LEONE FILM GROUP e RAI CINEMA presentano regia di...

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1 LEONE FILM GROUP e RAI CINEMA presentano regia di STEVEN SPIELBERG con MERYL STREEP TOM HANKS un’esclusiva per l’Italia LEONE FILM GROUP in collaborazione con RAI CINEMA distribuzione uscita: 1 Febbraio Durata: 118’ Ufficio stampa Studio Lucherini Pignatelli Via A. Secchi, 8 – 00197 Roma Tel. 06/8084282 Fax: 06/80691712 [email protected] www.studiolucherinipignatelli.com 01 Distribution - Comunicazione P.za Adriana,12 – 00193 Roma Tel. 06/33179601 Annalisa Paolicchi: [email protected] Rebecca Roviglioni: [email protected] Cristiana Trotta: [email protected] Materiali disponibili sull’homepage del sito www.01distribution.it e su www.studiolucherinipignatelli.it Media partner: Rai Cinema Channel www.raicinemachannel.it - CREDITI NON CONTRATTUALI –

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LEONE FILM GROUP e RAI CINEMA

presentano

regia di STEVEN SPIELBERG

con MERYL STREEP

TOM HANKS

un’esclusiva per l’Italia LEONE FILM GROUP in collaborazione con RAI CINEMA

distribuzione

uscita: 1 Febbraio Durata: 118’

Ufficio stampa Studio Lucherini Pignatelli Via A. Secchi, 8 – 00197 Roma Tel. 06/8084282 Fax: 06/80691712 [email protected] www.studiolucherinipignatelli.com

01 Distribution - Comunicazione P.za Adriana,12 – 00193 Roma Tel. 06/33179601 Annalisa Paolicchi: [email protected] Rebecca Roviglioni: [email protected] Cristiana Trotta: [email protected]

Materiali disponibili sull’homepage del sito www.01distribution.it e su www.studiolucherinipignatelli.it

Media partner: Rai Cinema Channel www.raicinemachannel.it

- CREDITI NON CONTRATTUALI –

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The Post

CAST TECNICO REGIA STEVEN SPIELBERG SCENEGGIATURA LIZ HANNAH JOSH SINGER DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA JANUSZ KAMINSKI SCENOGRAFIA RICK CARTER MUSICHE JOHN WILLIAMS MONTAGGIO MICHAEL KAHN, A.C.E.

SARAH BROSHAR COSTUMI ANN ROTH PRODOTTO DA AMY PASCAL KRISTIE MACOSKO KRIEGER PRODUTTORI ESECUTIVI TIM WHITE TREVOR WHITE ADAM SOMNER TOM KARNOWSKI UNA PRODUZIONE AMBLIN ENTERTAINMENT, DREAMWORKS, PASCAL PICTURES, STAR THROWER ENTERTAINMENT UN’ESCLUSIVA PER L’ITALIA LEONE FILM GROUP IN COLLABORAZIONE CON RAI CINEMA DISTRIBUZIONE 01 DISTRIBUTION

- CREDITI NON CONTRATTUALI –

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The Post CAST ARTISTICO KATHARINE GRAHAM MERYL STREEP BEN BRADLEE TOM HANKS TONY BRADLEE SARAH PAULSON BEN BAGDIKIAN BOB ODENKIRK FRITZ BEEBE TRACY LETTS ARTHUR PARSONS BRADLEY WHITFORD ROBERT MCNAMARA BRUCE GREENWOOD DANIEL ELLSBERG MATTHEW RHYS LALLY GRAHAM WEYMOUTH ALISON BRIE MEG GREENFIELD CARRIE COON HOWARD SIMONS DAVID CROSS ROGER CLARK JESSE PLEMONS ABE ROSENTHAL MICHAEL STUHLBARG TONY ESSAYE ZACH WOODS

- CREDITI NON CONTRATTUALI –

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The Post

SINOSSI 1971: Katharine Graham (Streep) è la prima donna alla guida del The Washington Post

in una società dove il potere è di norma maschile, Ben Bradlee (Hanks) è il duro e

testardo direttore del suo giornale.

Nonostante Kay e Ben siano molto diversi, l’indagine che intraprendono e il loro coraggio

provocheranno la prima grande scossa nella storia dell’informazione con una fuga di

notizie senza precedenti, svelando al mondo intero la massiccia copertura di segreti

governativi riguardanti la Guerra in Vietnam durata per decenni.

La lotta contro le istituzioni per garantire la libertà di informazione e di stampa è il cuore

del film, dove la scelta morale, l’etica professionale e il rischio di perdere tutto si

alternano in un potente thriller politico.

I due metteranno a rischio la loro carriera e la loro stessa libertà nell’intento di portare

pubblicamente alla luce ciò che quattro Presidenti hanno nascosto e insabbiato per anni.

Per la prima volta nella sua lunga carriera Steven Spielberg dirige in The Post la coppia

premio Oscar Meryl Streep e Tom Hanks, con una sceneggiatura scritta da Liz Hannah e

Josh Singer.

Nel cast Alison Brie, Carrie Coon, David Cross, Bruce Greenwood, Tracy Letts, Bob

Odenkirk, Sarah Paulson, Jesse Plemons, Matthew Rhys, Michael Stuhlbarg, Bradley

Whitford e Zach Woods.

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IL PRIMO EMENDAMENTO ALLA COSTITUZIONE:

Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti.

LA SUPREMA CORTE: IL NEW YORK TIMES CONTRO GLI STATI UNITI 403 U.S. 713

ESTRATTO DALLA SENTENZA DEL GIUDICE HUGO BLACK: "Nel primo emendamento i Padri Fondatori hanno garantito alla libertà di stampa

la protezione che deve avere per svolgere il suo ruolo essenziale nella nostra democrazia. La stampa doveva essere al servizio dei governati, non dei governatori. Il potere del Governo di censurare la stampa venne abolito affinché la stampa potesse essere sempre libera di censurare il Governo. La stampa era protetta in modo che potesse scoprire i segreti del Governo e informare la gente. Solo una stampa libera e senza costrizioni può effettivamente rivelare gli inganni del Governo.

E fondamentale tra le responsabilità di una stampa libera è il dovere di impedire a qualsiasi parte del Governo di ingannare il popolo e mandarlo in terre lontane a morire di febbri e di proiettili stranieri.

Dal mio punto di vista, lungi dal meritare la condanna per la loro coraggiosa inchiesta, il New York Times, il Washington Post e gli altri giornali dovrebbero essere lodati per aver servito lo scopo che i Padri Fondatori indicarono così chiaramente.

Nel rivelare le manovre del Governo che hanno portato alla guerra in Vietnam, i giornali nobilmente hanno fatto esattamente quello che i Fondatori speravano e confidavano facessero".

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INTRODUZIONE

“Alcuni amano la competizione e il cambiamento, io no e

mi dispiace non potermi annoverare tra questi. Ma una volta che hai iniziato un percorso penso che bisogna andare fino in fondo.

Non si deve cedere.” ~Katharine Graham, editrice del Washington Post

Nella storia americana ci sono stati momenti cruciali nei quali i comuni cittadini

hanno dovuto decidere se mettere a rischio tutto - livello di vita, reputazione, status, perfino la libertà - per fare quello che credevano fosse giusto e necessario per proteggere la Costituzione e difendere la libertà del loro paese. Con The Post, il regista premio Oscar® Steven Spielberg analizza proprio un momento del genere.Il risultato è un dramma avvincente basato sulla storia vera di quando il Washington Post e il New York Times crearono un’alleanza pragmatica dopo la sconvolgente scoperta del Times del rapporto top secret che sarebbe diventato famoso con il nome di Pentagon Papers.

Anche se lo scoop era del New York Times, il Washington Post cominciò a interessarsi alla storia che aveva provocato minacce legali e mobilitato tutto il potere della Casa Bianca contro il Times - unendo una scommessa personale con i bisogni di una nazione scandalizzata dalla scoperta di cosa le stava nascondendo il governo. Nella questione entrava anche il destino di milioni di persone, compreso quello di migliaia di soldati americani che combattevano una guerra che il loro governo non credeva di poter vincere. In pochi, drammatici giorni, la pionieristica ma inesperta editrice del Post, Katharine Graham, dovrà mettere in gioco la sua eredità e ascoltare la propria coscienza mentre inizia a rendersi conto di essere in grado di condurre la battaglia; e il giornalista Ben Bradlee dovrà mettere sotto pressione la sua redazione perché vada fino in fondo nella ricerca della verità, consapevole che proprio per questo tutti loro potrebbero essere incriminati per tradimento. Ma gli sfavoriti del Post diventano una squadra compatta in una battaglia più grande di loro - una battaglia per i loro colleghi giornalisti e per la Costituzione - che sottolinea la necessità della libertà di stampa affinché i leader di una democrazia siano affidabili.

Con The Post, Spielberg crea un mix straordinario di attori nel loro momento migliore, con al centro le performances di Streep e Hanks, rispettivamante nel ruolo di Graham e Bradlee - lei una leader che non si era mai messa alla prova e che impara a imporsi come donna in un mondo complesso; lui un giornalista freddo e determinato che da cacciatore di notizie diventa un uomo che lotta per far emergere la verità - e tutti e due scopriranno che insieme possono dare il meglio di sé. Dietro le quinte, Spielberg torna a lavorare con i suoi collaboratori storici, come il direttore della fotografia Janusz Kaminski, il montatore Michael Kahn, lo scenografo Rick Carter e il compositore John Williams, con la leggendaria costumista Ann Roth a chiudere il cerchio.

E così gli avvenimenti del 1971 vengono raccontati in un crescendo di tensione che sembra in tempo reale. Nel corso della sua carriera, Spielberg è sempre stato attratto dai momenti che segnano profonde trasformazioni storiche, dall’Impero del Sole

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e Schindler’s List a Munich, Lincoln e Il ponte delle spie. Con The Post Spielberg concentra per la prima volta la sua macchina da presa sull’America degli anni ’70, gli stessi anni in cui lui si affermò come uno dei cineasti più talentuosi. Con un linguaggio narrativo incalzante ed essenziale, la storia parla di rapporti personali e di coraggio, ma porta Spielberg nel mondo del giornalismo investigativo in un momento molto critico per la nazione, in un ambiente che sta cambiando, con il crescente potere delle donne e la trasformazione delle redazioni in vere e proprie aziende. Ma soprattutto la storia crea un contesto estremamente interessante per affrontare un dilemma senza tempo: quando si deve portare all’attenzione dell’opinione pubblica un grave pericolo nazionale, pur sapendo che la posta in gioco è molto alta?

“Steven ha trasformato questa storia in un thriller”, dice la produttrice Amy Pascal. “Ha l’innata capacità di rendere dinamici e attuali anche episodi storici lontani nel tempo, sei seduto sull’orlo della poltrona quando guardi il film, che non smette di ricordarci il dovere di dire la verità”.

La produttrice Kristie Macosko Krieger aggiunge: “Questo film parla del potere della verità, ma racconta anche la storia di una donna che da casalinga si trasforma nell’editrice di una delle più grandi testate giornalistiche americane, una storia personale nell’ambito di una storia più grande ed è proprio questo che ce la fa amare e ci fa appassionare”.

Cosa sono i Pentagon Papers? Una relazione top secret di 7.000 pagine, piena di scottanti segreti governativi. Il

documento, che era stato stilato nel 1967 per l’allora Segretario alla Difesa Robert McNamara, aveva un titolo banale, “Storia delle decisioni U.S. in Vietnam, 1945-66”.

Per quanto suonasse innocuo, il rapporto avrebbe scatenato un’onda d’urto i cui effetti si sentono ancora oggi. Il documento - che divenne famoso in tutto il mondo come Pentagon Papers - portava alla luce una verità a lungo nascosta: la vastità e la quantità di bugie raccontate sulla sanguinosa guerra in Vietnam aveva coinvolto quattro diverse amministrazioni, da Truman a Eisenhower, fino a Kennedy e Johnson. I Pentagon Papers rivelavano che ognuno di quei Presidenti aveva ingannato l’opinione pubblica sulle operazioni americane in Vietnam, e che mentre il governo sosteneva di volere raggiungere la pace, dietro le quinte i militari e la CIA incrementavano segretamente l’impegno dell’esercito nel conflitto. I Pentagon Papers raccontavano una storia oscura di assassini, violazioni della Convenzione di Ginevra, elezioni truccate e bugie raccontate al Congresso.

Queste rivelazioni erano particolarmente esplosive in un momento in cui i soldati americani, molti dei quali di leva, correvano rischi mortali in ogni istante. Alla fine, la guerra in Vietnam, terminata nel 1975, costò la vita a 58.220 soldati americani e causò la morte di oltre un milione di persone. I Pentagon Papers svelarono gli inganni che portarono a questo massacro.

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La fonte:

La fonte che aveva rivelato l’esistenza dei Pentagon Papers al New York Times era il brillante analista militare della RAND Corporation, un think tank molto influente finanziato dal governo, Daniel Ellsberg, che aveva lavorato al rapporto fin dall’inizio. Ellsberg era stato nel corpo dei Marine ed era stato due anni in Vietnam con il Dipartimento di Stato americano. Nel tempo era rimasto sempre più deluso dall’evidente disparità tra quello che vedeva succedere sul campo, deciso a porte chiuse a Washington, e quello che gli americani non sapevano sulla strategia e il futuro della guerra.

Nel 1969, spinto ad agire per il bene dei soldati, pur consapevole di rischiare personalmente, Ellsberg e il suo collega della RAND, Anthony Russo, iniziarono a fotocopiare di nascosto tutte le 7.000 pagine dei Pentagon Papers. Foglio dopo foglio, fecero uscire di notte i documenti che erano conservati in una camera di sicurezza alla RAND in una valigetta e li portarono nell’uffico in cui lavorava la fidanzata di Russo, Lynda Resnick– che aveva un’agenzia di pubblicità – per usare la sua Xerox. (Resnick era già impegnata nel movimento contro la guerra).

Anche se Ellsberg considerava ciò che stava facendo un atto di patriottismo, alcuni lo avrebbero presto indicato come “l’uomo più pericoloso d’America”.

La denuncia del New York Times e la battaglia legale: Dopo aver fotocopiato integralmente il documento, Ellsberg pensò all’inizio di

rivolgersi ai canali ufficiali e farlo conoscere all’opinione pubblica. Ma quando fallì ogni suo tentativo di ottenere l’appoggio di numerosi membri del Congresso decise di sottoporlo al New York Times. Nel marzo del 1971, Ellsberg contattò con mille precauzioni il giornalista Neil Sheehan - che aveva iniziato a inviare articoli da Saigon a 26 anni e che era conosciuto per la determinazione con cui affrontava questioni militari o politiche - perché desse un’occhiata al materiale. Anche se Sheehan non potè promettere nulla a Ellsberg, disse che avrebbe fatto vedere i Pentagon Papers ai suoi capi del Times.

The Times colse subito la forza dirompente e le conseguenze che avrebbe avuto la pubblicazione del documento e, sfidando il parere dei legali, l’editore Arthur “Punch” Sulzberger e l’amministratore delegato Abe Rosenthal decisero di andare avanti, considerando attentamente le responsabilità che avevano sia nei confronti del pubblico che dell’interesse nazionale. Un team di giornalisti passò quindi clandestinamente tre mesi in un albergo per analizzare a fondo la documentazione e prepararsi a raccontare una storia molto complessa - preoccupati anche dal fatto che l’F.B.I. potesse essere sulle loro tracce. Venne quindi presa la decisione di pubblicarla nel modo meno sensazionalistico possibile.

Comunque fin dal primo momento in cui The New York Times raggiunse le edicole la domenica del 13 giugno 1971 con in prima pagina il titolo “Archivio Vietnam: gli studi del Pentagono rivelano 3 decenni di crescente coinvolgimento americano”, scoppiò l’inferno. Gli editori degli altri quotidiani della città, consapevoli dello scoop, iniziarono a

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indagare anche loro. Nel frattempo a Washington, si mise in moto l’azione per incriminare non solo Ellsberg, ma anche il New York Times e chiunque altro avesse tentato di rivelare i segreti dei Pentagon Papers.

Il 15 giugno l’amministrazione Nixon chiese alla Corte Federale di bloccare la pubblicazione dei documenti da parte del Times, sostenendo che avrebbe messo in pericolo la sicurezza nazionale. La corte le diede ragione.

La decisione del Washington Post: Mentre il New York Times non poteva più pubblicare nulla, gli altri quotidiani

iniziarono a darsi da fare per avere accesso ai documenti e scrivere i loro articoli e le loro analisi. Il Washington Post, considerato più un giornale locale rispetto al più blasonato New York Times, letto in tutto il paese, raccolse immediatamente il testimone quando l’assistente del capo redattore Ben Bagdikian, ex collega di Ellsberg alla RAND, ottenne un’altra copia completa del documento. A quel punto stava all’editrice Katharine Graham - l’unica donna ad avere una posizione di potere in un grande giornale nazionale - decidere se andare avanti o mettere un freno. Sotto pressione e malgrado le ricordassero che avrebbe potuto compromettere il futuro del giornale, che in quel momento stava per quotarsi in borsa, lei disse al direttore Ben Bradlee di iniziare a pubblicare tutto.

Il 18 giugno, il Washington Post fu il primo quotidiano a pubblicare il materiale dei Pentagon Papers dopo l’ingiunzione contro il Times - a costo di dover affrontare un’azione legale. Quel giorno stesso il Dipartimento di Giustizia emanò un ordine restrittivo e un’ordinanza permanente contro il Washington Post, ma questa volta l’ordine venne annullato dal giudice federale. Nel frattempo il coraggio del Times e del Post spinsero il Boston Globe, il Chicago Sun-Times e altri gornali a scrivere sull’argomento data l’importanza enorme del momento.

Il 30 giugno la Corte Suprema rigettò l’ingiunzione contro la pubblicazione, l’opinione della maggioranza era che la pubblicazione dei Pentagon Papers era di interesse pubblico e che era dovere della stampa libera controllare l’operato del governo.

Ellsberg e Russo vennero accusati di spionaggio e Ellsberg rischiò 115 anni di prigione. Il processo iniziò nel gennaio del 1973, proprio mentre scoppiava lo scandalo Watergate. E i due sarebbero sempre stati collegati quando venne fuori che la Casa Bianca di Nixon aveva illegalmente autorizzato lo spionaggio dello psichiatra di Ellsberg per screditare quest’ultimo. Alla fine, l’11 maggio del 1973, il giudice incaricato del processo ne dichiarò l’annullamento perché l’imputato aveva considerato il comportamento scorretto del governo. Tutte le accuse contro Ellsberg e Russo caddero.

