale Sannio e vicino al-l’attuale Molise), neiterritori deserti e disa-bitati dell’Irpinia enella conca avellana.

Nell’80 a.C., comeè stato detto altrove,Abella diventa “cittàfortificata” romana(oppidum): Sperone era uno dei suoi quattro quartieri e difendeva la più me-ridionale delle sei porte della cinta muraria di Avella, la Porta di Corte.

Alcuni Studiosi ritengono che, proprio nell’attuale territorio speronese, potes-se essere ubicato il teatro di Abella romana.

Quando Avella fu distrutta dalle orde barbariche, gli abitanti del vecchioquartiere “speronese” si rifugiarono sui monti circostanti. Qui costituirono nuovinuclei che furono a lungo uniti con Avella e da cui si distaccarono solo in tempisuccessivi. Una parte di essi si insediò nella zona dove, già prima del XVI secolo,sarebbe stata edificata la “Cappella vecchia di Sant’Elia” (sulla quale, nel 1888,venne poi innalzata la Chiesa di Sant’Elia).

Si tramanda che, nel XIII secolo, un prete di Sperone abbia assassinato ilVescovo di Avella. Ciò determinò la fine del Vescovato avellano e l’inclusionedei borghi della valle baianese nella Diocesi di Nola.

Per la Porta di Corte passava l’antica Via Vecchia, costruita (pare) dagliAngioini, fra il XIII e il XIV secolo d.C., che collegava Napoli con le Puglie.

Circumvesuviana. Stazione Avella-Sperone. Anni ‘20.

Sperone

Sperone, un quartiere di Avella - Le antiche popolazioni

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Quando Carlo III di Borbone fece costruire, nel 1757, la via RegiaPuglie, la Via Vecchia non fu più frequentata e la popolazione speronesesi stabilì lungo la nuova strada, sulla quale successivamente venne co-struita un’altra chiesa, dedicata alla SS. Annunziata.

Nel 1700, quando Avella era una fiorente Universitas (Comune), il quartiere di Speroneesercitava il diritto di eleggere dieci decurioni che duravano in carica cinque anni. L’autonomia amministrativa di Sperone fu sancita con Regio Decreto (borbonico)

del 10 ottobre 1836 e cominciòil primo gennaio del 1837. Con l’avvento deiNapoleonidi sul trono di Na-poli, Sperone venne incluso(1806), insieme agli altri co-muni del baianese, nella pro-vincia di Terra di Lavoro(Ce), Distretto di Nola, e virimase fino al 1863. In tale anno, in seguito al

nuovo assetto politico conseguente all’Unità d’Italia, Sperone venne inclusonella provincia di Principato Ulteriore, Distretto o Circondario di Avellino,ed elesse il suo primo Sindaco.

Da quell’anno cominciò a rivendicare il suo quinto dei beni ecclesiastici e demaniali.Dopo estenuanti dispute coi tribunali ecclesiastici Sperone finalmente ottenne laCappellania del Salvatore e il diritto alla nomina di un Canonico nella Collegiata.

Il denitivo affrancamento da Avella cominciò soltanto nel maggio del 1871, perconcludersi il 5 febbraio 1880, quando l’ingegnere Gennaro Plantulli, assistito da dueagronomi, completò la divisione di tutto il demanio e stabilì i confini del nuovo paese.

I cittadini di Avella e Sperone, toccati negli interessi economici e nel loroorgoglio campanilistico, conservarono per molto tempo una certa rivalità.Gli speronesi chiamavano “cipullari” gli avellani, e questi controbattevano apo-strofandoli “graunari” (carbonai). Non erano infrequenti “’e pietriàte”, bellico-se tenzoni con lanci di pietre, tra squadre di ragazzi dei due comuni rivali.

I rapporti ufficiali tra i due comuni erano, però, ottimi e civilissimi. Infat-ti, ancora nel 1899, a quasi dieci anni dalla separazione dei beni demaniali, la

Questa sorta di primitiva intifada (nda: “guerra con pietre”), che non manca-va di lasciare qualche dolente bozzo sulle focose teste di alcuni dei contendenti,era un’usanza comune anche agli altri paesi del mandamento, protrattasi fino aglianni ‘60. “Epici” erano gli scontri tra Mugnanesi e Cardinalesi, quelli traCardinalesi e Sirignanesi, e tra Baianesi ed Avellani. In genere alle “battaglie”ponevano termine le urla di qualche casalinga che, avendo la sfortuna di abitaresulla “linea del fronte”, subiva la rottura di uno o più vetri.

Sperone

Il distacco da Avella

Sperone. Anni ‘20. La squadra che realizzò il manto stradale della via Nazionale

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Contessa Livia Colonna, di Avella, fece riparare a sue spese la fontana di acqua magnesiacache si trova nella selva Paradina di Sperone (ora divenuta parco comunale).

Nel 1900 Sperone costruì sull’antica sua taverna, lungo la Via Nazionale dellePuglie, la nuova casa comunale.

Si racconta che, durante la terribile pestilenza del 1656, una donna di Speroneappestata si trascinasse davanti alla miracolosa effige di Sant’Elia e, untasi conl’olio della lampada, subito si fosse risanata.

Attualmente, Sperone è una moderna e linda cittadina. Essa può vantare unquartiere delle “case popolari”, insolitamente integrato, pulito e vivibile. Spero-ne vanta la vetta più alta dei Monti Avella (con 1.598 metri), sulla quale neglianni ‘40, nell’immediato dopoguerra un aereo da carico militare andò a“impattare” (a causa della fitta nebbia) per poi precipitare e sfracellarsi nelCampo di Summonte. Su tali monti, Sperone possiede una seconda fontana, l’Ac-qua delle Monache, posta a 1.020 metri sul livello del mare, con una buonaportata d’acqua (1,50 litri al secondo).

Per iniziativa del parroco don Elia Ferone e di un lodevole gruppo di giovani dellaCongregazione di Sant’Elia (antica associazione religiosa, risalente al 1888) è stato realiz-zato, nel dicembre 1999, un grazioso Museo della civiltà contadina (vedi foto in basso).

Sperone

Il museo della Civiltà Contadina

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, che

Sperone

Fototeca

Anni ‘60.Chiesa congrega di Sant’Elia (Edificata nel 1888)

Selva Paradina e fontana

Un vecchio cortile

Il vecchio municipio

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Il folklore speronese

Anche a Sperone c’è la tradizione della festa del maio. Essa si tiene, il 20febbraio, in concomitanza della festa patronale dedicata a S.Elia Profeta. Due

alberi vengono ta-gliati -la domenicaprecedente- suimonti dei paesi vi-cini, perché il Co-mune di Speronenon possiede bo-schi accessibili. Glialberi tagliati ven-gono lasciati, poi,in un luogo sicurosui monti.

La sera primadei festegiamenti,un gruppo di giova-

ni speronesi, armati di piatti, grancassa, tamburi ed altri strumenti musicali ravvi-vano il clima in vista dei festeggiamenti del giorno successivo.

La mattina successiva i mai vengono condotti in paese tra gli ormai canonicispari di tracchi e rauti.

La tradizione più tipicamente speronese rimane, comunque, l’opera diSant’Elia (vedi foto sopra). Questa, notoriamente, è una rappresentazione teatra-le della vita del santo profeta, articolata in quattro atti e della durata di circaquattro ore. Essa viene recitata da attori dilettanti del posto, in occasione dellafesta patronale “estiva”, del 20 luglio. Tutti i partecipanti ci tengono a fare bellafigura e a preparare bene la loro parte. In alcuni anni, addirittura, le prove inizianogià nel mese di gennaio.

A proposito dell’Opera di Sant’Elia, si narra di un divertente episodiooccorso ad uno degli “attori”.

Tra gli altri “attori” vi era anche un giovane contadino che prese talmentesul serio la parte da non andare più nemmeno a lavoro col padre. Perché, dice-va , doveva «preparare l’opera di Sant’Elia».

Non si sa bene se fosse solo una scusa per non andare nei campi, oppure no.Resta il fatto che egli, alla domanda della regina Gezabele che gli chiedeva chifosse, doveva semplicemente rispondere con sole tre parole: «io, sono Kaifas»e nient’altro.

Ebbene, giunti al giorno della rappresentazione, successe che alla domandadella regina: «.. e tu, chi sei?», il nostro compaesano fu preso dal panico, im-provvisamente vide tutto bianco, e cominciò a balbettare: «.. io sono…… io

Sperone

Il maio - L’opera di Sant’Elia

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sono…… io sono …». Finché disse la famosa frase: «.. io sono … ie songonu strunzo!».

Gli organizzatori chiusero repentinamente il sipario fra l’ilarità ge-nerale, mista a fischi ed applausi.

Si narra, ancora, che agli inizi del secolo scorso, un burlone delluogo facesse notare ad alcuni altri speronesi come la Chiesa diSant’Elia fosse ormai diventata troppo stretta per contenere i nu-merosi fedeli. Consigliò, quindi, di adoperare un metodo che -a suodire- aveva visto usare altrove. Occorreva insaponare il pavimentoe poi spingere contro le mura con la massima forza. Così facendo,gli uomini -scivolando sul pavimento- ebbero l’impressione che lesolide mura della Chiesa si stessero effettivamente spostando percui corsero subito in piazza esultanti, esclamando: «Ce l’abbiamofatta. Abbiamo allargato la Chiesa col sapone!».

Si racconta, inoltre, di un contadino -devoto ma sempliciotto-che, trovandosi a passare davanti alla Chiesa di Sant’Elia Profeta,di ritorno dai campi, pensò bene di fare, a modo suo, un’offerta alSanto. Presi dal “panaro” alcuni fichi, cominciò a lanciarli, nell’oscu-rità, verso la facciata della Chiesa. Naturalmente, i fichi più maturisi spiaccicarono sul muro, mentre quelli acerbi, più sodi, rimbalza-vano e tornavano indietro. «E’ bravo a Sant’Elia, osservò il conta-dino, ‘e buoni t’e pigli e ‘e tuosti m’e ttuorne». (Bravo S.Elia: imaturi te li prendi e quelli acerbi me li rimandi indietro).

Un’altra storiella racconta di quando gli speronesi, per fare un di-spetto agli avellani, misero un grosso lenzuolo lungo via Ferrovia, perimpedire che il sole giungesse ad Avella.

U’altra ancora, narra di quando gli speronesi legarono, al collo, un“ciuccio” (asino) e lo tirarono -strozzandolo- fin sul campanile dellaChiesa per fargli mangiare l’erba che vi era cresciuta.

Una storia realmente accaduta merita di essere ricordata: unosperonese, durante un comizio elettorale, anziché dire: «noi vogliamopane e lavoro», preso dall’emozione si confuse e disse: «noi vogliamopane e provolone». Inutile dire che, al malcapitato, venne affibbiato-seduta stante- il nomignolo di “pruvulone”.

Sperone

Alcuni spassosi anedotti

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Dati essenziali - Itinerari naturalistici

S P E R O N EAbitanti: 3.185 Speronesi (al 21.10.2001)

Superficie territoriale: 353 ettariAltitudine sul livello del mare (min/max): 159/1.598 m

Altitudine sito casa comunale: 175 m slm

Scuole:Scuole Materne (statali e non statali)Scuole Elementari StataliScuole Medie Inferiori Statali

Strutture sportive:Stadio Comunale, Campo da Tennis/calcetto. Palestra scuole medie e scuole elementari.

Mezzi di informazione:Biblioteca comunale.

Attività economiche:Edilizia, Industria di trasformazione della frutta (ciliege solforate), commercio al minuto,agricoltura part-time (olivicoltura, corilicoltura), allevamento bovini (una sola azienda),cioccolateria, fabbrica artigianale di antiche armi. P.I.P. con numerose aziende di recenteinsediamento.

Cittadini illustri:* Luigi Napolitano, docente di cattedra di latino e greco. Autore del libro “Memorie

storiche ed archeologiche di Avella”;* Ignazio D’Anna, Autore del libro “Avella illustrata”, pubblicato nel 1782.

Risorse ambientali

Porcola PrimaBellissima faggeta che si estende per circa 40 ettari, a 600m slm. Vi si accede tramite lastrada panoramica di Avella.

SerroneBosco ceduo di castagno, di circa 20 ettari. E’ raggiungibile dalla strada della fontana diSperone.

Le FornineBosco di faggi di alto fusto, esteso circa 50 ettari, a 600m slm. Vi si accede dalla stradapanoramica di Avella.

ParadinaCastagneto ceduo di circa 20 ettari, situato nei pressi dell’omonima fontana.

Varie:P.I.P. moderna area di Insediamenti Produttivi.

Sperone

Per altri dati demografici e statisticiconsultare il capitolo “aspetti demografici”

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L’Esagono

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“Che-mi-se-ri-e” lesse, a bassa voce, sillabando, il giovane emigrante italiano.“Che-miserie?” ripeté confuso, il suo infreddolito e incredulo amico, aguzzando gliocchi per leggere meglio la lontana insegna, a fosche lettere nere, posta sulla screpo-lata porta di quello che, a prima vista, sembrava essere un negozio.

Non vi era alcun dubbio: nonostante il rollio del traghetto che -sballottato dalleonde- arrancava cercando di attraccare al porticciolo del piccolo paesino dellaCorsica. Nonostante la fioca luce dell’alba e gli spruzzi freddi e salati del marestraniero rendessero alquanto difficoltosa la lettura, la scritta era inequivocabile:c’era proprio scritto “Chemiserie”.

«Anche in Corsica, quindi, c’era la miseria? Forse i francesi avevano messo quel-la scritta per avvertire gli immigrati di non farsi troppe illusioni?», pensarono iquattro giovani provenienti dal mandamento di Baiano.

Per fortuna, il traghettatore -un vecchio marinaio côrso dalla faccia rósa dallasalsedine- visto l’effetto che quella equivoca scritta aveva sortito sul quartetto diitaliani, si avvicinò al gruppetto con un sorriso e disse: «Non, non. Mes amis (No,no, amici miei). Non “Chemiserie”, “che miseria” si legge, ma “scemiserì”. Comedite voi? “Camiceria”, bien ?».

Un urlo di gioia si levò dal gruppetto di emigranti. Erano intirrizziti dal freddo ebagnati fino al midollo, ma erano felici: lì non c’era la miseria! Si era trattato solo diuno stupido equivoco.

Potevano, finalmente, lavorare e mandare i soldi a casa!

Con questo episodio, che il Cav. Antonio De Rosa di Sirignano afferma essererealmente accaduto attorno agli anni ‘50, andiamo a dare uno sguardo alla storiacon la “s” minuscola. Quella storia che parla della gente comune, delle loro usan-ze, tradizioni e superstizioni. Accenneremo, anche, alla descrizione di alcuni me-stieri del passato e -in generale- alle disagiate condizioni di vita delle popolazionilocali nel corso della prima parte del XX secolo. Di tanto in tanto verrà messo inrisalto, tra le righe, l’importante ruolo svolto dalle donne sia all’interno della fa-miglia che nella misera economia dei nostri paesini.

L’emigrazione

E’ noto che le condizioni di vita nel mandamento del Baianese, come nel restodell’Italia, sono migliorate solo con il boom economico degli anni ‘60. Secondo ilparere di molti analisti, i maggiori progressi sono stati ottenuti grazie alle rimessedei nostri compaesani emigrati all’estero. Cioè grazie ai soldi guadagnati e rispar-miati all’estero ed inviati periodicamente in Italia.

L’ultimo secolo

L’ultimo secolo

L’emigrazione

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Il flusso migratorio del secondo dopoguerra era orientato, prevalentemente,verso i paesi europei (Corsica e altre regioni della Francia, Svizzera, Germania,Belgio e, in misura minore, Inghilterra).

