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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones L'Emergenza della Vita e dell'Uomo, il punto di vista di un fisico G. M. Prosperi * Col termine emergenza si intende oggi la comparsa di qualche cosa di totalmente nuovo e secondo alcuni imprevedibile, irriducibile alle semplici proprietà dei costituenti che si presenta in un sistema al raggiungimento di un determinato grado di complessità e organizzazione. Il termine acquista uno spessore diverso a seconda che si resti su un piano puramente fisico, al livello del mondo del mondo inanimato, si consideri la comparsa del vivente dal punto di vista studiato dalla Biologia o si rivolga la propria attenzione al cosciente di sé, che si presenta al punto più alto della scala. Il primo livello tipicamente si presenta nei manufatti umani, ma anche semplicemente nel modo in cui costituenti elementari del mondo fisico si combinano per dar luogo alle strutture microfisiche di base, come atomi e molecole, o ai vari stati di aggregazione della materia al livello macroscopico; esso acquista un significato particolare alla luce della Teoria Quantistica. Il secondo si identifica col problema dell’origine della vita. Il terzo riguarda, forse, in certa misura, la comparsa degli animali superiori, ma certamente quella dell’uomo con la sua soggettività e la sua realtà psichica che non appare intrisecamente riducibile alle categorie stesse proprie delle scienze della natura. * Departamento de Física de la Universidad de Milán. Instituto Nacional de Física Nuclear, sección de Milán. L'Emergenza della Vita e dell'Uomo, il punto di vista di un fisico G. M. Prosperi, pp.37-71 37

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones

L'Emergenza della Vita e dell'Uomo, il punto di vista di un fisico

G. M. Prosperi*

Col termine emergenza si intende oggi la comparsa di qualche cosa di totalmente nuovo e secondo alcuni imprevedibile, irriducibile alle semplici proprietà dei costituenti che si presenta in un sistema al raggiungimento di un determinato grado di complessità e organizzazione. Il termine acquista uno spessore diverso a seconda che si resti su un piano puramente fisico, al livello del mondo del mondo inanimato, si consideri la comparsa del vivente dal punto di vista studiato dalla Biologia o si rivolga la propria attenzione al cosciente di sé, che si presenta al punto più alto della scala. Il primo livello tipicamente si presenta nei manufatti umani, ma anche semplicemente nel modo in cui costituenti elementari del mondo fisico si combinano per dar luogo alle strutture microfisiche di base, come atomi e molecole, o ai vari stati di aggregazione della materia al livello macroscopico; esso acquista un significato particolare alla luce della Teoria Quantistica. Il secondo si identifica col problema dell’origine della vita. Il terzo riguarda, forse, in certa misura, la comparsa degli animali superiori, ma certamente quella dell’uomo con la sua soggettività e la sua realtà psichica che non appare intrisecamente riducibile alle categorie stesse proprie delle scienze della natura.

* Departamento de Física de la Universidad de Milán. Instituto Nacional de Física Nuclear, sección de Milán.

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L'emergenza nei manufatti umani I più semplici esempi di emergenza ci vengono, come ho

detto dai manufatti umani, dagli oggetti della nostra vita ordinaria.

Pensiamo ad un vecchio orologio a pendolo, di quelli che si trovano ancora, talvolta, nelle case o, magari, nei musei degli istituti di Fisica e degli osservatori astronomici. Questo ha appunto come elemento centrale un pendolo, in pratica un’asta ad un’estremità della quale è fissato un disco pesante, sospesa dall’altra ad un perno orizzontale attorno a cui è libera di ruotare. All’estremità superiore dell’asta è fissata una specie di ancora che va alternativamente ad inserirsi ad ogni oscillazione in due posizioni diverse tra i denti di una ruota dentata. Negli esemplari più antichi la ruota è mantenuta in rotazione dallo svolgersi di un filo avvolto attorno all’asse che sorregge la ruota e trascinato verso il basso da un peso ad esso sospeso (negli esemplari più moderni il filo è sostituito da un dispositivo a molla). L’ancora è disposta in modo da lasciar scappare un dente per volta, nel momento in cui il pendolo si trova nella sua posizione centrale, e i denti hanno una forma trapezoidale così da imprimere un piccolo impulso all’ancora ogni volta che questa li lascia andare e compensare gli attriti. Il risultato sulla ruota dentata è un moto a scatti, un dente ogni mezzo periodo di oscillazione del pendolo. Una serie di ingranaggi di demoltiplicazione permette poi di trasmettere tale moto nel rapporto corretto alle lancette dei secondi, dei minuti e delle ore.

Il nostro orologio a pendolo è quindi un insieme di aste, di perni, di piastre che sostengono i perni, di ruote dentate, di fili, di pesi. E’ chiaro tuttavia che ciò che fa l’orologio è il modo in cui questi elementi sono organizzati tra loro. Se essi fossero semplicemente sparsi su una tavola, non costituirebbero niente, sarebbero semplicemente se stessi.

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Il discorso si può ripetere per moltissimi degli oggetti della vita quotidiana ed è, mi pare particolarmente evidente se pensiamo a certi giochi di costruzione per bambini, ad una scatola di “lego” o di “meccano”. Una scatola di meccano è costituita da un insieme di strisce di metallo e di piastre forate, viti con dado, perni, pulegge, ganci. Con questi pezzi, sempre gli stessi, si possono realizzare oggetti molto diversi. Da ragazzo costruivo treni, aerei, gru, funivie. E’ chiaro che ciò che dà un’identità ai vari oggetti che possono essere costruiti è il modo in cui i pezzi sono messi insieme, nel rispetto naturalmente delle loro proprietà, non i pezzi in se stessi.

Spingiamoci oltre e pensiamo ad un moderno computer. Questo è fisicamente un insieme di circuiti stampati, di strutture miniaturizzate, che permettono di concentrare un’enorme potenza di elaborazione in un oggetto di dimensioni molto ridotte. I primi calcolatori elettronici, comparsi dopo la seconda guerra mondiale, realizzati con le vecchie valvole termoioniche, erano oggetti di dimensioni enormi. Per ottenere le prestazioni di un qualsiasi odierno PC occorreva riempire con le relative apparecchiature delle intere stanze, eppure i principi di funzionamento di quei primi dispositivi erano esattamente gli stessi dei nostri. Il progresso realizzato nei componenti, che sono oggi oggetti del tutto diversi, ha permesso di ridurre le dimensioni e di aumentare enormemente le potenze, ma non ha spostato nulla nella concezione di fondo, che quindi era qualche cosa di ben diverso da una semplice somma di componenti. Se poi si passa alle molte funzioni che un medesimo computer, con un determinato hardware, può essere abilitato a svolgere, ci rendiamo conto del ruolo essenziale che in ciò svolge il software (cioè l’informazione e il complesso di istruzioni che in esso possiamo immettere), di come questo lo renda caso per caso un oggetto con proprietà e capacità diverse, pur in un’identica struttura fisica.

Il discorso è sempre lo stesso. Ciò che fa l’identità dell’oggetto in tutti questi casi non sono tanto, o non sono solo,

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones i singoli componenti, quanto il piano secondo cui essi sono assemblati e la funzione che svolgono nel sistema.

C’è qualcosa qui del concetto platonico di idea, del rapporto tra forma e materia in Aristotele, del rapporto che esiste tra un poema e le parole, o addirittura le lettere, che lo compongono. Quest’ultima analogia è tutt’altro che casuale ed è anzi particolarmente significativa, come sappiamo, per i sistemi biologici.

Atomi, molecole, teoria quantistica

Se tutto questo può apparire anche ovvio, aspetti indubbiamente nuovi si presentano quando passiamo da sistemi a cui si applica la Fisica Classica a sistemi per cui il ricorso alla Teoria Quantistica diventa essenziale.

Consideriamo gli “oggetti elementari” che compongono gli atomi, le molecole, la materia quale cade sotto la nostra esperienza ordinaria. Questi sono, come è noto, gli elettroni, i protoni e i neutroni. Le loro proprietà, finché sono considerati singolarmente e finché ci restringiamo a fenomeni in cui non siano gioco energie troppo elevate o energie particolarmente basse, sono abbastanza semplici e comprensibili. Possiamo semplicemente raffigurarceli come corpi ordinari di dimensioni molto piccole, come “particelle” nel senso letterale del termine. La cosa cambia completamente se consideriamo i loro aggregati.

Caratteristica fondamentale di tali aggregati è, per esempio, che la loro energia interna può assumere solo certi valori discreti e questo si traduce in tutto un insieme di proprietà assolutamente imprevedibili nel contesto di un modello classico. Tali proprietà riguardano la frequenza della luce emessa o assorbita dal sistema, il modo di combinarsi degli atomi in molecole, la capacità degli stessi di organizzarsi in sistemi macroscopici ordinati, come sono i cristalli ecc. La teoria che ci permette di trattare tali sistemi è la Teoria Quantistica. Si

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones tratta, tuttavia, di una teoria altamente astratta che ci costringe a rinunciare a molta parte della nostra intuizione ordinaria.