Da quel momento la storia dei Pentagon Papers è diventata molto di più di un singolo e controverso atto di coscienza, è diventata la storia del potere che viene dal lavorare insieme e del potere del raccontare la verità, per quanto sia scomodo e pericoloso farlo.

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La sceneggiatura

La storia dei Pentagon Papers racchiude in sé tante storie - quella di quattro amministrazioni presidenziali che mentirono alla nazione sulle circostanze della guerra per oltre 20 anni, quella del perché l’ex marine e consulente militare Daniel Ellsberg decise di far arrivare i documenti alla stampa, quella di come il New York Times gestì uno scoop spettacolare e incendiario, quella del processo, per non parlare delle implicazioni per i media, il Primo Emendamento e la democrazia stessa. Ma la sceneggiatura di Liz Hannah per The Post sceglie un’angolatura nuova, concentrando la sua attenzione sugli intrighi umani e le personalità magnetiche al centro della decisione del Washington Post di combattere per la pubblicazione del dossier.

Hannah è sempre stata affascinata dalla vita della leggendaria editrice del Washington Post, Katharine (Kay) Graham, che all’inizio degli anni ’70 è stata la prima donna a dirigere una grande testata. È stata affascinata da come Graham si trasforma da erede di un quotidiano in una vera leader del giornalismo. La scintilla si è accesa quando Hannah ha conosciuto la storia di come Graham decise di mettere a repentaglio il suo giornale e la sua carriera - nel momento della massima vulnerabilità per entrambi - continuando a pubblicare i Pentagon Papers anche dopo che una corte ne aveva ordinato l’interruzione al New York Times. Era questa la storia che stava cercando. Un momento cruciale nella vita di Graham e della nazione, con personaggi complessi e tanto spionaggio.

“Avevo letto l’autobiografia di Graham, Personal History, e ho voluto far sentire la sua voce, ma non volevo assolutamente scrivere un biopic”, spiega Hannah. “Solo quando ho letto quella di Ben Bradlee, che racconta il momento in cui venne presa la decisione di pubblicare i Pentagon Papers, ho capito davvero come procedere. Ho deciso di raccontare la storia di loro due nel contesto della trasformazione di Graham quando decide il futuro del Post. C’erano tanti eventi drammatici e rischiosi, la narrazione è venuta naturale”.

La posta in gioco era enorme per Graham e Bradlee. C’erano tanti giovani chiamati a combattere in Vietnam e il numero dei morti e dei feriti era in continuo aumento; l’angoscia che tra le probabili accuse contro di loro ci fosse anche il tradimento, la sopravvivenza stessa del Washington Post, la preoccupazione di far correre allo staff e alle loro famiglie un rischio immenso e l’ansia di tradire gli amici.

E alla base della sceneggiatura di Hannah c’è proprio questo crescendo di rischi - e di coraggio del Post e del giornalismo americano, il come e perché la gente sceglie di agire in un certo modo piuttosto che godersi la vita vivace di un ambizioso e sconclusionato quotidiano degli anni ’70. Hannah ha anche approfondito la love story, una unione platonica di yin-e-yang, tra l’editrice e il direttore, uniti da una lealtà incrollabile anche nelle situazioni più difficili. “La pubblicazione dei Pentagon Papers è il momento in cui si forgia il rapporto tra Kay e Ben, quando la fiducia e la collaborazione diventano la loro forza”, dice Hannah. “L’ho vista come una storia d’amore di due anime gemelle che cercano la verità”.

Presto la sceneggiatura ha iniziato a circolare e Amy Pascal ricorda: “Quando l’ho letta ho pensato che questa storia doveva essere raccontata. Una delle cose che ho più

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amato della sceneggiatura di Liz è che parla di una moglie e di una madre che non aveva mai creduto di avere un vero lavoro ed era stata abbandonata da quasi tutti nella sua vita - e che improvvisamente deve prendere una delle decisioni più gravide di conseguenze della storia. Questo ha cambiato la sua esistenza e l’ha fatta diventare la prima donna a guidare un’azienda entrata nella lista di Fortune 500”.

La storia ha attirato anche l’attenzione di Meryl Streep, che nel 2017 ha festeggiato il suo 40° anno sulla scena, prima ancora che Spielberg fosse chiamato alla regia. “Sono sempre stata interessata alle storie sul Washington Post e il Watergate del film di Alan Pakula Tutti gli uomini del Presidente, in cui Kay Graham fa una breve ma significativa apparizione. In realtà non sapevo molto di lei”, ricorda. “Ma la sceneggiatura di Liz ha colto davvero l’atmosfera di quel periodo, l’ho trovata incredibilmente coinvolgente. Una storia che non era stata raccontata”.

Anche Spielberg ha avuto una reazione viscerale alla sceneggiatura. Malgrado fosse impegnato nella preparazione del film Ready Player One, ricco di effetti speciali, questo racconto profondamente umano e così importante nella storia del paese l’ha affascinato. “La narrazione di Liz, il suo studio critico e il bel ritratto che fa di Graham mi hanno fatto dire: ‘Sarò un pazzo, ma voglio fare questo film adesso’”, ricorda. “Mi ha preso”.

Kristie Macosko Krieger, che lavora con Spielberg da vent’anni ricorda: “Abbiamo organizzato tutto in un giorno. Ho chiamato gli altri e ho detto ‘smontiamo il lavoro in Italia, dobbiamo girare un film a New York in 11 settimane’”.

Tutto è andato a un ritmo insolitamente veloce, anche per Spielberg, di cui è famosa l’etica del lavoro. I due attori che voleva per i ruoli di Graham e Bradlee - Streep e Hanks - hanno dichiarato subito di essere interessati e quasi per miracolo avevano entrambi uno spazio libero tra i loro impegni. Ed è stata così un’opportunità per tre artisti di grande talento di lavorare insieme e tutti erano decisi ad andare alla massima velocità.

Per Spielberg è il rischio che ha reso la storia sia un thriller che un film drammatico con un personaggio, una donna, che scopre la propria forza. “The Washington Post ha colto una grande occasione pubblicando il dossier dopo che il giudice aveva fermato il New York Times”, dice. “Il momento non poteva essere peggiore, il Post era in perdita, e al centro di tutto questo c’era Graham, che ha dovuto prendere la decisione più difficile nella storia del quotidiano. Ho visto la storia più come la nascita di un leader che come l’affermazione di un quotidiano nazionale”.

Spielberg ha poi voluto lo sceneggiatore premio Oscar® Josh Singer (Spotlight), famoso per la sua capacità di raccontare la vita dei giornalisti, per ampliare la sceneggiatura di Hannah. “Ho inviato il materiale a Josh, lui ha amato molto lo script di Liz e si è messo al lavoro”, ricorda il regista. “Abbiamo avuto molte conversazioni, abbiamo letto i libri di Graham e Bradlee e ci siamo entusiasmati per come poteva finire questa storia. Josh ha fatto una gran mole di ricerche in pochissimo tempo, io non avevo mai visto niente di simile, e credo che dipenda dal fatto che ha studiato legge e ha iniziato a scrivere per The West Wing. Capisce l’importanza di trovare la verità, di scoprire i dettagli della verità, non solo le linee generali di una fase storica. È stato instancabile nel parlare con la gente che c’era”.

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“È stato fantastico poter mettere insieme Josh e Liz. Non credo di aver mai visto due sceneggiatori lavorare insieme meglio di loro”, aggiunge Pascal.

“La sceneggiatura di Liz era su due esseri umani in un percorso molto intimo, uno script incredibile”, dice Singer. “Quello che volevamo era aggiungere più storia e un senso del tempo, per mostrare quanto importanti fossero quei pochi giorni e portare il pubblico a immergersi in quell’atmosfera. Siamo andati oltre Kay e Ben per vedere cosa succede con le registrazioni di Nixon e con il New York Time se questo aiuta a creare un contesto più preciso per il momento in cui Kay deve decidere”.

Singer ha mantenuto il rapporto tra Graham e Bradlee al centro della narrazione. “La loro evoluzione è il cuore della storia e Liz l’ha raccontata in modo franco e veritiero”, dice. “Il loro legame è in un certo senso come un matrimonio ai suoi esordi. Ben e Kay hanno lavorato insieme per cinque anni, ma non hanno mai affrontato situazioni davvero difficili. Ora sono messi seriamente alla prova al punto che pensi che romperanno e invece è bello vedere che invece diventano più forti”.

Per Singer è stato importante anche tracciare una linea diretta di collegamento tra la decisione del Washington Post di riprendere a pubblicare i Pentagon Papers e il coraggioso lavoro d’inchiesta svolto sul Watergate (al centro del classico di Pakula Tutti gli uomini del Presidente). “In un certo senso è la storia all’origine dell’inchiesta sul Watergate”, afferma Singer. “Senza quella squadra non ci sarebbe stato nessun Watergate, i Pentagon Papers hanno cambiato il modo di procedere dei giornali”.

Lo script ha fornito a Singer l’opportunità di esplorare un altro aspetto del giornalismo - il coraggio non solo di andare a caccia di notizie capaci di attirare l’attenzione, ma anche l’audacia di pubblicare quello che i potenti non vogliono sia pubblicato, obbligando le autorità a rispondere. The Post non sostiene di aver scovato lui la notizia, è stato il The New York Times a fare lo scoop dei Pentagon Papers.

“The New York Times apre la strada in questa storia”, sostiene Pascal. “E infatti il nostro film inizia con Ben Bradlee furibondo perché era stato il Times ad avere la notizia, non lui. È un giornalista competitivo e il fatto di essere stato preceduto dal Times per una storia così importante lo fa impazzire. Ma la cosa interessante è che passa dal preoccuparsi di non essere stato sulla notizia a come raccontare tutta la verità ai lettori. Ora combatte per una causa molto diversa per se stesso, per Kay e per il Washington Post”.

Singer ha inoltre incontrato moltissimi consulenti tecnici esperti del settore, come Steve Coll, per 20 anni al Washington Post come reporter e redattore capo, attualmente nello staff del New Yorker e docente alla Columbia School of Journalism, Len Downie, capo redattore del Washington Post con Bradlee e suo successore alla direzione nel 1991, Andrew Rosenthal, del New York Times e figlio di Abe Rosenthal,e R. B. Brenner, ex redattore del Washington Post e ora direttore della Journalism School della University of Texas di Austin. Altri contributi sono stati offerti dalle famiglie Graham e Bradlee.

Questo, spiega Spielberg, lo rende diverso dai tanti film storici da lui girati. “Nei film storici che ho realizzato le persone coinvolte non c’erano più, non c’era nessuno che potessi consultare, non potevo avere un’intervista di Tony Kushner per Lincoln”, osserva. “Invece per questo film abbiamo potuto incontrare le persone che vissero quel momento straordinario nel 1971. Abbiamo avuto la fortuna di conoscere Don Graham, suo figlio

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Will, Lally Weymouth, Daniel Ellsberg e altri protagonisti di quel periodo che ha cambiato il corso della storia. È stato bellissimo potersi sedere in una stanza e parlare con le persone che vissero quegli avvenimenti”.

Coll, che conosceva personalmente Graham e Bradlee, ricorda i due in quel momento cruciale. “Il Washington Post ha tratto grande beneficio dall’avere due leader così carismatici”, osserva. “Dal 1971, Graham è cresciuta, si era occupata del giornale per parecchi anni e stava ancora cercando di trovare la propria dimensione di leader. Il film coglie proprio il momento della sua trasformazione, quando deve decidere se andare avanti, mettendo a rischio il giornale ereditato dal padre, per difendere il principio della libertà di stampa”.

Finire in prigione era una possibilità concreta per l’editore e i giornalisti, sottolinea Coll. Forse per Graham la prospettiva peggiore era quella che il giornale di famiglia potesse chiudere. “Tra i rischi che Graham correva c’era la prigione, ma c’era anche il problema che in quel periodo il giornale stava per essere quotato in borsa”, spiega Coll.

“Quelli di noi che hanno avuto la fortuna di conoscere allora Kay, l’hanno vista crescere e mostrare una grande forza in quel momento difficile”.

Coll è stato entusiasta del cast. “Non credo che ci sia un’attrice migliore di Meryl Streep, sentire la sua voce, vederla camminare, è stato come riportare tra noi Mrs. Graham. E Tom Hanks non solo assomiglia molto a Ben, ma ha interiorizzato il modo in cui camminava, reagiva, scherzava”. Len Downie è d’accordo: “Meryl non solo appare, agisce e parla come Mrs. Graham, sembra perfino pensare come lei. E Tom ha colto quell’atteggiamento un po’ spaccone di Ben Bradlee. Tutti gli attori interpretano persone che conoscevo, è straordinario”.

E mentre la sceneggiatura andava avanti, Spielberg ha iniziato a imprimerle il suo stile così caratteristico. “Ho passato gran parte della vita a sviluppare script, parlando di personaggi e intreccio, ma non è così che lavora Steven”, spiega Pascal. “Lo fa dall’interno, vuole sapere come cammina il personaggio, dove mettono il cappotto quando entrano in una stanza e puoi vedere in tempo reale la sceneggiatura che diventa un film nella sua mente. Osservare questo metodo è stata una delle cose più emozionanti cui abbia partecipato”.

Per Spielberg è stata una gioia raccontare la storia che parla di una donna forte, lui che si circonda di donne forti nella produzione. “C’è un lato di grande assunzione di responsabilità nella storia quando vedi questa donna trovare la propria voce e impegnarsi personalmente”, dice. “Adoro essere circondato sul set ogni giorno da donne notevoli: le nostre grandi produttrici Amy Pascal e Kristie Macosko Krieger, la fantastica cosceneggiatrice Liz Hannah e tutte le nostre attrici di enorme talento. È stato davvero emozionante”.

Krieger fa notare che Graham resta una figura simbolo per molte donne ancora oggi. “In questi anni è ancora difficile per le donne emergere in un mondo dominato dalla cultura maschile”, sostiene. “Ogni giorno le cose migliorano, ma c’è ancora molto da fare. Graham è stata una pioniera e ora noi tutte possiamo far sentire la nostra voce e essere forti, quindi è giusto che in questo film lavorino insieme tante donne straordinarie. Ad un certo punto ci siamo accorte che sul set c’erano più donne che uomini ed è la prima volta che mi succede. È lo spirito di Kay Graham al lavoro”.

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Una collaborazione improbabile: Katharine Graham e Ben Bradlee

Ma The Post non racconta solo la tensione che permea la battaglia per pubblicare i Pentagon Papers, è anche il ritratto di una collaborazione vincente, di come la forza espressa da una squadra di persone che lavorano insieme sia di gran lunga superiore a quella di talenti individuali. Al centro della storia ci sono due persone profondamente diverse, ma che si sono sempre rispettate, Katharine Graham e Ben Bradlee. La loro famosa alleanza ha offerto ai realizzatori l’occasione di unire Streep e Hanks e i risultati sono stati elettrizzanti. “Il primo giorno che Tom e poi Meryl sono entrati nella sala della redazione siamo rimasti a bocca aperta, perché erano diventati Kay e Ben”, ricorda Amy Pascal. “Sono entrambi quei tipi di attori che si trasformano completamente nel loro personaggio ed è stato stupefacente”.

Graham sarebbe diventata una delle donne più influenti d’America, una pioniera che avrebbe infranto il soffitto di cristallo per diventare capo dell’impero mediatico della Washington Post Company e la gran dama del giornalismo che non aveva paura del potere. Ma al tempo dei Pentagon Papers, stava ancora cercando di ambientarsi e di imparare, era l’unica donna a occupare un posto di quel livello.

Il Washington Post apparteneva alla famiglia Graham dal 1933, quando il padre, il finanziere Eugene Meyer lo acquisì. Nel 1946 ne divenne editore il marito di Kay, Phil, che avrebbe posto l’accento sul giornalismo investigativo, trasformando un giornale locale in un quotidiano a tiratura nazionale. Nel 1963, Phil Graham, in preda a una profonda depressione, si suicidò, lasciando il giornale a Kay, che allora aveva 46 anni ed era madre di quattro figli. Anche se gli amici e gli esperti le consigliarono di affidarlo a qualcuno con maggiore esperienza e competenza, Graham volle restare al timone, dicendo che lo faceva per i suoi figli, era l’eredità della famiglia.

“Era molto emozionata quando il padre affidò il giornale Phil - pensò che avesse preso una decisione perfetta, perché Phil era brillante. Ne parla nella sua autobiografia, amava e rispettava il marito e per questo pensò che seguire la strada che lui aveva tracciato fosse la cosa giusta da fare”, spiega Spielberg.

Il figlio di Graham, Don Graham - che ha servito il suo paese in Vietnam e ora è Presidente della Graham Holdings Company - dice: “Mia madre pensava al padre, pensava al marito e così decise di continuare a editare il giornale per il quale loro avevano fatto tanto”.

Graham stessa più tardi avrebbe scritto: “Talvolta non decidi veramente, vai solo avanti, ed è ciò che ho fatto - iniziando alla cieca e senza pensare una vita nuova e sconosciuta”.

Questa ‘vita nuova e sconosciuta’ avrebbe infranto tutta una serie di barriere. Era ancora l’epoca in cui le giornaliste donne non potevano entrare negli esclusivi club di Washington, ma nessuno potè negare a Graham l’accesso come editrice del Post. E comunque dovette lavorare molto su se stessa, era cresciuta in un ambiente in cui era tradizione che le donne fossero condiscendenti e in seguito confessò di aver avuto difficoltà a sentirsi sicura e ad aver fiducia in sé. Scrisse di aver sofferto di “un eccessivo desiderio di compiacere, una sindrome così radicata nelle donne della mia generazione che ha condizionato il mio modo di comportarmi per parecchi anni”.

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Era ancora alla ricerca della sicurezza interiore quando si trovò ad affrontare il dilemma dei Pentagon Papers. “L’elemento predominante di mia madre era la sua insicurezza, un elemento che Meryl Streep coglie molto bene. Molti amministratori delegati e editori di giornali sono pieni di sé, e potrei citare nomi e incarichi, invece Kay Graham non era mai sicura di sé”, osserva Don Graham.

La figlia di Graham, Lally Graham Weymouth, ora editrice associata senior del Washington Post, aggiunge: “Penso che sia stato molto duro per lei, perché era sempre stata solo una madre. Voglio dire che ci portava a fare spese o a passeggiare nel parco e a volte partecipava a eventi di beneficenza, ma non era una giornalista. Non aveva mai esercitato una professione prima che mio padre morisse… Credo che sia stato difficile, perché non aveva alcuna esperienza, come ammetteva sinceramente”.