Le ondate migratorie precedenti avevano interessato, invece, soprattutto i Pa-esi posti oltreoceano (Usa, Canada, Argentina, Venezuela ed Australia). Chi emi-grava così lontano generalmente non tornava più in patria. Mentre, chi era direttoverso le Nazioni europee, quasi sempre, tornava periodicamente al paese d’origine.

In quest’ultimo caso, poteva capitare che emigrasse o il solo capofamiglia ol’intera famiglia, oltre che -naturalmente- i giovani (magari chiamati da amici oparenti, già all’estero).

Frequenti -poi- erano i casi delle “vedove bianche”, cioè di quelle mogli che,pur regolarmente sposate, essendo rimaste al paese, vedevano il marito solo quandoquesti tornava dall’estero (generalmente una sola volta all’anno e per pochi giorni).

Queste donne dovevano mantenere il decoro e un comportamento integerrimo,allevare i figli da sole e, in molti casi, far finta di non sapere che il proprio maritoaveva una qualche compagna all’estero.

In altri casi, come già detto, partiva l’intera famiglia che, in questo caso, face-va ritorno in Italia solo ogni due o tre anni. In tutti i casi, l’obbiettivo di tutti eracomprare un pezzo di terra (‘a chianta ‘e casa) e costruirsi un’abitazione con unpiccolo giardino. Molti di questi emigranti sono tornati dopo dieci o vent’anni.Altri, non avendo una prospettiva sicura in Italia, hanno preferito aspettare al-l’estero l’età della pensione.

Ruolo della donna e condizione femminile

Nell’economia e nella societàpreindustriale (ma anche in quella industrialee postindustriale) il ruolo della donna è statosempre considerato, a torto, di secondoordine. In realtà, senza voler nulla togliereall’importanza del capofamiglia e senzadimenticare i veri e propri sacrifici (durolavoro, emigrazione, responsabilità) che essodoveva sopportare, mi sembra giustovalorizzare il ruolo della sua silenziosa edevota compagna che con lui condivideva lerare gioie e i più frequenti e numerosigrattacapi.

E’ ampiamente noto che la nascita di unafemminuccia non veniva accolta,

Donna con sàrcina

L’ultimo secolo

Il fondamentale ruolo della donna

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generalmente, con lo stesso entusiasmo della nascita di un maschietto. E ciò nontanto, come a voltesuperficialmente sisostiene, perché la donnanon fosse in grado direggere il duro lavoro deicampi e dei boschi (poiché,come vedremo in seguito,essa aiutava gli uomini intutte queste attività), quantoperché ella rappresentava“quella che andava via”,quella che -dopo esserestata allevata con tanti

sacrifici- quasi tradendo, andava a vivere (e a lavorare) in un altro gruppo familiare.Non solo, ma perché ella si potesse maritare, occorreva anche fornirla di unaconsistente dote (‘o curredo, ‘a ramma, ecc). Era pertanto consuetudine, finquasi agli inizi degli anni ‘60, che il capofamiglia, alla nascita di una femminuccia,piantasse dei filari di noci o -laddove era possibile- di pioppi, che, con la lorovendita, potessero contribuire a costituire la dote per la futura sposa.

Esistevano, comunque, delle attività tipicamente femminili, alle quali gli uo-mini partecipavano solo quando non vi erano alternative più “onorevoli”. Una diqueste era la raccolta delle fascine (uso civico del legnatico), vendute ai panet-tieri o alle fornaci calcaree. Con i proventi di questo lavoro, in alcuni casi, ledonne sostenevano intere famiglie.

Un’altra attività tipicamente femminile era la raccolta del fieno per l’alimenta-zione del bestiame. Le donne e le ragazzine partivano per i campi (ad esempio, per“Fornino”, per la “Comuna di Sirignano”, per le “porche di Avella” e per il Campo diSummonte) all’una di notte.

Dopo tre o quattro ore di mar-cia arrivavano al prato, impugna-vano la “mussorra” (falce) e ta-gliavano il fieno che veniva la-sciato sul posto a seccare. Rac-coglievano, quindi, quello delgiorno precedente e lo portava-no a valle, dove giungevano ver-so mezzogiorno o l’una, per pro-seguire con il governo degli ani-mali e con i lavori di casa.

‘a ramma

La dote - Raccolta delle fascine e del fieno

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Le persone intervistate raccontano che, all’epoca, era più facile incontraregente in montagna che in paese, e tutti avevano grande familiarità con la monta-gna, a tal punto che alcuni luoghi venivano indicati facendo riferimento ad alcuniepisodi che si riferivano al vissuto quotidiano. Un certo strapiombo, ad esempio,veniva indicato col “toponimo” (come dicono i dotti) di «’o butto ‘e Umberto»,poiché in quel luogo il malcapitato Umberto fece un memorabile volo, dal qualeuscì miracolosamente illeso.

Altre mansioni tipicamente femminili erano la raccolta e la conservazionedella frutta e dei prodotti del bosco. In passato, le nostre campagne erano ricchedi piante da frutta e le forme di potatura rilevate in alcune vecchie piante (adesempio di albicocco) da poco seccate, dimostrano come i nostri contadini aves-sero sviluppato una buona tecnica agricola. Venivano coltivate mele, pere, ci-

liegie e la vite (aBaiano si faceva an-che una importan-tissima festa delvino). Grande im-portanza aveva laraccolta o la coltiva-zione e la conserva-zione (generalmenteper essiccamento) dicastagne, nocciole,origano, camomilla,asparagi selvatici, fi-chi, pomodori, zuc-chine, funghi, gran-turco, farro e ghian-de. Queste ultime,dette “pipparelle”venivano utilizzate,oltre che per quelladei maiali, anche perl ’ a l i m e n t a z i o n eumana o, una voltatostate, come surro-gato del caffè. In alcuni periodi,addirittura, venivamangiato, previa

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Tipico elenco di un corredo

La frequentazione della montagna

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Elenco di un corredo

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bollitura e prima della fioritura, anche il papavero (Papaver rhoeas, o rosolaccio,parente del più allucinogeno Papaver somniferum, o papavero da oppio).

Le donne si occupavano anche di allevare bachi da seta (e ciò fino alla finedell’800), che venivano posti in apposite mangiatoie (‘e tavote) insieme al loroforaggio, costituito dalle foglie di gelso (‘e ceuze). Successivamente elle ponevano i bozzoli in apposite pentole (‘e caurarelle)per liberarli dalla crisalide del baco. A Mugnano del Cardinale ancora esiste unavia detta “delle caldarelle” (o “caurarelle”) perché, all’epoca, davanti a ogni casavi era un pentolone utilizzato a tale scopo. Alcune di loro, inoltre, erano deditealla filatura della lana, tramite arcolaio. Altra incombenza tipicamente femminileera, in tempi a noi più vicini, quella di fare “’e buatte”, ovvero, le conserve dipomodoro. Nel secondo dopoguerra, poi, con la nascita dei primi salumifici artigianali,

Quadrelle. Anni ‘50.Macellazione degli asini

Baiano. Anni ‘70. Raccolta noci e nocciole

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Bachi da seta - Arcolaio - Conserve

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prima a Quadrelle e poi a Mugnano delCardinale, si diffuse largamente il mestieredella suppressatara, nel quale le operaie sispecializzarono talmente che la loromanualità (manodopera specializzata)costituisce tuttora uno dei più importantifattori della tipicità del salame di Mugnano.

Con la nascita delle industrie ditrasformazione della frutta (ciliegie solforate,frutta sciroppata) e di produzione di sottaceti

e sottolio (a Sirignano, Quadrelle, Mugnano ed Avella) molte donne del baianeseintrapresero il mestiere della ciliegiaia.

Oltre a coadiuvare i mariti nelle più svariate attività, le mogli erano dedite, inparticolare, alla cura dei figli, degli animali (da stalla e da cucina) e -naturalmente-della casa.

Il lavaggio delle stoviglie avveniva inumidendo un vecchio strofinaccio epassandolo nella cenere, ripulita in precedenza dei pezzetti di carbonella.

Lo strofinaccio così intriso veniva passato sulle stoviglie, già immersenell’acqua -ancora calda- della cottura della pasta. Le sostanze chimiche dellacenere permettevano di sgrassare i piatti, quindi si procedeva al risciacquo.

Le pentole di rame e le “conche” per l’acqua erano stagnate al loro interno,per evitare il prolungato contatto degli alimenti col tossico rame. Esse venivanopulite mescolando al loro interno aceto e sale e sfregando leggermente, in talemodo la “ramma” riacquistava il suo splendore. Era importante, tuttavia, fare infretta poiché la miscela impiegata era corrosiva e poteva danneggiare il recipiente.Il paiolo (il pentolino o caurariello appeso al camino) dopo la pulizia venivanuovamente riempito d’acqua e riappeso nel camino.

Circa una volta al mese le donne di casa facevano la colata o culata. Riunitesinella cortina lavavano la biancheria in una sorta di lavatoio comune in pietra o inmuratura, oppure usavano alcune cupelle di legno. Si metteva a bollire unarammaiola (pentola) d’acqua e cenere di carbone o di legna, aggiungendo qualchefoglia di lauro o qualche scorza secca di limone, per profumare. Nella cupella simettevano i panni già lavati con il sapone, i più piccoli sotto e le lenzuola sopra.Il tutto veniva coperto con un panno molto resistente ma permeabile, il cinerino,che aveva la funzione di trattenere la cenere lasciando passare solo la parte liquida.

La biancheria veniva lasciata in ammollo fino a sera, quando veniva aperto ilforo inferiore della cupella, dal quale veniva fuori un liquido denso e oleoso (‘alessìa), che veniva raccolto e utilizzato per lavarsi i capelli.

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Lavori di casa - Lavaggio stoviglie - ‘A culata

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Poi, veniva tolto il cinerino e sisciacquava con acqua calda. Ilmattino successivo, dopo aversvuotato (“spillato”) nuovamente lacupella, i panni venivano risciacquatie stesi ad asciugare. Ad Avella e a Quadrelle, rispettivamentelungo il Clanio e lungo il Rio Secco, ledonne lavavano i panni anchedirettamente nell’acqua dei torrenti. L’igiene della persona veniva curata

anche usando il sapone di cóla (nda. di colatura), un sapone fatto in casa,utilizzando gli scarti del maiale e la poza dell’olio. Per poter amalgamare questesostanze si usa oggi la soda caustica, nel sapone di cóla, invece, questa sostanzachimica era sostituita da un liquido ottenuto filtrando l’acqua calda attraverso unsacchetto di cenere accuratamente setacciata; cenere e sostanze grasse producevanoun rudimentale processo di saponificazione.

Un pezzetto di questo sapone era particolarmente prezioso; pare –infatti- chefosse indicato per la cura di alcuni tipi di eczema. I panni, poi, andavano stiraticol ferro a carbone, e poteva capitare che qualche micciulo ‘e fuoco, uscito dai foriai lati del ferro da stiro, bruciasse le lenzuola di lino o di canapa, o che le mani–distrattamente sporche di carbone- macchiassero la biancheria appena lavata.

Le persone che avevano la fortuna di possedere un piccolo appezzamento diterra da coltivare, s’incamminavano di buon mattino per raggiungere il loro piccoloorticello (‘o cienzo), posto generalmente in collina. Portavano con sé qualchetozzo di pane e ‘o ummariello, di terracotta, pieno d’acqua da bere. Lungo ilpercorso non disdegnavano di raccogliere gli escrementi di asini e muli, per usarlicome concime. Tornavano a casa all’imbrunire e davano da mangiare agli animali

(vacca, galline, maiale), mentre lamoglie preparava la cena.

Si poneva un grosso piatto di cretaal centro della tavola (‘a zuppiera) eogn’uno mangiava al proprio posto.Da questa usanza sono nati, poi, i det-ti: «Erem’ frat’ quann’ magnavam’r’int’ ‘o stess’ piatt’» (per dire: “era-vamo fratelli quando mangiavamonello stesso piatto”) e, per mantenere

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Lavori nell’orto - L’acconciapiatti

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le distanze, «Ij e tté nun amm’ mai mangiat’ r’int ‘o stess’ piatt’» (per dire: “io e te nonabbiamo mai mangiato nello stesso piatto”).

Se un piatto o –peggio- una zuppiera si rompeva, non veniva buttata via, ma icocci venivano recuperati attentamente e si conservavano in attesadell’aggiustapiatti (‘o cconciapiatt’).

Costui, adoperando un trapano a mano, dopo aver praticato dei piccolifori, cuciva letteralmente il piatto con dei fili di ferro, i quali –pur non contri-buendo in alcun modo a combattere un’eventuale anemia- conferivano un gustoparticolare alle pietanze.

Le posate -in casa- erano di stagno, ma i boscaioli -quando erano al lavo-ro- usavano per forchette degli spruoccoli (rametti) appuntiti e biforcuti e,per cucchiaio, delle cortecce di albero o delle tacche di legno.Finito di man-giare si andava solitamente a letto senza nemmeno lavare i piatti o mettere unpo’ d’ordine nella casa.

Il letto, di ferro, aveva per reti delle tavole di legno. Il materasso (‘o saccone)era fatto da foglie e guaine di granturco che, al minimo movimento, producevanoun enorme fracasso. Ma ciò non disturbava il “pesante” sonno dei nostri avi che,stanchissimi per il duro lavoro fisico, non soffrivano certo d’insonnia.

All’alba, tutti svegli per cominciare una nuova giornata. Mentre la donna spa-recchiava la tavola e lavava piatti e posate con l’acqua utilizzata la sera prima percucinare, l’uomo andava in stalla per “governare” (accudire e dare da mangiare)gli animali. La brodaglia di lavaggio, con l’aggiunta dei residui della cena (bri-ciole di patate, torsoli di frutta ed altri scarti),più qualche patata e qualche ghianda veniva-no dati in pasto al porco.

Prima di andare a lavoro, tutti i membridella famiglia –anche per svegliarsi- si lava-vano le mani e la faccia. In un angolo dellacasa, su un tripode di ferro, si trovava il cati-no (‘o vacill’), dove si versava dell’acqua chedoveva servire a più di una persona, perchél’acqua corrente non l’aveva quasi nessuno:quella da bere si andava a prendere alla fontanapubblica; quella per lavarsi proveniva dalla ci-sterna, dal pozzo o da una botte di acqua piovana.Dove si faceva il bagno? «Chissà quanta gentenon l’ha mai fatto», ci ha risposto qualche vec-chietto. Comunque, di norma veniva utilizzatala stessa cupella usata per il bucato.

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Attività quotidiane

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Per quanto riguarda l’abbigliamento (foto a pagina precedente), le donneportavano, sopra la sottoveste, un’ampia gon-na coperta da un grembiule (‘o mantesin’),quest’ultimo generalmente di colore nero. Ilbusto era coperto da una camicia a manichelarghe, al di sopra della quale veniva indossa-to un rigido corpetto. Nei mesi più freddi l’ab-bigliamento prevedeva uno scialle di lana. Ilcapo era generalmente coperto d’ ‘omaccatur’, una stoffa di seta o di pezza, soli-tamente piegata a triangolo che giungeva finsopra le spalle. Le gambe erano coperte dacalze di lana e, quasi sempre, la pettinaturaera abbellita da una pettenessa. Nei primissi-mi anni del secolo molte donne non portava-no né mutande né reggiseno. Gli uomini eranovestiti con pantaloni lunghi (‘e cazuni) e una

giacca, generalmente di fustagno, su una camicia di lino, di cotone o di tela (canapa).Era consuetudine “rivoltare” più volte gli stessi vestiti, mettendo all’esterno

la stoffa meno danneggiata dall’uso e dal tempo. Gli indumenti venivano fre-quentemente rattoppati, anche con pezze di colore diverso, e –nella stessa fami-glia- passavano di padre in figlio e da fratello a fratello.