Il più semplice atomo, l’atomo d’idrogeno, è da noi concepito come formato da un singolo protone che ne costituisce il nucleo e da un singolo elettrone. Risolvendo la relativa equazione di Schroedinger, possiamo calcolarne con grande precisione i livelli energetici e comprendere le caratteristiche del suo spettro di emissione e di assorbimento. Passando ad atomi progressivamente più complessi, consideriamo il caso dell’atomo di elio, che possiede due elettroni ed il cui nucleo è formato da due protoni e due neutroni, o dell’atomo di litio con tre elettroni ed un nucleo che contiene tre protoni e tre neutroni. Ci si potrebbe attendere che le proprietà di questi atomi, pur imprevedibili in un contesto classico, varino però con una certa continuità in dipendenza dalla loro composizione. Esse sono invece molto diverse le une dalle altre, sia dal punto di vista fisico sia da quello chimico. Come elemento il litio appartiene alla categoria dei metalli alcalini, allo stato semplice è solido a temperatura ordinaria, è un buon conduttore dell’elettricità e del calore, ha un’altissima reattività, si combina con l’acqua per formare degli idrati e con gli acidi dando luogo a sali (per lo più altamente solubili in acqua). L’elio è un gas nobile, la sua molecola è costituita da un solo atomo e ha scarsissima tendenza a formare composti. L’idrogeno, infine, è qualcosa di intermedio, è un gas fino a temperature bassissime, la sua molecola (H2) è costituita da due atomi identici, nei composti svolge un ruolo in molti casi simile al litio, da cui può essere sostituito (come nelle reazioni di salinificazione).

Anche queste apparenti stranezze possono essere spiegate dalla Teoria Quantistica, a questo scopo è necessario tuttavia far riferimento ad un principio specifico, detto principio di esclusione o principio di Pauli, che è alla base della comprensione di tutto il sistema periodico degli elementi, del legame molecolare, delle proprietà dei nuclei e di quelle di tutta la materia in moltissime condizioni diverse. Tale principio per la

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones sua natura merita una speciale considerazione nel presente contesto. Per comprenderlo osserviamo che gli atomi a più elettroni possono essere trattati, in una prima approssimazione, come sistemi di elettroni indipendenti, in cui ogni elettrone si trova sotto l’azione di un medesimo campo centrale, che si suppone dovuto all’azione del nucleo e all’azione media del complesso di tutti gli altri elettroni. Si possono allora calcolare gli stati e i livelli energetici per gli elettroni singoli e lo stato complessivo dell’atomo può esser espresso indicando come i vari elettroni si distribuiscono tra tali e livelli. Ciò che il principio dice, nella sua formulazione originaria e più elementare, è che due elettroni non possono mai occupare il medesimo stato. Con il crescere della carica nucleare e del numero degli elettroni il campo medio varia in modo uniforme ed in modo uniforme variano i livelli energetici. Ciò che dà ragione del comportamento apparentemente discontinuo e delle caratteristiche allo stesso tempo di periodicità del sistema degli elementi è il fatto che (per ragioni di simmetria) gli stati di elettrone singolo sono disposti in gruppi detti orbitali (specificati da opportuni numeri quantici) a cui competono medesimi valori dell’energia di legame. Nel passaggio da un atomo con un certo numero di elettroni a quello successivo, detti orbitali si riempiono progressivamente. Durante la fase di riempimento di un dato orbitale le energie di legame di tutti gli elettroni semplicemente aumentano per effetto della maggiore attrazione esercitata dal nucleo. Tutte le volte che un orbitale è completato, tuttavia, e comincia il riempimento di quello successivo, si ha un salto verso l’alto nell’energia dei nuovi elettroni.

Più precisamente il principio citato andrebbe indicato come principio di antisimmetria della funzione d’onda. In questa forma esso si applica anche al di fuori dell’approssimazione e del contesto particolare in cui lo abbiamo enunciato. Inoltre si applica non solo agli elettroni ma a tutti quei sistemi di particelle identiche che rientrano nella categoria detta dei fermioni di cui fanno parte tra gli altri anche i protoni e i neutroni e che

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comprende tutte le particelle di spin semi-intero1. Esiste un’altra categoria detta dei bosoni per cui vale invece un principio di simmetria, in cui rientrano tutte le particelle di spin intero. La cosa importante è che in entrambi i casi si tratta di un principio olistico, che riguarda il sistema nel suo complesso. In altre parole: due elettroni sono una cosa diversa da due volte un elettrone.

Nella stessa maniera si possono spiegare le proprietà dei nuclei, sistemi molto compatti, formati da protoni e neutroni. L’aggiunta di un nuovo protone o di un nuovo neutrone porta sempre all’emergere di proprietà nuove, che rendono il nuovo nucleo radicalmente diverso da quello precedente. La stessa esistenza della molecola, poi, la sua possibile organizzazione nello spazio, così importante ad esempio per le funzioni espletate dalle macromolecole biologiche, possono essere comprese solo alla luce di medesimi principi e non lo sarebbero se ci si fermasse al livello delle proprietà dei componenti singoli.

Questo carattere olistico dei sistemi di particelle, che porta ad una peculiarità specifica per ciascuno di essi e appare già chiaro nel contesto della cosiddetta Meccanica Quantistica, diviene ancora più evidente alla luce della Teoria Quantistica dei Campi. E’ quest’ultima, come è noto, la forma che si deve

1 Ricordiamo che con la parola spin si indica una grandezza che modellisticamente può essere rappresentata come momento di rotazione della particella attorno a se stessa. Tale momento di rotazione o momento angolare (prodotto della velocità angolare della rotazione per il momento d’inerzia) può, secondo la Teoria Quantistica, assumere solo valori della forma sh/2π , dove h = 6,626 ´10-34 Joul sec è la cosiddetta costante di Plance ed s un valore caratteristico per ogni tipo di particella che può essere intero s = 0, 1, 2, ... o semi-intero s = 1/2, 3/2, ... Nel primo caso le particelle si comportano come bosoni, cioè rispetto allo scambio di due particelle identiche del tipo considerato la loro funzione d’onda è simmetrica (cioè resta immutata), nel secondo si comportano come fermioni, cioè rispetto ad un analogo scambio la funzione d’onda è antisimmetrica (cambia segno).

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones dare alla Teoria Quantistica se si vuol renderla coerente con i requisiti della Relatività. Nella Teoria dei Campi l’ oggetto fondamentale non è la particella ma il campo e le particelle compaiono come quanti (cioè come “granuli” di energia e quantità di moto) di particolari campi. Nella Fisica Classica s’intende per campo un’entità cartterizzata da un insieme di grandezze che dipendono dal posto e dal tempo. Esempio tipico è il Campo Elettromagnetico specificato in ogni punto dello spazio e ad ogni tempo dal valore del campo elettrico e del campo magnetico. Esempi di campo sono anche il campo di temperatura, che ci dice coma varia la temperatura all’interno di un corpo, o i campi di pressione e di velocità in un fluido ecc. Nella Teoria Quantistica i campi, come le particelle, hanno un significato più astratto. Anche essi sono quantizzati, possiedono dei livelli energetici e questi sono espressi come somme di multipli interi di quantità finite (quanti appunto) che sono a loro volta funzioni della quantità di moto. Nel linguaggio dei campi dire che sono presenti certi elettroni, con certe quantità di moto o in certi livelli energetici di particella singola, equivale ad affermare che un certo campo specifico si trova in un particolare livello energetico o stato. Nello stesso linguaggio l’intero mondo fisico andrebbe descritto tramite un certo sistema di campi in interazione, suscettibili di assumere stati diversi e che scambiano tra loro energia e momento. L’esistenza di certi determinati oggetti, anche macroscopici, come un tavolo od una sedia o il nostro orologio, corrisponde per sé a specifici stati di tale sistema di campi. Si può parlare ancora di parti di un tavolo e di una sedia come oggetti distinti e indipendenti, soltanto nel senso che una qualsiasi azione esercitata all’interno di una certa regione non ha effetto su di una regione separata finché non sia trascorso un intervallo di tempo sufficiente perché un effettivo segnale fisico (per esempio di tipo elettromagnetico) si sia potuto propagare dall’una all’altra regione. Il passaggio dall’uno all’altro stato del sistema dei campi può tuttavia portare all’emergere localmente di realtà completamente nuove nello stesso senso che abbiamo descritto nel precedente linguaggio,

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones ma in maniera più visibilmente radicata nelle proprietà dell’intero.

L'emergenza della vita Il costituente fondamentale del vivente è la cellula. Dal punto

di vista fisico, la cellula è una piccola vescica piena di liquido, delimitata da una membrana, all’interno della quale esistono varie strutture e un insieme di macromolecole molto complesse. Queste interagiscono tra loro in modo coordinato e rendono il sistema capace di svolgere una molteplicità di funzioni e di produrre copie identiche di se stesso. Si tratta nel suo complesso di un sistema aperto, che funziona in condizioni lontane dall’equilibrio termodinamico, ha bisogno per poter sussistere di un continuo apporto di energia e di sostanze opportune ed espelle progressivamente quanto già utilizzato.

Nella cellula sono presenti sostanze e molecole di varia natura: in primo luogo gli acidi nucleici, che conservano l’informazione necessaria per il funzionamento della stessa, codificano la formazione delle appropriate proteine e caratterizzano la specifica cellula; in secondo le proteine, che svolgono una varietà di funzioni, regolano come catalizzatori (enzimi) il metabolismo della cellula, sono il risultato ma anche sovraintendono a tutto il processo di decodificazione dell’informazione contenuta negli acidi nucleici, alla replicazione degli stessi e dell’intera cellula; quindi i lipidi (grassi), che formano la membrana cellulare e altre strutture interne; i glucidi (carboidrati) che rappresentano la principale riserva energetica; vari sali minerali e quindi ioni metallici, radicali di acidi inorganici, ecc.

