Leopardi Sobre L'Infinito

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1 L'Infinito di Leopardi www.erin.utoronto.ca/~jcampana/leopardi/infinito1.html La capacità dell'uomo di far sorgere in sé un'immaginazione del vago e dell'indefinito, in luogo della semplice vista delle cose, è dolce e piacevole, ed è tipica dei fanciulli e degli uomini dell'età antica. D'in su la vetta della torre antica... Questa sensazione sta all'origine anche delle illusioni. Si tratta della sensazione- esperienza di un "oltre" rispetto alla semplice vista delle cose: ma un oltre che non esiste, che è solo prodotto dell'immaginazione umana, anche se l'uomo desidera perdersi in esso, lo trova una cosa dolce. In questo idillio è aperta una via verso la dolcezza di queste sensazioni: ma esse rimangono semplicemente constatate e cantate dal poeta, non vengono interpretate. Il seguito della sua opera sarà un progressivo muoversi verso la convinzione dell'impossibilità di questo "infinito-oltre" per l'uomo. L'INFINITO Sempre caro mi fu quest'ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell'ultimo orizzonte il guardo escude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce

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Poesía

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L'Infinito di Leopardi

www.erin.utoronto.ca/~jcampana/leopardi/infinito1.html

La capacità dell'uomo di far sorgere in sé un'immaginazione del vago e dell'indefinito,

in luogo della semplice vista delle cose, è dolce e piacevole, ed è tipica dei fanciulli e

degli uomini dell'età antica.

D'in su la vetta della torre antica...

Questa sensazione sta all'origine anche delle illusioni. Si tratta della sensazione-

esperienza di un "oltre" rispetto alla semplice vista delle cose: ma un oltre che non

esiste, che è solo prodotto dell'immaginazione umana, anche se l'uomo desidera perdersi

in esso, lo trova una cosa dolce. In questo idillio è aperta una via verso la dolcezza di

queste sensazioni: ma esse rimangono semplicemente constatate e cantate dal poeta, non

vengono interpretate.

Il seguito della sua opera sarà un progressivo muoversi verso la convinzione

dell'impossibilità di questo "infinito-oltre" per l'uomo.

L'INFINITO

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

Dell'ultimo orizzonte il guardo escude.

Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello

Infinito silenzio a questa voce

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Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,

E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s'annega il pensier mio:

E il naufragar m'è dolce in questo mare.

Nota metrica: endecasillabi sciolti.

NOTE

1. quest'ermo colle: secondo la tradizione, il colle solitario (ermo) sarebbe il monte

Tabor, un'altura nei pressi di casa Leopardi; ma la determinazione concreta del luogo è

assolutamente irrilevante. Quanto ad "ermo", va rilevato che <<è la prima di tutta una

serie di parole indefinite che costituiscono uno degli aspetti più caratteristici del

linguaggio del canto>> (Fubini-Bigi).

2-3. che da tanta... esclude: che sottrae allo sguardo (il guardo esclude) così gran parte

dell'estremo (ultimo latinismo) orizzonte.

4. sedendo e mirando: fermandosi a guardare (dando così al verbo sedere il significato

generico di "stare"); secondo Citati, invece, Leopardi <<stava seduto per terra, ... a

ridosso della siepe>>, poiché il limite era voluto:<<mentre passava l'infinito aveva

bisogno di avere attorno a sé un limite, una siepe, un muro>>.

4. interminati: senza fine, senza termine; <<le parole che indicano moltitudine, copia,

grandezza, lunghezza, larghezza, altezza, vastità, ecc. sia in estensione, o in forza,

intensità ecc. sono pure poeticissime, e così pure le immagini corrispondenti>>

(Zibaldone, p.1825); cfr. sovrumani (v.5) e profondissima (v. 6).

5. quella: la siepe.

7. mi fingo: mi costruisco, mi immagino; <<l'anima s'immagina quello che non vede,

che quell'albero, quella siepe, quella torre ci nasconde, e va errando in uno spazio

immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto,

perché il reale escluderebbe l'immaginario>> (Zibaldone, p. 171).