Per i neonati non erano disponibili i pannolini “usa-e-getta” e si usavano ‘efasciatur’ (le fasce). Mettere ‘e fasciatur’ a un neonato richiedeva una certa abi-lità: innanzitutto andava messo ‘o fasciatur’ vero e proprio. Questo era costituitoda un pezzo di stoffa rettangolare, piegato in due a mo’ di triangolo, posto sotto ilsederino del neonato, la punta –rivolta in basso- si faceva passare tra le gambe delpiccolo e, sull’ombelico, si allacciava con le altre due punte laterali. Poi si mette-va ‘o sott’culill’, che rivestiva il sederino (da cui il nome) e le cosce del bimbo.Poi si aggiungeva un altro “strato”, ‘o savaniello, più resistente e disposto comeil precedente. Poi si rivestiva il “malcapitato” con una fasciatura rigida che anda-va dal pancino fino alla punta dei piedi. Infine, l’inerme neonato veniva letteral-mente “insaccato” dentro al sacchetiell’. La parte superiore del corpo veniva co-perta dalla cammesella (camicia), a cui si sovrapponeva ‘o cacciamaniello (unasorta di gilet, che lasciava fuori le braccine, da cui il nome). D’inverno venivaaggiunta anche una maglietta. L’infasciatura dei neonati si praticava fino all’etàdi dodici mesi. Successivamente, veniva messo con le gambine libere, e vestitocon pantaloncini e camicine.

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Modi di vestire

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Normalmente, sia i maschi che le femmine –quando non andavano scalzi-portavano ai piedi gli zoccoli (‘e zuoccul’) di legno o, più raramente, le pantofole(‘e papusci). Per il lavoro si usavano robusti scarponi e, per evitare che si consumas-

sero subito, le suole e i tacchi erano ricoperti di chiodidalla testa sporgente (‘e centrelle). Queste talora si staccavano e, se venivanoinavvertitamente calpestate da qualche viandantescalzo, penetravano nel piede con una facilità im-pressionante e devastante. Le parrucchiere non c’erano ma, in compenso, c’era-no le capere, che pettinavano le persone a domicilio, eche rappresentavano (insieme ai barbieri) i mass-me-dia dell’epoca: sapevano tutto di tutti, e di tutto parla-vano; a volte anche di quello che non sapevano. Guaiad inimicarsele: lo ‘nciucio non perdonava e potevarendere zitella la più virtuosa delle ragazze. A volte queste avevano anche la funzione diruffiane e favorivano incontri amorosi e matrimoni.

Trucco, belletti e profumi non venivano usati e, chi avesse avuto i soldi e l’ardiredi adoperarli, veniva immediatamente etichettata come una “poco di buono”.

Un altro personaggio tipico era la vammana, la levatrice. Costei era una figuramolto temuta e rispettata: addirittura si sussurava, in segreto, che ella potessedare «la vita e la morte». “Stranamente”, infatti, i neonati deformi nascevanosempre già morti! In realtà -quantomeno nel corso dell’800- essi venivano elimi-nati dalla vammana, non buttandoli da una rupe come nell’antica Sparta, ma sof-focandoli appena dopo o durante il parto, spesso ad insaputa degli stessi genitorie con il tacito consenso delle donne più anziane.

La vammana aveva anche la funzione di “presentare” il neonato agli ufficicomunali e di dichiarare da quale donna l’avesse “raccolto”, e se fosse noto omeno il padre.

sartine

Per una disposizione del Concilio di Trento del 1563, le registrazioni di nascite, bat-tesimi, matrimoni e morti, erano riportate nei Registri Parrocchiali. Successivamente, conReal Decreto del Codice Napoleonico, del 29 ottobre 1808, vennero istituiti i Registridello Stato Civile comunale.

Un altro personaggio tipico dell’800 era la Pia Ricevitrice: una donna che ispeziona-va quotidianamente la “Ruota dei Proietti”, dove venivano abbandonati i neonati indesi-derati o frutto di una “segreta colpa”. Questi bambini, detti ‘e figli r’a Maronna (figlidella Madonna), venivano portati al comune, registrati ed affidati a qualche famiglia dibuon cuore. Questa istituzione fu creata con Real Disposizione (napoleonica) del 10giugno 1802.

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Capera - Vammana - Pia ricevitrice

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Le donne, fin da bambine, trascorrevano una vita piuttosto ritirata e sioccupavano dei fratelli più piccoli o andavano “alla maestra”(di cucito).

Per le giovinette, rare erano le occasioni per conoscere coetanei dell’altrosesso. Fino agli anni ’60 erano pochissime le ragazze che andavano a scuola e lepoche occasioni di socializzazione erano costituite, quasi esclusivamente, dallefeste patronali e dalle scampagnate in occasione della pasquetta e delle “passiatea Montevergine” (cfr. capitolo su Baiano). Più recentemente, i giovani potevanolanciarsi le prime occhiate anche in occasione della raccolta o della scucchiuliàturar’e nucelle (pulitura delle nocciole dalla “cupola” verde) che, spesso, si facevanella curtina insieme ai vicini.

Le ragazze potevano farsi notare (e, a loro volta, notare) quando, la domenica, si recavanoa messa o al cinematografo. A Sirignano già negli anni ’30 esisteva un cinematografoall’aperto, nella cosiddetta “strada” (nelle adiacenze del Castello). A Mugnano vi erano duesale cinematografiche (Cinema Partenio e Cinema Santa Filomena). A Baiano esisteva ilCinema Colosseo e il Cinema Sarno (chiuso nel 1993) e, ad Avella, la Sala Azzurra.

Per una ragazza essere carina non bastava ad essere considerata un buon partito.Anzi, la cosa poteva rivelarsi un grave handicap. La saggezza popolare, infatti,raccomandava a chi volesse essere tranquillo: « né mugliera troppo bella, nérobba ‘nmiezz ‘a via », poiché sia l’una sia l’altra gli potevano essere portate via.

Meglio, perciò, una moglie robusta e“lavoratrice” (con o senza baffi). Inoltre, come consigliavano i vecchiproverbi, era preferibile scegliere «donne ebuoi dei paesi tuoi», non trascurando di teneranche conto che «pari cerca pari, e pariprende». Spesso, come ci confermano le persone piùanziane, i fidanzamenti e i matrimoni eranocombinati dalle famiglie. Altre volte la ragazzariceveva ‘a ‘mmasciata (l’imbasciata) tramiteun’amica o una parente. I giovanotti piùintraprendenti “mandavano la serenata”. La ragazza, per capire se avrebbe sposatol’uomo che aveva pensato, prima diaddormentarsi (ma dopo aver recitato unainvocazione a “Sant’Elena Imperatrice”,seguita da tre Pater Noster, Ave e Gloria),

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Corteggiamento

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tendendo l’udito ai rumori della notte, attendeva il “responso”: era consideratopositivo l’abbaiare dei cani e negativo il rumore di una porta che si chiudeva.

Anche quando il falò (così era anche chiamato, scherzosamente, ilfidanzato) era trasuto a casa (fidanzato in casa), ai due fidanzati non eraconsentito incontrarsi da soli. E ciò fino alla metà degli anni ‘60, come ètestimoniato da una celeberrima canzone dell’indimenticato Renato Carosoneche recita: «...ije, màmmeta e tu ... màmmeta annanze e sòreta arréte», perpoi concludere, esasperato: « nun ci’a faccio cchiù ... iatevenne !»

Guai a “sgarrare”, comunque. A Mugnano del Cardinale, come riferito dallo Studiosodon Giovanni Picariello nel suo libro “La Valle munianense”: «… si tramanda ancoraoralmente che una gentildonna mugnanese, per non aver saputo resistere alle “seduzionidell’amore”, fu una notte svegliata dai suoi due fratelli e con un pretesto invitata adiscendere giù in cucina, dove già ardeva un gran forno, e ce la infornarono, purificandocosì col fuoco l’onta arrecata al chiaro nome della famiglia. Il fatto, subito risaputosi,produsse una orribile impressione in tutt’i paesi della valle; ma i fratricidi non furonopunto molestati dalla giustizia, forse in omaggio al nome medesimo».

L’ultimo secolo

I costumi morigerati

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Le condizioni igieniche

Dalle nostre parti, alla caduta dell’impero romano seguì un lungo periodo buiodal quale i paesini del mandamento non riemersero che verso la fine del XIXsecolo. Come è stato già detto altrove, solo dopo il 1806 -grazie alle legginapoleoniche- si cominciarono a costruire i primi cimiteri fuori dei centri abitati.

Le popolazioni rurali vivevano nella miseria più nera e in disagiatissime condizio-ni igieniche (cfr. il capitolo “Storia e destino comuni”) e solo agli inizi del XX secolosi costruirono i primi rudimentali acquedotti acielo aperto e i primi abbozzi di reti fognarie.

Ogni comune, inoltre, aveva la sua pic-cola discarica, posta -di norma- al confinecon un altro comune (in alcuni casi, neglistessi siti dove -negli ultimi anni- si assiste apericolosi cedimenti delle strade).

Le stradine, quasi sempre in terra battu-ta, presentavano una pendenza verso il cen-tro ove si formava un rivolo maleodorantenel quale venivano riversati liquidi (e nonsolo liquidi) di ogni genere.

Ancora agli inizi degli anni ’70 qualche“nostalgica” vecchietta, memore delle anti-che usanze, usava svuotare i vasi di notte(cantari o pisciaturi) in mezzo alla strada,costringendo il preoccupato viandante -desideroso di evitare maleodorantiaspersioni- ad essere ben sveglio e vigile anche di buon mattino.

Normalmente, codesti recipienti venivano svuotati in apposite latrine ocantarielli (asterisco nella foto sotto), o in “pozzi neri”, e successivamente gli escre-menti venivano raccolti e portati nei campi, per essere utilizzati come concime.

Frequenti erano le epidemie (soprattutto di tifo e di colera) e numerose le zoonosi. Con questo termine (dal greco zoon,animale) si indicano quelle malattie chepossono essere trasmesse dagli animali al-l’uomo, come la tubercolosi, il tetano, labrucellosi (febbre maltese), il carbonchioematico e numerose parassitosi. L’agente del tetano si annidava so-prattutto negli escrementi di cavalli,asini e muli che, con le piogge, veniva-no sparsi uniformemente in tutto il pae-

Avella. Via Madonna delle Grazie.

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Le prime fogne - Le “zoonosi”

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se, e poteva facilmente infettare gli uomini, penetrando attraverso piccole ferite.La tubercolosi aggrediva prevalentemente le mucche più debilitate. Il carbonchioe la brucellosi colpivano soprattutto le pecore e le capre.

Non era raro che la gente, a valle, bevesse dallo stesso rivolo (l’acquedotto acielo aperto dal quale, a monte, si erano abbeverate le bestie). Le parassitosi eranomolto diffuse anche a causa dell’abitudine di concimare orti e campi con escre-menti umani e animali.

La gente del popolo, che non poteva permettersi gli incerti rimedi della medi-cina dell’epoca, sopravviveva nonostante la mancata assistenza dei medici o -come ancora sostiene qualche arguto vecchietto- grazie proprio ai loro mancatiinterventi. La medicina, infatti, era ancora abbastanza empirica e dagli esiti incerti.

Cataplasmi (di semi di lino) e salassi (con sanguisughe) costituivano i princi-pali rimedi allora praticati. Non erano ancora disponibili gli antibiotici, che giun-sero in Italia insieme all’esercito americano, verso la fine della seconda guerramondiale, e la diagnostica era limitata all’intuito del medico.

In tale situazione, le arretrate popolazioni rurali non potevano fare altro chericorrere agli effetti placebo di guaritori e fattucchiere o ai rimedi erboristici.

Contro il mal di denti venivausato, soprattutto dai boscaioli,il Solanum nigrum, detto “erbamorella” o “pummarulellaservateca” (nella foto). Questa erba, dai bulbi comme-

stibili e simili a piccole patate,presenta fusto, foglie e bacchevelonose e dall’effetto sedativosulle terminazioni nervose. Si schiacciavano le bacche su

un pezzo di ovatta avvolto suuno “spruoccolo” (sottilerametto di legno). Si dava fuo-co a questa piccola torcia e, abocca aperta, si faceva in modoche il fumo giungesse al dentedolente o all’ascesso. A voltefunzionava. Questa pianta, lasciata ma-

cerare nell’olio, forniva anchepomate antidolorifiche.

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I rimedi terapeutici

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La fede -allora come oggi- sosteneva i malati e gli oppressi ma, purtroppo, ilprete veniva considerato quasi alla stregua di uno stregone. La Santa Messa, cele-brata in latino per persone che non conoscevano bene neppure l’italiano, incutevariverenza e rispetto.

Più che alla sostanza del messaggio evangelico si badava alla ritualità dellecerimonie e frequenti erano, nella gente del popolo ma non solo, evidenti confu-sioni e sovrapposizioni tra sacro e profano.

La Chiesa lungi dal combattere le superstizioni, le alimentava. Antichi Autoririportano un esilarante ma sintomatico episodio, in cui si intrecciano la miseria el’ignoranza del popolo con la fantasiosa “psicologia” del clero (solo di recentesoppiantata da quella dei politici): «… nel 1631 eruttò il vicino Vesuvio con tantaviolenza, da lanciare le sue ceneri fino in Dalmazia e nell’Arcipelago (Grecia), ele sue acque bollenti, miste ad alghe e a pesci cotti, fino ad Avellino e Atripalda;onde le campagne di questa valle ne furono così danneggiate, che per molto tem-po non diedero frutto. Fu solo dopo cinque o sei anni che la vegetazione cominciòa risorgere, e prometteva un’abbondante raccolta, quando nel 1640 si scatenò suqueste contrade una invasione di cavallette. La costernazione delle misere popo-lazioni rurali era al colmo. Per tutto [il circondaro .. vi furono] frequenti proces-sioni penitenziali e scongiuri, tridui e pubbliche preghiere, inutili rimedi. La Cu-ria vescovile di Nola, a calmare un po’ gli animi terrorizzati, escogitò di costitu-irsi solennemente, nel Duomo di quella città, innanzi ad un gran popolo in AltaCorte di Giustizia, il Vescovo presidente, il suo Vicario accusatore e il Decanodifensore, allo scopo di fare il processo alle bestiole sterminatrici. L’accusatore,dopo una tremenda requisitoria, chiese la pena di morte; il difensore invece l’esi-lio sulla montagna di Somma; il Vescovo, prudente, fu per l’esilio; ma le cavallet-te non se n’andarono se non quando ebbero distrutto ogni cosa».

Come è stato già detto nel capitolo di Baiano (a proposito dell’eremo di Gesùe Maria e di Sant’Alfonso dei Liguori), le fattucchiere erano diffuse in tutti ipaesi del mandamento, in particolare ad Avella.

Alcune massaie, per evitare che le fattucchiere potessero penetrare in casa,passando attraverso il buco della serratura, o sotto la porta, ponevano dietro l’usciouna scopa o una scupetta (spazzola): la strega prima di poter entrare era obbligataa contarne –senza sbagliare- tutti i fili, prima che arrivasse il mattino.

In passato non esistevano né la televisione, né la radio, né Internet. Non tuttipotevano permettersi di acquistare i libri. Inoltre, non tutti quelli che potevanoacquistare un libro erano anche in grado di leggerlo.

Superstizioni e credenze popolari

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La credulità del popolo

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Esisteva, perciò, la tradizione di tramandare oralmente i vari “cunti”. Nei paesinidel mandamento vi erano alcuni anziani che, come gli antichi cantastorie, cono-scevano a memoria tutte le opere di Torquato Tasso. Essi affascinavano i nostripadri, allora bambini, con le mirabolanti imprese di Orlando Furioso, Rinaldo ecompagnia. Ma essi non si limitavano a declamare la sola letteratura. Spesso,davanti al fuoco del camino, si divertivano a terrorizzare i loro ascoltatori conracconti di spiriti e di fantasmi, che con minime differenze si narravano anche inpaesi fuori del mandamento.