In ogni caso Graham, pur nel corso della sua personale evoluzione, ha sempre dimostrato coraggio e fermezza – dichiarando di sostenere “senza se e senza ma” il suo staff e le organizzazioni per la libertà di espressione. In seguito, Graham sarebbe diventata ancora più famosa per aver spinto il suo giornale a scoprire la verità sulle azioni illegali compiute dalla Casa Bianca durante lo scandalo Watergate. Ma la decisione di pubblicare i Pentagon Papers segnò un momento di svolta che impostò una rotta e cementò la reputazione del Post di autorevole istituzione giornalistica che ora ha adottato lo slogan “Democracy Dies in Darkness”.

Mentre il percorso del giornale è storia, è il percorso interiore di Graham che Streep interpreta in The Post. L’attrice ha iniziato le sue ricerche leggendo l’autobiografia con cui Graham ha vinto il premio Pulitzer. “È così ben scritta, sono convinta che sia l’autobiografia più coinvolgente che abbia mai letto”, dice. “Mi ha fatto capire una cosa di cui mi avevano parlato anche i figli e gli amici: non è sempre stata la Katharine Graham sicura che la gente ha conosciuto come la prima donna a guidare una compagnia nella lista di Fortune 500. In passato era molto insicura, apparteneva a una generazione di donne dalle quali ci si aspettava solo che fossero capaci di allevare figli e occuparsi della casa. È davvero difficile immaginare quanto fosse diversa quell’epoca se non la si è vissuta. Io l’ho fatto. La mia generazione si è trovata in un momento di crescenti opportunità per le donne e sicuramente io ne ho sfruttate molte. Invece lei era all’avanguardia per i suoi tempi e quindi non era completamente a suo agio nell’assumere un ruolo di leadership”.

“Ha preso una posizione anche se le costava molto farlo, non solo i suoi avversari dubitavano di lei, ma anche gli amici”, continua. “Credo che ci si senta molto soli a difendere la propria idea in quelle circostanze. Tutti in questa storia si sono sentiti soli, ognuno di loro correva grossi rischi e penso che sia proprio questo il cuore del film, come la gente comune riesce a cambiare il corso della storia. Le grandi cose possono venire da una semplice persona”.

Assomigliare alla Graham - che il fisico imponente faceva apparire più decisa e sicura di quanto in realtà si sentisse - è stata la chiave per entrare nell’interiorità del personaggio. “Per me non è stato importante cercare di assomigliarle in tutto e per tutto, volevo solo cogliere qualcosa della sua grazia personale e dell’insicurezza che si celava dietro le sue decisioni”, dice Streep.

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Per gli altri la trasformazione è stata inquietante. “Meryl si è impegnata moltissimo e ha parlato con tutti quelli che avevano conosciuto Kay in quel periodo della sua vita”, osserva Kristie Macosko Krieger. “Ha lavorato molto con Steven e si è consultata con Josh e Liz, fino a che ha fatto emergere Kay Graham. Il giorno in cui abbiamo provato l’acconciatura e il trucco lei è arrivata con il suo tailleur classico, da donna di potere, ed era Kay Graham. Fantastico. Non era un’imitazione, era riuscita a cogliere lo spirito della Graham”.

Per Streep è stato molto intrigante anche il legame profondo tra Graham e Bradlee, che per lei è stato sempre un sostegno nei momenti in cui tutto sembrava andare in pezzi. “Mi piace che la loro amicizia sia platonica - si vede raramente in un film l’amicizia sul lavoro tra un uomo e una donna”, fa notare. “Penso che Katharine adorasse Ben, niente di romantico, penso che lei lo sentisse veramente una parte di sé”.

Questa vicinanza basata su obiettivi condivisi è stato qualcosa di molto importante da analizzare con Hanks. E Streep ha trovato Hanks davvero sorprendente. “Tutti sanno che Tom è considerato la persona più gentile di Hollywood e lo è davvero”, dice, “ma è anche estremamente intelligente, di un’intelligenza di prim’ordine. Credo che sia proprio questo l’aspetto che condivide con Ben: quello spirito scoppiettante e il fatto che è sempre qualche passo avanti agli altri. Vedi in Tom quella parte della personalità di Ben che vuole di più, di più, sempre di più da tutti”.

The Post ha segnato anche la prima vera collaborazione di Streep con Spielberg. “Steven lavora molto e pensa molto, ma per lui è come giocare, perché ha la capacità di assorbire e la libertà di un bambino”, dice l’attrice. “La sua cinematografia è estemporanea, e mi ha scioccato. Non sapevo cosa mi dovessi aspettare, ma siamo arrivati e non ci sono state prove. Sono rimasta sorpresa. Arrivi e inizi a girare e lui comincia a mettere insieme, è tutto molto spontaneo e davvero emozionante. La gente era attentissima, credetemi”.

“La profondità con cui Meryl ha interpretato Katharine Graham … non so come abbia fatto e io sono il regista”, dice Spielberg di Streep.

Anche l’attrice Carrie Coon è stata colpita dall’impegno e dalla dedizione di Streep e dice: “Sul set Meryl è sempre al lavoro. Mentre stai conversando lei ascolta dall’auricolare la dizione di Kay prima di una scena. Mio marito, Tracy Letts [appare anche lui nel film], ha detto una volta che l’errore che facciamo con persone come Meryl è credere che sia quasi magica, mentre invece è instancabile nel suo lavoro. È di grande ispirazione vedere Meryl sul set. Vedi che sente una tremenda responsabilità nei confronti del personaggio e anche lei ha una sorta di paura di non essere all’altezza delle proprie aspettative”.

“Penso che se mia madre potesse vedere come Meryl Steep l’interpreta ne sarebbe molto orgogliosa”, afferma Don Graham.

Mentre Graham era alla ricerca di sé nel 1971, Bradlee aveva un’ottima reputazione, era considerato un giornalista pragmatico, tenace e assolutamente indipendente. Graham stessa lo aveva assunto nel 1965 come capo redattore, ma lui aveva fatto rapidamente carriera, grazie alla sua capacità di saper scegliere i giornalisti migliori e di aiutarli a esprimere tutto il loro potenziale.

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Lally Graham Weymouth dice di Bradlee: “Era impetuoso, affascinante e aveva molta, molta fiducia in sé. Era sempre sicuro di avere ragione, ma i giornalisti lo amavano e questo credo che sia un ingrediente importante per qualsiasi direttore. Attirava i grandi talenti proprio per questo, la prima cosa che ricordo di lui è l’adulazione e l’adorazione dei giornalisti”.

Spielberg, che in passato è stato vicino di casa di Bradlee e ha avuto con lui parecchie conversazioni sul cinema e i fatti del mondo (ma mai sui Pentagon Papers), dice: “Ben era il comandante supremo della redazione del Post. Era il capitano della nave, così come era stato capitano di una nave durante la Seconda Guerra mondiale. E dirigeva il giornale come se si trattasse di un’operazione militare di pace. Era un duro, ma aveva un certa tenerezza nel cuore. Amava la gente e per quanto fosse impaziente trattava tutti come fossero una famiglia. Ha trasformato il Post in una delle famiglie più grandi della storia”.

Nel corso del tempo l’improbabile rapporto tra Bradlee e Graham - l’infaticabile rudezza di lui e il fascino riluttante di lei - sarebbe diventato una leggenda del giornalismo come i Pentagon Papers e il Watergate. Avevano lo stesso obiettivo, dice Don Graham: “Volevano tutti e due far diventare il Post un grande giornale”.

Per Tom Hanks, che è anche uno scrittore, esplorare la complessità del mondo di Bradlee è stata una sfida molto gratificante e si è impegnato a fondo in tutta una serie di ricerche. “Ci sono molte informazioni su Ben Bradlee, c’è la sua autobiografia”, afferma Hanks. “Ci sono anche tantissime interviste, ma per me è stato più importante parlare con le persone che hanno lavorato con lui, compresa sua moglie, Sally Quinn, che mi ha raccontato chi era e perché lo amava. Ho trovato così tanto materiale su Ben che mi sono sentito frustrato dal fatto di non averlo potuto utilizzare tutto nel film”.

Quinn, una giornalista che è diventata la terza moglie di Bradlee nel 1978, racconta così il loro incontro: “Sono andata a colazione con Tom e abbiamo parlato di Ben. Io gli ho detto che condivideva una caratteristica di Ben, che non si può inventare o sostenere di possedere: la genuinità. Tu sei assolutamente te stesso e Ben era esattamente se stesso. Senza questa qualità non credo che avrebbe potuto interpretarlo”.

Eppure il ruolo era pieno di insidie, soprattutto perché era già stato interpretato da Jason Robards nel leggendario Tutti gli uomini del Presidente. Hanks ha amato molto la performance di Robards in quel film, ma nello stesso tempo dice di aver scelto un approccio diverso. “Non ero intimidito dal fatto che lo avesse già interpretato Jason”, dice Hanks. “Ho voluto provare altre strade, cercavo qualcosa che non era stato messo in rilievo e alla fine è venuta fuori questa idea, di cui molti mi avevano parlato, che Ben sapeva come guidare una redazione”.

“Ovviamente Ben aveva un grande istinto di giornalista e sapeva anche motivare le persone, non persuadeva solo lo staff, ma lo spingeva ad andare sempre più avanti”, continua Hanks. “Amava il suo lavoro, ma amava ancora di più i risultati del suo lavoro: trovare la verità, poi lasciare che la gente decidesse. Era estremamente competitivo e ho visto quanto fosse frustrato dal fatto che il New York Times fosse riuscito ad avere prima di lui la storia dei Pentagon Papers. Non voleva essere il direttore di un quotidiano di provincia”.

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Quando Quinn è arrivata sul set, si è emozionata vedendo Hanks interpretare Bradlee. “Ho visto Tom con la parrucca di Ben e ho capito che aveva fatto bene i compiti a casa. Aveva tutti i ‘movimenti di Ben’ e quell’atteggiamento un po’ arrogante, con il mento sporgente. L’ho guardato e sono crollata”, ricorda. “Sono scoppiata a piangere, non pensavo che sarebbe potuto succedere, ma poi Steven mi ha visto e mi è corso incontro per abbracciarmi, poi è venuta Meryl e poi è venuto Tom. Io ho appoggiato il viso sul suo petto e mi sembrava di avere vicino Ben. Gli ho detto ‘Mi sembra che sia tornato in vita’”.

Come Streep, anche Hanks era interessato a mettere in luce il rapporto di grande rispetto tra Bradlee e Graham. “Durante quegli avvenimenti, Ben provava grande affetto per lei e sapeva cosa stava rischiando”, osserva Hanks. “Lei doveva rimanere composta e controllata, tutto ricadeva sulle sue spalle, era lei il capo e lei ha dovuto fare quella telefonata che l’ha resa una leggenda. Quando, malgrado tutti i dubbi e i pericoli che stava affrontando, Kay ha detto ‘pubblichiamo’, credo che Ben si sia sentito sollevato. Sentì un’ondata di grande ammirazione per lei”.

Lavorare con Streep alla interpretazione di due personaggi così importanti è stato molto intenso. “Ci sono momenti tra Ben e Kay che considero i più faticosi mai avuti su un set”, dice Hanks. “E la cosa straordinaria di Meryl è che è sempre pronta a reagire a qualsiasi cosa io le offra, anche se non è prevista. Non cerca di guidarti verso un momento specifico, cerca di trovarlo insieme a te. È fantastico poter lavorare con qualcuno come lei”.

Il rapporto di lavoro tra Spielberg e Hanks è stato cementato dalle loro numerose collaborazioni, Il ponte delle spie, Salvate il soldato Ryan, Prova a prendermi e The Terminal, ma l’attore sostiene che il regista non smette mai di sorprenderlo. “Steven è un grande regolatore del tempo”, dice. “Ignora quei momenti che tu credi importanti e arriva in quelli che non credi necessari. Ad esempio, a volte è venuto da me e mi ha chiesto più voce, altre volte invece mi ha detto ‘non essere così sicuro di te’. Fa più lui con la storia di tutti noi attori messi insieme, Steven è al top nel suo lavoro”.

A sua volta Spielberg dice: “È il quinto film con Tom, abbiamo creato una sorta di partnership attore-regista, ma continua a sorprendermi ogni volta che lavoriamo insieme. Non credo che avesse questo personaggio in lui, ma lo ha fatto ed è stato grande vederlo creare la sua versione di Ben Bradlee”.

Il cast di supporto

La direttrice del casting Ellen Lewis dice: “Steven sapeva fin da subito che voleva Matthew Rhys per il ruolo di Daniel Ellsberg, Bruce Greenwood per quello di Robert McNamara e Sarah Paulson per interpretare Mrs. Bradlee, ed è stato un grande inizio”. Alla fine Spielberg e Lewis hanno messo insieme un cast di 20 attori fra i migliori di oggi, molti dei quali sono stati parte della rinascita della televisione nei primi anni del XXI secolo.

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Ricordiamo tra loro Alison Brie (GLOW), Carrie Coon (The Leftovers), David Cross (Mr. Show), Bruce Greenwood (American Crime Story: The People v. O. J. Simpson), Tracy Letts (Indignation), Bob Odenkirk (Better Call Saul), Sarah Paulson (American Crime Story: The People v. O. J. Simpson), Jesse Plemons (Bridge of Spies), Matthew Rhys (The Americans), Michael Stuhlbarg (Call Me By Your Name), Bradley Whitford (Get Out) e Zach Woods (Silicon Valley). Invece vengono da Broadway il vincitore del Tony Jessie Mueller, con Stark Sands, Rick Holmes, Pat Healy, Philip Casnoff, John Rue, Jennifer Dundas e Will Denton.

Alison Brie interpreta la figlia maggiore di Katharine Graham, Lally, che aveva 23 anni nel periodo in cui è ambientato il film. Brie ha amato interpretare una giovane donna che non ha paura di esprimere dubbi o discutere con la madre, ma che nel contempo è decisa a sostenerla, perchè sa che riuscirà a cambiare la situazione della sua generazione. “Lally, come sua madre, è molto intelligente, ha le sue opinioni e certamente non le tiene per sé. Ha un rapporto molto franco e diretto con Kay, è stato divertente interpretarla, perché la sfida”, spiega Brie. “È il tipo di persona che ti dice come stanno le cose e a volte è proprio quello di cui ha bisogno la madre”.

Spielberg è stato felice di aver potuto avere Brie per il ruolo. “L’avevo seguita in Mad Men e poi l’ho vista in Mud e penso che sia un’attrice straordinaria, è stato grande averla con noi per interpretare Lally”, dice il regista.

Non importa l’affetto che le lega, madre e figlia devono mettere in conto il gap generazionale che le divide. Poche generazioni sono state così divise come quella dei genitori cresciuti all’epoca della grande depressione e quella dei figli cresciuti fra gli anni ’60 e ’70. “Quando Lally e la madre si scontrano siamo nel bel mezzo del movimento delle donne”, dice Brie. “Kay è cresciuta in una famiglia molto tradizionale, ma Lally rappresenta la giovane generazione che sente di dover lottare e gridare più forte per i diritti delle donne”.

Brie ha iniziato a lavorare fin dal primo giorno sul set con Streep, ma dice che l’attrice l’ha subito fatta sentire a suo agio immergendosi così completamente nella scena da lasciarla impressionata. “Senti davvero che Meryl sta vivendo questa persona, quando l’ho guardata negli occhi ho visto che Kay è sempre combattuta tra l’essere fiduciosa e l’essere terrorizzata. È stato emozionante da osservare”.

Del rapporto tra Lally e Kay, Streep dice: “Non ti senti mai così stupida come quando stai con i tuoi figli - perché loro ti correggono in ogni momento! Ho amato il loro rapporto madre-figlia, perché è molto reale e Alison regala tanto sentimento al suo ruolo”.

Carrie Coon è entrata nel cast nel ruolo della scomparsa giornalista del Post Meg Greenfield, famosa per la sua brillante intelligenza, che nel 1978 ha vinto il premio Pulitzer. Era un’altra donna che ha dovuto farsi strada in un periodo in cui il mondo del giornalismo era dominato dagli uomini e aveva legato subito con Graham. Nel 1971 Greenfield scrisse un editoriale, intitolato “The Conflict of Two Great Estates: Some Reflections on the Pentagon Papers”, che analizzava gli argomenti che la Corte Suprema aveva usato a favore della pubblicazione.

Coon è stata attratta soprattutto dall’importanza che lo script attribuisce all’evoluzione di Graham. “Quello che la rende così importante per me è la pressione tremenda cui è sottoposta. Sono stata intrigata da come si è forgiata la leadership di Kay

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in un momento cruciale per la nostra democrazia”. Del rapporto tra Greenfield e Graham dice: “Penso siano diventate amiche perché in quel tipo di situazione hai bisogno di alleati, erano due donne in posizioni di potere tradizionalmente occupate da uomini”.

Non è stato facile trovare materiale su Greenfield, che aveva un carattere schivo e non amava i riflettori. “Non si è mai data da fare per farsi conoscere”, dice Coon. “Io ho letto un piccolo libro scritto da lei, intitolato Washington, che d’altronde non ha mai finito, ma che ha una bella prefazione scritta da Katharine Graham. Ho anche recuperato un’intervista che Meg concesse a Charlie Rose poco prima della fine della sua carriera, dopo aver vinto il Pulitzer”. Ma Coon si è anche avvalsa dei racconti fatti dai giornalisti consulenti del film e del nipote di Graham, Will. “Will mi ha raccontato belle storie di come Meg l’abbia sostenuto nel corso di tutta la sua vita. Avere contatti personali come questo ti arricchisce molto quando devi interpretare una persona reale”.

David Cross, il comico improvvisatore diventato attore e visto recentemente in Unbreakable Kimmy Schmidt (e che in precedenza aveva lavorato con Bob Odenkirk in Mr. Show), interpreta un altro giornlista di punta della squadra del Washington Post, Howard Simons. Giornalista fin dagli anni ’50, Simon sarebbe diventato in seguito curatore della Nieman Foundation for Journalism della Harvard University. Simons è un personaggio chiave anche in Tutti gli uomini del Presidente, interpretato da Martin Balsam.