Gli acidi nucleici (nelle due forme principali dette acido desossiribonucleico (DNA) e acido ribonucleico (RNA)) sono catene lineari di nulceotidi, molecole costituite da una molecola di acido fosforico legata ad uno zucchero pentoso (cioè contente cinque atomi di carbonio), a sua volta legato ad una base azotata. Con l’eliminazione di una molecola d’acqua

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones l’acido fosforico fa da ponte tra due molecole di zucchero e quindi tra due nucleotidi successivi mentre le basi azotate restano libere su un lato. Esistono quattro diversi tipi di basi azotate: adenina, citosina, guanina e timina (quest’ultima nell’RNA è sostituita da una base più semplice ma di struttura molto simile, l’uracile). Queste basi sono contraddistinte rispettivamente dalle lettere A, C, G, T (U) e possono essere considerate come le quattro lettere di un particolare alfabeto. E’ proprio la loro successione nella catena dell’acido nucleico che codifica l’informazione.

Le quattro basi azotate sono a due a due complementari, l’adenina (A) tende ad accoppiarsi attraverso dei legami secondari con la timina (T) o l’uracile (U), la guanina (G) con la citosina (C). Questi legami secondari si originano dall’attrazione elettrostatica che esiste tra singoli atomi d’idrogeno in una delle due basi e atomi di ossigeno o di azoto nell’altra, a causa della diversa distribuzione degli elettroni attorno ai suddetti atomi all’interno della molecola. Alla possibilità di costituire tali legami e alla complementarietà delle basi è legato tutto il procedimento di decodificazione del messaggio contenuto in un data molecola di acido nucleico e le proprietà più importanti del DNA e dell’RNA. L’RNA è così denominato perché lo zucchero che compare nei suoi nucleotidi è un particolare zucchero pentosio denominato ribosio, nel DNA tale zucchero è sostituito dal desossiribosio che rispetto al precedente contiene un atomo di ossigeno in meno; nell’RNA inoltre la quarta base è l’uracile, mentre nel DNA è la timina. La differenza principale tra i due è, tuttavia, che l’RNA ha la struttura di un filamento singolo, mentre il DNA è costituito da due filamenti complementari appaiati avvolti ad elica uno sull’altro. Più intuitivamente la molecola di quest’ultimo può essere paragonata ad una scala a chiocciola i cui gradini sono costituiti da coppie di basi complementari A e T, G e C legate tra loro dai suddetti legami secondari e la cui impalcatura laterale è formata dalle due catene di zucchero e gruppi fosforici alternati.

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Il DNA, molto più stabile dell’RNA a causa della sua struttura a filamenti complementari appaiati, è quello che all’interno delle cellula conserva l’informazione primaria, mentre i vari tipi di RNA hanno soprattutto funzione di mediatori. Nelle cellule più evolute, le cellule eucariote, in generale più filamenti di DNA si trovano contenuti nel nucleo, separato dal resto della cellula da un’ulteriore membrana. Negli organismi unicellulari procarioti, che non posseggono nucleo, di regola un unico filamento si trova semplicemente sospeso nel citoplasma. Accanto a molecole di DNA e RNA all’interno della cellula sono presenti nucleotidi semplici e nucleotidi trifosfato in cui in luogo del singolo gruppo fosforico abbiamo tre gruppi legati uno all’altro. Questi ultimi sono composti metastabili, con un alto contenuto di energia e hanno la tendenza naturale a formare catene perdendo i gruppi fosforici in eccesso e utilizzando la relativa energia.

Le proteine a loro volta sono, come è noto, catene di aminoacidi (polipeptidi), legati l’uno all’altro da un legame (legame peptidico) che anche in questo caso si origina dall’eliminazione di una molecola d’acqua. Il singolo aminoacido ha la formula chimica generale R-CHNH2 –COOH dove la lettera R denota un radicale organico specifico. Gli organismi viventi utilizzano venti diversi amino acidi e, quindi, venti diversi radicali R contraddistinti da nomi appropriati, glicina, alanina, valina, ecc. Nel legame tra due aminoacidi successivi si elimina uno degli atomi d’idrogeno del gruppo aminico NH2 di una delle molecole con l’OH del gruppo carbossilico COOH dell’altra e i due legami “lasciati liberi” si saldano tra loro La catena può proseguire indefinitamente. La successione dei vari radicali definisce la struttura primaria della proteina. Lo stabilirsi di legami secondari tra gli atomi d’idrogeno dei residui gruppi NH e atomi d’ossigeno dei gruppi CO nei segmenti successivi della catena portano inoltre all’assunzione da parte di questa di una struttura secondaria ad elica (α-elica). Tranne la glicina tutti gli altri aminoacidi esistono in due forme distinte, una forma levogira e una forma destrogira, che fanno ruotare in senso

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones opposto il piano di poralizzazione della luce e sono immagini speculari l’una dell’altra. I primi nel saldarsi tra loro danno luogo a delle spirali levogire i secondi a delle spirali destrogire. Nei viventi compaiono, però, solo le forme levogire. L’elica di una determinata molecola a sua volta non è rigida, ma si ripiega diverse volte su stessa per lo stabilirsi di punti di contatto successivi dando luogo ad una struttura terziaria. Più subunità così costituite si associano, infine, spazialmente in una struttura quaternaria. Questa struttura complessa è alla base delle molteplici funzioni che i vari tipi di proteine sono chiamate a svolgere all’interno della cellula.

Ogni organismo vivente utilizza sue specifiche proteine, che sono codificate in appropriati segmenti del suo DNA. La sintesi di tali proteine avviene secondo un processo abbastanza complesso che per il discorso che voglio fare è importante in grandi linee richiamare. La doppia elica del DNA, sotto l’azione di uno specifico enzima, si apre in corrispondenza del segmento considerato lasciando scoperta la successione delle sue basi. I nucleotidi trifosfato presenti nel protoplasma sono attratti dalle basi complementari e si allineano lungo una delle catene lasciate scoperte saldandosi tra loro e dando luogo ad una molecola di RNA che costituisce un’immagine complementare e quindi in negativo del tratto di DNA interessato. La molecola RNA così formatasi, detta RNA messaggero o mRNA, si stacca dalla sua matrice esce dal nucleo e si porta su un ribosoma (organelli esistenti nel citoplasma, costituiti essi stessi di RNA e proteine). Il filamento di mRNA scorre sul ribosoma come un nastro magnetico tra le testine di un lettore permettendo la sintesi progressiva di una proteina con la successione corretta di aminoacidi. Quest’ultimo passaggio è reso possibile da un ulteriore tipo di molecola di RNA detta RNA di trasporto o tRNA, che agisce da decodificatore. Perché con un alfabeto di quattro lettere come quello utilizzato dagli acidi nucleici si possa esprimere una determinata sequenza in un alfabeto di venti simboli come quello delle proteine è evidentemente necessario associare ad

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones ogni simbolo di quest’ultimo una parola formata da almeno tre lettere nel precedente. E’ quello a cui provvede appunto il tRNA. Quest’ultimo è un singolo filamento di RNA di lunghezza relativamente limitata ripiegato su se stesso per effetto di tratti complementari che si saldano gli uni sugli altri dando alla molecola una caratteristica struttura trilobata. Sul lobo centrale sono lasciate scoperte le tre basi che codificano appunto lo specifico amino acido (e sono dette un codone) mentre su una delle estremità del filamento è presente un sito a cui esso si può legare. Per azione di specifici enzimi i vari tipi di aminoacidi presenti nel citoplasma vanno a legarsi con le specifiche molecole di tRNA. Quando all’interno del ribosoma si presenta una determinata tripletta di basi dell’mRNA, il complesso aminoacido-tRNA che possiede la tripletta complementare va a disporsi su tale tripletta; l’aminoacido trasportato si salda allora con il precedente e si stacca dal suo trasportatore. In tal modo viene progressivamente costruita una proteina in cui la successione dei vari radicali rispetta esattamente la successine delle triplette di basi azotate nel tratto di DNA originario. Naturalmente il numero di triplette che si possono formare con quattro lettere è di 43 = 64 , quindi molto maggiore del numero 20 degli aminoacidi presenti negli organismi viventi. Esistono tuttavia aminoacidi che sono codificati da due e anche da tre triplette differenti. Altre triplette sono usate per scopi diversi, una ad esempio codifica il termine della catena di aminoacidi in cui consiste la molecola proteica e quindi la fine del processo.

In maniera per molti aspetti simili si verifica la duplicazione del DNA necessaria per la replicazione della cellula. In questo caso la doppia elica di ogni filamento di DNA comincia ad aprirsi ad un estremo, sui due margini lasciati liberi si vanno a disporre nucleotidi complementari tra quelli presenti nel citoplasma e si formano progressivamente due catene complementari rispetto ai filamenti originari che ricostituiscono insieme alle due metà originarie due doppie eliche identiche a quella di partenza. Anche in questo caso il processo è reso possibile da specifici enzimi.

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La cosa notevole nei processi descritti è, da una parte, la capacità degli acidi nucleici di immagazzinare e trasmettere un’informazione, di poter dirigere la costruzione di specifiche proteine e di potersi autoreplicare; dall’altra la necessità per tutte queste operazioni di specifici enzimi. Sono questi, come abbiamo visto, speciali proteine, codificate dagli stessi acidi nucleici e che richiedono l’azione di questi ultimi per essere prodotte. Si tratta perciò di un complessissimo meccanismo di cooperazione, di azioni e retroazioni, che coinvolge molecole esse stesse estremamente specializzate e complesse.