A questo proposito si narra di un padre che, avendo un figlio –ormai adolescen-te- che non si decideva a imparare alcun mestiere, decise di tenerlo chiuso in casafino a che non avesse deciso cosa fare della sua vita. La gente del posto, accostando“discretamente” l’orecchio alla porta della loro abitazione sentiva l’uomo che –spa-zientito- intimava al figlio: «liéggie … liéggie», facendo seguire –talora-l’inequivocabile schiocco di uno scapaccione ben assestato. Anche le più pettegoledel paese non potevano fare a meno di parlare bene di cotanto padre che esortavacontinuamente il figlio a leggere. Ma le cose stavano in ben altro modo: non a legge-re veniva esortato il giovane, ma a muoversi in maniera più leggera. Se, infatti, gliingenui villici avessero potuto vedere attraverso le pareti, avrebbero potuto osserva-re il padre che insegnava al figlio come rubare un portafoglio senza farsene accorgere,raccomandandogli continuamente «…liéggie…».

Uocchio e mal’uocchio‘e perticell’ all’uocchioschiatt’n ‘e nnemmicie crépan ‘e mal’uocchi‘a truvat p’a vialibbera Sant’Antunin’‘a truvat p’a casalibbera Sant Tummas’afujite uocchie smarilittsmaliric’ cu’ l’uocchie ‘e Gesù Crist’afujite pe’ chillu vosc’ oscur’addù stann’ sierp’ viper’ ‘e curzunia nomm’ ‘e Santa Lena,chi t’’e fatt’ ‘o mal’ t’adda fa o bben’a nomm’ ‘e Dio,stu male ne trova a via.

sciò, sciò, sciò accompagnando con unmovimento della mano.

Farsi tre volte il segno della croce. Poi,facendo continuamente col pollice il segnodella croce sulla fronte del malcapitato, sirecita il seguente scongiuro:

Formula contro il malocchio.Un racconto classico era quello dellaprocessione dei morti:

«Era la novena dei morti, Uelà si era alzataprima dell’alba per andare alla messa. Uscitadi casa vide giungere una processione di personeportanti ogn’una un cero acceso. Uelà si accorsein breve che le persone che passavano davantiai suoi occhi pieni di stupore erano tutte personetrapassate. Vide anche una sua amica, mortada tempo, il cui cero si era spento: «dallo a meche te lo accendo» disse, commossa,rivolgendosi allo spirito dell’amica defunta.«Non posso aspettare, non ci possiamotrattenere», rispose mesta la defunta.

Uelà strappò con forza il cero dalla manodell’amica, entrò in casa e l’accese, ma quandoritornò in strada la processione era ormaiscomparsa.

Tornata in casa, perplessa, si accorse che ilcero non era più un cero ma l’osso di un braccio.La sera successiva, aspettò che ripassasse laprocessione dei morti e, senza parlare, ridiedeil braccio al fantasma della sua amica defunta».

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I cunti e l’occulto

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Non era infrequente che la gente vedesse (o credesse di vedere) gli spiriti.I racconti terrificanti e l’assenza della corrente elettrica facevano facilmente levasulle persone più suggestionabili.

Ed ecco che i boscaioli, in montagna, dicevano di aver incontrato ‘a Signorar’’e piattini (il fantasma di una dama dal lungo vestito bianco e con l’ombrellinoda sole).

Altri raccontavano di essere stati vittima della malombra, un non meglio iden-tificato spirito che confondeva i sensi e faceva in modo che il povero viandante sismarrisse, inspiegabilmente, in luoghi che conosceva perfettamente fin dalla nascita.

E’ anche probabile che, in una civiltà più vicina ai ritmi e all’essenza dellanatura, alcune persone –più sensibile delle altre- sviluppassero (o che non soffo-cassero) alcune capacità medianiche.

Un personaggio che, a detta delle persone più anziane, frequentava le case deinostri avi era ‘o munaciello; cosiddetto perché era uno spirito -o un essere magico-di piccola statura, somigliante ad un bambino o a un nano, e vestito con un saio,come un monaco.

‘O munaciello non è uno spiritello tipicamente nostrano. Ne parlava già lascrittrice Matilde Serao nelle sue “Leggende napoletane”, pubblicate nel 1880.Anche Carlo Levi ne parla nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli”, ove avverte cheil folletto mira più di ogni altra cosa a rientrare in possesso del copricapo sottrattogli:«Per riavere il suo berretto rosso, senza cui non può vivere, il “monachicchio” tiprometterà di svelarti il nascondiglio di un tesoro; ma, appena riavrà il suo preziosocopricapo, fuggirà con un gran balzo, facendo sberleffi e folli salti di gioia, e nonmanterrà la sua promessa».

‘O munaciello, chiamato anche mazzamauriello (dallo spagnolo matamorillos)compare anche nella “Vaiasseide” (poema eroicomico in cinque canti – Napoli1612) con il nome di scazzamauriello.

Gli studiosi di fenomeni paranormali lo considerano affine ai fenomeni di“poltergeist” (nda. dal tedesco: spiriti chiassosi) che si riscontrano nelle casedove sia morto un bambino e dove si trovano adolescenti in crisi di crescitache fungono da “catalizzatori”.

Si racconta (con nomi e cognomi ben precisi) che un certo ragazzino stava tornandoa casa dai boschi con l’asino carico di legna, messa su dai suoi compaesani più grandi.Ad un certo punto l’asino finì con una zampa in una buca e si accasciò a terra. Occorrevascaricare la legna, rimettere in sesto l’asinello e ricaricare la legna. Il ragazzino non cel’avrebbe mai fatta da solo. Per fortuna comparve suo padre, che lo rincuorò e lo trasserapidamente d’impaccio.

Niente di strano, se non per il fatto che il padre del giovane boscaiolo non fosseappena morto in un ospedale di Napoli, ove era ricoverato per una grave polmonite.Giunto al paese, dove nel frattempo era giunta la notizia del decesso, il ragazzino raccon-tò a tutti la sua storia, tra i pianti e l’incredulità delle comari, che si affrettarono a farsi piùvolte il segno della croce.

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Fantasmi - Spiriti - ‘O munaciello

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In passato, qui da noi, sembra che col munaciello ci giocassero, generalmentein soffitta, lontano dagli sguardi indiscreti degli adulti, intere “nidiate” di bambini.

Si racconta pure che a Quadrelle, un certo “Pascalotto” aveva la sgradevoleabitudine di andare a fare i suoi bisogni nella Chiesa. Una sera qui gli apparve ‘omunaciello che, evidentemente, vi abitava. Chiese a “Pascalotto” il favore di nonsporcargli più quella che egli considerava la sua casa, promettendogli in cambiouna moneta d’oro al giorno. A patto che non svelasse il segreto ad anima viva.

La moglie di “Pascalotto”, insospettita dal fatto che suo marito avesse tutto queldenaro senza disporre di nessun lavoro, costrinse il reticente coniuge a svelargli ilsegreto. Ebbene, quando “Pascalotto” la mattina successiva ritornò in Chiesa perricevere la sua moneta d’oro, invece del denaro trovò un puzzolente “pasticciotto”di cacca di munaciello.

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Macerazione della canapa da fibra in una “fusara”

Ancora sul munaciello

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Gli antichi mestieri

Nei secoli XVIII e XIX le attività produttive più diffuse nei paesi del Baianeseerano quelle legate allo sfruttamento dei boschi, dei pascoli e delle campagne perla produzione di quei beni richiesti dall’agricoltura, dalle industrie e dalle popola-zioni (oggi diremmo dai consumatori) della metropoli partenopea e delle Puglie,con cui esistevano intensi scambi commerciali.

Il carbonaio (‘o graunaro)

Notevolissima importanza aveva la produzione di carbone. Non esistevano an-cora né l’elettricità (i cui primi timidi tentativi di un serio utilizzo risalgono ai

primi decenni del XX secolo)né il motore a scoppio (quelloa benzina fu inventato solo nel1882) e l’unica forza motricedisponibile era quella fornitadalle macchine a vapore, fun-zionanti a legna o a carbone. Navi, treni e macchine in-dust r ia l i necess i tavano,perciò, di ingenti quantitàdi questo combustibile.

Nessuna meraviglia, quindi, che sfogliando i vecchi registri dei vari co-muni, quello del carbonaio risulti essere stato uno dei mestieri più diffusi delmandamento. E ciò anche in considerazione dell’abbondanza della materiaprima, costituita dagli estesi boschi di ceduo.

I più anziani ci raccontano della dura vita dei carbonai e delle tecniche da essiusate per produrre il carbone.

Generalmente, la squadra dei carbonai era costituita da almeno tre o quattropersone. Talora erano presenti anche le mogli. Siccome l’intero lavoro (dalla co-struzione della carbonaia al recupero del carbone) poteva richiedere anche unaquindicina di giorni, essi costruivano innanzitutto una baracca (capanna), la cuiporta era costituita da una fascina di rami o da frasche. Poi si costruivano i rastrel-li in legno e le scarpe in legno di fico (che resiste alle alte temperature e isola dalcalore). Poi si spianava la piazzola su un terreno il più possibile pianeggiante. Seil terreno era in pendenza si costruiva un’impalcatura (piattabanda). Si rimuove-vano pietre, cespugli e “ceppe” di piante. Si appianavano i dislivelli con fogliesecche e rami sottili, ricoperti con uno strato di terra e poi si dava il via allacostruzione della carbonaia vera e propria.

Gli antichi mestieri

Il carbonaio

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Si costruiva il castelletto centrale (vedi foto), che fungeva da “bocca” dellacarbonaia. Attorno a questo si faceva la catasta di tronchi e rami, disponendo i piùpiccoli in basso e i più grossi in alto. Poi si ricopriva il tutto con frasche (disposteverso il basso), su cui si appoggiava uno strato di zolle d’erba (‘e tempe) e di terra,in modo da non lasciar passare l’aria. Veniva lasciata aperta solo la parte superio-re (bocca del castelletto), nella quale venivano posti due tronchetti disposti a cro-ce (a mò di griglia). Sui tronchetti venivano accese delle frasche e, poi, della legnasottile. Man mano che la legna in cima bruciava si formava della cenere che cade-va nel castelletto e che provocava la combustione della parte inferiore. Quando ilfuoco era ben avviato si lasciavano cadere i resti dei due tronchetti disposti acroce e si cominciava ad alimentare la fiam-ma accesa alla base del castelletto. Si aggiun-gevano corti pezzi di legno fino a riempirecompletamente il castelletto.

A questo punto veniva chiusa la bocca,per essere riaperta ogni 12 ore per “dare damangiare” alla carbonaia, aggiungendo altralegna nel castelletto. Il fuoco, all’interno del“catuozzo” (come veniva pure chiamata lacarbonaia), non si spegneva perché alimentato dall’ossigeno presente nella legnafresca. Inoltre, venivano aperti dei fori di aerazione (a circa un metro dalla cima),attraverso i quali usciva del fumo, bianco perché ricco di vapore acqueo.

Quando il fumo diventava acre e azzurrognolo i fori venivano richiusi e nevenivano aperti altri un metro più in basso e così via.

Aerare troppo il “catuozzo” (cosa che poteva capitare a causa del vento o dellaformazione di qualche crepa nella struttura) significava, letteralmente, mandarein cenere tutta la legna.

La carbonaia, perciò, andava “governata” (curata, vigilata e “nutrita”) ininterrotta-mente, anche di notte. Le dimensioni delle carbonaie erano variabili. Quelle più pic-cole misuravano 3-4 metri di diametro perun circa due metri di altezza. Ma, normal-mente, erano molto più grandi.

La resa era attorno al 40%. Cioè, dacento quintali di legna fresca si ottene-vano circa 40 quintali di nero carbone.Ma essa variava in relazione al tipo dilegna e del tipo di cottura subita.

Alla fine della cottura, cioè, quandoanche i fori alla base avevano smesso diemettere fumo azzurrognolo, si aspetta-

castelletto

Gli antichi mestieri

La costruzione del catuozzo

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va il raffreddamento del “catuozzo” (e ciò era in relazione alle dimensione dellostesso) e si rastrellava il carbone.

Nerissimo, lucente, leggero e di una sonorità metallica. Questo veniva messoin appositi sacchi (più grandi del normale perché il carbone pesa di meno) e por-tati a valle, a dorso d’asino (tre per ogni animale).

Alla fine del lavoro tutto era di colore nero. Si vedevano brillare solo gli occhidei carbonai.

Presumibilmente, l’espressione “te ne vai p’’o fummo”, che tradotto libera-mente, significa “vai ad intuito”, deriva proprio dal mestiere dei carbonai che,come si è visto, in base al colore del fumo stabilivano se il catuozzo era cottooppure no.

Calcarea (‘o carcararo)

Nella “fornace calcarea” o “carcara”, per cottura della pietra calcarea o “pietraviva”, veniva prodotta la calce viva, di aspetto e consistenza polverulenta. Questa,com’è noto, a contatto con l’acqua reagisce violentemente e comincia a ribollire (re-

azione esotermica) pro-ducendo la calce spen-ta, usata in edilizia,come legante della pie-tra e per gli intonaci, ecome ammendante(correttore del Ph) eanticrittogamico, inagricoltura. Tutte le nostre mon-tagne sono costituiteda calcare, ad eccezio-ne di qualchecollinetta che presen-

ta depositi di arenaria o di tufo. La materia prima, quindi, non mancava, e neppureil combustibile, costituito da fascine (sàrcine e sarcinelle), gusci di nocciòle, se-gatura, pannelli dei frantoi oleari e materiali simili.

In molti casi, i proprietari delle carcare erano anche industriali boschivi.Ogni paesino aveva le sue fornaci calcaree. Addirittura, nel secondo dopoguerra,a Baiano, nel bosco di Arciano, vi era un cantiere-scuola del “Ministero del Lavo-ro e della Previdenza Sociale” (vedi foto sopra).

La fornace calcarea era costituita da due ambienti sovrapposti, comunicanti traloro attraverso un grosso foro centrale. Superiormente vi era la “fornace” vera e

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Gli antichi mestieri

‘A carcara

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propria e, sotto di essa, era posta la “camera di sgombero”, dalla qualeveniva estratta la cenere.

Attraverso il foro centrale cadeva la cenere e saliva l’aria. Su di esso veniva com-posta, ad ogni cottura, la “grata” costituita da grossi massi di pietra viva (che sarebbe-ro stati cotti insieme a tutti glialtri), disposti a cupola (per po-ter reggere il carico) e appog-giati tra di loro tramite gli spi-goli (lasciando così dei fori at-traverso i quali poteva caderela cenere e passare l’aria).

L’intera struttura della for-nace era costituita dallo stessotipo di pietre che, cotte, si sa-rebbero trasformate in calceviva. Per questo motivo, alloscopo di evitare di rifare la fornace ad ogni cottura, il suo interno veniva rivestito dauna “fodera”, costituita da uno strato di calce e pietre di piccole dimensioni.

Le pietre da cuocere venivano poste in circolo attorno al foro centrale, cherimane libero, e lasciando nel perimetro alcuni spazi (canne di tiraggio). Manmano che si sale le pietre convergono sempre più verso il foro centrale, per cuiesse vengono ad assumere una conformazione a cono. Successivamente vieneriempita l’intercapedine tra l’anello di pietre centrale e la “fodera”. Riempita tuttala fornace si versa sulla sommità un impasto di calce che ha la funzione di evitarele dispersioni di calore, lasciando liberi il foro centrale e i fori delle canne.