Cross è stato affascinato dal punto di vista interno di avvenimenti che di solito vengono visti dall’esterno. “Conoscevo i Pentagon Papers, ma non sapevo cosa fosse successo al Washington Post”, dice Cross. “Non sapevo che Kay Graham avesse assunto un ruolo di leadership in quel momento”.

Per Cross è stato emozionante anche vedere Hanks stringere rapporti con gli attori che interpretavano lo staff del Post – radunando le truppe proprio come avrebbe fatto Bradlee. “L’autenticità di Tom è stata una delle chiavi di volta di questo set divertente, rilassato e perfetto. Fin dall’inizio ha invitato tutti coloro che interpretavano i membri della redazione a casa sua a New York per un grande pranzo - e questo ci ha aiutato a costruire meglio i rapporti sullo schermo. È una persona che ricorda il nome di tutti e chiede sempre ‘come va?’ E non è una finzione”.

Un’altra figura storica che ha un ruolo in The Post è l’uomo più controverso del XX secolo, il generale Robert S. McNamara, Segretario alla Difesa con Kennedy e con Johnson, spesso considerato l’artefice del coinvolgimento americano nella guerra in Vietnam. McNamara è stato direttamente responsabile della decisione di ampliare la guerra, e le conseguenze di questa decisione lo avrebbero perseguitato fino al momento della sua morte, nel 2009. Alla fine avrebbe porto le sue scuse agli Americani dicendo “Abbiamo sbagliato, abbiamo terribilmente sbagliato”. È stato proprio McNamara a commissionare quello studio sulla guerra in Vietnam che è stato poi chiamato Pentagon Papers. McNamara considerava Graham una cara amica, il che rese ancora più complicato prendere una decisione.

Lo interpreta Bruce Greenwood, conosciuto per il ruolo del presidente americano in film come Thirteen Days, National Treasure: Book of Secretse Kingsman: The Golden Circle - quello del Capitano Pike nel reboot dei film di Star Trek e Gil Garcetti in The People Vs. O.J. Simpson. Greenwood sostiene che secondo lui McNamara aveva un

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difetto fatale: “Era una forza della natura e non poteva non prendere una decisione. Preferiva prendere una cattiva decisione che aspettare e non decidere ed è rimasto bloccato in questo atteggiamento mentale per tutta la vita”.

Greenwood ha trovato affascinante il complesso rapporto tra McNamara e Graham. “Nutrivano un profondo rispetto l’uno per l’altro. Bob le è stato accanto quando lei ha perso il marito e le è stato amico nel periodo più difficile della sua vita”, afferma. “Ma Kay aveva un figlio [Don] che era andato in Vietnam e quando scoprì che McNamara sapeva che la guerra non sarebbe stata vinta, non lo accettò. Suo figlio tornò dalla guerra, ma decine di migliaia di altri giovani persero la vita, tutto questo mentre McNamara sapeva che gli Stati Uniti non avrebbero potuto vincere. Le dovette sembrare un tradimento”.

Certamente non mancano studi su McNamara, e Greenwood si è basato soprattutto sul libro di Deborah Shapley Promise and Power: The Life and Times of Robert McNamara e su materiale di repertorio. “Anche dopo la fine della produzione ho continuato a studiare McNamara, perché volevo capirlo”, confessa Greenwood, “è un personaggio estremamente complesso”.

Il marito di Carrie Coon, l’attore, commediografo e premio Pulitzer Tracy Letts (Homeland) interpreta un altro personaggio importante del Post: Frederick “Fritz” Beebe, presidente del consiglio di amministrazione della Washington Post Company nel 1971. Ex avvocato di Wall Street, lavorava al Post dal 1933, ed è ancora considerato uno dei padri del giornalismo (Beebe è morto a 59 anni nel 1973). Graham si fidava ciecamente di lui,e lui, anche se all’inizio era piuttosto scettico all’idea di pubblicare i Pentagon Papers, lasciò la scelta all’editrice. “Fritz era una presenza molto importante nella vita di Kay, una presenza affettuosa e un consigliere legale, che però riconosceva apertamente che fosse lei a guidare la compagnia”, dice Letts.

Letts ha apprezzato molto la possibilità di osservare Spielberg al lavoro “Adoro che venga dalla vecchia scuola in cui il regista ha già il montaggio in testa, lui sapeva esattamente come avrebbe messo insieme le scene, non abbiamo dovuto fare molte prove. E il fatto che sia un uomo divertente e gentile ispira e definisce il comportamento sul set, permettendo a tutti noi di dare il meglio”.

Bob Odenkirk, famoso per il ruolo dell’avvocato Saul Goodman in Breaking Bad e per Better Call Saul, interpreta qui un ruolo drammatico, quello dello scomparso Ben Bagdikian, un giornalista entrato nel Washington Post nel 1970 che, grazie ai rapporti che aveva avuto in passato con Daniel Ellsberg e la Rand Corporation, riuscì a ottenere una copia dei Pentagon Papers. In seguito Bagdikian sarebbe diventato decano della University of California Berkeley School of Journalism.

“Ellsberg decise di fidarsi di Bagdikian e gli affidò il rapporto perché provasse a pubblicarlo e lo portasse a un membro del Congresso che lo avrebbe letto in una seduta, cosa che è poi successa puntualmente”, spiega Odenkirk. Anche se Bagdikian era consapevole delle conseguenze legali, Odenkirk pensa che molti si sarebbero comportati come lui. “Sono convinto che la maggior parte degli americani, al di là delle loro convinzioni politiche, avrebbe detto ‘Voglio tutta la verità, voglio avere accesso ai documenti che testimoniano cosa sta facendo il governo del mio paese’. Ed è questo che ha cercato di fare Ben”.

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Quando gli è stato affidato il ruolo, Odenkirk ha iniziato a compiere una serie di ricerche, ha letto l’autobiografia di Bagdikian e ha consultato il materiale d’archivio disponibile. Ha approfondito il rapporto tra il giornalista e Bradlee, che era esattamente il suo opposto. “Bagdikian ha scritto che fin dall’inizio della sua carriera di reporter aveva imparato a passare inosservato. Il suo lavoro gli imponeva di essere un buon ascoltatore e di non imporre troppo la sua personalità, mentre Bradlee aveva una personalità ingombrante e non lo nascondeva affatto”.

Lavorando con Hanks ha rafforzato questo concetto. “Tom è fantastico, è l’epitome di un attore, la sua energia pervade tutto il set, quindi recitare con lui è quello che ogni attore vorrebbe”, commenta Odenkirk.

Sarah Paulson, che ha vinto un Golden Globe e un Emmy per il ruolo di Marcia Clark in American Crime Story, interpreta la moglie di Ben Bradlee, Antoinette “Tony” Bradlee. Amata per il suo charme, faceva parte dell’elite di Washington D.C. negli anni ’50 e ’60 (si dice che avesse suscitato l’ammirazione di John F. Kennedy), e fu molto amata da Ben, anche se il loro matrimonio non sarebbe durato. Infatti divorziarono nel 1973, e lei si dedicò all’arte.

In The Post, è Tony che fa capire a Ben quanto sia difficile la posizione di Graham. “Tony cerca di sostenere Ben in un momento cruciale”, dice Paulson. “Ed è sempre lei a dire a Ben di riflettere su quanto potrebbe costare a Kay. Per Ben, un giornalista tutto di un pezzo, era facile dire che era moralmente giusto farlo, ma Tony gli spiega che la posta in gioco per Kay è diversa, soprattutto perché è una donna”.

Anche se Tony Bradlee è vissuta in un periodo e in un mondo in cui ci si aspettava che una moglie fosse solo un’appendice del marito, Paulson ha lavorato per crearle una sua individualità. “Le ricerche che ho fatto mi hanno mostrato che era una donna formidabile, con un atteggiamento naturalmente noncurante”, dice. “Era una ceramista e non era molto interessata alla scena politica, ma non era neppure una schiava relegata in cucina, aveva una sua vita”.

Anche lei ha apprezzato molto la possibilità di lavorare con Hanks. “Credo che la cosa più bella di Tom che interpreta Bradlee è che dietro un aspetto duro c’è il grande cuore di Tom che batte e permea tutte le sue scelte di attore. È estremamente intelligente, ma si fa guidare dal cuore, anche se interpreta un uomo rigido e deciso lo fa con la sua sensibilità. Lo senti quando giri una scena con lui”.

Paulson è sempre stata attratta da Graham, fin da quando ha letto la sua autobiografia anni fa. “Mi è stato di grande ispirazione quando ero giovane”, dice, “immaginare che una donna potesse ricoprire un ruolo di grande potere. È stata la prima donna editrice di un quotidiano che ha pesato sulla storia del nostro paese, che ha dovuto fare i conti con la storia della sua famiglia, che è rimasta vedova e ha cresciuto i figli con i riflettori puntati su di lei”. Osservare Streep interpretare Graham è stata una rivelazione. “Meryl è in un certo senso un contenitore, è permeabile, chiunque decida di diventare diventa reale”, osserva Paulson.

Una delle sfide più grandi del casting è stata trovare l’attore giusto per interpretare Daniel Ellsberg, che rimane una figura controversa, alcuni lo considerano un traditore, altri un eroe della trasparenza. Il vero Ellsberg aveva parecchie sfaccettature. Si era laureato a Harvard, è stato membro dell’U.S. Marine Corps, ha conseguito un Ph.D. in

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economia e ha lavorato per due anni come funzionario del Pentagono in Vietnam prima di passare alla Rand Corporation, dove ha contribuito allo studio che è diventato famoso come Pentagon Papers – prima di far conoscere alla stampa quello stesso studio.

Il ruolo è andato a Matthew Rhys, famoso per aver interpretato l’agente segreto sovietico “dormiente” nella serie televisiva di grande successo The Americans. Rhys pensa che Ellsberg e Graham abbiano avuto percorsi simili, tutti e due spinti a rischiare i rigori della legge pur essendo cittadini onesti. “Si sono trovati entrambi in una situazione che li ha costretti a prendere una decisione pesantissima, che avrebbe avuto conseguenze gravi per moltissima gente e anche per loro stessi. In quel momento sono diventati dei pionieri”, osserva l’attore.

Rhys pensa che Ellsberg non sarebbe riuscito a vivere in pace nascondendo la verità sulla guerra. “La quantità di menzogne raccontate al Congresso e soprattutto al popolo americano lo sconvolgeva. C’è un momento nel film in cui gli viene chiesto del Vietnam e lui risponde ‘è tutto sempre uguale’. In altre parole, è una guerra che non si può vincere e questo non è mai cambiato’. Ha avuto il coraggio di dirlo e di dire che quello che hanno fatto parecchi presidenti in Vietnam è stato sbagliato per il paese”.

Un aspetto molto piacevole è stato il viaggio fatto in California per incontrare Ellsberg. Rhys non aveva alcuna intenzione di cercare di imitare l’uomo, ma ne voleva cogliere la sostanza. “Incontrare Ellsberg è stato incredibile, perché ho scoperto che è una forza della natura, non mi aspettavo che fosse un’enciclopedia vivente di informazioni e notizie su ogni amministrazione da allora fino ad oggi. È di una intelligenza straordinaria e dentro di lui brucia ancora un fuoco inestinguibile”, osserva.

Aveva anche una domanda da porre a Ellsberg: “Gli ho chiesto se nel periodo in cui l’FBI lo controllava aveva paura e lui mi ha risposto: ‘No, non avevo paura, perché ero convinto della giustezza di quello che stavo facendo’. E questa è stata la chiave di lettura, non era una persona travolta dal panico e dall’angoscia che si nascondeva in un albergo. Era sicuro di quello che stava facendo e pronto a sacrificarsi per poter far emergere la verità”.

Per interpretare il redattore capo del New York Times, Abe Rosenthal - che ha vinto il Pulitzer e ha lavorato per 56 anni per il giornale - è stato scelto Michael Stuhlbarg, visto quest’anno nel film di Guillermo Del Toro The Shape of Water (e che ha lavorato con Spielberg in Lincoln). Stuhlbarg nota che Rosenthal ha corso più rischi di tutti. “Da quello che ho letto su di lui, non ha mai avuto incertezze sulla necessità di pubblicare il rapporto, piuttosto ha dovuto scontrarsi con quelli che erano preoccupati che potesse danneggiare la reputazione del quotidiano, tra le altre cose”, spiega.

Rosenthal non ha mai considerato il Washington Post un avversario con cui competere. “Credo che Abe pensasse al Post come a un piccolo giornale di famiglia”, continua Stuhlbarg. “Lui e Kay Graham si incontravano talvolta a pranzo, perché appartenevano allo stesso ambiente, ma non credo che Abe si sentisse minacciato da lei”.

Stuhlbarg è stato felice di poter interpretare una leggenda del giornalismo. “A quanto ho capito, Rosenthal era schietto ed esplicito e un giornalista di grande livello, noi vediamo poco di lui, ma è stato divertente esprimere quell’energia per cui era famoso. Il giornalismo era nel suo DNA e si assumeva le sue responsabilità”.

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Il figlio di Rosenthal, il giornalista Andy Rosenthal, ha visitato il set di The Post e ha spiegato il ruolo avuto dal padre: “La decisione di pubblicare i Pentagon Papers era molto problematica, perché il Times sapeva che avrebbe avuto un impatto enorme. Comunque erano sicuri che non avrebbe messo in pericolo la sicurezza nazionale perché c’erano solo informazioni storiche, non si accennava a strategia o tattica o movimenti di truppe. L’editore del Times, Arthur Sulzberger, era stato un marine e l’idea di pubblicare tutti quei documenti segreti era sconvolgente per lui. Ma tutta la redazione, guidata da mio padre, riuscì a persuaderlo. Alla fine decise di pubblicare il materiale, malgrado i suoi avvocati lo sconsigliassero. E l’impatto è stato immediato … Per la nostra comprensione di cosa era successo in Vietnam era incredibilmente importante, ma ancora più importante a livello giornalistico, perché stabilì delle regole precise, anche se c’è ancora molta tensione sull’argomento”.

Ricorda anche l’atmosfera di paura diffusa allora e che avvolgeva anche le famiglie: “Avevo 15 anni e non capivo bene cosa stesse succedendo, però ricordo che mio padre tornava a casa e ne parlava, e tutti noi temevamo che finisse in prigione”.

Il look e l’atmosfera del set collimano con i ricordi di Rosenthal di quegli anni e soprattutto le persone coinvolte “Tom Hanks e Meryl Streep hanno fatto un lavoro magnifico”, dice, “mi hanno lasciato senza parole”.

Bradley Whitford, che ha vinto due Emmy per The West Winge Transparent, interpreta uno dei pochi personaggi non basati su una persona reale: Arthur Parsons, un mix di alcuni degli uomini che prepararono il Washington Post a quotarsi in borsa. Nel film è Parsons che si dichiara contrario alla pubblicazione dei Pentagon Papers per proteggere l’azienda. Secondo lui la pubblicazione avrebbe significato giocare alla roulette russa con il futuro di tutti quelli che lavoravano per il giornale.

“Parsons crede che Graham metta a rischio non solo le persone che lavorano al Post, ma anche la quotazione in borsa”, spiega Whitford. Quindi assume una posizione molto dura, vuole che Graham e Bradlee abbiano ben chiare le conseguenze, anche se non è facile per loro starlo a sentire”.

Pensando alla mentalità di quegli anni, Parsons è un uomo che non si sente completamente a suo agio con donne di potere. “Era insolito nel 1971 per qualcuno come Arthur Parsons doversi confrontare con una donna che doveva dire l’ultima parola – ed è stato un atteggiamento molto interessante da interpretare”, afferma Whitford.

Parsons può essere considerato l’antagonista nel film, ma è anche la sua veemenza che spinge Graham a mantenere la sua posizione. “C’è una certa riluttanza, visto l’ambiente da cui proviene Kay, a prendere questa decisione, ma è parte di ciò che rende bello il suo ruolo di eroina del film”, dice Whitford. “E’ un’eroina riluttante che poi, sotto pressione, fa la scelta più coraggiosa che una persona possa fare”.

Il mondo di The Post

Il dinamismo di The Post emerge non solo dalla tensione crescente dei personaggi, ma anche dal ritmo del film e dall’attenzione posta ai dettagli visivi del mondo degli affaristi e dei giornalisti negli anni ’70. Spielberg ha lavorato con un ottimo

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team, molti dei quali collaborano con lui da decenni, come il direttore della fotografia Janusz Kaminski, regista egli stesso (e due volte premio Oscar®, con Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan).

“Janusz dipinge con le luci e il modo in cui lui e Steven lavorano insieme è magnifico”, dice Pascal. “Una delle sue idee era mostrare che Kay era l’unica donna in una stanza affollata di maschi e questo appare visivamente in ogni scena”.

I due si sono anche concentrati sul riflesso delle superfici. “Il film ci riporta indietro nel tempo”, dice Krieger, “così Janusz e Steven hanno lavorato insieme per accentuare i riflessi, ad esempio sul soffitto della redazione o in una cabina telefonica, che sono entrate a far parte del racconto”.

Kaminski e Spielberg hanno scelto di girare in 35mm, un omaggio alla cinematografia degli anni ’70, ma anche un modo per esaltare la ricchezza di ogni dettaglio. “Con Janusz abbiamo voluto che il film sembrasse girato negli anni ’70”, dice Spielberg. “Si è trattato di valutare l’intensità dei colori e di coordinarne le luci di Janusz con i costumi di Ann Roth”.

Spielberg ha anche amato molto la libertà di girare un dramma di personaggi dopo un film epico ricco di effetti speciali, visto il complicato storyboard che richiedono. “Rispetto a dove posizionare la macchina da presa, mi piace improvvisare, mi diverte molto. Lo faccio appena posso”, dice.

“Il look di questo film fa apparire ciò che accade in un ufficio o a un party così avvincente che non vedi l’ora di vedere cosa succederà poi”, dice Meryl Streep. “Janusz e Steven hanno lavorato in perfetta sintonia, sembrano possedere lo stesso paio di occhi”.

Il compito di ricreare gli uffici del Washington Post, dove si svolge gran parte del film, è toccato allo scenografo due volte premio Oscar® Rick Carter, che ha fatto immergere il cast e la troupe nell’ambiente di quel periodo. “Il realismo del suo set era incredibile”, dice Pascal. “Perfino i mozziconi di sigaretta sembravano degli anni ’70. Eppure niente era eccessivo, talvolta nei film storici i dettagli diventano più importanti della narrazione, ma tutto quello che Rick ha fatto è sempre stato al servizio del film”.