Nel caso degli organismi pluricellulari la complessità si accresce. Le cellule da un certo momento del loro sviluppo si differenziano e si specializzano, dando luogo ai vari tipi di tessuti e di organi e svolgendo un lavoro coordinato a vantaggio dell’organismo nel suo complesso. A questo scopo esse devono comunicare tra loro e ciò avviene per semplice azione meccanica, attraverso segnali elettrici e chimici, come nel sistema nervoso, o attraverso segnali puramente chimici, come da parte del sistema endocrino da cui vengono secrete particolari proteine regolatrici, gli ormoni, che vengono rovesciati nei liquidi interni del corpo (sangue, linfa, …) e raggiungono le cellule bersaglio.

E’ del tutto ovvio che, proprio per effetto di questa azione di collaborazione e di controllo reciproco dei loro vari componenti e delle varie parti che li compongono, i sistemi biologici acquistano delle proprietà e sono in grado di svolgere delle funzioni che li distinguono chiaramente da quelle dei componenti isolatamente presi, o correlati in maniera ripetitiva e più semplice, e perciò da tutto quello che chiamiamo il mondo inorganico. Almeno finché restiamo al livello chimico fisico, tuttavia, pur nella molto maggiore complessità di tali sistemi, le nuove caratteristiche che emergono e la nuova unità che si presenta non appaiono concettualmente diverse da quella di un manufatto umano o perlomeno di aggregati microfisici più semplici. Ciò che naturalmente rappresenta una grande

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones differenza rispetto al manufatto è che in quest’ultimo le parti sono costruite e sono assemblate secondo un piano concepito dalla nostra intelligenza. Quale è stata, invece, l’origine, o come si è potuta produrre la complessa architettura degli esseri viventi attuali, la ricchissima informazione contenuta nel loro DNA e la stretta interdipendenza tra il ruolo di quest’ultimo e quello svolto dalle proteine? E’ qui che si pone il problema dell’origine della vita e dell’evoluzione del vivente.

Per rendersi conto della dimensione del problema, si pensi che nel genoma umano compaiono circa 6´109 (6 miliardi) nulceotidi, e già in quello dei virus un numero che varia da qualche migliaia alle centinaia di migliaia. Si pensi che nella tipica proteina di un organismo superiore compaiono dell’ordine di qualche centinaio di aminoacidi. Un semplicissimo calcolo del numero delle combinazioni possibili mostra allora che è totalmente impossibile pensare che una tale architettura si sia prodotta puramente per caso senza l’intervento di un qualche meccanismo direttivo. Si ritiene, perciò, che alla situazione attuale si sia potuti giungere solo per passi successivi, ai quali hanno contribuito: le condizioni particolari verificatesi nella Terra primitiva; una sorta di evoluzione chimica prebiotica di segmenti brevi di acido nucleico e/o polipeptidi autoreplicantisi, con selezione delle sequenze a più rapida replicazione; l’instaurarsi ed il progressivo rinforzarsi di primi semplici cicli di collaborazione tra insiemi di tali brevi molecole di acido nucleico e di proteine; la comparsa di una compartimentazione, cioè di contenitori (come le attuali membrane cellulari) capaci di raccogliere un insieme cooperativo di molecole del tipo descritto e di proteggerlo, permettendogli di continuare ad esistere in condizioni esterne meno favorevoli; una successiva evoluzione di tipo darwiniano verso forme sempre più adatte a sopravvivere e a riprodursi nel particolare ambiente in cui si trovano e al mutare di questo.

Un primo problema che si presenta se si vuol dare corpo al precedente contesto è quello di capire come si siano potute

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones produrre le prime molecole organiche da cui tutto il processo avrebbe dovuto cominciare. Negli anni venti e trenta del XX secolo un ricercatore russo A. I. Oparin e uno inglese J. B. S. Haldane fecero indipendentemente l’ipotesi che l’atmosfera primordiale della Terra, subito dopo il suo raffreddamento, dovesse avere una composizione simile a quella che si può osservare oggi nei pianeti gioviani (Giove, Saturno, Urano e Nettuno). Fosse, cioè, un’atmosfera riducente costituita di idrogeno (H2), metano (CH4), ammoniaca (NH3), vapore acqueo (H2O), con assoluta assenza di ossigeno. In tale atmosfera, secondo questa ipotesi, si sarebbero in un primo tempo formate le molecole più semplici come aminoacidi, zuccheri, ecc. Queste molecole si sarebbero successivamente in parte combinate, dando luogo alle prime brevi catene polimeriche. Ciò sarebbe avvenuto sotto l’azione di tre principali sorgenti energetiche, allora particolarmente attive: scariche elettriche dovute ai frequenti temporali; raggi ultravioletti (non schermati, per l’assenza di ossigeno, dall’attuale strato protettivo di ozono (O3)); il calore delle lave provenienti dalle eruzioni vulcaniche. Esperimenti in laboratorio eseguiti a partire dal 1953 prima da S. L. Miller all’Università di Chicago e poi da molti altri ricercatori sembrarono confermare l’effettiva possibilità di ottenere all’interno di una miscela di gas del tipo ipotizzato effettive alte concentrazioni dei mattoni fondamentali della vita e anche dei loro polimeri.

Il suddetto scenario è stato però messo in seria discussione. L’ipotesi sulla composizione dell’atmosfera primordiale si basava sull’idea che l’atmosfera dei pianeti gioviani dovesse riflettere quella della nebulosa primitiva da cui l’intero sistema solare si è originato. Fu fatto tuttavia osservare che, a causa dell’alta temperatura esistente nei pianeti terrestri (Mercurio, Venere, la Terra e Marte) nella fase della loro formazione e della gravità molto minore dovuta ad una massa molto più piccola, l’atmosfera originale di questi ultimi dovrebbe essere andata completamente dispersa durante il raffreddamento. L’atmosfera che oggi essi possiedono deve essere di

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones conseguenza un’atmosfera secondaria formata dai gas racchiusi nelle rocce fuse da cui essi si sono originati. Secondo il modello, oggi accettato, di accrescimento caldo, col ferro concentratosi in larga misura verso il centro della Terra, tale atmosfera secondaria doveva essere composta principalmente di azoto (N2), anidride carbonica (CO2) e acqua. Sebbene la conclusione sia tuttora in parte controversa, in questa situazione si sono dovute tentare altre ipotesi sulla formazione dei composti organici di partenza. Osservando che nelle meteoriti e ancor più nelle comete (oggi studiate da vicino con le sonde spaziali) sono presenti composti organici del tipo voluto, si è supposto che sintesi del tipo originariamente supposto nell’atmosfera riducente si fossero verificate all’interno della stessa nebulosa primitiva prima della formazione dei pianeti. I composti formatisi sarebbero stati poi portati sulla Terra proprio dai numerosi impatti verificatesi con comete e meteoriti nell’ultima fase del raffreddamento. Secondo un’altra ipotesi essi si sarebbero formati in corrispondenza di sorgenti calde (dove si ha produzione di idrogeno libero), eventualmente nelle profondità del mare e in condizioni di alta pressione.

Qualunque sia stato il meccanismo a cui si possa fare appello, si suppone da tutti che in determinati ambienti, in pozze d’acqua, nella porosità delle rocce (in particolare delle lave raffreddate) o in seno ad argille, si siano raccolte soluzioni a forte concentrazione delle sostanze organiche di base e dei loro polimeri (brodo primordiale). A questo punto gli scenari si dividono. Alcuni ricercatori suppongono che le prime molecole capaci di autoriprodursi siano state delle proteine (ipotesi metabolica) e che gli acidi nucleici siano entrati successivamente nel ciclo, selezionati per la loro migliori proprietà di replicazione, conservazione dell’informazione e direzione della sintesi delle proteine. Altri suppongono che alla base della prima evoluzione prebiotica vi siano state brevi catene di RNA (ipotesi genetica), solo dopo siano intervenute le proteine (che con la loro azione catalitica hanno reso molto più

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones efficiente la replicazione dell’RNA) e, successivamente ancora, i doppi filamenti di DNA capaci di conservare e trasmettere più stabilmente l’informazione.

Tra i vari studiosi merita un posto particolare il chimico-fisico tedesco e premio Nobel M. Eigen che, basandosi su modelli matematici ed esperimenti di laboratorio eseguiti su virus, ha proposto la seguente ricostruzione degli eventi. In una prima fase si sarebbero formate brevi catene di RNA che si autoreplicavano rapidamente a spese dell’alta concentrazione di nucleotidi semplici esistente nella soluzione, ma che anche rapidamente si dissolvevano. Tale autoreplicazione sarebbe avvenuta con un alto tasso di errore, col risultato di produrre una popolazione di molecole con sequenze di basi molto diversificate, che però (per lunghezze delle catene non superiori a circa 100 nucleotidi) tendevano ad addensarsi attorno a sequenze medie in corrispondenza delle quali si aveva una più alta velocità di replicazione. A una tale popolazione Eigen ha dato il nome di quasispecie. Successivamente sarebbero intervenute piccole molecole proteiche con debole capacità catalitica che avrebbero favorito la replicazione dei segmenti di RNA e portato alla costituzione di ipercicli. Con questo termine Eigen intende un’insieme di segmenti di RNA e piccole proteine che agiscono in cooperazione aumentando fortemente l’efficienza del sistema. Si suppone che un certo segmento di RNA codifichi una prima proteina la quale agisca come debole catalizzatore per l’autoreplicazione di una secondo segmento, che questo a sua volta codifichi la formazione di una seconda proteina che agisca come catalizzatore nell’autoreplicazione di un terzo segmento, e così via, finché si giunga ad un’ultima proteina in grado di catalizzare l’autoreplicazione del primo segmento, chiudendo appunto il ciclo. E’ chiaro che un tale sistema si autosostiene, e si può pensare evolva per selezione degli errori di riproduzione verso cicli sempre più efficienti. Contestualmente o in un momento di poco successivo, si può pensare che un insieme di molecole organizzato in iperciclo sia rimasto casualmente

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones intrappolato nella bolla formata da una membrana lipidica. Lo sviluppo di enzimi più efficienti all’interno di quest’ambiente protetto avrebbe, poi, portato ad una riduzione del tasso d’errore nella riproduzione dei segmenti di RNA e permesso a questi di allungarsi e fondersi progressivamente, rendendo possibile la sintesi anche di proteine più lunghe e quindi di catalizzatori sempre più specifici. Si sarebbe così formata una cellula primitiva in grado di evolvere ulteriormente, di adattarsi sempre meglio all’ambiente e di seguirlo al mutare delle sue condizioni.