Le fascine (o altro combustibile) vengono scaricate e accese nel cilindro cen-trale. Il lavoro di caricamento poteva durare anche un mese. La cottura delle pie-tre, ad una temperatura superiore agli 800 gradi centigradi, prosegue per circa 12giorni. Nelle prime 24 ore la pietra diventa fragile come vetro. Successivamente,per la perdita dell’acqua, il suo peso si riduce a quasi la metà e comincia a diminu-ire anche il volume, mentre appaiono le prime lesioni.

La cottura si considerava ultimata quando, spiando attraverso le “canne”, siverificava che le pietre avevano assunto un caratteristico colore giallo-oro.

A detta dei vecchi carcarari, si trattava di un lavoro estremamente faticoso,tanto è vero che si tramanda il modo di dire “’e fatt a carcara”, per indicare unafatica sovrumana o come sfottò indirizzato verso qualche “sfaticato”.

Anche il lavoro di vigilanza e di “cura” della “carcara”, consistente nell’ag-giunta di altro combustibile e nella sottrazione di cenere e carbonella, era partico-larmente dannosa per la salute perché esponeva gli operai a continui sbalzi ditemperatura e, nei giorni più ventosi, a pericolosi ritorni di fiamma.

Mugnano

Gli antichi mestieri

Il duro lavoro del “carcararo”

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Neviera

Le neviere, in epoche in cui non esistevano frigoriferi, rappresentavano l’uni-ca possibilità di ottenere, nei periodi caldi, bevande o cibi freddi o di poter refri-gerare e quindi conservare più a lungo cibi deperibili.

Esse si trovavano sui monti Avella, a Summonte e al Campo di Montevergine.Erano costituite da sem-plici buche nel terreno,che giungevano fino a 5-10 metri di diametro e al-trettanti di profondità.Durante l’inverno veniva-no riempite con neve fre-sca, trasportata con car-riole e ceste e pressata coni piedi o con mazzuole epiccoli tronchetti.Quando la profondità

della neviera lo consentiva, si facevano più strati di ghiaccio, separati tra loroda frasche e foglie secche, che avevano funzioni isolanti. Questo sistema con-sentiva di mantenere freddo lo strato più profondo anche quando si estraeva ilghiaccio dagli strati più superficiali.

Oggi delle neviere rimangono solo poche tracce, costituite da un av-vallamento del terreno o da qualche pozzanghera che si forma dopo lepiogge, in quanto, col trascorrere dei decenni sono state ricoperte daidetriti trascinati dallo scorrere delle acque superficiali. Era un mestiereprevalentemente femminile.

A Mugnano del Cardinale, proprietario di importanti neviere situate a Summontee al Campo di Montevergine, era un certo Santo Bellusci.

Il ghiaccio, coperto da sacchi, veniva trasportato a valle o a dorso di mulioppure dalle donne, che lo tenevano in testa, portato in uno straordinario “equili-brio dinamico”, appoggiato al “curuogliolo” (una sorta di “turbante” di pezze).

I blocchi di ghiaccio venivano poi posti in veri e propri depositi (unodi questi era situato nelle adiacenze del palazzotto Canonico, ora palazzoGuerriero), in località Cognulo a Mugnano del Cardinale. Altre impor-tanti neviere si trovavano a Monteforte Irpino. La neve veniva conserva-ta e pressata nelle grotte ricavate dall’estrazione del tufo (situate pratica-mente sotto l’autostrada, poco più in basso della fontana Carlo-III).

Il ghiaccio, oltre che per la produzione di granite e gelati, veniva usato perla conservazione degli alimenti (venivano a comprarlo anche da Napoli) enegli ospedali.

neviera

Gli antichi mestieri

Come si produceva il ghiaccio

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Sportellaro

Quello dello “sportellaro” è stato uno dei mestieri più importanti delmandamento baianese, che ha conservato una larga diffusione quantomeno fino aiprimi anni ’70, quando, a somiglianza di quanto stava capitando per i bottai, haconosciuto una rapida e inesorabile decadenza, a causa dell’avvento delle materieplastiche. All’epoca, i nostri paesini erano piuttosto “ritmici”.

I principali “percussionisti” erano costituiti da ferracavalli, bottai, fabbri e sportellariche con i loro “strumenti” (di lavoro) facevano riecheggiare la tranquilla e laboriosavallata di ritmici rintocchi -talora metallici e argentini, talora sordi e legnosi- in-tervallati, di tanto in tanto, dal raglio malinconico di qualche asinello o, nelleassolate giornated’estate, dall’insisten-te canto delle cicale.

Non era raro incro-ciare per la stradagrossi carri (‘e traini),tirati da flemmaticicavalli, carichi fino al-l’inverosimile di tra-ballanti file di “spor-te”, a volte alte più ditre metri. Per la lavo-razione venivanousati solo pochi stru-menti (vedi foto apag. seguente) e un forno a due piani: nello scomparto inferiore veniva acce-so il fuoco e in quello superiore i pali da ammorbidire.

Venivano usati pali di castagno con diametro da due (‘e vuccali) fino asette od otto centimetri (‘e vaccele): i primi servivano per rinforzare il bordosuperiore e per i manici, i secondi per ricavarne le strisce di legno da usarenell’intreccio delle “sporte” o dei “panari”. Ai pali di castagno vengono ta-gliate le estremità inferiori (perché poco flessibili e non adatte all’intreccio)e le punte. Poi vengono tenuti a bagnomaria per alcune settimane. Infine,vengono messi ad “ammorbidire” nel forno, per circa mezz’ora.

Il legno ancora rovente viene, poi, spaccato longitudinalmente prima in dueparti e, successivamente, in tante strisce di legno sottili. Una volta questa opera-zione veniva fatta, letteralmente, con i denti.

Ciccio ‘e Limpiella di Mugnano, collaboratore di uno degli ultimi sportellaririmasti (il Sig. Stefano Napoletano, che ha il suo laboratorio nel quartiere Vesuni

Gli antichi mestieri

Gli ultimi sportellari

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di Baiano), ci precisa che è molto importante che le strisce abbiano un giusto euniforme spessore: strisce troppo sottili sarebbero più facili da intrecciare ma lesporte così ottenute risulterebbero troppo fragili.

Le mani, rese ruvide dal contatto con il legno rovente, e nere, per il tanninocontenuto nella corteccia e nel legno di castagno, testimoniano la dura fatica ne-cessaria per produrre questi antichi ma ecologici contenitori.

Le donne, soprattutto ad Avella, intrecciavano anche i sottili rametti di vimini(salix viminalis), di ginestre e di giunchi (spartium iunceum, altra specie di gine-stra), per realizzare ceste per la frutta o “fuscelle” per contenere la ricotta.

Gli antichi mestieri

Le fuscelle

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L’Esagono

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Il boscaiolo (‘o mannese)

Mestiere diffusissimo nel Baianese, tra i nostri nonni e trisavoli. I boscaiolitagliavano la legna da ardere, la legna per glisportellari, ‘e murcuni per fare le toghe delle botti, lalegna per i carbonai, per gli scalari, per i falegnami (omasturasci, termine che proviene da “maestrod’ascia”), per l’agricoltura (‘e pertiche), per le co-struzioni (‘e trav’ per i soffitti), per le traversine del-le ferrovie e per le segherie.

In passato il taglio degli alberi veniva effettua-to con le accette e con le roncole (‘o runcino). Suc-cessivamente venne usato, per gli alberi di altofusto, il segone a mano (‘o strungone) sostituito,solo attorno al 1960, dalla motosega.

Anche le donne partecipavano a questo lavoro.Queste erano dedite ai lavori -si fa per dire- più leggeri, come la pulizia delsottobosco e la sramatura delle piante di alto fusto. Quando non erano disponibilii mulattieri (i proprietari dei muli), gli uomini, attaccate alcune funi ai grossitronchi di castagno, dovevano anche tirare ‘e trav’ fino a valle.

Quando i boscaioli andavano a lavorare fuori regione (Abruzzo, Lazio, Tosca-na, Lucania), poteva capitare che si dovesse spostare l’intera famiglia. In questocaso il gruppo di boscaioli viveva in gruppi di capanne costruite da loro stessi.Spesso il tetto era coperto dalle témpe (zolle di terra inerbite), altre volte da cartacatramata o dalle bandone (lamiere ondulate) di zinco.

Il boscaiolo costruiva anche una rudimentale stufa a legna, aprendo -in unbidone metallico- una porticina per infilarci la legna e un foro per collegarci lacanna fumaria. Visto il tipo di lavoro, che richiedeva la collaborazione di tuttiquanti, e il forzato isolamento del gruppo –che poteva protrarsi anche per svariatimesi- fra i boscaioli erano fortissimi i vincoli di solidarietà e di mutuo soccorso.

Quando si usavano ancora ‘e strungun’ ‘a man’ (i segoni a mano), ad adoperarlierano le “paranze”, ovvero delle squadre costituite da due uomini.

Essi dovevano lavorare in perfetta sintonia: quando l’uno spingeva, l’altro dovevatirare e viceversa. Inoltre, nessuno doveva fare il furbo e riposarsi facendo sforzare solol’altro. Poteva, naturalmente, capitare che i due boscaioli litigassero tra di loro, magariper qualche banale motivo. Ebbene, anche in questo caso, i due amici (poiché in fondorimanevano sempre amici) dovevano continuare a lavorare insieme, anche se non si par-lavano: l’uno era indispensabile all’altro.

Il già citato Cav. Antonio De Rosa, di Sirignano, narra il seguente episodio: «Dueboscaioli di una stessa “paranza”, che momentaneamente non si parlavano, avevanoperso ‘e zeppe. Queste sono dei cunei di ferro (ma ve ne erano anche di legno) che,inseriti –con la mazzetta- nella fessura del taglio operato dal segone, hanno la duplicefunzione di orientare la caduta dell’albero e di impedire che il peso del fusto schiaccias-se la lama della sega. Ritrovare le zeppe nello spesso strato di foglie era come cercare un

Gli antichi mestieri

Il lavoro nei boschi

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Altri mestieri, che si ritrovano anche in alcuni soprannomi (stortanomme oscungicanomme) erano quello del funaro (che intrecciava corde di canapa), delloscalaro e tanti altri mestieri (come il sarto, il bottaio, lo zoccolaro ed altri) che,non essendo tipici della nostra zona, non verranno trattati.

Una menzione particolare merita ‘o ferraro. Alcuni di essi, oltre a svolgere inormali lavori in ferro battuto, avevano sviluppato notevoli capacità metallurgi-che ed erano diventati veri e propri maestri nell’arte di temperare i metalli (acciarià,ovvero rendere duro come l’acciaio).

ago in un pagliaio e l’operazione poteva richiedere anche molto tempo. I due amici-nemici, sempre senza parlarsi, si misero alla ricerca di buona lena. Quando uno di essiebbe ritrovate le zeppe, tenute insieme da uno spago, ebbe il problema di comunicarloall’altro, distante qualche decina di metri e –naturalmente- sempre senza parlare. Egli,perciò, cominciò a sbattere l’una contro l’altra le zeppe che, con i loro rintocchi metal-lici avvertirono l’altro uomo dell’avvenuto ritrovamento. I due amici, guardandosi drittinegli occhi e rendendosi finalmente conto di quanto fosse stato infantile il loro compor-tamento, scoppiarono in una sonora risata e fecero finalmente la pace».

Sirignano. Anni ‘50. Fabbrica di botti della famiglia Saveriano.

Gli antichi mestieri

Altri mestieri

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L’Esagono

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I giochi di una volta

Oltre ai giochi praticati dai ragazzi ancora oggi, come la moscacieca, il na-scondino, ‘a semmana, il tiro alla fune ed altri, vi erano alcuni giochi tipici dellaprima metà del secolo scorso. Qui di seguito verranno elencati i principali.

Mazza e piùz’Questo gioco aveva una certa somiglianza con il baseball americano. Si giocava

con due legnetti: una mazza di circa mezzo metro e un piùz’di una quindicina dicentimetri e con le estremità appuntite. L’attrezzo più corto veniva posto inclinatoin una piccola buca, con un’estremità sollevata. Il “battitore” colpiva, dall’altoverso il basso, l’estremità sporgente del piùz’ che rimbalzava in aria. Subito dopo,come si fa con la palla del baseball, doveva colpirlo di nuovo per lanciarlo il piùlontano possibile. Il “ricevitore”, una volta recuperato il piùz’, per conquistare lamazza e diventare “battitore”, doveva far giungere il piùz’ in buca (con uno o piùlanci rasoterra) cercando di evitare che il “battitore” lo rilanciasse lontano primache esso toccasse il suolo. In questo gioco era importante non solo “conquistare labuca” ma, com’è ovvio, anche evitare di essere colpiti in testa dal piùz’.

‘O carruocciol’Ve ne erano di vari tipi. Il “modello” più antico (foto sotto) montava

due ruote di legno posteriori e due su un corto asse sterzante anteriore.La versione più evoluta, in uso fino alla fine degli anni ‘60,

portava l’asse sterzante anteriore molto più lungo e sterzabileanche con i piedi, che vi venivano appoggiati sopra. Le ruotedi legno erano state sostituite dai grossi cuscinetti a sfera deicamion. Nei paesi più in pianura, come Sperone e Baiano,si procedeva grazie alla spinta di un compagno di giochi.Nei paesi con forti discese (Quadrelle, Sirignano eMugnano) si tenevano vere e proprie gare di velocità (e dicoraggio). Non sempre, infatti, era agevole frenare.

I freni, ottenuti con mazze improvvisate, a volte sirompevano nel momento meno opportuno. I più abili, in casodi guai, si lasciavano cadere rotolandosi su di un lato.

‘O strummul’ (dal greco, stròbilos)Si trattava di una trottola di legno, a forma di cono rovesciato, con una punta di

ferro e con delle scanalature sulle quali veniva arrotolato uno spago. Si lanciavatirando lo spago a sé, in maniera da conferire all’attrezzo un movimento rotatorio.Vinceva chi riusciva a far girare la trottola più a lungo degli altri.

I giochi di una volta

I giochi dei nostri nonni

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‘O chìrchio (dal greco kìrkos)I cerchi potevano essere di due tipi, o di legno o di ferro, entrambi usati nella

costruzione delle botti. Il cerchio si guidava con una bacchetta di legno, seguendoun percorso dritto o con alcune curve. Vinceva chi arrivava prima al traguardo.

‘O sciscaro (da: sciscare=fischiare) Era una sorta di flauto che,soprattutto i pastori, intagliavano aprimavera dalla scorza di un ramettodi pioppo. Veniva usato come unozufolo.

Oltre a quelli menzionati,esistevano anche alcuni giochi molto

pericolosi. Alcuni ragazzini erano abilissimi a costruire archi e frecce micidiali,con le quali andavano a caccia di bisce, lucertole, topi e uccelli. L’arco era ricavatoda due fili di ferro degli ombrelli, tenuti insieme da fil di ferro o da una lenza (deimuratori). La corda era costituita da una lenza e la freccia da un ferro di ombrelloappuntito. Era una vera e propria arma che, talora provocava ferite gravissime(anche la perdita di un occhio).

Altri gioci pericolosi erano la “freccia” per lanciare le pietre (fatta con un ramo aforma di Y e con le molle ricavate da camere d’aria) e la fionda.

Ma il gioco più diffuso era, forse, quello del calcio: il proprietario del pallonegiocava sempre (naturalmente) e sceglieva la squadra. Il più timido finiva sempre pergiocare in porta.

Baiano. 1926. Il bimbo al centro è Silvino Foglia

Campionato 1 divisione. Anno 1946/47. Napoli e Baiano in scuro. Vinse il Baiano 2-1

I giochi di una volta

I giochi dei nostri nonni

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Sega sega, mastu Ciccio‘na panella e ‘nu sasiccio.‘A panella ci’ ‘a mangiammoe ‘o sasiccio ci’ ‘o stipammoci’ ‘o stipammo pe’ natal’quann venen’ ‘e zampugnarici facimm na veppet’ ‘e vin’e gloria gloria r’ ‘o bambino.