7. ove: <<usato nel delicato duplice senso di collocazione spaziale e di consecuzione

temporale ('dove' e 'per cui')>> (Solmi).

8. come: quando.

9-10. tra queste... voce: il gioco dei rimandi tra realtà/immaginazione/realtà è sostenuto

dal deitico dimostrativo queste/quello/questa; questa voce: quella del vento che

stormisce fra le pietre.

11. Vo comparando: vado paragonando, confronto.

11. l'eterno: <<dopo l'infinito dello spazio, l'infinito del tempo>> (Fubini-Bigi).

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12. le morte stagioni: tutte le età passate, tutta la storia; cfr. La sera del dì di festa, vv.

33-39: <<infinità del passato che mi veniva in mente, ripensando ai Romani così caduti

dopo tanto romore e ai tanti avvenimenti ora passati ch'io paragonava dolorosamente

con quella profonda quiete e silenzio della notte, a farmi avvedere del quale giovava il

risalto di quella voce o canto villanesco>> (Zibaldone, pp. 50-51).

12-13. e la presente...di lei: e il tempo presente che ancora vive, attraverso il rumore del

vento.

14. immensità: <<l'immensità dello spazio che egli si era finta nel pensiero e quella del

tempo che ora gli è tornata in mente alla voce del vento>> (Flora).

15. m'è dolce: mi risulta piacevole: <<qualifica la sensazione dell'immergersi in questo

mare immaginato, dell'abbandonarsi a un indeterminato fluttuare di sensazioni e di

idee>> (Puppo).

"L'Infinito" è il primo di quei primi componimenti che il poeta pubblicò nel 1825 col

nome di "Piccoli Idilli". L'idillio leopardiano si distingue profondamente da quello della

tradizione; non è più il quadretto bucolico, un componimento piacevole di ispirazione

pastorale, ma l'espressione poetica di un'avventura interiore, di un moto dello spirito

nato dalla contemplazione nuova ed attonita di un aspetto della natura, o dalla rinnovata

capacità di sentire e vedere.

Si coglie così, nel senso più alto, che dallo stato d'animo idillico, da questa

contemplazione "interiore" della natura, derivano alcune delle voci più nuove del poeta.

Fin da fanciullo, lo ricorda lo "Zibaldone" nelle pagine scritte fra il 12 e il 13 Luglio del

1820, il poeta amava guardare il cielo "attraverso una finestra, una porta, una casa

passatoia" (cioè attraverso l'andito o corridoio fra due case); nella poesia "L'Infinito" il

poeta ha trovato le ragioni di questa preferenza: infatti, "da una veduta ristretta e

confinata" nasce il desiderio dell'infinito, perché allora in luogo della vista lavora

l'immaginazione ed il fantastico sottentra al reale.

L'anima si immagina quello che non vede, ciò che quella siepe, quella torre gli nasconde

e va errando in uno spazio immaginario e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista

si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario.

L'immergersi in una coscienza cosmica dell'infinito non è inteso dal Leopardi come

abbandono ad una pura emozione, ad un immediato vagheggiamento musicale, nasce

sempre da una consapevolezza vigile della realtà, da un'esigenza di superamento dei

suoi dati immediati. Per questo si parla di una dimensione religiosa dell'Infinito nel

Leopardi: quello che più tardi diventerà, nel "Canto notturno" o nella "Ginestra",

meditazione ammirata dell'immensità della vita, del cosmo, qui è ancora ansia e

vagheggiamento di assoluto e di eternità che nasce dalla coscienza della finitezza della

propria realtà individuale.

Analisi

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"L'Infinito" si divide in due parti esattamente uguali, come dimostra il punto fermo a

metà dell'ottavo verso. Nella prima metà della poesia è descritto l'infinito dello spazio,

nella seconda metà, l'infinito del tempo: per definire l'infinito, ci dice il poeta, sono

necessarie ambedue le coordinate, lo spazio e, appunto, il tempo.