Le difficoltà dei modelli basati sulla priorità delle proteine vengono dalla scarsa propensione di queste molecole ad una autoreplicazione fedele e quindi dalla loro inadeguatezza ad un accumulo dell’informazione e ad una successiva ottimizzazione di questa per effetto della selezione. Quelle dei modelli basati sulla priorità degli acidi nucleici vengono soprattutto dalla difficoltà di arrivare ad una prima sintesi di questi e dei loro stessi componenti in mancanza di enzimi di struttura già abbastanza complessa. Nel modello di Eigen, poi, appare molto problematico il passaggio dalla quasi specie all’iperciclo, per la brevità stessa dei segmenti di RNA attorno a cui tende a stabilizzarsi la quasi specie Per questa ragione si sono tentati scenari diversi che fanno ricorso all’azione di catalizzatori inorganici (suppongono ad esempio un’evoluzione prebiotica attorno a microcristalli di pirite alla bocca di sorgenti calde) o alla formazione di composti intermedi più semplici, tipo esteri solforici, che avrebbero preceduto le proteine e sarebbero stati poi da queste sostituiti nel corso dell’evoluzione.

Inoltre, i ritrovamenti di cellule fossili in rocce risalenti a 3,8 miliardi di anni fa, di fronte ad un’età della Terra di 4,5 miliardi di anni e al necessario tempo di raffreddamento, hanno ristretto a solo qualche centinaio di milioni di anni il tempo disponibile per un’evoluzione prebiotica, restringendo sempre più lo spazio al verificarsi di eventi casuali improbabili o al costituirsi di combinazioni fortunate di circostanze.

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Alla difficoltà di prospettare per l’origine della vita uno scenario univoco, dei meccanismi attendibili in termini puramente chimico-fisici e alla conseguente divisione esistente tra i ricercatori, fanno appello i nuovi creazionisti americani per sostenere che l’unica soluzione possibile al problema sia l’ammettere per il primo vivente un atto creativo originale di Dio o il verificarsi di un insieme di eventi altamente improbabili provvidenzialmente guidato. Anche per il credente, tuttavia, una tale soluzione facile appare metodologicamente scorretta alla luce del fatto che i processi che si svolgono all’interno di una cellula sono tutti interpretabili secondo leggi fisiche conosciute. A me appare, inoltre, molto più congruo alla sapienza di Dio il pensare che Egli abbia posto, fin dall’inizio, nel mondo fisico la capacità di produrre la vita, senza bisogno di un nuovo intervento specifico. Ciò mi sembra anche molto più coerente con un’interpretazione teleologica del cosiddetto Principio Antropico e con il riconoscimento dell’esistenza di un disegno nel medesimo mondo.

L'emergenza dell'uomo Supposta formatasi in un qualsiasi modo la prima cellula,

questa, secondo un panorama largamente condiviso, avrebbe dovuto evolvere, come conseguenza di due fondamentali fattori: mutazioni casuali (dovute a saltuari errori nella replicazione delle catene di DNA) e selezione di quei rari nuovi caratteri che si rivelavano più favorevoli alla sopravvivenza e alla riproduzione nello specifico ambiente. Così si può spiegare la grande varietà di forme di vita esistenti, il passaggio dalle cellule procariote alle cellule eucariote con un nucleo dotato di una propria membrana, la formazione e la diversificazione degli organismi pluricellulari, la presenza nelle varie nicchie ecologiche di specie perfettamente adattate alla situazione.

Poiché l’ambiente muta nel tempo e muta in parte per effetto della stessa azione degli esseri viventi, ciò che era maggiormente adattato alle condizioni presenti nel passato non

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones lo è più in quelle vigenti ai nostri giorni e ciò spiega, almeno a grandi linee, il mutare delle forme viventi nel tempo, la comparsa e l’estinzione delle specie.

Sulla base di argomenti dello stesso tipo può essere spiegata anche l’origine dell’uomo. Gli eventi geologici verificatisi alcuni milioni di anni fa nel cuore dell’Africa, con la formazione della Rift Valley e conseguenti i mutamenti climatici, hanno fatto sparire nella regione ad est di quest’ultima la foresta tropicale, che è stata sostituita dalla savana. Questo fatto avrebbe reso certi gruppi di primati specializzati per la vita sugli alberi meno adatti alla nuova situazione e avrebbe indotto il loro evolversi da animali arrampicatori verso animali camminatori. In particolare avrebbe permesso l’assunzione di una postura eretta, liberando l’uso degli arti anteriori, che poterono essere usati per una serie di altre funzioni (tra cui nel proseguo la produzione di manufatti) e favorito lo sviluppo di una sempre più alta cerebralizzazione. Si può comprendere così l’emergere, prima, della linea degli australopitechi e, poi, delle varie specie di Homo, fino all’Homo Sapiens attuale.

Per sé la descrizione che le scienze della natura danno dell’origine dell’uomo non è in nulla diversa da quella che darebbero di ogni altra specie vivente. Le leggi fisiche e chimiche che si possono applicare alla comprensione dei processi che si verificano in seno all’organismo umano sono assolutamente le stesse che usiamo per spiegare le proprietà di un cristallo, quelle di un altro corpo inorganico, il funzionamento di una cellula o quello di un qualsiasi organismo pluricellulare. Da questo punto di vista la natura dell’uomo, pur nella sua molto maggiore complessità, non sarebbe concettualmente diversa da quella dell’orologio a pendolo, se non per il ruolo particolare che hanno nella sua fisiologia, come in quella di tutti i viventi, strutture di natura microfisica e quindi effetti quantistici..

Come ho già insistito altre volte (soprattutto nella mia relazione dello scorso anno su “Soggettività e fisica del sistema

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones nervoso”), tuttavia, ciò che appare effettivamente nuovo con l’uomo è la comparsa della coscienza di sé; è in ciò che emerge una realtà superiore che veramente trascende tutto l’ordine precedente. Per molti studiosi, a causa delle loro concezioni filosofiche, la comparsa della coscienza di sé è semplicemente il traguardo ultimo raggiunto dall’evoluzione biologica e non pone particolari problemi. Credo, invece, che a chiunque sia privo di preconcetti, non possa non apparire ovvio che tutto ciò che riguardo l’ambito della soggettività resta necessariamente al di fuori delle prospettive e dalle categorie concettuali delle scienze della natura.

Una caratteristica costitutiva delle scienze della natura, secondo le prescrizioni metodologiche formulate ancora da Galileo, è, ripeto, quella di restringere la propria attenzione a quelle che saranno dette da Locke le qualità primarie, cioè a caratteristiche degli oggetti in studio che sono suscettibili di misura e matematizzazione. Coerentemente con questa scelta, le stesse grandezze di base utilizzate dalla scienze devono essere introdotte attraverso convenzioni linguistiche precise, le definizioni devono essere operative, i metodi di controllo seguire protocolli appropriati, prescindendo da ogni valutazione soggettiva. Sono proprio queste scelte che rendono i procedimenti scientifici per quanto possibile non ambigui e i risultati obiettivi, almeno in determinati contesti, e in linea di principio controllabili da chiunque. Naturalmente le convenzioni, le definizioni, i protocolli per essere espressi richiedono un ricorso al linguaggio comune e questo fa inevitabilmente appello alla nostra esperienza soggettiva. Questa viene messa, però, per così dire tra parentesi ed è come tale sempre esclusa dalla considerazione delle scienze. Espressioni come identità personale, coscienza di sé, percezione cosciente, libera scelta, che fanno appello a esperienze irriducibili e per sé incomunicabili, non possono avere in esse alcuna collocazione.

Oggi abbiamo fatto grandissimi progressi nella comprensione del funzionamento del nostro sistema nervoso. Ma il punto di

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vista sotto cui le scienze della natura affrontano questi problemi è un punto di vista puramente funzionale. Noi possiamo porre certi processi che si svolgono nel nostro cervello in relazione con le nostre percezioni visive, tattili, auditive ecc., ma questo solo nel senso di un’associazione estrinseca, senza mai andare alla radice della nostra esperienza reale. La descrizione dei processi cerebrali come data dalla Neurologia è, come ho detto altre volte, una descrizione che riguarda sempre un oggetto terzo, il comportamento di un automa; essa neppure sfiora il problema della soggettività, del nostro io e della nostra interiorità.