Per Spielberg, così assorbito dai dettagli della produzione, è stata la reazione degli altri a fargli capire di aver fatto centro. “Ricordo di aver invitato un amico che lavora ancora per il Washington Post, Richard Cohen, ad assistere alle riprese e lui, quando è arrivato sul set e ha visto la redazione, si è guardato intorno e, con gli occhi pieni di lacrime ha detto ‘è questo il posto’”.

Carter ha compiuto tutta una serie di ricerche per ritrarre un periodo del giornalismo completamente diverso da quello attuale – un periodo in cui le redazioni non avevano i computer, ma macchine da scrivere ticchettanti e telefoni fissi. Mentre i cinefili potranno ricordare gli interni del Washington Post di Tutti gli uomini del Presidente, consultando gli archivi fotografici ancora esistenti, Carter ha scoperto che nel 1971 gli uffici del Post erano situati in un palazzo diverso e avevano un arredamento diverso.

“Abbiamo trovato una decina di foto che ci sono state utili, ma mancavano alcuni particolari, quindi abbiamo proceduto per come avrebbe potuto essere. Abbiamo visto che la stanza della redazione del Post allora era una sala vasta e senza separazioni”, dice. “Un miscuglio di scrivanie, macchine da scrivere, agende da tavolo, telefoni, fogli di

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carta carbone ovunque, portacenere. Mi è sembrato rappresentare la fine di un’era e l’inizio di un’altra, e in un certo senso il film parla proprio di questo”.

Carter aveva un obiettivo chiaro: “Volevo creare uno spazio in cui gli attori potessero immergersi subito e completamente nella realtà di una redazione del 1971. Ogni volta che lavoro con Steven, cerco di progettare per lui un ambiente in cui ovunque posi lo sguardo possa trovarsi nel mondo che la storia sta raccontando”.

La prima sfida è stata trovare un locale adatto a fare da cornice al suo lavoro e alla fine Carter ha trovato un edificio di uffici vuoto a White Plains, NY, che stava per essere trasformato in un condominio di lusso. Appena prima che iniziassero i lavori di ristrutturazione, la produzione vi si è trasferita e ha usato gli spazi vuoti per creare il mondo di The Post. “Ci ha fornito un ambiente in cui abbiamo potuto inserire tutti i dettagli che ci servivano”, dice Carter.

Per Carter, gli uffici personali sono un elemento che esprime le caratteristiche di ciascun personaggio. Al centro dell’azione c’è l’ufficio di Bradlee. “Ben lavora in una stanza dalle pareti di vetro”, fa notare Carter. “È come il capitano di una nave, deve tenere sotto controllo tutti quelli che lavorano con lui e ho scoperto che Tom lo faceva davvero, vedeva tutti quelli che erano in redazione. E Janusz ha trovato un modo creativo per illuminare tutto, quindi anche se l’ufficio di Bradlee appare riservato, puoi vedere tutto quello che succede intorno a lui”.

Proprio come le loro personalità, anche gli uffici di Bradlee e Graham sono diversi. “A differenza di quello di Ben che è in un open space, l’ufficio di Kay era nascosto nella zona della direzione”, dice Carter. “Avevamo la documentazione fornita da 60 Minutes e alcune fotografie. Ben e Kay erano molto diversi, ma l’aspetto più importante secondo me è che si completavano, quindi li vedi insieme in redazione. Avevano capito che ciò che non potevano fare da soli, potevano farlo meglio insieme”.

Le macchine da scrivere degli anni ’50 sono state particolarmente importanti per Tom Hanks, che ha un’ossessione per le macchine da scrivere vintage. “Hanno un suono fantastico”, dice. “Le redazioni non risuonano più come allora, quando la loro essenza era espressa da quel fantastico ticchettio di fondo”. La redazione appariva così realistica che Hanks ha iniziato letteralmente a viverci. “Ho fatto dei pisolini sul divano, come faceva Ben Bradlee”, confessa. “Rick Carter è un genio nel creare set che ti riportano indietro nel tempo”.

Seguendo l’indicazione di Carter di riempire l’ambiente con ciò che caratterizzava la redazione del giornale, l’attrezzista Diana Burton ha scovato tutta una serie di oggetti autentici, tra cui una copia dei Pentagon Papers, da lei vista di persona a Washington, D.C. “I Papers sono uno dei personaggi del film”, dice Burton, “quindi dovevamo avere qualcosa di realistico: sono 44 volumi, 7.700 pagine in tutto. Mi sono recata presso i National Archives e ho controllato il tipo di carta su cui erano stampati, quindi ciò che abbiamo fatto è storicamente corretto”.

Un altro elemento che Burton è riuscita a trovare dopo lunghe ricerche è la Xerox usata da Daniel Ellsberg per fotocopiare i documenti in un’agenzia pubblicitaria. “Mi sono basata su tre consulenze per stabilire con sicurezza che era stata usata una Xerox 914. Anche se non è stato facile trovarla ce l’ho fatta”, dice Burton. “Ne abbiamo individuata una allo Xerox Museum di Rochester. Ce l’hanno prestata, ma con una

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avvertenza: non potevamo collegarla alla corrente perché sarebbe andata a fuoco, quindi abbiamo dovuto manipolare la luce e l’azione della carta che esce, ma è stata una scoperta spettacolare”.

Il design di Carter e gli oggetti di Burton per The Post hanno trasportato quelli che si trovavano lì in un’altra epoca. “Il mio primo giorno sul set è stata un’esperienza extra sensoriale”, ricorda il veterano del Post Steve Coll. “Con tutte le comparse che sembravano giornalisti degli anni ’70, tutti quei telefoni neri, il fumo delle sigarette che appestava l’aria, era tutto così reale. È stato impressionante il desiderio dei realizzatori di ottenere la massima precisione”.

Il team ha ricreato anche l’edificio del New York Times: ha utilizzato quello della General Society of Mechanics and Trades a Exchange Place per la facciata e per la stanza della redazione segreta dove Abe Rosenthal lavorava alla prima storia dei Pentagon Papers. Carter ha visto i magnifici lampioni che fiancheggiano l’entrata della General Society e ne è stato conquistato. “I lampioni fanno farte dell’iconografia del Times”, dice Carter. “Emanano luce e questo è una perfetta metafora per quello che deve essere una notizia”.

Dopo aver aggiunto altri cinque globi alla facciata, realizzato il logo The Times su vetro opaco e appesa la placca The Times, il vecchio edificio è tornato in vita. Il risultato è stato così stupefacente che il New York Times ha perfino pubblicato un articolo su questa trasformazione.

Carter ha visitato poi le vecchie residenze di Graham e Bradlee a Georgetown per avere un’idea più precisa della loro disposizione, che ha ricreato in teatro ai Brooklyn’s Steiner Studios. Altre locations sono quelle della tipografia del The New York Post, per i macchinari vintage di The Post, la Brooklyn State Courthouse e la Columbia University’s Low Library, che passano rispettivamente per la Corte Federale e la Suprema Corte. Fuori dalla Low Library, Spielberg ha girato la scena in cui Graham e Bradlee escono dalla Corte che si è espressa 6 contro 3 in loro favore.

La tipografia, arredata con linotype autentiche della vecchia scuola, è la preferita di Streep.“Rick è stato davvero grande nel riuscire a mettere insieme tutti quei macchinari che non esistono più. È stato emozionante girare la scena con le vere compositrici, un passo indietro nel tempo, mi ha fatto venire i brividi”, dice l’attrice.

Una zona boscosa vicino a White Plains è diventata la base dei marines a Hau Nghia, Vietnam, dove lo stratega militare Daniel Ellsberg ha iniziato ad avere dubbi sulla guerra. Spielberg e Kaminski hanno realizzato la sequenza con l’intensità di un team che ha già ricreato scene di battaglia della Prima e della Seconda Guerra mondiale con sconvolgente realismo.

La costumista Ann Roth - una leggenda lei stessa, con oltre 60 anni di carriera alle spalle, circa 200 film e lavori teatrali e un Oscar® - ha avuto la stessa attenzione meticolosa ai particolari. “La prima cosa che ho preso in considerazione è stata che i personaggi sono persone vere, quindi era possibile vedere cosa indossavano realmente. E noi abbiamo potuto consultare una quantità di fotografie”, dice Roth.

Del contributo di Roth Krieger dice: “È un’artigana di altissimo livello, fa le sue ricerche, progetta come trasformare attraverso i vestiti, collabora con gli attori e li aiuta a

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scomparire nel loro personaggio. Ha fatto tutto questo nel nostro film con un’ampia gamma di personaggi”.

Roth e il suo team non hanno copiato pedissequamente le foto esistenti, ma le hanno usate come fonte di ispirazione, soprattutto per gli abiti che indossa la Streep nel ruolo di Graham, il cui stile riservato accompagnò sempre la sua crescente leadership. Dopo aver consultato libri come The Georgetown Set: Friends and Rivals in Cold War Washington di Gregg Herken, e Georgetown Ladies Social Club: Power, Passion and Politics in the Nation’s Capitol di C. David Heyman, Roth ha mescolato le sue ricerche alla sua intuizione e alla sua sensibilità artistica, lavorando a stretto contatto con la Streep. I costumi indossati da Maryl Streep – compreso il caftano per il party di addio, i tailleur scelti per le riunioni e gli abiti per recarsi alla Borsa – sono basati sulla realtà, ma hanno qualcosa di più.

“Ann è un genio”, dice la Streep riflettendo sul lavoro di Roth. “Non riesco nemmeno a ricordare in quanti film ho lavorato con lei, a partire da Silkwood. Per Katharine avevamo molto materiale d’archivio su cui basarci, ma abbiamo discusso molto su come farla apparire. Era molto alta e questo le conferiva una sorta di grazia aristocratica. Aveva un portamento che intimidiva, anche se lei era imbarazzata, quindi abbiamo lavorato molto per esprimere questa sua caratteristica. Io sono bassa, quindi ho dovuto lavorarci su”.

Per quanto riguarda Hanks, Roth fa notare che nel 1971 Bradlee non aveva ancora adottato lo stile elegante per cui divenne famoso in seguito. “Si vestiva un po’ come quando frequentava Harvard. Solo più tardi, dopo il Watergate, iniziò a vestirsi come un gentleman inglese”, spiega.

“Credo che Ann abbia contribuito molto a far entrare Tom così a fondo in Ben”, aggiunge Krieger. “I vestiti che ha scelto gli hanno conferito un tocco di spavalderia, aveva un portamento e un’intonazione diversi quando li indossava”.

Per lo staff di Bradlee, Roth ha potuto consultare l’archivio fotografico che il giornalista premio Pulitzer Eugene Patterson, un personaggio del film, ha donato alla Emory University. “Abbiamo visto come si vestivano quei giornalisti in quegli anni, è stato di enorme aiuto per le nostre ricerche e quindi tutto è stato realizzato nel modo più realistico e autentico possibile, esattamente quello che voleva Steven”, dice Roth.

Tutto il cast ha apprezzato i costumi di Roth - e le sue conoscenze su quel periodo. “Ann è una leggenda vivente e tutti ci siamo innamorati di lei”, conclude Alison Brie. “Parla di cose che conosce bene, come gli anni ’70, tanto che alcuni degli abiti e delle scarpe che ho indossato provenivano dal suo armadio. I suoi costumi non sono mai approssimativi, e questo significa molto per un attore”.

Una volta terminate le riprese, hanno iniziato a lavorare il montatore Michael Kahn e il compositore John Williams, al suo 44o anno di collaborazione con Spielberg, con cui ha lavorato in 29 progetti. “In genere John suona per me al pianoforte quello che registrerà poi con l’orchestra, ma i tempi di questo film erano così ridotti che per la prima volta non avevo sentito nemmeno una nota”, dice Spielberg. “Ma, come sempre ho amato il suo lavoro. John ottiene sempre un magnifico equilibrio con la sua colonna sonora, che nel contempo è musicalmente molto intensa quando è necessario”.

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Ancor prima, quando le riprese stavano per terminare, Spielberg ha tenuto un discorso spiegando cosa aveva reso così speciale per lui The Post. “Questo è un vero insieme di attori e voglio ripetere questa esperienza, che è stata una delle più appaganti della mia carriera”.

Ha riconosciuto anche come quell’insieme sullo schermo riflette e discute di un problema che coinvolge tutto il paese. “Questo è il momento giusto per tenere in considerazione il valore della stampa libera e di iniziare a discutere apertamente del contributo che essa può dare alla nostra democrazia” ha concluso Spielberg.

IL CAST Per almeno 40 anni MERYL STREEP (Katharine Graham), ha interpretato una

sorprendente serie di personaggi durante una carriera che è passata dal teatro al cinema e alla televisione.

Ha studiato alla scuola pubblica del New Jersey, si è laureata con lode al Vassar College, e ha conseguito un MFA alla Yale University nel 1975. Ha iniziato la sua vita professionale sui palcoscenici di New York, dove ha rapidamente dimostrato la sua versatilità. A tre anni dalla laurea, ha debuttato a Broadway vincendo un Emmy per (Holocaust) e ottenendo la sua prima candidatura agli Oscar con Il cacciatore. Ha vinto tre Oscar e nel 2017, un traguardo mai raggiunto, ha ottenuto la sua ventesima candidatura agli Oscar con Florence Foster Jenkins. La sua interpretazione le ha portato un Critics’ Choice Award come miglior attrice e candidature ai Golden Globe e agli Screen Actors Guild Award.

Segue l’ambiente con il suo impegno nella Mothers and Others, un gruppo di difesa dei consumatori che ha co-fondato nel 1989. M&O lavora da dieci anni per promuovere un’agricoltura sostenibile, nuove regole per l’uso dei pesticidi, e assicurare la disponibilità di alimenti biologici e coltivati in modo sostenibile.

Maryl Streep si dedica anche alla Women for Women International, al Committee to Protect Journalists, Donor Direct Action, Women in the World Foundation e Partners in Health.

È membro della American Academy of Arts e Letters e le è stato accordato il Commandeur de L'Ordre des Arts et des Lettres dal governo francese e un César ad honorem. Ha ottenuto il Lifetime Achievement Award dall’American Film Institute, un riconoscimento dalla Film Society of Lincoln Center nel 2008, e nel 2010 una National Medal of Arts dal presidente Obama. Nel 2011 Streep ha ricevuto un Kennedy Center Honor e nel 2014 la Presidential Medal of Freedom. Ha dottorati ad honorem dalle università di Yale, Princeton, Harvard, Dartmouth e Indiana, dalla University Of New Hampshire, Lafayette, Middlebury, e la Barnard College medal.

Lei e il marito, l’artista Don Gummer, hanno quattro figli. TOM HANKS (Ben Bradlee) premiato attore, produttore e regista. Uno degli unici

due attori nella storia a vincere due premi Oscar come miglior attore uno dopo l’altro, il primo nel 1994 con il commovente ritratto dell’avvocato colpito dall’Aids Erew Beckett in

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Philadelphia di Jonathan Demme, il secondo nel 1995 con Forrest Gump, di Robert Zemeckis. Per quei due film ha vinto anche il Golden Globe e con l’ultimo uno Screen Actors Guild (SAG) Award.

E’ stato anche candidato agli Oscar per Big di Penny Marshall, Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg e Cast Away di Robert Zemeckis, e ha vinto il Golden Globes con Big e Cast Away.

Recentemente è apparso inThe Circle di James Ponsoldt. Nel 2013 Hanks ha lavorato nel film candidato agli Oscar e ai Golden Globe

Captain Phillips-Attacco in mare aperto, per il quale è stato candidato ai SAG, ai Bafta e ai Golden Globe e nel Film dell’Anno della AFI, Saving Mr. Banks, con Emma Thompson.

Fra i suoi film ricordiamo poi Cloud Atlas di Tom Tykwer, Andy Wachowski e Lana Wachoski, Molto forte, incredibilmente vicino di Stephen Daldry, il film d’animazione Polar Express, di cui è stato anche produttore esecutivo e che lo ha visto di nuovo insieme al regista Robert Zemeckis; Lady killers dei fratelli Coen; The Terminal, Prova a prendermi e Il ponte delle spie di Steven Spielberg; Era mio padre di Sam Mendes; Il miglio verde di Frank Darabont; C’è posta per te e Insonnia d’amore di Nora Ephron; Ragazze vincenti di Penny Marshall; Apollo 13, Il codice da Vinci, Angeli e demoni, Splash, Aspettando il re e Inferno di Ron Howard, Sully di Clint Eastwood e i successi di animazione Cars, Toy Story,Toy Story 2 e Toy Story 3.

I film di Hanks sono stati portati con successo sul piccolo schermo. Dopo Apollo 13, è stato produttore esecutivo dell’apprezzata miniserie di HBO From the Earth to the Moon, di cui ha diretto un episodio e ne ha scritti altri. La miniserie gli ha portato Emmy, Golden Globe e Producers Guild Awards, oltre a una candidatura agli Emmy per la miglior regia.

La sua collaborazione con Steven Spielberg in Salvate il soldato Ryan li ha portati a essere produttori esecutivi della miniserie della HBO Band of Brothers, tratta dal libro di Stephen Ambrose. Hanks ne ha diretto una puntata e ne ha scritto un’altra e la miniserie ha vinto un Emmy e un Golden Globe. Hanks ha anche vinto un Emmy per la miglior regia, è stato candidato agli Emmy per la miglior scrittura e ha vinto un Producers Guild Award per il suo contributo al progetto.

Nel 2008, Hanks è stato produttore esecutivo dell’apprezzata miniserie di HBO John Adams, con Paul Giamatti, Laura Linney e Tom Wilkinson, che ha vinto 13 Emmy, un Golden Globe e un PGA. Più di recente, Hanks e Spielberg sono tornati a lavorare insieme nella miniserie di HBO The Pacific, della quale Hanks è stato ancora una volta produttore esecutivo. La serie in dieci puntate ha vinto otto Emmy, fra i quali quello per la miglior miniserie, e ha consegnato a Hanks il suo quarto PGA.

Nel 2012, Hanks è stato produttore esecutivo del dramma politico di HBO Game Change, premiata con Emmy e Golden Globe come miglior miniserie televisiva. Nel 2013, Hanks è stato ospite, narratore e commentatore del film per la tv di National Geographic tratto dal bestseller Killing Lincoln. Sempre nel 2013, Hanks e Playtone hanno prodotto il documentario della Cnn candidato agli Emmy The Sixties, e nel 2014 la miniserie di HBO Olive Kitteridge, tratto dal romanzo premio Pulitzer di Elizabeth Strout. Nel 2015, Olive Kitteridge ha vinto otto Emmy, compreso quello per la miglior serie, tre

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Critics' Choice Television Award, un DGA e un SAG. Nel 2015, Hanks e Playtone hanno prodotto The Seventies e nel 2016 The Eighties.