Arri arri ‘a Nolaa truvà zi’ Nicole;zi’Nicole nun ce steva,‘ce steva la muglieraca cuceva li maccarun’‘e diciett rammenne dui;me ne riv’ nu piatt’e o mettiva ‘ncoppo ‘o bancoiva ‘o sorice tang tange se mangiav tutti quantl’v uttai na rattacasal’accuglietto na pacca e’ nasol’ menai nu lavanaturol’accuglietto na pacca ‘e culo.

Alcune filastrocche che ancora oggi si recitano

Micia, micella,vatta, vattelleaddò si gghiut?-addò ze’ Rosache t’ha dato?-‘o ppane e ‘o case.fusta la casa,fusta la casa.

Sega sega, nun voglio segàtenco na figlia ra ‘mmaritàe carrozz’ anna scuccàchi tena ‘a mmiriaaddà crepà.

Caruse, melluse‘mpizze ‘a capa r’int’’opertuse;‘mpizzancella chianechianee nu’ fa male ‘oparrocchiane.

Tarantella tarantellascinn ‘abbascia ‘a sta purtellach’ è venuto ‘o cusutoree ‘a purtat’ la vunnellatutta nocche e zigarellequann’ cammin’ par bell’par bell’ e porta onorepappavall’ rint’ ‘a caiolasta caiola c’ ‘o fierro ‘o pèrotira tira ca se ne venese ne vene ca puca r’ ‘o pescee che puzza ‘e baccalàquann’ muglierema esce prenacumm’ riavul’ amm ‘a fàce ne iamm’ ‘o mercatielloe l’accattam’ nu pazziarielloe c’ ‘a ‘ncùnia e c’ ‘o martielloce mettimmo a pazzià.Zi’ monaco, zi’prevetoten’ ‘na figlia e nun m’a vò ra’e ie m’ mett’ a iastummà.

I giochi di una volta

Filastrocche per nonni e bambini

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La valle del Baianese è delimitata da due dorsali carbonatiche: a Nord daimonti Avella, disposti secondo il tipico andamento appenninico (NordOvest-SudEst) e a Sud dai Monti di Lauro (cfr. cartine a pag.20).

I rilievi sono costituiti prevalentemente da rocce calcaree, formatesi traGiurassico e il Cretacico, ma il ritrovamento -sui monti di Avella- di alcunifossili di organismi marini (gasteropodi, lamellibranchi e coralli) databili a circa125 milioni di anni fa, indica chiaramente che in quelle ere geologiche la catenamontuosa delle “porche di Avella” ancora non esisteva e che, al suo posto, c’eraun fondale marino.

I primi rilievi cominciarono ad emergere, indicativamente, nel corso delPlesistocene superiore (150.000- 10.000 a.C.). La vetta più alta dei Monti diAvella si eleva fino a 1.598 metri; centocinque metri più in alto della stessaMontevergine.

Sulla sommità dei rilievi spesso la roccia è affiorante ma, altrove, è ricopertada materiale piroclastico da caduta (cenere, lapilli, pomici) proveniente in massi-ma parte dall’attività eruttiva del complesso vulcanico Somma-Vesuvio (ma anchedai Campi Flegrei e da altri numerosi siti vulcanici).

Nel corso dell’ultima glaciazione (Wurm, 33.000 anni fa) vi fu una terrifican-te eruzione ignimbritica e un vero e proprio mare di tufo fuso si riversò nella“depressione Campana”. Successivi accumuli di materiale erosivo e vulcanicocolmarono ulteriormente la valle nei millenni successivi.

Secondo i geologi, esisterebbero due “faglie inverse” (spaccature della crostaterrestre) che collegherebbero il nostro mandamento con il Vesuvio: un loro even-tuale movimento (terremoto) potrebbe essere causato dall’attività vesuviana o,inversamente, contribuire a risvegliare il gigante di fuoco.

La valle del Baianese non presenta corsi d’acqua perenni. Essa è chiusa a Suddai torrenti Acqualonga e Gaudo-Sciminaro e a Nord dal torrente Clanio.

Quest’ultimo, con la sua acqua ha consentito i primi insediamenti di uominiprimitivi (si veda il capitolo “Storia e destino comuni”), ma ha anche contribuitoa rendere la Piana Campana un vero e proprio acquitrino, che ha facilitato l’insor-gere della malaria e di altre epidemie fino a quando, nel 1539, le sue acque nonvennero finalmente regimentate con la costruzione dei “Regi Lagni”.

Essi, dopo un percorso di circa 60 Km, si dividono in due rami che sfocianol’uno nel Mar Tirreno, presso Castelvolturno, e l’altro nel Lago di Patria.

Dal punto di vista idrologico, il nostro comprensorio può essere consideratoben fornito di acqua. Esistono falde sospese che danno vita alle numerose piccolesorgenti presenti nelle nostre montagne (vedi tabella a pag.140), e un’importanteidrostruttura profonda (comunicante, sembra, con l’acquifero di Sarno) che, sot-

L’ambiente naturale

L’ambiente naturale

La formazione della “Valle Avellana” - Il Clanio - Idrologia

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to i nostri piedi, a una profondità media di circa duecento metri, costituirebbe unvero e proprio lago sotterraneo dello spessore di circa sessanta metri.

E’ lecito pensare che il nostro sottosuolo sia ricco di imponenti formazionicarsiche ma, al momento, si conoscono solo le tre grotte di Avella (vedi foto apag.41), la “fossa” di Mugnano del Cardinale e alcune “bocche del vento”.

Il clima risente sia della relativa vicinanza dal mare (circa 25 Km) che dellapresenza dei rilievi. Secondo la classificazione di Pavari e De Philippis, chemette in relazione clima e flora, il nostro clima si trova a cavallo tra il Lauretum(maggiore di 19°C) e il Fagetum (inferiore ai 10°C).

Sui rilievi la piovosità raggiunge punte di 2.200 mm di pioggia. Secondo mi-surazioni effettuate ad Avella, con una stazione posta a 198 metri slm, la mediadegli ultimi trent’anni si aggira attorno ai 1.100 mm.

La più evidente caratteristica climatica del nostro ambiente rimane, in ognicaso, il forte, secco e gelido vento di tramontana che non di rado giunge ad unavelocità di venti o trenta nodi, con punte di cinquanta nodi (per avere il valore inKm/ora moltiplicare per 1,852).

La flora

La coltura che predomina alle quote più basse è il nocciòlo (Corylus avellana)cui, salendo di quota, subentrano, nell’ordine, l’olivo (Olea europaea), il casta-gno (Castanea Sativa) e, oltre i 1000 metri, il faggio (Fagus Silvatica). Più sopraancora si trovano alcune specie di pino, tra cui ricordiamo il Pinus Laricio .

In passato, soprattutto in pianura ma anche in collina, si trovavano estesivigneti, ciliegi, pomacee (meli e peri), e piante di gelso (le ceuze, in dialetto) lecui foglie costituivano il “foraggio” dei bachi da seta (Bombyx mori), un tempoallevati nei nostri paesini da quasi tutte le famiglie.

Fra i 900 e i 1.500 metri, si trovano, fra i boschi di faggio, alcuni alberi ditasso (Taxus baccata). Si tratta di una pianta velenosa in tutte le sue parti per lapresenza di un alcaloide chiamato “tassina”.

Tra le altre specie diffuse sul territorio, sono presenti noci (Juglans regia),òntani napoletani (Alnus cordata), olmi (Ulmus glabra, Ulmus minor), il kaki(Diospyros Kaki), il sorbo (Sorbus aucuparia, Sorbus aria), le varie specie diacero (Acer lobelii, Acer platanoides, Acer pseudoplatanus, A. negundo, A. cam-pestre, A. obtusatum), il carpino (Ostrya carpinifolia), l’orniello (Fraxinus ornus),il carpino bianco (Carpinus orientalis). Sono presenti anche le querce (Quercus),i lecci (Quercus ilex). Lungo le strade troviamo i platani (Platanus orientalis, P.Occidentalis), il pioppo nero (Populus nigra), il tiglio (Tilia cordata), ilbiancospino (Crataegus oxiacantha).

L’ambiente naturale

Clima - Flora

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Non tutti sanno che i nostri boschi sono ricchi di numerose specie diorchidee, come la Orchis morio subsp. Picta, Orchis mascula, Orchispauciflora, presenti nelle località Piano del Pozzo e Piano Maggiore aiconfini dei territori di Avella e Roccarainola (600-900 m slm). Mentresulla collina delle Vallicelle (Mugnano del Cardinale e Quadrelle) sonopresenti Orchis papilionacea, Orchis x gennari, Orchis purpurea, Orchispauciflora ed altre.

Nel sottobosco troviamo: pungitopo (Ruscus aculeatus), edera (Hedera helix),salvia (Salvia glutinosa), rosa selvatica (rosa sempervirens), fragola (Fragariavesca), asparago (Asparagus acutifolius), origano (Origanum vulgare), e vari tipidi felci e di ginestre (Spartium iunceum, ecc.), graminacee da prato ed erbeofficinali. Sono state censite oltre 700 specie vegetali diverse.

I funghi

Da noi esiste una buona varietà di funghi. Si trovano i chiodini (Armillariamellea), detti ‘e semmentini, che si trovano vicino alle ceppaie di nocciòlo o dialberi da frutto e nei boschi di faggio e di castagno.

Poi vi sono i porcini (Boletus edulis), detti comunemente amuniti, che sitrovano, di prevalenza, nei faggeti e nei castagneti (ma alcune specie si trovanoanche sotto le querce e nelle pinete).

Da menzionare i taurini, del gruppo dei porcini, ma velenosi, dal cap-pello più rossiccio e dalla “carne” (così si chiama il corpo dei funghi)che, se tagliata, ossidandosi a contatto con l’aria, diventa subito rossicciao bluastra. Alcuni boscaioli di Monteforte Irpino li mangiano dopo averliben bolliti, infatti la tossina è termolabile, ovvero, si distrugge con ilcalore. Sono presenti anche numerose specie di prataioli, spugnole, e“conocchie” o “mazze di tamburo” (Lepiota, Macrolepiota, Agaricusecc..) che vivono sullo “strame” (materiale organico in decomposizione),da non tutti conosciuti e apprezzati.

Se si è fortunati, è possibile trovare anche l’ Amanita cesarea (detta,in dialetto, pirozzola ‘e uovo, tuorlo d’uovo). I parenti velenosi, anzi le-tali, di questa specie e cioè l’Amanita muscaria (con sparse macchie bian-che sul cappello rosso), e l’Amanita phalloides (dal cappello verde), sem-bra che da noi non siano presenti: comunque è meglio fare attenzione,non si sa mai.

Altre specie nostrane sono i “lattari” (detti ‘e piesciuli) e i Cantharellus cibarius(detti ‘e gallinelle oppure‘e manolle). Infine, va menzionato il tartufo nero (Tuberaestivum) che cresce sotto terra e che viene cercato con l’aiuto di cani o di maialiaddestrati allo scopo. Si trova nei faggeti, nei querceti e nei noccioleti.

L’ambiente naturale

I funghi: “esseri” al limite tra il regno animale e il regno vegetale

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La fauna

Da rinvenimenti effettuati lungo il Clanio, nel territorio di Avella, si è potutoverificare che in epoca preistorica erano presenti l’orso (Ursus Arctos), il tasso(Meles meles), la martora (Martes martes), la tartaruga terrestre, il capriolo e ilcervo (Cervius).

Numerose ed interessanti sono le specie animali attualmente presenti.Tra gli anfibi appartenenti agli Urodeli (le specie provviste di coda anche daadulti), troviamo la salamandra pezzata (Salamandra salamandra gigliolii) dallegrandi macchie gialle nere, la salamandra dagli occhiali (Salamandra tergidata),risalente all’era quaternaria, e alcune specie di tritoni il cui habitat è costituitodalle acque stagnanti di cisterne e pozzi.

Tra gli anfibi Anuri (le specie sprovviste di coda da adulti), troviamo il rospocomune (Bufo bufo spinosus) ed il rospo smeraldino (Bufo viridis). Nelle zonepiù umide, come l’alto corso del Clanio, si possono incontrare anche alcune spe-cie di rane, come la rana greca (Rana graeca italica), appartenente alle “ranerosse”(lunga circa 6 cm e dalla caratteristica V capovolta sul dorso) e la Ranaridibunda, verde, lunga fino a 15 cm.

Dei rettili ricordiamo la lucertola campestre (Podarcis sicula), presente ovun-que, la lucertola muraiola (Podarcis muralis breviceps), comune in alta monta-gna, e il ramarro (Lacerta viridis). Negli abitati frequenti sono i gechi. M o l t oparticolare è la luscengola (Chalcides chalcides). Questo sauro, somigliante adun serpente, in realtà è una via di mezzo fra le lucertole e i serpenti. Lungo finoa 40 cm, di colore verde scuro o bronzeo, presenta lunghe strisce dorsali chiare.La sua caratteristica distintiva è che presenta piccole zampette provviste di tredita che, durante la fuga, vengono retratte in apposite cavità presenti lungo ilcorpo. Inoltre è vivipara (non produce uova che poi si schiudono ma “partorisce”come gli esseri umani).

Fra i serpenti ricordiamo il cervone (Elaphe quattuorlineata) che, come dice ilnome, presenta quattro linee longitudinali scure su corpo chiaro. Lungo fino a 2,60 mè un serpente costrittore: soffoca la vittima fra le sue spire e poi la ingoia; riesce adingoiare anche piccioni e conigli. E’ uno dei serpenti più timidi d’Europa. Esso, cono-sciuto dagli allevatori del Campo di Summonte col nome dialettale di “impastoia-vacche”, è ghiotto di latte, come del resto tutti i serpenti. Esso si porta sotto le mam-melle delle vacche e vi succhia il latte. La vacca, che prova sollievo perché si allegge-risce del latte, addirittura ritorna allo stesso posto dove è stata “munta” la prima voltadal serpente e lo aspetta, ed esso, puntualmente, arriva.

Diffusi sul territorio sono altresì la biscia dal collare (Natrix natrix),il colubro liscio (Coronella austriaca) e il biacco (Coluber viridiflavus).Un discorso a parte merita l’aspide o vipera comune (Vipera aspis), l’unico

L’ambiente naturale

Rinvenimenti preistorici - Anfibi e rettili

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serpente velenoso presente nel nostro territorio. Si distingue dagli altri serpentilocali, innocui, per avere testa triangolare, muso dall’apice rivolto verso l’alto epupilla verticale (come quella dei gatti). Il colore del corpo è variabile dal grigio,al rosa, al bruno con quattro strisce scure più o meno estese ai lati del corpo, lapunta della coda è rosa, la parte addominale va dal giallo chiaro al rosso scuro. E’lunga circa 70-80 cm.

Passando agli uccelli, segnaliamo oltre a quelli più comuni, presenti nellezone urbane e nelle campagne circostanti come le colombe, le tortore, i passeri, ifringuelli, le rondini, le cince e i merli, anche quelli meno comuni come le bec-cacce, le quaglie, l’upupa, il pettirosso, l’usignolo, la poiana, il picchio, la civet-ta, il barbagianni, il gufo, la capinera, il cardellino, la gazza, la pica. In zone dimontagna, nella parte più alta dei Monti Avella, se si è fortunati, si possonoavvistare anche l’astore, il falco pellegrino, il corvo imperiale e, forse, anche losparviere (più comune nell’altro versante dei Monti Avella, nei boschi di Pannaranoe Cervinara). I fagiani sono presenti -normalmente- solo per poche ore; dal mo-mento del “lancio” da parte delle associazioni venatorie, al momento della loro“fucilazione” da parte dei cacciatori: passano in poche ore dalla gabbia alla pentola.