Per cercare di rendere il mio discorso più esplicito riprendo (anche sapendo di ripetermi) l’esempio che ho gia discusso più volte in passato della percezione dei colori, come è descritta dal punto di vista del fisico e vissuta dalla nostra esperienza. Per il fisiologo o il fisico la nostra retina contiene due tipi principali di recettori i bastoncelli e i coni. I primi sono sensibili in modo poco differenziato a tutte le radiazioni luminose che cadono nella regione del visibile, quindi con lunghezza d’onda λ compresa tra circa 750 e 400 nm (1 nm = 10-9 m), e sono legati alla visione in bianco e nero. I secondi sono legati alla percezione dei colori, corrispondentemente contengono tre tipi diversi di pigmento e hanno curve di sensibilità centrate su tre regioni distinte dello spettro visibile. Un primo gruppo ha il massimo della sensibilità verso le lunghezze d’onda maggiori, la regione del rosso, il secondo verso le lunghezze d’onda medie, la regione del verde, e l’ultimo verso le lunghezze d’onda più brevi, la regione dell’azzurro. Ciascuno di tali ricettori è collegato a fibre nervose diverse e mette in attività moduli differenti nella corteccia visiva primaria. Successivamente questi dati vengono ricomposti e integrati, in una maniera abbastanza complessa, e si traducono in certi pattern di attivazione al livello della nostra corteccia associativa2. Che

2 Si parla di attivazione di un neurone quando questo è attraversato da un impulso elettrico di depolarizazione (potenziale d’azione), si parla di

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tutto questo meccanismo sia strettamente connesso con la nostra percezione visiva è empiricamente evidente e un danno incidentale o genetico a qualche parte essenziale del nostro apparato ha per conseguenza la cecità totale, la cecità totale ai colori o la cecità (o comunque la non uguale sensibilità) a certi colori. Si tratta però di un’associazione puramente esteriore, di una semplice corrispondenza, e non si vede quale relazione intrinseca possa esservi tra l’attivazione di certi moduli cerebrali piuttosto che altri e la nostra soggettiva percezione della luce, delle forme e del colore. Le due realtà ci appaiono del tutto incommensurabili e il solo modo in cui noi nella nostra storia abbiamo potuto cogliere la nozione di colore, imparare a distinguere tra il verde e il rosso o essere capaci di trasmettere tali concetti ad altre persone, è vivendo o facendo rivivere certe esperienze. Nessuna illustrazione scientifica dei processi che si verificano nel nostro occhio o nel nostro sistema nervoso, sia periferico sia centrale, può sostituire l’esperienza diretta, né certamente essere usata per tentare di comunicare ad un cieco l’idea della luce o a un daltonico la differenza tra il verde e il rosso. Il semplice appello ad una percezione soggettiva implica immediatamente un riferimento ad un’identità personale.

Detto questo, dovrebbe risultare ovvio che le scienze della natura corrispondono ad un punto di vista sulla realtà che, pur essendosi rivelato per molti aspetti estremamente fecondo, non può tuttavia pretendere di essere esaustivo e non può soprattutto pretendere di accedere alla nostra interiorità. Anche la Psicologia, la scienza che più si avvicina alla considerazione della nostra persona, studia in realtà l’uomo dal solo punto di vista del comportamento; da un punto di vista in cui le sofferenze e le reazioni di un singolo sono comuni, poste certe circostanze, a quelle di altri. Essa non tocca mai veramente

attivazione di un certo modulo della corteccia cerebrale quando una percentuale superiore ad una certa soglia dei suoi neuroni è simultaneamente attivata partecipando al costituirsi all’interno del cervello di uno specifico insieme di circuiti chiusi.

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones l’individualità ultima di ciascuno di noi! Nonostante questo, ripeto, accanto a posizioni che esplicitamente riconoscono una realtà soggettiva che trascende l’aspetto puramente corporeo, dobbiamo costatare l’esistenza nella Neurifisiologia di un atteggiamento filosofico non minoritario, secondo il quale, oltre quello di comprendere i processi che si svolgono nel nostro cervello, non esiterebbe altro problema dotato di senso. Nella versione scritta della mia relazione dello scorso anno ho riportato alcuni commenti rilasciati alla stampa da F. H. Crick (che insieme a J. D. Watson ha scoperto la struttura del DNA) e dal suo collaboratore C. Koch del California Institut of Technology, in occasione di un loro recente articolo apparso sulla rivista Neurosciences. In particolare Koch così si esprimeva: “E’ ormai evidente che la coscienza nasce da reazioni biochimiche. Per la prima volta abbiamo uno schema coerente e complessivo della coscienza in termini filosofici, psicologici e neuro-nali”. E’ chiaro, d’altra parte, dallo stesso tenore dell’affermazione, che questo autore si pone qui da un punto di vista esclusivamente funzionale. Il solo commento che io posso fare, di fronte a prese di posizione del genere, è la viva sorpresa che scienziati, anche di grande valore, mostrino una completa cecità di fronte al problema del nuovo che emerge, quando facciamo appello alla coscienza che abbiamo di noi stessi, rispetto alla semplice considerazione del comportamento di un automa (sia pure molto complesso). Dietro quest’atteggiamento c’è naturalmente una filosofia puramente scientista, ma è proprio nella presente prospettiva che una tale filosofia mostra tutti i suoi limiti.

Ritornando all’evoluzione dei viventi, constatiamo comunque che, al raggiungimento di un determinato livello di complessità, compare qualcosa che va aldilà della semplice unità che viene dall’organizzazione delle parti e dalle loro azioni e retroazioni. Questo è chiaro nel caso dell’uomo, data la coscienza che ognuno di noi ha di se stesso, ma potrebbe essere vero anche per altri animali superiori, se fossimo disposti ad attribuire anche ad essi una qualche embrionale coscienza di sé. Molte

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones persone, affezionate al loro cane o a qualche altro animale domestico, sono portate ad attribuire a questi reali sentimenti e affettività. Il rischio di antropomorfismi in queste cose è però molto alto e per gli animali si potrebbe anche accettare il punto di vista della Teoria delI’Identità e pensare che questi non siano troppo diversi, appunto, da automi molto complessi.

A questo punto un riferimento a Teilhard de Chardin diviene d’obbligo. Teilhard parla per tutte le cose di un senso esterno, quello di cui si occupa la Fisica, e di un senso interno che va al di là della Fisica e che include, per quel che capisco, una sorta di psichismo universale. Una particella elementare, un elettrone o un protone, avrebbe essa stessa un suo senso interno. Il sistema composto, tuttavia, come ha un suo diverso senso esterno, una sua unità come sistema che non è semplice somma di parti, avrebbe anche un nuovo senso interno che riflette ma va oltre una tale unità. Al raggiungimento di ogni nuovo livello di complessità sul piano fisico, corrisponderebbe una realtà nuova anche al livello del senso interno e questo appunto spiegherebbe l’emergere di uno psichismo sempre più esplicito.

L’obiezione che io faccio ad un tal modo di vedere, che pure per molti aspetti presenta una forte suggestione, e a tutte le forme di panpsichismo (da cui pure molti oggi appaiono attratti) è che la percezione che noi abbiamo di noi stessi è quella di una realtà semplice, altamente singolare, irripetibile e non riducibile ad altro. Non riesco assolutamente a capire come si possa pretendere di far emergere la mia persona dall’organizzazione di un certo insieme di parti, piuttosto che altre o da un certo piano di organizzazione piuttosto che un altro. Avendo fatto un’osservazione del genere ad un convegno degli amici di Teilhard de Chardin a cui ho avuto quest’anno l’occasione di partecipare a Milano, mi sono sentito rispondere da una graziosa relatrice, molto brava ed efficace, che con le mie considerazioni mi mettevo in una prospettiva dualista.

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Anche a questo proposito, mi pare allora opportuno riprendere il discorso che facevo lo scorso anno. Avevo ricordato che esistono nella tradizione occidentale due fondamentali correnti di pensiero. La prima (che fa capo in qualche modo a Platone, ha trovato la sua espressione più esplicita in Cartesio ed è stata ripresa di recente nella cosiddetta interpretazione dualista interazionista di K. Popper e J. Eccles) ritiene l’anima, la mente, la nostra realtà soggettiva, comunque si voglia di volta in volta chiamarla, una realtà del tutto indipendente dal corpo, che opera tuttavia attraverso di esso; usando una metafora moderna la paragonavo ad un operatore che pigi sui tasti di un computer. La seconda (che fa capo ad Aristotele, include tra gli altri, in una rilettura cristiana, S. Tomaso d’Aquino ed è stata seguita da gran parte della Teologia successiva) considera l’anima come forma del corpo. Il pericolo insito in questa seconda concezione è che il termine forma venga inteso come piano di organizzazione in un senso puramente fisico; nel qual caso essa non differirebbe da un’interpretazione materialista. In realtà già Aristotele, come ha sottolineato più volte Del Re (che ha studiato abbastanza a fondo il problema), e certamente i suoi continuatori cristiani col termine forma intendono qui, non la semplice strutturazione materiale, ma un più generale principio che in-forma il corpo, inerisce al corpo e ne fa un essere razionale. Mi pare che la posizione di Teilhard, pur nella sua specificità, sia in qualche modo più vicina a questa seconda corrente di pensiero.