Nel 1996, Hanks ha scritto, diretto e interpretato Music graffiti. Più recentemente ha scritto, prodotto, diretto e interpretato L’amore all’improvviso con Julia Roberts. Con il suo marchio e quello della Playtone di Gary Goetzman, nel 2002 ha prodotto la commedia romantica di successo Il mio grosso grasso matrimonio greco, con la moglie di Hanks, Rita Wilson. Come produttore ricordiamo Nel paese delle creature selvagge, Polar Express, Ant Bully-Una vita da formica, La guerra di Charlie Wilson, Mamma Mia!, The Great Buck Howard, Il quiz dell’amore e la serie di HBO Big Love.

Nel 2013, Hanks ha debuttato a Broadway con Lucky Guy di Nora Ephrone la sua performance gli ha garantito candidature ai Drama Desk, ai Drama League, agli Outer Critics Circle e ai Tony.

Nel 2002, Hanks ha ricevuto il premio alla carriera dell’American Film Institute, poi nel 2009 è stato premiato dalla Film Society of Lincoln Center con un Chaplin Award. Nel 2014, Hanks ha ottenuto un Kennedy Center Honor.

La premiata attrice SARAH PAULSON (Tony Bradlee) ha un’impressionante lista

di credit nel cinema, alla televisione e a teatro. Ha vinto un Emmy come miglior attrice in una miniserie per la sua interpretazione dell’avvocato Marcia Clark in The People v. O.J. Simpson: American Crime Story, che le ha portato anche un Golden Globe, uno Screen Actors Guild, un Critics Choice Award e un Television Critics Association Award.

A breve, Paulson apparirà in Rebel in the Rye di Danny Strong, in Ocean’s 8 di Gary Ross e inizierà le riprese di Lost Girls di Liz Garbus.

Paulson è apparsa nella settima stagione della premiata serie televisiva di Ryan Murphy American Horror Story e ha ricevuto quattro candidature consecutive agli Emmy per i ruoli di Sally in AHS: Hotel; di Bette e Dot Tattler, gemelle siamesi, in AHS: Freak Show; di Cordelia Foxx in AHS: Coven e di Lana Winters in AHS: Asylum. Per quei ruoli Paulson ha anche vinto due Critics Choice Awards.

Paulson è apparsa in Blue Jay di Alex Lehmann, in Carol di Todd Haynes, in 12 anni schiavo di Steve McQueen, in Mud e in La fuga di Martha, con Elizabeth Olsen, di Jeff Nichols.

Paulson ha ottenuto la prima candidatura agli Emmy e la seconda ai Golden Globe per il ruolo di Nicolle Wallace nel telefilm di HBO Game Change. Fra i suoi film ricordiamo The Spirit; La scandalosa vita di Bettie Page di Mary Harron; Abbasso l’amore, Quello che le donne vogliono; Un amore speciale e Diggers.

Paulson ha ottenuto la sua prima candidatura ai Golden Globe con Studio 60 on the Sunset Strip di Aaron Sorkin. Nel 2013 è tornata sul palcoscenico con Talley’s Folly, una produzione della Roundabout Theatre Company dell’opera del premio Pulitzer Lanford Wilson. Aveva precedentemente lavorato a Broadway in Collected Stories con Linda Lavin, e nella parte di Laura Wingfield in Zoo di vetro, a fianco di Jessica Lange. È apparsa sul palcoscenico anche con Alfred Molina e Annette Bening in Cherry Orchard, e in Killer Joe di Tracy Letts.

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BOB ODENKIRK (Ben Bagdikian) commediografo premio Emmy, produttore, attore e autore di bestseller del New York Times. Con Saturday Night Live, Odenkirk ha vinto un Emmy nel 1989. La scena del "Motivatore" che Odenkirk ha scritto per il suo amico Chris Farley, nata al Second City di Chicago, è stata recentemente considerata da Rolling Stone come la miglior scena SNL di tutti I tempi. Nel 1993, Odenkirk ha vinto un altro Emmy Award per The Ben Stiller Show.

Nel 2015, Odenkirk ha ripreso il personaggio che aveva creato nel dramma di successo Breaking Bad, come protagonista di Better Call Saul di AMC, che gli ha portato due Critics' Choice TV Awards e candidature agli Emmy, ai Golden Globe e ai SAG. Nel 2017 è stata presentata la terza stagione del programma.

Odenkirk ha co-ideato e interpretato Mr. Show with Bob e David, in onda su HBO per quattro anni e definito "il Monty Python americano". Da attore, ha riportato in vita molti personaggi del cinema e della televisione, come "Stevie Grant" in The Larry Seers Show, l’ex-pornostar "Gil Bang" in Curb Your Enthusiasm, "Ross Grant" in Nebraska di Alexander Payne e "Bill Oswalt" nella serie Fargo di FX.

Nel corso degli anni Odenkirk è stato fondamentale nell’aiutare scrittori e artisti emergenti a mandare in onda le proprie opere. È stato produttore esecutivo della prima serie di Tom Goes to the Mayor di Tim Heidecker e Eric Wareheim ed è stato un consulente nel loro seguenti show Tim e Eric Awesome Show, Great Job! e Check it Out! with Dr. Steve Brule. Nel 2013, Odenkirk ha lavorato con il giovane gruppo The Birthday Boys ed è stato produttore esecutivo del loro sketch per la IFC, in onda per due stagioni.

Nel 2016, Odenkirk ha partecipato alla spettacolo in 4 parti With Bob e David, che ha interpretato e di cui è stato produttore esecutivo con David Cross. Recentemente ha lavorato in Girlfriend’s Day per Netflix.

Odenkirk ha anche scritto, insieme a David Cross e Brian Posehn, il best seller del New York Times Hollywood Said No! una raccolta delle loro sceneggiature non prodotte. Nell’ottobre del 2014, McSweeny’s ha pubblicato un libro delle commedie di Odenkirk dal titolo A Load of Hooey.

TRACY LETTS (Fritz Beebe) drammaturgo, sceneggiatore e attore

americano che nel 2008 ha vinto un Pulitzer con I segreti di Osage County e un Tony per la sua interpretazione di George nel revival di Chi ha paura di Virginia Woolf ? Ha scritto le sceneggiature di tre film tratti dalle sue opere: Bug e Killer Joe, entrambi diretti da William Friedkin, e I segreti di Osage County, diretto da John Wells.

Recentemente Letts ha interpretato il padre di Saoirse Ronan in Lady Bird di Greta Gerwig, con Laurie Metcalf, Lucas Hedges e Beanie Feldstein. Il film è stato presentato da A24 il 3 novembre e ha infranto il record di Rotten Tomatoes con il 100% di recensioni positive, rendendolo il film più recensito fino a oggi sul sito. Lady Bird è stato scelto come uno dei “Top Ten Films del 2017” dalla National Board of Review ed è stato candidato all’International Press Academy Satellite Award.

Letts ha lavorato con Debra Winger in The Lovers, la storia di una coppia sposata (Letts e Winger) che, in vista di un imminente divorzio, si ritrovano di nuovo innamorati. Il film, diretto da Azazel Jacobs e con Aidan Gillen e Melora Walters è stato presentato da

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A24 nel maggio 2017 ed è stato candidato ai Film Independent Spirit Award come miglior sceneggiatura e al London Film Festival come miglior film.

Sempre nel 2017, Tracy ha prestato la sua voce a Comrade Detective di Amazon Studio.

Sul piccolo schermo, Letts sarà protagonista di Divorce di HBO, con Sarah Jessica Parker, Thomas Haden Church, Molly Shannon e Talia Balsam. Lo show, alla sua seconda stagione, sarà presentato da HBO il 14 gennaio 2018.

Oltre a essere un attore, Tracy è un rinomato sceneggiatore; la sua nuova commedia The Minutes, prodotta da Scott Rudin, ha debuttato in anteprima per la critica a Chicago nel novembre 2017 prima della trasferta a Broadway nel marzo 2018.

Letts ha anche lavorato con Rebecca Hall nel dramma biografico di Antoni Campos Christine presentato in anteprima al Sundance Film Festival del 2016, che racconta la storia di Christine Chubbock (Hall) che nel 1974 si è suicidata in diretta a causa della depressione provocata dagli ostacoli trovati nel fare carriera.

Letts ha lavorato con Logan Lerman in Indignation, debutto alla regia di James Schamus tratto dal romanzo omonimo di Philip Roth. Nel 2015 ha interpretato La grande scommessa, di Adam McKay e tratta dal libro The Big Short: Inside the Doomsday Machine di Michael Lewis. Il film è stato candidato a 5 Oscar, fra i quali miglior film, miglior regia, miglior attore non protagonista per Bale, e miglior adattamento, vincendo quest’ultimo.

Nel 2013 e 2014, durante la terza e quarta stagione del successo di Showtime Homeland, Letts ha interpretato il direttore della CIA Erew Lockhart, ottenendo nel 2013 una candidatura, con tutto il cast ai SAG Award.

Tracy vive a Chicago con la moglie Carrie Coon ed è membro attivo della Steppenwolf Theatre Company.

BRADLEY WHITFORD (Arthur Parsons), attore teatrale di formazione classica,

è diventato famoso con il ruolo del sarcastico ma vulnerabile Josh Lyman in The West Wing di NBC.

Ha recentemente lavorato nell’horror-thriller di Blumhouse Scappa-Get Out, scritto e diretto da Jordan Peele, presentato nel 2017 al Sundance Film Festival. È apparso anche in Megan Leavey con Kate Mara e Edie Falco.

Presto lo vedremo in Godzilla: King of the Monsters di Warner Brothers e Legendary Entertainment, a fianco di Millie Bobby Brown, Kyle Cheler e Vera Farmiga. Inoltre Whitford ha da poco terminato A Happening of Monumental Proportions, debutto nella regia di Judy Greer, con un cast che include Jennifer Garner, Allison Janney, Common e Anders Holm; il film indipendente Three Christs di Jon Avnet, tratto dal libro di Milton Rokeach The Three Christs of Ypsilanti e Unicorn Store, debutto nella regia di Brie Larson.

Whitford ha recentemente lavorato con il regista Todd Robinson nel dramma politico The Last Full Measure, insieme a Samuel L. Jackson, Sebastian Stan, Christopher Plummer e William Hurt.

Lo scorso anno, Whitford ha lavorato in Other People, scritto e diretto da Chris Kelly, con Jesse Plemons, Molly Shannon, Zach Woods, e June Squib. Nel 2016 il film

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ha vinto il premio della Giuria al Sundance Film Festival e lo stesso anno ha ottenuto quattro candidature agli Independent Spirit Award. Prima ancora aveva lavorato nella biografia di Lyndon B. Johnson di HBO, All The Way, con Brian Cranston.

Fra i suoi film ricordiamo poi la biografia di Hank Williams della Sony Pictures Classic, I Saw The Light, Saving Mr. Banks della Disney, Quella casa nel bosco, il film drammatico An American Crime, 4 amiche e un paio di jeans, Innamorarsi a Manhattan, Kate & Leopold, La dea del successo, L’uomo bicentenario, Profumo di donna, Un mondo perfetto, Philadelphia, Il cliente, Questa mia vita, L’angolo rosso-Colpevole fino a prova contraria, Presunto innocente e Fuga dalla Casa Bianca.

Sul piccolo schermo, Whitford ha un ruolo ricorrente nella serie comica Transparent, con la quale nel 2015 ha vinto un Primetime Emmy Award e un Television Critics’ Choice Award per la miglior performance comica. Lo scorso anno ha lavorato in un episodio di Years of Living Dangerously di National Geographic.

Sempre per la televisione ricordiamo Chicago Justice, Mom, Better Things, Brooklyn Nine-Nine, Happyish, Trophy Wife, The Good Guys, Studio 60 On The Sunset Strip, ER,T he X-Files e NYPD Blue. La sua performance in The West Wing gli ha portato nel 2001 una candidatura agli Emmy Award e ai Golden Globe nel 2001 e 2002.

Cresciuto nel Wisconsin, Whitford ha studiato teatro e letteratura inglese alla Wesleyan University e ha frequentato il Juilliard Theater Center. Whitford ha ricevuto ottime recensioni per il suo ritorno sul palcoscenico nella produzione di Broadway di Boeing, Boeing con Mark Rylance e Christine Baranski. Ha lavorato a Broadway in A Few Good Men di Aaron Sorkin, Measure for Measure al Lincoln Center Theater e ha avuto un ruolo da protagonista in Coriolanus al Folger Shakespeare Theatre di Washington, D.C. Off-Broadway ha lavorato con Kathy Bates in Curse of the Starving Class e Three Days of Rain al Manhattan Theatre Club.

BRUCE GREENWOOD (Robert McNamara) è apparso di recente nella serie di

grande successo di Ryan Murphy American Crime Story: The People vs. OJ Simpson. Si può vedere ora in Spectral, un thriller fantascientifico con James Badge Dale e Emily Mortimer e ha appena finito le riprese di Gerald’s Game, adattamento del bestseller del 1992 di Stephen King, diretto da Mike Flanagan da una sceneggiatura scritta con Jeff Howard, e in Kodachrome.

Greenwood lavorerà a breve in Dirty Dancing, un musical televisivo di tre ore della ABC che segue le orme del successo cinematografico del 1987.

È stato sul grande schermo con Gold-La grande truffa, con Matthew McConaughey per la regia di Stephen Gaghan, e ha interpretato per CBS News il presidente Erew Heyward in Truth-Il prezzo della verità, un drammatico film sul giornalismo di Jamie Veerbilt con Cate Blanchett e Robert Redford.

Nel 2015, Bruce ha lavorato nell’apprezzata serie tv Mad Men interpretando l’oggetto dell’amore di Joan Harris (Christina Hendricks) nella stagione finale. Nel 2014 ha lavorato nel thriller di Erew Niccol Good Kill con Ethan Hawke, in Elephant Song e Un amore senza fine e ha ripreso il ruolo del capitano Christopher Pike nel successo di Paramount Pictures Star Trek: Into the Darkness.

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Fra i suoi film ne ricordiamo cinque del famoso regista canadese Atom Egoyan: Queen of the Night, Fino a prova contraria, Exotica, Il dolce domani e Ararat, e ancora Flight, Come un tuono, A cena con un cretino, Mao’s Last Dancer, Il mistero dei Templari e Io non sono qui.

È anche noto per lo straordinario ritratto del presidente John F. Kennedy nel film drammatico Thirteen Days, che ha garantito a Greenwood un Golden Satellite Award come miglior attore non protagonista. Nel 2005 ha lavorato con Philip Seymour Hoffman nel ruolo dello scrittore Jack Dunphy, il partner di Truman Capote, nel film Capote ottenendo una candidatura agli Screen Actors Guild per la miglior performance di un cast. Nel 2006 ha lavorato nel thriller di Tony Scott Déjà vu.

Altri suoi film sono: Robot, La diva Julia, Colpevole d’innocenza, Meeks Cutoff, La versione di Barney, Donovan’s Echo, Il cane pompiere, Hollywood Homicide, Indian-La grande sfida, 8 amici da salvare, Regole d’onore, Striscia una zebra alla riscossa, Per una sola estate, Il figlio perduto, Thick as Thieves, Passenger 57-Terrorer ad alta quota e Orchidea selvaggia.

Greenwood vanta successi anche in televisione, come la serie horror/drammatica di ABC The River, il film di Hallmark Hall of Fame per le feste A Dog Named Christmas, la serie di HBO di David Milch John from Cincinnati, St. Elsewhere, The Larry Seers Show e The Magnificent Ambersons.

Il gallese MATTHEW RHYS (Daniel Ellsberg) è conosciuto per il ruolo, che gli ha garantito una candidatura agli Emmy, di Philip Jennings in The Americans di FX. È stato anche Kevin Walker nella serie di ABC Brothers & Sisters e Dylan Thomas in The Edge of Love. Rhys è nato e cresciuto a Cardiff e ha studiato alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra. Durante gli studi al RADA ha lavorato nelle serie della BBC Back-Up e House of America e nel film in lingua gallese Bydd yn Wrol (Be Brave) .

Rhys ha anche lavorato nel dramma televisivo neozelandese Greenstone, in Titus di Julie Taymor, Che fine ha fatto Harold Smith, Taliesin Jones e Very Annie Mary. Ha lavorato nella serie televisiva Metropolis e al West End di Londra con Kathleen Turner nell’adattamento teatrale del film Il laureato. Fra i suoi altri film ricordiamo Il club dei rapimenti, Tabloid, Mondo perduto, Patagonia e la lunga serie televisiva Columbo.

Nel 2012, Rhys è apparso nell’adattamento per la BBC di The Mystery of Edwin Drood di Dickens. E lo stesso anno Off-Broadway a New York in un revival di Look Back in Anger di John Osborne. Per il teatro ricordiamo Romeo e Juliet al Cardiff’s New Theatre, King Lear con la Royal Shakespeare Company e MacBeth al Young Vic.

Fra i suoi ultimi film Il sapore del successo, En mai, fais ce qu’il plait e Il libro della giungla.

ALISON BRIE (Lally Graham Weymouth) appare nella commedia di Netflix GLOW, nella sitcom Community e nella lunga serie televisiva Mad Men. Presta la sua voce a un personaggio della serie d’animazione BoJack Horseman.

Brie ha lavorato in numerosi film fra i quali Scream 4, The Kings of Summer, The Five-Year Engagement, The LEGO Movie, Get Hard, Swop-I sessodipendenti e Single

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ma non troppo. Per la televisione ricordiamo American Dad, Comedy Bang! Bang! High School USA e Teachers. È apparsa anche nella serie inglese della ITV, Dr. Thorne.

Brie è nata a Hollywood, California e si è laureata al California Institute of the Arts. Ha studiato anche alla Royal Scottish Academy of Music e Drama.

CARRIE COON (Meg Greenfield) è uno dei più interessanti talenti emergenti di

Hollywood. Quest’anno Coon ha fatto la storia, ottenendo la prima doppia candidature ai TCA Award per il suo lavoro nella terza stagione di Fargo di FX con Ewan McGregor e per la terza e ultima stagione di The Leftovers di HBO, con il ruolo di ‘Nora Durst’, con Justin Theroux. Coon presto apparirà con Holly Hunter in Strange Weather e nel thriller di Steve McQueen Widows.