I mammiferi, sono presenti con quasi 30 specie. Oltre ai vari tipi ditopi, ratti e arvicole, ricordiamo i pipistrelli o “chirotteri” (con otto spe-cie diverse), le talpe (presenti con due specie), il ghiro (Myoxus glis),presente anche nelle faggete, e il moscardino (Muscardinus avellanarius).E’ presente anche il riccio (Erinaceus europeanus), che è insettivoro.Due specie di mammiferi, introdotte per scopi venatori dalle associazionidi cacciatori, la lepre (Lepus capensis) e il cinghiale (Sus scrofa), si sonoambientate molto bene e diffuse su tutto il territorio. I mammiferi carni-vori sono rappresentati dalla volpe (Vulpes vulpes), dalla martora (Martesmartes) e dalla faina (Martes foina), che sono poco diffuse. Ancor menodiffuso, ma presente, per “erratismo” (cioè, di passaggio) è il lupo (Canislupus italicus). Alcuni anni fa un esemplare femmina venne ucciso nelterritorio di Avella. In passato doveva essere molto più frequente (non acaso Irpinia proviene dal termine latino hirpus, cioè lupo).

I carnivori più pericolosi sono rappresentati, comunque, da branchi di canirandagi e rinselvatichiti. Non ce ne sono tantissimi, ma sono presenti, comeci assicura chi maggiormente frequenta le campagne, i boschi e le montagnevicine. Essi possono aggredire il viandante isolato e possono trasmettere (comeanche le volpi) pulci e rabbia silvestre.

Sulla presenza del gatto selvatico (Felis Silvestris), più grande del gattodomestico, i pareri sono discordi. Alcuni giurano di averlo avvistato, al-tri ritengono che siano presenti solo gatti domestici rinselvatichiti.Comunque, esso è sicuramente presente nella catena del Partenio.

L’ambiente naturale

Uccelli - Mammiferi

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L’Esagono

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Vi sono, poi, centinaia -se non migliaia- di specie di insetti, facenti parte deivari e complessi ecosistemi forestali, montani ed agricoli. Agli insetti autoctonisi è aggiunta, secondo numerose segnalazioni, la temibile zanzara tigre, prove-niente dal Nord Africa.

Ricordiamo, infine, i molluschi con alcune specie di lumache. Il nostro am-biente, come dimostrò anni fa una sperimentazione della Comunità Montana, èparticolarmente adatto al loro allevamento (elicicoltura).

*disegno a sinistra

Le “faglie inverse” che collega-no il mandamento di Baiano (*) conil Vesuvio.

foto sotto

La “fossa” di Mugnano del Cardi-nale: una depressione provocata dal crol-lo della volta di una grotta sotterranea,formatasi da una dolina.1) fossa, 2) Gesù e Maria, 3) San Pietroa Cesarano, 4) Cimitero, 5) AutostradaA-16.

La foto è stata scattata (col zoom) da6000 metri di altitudine, nel 1997.

L’ambiente naturale

Insetti e molluschi - Notizie geologiche

Page 141: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

Benedetta Napolitano

140L’ambiente naturale

I dati provengono da uno studio dei Prof. Pietro e Fulvio Celico e del geologo Sabino Aquino.La Tabella è una rielaborazione dell’autrice.

Principali sorgenti ricadenti nell’ Alveo Avella

1) Croce Puntone; 2) Ciesco Bianco; 3) Torretiello; 4) Toppola Grande; 5) Valle Fredda; 6) Acquaserta;7) Ciesco Alto; 8) M. Spadafora; 9) Bosco di Arciano; 10) M. Campimma; 11) Montevergine.

Dati idrologici

Page 142: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

L’Esagono

141

allevA ihcsaM enimmeF elatoT

0002oianneg°1laitnediser 555.3 071.3 562.7

ivivitan 55 93 49

itnufed 72 72 45

elarutanodlas 82 21 04

ittircsi 96 67 541

itallecnac 29 011 202

oirotargimodlas 32- 43- 75-

0002-21-13laitnediser 065.3 886.3 842.7

ehcifarganaeilgimaf 965.2

.ecirtua'lledenoizazzilaeranuèallebataL-TATSI:etnoF

onaiaB ihcsaM enimmeF elatoT

0002oianneg°1laitnediser 063.2 993.2 957.4

ivivitan 22 62 84

itnufed 71 22 93

elarutanodlas 5 4 9

ittircsi 37 06 331

itallecnac 2- 2 0

oirotargimodlas 83 12 95

0002-21-13laitnediser 363.2 504.2 867.4

ehcifarganaeilgimaf 858.1

.ecirtua'lledenoizazzilaeranuèallebataL-TATSIetnoF

Aspetti demografici

Aspetti demografici (E DATI STATISTICI)

Popolazione di Avella e Baiano nell’anno 2000

Page 143: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

Benedetta Napolitano

142

onanguM ihcsaM enimmeF elatoT

0002oianneg°1laitnediser 334.2 535.2 869.4

ivivitan 22 22 44

itnufed 62 61 24

elarutanodlas 4- 6 2

ittircsi 99 38 281

itallecnac 16 26 321

oirotargimodlas 83 12 95

0002-21-13laitnediser 764.2 265.2 920.5

ehcifarganaeilgimaf 727.1

.ecirtua'lledenoizazzilaeranuèallebataL-TATSI:etnoF

ellerdauQ ihcsaM enimmeF elatoT

0002oianneg°1laitnediser 357 767 025.1

ivivitan 31 11 42

itnufed 5 6 11

elarutanodlas 8 5 31

ittircsi 53 93 47

itallecnac 83 14 97

oirotargimodlas 3- 2- 5-

0002-21-13laitnediser 857 077 825.1

ehcifarganaeilgimaf 005

.ecirtua'lledenoizazzilaeranuèallebataL-TATSI:etnoF

Aspetti demografici

Popolazione di Mugnano e Quadrelle nell’anno 2000

Page 144: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

L’Esagono

143

onangiriS ihcsaM enimmeF elatoT

0002oianneg°1laitnediser 221.1 831.1 062.2

ivivitan 51 91 43

itnufed 41 9 32

elarutanodlas 1 01 11

ittircsi 39 77 071

itallecnac 53 43 96

oirotargimodlas 85 34 101

0002-21-13laitnediser 181.1 191.1 273.2

ehcifarganaeilgimaf 067

.ecirtua'lledenoizazzilaeranuèallebatal-TATSI:etnoF

enorepS ihcsaM enimmeF elatoT

0002oianneg°1laitnediser 136.1 436.1 472.3

ivivitan 81 91 73

itnufed 9 9 81

elarutanodlas 9 01 91

ittircsi 86 46 231

itallecnac 16 15 211

oirotargimodlas 7 31 02

0002-21-13laitnediser 746.1 666.1 313.3

ehcifarganaeilgimaf 340.1

.ecirtua'lledenoizazzilaeranuèallebatal-TATSI:etnoF

Aspetti demografici

Popolazione di Sirignano e Sperone nell’anno 2000

Page 145: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

Benedetta N

apolitano

144

enumoCivitanimes esongel.vitloc irailimafitro .mrepitarp ilocsap UAS

ha

ihcsob .cirobrAongelad

ah

nonatazzilitu

ah

artla

ahedneizA ah edneizA ah edneizA ah edneizA ah edneizA ah edneizA ah

allevA 21 07,01 137 19,038 4 91,1 4 53,3 01 98,85 40,509 14 8,741.1 46,5 63,012 24,82

onaiaB ----- ----- 682 96,357 ----- ----- ----- ----- ----- ----- 96,357 6 1,182 ----- 7,1 -----

onanguM 461 35,31 863 18,962 ----- ----- ----- ----- ----- ----- 43,382 66 45,286 ----- 25,0 84,3

ellerdauQ ----- ----- 911 77,63 ----- ----- ----- ----- ----- ----- 77,63 5 79,775 ---- ----- -----

onangiriS 53 91,2 362 9,511 2 1,0 ----- ----- 2 68,0 50,911 81 44,314 ----- 43,51 3,0

enorepS ------ ------ 241 9,881 ----- ----- ----- ----- ----- ----- 9,881 8 3,34 ----- ----- 91,11

.ecirtua'lledenoizazzilaeranuèallebataL-onaiaBidolocirgAoppulivSidortneCelibasnopseR-atiVeDolegnalociN.ttod:etnoF

laitad1002.01.12

itnediserenimmef

itnediserihcsam

elatotitnediser

eilgimaficifide

inoizatiba inavairtsudni oicremmoc izivres inoizutitsi

ivitatiba osuortla icifipo ittedda izicrese ittedda àtivitta ittedda itne ittedda

allevA 278.3 097.3 266.7 995.2 976.1 161 975.2 162.9 63 681 99 671 231 772 72 878

onaiaB 853.2 003.2 856.4 485.1 798 372 585.1 847.5 45 431 99 651 48 241 82 081

onanguM 484.2 624.2 019.4 056.1 121.1 006 127.1 003.6 52 16 211 361 151 122 4 141

ellerdauQ 397 187 475.1 225 243 29 225 477.1 51 24 41 71 82 73 4 741

onangiriS 371.1 391.1 663.2 047 004 75 837 868.2 8 21 91 52 91 12 6 37

enorepS 616.1 965.1 581.3 920.1 025 55 020.1 294.3 12 591 27 501 35 88 8 33

.ecirtua'lledenoizazzilaeranuèallebataL-ilanumociciffU:etnoF

Aspetti dem

ografici

Gli ultim

i dati statistici disponibili

Page 146: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

L’Esagono

145

oidutsidolotitrep)1991(atisnecenoizalopopalledenoizubirtsiD

enumoC itaeruaL itamolpiD .nemelE.ciL.fnIaideMe

itazzitebaflA

olotitaznes itebaflanA

allevA 051 428 937.3 652.1 605

onaiaB 371 747 316.2 917 571

onanguM 021 317 546.2 927 212

ellerdauQ 82 961 097 812 34

onangiriS 92 442 938 082 87

enorepS 25 183 125.1 804 721

.ecirtua'ledenoizazzilaeranuèallebataL.TATSIITAD:etnoF

enoizapuccoidissateavittanoneavittaenoizalopoP)1991(

enumoC

ENOIZALOPOP ISSAT

elatoT avittA)inna41>(

noNavitta

.zapuccosiD .zapuccO àtivittA

allevA 431.7 125.2 316.4 17,93 13,12 43,53

onaiaB 118.4 997.1 210.3 14,73 04,32 93,73

onanguM 328.4 759.1 668.2 64,53 91,62 85,04

ellerdauQ 693.1 875 818 72,93 41,52 04,14

onangiriS 007.1 286 810.1 07,23 00,72 21,04

enorepS 067.2 979 187.1 23,43 03,32 74,53

.ecirtua'ledenoizazzilaeranuèallebataL.TATSIITAD:etnoF

Fonte: ISTAT- La tabella è una realizzazione dell’autrice

Aspetti demografici

Alcuni indicatori socio-economici

Page 147: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

Benedetta Napolitano

146

.iracnabihgeipmideitisopeD)4991()orueideerilidinoilimniisserpseiratenomirolav(

enumoCilletropsiracnab

iracnabitisopedolletropsrep

ihgeipmiiracnab

eril orue eril orue

allevA 2 877.22 67,11 883.41 34,7

onaiaB 1 775.92 82,51 157.9 40,5

onanguM 3 287.22 77,11 077.13 14,61

ellerdauQ --- ------ ------ ------ ------

onangiriS --- ------ ------ ------ ------

enorepS --- ------ ------ ------ ------

:etnoF .TATSIITAD .ecirtua'ledenoizazzilaeranuèallebataL Fonte: ISTAT. La tabella è stata realizzata dall’autrice.

Fonte: ISTAT- La tabella sopra e il grafico sotto sono realizzazioni dell’autrice

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

40000

Serie4 7318 7058 4544 1151 1927

Serie3 16053 12749 14038 3324 4978

Serie2 7160 4643 6605 1713 2044

Serie1 5650 4037 4180 1145 1277

Avella Baiano Mugnano Quadrelle Sirignano

Aspetti demografici

Dati finanziari

Page 148: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

L’Esagono

147

Fonte: ISTAT- Le tabelle sono state realizzate dall’autrice

Aspetti demografici

Confronto tra varie serie di dati

Page 149: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

Benedetta Napolitano

148

Fonte: ISTAT- Tabella e grafici sono realizzazioni dell’autrice

Aspetti demografici

Confronto tra varie serie di dati

Avella42%

Baiano17%

Mugnano17%

Quadrelle10%

Sirignano9%

Sperone5%

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

9000

1898 3745 2646 3153 934 883

1980 6562 4988 4994 1046 1149

1991 7134 4811 4823 1396 1700

2000 6837 4767 4992 1530 2301

2001 7662 4658 4910 1574 2366

A ve lla B a iano M ugnano Q uadre lle S irignano

ANDAMENTO DEMOGRAFICO NEI SEI COMUNI dal 1898 al 2001

.

353625

692

1.214

1.255

3.038

ESTENSIONE TERRITORIALE INETTARI E IN PERCENTUALE DEISEI COMUNI DELL’ESAGONO

Page 150: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

L’Esagono

149

eerobrainoizavitlocilapicnirpelled)ah(enoisnetse'lledamitS)1002(

enumoC ovilO occociblA oigeiliC ongatsaC)otturfad(

olòiccoN

allevA 211 91 01 ---------- 057

onaiaB 04 ---------- 21 41 612

onanguM 51 ---------- 5 22 072

ellerdauQ 84 ---------- ---------- ---------- 52

onangiriS 53 ---------- ---------- ---------- 24

enorepS 4 ---------- 3 ---------- 071

.ecirtua'lledenoizazzilaeranuèallebataL-onaiaBid.A.S.eC:etnoF

Interpretazione dei dati relativi al comparto agricolo

L’agricoltura nel territorio del Baianese (cfr. anche la seconda tabella a pag. 144).

Secondo un’intervista rilasciataci dal dott. Nicolangelo De Vita, responsabiledel Ce.S.A. di Baiano: «I dati dell’ultimo censimento dell’agricoltura (anno 2001),nei sei Comuni del Baianese, confermano il permanere del fenomeno dellaframmentazione e del basso livello della dimensione aziendale, che caratterizzafortemente –e negativamente- questa zona. Infatti, su 2.284 ettari di SAU (Superfi-cie Agricola Utilizzata), svolgono la loro attività ben 2.142 aziende agricole, conuna dimensione media aziendale di 1,07 ettari. Il 50% circa delle aziende ha unabase fisica inferiore ad un ettaro, mentre solo il 25% è costituito da superficie sinoa due ettari, speso con situazioni di spinta polverizzazione in più corpi. Prevalenettamente la conduzione diretta del coltivatore, con tendenza al part-time, mentresono pressoché scomparse la mezzadria e la colonìa parziaria appoderata. L’ordi-namento colturale prevalente è rappresentato dalla coltivazione del nocciolo. Intotale, nel Baianese, sono investiti a noccioleti ben 1.473 ettari, che occupanocirca il 64% della SAU complessiva. Segue la coltivazione dell’olivo con i suoi 254ettari, quindi il castagno da frutto con 36 ettari, il ciliegio con 22 ettari e l’albicoc-co con 19 ettari.» Altre specie coltivate di una certa estensione, sono il noce, gliagrumi e le pomacee (meli e peri). Per una più agevole lettura dei dati si veda latabella in alto, con l’avvertenza che i valori indicati sono valori derivati da stime,cioè ottenuti mettendo insieme le superfici di piccole estensioni (anche di pochepiante). Per il castagno, infine, ci si riferisce ai soli castagneti da frutto, innestati suselvatico. Non sono considerati i castagneti cedui, usati normalmente per ricavarne legnada ardere e paletti. (Eventuali incongruenze riscontrate dipendono dalla diversa provenienza dei rilevamenti).