La prima interpretazione ha certamente il merito di fornire un modello schematico ma ben definito, sulla linea del modo di pensare dei matematici e dei fisici; ha il torto, però, di rompere l’unità dell’essere umano e di prescindere dal legame profondo che sembra esistere tra la nostra realtà fisica e la nostra realtà spirituale. Di fronte alla seconda io mi trovo, d’altra parte, come ho detto altre volte, in un certo disagio, perché non riesco a dare alla stessa una piena concretezza. Credo vada certamente sottolineato che noi dipendiamo dal nostro corpo anche per un insieme di qualità che consideriamo abitualmente

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones spirituali, come sono le nostre specifiche attitudini intellettuali, la nostra sensibilità artistica, la nostra emotività e quindi i nostri stessi sentimenti. Queste qualità, però, proprio per il fatto che le chiamiamo nostre, sono ben lungi dall’esaurirsi nelle caratteristiche fisiche del nostro cervello, o anche del suo software, e richiamano invece a qualcosa che va oltre, che le trascende. Le due realtà appaiono strettamente legate, appaiono convenire l’una all’altra, ma nessuna delle due è riducibile all’altra. Credo che, nelle discussioni dello scorso anno, ci fossimo accordati sulla locuzione che l’emergere del cosciente di sé avvenisse con la comparsa dell’animale uomo per effetto dell’evoluzione e non come semplice conseguenza di questa.

Concludendo, mi pare che tutte le forme di emergenza di cui siamo testimoni nel mondo che ci circonda, inclusa la vita nel senso organico del termine, possano essere fatte rientrare nel dominio della Fisica o, più in generale, della Scienza della Natura; escluso però l’uomo, se inteso nella pienezza del suo psichismo. La Scienza della Natura risponde ad un approccio alla realtà che non può essere esaustivo e in particolare non può cogliere la soggettività. L’emergenza del cosciente di sé trascende perciò, necessariamente, il fatto puramente fisico. Come lo scorso anno, concludo, però, che il legame, certamente profondo, che esiste tra la nostra realtà fisica e il mondo della nostra esperienza interiore mi appare velato dal mistero. Non mi soddisfa la soluzione facile, la soluzione dualista, che vede le due realtà semplicemente giustapposte; non posso, tuttavia, non ritrovarmi nella posizione di Pio XII che indicava l’anima di ogni uomo come creata, comunque, immediatamente da Dio.

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones DIÁLOGO - Dr. Gratton: En la exposición del profesor Prosperi, distinguimos primero una emergencia de propiedades nuevas mediante la combinación de los componentes, por ejemplo, elementos mecánicos en el caso del reloj. Se podría decir componentes “pasivos” los cuales combinados según un proyecto -un diseño- dan origen a una propiedad nueva. Una pregunta es sobre este aspecto de la cuestión y después hay otro aspecto en la cual interviene la mecánica cuántica que será la segunda pregunta. En la primera tenemos un elemento importante en la descripción de emergencia del profesor Prosperi: el tema del proyecto o diseño.

Ahora bien, en algunos casos -no en el caso del reloj- la combinación de componentes puede haber sido el resultado de acciones naturales o que, por lo menos para nuestra comprensión, son el resultado de procesos que no siguen un plan explícito y por lo tanto, son el resultado de la aleatoriedad o de la casualidad. La primera pregunta es ¿el aspecto del diseño es una interpretación humana -que nosotros introducimos en esta definición de emergencia- o dejamos abierta la idea de emergencia sin que la presencia de un diseño o un proyecto sea un elemento constitutivo de la definición? Es decir, ¿hay una emergencia con un sentido fuerte, en el cual necesariamente hay un proyecto? y por otro lado, ¿tenemos una emergencia de carácter más débil, sin proyecto? Esta última podría ser, por ejemplo, la emergencia de los átomos de los elementos. Parece que a medida que el universo ha evolucionado los campos fundamentales han cambiado sus propiedades, se han dado condiciones en las cuales ha habido recombinación de la materia ionizada y finalmente a condiciones de ambiente estelar que han permitido la generación de los átomos de los diversos elementos. Es decir, ¿en qué medida hay necesidad de un plan en el concepto de emergencia o si también la casualidad, el alea, puede participar en la idea de emergencia.

La segunda pregunta es más bien una reflexión. Cuando interviene la mecánica cuántica, como muy bien ha destacado Prosperi, tenemos una diferencia substancial respecto del puro assemblaggio, en castellano sería ensamblado - el ensamblado mecánico del reloj por ejemplo. En el caso del reloj básicamente tenemos la suma de las partes, hábilmente armadas por un artesano que tiene un proyecto. Pero en el caso de la mecánica cuántica, tenemos una novedad substancial, porque las partículas no son independientes de sus campos, sino que son manifestaciones del campo. Distintos estados del campo nos hacen encontrar, bajo ciertas condiciones las partículas como independientes o

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones separadas y, en otras condiciones, el conjunto de las partículas tiene una propiedad nueva -me refiero al principio de Pauli o la antisimetría necesaria de las funciones de onda en el caso de los electrones por ejemplo- la cual no la tienen las partes cuando están separadas. Es decir, se trata de una emergencia de carácter intrínseco, lo expresó muy bien Prosperi y yo quería sólo subrayarla. - Prof. Prosperi: Ho usato il termine progetto, ma non volevo usarlo, almeno a questo livello, nel senso di progetto di un essere intelligente. Questo potrà essere, semmai, in certi casi, il risultato di un’interpretazione successiva. Volevo semplicemente mettere in evidenza che il modo in cui le parti sono organizzate porta ad una realtà nuova rispetto a quella delle parti isolatamente prese, indipendentemente dalla via attraverso cui questa organizzazione si sia costituita, quindi anche se si fosse costituita per via naturale (immagino che tu pensassi, ad esempio, al caso degli esseri viventi). Ho usato il termine progetto per marcare l’analogia che ho voluto porre con l’idea platonica (vorrei avere in proposito qualche reazione da parte professor Bazán), o col caso del poema. Avrei potuto anche usare il termine informazione nel senso oggettivo proprio della Teoria dell’Informazione. E’ chiaro che un poema è pensato da una persona, ma, una volta che è stato composto esso ha una sua realtà in qualche modo indipendente da chi lo ha creato e spesso di fatto sopravvive al suo autore.

Un problema simile si presenta anche a proposito del dibattuto problema della realtà degli enti matematici. Il problema è controverso e non credo si possa dare una risposta banale. E’ però nell’esperienza di ricerca di ogni matematico che, mentre all’atto dell’introduzione di certe definizioni o la decisione di considerare certe strutture, egli sente di operare personalmente delle scelte, successivamente quando tali scelte sono state fatte, egli avverte di doversi confrontare con qualcosa che sta di fronte a lui e di cui non può più disporre a proprio piacimento. Da quel momento ciò che egli trova appare avere il carattere di una scoperta e più che di un’invenzione.

Quel che vorrei dire è che un’idea, un piano di organizzazione, hanno in qualche modo una loro realtà anche indipendentemente da come concretamente realizzati o anche solo esplicitamente pensati. Così un orologio non sarebbe costruibile, se io non avessi dei pezzi che hanno determinate proprietà. Però ciò che fa dell’orologio un strumento atto a misurare il tempo non sono i pezzi singoli, o non solo i pezzi singoli, ma il modo, il piano secondo cui questi sono messi insieme. E’ questo che fa emergere quel totalmente nuovo che l’orologio rappresenta rispetto ai suoi pezzi separatamente presi, e ciò al livello della struttura,

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones indipendentemente dall’intenzionalità che vi è stata nella costruzione. In questo senso il discorso è, per lo meno per certi aspetti, estendibile anche alla Biologia e alla comparsa delle vita. Mi pare si possa dire che un organismo vivente è quel che è proprio perché organismo, cioè perché insieme di parti macroscopiche, di molecole e di macromolecole interdipendenti, che agiscono in modo altamente coordinato. Ciò indipendentemente da come questo insieme si sia costituito.

Nel caso dell'atomo, della molecola, degli oggetti microfisici in genere, del concetto di stato quantistico, mi pare appaia, tuttavia, qualcosa di diverso, che non è possibile ricondurre alla semplice idea di un coordinamento strutturale. Sembra esistere proprio un salto qualitativo, come hai confermato tu, che mi sembra di notevole importanza. In particolare, tra i diversi stati di un campo o di un sistema di campi appaiono esistere differenze qualitative sostanziali; diversi stati possono significare, ad esempio, numeri di particelle diversi. Nel linguaggio dei campi un orologio corrisponde ad uno stato di un sistema di campi, o meglio ad una componente locale di uno stato di un tale sistema. Mi pare che questo aspetto dei campi quantistici, questo qualche cosa di sostanzialmente nuovo che può esserci in ogni stato non sia normalmente messo sufficientemente in evidenza. - Dra. Archideo: Quería hacer una pregunta. En el segundo caso de la teoría cuántica, parece más claro lo de la emergencia. En el primer caso no acabo de entender cómo, dadas las causas -porque una de las causas es la idea que tiene aquél que va a hacer el reloj, o sea, la causa final, la podría llamar, e incluso está adherida a la causa eficiente, o sea el qua va a hacer el reloj, agregado a lo cual están todos los materiales que se conforman para el reloj- la emergencia es algo distinto. Evidentemente se da otra forma, pero entonces, todo es emergencia bajo ese punto de vista, porque también en el caso de un poema si aquel poeta que va a hacer el poema tiene tal idea, etc., etc., las palabras existen, el modo de componerlas dependen también de la lengua. etc., etc., o sea, todas las causas están allí, se trata nada más que de una causa eficiente que a su vez tiene un fin bien claro plasmado por su creatividad, como es el caso del hombre que piensa, entonces, no veo realmente cuál es la emergencia en eso. Entiendo que es esa nueva forma por la cual es reloj y no es micrófono, pero no alcanzo a ver que eso sea realmente emergencia, salvo en sentido analógico. - Prof.: Prosperi: Come al solito dobbiamo intenderci sul senso che diamo alla parola emergenza. Quello che comunque intendevo, per esempio nel caso di un poema come La Divina Commedia, è che questo