All’inizio di quest’anno, Coon ha terminato le riprese di Kin di Jonathan e Josh Baker, con Zoe Kravitz, James Franco e Dennis Quaid. In precedenza aveva lavorato in The Keeping Hours di Karen Moncrieff, con Lee Pace, e in Izzy Gets The F*Ck Across Town di Christian Papierniak, con Haley Joel Osment e Alia Shawkat. I due film sono stati presentati al Los Angeles Film Festival del 2017.

Il suo ruolo più importante è stato nel film apprezzato dalla critica Gone Girl-L’amore bugiardo, con Ben Affleck, Rosamund Pike e Neil Patrick Harris. Per la televisione, ricordiamo Intelligence, Ironside, Law and Order: SVU e The Playboy Club.

Fra i suoi lavori per il teatro ricordiamo Our Town e Anna Christie al Madison Repertory Theatre, quattro stagioni con l’American Players Theatre a Spring Green, Wisconsin, e Reasons to be Pretty e Blackbird con il Renaissance Theaterworks,

Coon ha debuttato a Chicago con Magnolia al Goodman Theater, diretta da Anna Shapiro, poi con The Girl in the Yellow Dress al Next Theatre e con The Real Thing di Tom Stoppard al Writers Theatre. Nel 2013, dopo aver recitato in Three Sisters e in The March al rinomato Steppenwolf Theatre Company di Chicago, Coon ha ripreso la parte di Honey nella produzione di Edward Albee Who’s Afraid of Virginia Woolf? a Broadway, che gli ha portato una candidatura ai Tony e un Theater World Award.

Nel 2015, Coon ha debuttato off-Broadway nella parte di Louise in Placebo al Playwrights Horizons, e nel 2016 è tornata allo Steppenwolf di Chicago come protagonista di Mary Page Marlowe.

Premio Emmy e candidato ai Grammy DAVID CROSS (Howard Simons) è attore,

scrittore e produttore per il teatro e per il piccolo e grande schermo. Considerato dalla Comedy Central uno dei Top 100 comici improvvisatori di tutti i tempi, Cross ha girato il mondo con Make America Great Again! Il tour è stato presentato da Netflix con uno special nell’agosto 2016 e con un Cd omonimo candidato ai Grammy. Nel 2009 Cross è stato in tour con il suo bestseller del New York Times I Drink for a Reason. La commedia di grande successo è stata filmata al Wilbur Theater di Boston per uno special intitolato Bigger e Blackerer, presentato su EPIX nell’aprile 2010 prima di uscire su CD e DVD. Un suo precedente special, David Cross: The Pride is Back, in onda su HBO nel 1999, nel 2015 è stato inserito da Rolling Stone fra i migliori 25 special teatrali e musicali di tutti i tempi.

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Cross ha pubblicato altri due album, il candidato ai Grammy “Shut Up You Fucking Baby” e “It's Not Funny.” Nel 2003 ha pubblicato il DVD Let America Laugh, un docufilm sul suo rivoluzionario tour nei club alternativi e indie rock.

Ha da poco terminato la produzione di Bliss. Lo scorso anno, la IFC ha presentato l’attesa terza stagione di Todd Margaret, di e con Cross nella parte di uno sprovveduto americano che si trova a gestire l’ufficio vendite londinese della compagnia di bevande energetiche per cui lavora.

Cross è tornato a lavorare con il suo collaboratore e co-creatore di Mr. Show, Bob Odenkirk, per Mr. Show with Bob e David, quattro nuovi episodi della famosa serie comica, presentata da Netflix nel novembre 2015. Nel settembre del 2013, David Cross e Bob Odenkirk hanno pubblicato il libro, Hollywood Said No! Orphaned Film Scripts, Bastard Scenes, and Abandoned Darlings from the Creators of Mr. Show.

Nel 2014, Cross ha presentato il film indipendente Hits, che ha scritto e diretto. È apparso nei film indipendenti Kill Your Darlings e It’s a Disaster. Fra i suoi altri film ricordiamo Abel, Year One, Sognando Broadway di Christopher Guest, Men in Black e Men in Black II, Ghost World, Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry, Pitch Perfect 2, I’m Not There, e ha prestato il suo talento vocale a numerosi film d’animazione, fra i quali Megamind, la serie Kung Fu Panda e Curioso come George.

Per la televisione, Cross ha ripreso l’amato ruolo del Dr. Tobias Fünke nella quarta stagione di Arrested Development su Netflix, e questa estate inizieranno le riprese della tanto attesa quinta stagione.

Cross è stato due volte candidato come membro del cast di Arrested Development agli Screen Actors Guild Award. Prossimamente riprenderà il ruolo dell’avvocato Russ Snyder nella terza stagione di Unbreakable Kimmy Schmidt di Netflix.

Il debutto televisivo di Cross è arrivato con The Ben Stiller Show, dove Cross ha affinato le sue abilità nella scrittura e per il quale nel 1993 ha condiviso un Emmy.

Mr. Show with Bob e David ha ottenuto tre candidature agli Emmy Award per testi e musiche. Cross ha anche scritto e collaborato con il gruppo musicaleTenacious D e ha scritto, prodotto e interpretato per Comedy Central la serie animata Freak Show che ha creato insieme a H. Jon Benjamin.

JESSE PLEMONS (Roger Clark) è conosciuto per i ruoli di Landry Clarke nella

serie TV Friday Night Lights, un ruolo naturale perché Plemons giocava a football alle superiori, di Todd Alquist nella premiata serie Breaking Bad e di Ed Blumquist nella seconda stagione di Fargo di FX. Nato in Texas, Plemons ha iniziato a recitare da giovane nei film Varsity Blues, Passione ribelle, Il sogno di Calvin e Giovani aquile e nelle serie televisive, Judging Amy, CSI: Crime Scene Investigation, Grey’s Anatomy e recentemente in Olive Kitteridge di HBO.

Fra i suoi film più recenti ricordiamo The Master di Paul Thomas Anderson, Il ponte delle spie di Steven Spielberg, Black Mass-L’ultimo gangster di Scott Cooper e The Program di Stephen Frears. Presto Plemons apparirà in The Irishman di Martin Scorsese.

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MICHAEL STUHLBARG (Abe Rosenthal) ha recitato in Chiamami con il tuo nome di Luca Guadagnino, in The Shape of Water di Guillermo Del Toro e in Fargo per la Tv con Ewan MacGregor. Fra i suoi film ricordiamo Miss Sloane–Giochi di potere, Arrival di Denis Villeneuve, Trumbo, Steve Jobs di Danny Boyle, Blue Jasmine di Woody Allen, Hitchcock, La grande partita, Lincoln diSteven Spielberg, 7 psicopatici di Martin McDonagh e Hugo Cabret di Martin Scorsese.

Nel 2008, Stuhlbarg ha lavorato in A Serious Man dei fratelli Coen. Per la sua interpretazione è stato candidato ai Golden Globe e ha ricevuto un Robert Altman Award (insieme ai Coen) agli Independent Spirit Awards. Fra i suoi film ricordiamo poi Afterschool, Cold Souls, Nessuna verità, La zona grigia e Il gioco dei rubini.

Stuhlbarg è un volto familiare in televisione per il ruolo in Boardwalk Empire di HBO – che ha portato a lui e a tutto il cast un SAG Award. È stato anche guest-star nelle serie Ugly Betty, Damages e Studio 60 on the Sunset Strip e nei telefilm The Hunley e Alexander Hamilton di PBS.

Michael è anche un apprezzato attore teatrale, ed è stato candidato ai Tony Award e ha ricevuto un Drama Desk Award per la produzione di Broadway di The Pillowman di Martin McDonagh. Fra i suoi lavori a Broadway The Invention of Love, Cabaret, Taking Sides, Saint Joan, Timon of Athens, The Government Inspector e Three Men on a Horse

Off-Broadway, Stuhlbarg ha recitato in Hamlet, The Voysey Inheritance (candidato agli Obie Award, al Callaway Award e al Lucille Lortel Award), Twelfth Night, The Winter’s Tale, A Dybbuk, Richard II,Woyzeck e molte altre produzioni. Stuhlbarg ha conseguito un B.F.A. alla Juilliard School e fa parte della the LAByrinth Theater Company.

ZACH WOODS (Tony Essaye) compare nella serie di HBO Silicon Valley, è ospite

fisso nella serie di NBC The Office, è apparso in Veep di HBO e in Playing House di USA.

Originario del New Jersey, Woods ha iniziato a recitare a 16 anni con i gruppi di improvvisazione The Upright Citizens’ Brigade e The Stepfathers.

Woods è apparso anche in televisione in The League, Arrested Development e The Good Wife. Fra i suoi film ricordiamo The Loop, I poliziotti di riserva, Spy, Ghostbusters e Mascots.

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I REALIZZATORI

STEVEN SPIELBERG (Regista/Produttore), è uno dei registi più influenti e di maggior successo ed è presidente della Amblin Partners, nata nel 2015, che dirige in collaborazione con Participant Media, Reliance Entertainment, Entertainment One, Alibaba Pictures e Universal Pictures.

Spielberg è anche, nel complesso, il regista che ha incassato di più di tutti i tempi, con successi come Lo squalo, E.T. The Extra-Terrestrial, e le serie Indiana Jones e Jurassic Park. Fra i tanti riconoscimenti ricevuti, ricordiamo tre premi Oscar.

Spielberg ha vinto i suoi primi due Oscar, per la miglior regia e il miglior film, per il successo internazionale Schindler’s List, che ha ottenuto in totale sette Oscar. Il film è stato anche giudicato miglior film del 1993 dalla maggior parte delle organizzazioni di critici, ha vinto sette BAFTA e tre Golden Globe, sempre come miglior film e miglior regia. Per quel film Spielberg ha anche vinto un Directors Guild of America (DGA).

Spielberg ha ottenuto il suo terzo Oscar, miglior Regia, per il film drammatico sulla Seconda Guerra mondiale Salvate il soldato Ryan, campione di incassi nazionale del 1998. E’ stato uno dei film più premiati di quell’anno, che ha vinto altri quattro Oscar e due Golden Globe, miglior film e miglior regia, e numerosi altri riconoscimenti nelle stesse categorie. Spielberg ha anche vinto un altro DGA, e ha condiviso un Producers Guild of America (PGA) con gli altri produttori del film. Lo stesso anno, PGA ha premiato Spielberg con il prestigioso Milestone Award per il suo contributo storico all’industria cinematografica.

Ha ottenuto anche candidature agli Oscar per la miglior Regia con Lincoln, Munich, E.T., I predatori dell’arca perduta e Incontri ravvicinati del terzo tipo. Inoltre ha avuto candidature ai DGA per quei film e per Amistad, L’impero del sole, Il colore viola e Jaws. Fino a oggi, Spielberg è stato premiato dai suoi colleghi con 11 candidature ai DGA Award, più di qualsiasi altro regista. Nel 2000 ha vinto il DGA’s Lifetime Achievement Award. Ha ottenuto anche un Irving G. Thalberg Award dalla Academy of Motion Picture Arts e Sciences, un Hollywood Foreign Press’s Cecil B. DeMille Award, un Kennedy Center Honor e molti altri tributi alla carriera.

Nel 2012, Spielberg ha diretto il premio Oscar Daniel Day-Lewis in Lincoln, tratto in parte da Team of Rivals di Doris Kearns Goodwin, con la sceneggiatura di Tony Kushner. Il film di DreamWorks Pictures/Twentieth Century Fox, in associazione con Participant Media, ha ottenuto 12 candidature agli Oscar e ha incassato a livello mondiale 275 milioni di dollari. Il film ha vinto due Oscar, il terzo Oscar di Daniel Day-Lewis come miglior attore per l’interpretazione del sedicesimo presidente, e per le migliori scenografie.

Il thriller drammatico del 2015 Il ponte delle spie, con Tom Hanks, ha ottenuto sei candidature agli Oscar, compreso quella per il miglior film, e un Oscar è andato a Mark Rylance come miglior attore non protagonista. Lo stesso anno, è stato produttore esecutivo di Jurassic World, che ha incassato nel mondo 1.6 miliardi di dollari. Diretto da Colin Trevorrow e con Chris Pratt e Bryce Dallas Howard, è stato il quarto film della serie Jurassic. Un sequel, per la regia di J.A. Bayona, uscirà il 22 giugno 2018.

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Dopo The Post, uscirà nei cinema il 30 marzo 2018 Ready Player One tratto dal popolare romanzo di fantascienza di Ernest Cline.

La carriera di Spielberg è iniziata nel 1968 con il corto Amblin, che lo ha portato a essere il più giovane regista a firmare un contratto a lungo termine. Ha diretto episodi di show televisivi come Night Gallery, Marcus Welby, M.D. e Columbo, e nel 1971 ha suscitato un particolare interesse con il telefilm Duel. Tre anni dopo, ha debuttato nella regia con Sugarland Express, tratto da una sceneggiatura cui aveva collaborato. Il film seguente, Lo squalo, è stato il primo film a oltrepassare il muro dei 100 milioni di dollari al botteghino.

Nel 1984, Spielberg ha fondato una sua casa di produzione, la Amblin Entertainment. Con questo marchio, è stato produttore o produttore esecutivo di successi come Gremlins, I Goonies, Ritorno al futuro I, II, e III, Chi ha incastrato Roger Rabbit, Fievel sbarca in America, Twister, La maschera di Zorro e la serie di Men in Black. In 1994, Spielberg si è unito a Jeffrey Katzenberg e David Geffen per fondare i DreamWorks Studios. La casa di produzione ha ottenuto successi commerciali e di critica, compresi tre consecutive Oscar con American Beauty, Il Gladiatore e A Beautiful Mind. DreamWorks ha anche prodotto o coprodotto una vasta gamma di film, fra i quali i successi di Transformers, i film drammatici sulla Seconda Guerra mondiale di Clint Eastwood Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima che ha ottenuto una candidatura agli Oscar come miglior film, Ti presento i miei e Mi presenti i tuoi? e The Ring, solo per citarne alcuni. Con il marchio DreamWorks Spielberg ha anche diretto La guerra dei mondi, Minority Report, Prova a prendermi e A.I. - Intelligenza artificiale.

I successi di Spielberg non si fermano al grande schermo. È stato produttore esecutivo della lunga serie tv vincitrice di Emmy E.R. prodotta dalla sua Amblin Entertainment e da Warner Bros. Television per NBC. Sulla base dell’esperienza di Salvate il soldato Ryan, lui e Tom Hanks nel 2001 sono stati i produttori esecutivi della miniserie di HBO Band of Brothers, tratta da un libro di Stephen Ambrose sull’esercito statunitense in Europa durante la Seconda Guerra mondiale che, tra i suoi numerosi riconoscimenti, ha vinto sia un Emmy che un Golden Globe come miglior miniserie. Nel 2010 Spielberg e Hanks sono tornati a essere produttori esecutivi dell’apprezzata miniserie di HBO The Pacific, questa volta sui Marines nel Pacifico della Seconda Guerra mondiale. The Pacific ha vinto otto Emmy Awards, compreso quello come miglior miniserie.

Spielberg è stato anche produttore esecutivo della miniserie vincitrice di Emmy Taken per Sci-Fi Channel, della miniseries di TNT Into the West, di The United States of Tara di Showtime, diSmash di NBC, di Falling Skies di TNT e Under the Dome e Extant per CBS. È stato anche produttore esecutivo del film per HBO All The Way con il vincitore di Emmy Bryan Cranston e della docuserie di Netflix Five Came Back. Attualmente è produttore esecutivo di Bull per CBS che riprenderà per una seconda stagione. La sua Amblin Television ha prodotto The Americans di FX, pluricandidata agli Emmy con due vittorie per Margo Martindale come miglior attrice non protagonista. Nel 2015 la serie ha vinto anche un Peabody Award.

Oltre al cinema, Spielberg dedica tempo e risorse a molte cause filantropiche. Ha fondato The Righteous Persons Foundation con i profitti di Schindler’s List e la Shoah

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Visual History Foundation, diventata nel 2006 la USC Shoah Foundation – The Institute for Visual History and Education. L’Istituto ha registrato più di 53.000 interviste con sopravvissuti e testimoni dell’Olocausto e di altri genocidi, affinché queste testimonianze siano strumento di educazione e azione. Spielberg è anche Presidente emerito della Starlight Children’s Foundation.

LIZ HANNAH (Sceneggiatrice e coproduttrice) Originaria di New York, Liz si è

trasferita a Los Angeles per frequentare la prestigiosa AFI. Dopo la laurea in Produzione, Liz ha trascorso alcuni anni a lavorare nello sviluppo. Da quando scrive a tempo pieno, Liz ha avuto successo sia nel cinema che in Tv. La sua sceneggiatura per The Post era al secondo posto nella Black List del 2016. Questa è la sua prima sceneggiatura prodotta.

JOSH SINGER (Sceneggiatore e produttore esecutivo) ha vinto un Oscar per

Spotlight, miglior film dell’anno. Singer ha scritto e montato la serie televisiva di successo The West Wing e ha scritto Law&Order: Special Victims Unit, Lie to Me e la serie fantascientifica di Fox Fringe.

Singer si è laureato con lode alla Yale University e ha lavorato per un periodo per la TV con la società che ha prodotto Sesame Street. Ha anche una laurea alla Harvard Law e Business Schools. Sta al momento lavorando alla sceneggiatura di First Man per la regia di Damien Chazelle.

AMY PASCAL (Produttore) è fondatrice e CEO di Pascal Pictures, società di

produzione cine-televisiva della SONY. Oltre al recente successo estivo Spider-Man: Homecoming, che Pascal ha prodotto, la società è stata una degli artefici del rilancio di Ghostbusters.

Pascal ha una notevole lista di film in preparazione, fra i quali il debutto nella regia di Aaron Sorkin con Molly’s Game, adattamento delle memorie di Molly Bloom uscito nel dicembre 2017; un film d’animazione su Spider-Man previsto per il 2018; The Girl in the Spider’s Web, sequel della trilogia di successo di Stieg Larsson Millennium - Uomini che odiano le donne; e l’adattamento in live-action di Barbie, la famosa bambola della Mattel.

Pascal è cresciuta a Los Angeles dove risiede con il marito e il figlio. KRISTIE MACOSKO KRIEGER (Produttore) ha ottenuto candidature agli Oscar,

ai PGA e ai BAFTA e ha lavorato con il regista Steven Spielberg per oltre 20 anni. Al momento è impegnata nella post-produzione del prossimo film di Spielberg Ready Player One, tratto dal best seller di Ernest Cline. Krieger è stata produttore esecutivo di Il GGG - Il grande gigante gentile e ha prodotto il film candidato all’Oscar Il ponte delle spie. Ha prodotto anche Lincoln, War Horse, e Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo.