Gli elementi esteriori si riducono ad un colle, ad una siepe che limita l'orizzonte, ad uno

stormire di fronde. Sulla cima di un colle una siepe impedisce allo sguardo la vista di

una grande parte dell'orizzonte. Ma quello che è l'ostacolo alla vista degli occhi diviene

stimolo alla visione interiore, all'immaginare del poeta. Sorgono così dentro di lui gli

"interminati spazi" del cielo, e i "sovrumani silenzi e la profondissima quiete" del

vuoto; e quasi il cuore del poeta "non si spaura".

Ma a proseguire l'idillio sopraggiunge un lieve rumore di vento, l'unico breve rumore

sulla cime del colle. E da quella voce il poeta è ricondotto alle cose finite; e giunge al

confronto di esse con l'eterno, al pensiero delle "morte stagioni", e della stagione

presente così viva, così reale con i suoi rumori intorno al poeta. Dove va il tempo?

Come da una siepe è nato l'infinito dello spazio, così da un soffio è sorto quello del

tempo; un infinito ancora più sovrumano e indeterminato che la mente invano cerca di

sondare.

Si noti, immediatamente, quanto l'idea dell'infinito sia lontana da qualsiasi

determinazione scientifica o filosofica. Per questo i legami col reale o hanno la

vaghezza di sogno, oppure si affidano alla purezza della sensazione immediatamente

tradotta in fantasia, e la fantasia cresce in sentimento.

Il processo si ripete due volte:

Sensazione visiva (sguardo impedito dalla siepe);

Fantasia (immaginazione di mondi sterminati e silenziosi);

Sentimento ("ove per poco il cor non si spaura");

Movimento che sembra di interiorizzazione ("io nel pensier mi fingo").

Sensazione auditiva (vento che stormisce fra le piante);

Fantasia (eternità, trascorrere del tempo);

Sentimento ("e il naufragar m'è dolce in questo mare");

Movimento di esteriorizzazione ("e il naufragar m'è dolce in questo mare").

"L'Infinito", tendendo al vago e all'indefinito, attua un'esplorazione della soggettività,

ma anche della tensione concettuale. Emergono in particolare:

* L'indicazione di uno spazio concreto (l'area limitata della siepe) e di uno specifico,

personale (consuetudine).

* Il processo di astrazione, visione mentale dello spazio.

* Il passaggio dall'immagine aspaziale a quella temporale. Contrapposizione fra spazio

concreto e tempo.

* Lo smarrimento genera piacere.

Il critico Lotman, pone la contrapposizione tra:

Spazio interno: spazio chiuso, rotondità della collina che lo delimita.

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Spazio esterno: sovrumano, immobile, mondo dei pensieri, mondo della morte,

l'eternità

GIACOMO LEOPARDI

Giacomo Leopardi, che Calvino aveva scelto come autore che nella sua poetica poco

concede all'esattezza, si rivela invece un decisivo testimone a favore. Infatti il poeta del

vago può essere solo il poeta della precisione, che sa cogliere la sensazione più sottile

con occhio, orecchio, mano pronti e sicuri.

Per specificare il significato del termine vago nella lingua italiana occorre considerare

come questa parola porti con sé un'idea di movimento e mutevolezza, che s'associa tanto

all' incerto e all' indefinito quanto alla grazia e alla piacevolezza.

Ecco i passi dello Zibaldone in cui Leopardi fa l'elogio del vago, elencando situazioni

propizie allo stato d'animo dell'"indefinito":

<<...la luce del sole o della luna, veduta in luogo dov'essi non si vedano e non si scopra

la sorgente della luce; un luogo solamente in parte illuminato da detta luce, e i vari

effetti materiali che ne derivano; il penetrare di detta luce in luoghi dov'ella diventi

incerta e impedita, e non bene si distingua, come attraverso un canneto, in una selva, per

li balconi socchiusi ec. ec.; la detta luce veduta in luogo, oggetto, ec. dov'ella non entri e

non percota dirittamente, ma vi sia ribattuta e diffusa da qualche altro luogo od oggetto

ec. dov' ella venga a battere; in un andito veduto al di dentro o al di fuori, e in una