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones si esprime attraverso un insieme di parole. Ma il poema non sta nella semplice collezione delle parole che impiega, ma nell’idea che è espressa attraverso una specifica disposizione di quelle parole. Così, molto più banalmente nel caso dell'orologio, ciò che fa dell’insieme dei pezzi che lo compongono appunto un orologio, non sono solo i pezzi singolarmente presi, ma è il modo in cui i pezzi sono organizzati insieme. Naturalmente questa organizzazione è il risultato dell’opera di un artefice, che ne è la causa efficiente. Ma il prodotto finale, l’orologio, ha una sua realtà ed è qualcosa di nuovo rispetto alla semplice collezione dei suoi pezzi, che sussiste indipendentemente dal fatto che ci sia stato un artefice e da chi questi sia stato. In questo senso mi sembra si possa parlare di emergenza. Naturalmente vi sono secondo me diversi gradi di emergenza. Io sostengo, per esempio, che la comparsa dell'uomo con la sua coscienza di sé, la capacità di ragionare, la sua sensibilità, la sua libertà costituisce un livello superiore di emergenza che non può essere in alcun modo ridotto a semplice organizzazione di parti. Anche restando semplicemente in un contesto fisico esistono però, ripeto, diversi tipi di emergenza. Il nuovo che ci viene posto in evidenza dalla Teoria Quantistica è già un nuovo di livello superiore rispetto a quello rappresentato dall’orologio rispetto al semplice insieme delle sue parti. - Dra. Archideo: Quello si vede - Prof. Prosperi: Comunque è chiaro che dobbiamo metterci d’accordo sull'uso delle parole. - Dra. Archideo: Esa emergencia para mí, pero no para el poeta, esa emergencia para mí, pero no para el relojero. Allora dov’è l'emergenza per il poeta? - Prof. Prosperi: Io direi che è nella costruzione complessiva, che si esprime attraverso il modo in cui certe parole sono messe insieme in proposizioni, periodi, strofe, o meglio il modo in cui sono messi insieme le idee, i sentimenti, i suoni che a queste parole, a questi periodi, a queste strofe corrispondono. - Dra. Archideo: Ma la sua idea -idea per dire- la sua creatività... - Prof. Prosperi: Mi pare che la creatività sia essenziale nel momento in cui l’opera viene costruita ma, una volta che essa è conclusa, l’emergenza è nell’opera stessa, che sopravvive al poeta. Secondo me bisogna stare, comunque, molto attenti al senso che spesso viene dato alle parole. Al contrario del nostro amico Del Re io non riesco ad essere così felice del fatto che il termine emergenza sia tanto entrato nel linguaggio della filosofia della scienza quasi che questo rappresentasse,

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones se non un’apertura al soprannaturale, per lo meno un non appiattimento ad un livello scientista. In realtà, in molti casi, il solo significato che è dato alla parola emergenza è proprio solo quello della novità e dell’unità che si costituisce in conseguenza dell’organizzazione e del coordinamento di certi componenti. - Dr. Dankert: Creo que es importante que nos pongamos de acuerdo sobre qué quiere decir emergencia porque nos vamos a volver locos sino.

Creo que acá se aclara el problema si en el caso del reloj la emergencia es la idea de hacer un reloj, todo lo demás está subordinado a eso. O sea que el proyecto es lo que emerge en la cabeza del relojero, lo demás son accesorios. - Padre Coyne: Per me la parola in italiano non è emergenza, ma, “l'emergere”, per esprimere il fatto che non parliamo di risultati di un processo, ma di un processo che è sempre in movimento. Credo che sia importante che pensiamo al fatto che è un processo dinamico da un livello all'altro. Introdotto già il concetto “livello” da parte di Prosperi, penso che quel concetto di livelli ontologici dell’essere sia molto importante per capire il concetto di emergere. Ci sono livelli inferiori e livelli superiori. L'emergere non è un concetto univoco ma è un concetto analogico, ovviamente, che dipende dai livelli di cui si tratta. C'è una causalità da un piano sottostante ad un piano sovrastante e simultaneamente una causalità dal livello superiore al livello inferiore, dal di sopra al di sotto. Ovviamente se esiste un livello spirito emerso da un livello inferiore è molto importante, quell'emergere starebbe ontologicamente molto più alto di qualsiasi altro emergere. - Prof. Abbona: Solo una domanda sul concetto di campo. É un concetto o è un ente? Una domanda un po' banale. - Prof. Prosperi: Io direi che, se gli enti fisici sono enti, il campo è un ente. Mi spiego, io credo che noi dobbiamo attribuire a tutte le teorie scientifiche il carattere di modelli. Tutti i nostri tentavi di comprendere la natura si basano, cioè, fondamentalmente su costruzioni analogiche. Questo modo d’intendere mi sembra essenziale, come ho detto altre volte, perché si possa capire la natura del progresso della scienza e come sia possibile affrontare i medesimi problemi con metodologie e categorie concettuali diverse, quando si considerano a livelli e in contesti diversi. Ciò premesso, però, direi che il campo è un ente quanto un automobile, un bicchiere od un atomo. E’ semmai un ente ad un livello più fondamentale.

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones - Prof. Abbona: Il campo? - Prof. Prosperi: Dal punto di vista della Fisica Classica il campo è un entità specificata in ogni istante dai valori assunti punto per punto da una o più grandezze, secondo la particolare natura del campo stesso. Il campo deve obbedire a certe leggi, generalmente espresse tramite un sistema di equazioni alle derivate parziali che regolano la sua evoluzione dinamica, come le equazioni di Newton regolano il moto di un sistema meccanico. Nell’ambito della Teoria Quantistica, al campo dovranno invece essere applicate tutte le regole e l’apparato matematico proprio di questa. Lo stato del campo cesserà di essere specificato da un insieme preciso di valori di grandezza variabili con continuità col posto e col tempo, ma lo sarà attraverso un vettore di stato (un vettore di modulo uno in un appropriato spazio astratto con un numero infinito di dimensioni). La conoscenza di tale vettore permette di calcolare le probabilità che si verifichino certi processi piuttosto che altri. L’energia e la quantità di moto del campo risultano quantizzate e, come conseguenza, esistono stati che si possono far corrispondere alla presenza di certe particelle (con certe energie e certe quantità di moto). Un urto tra particelle nel quale spariscono alcune di quelle iniziali e ne vengono prodotte di nuove corrisponde semplicemente ad uno scambio di energia tra campi diversi. Esistono, però, anche stati che non sono interpretabili in termini di particelle o perlomeno di un numero finito di particelle.

In questo contesto mi sembra interessante far notare che il cosiddetto stato di vuoto corrispondente all’assenza di particelle è qualche cosa di ben diverso dal nulla metafisico. Si tratta semplicemente di uno stato del campo, dello stato di minima energia, dello stato di qualcosa che come tale esiste. E la transizione di un campo da uno stato di falso vuoto (che non è uno stato di minima energia) verso il vero stato di vuoto, che in alcune teorie cosmologiche dovrebbe dar luogo con l’energia liberata alle prime particelle materiali, non è affatto da intendersi come creazione dal nulla per effetto una fluttuazione quantistica, come vorrebbe certa divulgazione. Se studiamo un processo del genere nel contesto di una teoria di campo, lo facciamo con riferimento appunto al campo, che è il fondamento di tutto, e alle leggi che lo regolano.

Mi pare si debba proprio dire che il campo è un ente - Dr. García Bazán: Lo que quería es hacer una observación en relación con el tema del poeta y la originalidad en relación con el poema.

Efectivamente, el problema del científico de alguna forma, yo diría, es que observa la originalidad y lo nuevo en La Divina Comedia, pero el

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Epistemología de las Ciencias. La Emergencia (2004) CIAFIC Ediciones hecho concreto es que el filósofo se preocupa por mostrar en qué consiste la originalidad de ese mismo poema. Esto se ve muy claro justamente en el ámbito del platonismo y en relación con Aristóteles. El tema del modelo a seguir, Aristóteles lo proporciona cuando dice que: “el artista imita a la naturaleza”. Tenemos ahí el modelo y el agente, o sea tenemos la causa formal y la final y la eficiente. Pero hay toda una polémica subsiguiente: ¿En qué consiste el imitar a la naturaleza? ¿En que consiste esa mímesis? Plotino da una respuesta transparente.

En realidad el artista imita a la naturaleza en el sentido de que imita el modo de producir propio de la naturaleza; el artista intuye los mismos principios que están en los comienzos de las actividades y desarrollos naturales. No toma modelos exteriores, sino que toma de la interioridad y en ese sentido completa al orden y es original.

En el caso del reloj. El buen relojero -y ahora remitiéndonos a Leibniz- lo que haría es intuir un aspecto fundamental de la armonía preestablecida y plasmarla en un buen reloj. Pero siempre estamos escapando, para que haya originalidad, de los modelos establecidos y vamos al principio del modelo. En este sentido creo que la palabra “emerger”, con el sentido dinámico y activo, une más al pensamiento científico moderno, que parte de la observación, con lo que los filósofos pueden haber pensado acerca de la emergencia. © 2004 CIAFIC Ediciones Centro de Investigaciones en Antropología Filosófica y Cultural Federico Lacroze 2100 - (1426) Buenos Aires e-mail: [email protected] Dirección: Lila Blanca Archideo ISBN 950-9010-40-5

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