Aspetti demografici

Page 151: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

Benedetta Napolitano

150

Considerazioni finali

Considerazioni finali

Chi ha conoscenze di biologia ha sentito sicuramente parlare di un famoso esperimentoche ci consente di capire alcuni strani aspetti del comportamento umano. Se si mette una ranaprima in un recipiente di acqua fresca e poi in uno di acqua caldissima, si osserva che la rana-con un balzo repentino- salta subito via. Ma se si riscalda il primo recipiente poco alla voltala rana non avverte il pericoloso innalzamento della temperatura e finisce per morire lessa.

Metaforicamente, è quello che sta capitando nell’esagono dei sei comuni delcomprensorio Avellano-Baianese.

Una volta, vi erano delle fabbriche (Sud Forge, Vepi Sud), il Liceo Scientifico e ilPoliambulatorio a Mugnano del Cardinale. Avevamo un ambiente a misura d’uomo, oradistrutto dalla cementificazione a dagli abusi edilizi. Le infrastrutture e la dotazione idricanon sono più in grado di servire l’accresciuta popolazione. Non ci sono serie occasioni dilavoro, a parte un incontrollato e ingiustificato proliferare di effimeri negozi.

L’imperativo era quello di valorizzare le nostre risorse gastronomiche, ambientali,naturalistiche e archeologiche. Oggi esistono anche i mezzi per cimentarsi in questa impresa:il P.I.T. (Piano Integrato Territoriale), di cui Avella è comune capofila.

Ma i politici hanno messo in evidenza un comportamento che in psicologia (o, meglio,in psichiatria) viene definito “dissonanza cognitiva”. Ovvero, pur capendo che una cosa èsbagliata si continua ugualmente a farla.

Come si può incentivare, infatti, la produzione e la realizzazione di prodotti tipici,biologici, ogm free (nda. non geneticamente modificati) e macrobiotici se, a poca distanzadall’ipotetico campo coltivato è stata consentita l’installazione di un CDR potenzialmentepericoloso? Cosa si dovrebbe produre, pubblicizzare e commercializzare: la ricotta alprofumo di discarica? La verdura ai metalli pesanti? Inoltre, pare ormai accertato che lanostra salute sia già abbastanza compromessa anche senza l’insediamendo del CDR.

Dalle interviste e dalle ricerche effettuate nella fase preliminare alla stesura del presentelibro, sono emersi -infatti- alcuni aspetti veramente inquietanti.

Non disponendo di dati ufficiali, ai quali non è stato possibile accedere, verrà usatorigorosamente il condizionale. Sembra –comunque- che nel mandamento le neoplasie(tumori) abbiano un’incidenza molto superiore alla media nazionale. Inoltre, comeprecisano (in privato) alcuni medici interpellati su questa importante questione, potendoavere accesso ai dati non bisogna confondere la causa di morte indicata nel referto medico(che quasi sempre è un arresto cardio-respiratorio) con la patologia intermedia, vera causadi morte, che sempre più spesso è una patologia neoplasica.

Qualcuno, sottovoce, suggerisce che la causa sia da ricercarsi nel presunto inquinamentoprodotto dalle tipiche “fabbriche” locali. Altri, ritengono che essa vada ricercata nei pesticidiusati per decenni nella coltivazione del nocciòlo. Altri, ancora, puntano l’indice contro le“discariche abusive”: siti più o meno nascosti e più o meno noti (alcuni anche in terreniprivati) dove sarebbero sotterrati rifiuti di ogni tipo (cfr pag. 19). Di certo un più accuratomonitoraggio ambientale non potrebbe che portare dei vantaggi.

Gli Enti locali dovrebbero occuparsi più seriamente di ambiente, sanità, lavoro ecultura. I cittadini tutti dovrebbero esortare gli amministratori locali intal senso.

Altrimenti faremo tutti quanti la fine della rana.

Indagine sul campo: la situazione economica e sanitaria

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L’Esagono

151 Appendice fotografica

Foto aerea diMugnano, Quadrellee parte di Sirignano

Bosco di Arciano e, in lontananza, i Monti di Lauro

L’Esagono visto dall’alto

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Benedetta Napolitano

152Appendice fotografica

L’Esagono visto dall’alto

Monti di Avella, Vallone Serroncello, Sperone, Avella e Baiano

La Valle del Baianese o Conca Avellana

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L’Esagono

153 Appendice fotografica

L’arte e le tradizioni

Il Maestro Saverio Mercogliano, di Sirignano (a sinistra)e il Mestro Fernando Masi, di Sperone (a destra)

Famiglia contadina

Filatura della lana col fuso

Baiano. Giugno 2002 - Vesuni in Festa: figuranti di antichi mestieri

A sinistra. Un quadro del Maestro mugnanese Michele Criscuoli (1881-1911)A destra. Il Maestro mugnanese Salvatore De Iudicibus, che mostra una sua opera.Gli artisti sono stati fatti conoscere al grande pubblico durante la manifestazione mugnanese

“Arte sotto le Stelle”, grazie soprattutto all’impegno del prof. Stefano D’Apolito.

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Benedetta Napolitano

154Appendice fotografica

Avellino

Baianese

Piano Territoriale ComprensorialeAvellano-Baianese

1995. Da uno studio degli architetti Antonio Caruso e Domenico D’Avanzo

Nonostante il suesposto “PTC Avellano-Baianese” sia probabilmente da rivedere, alla lucedei nuovi strumenti derivanti dalla recente legislazione sulle autonomie locali e dei vincoliinsorti nel frattempo (Parco del Partenio, vincoli idrogeologici), esso testimonia che l’idea e lanecessità di una più forte coesione tra i comuni dell’Esagono e di uno sviluppo sinergico e coordi-nato dei servizi, sono ormai argomenti che trovano concordi la maggior parte dei tecnici, dei cittadi-ni e degli studiosi locali. Occorre che i politici ne prendano finalmente -e operativamente- atto.

Il “mandamento” Baianese o comprensorio Avellano-Baianese

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L’E

sa

go

no

155A

ppendice fotografica

Sopra. Foto Panoramicadella Piazza Umberto I diMugnano del Cardinale(14 luglio 2002).

A sinistra. Una delle tan-te sorgenti dei nostri monti.

A destra. Campo diSummonte - San Giovanni.

Alcune bellezze nostrane

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Benedetta Napolitano

156

Bibliografia(letture consigliate)

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COLUCCI Galante, “I Mai del Baianese” (1998).

COLUCCI Pasquale, “Un’oscura pagina del brigantaggio mugnanese” (2000)

COLUCCI Pasquale, “I Mesi e la Zeza di Sirignano. Una tradizione carnevalesca da riscoprire e salvaguardare” (2000).

COLUCCI Pasquale, “Il Feudo di Litto e Ponte Mignano fra XIII e XIV secolo” (1999).

COLUCCI Pasquale, “Notizie sul “palazzo del principe” di Sirignano” (1999).

Comunità Montana Vallo di Lauro e Baianese, “Piano di sviluppo socio-economico” (2001).

CROCE Benedetto, “La Rivoluzione Napoletana del 1799” (1998).

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DE MATTEO G., “Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone e iSavoia” (Guida Editore-NA-2000).

DE ROSA Pellegrino, “Caratteristiche reologiche del salame tipo Napoli ottenuto conl’impiego di tipi genetici suini autoctoni” (1999).

DE ROSA Pellegrino, “Appunti sciolti: “Città del Baianese o Città di Avella?” (inedito).

IAMALIO Antonio, “Atti della Società Storica del Sannio” (1925-1931).

IAMALIO Antonio, “Su e giù per il Sannio Antico” (1911).

MONTANILE Nicola, “Spaccato di Storia Avellana” (Vol. I,II e III).

NAPOLITANO Benedetta - DE ROSA Pellegrino, “La Città del Baianese” (2000).

NAPOLITANO Luigi, “Memorie archeologiche e storiche di Avella” (1922).

PECORELLI ENZO, “Aforismi e racconti editi ed inediti” (1996).

PICARIELLO Giovanni, “La valle munianense”, (A cura di) (1986).

PICARIELLO Giovanni, “Mugnano del Cardinale nel tempo”, (1993).

PICARIELLO Giovanni, “Appunti per un libro...”, (inediti).

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Page 158: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

L’Esagono

157

I n d i c e

PRESENTAZIONE 3

INTRODUZIONE 4

STORIA E DESTINO COMUNI 7

BAIANO 42

MUGNANO DEL CARDINALE 60

AVELLA 21

Paleolitico - Osci - Volsci - Sanniti - Etruschi - Hyria - Novla - Campania Felix -Romani - Ville Prediali - Abella romana - Visigoti - Vandali - Turchi - Bizantini -Bagliva - Via Regia delle Puglie - Cenobio di San Pietro a Cesarano - Editto diSaint-Cloud - Epidemie - Brigantaggio - Giacobini e Sanfedisti - Società segrete -Il brigantaggio nel Bainese - Emigrazione - Nascita del “mandamento” -Circumvesuviana - Fascismo - Gli sfollati - Seconda guerra mondiale - Dopoguerra-Voto alle donne - Primo sciopero del Baianese - I gruppi musicali - Le radio private-Tele Baiano - I giornali locali - Il Baianese oggi - Città del Baianese - Provincia diNola - CDR.

Origine del nome - La citazione nell’Eneide - Gli insediamenti umani preistorici -Il torrente Clanio - Gli antichi popoli - Abella romana - Il Cippus Abellanus -L’anfiteatro romano - I mausolei - Il castello medioevale - Il cippo onorario -L’acquedotto romano - Il santuario di Ercole - La pipa etrusca - Il vescovato diAvella - Il Papa di Avella - I beni architettonici - Il folklore (‘O laccio d’ammore- Il maio - Il fucarone - I battenti) - Scheda riassuntiva (dati essenziali) - Itinerarinaturalistici (risorse ambientali).

Origine del nome - Insediamenti preistorici - Invasioni barbariche - Bagliva- Epidemie - Suicidio delle suore - Affrancamento da Avella - Brigantaggio -Circumvesuviana - ‘E Vesuni - Lastricatura del corso - Il miracolo del 1700 -Le varie chiese -L’eremo di Gesù e Maria - Sant’Alfonso dei Liguori - Il folklore(Il maio - ‘E passiate a Montevergine - ‘E messe ‘e notte - Lo spartito di OiStefanì -Le carabine - ‘O fucarone - Battenti - Fontana Vecchia - Festa del vino -carri - Scheda riassuntiva (dati essenziali) - Itinerari naturalistici (risorse ambientali).

Origine del nome - Il castello del Litto - La Villa Caesarana - Ponte Mianum -Camillanum - Rione Archi - Pupianum - Il Procaccia - La sosta di San Gennaro -1799: scontro tra Giacobini e Sanfedisti - Il Santuario di Santa Filomena - MariaCristina di Savoia - Papa Pio IX - Il post-terremoto - Il salame di Mugnano - Ilfolklore: (‘E vattient’ ‘e Santa Filumena - Il maio - ‘O fucarone - Gesù e Maria - Ilpresepe - Arte Sotto le Stelle - Il brigante Turri Turri - Scheda riassuntiva (datiessenziali) - Itinerari naturalistici (risorse ambientali).

Page 159: L'esagono. Storia, tradizioni e antichi mestieri del baianese

Benedetta Napolitano

158

QUADRELLE 79

SIRIGNANO 86

L’AMBIENTE NATURALE 134

SPERONE 96

L’ULTIMO SECOLO 103

GLI ANTICHI MESTIERI 122

Le origini del nome - San Celiesto - I primi riferimenti storici - I Prìncipi diSirignano - “Memorie di un uomo inutile” - I coreani - Il folklore (Natale Piccirillo- Il maio - ‘O fucarone - ‘A zeza - ‘E Misi - I battenti - Scheda riassuntiva (datiessenziali) - Itinerari naturalistici (risorse ambientali).

Le origini del nome - Le prime citazioni - Da grancia a Comune - Il GiardinoPagano - I primi “fuochisti” - I primi salumifici - Il folklore (Maio - Vient’ ‘e terra- ‘O fucarone - Cumanna patrò - Scheda riassuntiva (dati essenziali) - Itinerarinaturalistici (risorse ambientali).

Le origini del nome - Sperone: un quartiere di Avella - Le antiche popolazioni - Ildistacco da Avella - Il museo della civiltà contadina - La Paradina - il PIP - Ilfolklore (L’opera di Sant’Elia - Il maio - I battenti) - Spassosi aneddoti - Schedariassuntiva (dati essenziali) - Itinerari naturalistici (risorse ambientali).

L’emigrazione - Il fondamentale ruolo della donna - La dote - Raccolta delle fascinee del fieno - La frequentazione della montagna - Un “contratto” di un corredo -Bachi da seta - Arcolaio - ‘E buatte - Lavori di casa - Culata - Lavoro negli orti -L’acconciapiatti - La vita di tutti i giorni - I modi di vestire - ‘A capera - ‘Avammana - La Pia Ricevitrice - Il corteggiamento - Le condizioni igieniche e i“rimedi miracolosi” - I cunti e l’occulto - ‘O munaciello

Il carbonaio - La “carcara” - La neviera - Lo sportellaro - Il boscaiolo - ‘O ferraro- ‘O vuttaro - ‘O funaro

I GIOCHI DI UNA VOLTA 131

Mazza e piùz - ‘O carruocciol’ - ‘O strummul’ - ‘O chirchio - ‘O sciscaro -‘E frecce - Le filastrocche per i bimbi e per i nonni.

ASPETTI DEMOGRAFICI (e statististici)

CONSIDERAZIONI FINALIAPPENDICE FOTOGRAFICABIBLIOGRAFIA

141

150151156

Formazione della valle - Il torrente Clanio - Le sorgenti - Le formazioni carsiche- La flora - la fauna - i funghi - il clima

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L’Esagono

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Una splendidaidea-regaloPer chi studia

Per chi è all’esteroPer tenersi informati

352 Pagine214 Foto B/N

85 Foto a coloriCitato in decine

di Tesi di Laurea,è disponibile presso

le principali Biblioteche

«La Città del Baianese»

Mugnano. Settembre2000. Presentazione dellibro “La Città delBaianese”. Da sinistra:il dott. Pellegrino DeRosa; la giornalista-pubblicista BenedettaNapolitano; il Sindacodi Mugnano, prof. Gio-vanni Colucci; lo stori-co locale e scrittore donGiovanni Picariello; ilgiornalista EnzoPecorelli.

Sirignano. Marzo 2002. Con-vegno sulle prospettive dellaCittà del Baianese. Da sinistra:il Sindaco di Avella, dott. Sal-vatore Guerriero; il politicosperonese dott. Franco Vitto-ria; il Presidente della Comu-nità Montana “Vallo di Lauroe Baianese”, prof. SalvatoreIsola; il Sindaco di Sirignano,prof. Antonio Napolitano; idue autori, insieme al piccoloAntonio De Rosa.

Della stessa autrice

Numerose altre foto del Baianese sarannoinserite in futuro sul Portale Internet

http://www.tuttobaianese.it

Il libro può essere acquistato presso i negozi del Gruppo De Rosa a Sirignano-AV

«Questo libro, come una pietra miliare, segna il passaggio dal vecchio al nuovo. Lo con-siglio a tutti: studenti, insegnanti e tecnici. Un testo di piacevole lettura e ricco di infor-mazioni inedite». (Enzo Pecorelli. Giornalista)

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Benedetta Napolitano

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Finito di stamparenel mese di settembre 2002

dalla litotipografia ArtemisCasalnuovo - Napoli

Tel. 0818426000

Via G. Fiordelisi, 38 - 83020 - Sirignano-AVWeb Video Engineering del dott. Pellegrino De Rosa