loggia parimente ec. quei luoghi dove la luce si confonde ec. ec. colle ombre, come

sotto un portico, in una loggia elevata e pensile, fra le rupi e i burroni, in una valle, sui

colli veduti dalla parte dell' ombra, in modo che ne sieno indorate le cime; il riflesso che

produce, per esempio, un vetro colorato su quegli oggetti su cui si riflettono i raggi che

passano per detto vetro; tutti quegli oggetti insomma che per diversi materiali e menome

circostanze giungono alla nostra vista, udito ec. in modo incerto, mal distinto,

imperfetto, incompleto, o fuor dell' ordinario ecc.>>

(Italo Calvino, Lezioni Americane, Oscar Mondadori, Milano 1993)

Nelle sue riflessioni, inoltre, Leopardi pone continuamente a confronto i due termini

infinito e indefinito : l' uomo, cioè, proietta il suo desiderio nell' infinito, ma siccome la

mente umana non riesce a concepirlo, in quanto l' uomo è un' entità finita, non le resta di

accontentarsi dell' indefinito e delle sensazioni che, confondendosi l' un l' altra creano

un'impressione illusoria, ma piacevole d' illimitato ("E il naufragar m'è dolce in questo

mare" - da "L' infinito"). Leopardi parte quindi dal rigore astratto di un'idea matematica

di spazio e di tempo e la confronta con l'indefinito e vago fluttuare delle sensazioni.

Il tema dell'infinito e le sue declinazioni

La poesia di Leopardi avrebbe potuto nascere fuori Recanati?

La poesia certamente si, gl'Idilli no.

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Al di fuori dei confini del "natio borgo selvaggio" nascono tra gli altri due testi che

possiamo considerare una sorta di pessimismo ragionato sublimato in immagini e cioè:

Il canto notturno di un pastore errante dell'Asia, di tono assai sconsolato (e proprio per

questo il più diffuso nei temi di maturità quasi che fosse una canzone-manifesto) e La

ginestra, o il fiore del deserto, di tono assai più combattivo e aperto alle suggestioni

della marina napoletana.

[Notturno di Recanati]

Notturno di Recanati visto dal colle dell'infinito

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,

Silenziosa luna? [...]

E questo profondo infinito seren?

La luna, che nei pleniluni sereni viene a rischiarare l'infinita profondità della notte,

sorge identica a Recanati e in Russia: eppure qui è detta "mia" e "diletta" perchè

affettuosamente partecipe delle vicende del poeta, amica, confidente, compagna, quasi

una sorta di sostituto simbolico della presenza femminile (Alla luna); là è silenziosa,

indifferente e non risponde alle domande del pastore, perchè si tratta di un oggetto

metafisico, non lirico (Canto Notturno).

Così, il cielo stellato è lo stesso a Recanati e a Torre del Greco, ma non l'animo del

poeta: qui è metafora della bellezza dei suoi sogni, della vastità delle sue attese,

dell'altezza morale delle sue aspirazioni di "Schone seele" (Le ricordanze); là è la prova

della marginalità dell'uomo nell'universo, della falsità delle sue pretese d'immortalità,

frutto di ignorante superbia (La ginestra). A Recanati cioè, grazie all'investimento

affettivo della memoria, il paesaggio assume soggettivisticamente la capacità di far

diventare vere, più vere della stessa realtà, le illusioni del cuore, che manifestano così la

loro irriducibilità.

Il "caro immaginar" resiste in qualche modo alla forza corrosiva della ragione e alla

stessa amara esperienza del disinganno, che non a caso si esprimono frequentemente nel

succedersi di interrogative, non retoriche, ma di protesta.

Il paesaggio recanatese infatti non ha nulla di surreale, di allucinato, di post-moderno, ci

si potrebbe tranquillamente passeggiare dentro (e perciò la critica dovrebbe domandarsi

se è corretto leggere tutto Leopardi retrospettivamente a partire dai due testi citati

all'inizio); solo che si tratta per l'appunto d'un paesaggio lirico, simbolico e non

realistico, anche se ha tratto spunto da luoghi riconoscibili.

added notes and manuscript