Krieger ha iniziato la sua carriera alla USC Shoah Foundation, dove ha diretto il settore pubblicitario. Nel 1997 è entrata a far parte della DreamWorks Studios. Ora è nel team dirigenziale della Amblin Partners e si occupa di tutti gli aspetti della produzione di Spielberg e collabora alla direzione strategica della società. Krieger, laureata alla UC Davis, vive con la famiglia a Los Angeles.

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TIM WHITE (Produttore esecutivo) è fondatore e partner di Star Thrower

Entertainment. Tim ha prodotto il film premiato al Sundance Ingrid Goes West di Matt Spicer, con Aubrey Plaza e Elizabeth Olsen ed è stato anche produttore esecutivo del film di Taylor Sheridan premiato a Cannes Wind River, con Jeremy Renner e Elizabeth Olsen, usciti tutti e due nell’agosto del 2017.

Tim ha anche prodotto LBJ di Rob Reiner, con Woody Harrelson, Jennifer Jason Leigh e Richard Jenkins, uscito nel 2017. Attualmente sta producendo Welcome Home di George Ratliff, con Aaron Paul e Emily Ratajkowski insieme al fratello e socio Trevor White e A Crooked Somebody, con Ed Harris, Rich Sommer, Amy Madigan, Joanne Froggatt e Clifton Collins, in uscita agli inizi del 2018. Tim si è laureato alla Williams College.

TREVOR WHITE (Produttore esecutivo) è fondatore e partner di Star Thrower

Entertainment. Trevor ha prodotto LBJ di Rob Reiner, con Woody Harrelson, Jennifer Jason Leigh e Richard Jenkins, presentato nel novembre del 2017, e il film premiato al Sundance Ingrid Goes West di Matt Spicer, con Aubrey Plaza e Elizabeth Olsen. È stato anche produttore esecutivo del film di Taylor Sheridan premiato a Cannes Wind River con Jeremy Renner e Elizabeth Olsen.

Trevor ha recentemente diretto il suo secondo film (il primo era Jamesy Boy) intitolato A Crooked Somebody, con Rich Sommer, Clifton Collins Jr., Ed Harris, Joanne Froggatt e Amy Madigan, che uscirà nell’aprile del 2018. Sta producendo Welcome Home di George Ratliff, con Aaron Paul e Emily Ratajkowski, previsto per gli inizi del 2018. Ha in lavorazione molti altri film e progetti per la televisione, fra i quali una serie Amazon per la tv. È laureato alla Cornell University.

ADAM SOMNER (Produttore esecutivo) ha coprodotto i film di Steven Spielberg

Lincoln, Il ponte delle spie e Il GGG - Il grande gigante gentile. È produttore esecutivo del prossimo film di Spielberg Ready Player One e dei recenti film di Paul Thomas Anderson Vizio di forma e The Master. Ha appena finito di lavorare all’ultimo film di Anderson girato a Londra con Daniel Day-Lewis.

Somner è stato produttore associato del film di Spielberg Le avventure di Tintin - Il segreto dell’Unicorno, e coproduttore di War Horse. Ha anche coprodotto il film di Martin Scorsese The Wolf of Wall Street e Exodus di Ridley Scott. Fra i suoi ultimi film First They Killed My Father di Angelina Jolie.

Da primo assistente alla regia, ricordiamo Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, Il petroliere, Le crociate - Kingdom of Heaven, Munich, La guerra dei mondi, Seabiscuit-Un mito senza tempo, La leggenda degli uomini straordinari e molti altri.

TOM KARNOWSKI (Produttore esecutivo) nei primi mesi del 2017 stava

lavorando a The Kidnapping of Edgardo Mortara che Steven Spielberg girerà in Italia. Quando si decise di posticipare la produzione, Spielberg ha pensato immediatamente a The Post e Tom si è recato a New York per iniziare la preparazione.

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Prima Karnowski aveva lavorato a Londra per Star Wars: Gli ultimi Jedi di Lucasfilm, diretto da Rian Johnson, e ancora prima è stato produttore esecutivo/UPM di La luce sugli oceani in Nuova Zelanda per DreamWorks, per la regia di Derek Cianfrance. Fra i suoi altri film il crime thriller Die Hard - Un buon giorno per morire, con Bruce Willis per 20th Century Fox girato a Budapest e Mosca e L’uomo con i pugni di ferro, girato in Cina per la regia di RZA. Karnowski è stato anche produttore esecutivo del thriller L’ultimo dei Templari, con Nicholas Cage, del film d’azione Max Payne, con Mark Wahlberg, e l’epopea preistorica 10,000 A.C., diretto da Roland Emmerich. Karnowski è stato anche co-produttore del film The Brothers Bloom, con Rachel Weisz, Mark Ruffalo e Adrien Brody, diretto da Rian Johnson e del famoso thriller The Illusionist, con Edward Norton e Paul Giamatti, diretto da Neil Berger.

Nel corso della sua carriera cinematografica è stato produttore, primo assistente alla regia, produttore associato e direttore di produzione. Nel 1982 ha ottenuto una candidatura ai Saturn Award come miglior scrittore dalla Academy of Science Fiction, Fantasy & Horror Films per il suo primo lungometraggio La spada a tre lame, che ha co-scritto e coprodotto.

JANUSZ KAMINSKI (Direttore della fotografia) ha creato alcune delle immagini più memorabili della storia del cinema.

Di origini polacche, ha avuto una lunga e proficua collaborazione con Steven Spielberg, prima con il film per la tv del 1993 Class of ’61, del quale Spielberg è stato produttore esecutivo

I due hanno poi continuato a lavorare insieme in Schindler’s List (per il quale Kaminski ha vinto il suo primo Oscar per la migliore fotografia), Il mondo perduto - Jurassic Park, Amistad (candidato agli Oscar), Salvate il soldato Ryan (con il quale ha ottenuto il suo secondo Oscar), A.I. - Intelligenza artificiale, Minority Report, Prova a prendermi,The Terminal, La guerra dei mondi, Munich, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, War Horse, Il ponte delle spie, Il GGG - Il grande gigante gentile e l’imminente Ready Player One.

Fra gli altri film di Kaminski ricordiamo Come lo sai, Funny People, Lo scafandro e la farfalla (candidate agli Oscar), Jumbo Girl, Jerry Maguire, Pecos Bill - Una leggenda per amico, Gli anni dei ricordi, Piccoli campioni, Le avventure di Huck Finn, Killer Instinct e The Judge.

Come regista ricordiamo Lost Souls - La profezia e Hania (che ha anche fotografato). Ha anche diretto e fotografato American Dream.

RICK CARTER (Scenografie) nel 2013 ha vinto un Oscar per la scenografia di

Lincoln di Steven Spielberg. Nel 2010 ha vinto un Oscar per le scenografia del film campione di incassi di James Cameron Avatar. Carter ha ottenuto la sua prima candidatura agli Oscar con Forrest Gump di Robert Zemeckis e con il film epico di Steven Spielberg War Horse.

Carter ha lavorato con Spielberg in altri film, come Munich, La guerra dei mondi, A.I. - Intelligenza artificiale, Amistad, il successo Jurassic Park e il suo sequel Il mondo perduto - Jurassic Park.

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Ha anche curato le scenografie per i film di Zemeckis Polar Express, Cast Away, Le verità nascoste, La morte ti fa bella e Ritorno al futuro, II e III.

Carter ha di recente curato le scenografie diStar Wars – Episodio VII di JJ Abrams e IL GGG - IL GRANDE GIGANTE GENTILE di Steven Spielberg.

MICHAEL KAHN, A.C.E. (Montaggio) è uno dei più famosi montatori di tutti i

tempi. Ha vinto l’Oscar per il montaggio con I predatori dell’arca perduta, Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan, tutti diretti da Steven Spielberg. Con le sue sette candidature agli Oscar, è uno dei montatori più premiati nella storia del cinema. Ha anche vinto 2 BAFTA e ha ricevuto altre quattro candidature. Kahn ha recentemente montato la combinazione fra live-action e animazione di Spielberg Le avventure di Tintin - Il segreto dell’Unicorno e i film di Spielberg candidati all’Oscar War Horse e Lincoln.

Nella quarantennale carriera, Kahn ha montato classici come Incontri ravvicinati del terzo tipo, Il colore viola, L’impero del sole, Always, Castelli di ghiaccio, I predatori dell’arca perduta, Indiana Jones e il tempio maledetto, Indiana Jones e l’ultima crociata, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, Il ponte delle spie, Il GGG - Il grande gigante gentile e Ready Player One.

Kahn ha anche montato Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare, Prince of Persia: le sabbie del tempo, Munich, The Terminal, La guerra dei mondi, Prova a prendermi, Alive, Arachnophobia, Attrazione fatale, I Goonies, Poltergeist, 1941,Gli occhi di Laura Mars e La vendetta dell’uomo chiamato Cavallo.

SARAH BROSHAR (Montaggio) è stata felice di co-montare The Post con il suo

mentore Michael Kahn. Ha iniziato a lavorare con l’Avid insieme a Michael in Le avventure di Tintin - Il segreto dell’Unicorno e ha continuato a perfezionarsi come primo assistente al montaggio in War Horse e Lincoln e in altri film indipendenti. Sarah è stata anche montatore aggiunto per Il ponte delle spie e Il GGG - Il grande gigante gentile. Al momento è impegnata nella post-produzione di Ready Player One. Sarah si è laureata all’American Film Institute e alla Northwestern University.

Con una carriera di oltre cinquanta anni alle spalle, JOHN WILLIAMS

(Compositore) è uno dei più famosi compositori e concertisti americani. È stato direttore musicale e direttore d’orchestra di una delle istituzioni musicali più importanti del paese, la Boston Pops Orchestra, e mantiene rapporti artistici con molte delle più importanti orchestre del mondo, fra le quali la Boston Symphony Orchestra, la New York Philharmonic, la Chicago Symphony e la Los Angeles Philharmonic. Williams ha ottenuto numerosi premi prestigiosi, come il National Medal of Arts, il Kennedy Center Honors, l’Olympic Order, e molti premi Oscar, Grammy, Emmy e Golden Globe. E’ una delle più eminenti voci musicali della nazione.

Williams ha composto e diretto le musiche di oltre cento film. La sua collaborazione artistica di 45 anni con il regista Steven Spielberg ha prodotto alcuni dei film di maggior successo di Hollywood, come Schindler’s List, E.T., Jaws, Jurassic Park, Incontri ravvicinati del terzo tipo, la serie di film di Indiana Jones, Salvate il soldato Ryan, Amistad, Munich, Hook, Prova a prendermi, Minority Report, A.I. - Intelligenza artificiale,

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L’impero del sole, Le avventure di Tintin - Il segreto dell’Unicorno e War Horse. Il loro ultimo lavoro insieme, Il GGG - Il grande gigante gentile, è stato presentato nell’estate del 2016. Williams ha composto la colonna sonora degli otto episodi della serie Star Wars, dei primi tre film di Harry Potter, Superman, JFK, Nato il quattro luglio, Memorie di una geisha, Cuori ribelli, Turista per caso, Mamma, ho perso l’aereo, Nixon, The Patriot, Le ceneri di Angela, Sette anni in Tibet, Le streghe di Eastwick, Rosewood, Sleepers, Sabrina, Presunto innocente, The Cowboys, Boon il saccheggiatore e Goodbye, Mr. Chips. Ha lavorato con i registi più famosi, come Alfred Hitchcock, William Wyler e Robert Altman. Nel 1971, ha adattato la colonna sonora per la versione cinematografica di Il violinista sul tetto, per il quale ha composto i passaggi originali per violino per il famoso virtuosista Isaac Stern. Ha fatto delle registrazioni come pianista e direttore d’orchestra con Itzhak Perlman, Joshua Bell, Jessye Norman e altri. Williams ha vinto cinque Oscar e ha ottenuto cinque nomination, diventando il personaggio vivente che ha ottenuto più nomination e il secondo personaggio che ha ottenuto più candidature nella storia degli Oscar. La sua ultima candidatura è stata per Star Wars: Il risveglio della Forza. Ha anche ricevuto sette British Academy Awards (BAFTA), ventitre Grammy, quattro Golden Globe, cinque Emmy, e numerosi dischi d’oro e di platino.

Nato e cresciuto a New York, Williams si è trasferito con la famiglia a Los Angeles nel 1948, dove ha studiato composizione con Mario Castelnuovo-Tedesco. Dopo il servizio militare nell’Air Force, è tornato a New York per frequentare la Juilliard School, dove ha studiato pianoforte con Madame Rosina Lhevinne. A New York ha anche lavorato come pianista jazz nei nightclub. Tornato a Los Angeles ha iniziato la sua carriera nell’industria cinematografica, lavorando con molti famosi compositori, fra i quali Bernard Herrmann, Alfred Newman e Franz Waxman. Ha scritto le musiche di oltre 200 film per la televisione, la serie antologica per l’Alcoa Theatre, il Kraft Television Theatre, Chrysler Theatre e Playhouse 90. Fra i suoi più recenti contributi per la televisione ricordiamo il noto tema per NBC Nightly News (“The Mission”), il tema di quella che è diventata la più lunga serie delle reti tv, Meet the Press di NBC e un nuovo tema per la prestigiosa vetrina artistica di PBS Great Performances.

Williams ha composto anche molte opere da concerto, fra cui due sinfonie e concerti per flauto, violino, clarinetto, oboe e tuba. Il suo concerto per violoncello è stato commissionato dalla Boston Symphony Orchestra ed eseguito da Yo-Yo Ma al Tanglewood nel 1994. Williams ha composto per molte delle principali orchestra del mondo, compreso il concerto per fagotto “The Five Sacred Trees” per la New York Philharmonic, un concerto per tromba per la Cleveland Orchestra, e un concerto per corni per la Chicago Symphony Orchestra. Nel 1998 la Boston Symphony, al Tanglewood, ha eseguito “Seven for Luck”, un ciclo di brani di sette pezzi per soprano e orchestra tratto dai testi della poetessa americana Rita Dove. Al concerto di apertura della stagione 2009/2010, James Levine ha diretto la Boston Symphony nella premiere di Williams “On Willows e Birches,” un concerto per arpa e orchestra.

Nel gennaio del 1980, Williams è stato nominato diciannovesimo direttore d’orchestra della Boston Pops Orchestra, prendendo il posto del leggendario Arthur Fiedler. Attualmente ha la carica di Boston Pops Laureate Conductor che ha assunto dopo il suo pensionamento nel dicembre del 1993, dopo quattordici stagioni piene di

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successi. Ha anche la carica di Artist-in-Residence al Tanglewood. Uno dei più conosciuti e caratteristici personaggi dell’arte americana, Williams ha

composto le musiche per molti importanti eventi culturali e commemorativi. “Liberty Fanfare” è stata composta nel 1986 per la riconsacrazione della Statua della Libertà. “American Journey,” è stata scritta per celebrare il nuovo millennio e come accompagnamento al film retrospettivo di Steven Spielberg The Unfinished Journey, eseguita al concerto “America’s Millennium” a Washington D.C. alla vigilia del Capodanno 1999. La sua opera orchestrale “Soundings” è stata eseguita all’apertura del Walt Disney Concert Hall a Los Angeles. Nel mondo dello sport, ha collaborato ai temi musicali per le Olimpiadi estive del 1984, 1988, e 1996 per i Giochi Olimpici invernali del 2002 e nel 1987 agli International Summer Games of the Special Olympics. Nel 2006, Williams ha composto il tema per la presentazione di NBC della NFL Football.

Williams ha lauree ad honorem da ventidue università americane, fra le quali quelle della Harvard University, la Juilliard School, Boston College, Northeastern University, Tufts University, Boston University, il New Engle Conservatory of Music, la University of Massachusetts at Boston, l’Eastman School of Music, l’Oberlin Conservatory of Music e la University of Southern California. Nel 2009 ha ottenuto la National Medal of Arts, il più alto riconoscimento dato agli artisti dal Governo degli Stati Uniti. Nel 2016 Williams ha ottenuto il quarantaquattresimo Life Achievement Award dall’American Film Institute – primo compositore nella storia a ricevere questo premio. Nel 2003, ha ricevuto l’Olympic Order, il più prestigioso riconoscimento dello IOC, per il suo contributo al movimento olimpico. E’ stato Grand Marshal nel 2004 alla Rose Parade in Pasadena, e ha ricevuto il Kennedy Center Honors nel dicembre del 2004. Nel 2009 Williams è entrato a far parte della American Academy of Arts & Sciences e nel gennaio dello stesso anno ha composto e arrangiato “Air e Simple Gifts” appositamente per la cerimonia inaugurale del presidente Barack Obama.

ANN ROTH (Costumi) è una delle più famose costumiste per il cinema e il teatro. Premio Oscar per Il paziente inglese e BATFA con Il giorno della locusta, Roth ha vinto un Tony per The Nance e Shuffle Along.

Nel 1964, Roth ha disegnato i costumi per il film con Peter Sellers, La vita privata di Henry Orient, ed è stato l’inizio della sua lunga carriera. Fra i suoi film più importanti ricordiamo Un uomo da marciapiede, Una squillo per l’ispettore Klute, Mandingo, Invito a cena con delitto, Il maratoneta, Hair, Goodbye amore mio!,Torno a casa, Il volto dei potenti, Il mondo secondo Garp, Silkwood, Le stagioni del cuore, Sweet Dreams, Il mattino dopo, Heartburn - Affari di cuore, Frenesie... militari, Una donna in carriera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Cartoline dall’inferno e Il talento di Mr. Ripley.

Più recentemente ha disegnato gli abiti per The Hours, Ritorno a Cold Mountain, La donna perfetta, The Good Shepherd - L’ombra del potere, Julie & Julia, Angels in America, Molto forte, incredibilmente vicino, Dove eravamo rimasti, La ragazza sul treno e The Only Living Boy in New York.

Anche la sua esperienza in teatro è molto lunga e comprende, fra gli altri, Play It Again, Sam, Tiny Alice, The Royal Family, First Monday In October, HurlyBurly, The House of Blue Leaves, The Odd Couple, The Year of Magical Thinking, Death of A

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Salesman, The Nance, The Book of Mormon, I’ll Eat You Last: A Chat with Sue Mengers, It’s Only A Play, A Delicate Balance, Fish in the Dark,The Front Page.