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luglio-agosto 2015 32 A l giorno d’og- gi, le costru- zioni navali in legno sono più rare che in passato. Le chi- glie in ferro, poi quel- le in resina, si sono di- mostrate più leggere e resistenti e la loro ma- nutenzione è più sem- plice e meno costosa. In passato, però, il legno era l’unico materiale da costruzione d’ogni genere d’imbarcazione e veni- va adoperato per le parti della nave alle quali più si prestavano le caratteristiche della pianta da cui era tratto. Divisi in quattro categorie – legname da costruzione, da alberatura, da ebanisteria e da bot- teria e scultura – i legni considerati più adatti alle costruzioni navali passavano di poco la trentina fra quelli di tutto il mondo e si articolavano ulte- riormente in legnami affondanti e galleggianti. Nell’antichità, il legno più pregiato era stato quello del cedro del Libano, cedrus syriaca. Comunissimo nel Libano, in Siria e in Palestina, apprezzatissimo per le costruzioni terrestri e navali, era stato così sfruttato che a metà Ottocento non ce n’era quasi più. Di conseguenza, in Europa, il legname da co- struzione per eccellenza era quello della famiglia delle querce, alla quale appartenevano diverse spe- cie. Erano accomunate da una caratteristica di cui i costruttori tenevano conto: “la quercia, a misura che nasce in paesi di clima freddo perde della sua forza e si imputridisce con prestezza; così la migliore qualità di quercia si è quella delle Calabrie, e la peggiore quella di Russia; come ancora è a notarsi essere le querce ameri- cane inferiori per qualità a quelle di EuropaLa quercia più adope- rata era il rovere, quercus robur: pesan- te, duro, resistente all’acqua, era adope- rato per l’ossatura della nave e per il fa- sciame della carena, per chiglia, contro- chiglia, ruote di pop- pa e di prora, dragan- te, controdragante, madieri, forcacci, staminali, scalmi, cinte e paramezzale. Se poi i suoi rami da- vano dei pezzi divergenti li si usavano come brac- cioli. Sempre per tutte le parti dell’ossatura si usa- va molto la quercia peduncolata, quercus peduncu- lata, tipica dell’Europa Centrale e la più grossa del- l’intera famiglia delle querce. Nell’America Setten- trionale venivano usate per l’ossatura le tre querce bianca, gialla e rossa, rispettivamente quercus alba, tinctoria e ruber, così chiamate dal colore dei loro legni. Molto più reputato era il pino americano, o pinus americana, capace di raggiungere i 60 metri d’altezza, diffusissimo in tutta l’America setten- trionale e quindi adoperato per qualunque genere di costruzione navale. In Oceania, si usava molto il pino australe, pinus australis, acclimatato anche nell’Europa meridionale. Il miglior legno da costruzione era però senza dub- bio il teak, tectania indica, più duro del rovere e ca- pace di dare vita più lunga alle navi, tanto che al- cuni dei bastimenti inglesi costruiti nei cantieri indiani di Bombay risultarono più longevi dei loro omologhi europei. La balata masaranduba, mimusops balata, una sapo- nacea sudamericana tipica dell’America Latina Legno e legname di Ciro Paoletti In tempi non lontani il mondo del legname è stato essenziale per le navi di tutto il mondo

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Al giorno d’og-gi, le costru-zioni navali in

legno sono più rareche in passato. Le chi-glie in ferro, poi quel-le in resina, si sono di-mostrate più leggere eresistenti e la loro ma-nutenzione è più sem-plice e meno costosa.In passato, però, il legno era l’unico materiale dacostruzione d’ogni genere d’imbarcazione e veni-va adoperato per le parti della nave alle quali piùsi prestavano le caratteristiche della pianta da cuiera tratto. Divisi in quattro categorie – legname dacostruzione, da alberatura, da ebanisteria e da bot-teria e scultura – i legni considerati più adatti allecostruzioni navali passavano di poco la trentinafra quelli di tutto il mondo e si articolavano ulte-riormente in legnami affondanti e galleggianti.Nell’antichità, il legno più pregiato era stato quellodel cedro del Libano, cedrus syriaca. Comunissimonel Libano, in Siria e in Palestina, apprezzatissimoper le costruzioni terrestri e navali, era stato cosìsfruttato che a metà Ottocento non ce n’era quasipiù. Di conseguenza, in Europa, il legname da co-struzione per eccellenza era quello della famigliadelle querce, alla quale appartenevano diverse spe-cie. Erano accomunate da una caratteristica di cui icostruttori tenevano conto: “la quercia, a misura chenasce in paesi di clima freddo perde della sua forza e siimputridisce con prestezza; così la migliore qualità diquercia si è quella delle Calabrie, e la peggiore quella diRussia; come ancora è a notarsi essere le querce ameri-cane inferiori per qualità a quelle di Europa”

La quercia più adope-rata era il rovere,quercus robur: pesan-te, duro, resistenteall’acqua, era adope-rato per l’ossaturadella nave e per il fa-sciame della carena,per chiglia, contro-chiglia, ruote di pop-pa e di prora, dragan-

te, controdragante, madieri, forcacci, staminali,scalmi, cinte e paramezzale. Se poi i suoi rami da-vano dei pezzi divergenti li si usavano come brac-cioli. Sempre per tutte le parti dell’ossatura si usa-va molto la quercia peduncolata, quercus peduncu-lata, tipica dell’Europa Centrale e la più grossa del-l’intera famiglia delle querce. Nell’America Setten-trionale venivano usate per l’ossatura le tre quercebianca, gialla e rossa, rispettivamente quercus alba,tinctoria e ruber, così chiamate dal colore dei lorolegni. Molto più reputato era il pino americano, opinus americana, capace di raggiungere i 60 metrid’altezza, diffusissimo in tutta l’America setten-trionale e quindi adoperato per qualunque generedi costruzione navale. In Oceania, si usava moltoil pino australe, pinus australis, acclimatato anchenell’Europa meridionale.Il miglior legno da costruzione era però senza dub-bio il teak, tectania indica, più duro del rovere e ca-pace di dare vita più lunga alle navi, tanto che al-cuni dei bastimenti inglesi costruiti nei cantieriindiani di Bombay risultarono più longevi dei loroomologhi europei.La balata masaranduba, mimusops balata, una sapo-nacea sudamericana tipica dell’America Latina

Legnoe legnamedi Ciro Paoletti

In tempi non lontaniil mondo del legname

è stato essenzialeper le navi di tutto

il mondo

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nordorientale, reperibile inGuiana, Venezuela, Colom-bia e nel nord del Brasile,dal colore rossastro, era du-revole e impiegata special-mente per la costruzionedelle opere vive e dei brac-cioli. Dalla stessa zona veni-va il ciliegio brasiliano, det-to nell’Ottocento “Curbata-ri” e scientificamente notocome hymenea courbaril, dacui si ricavava e si ricava ilcoppale e che si prestava arealizzare qualsiasi pezzo dicostruzione, tanto drittoche curvo. Il Maho sudame-ricano era specialmenteadoperato per le bordaturedelle opere vive. Altro legnoamericano era quello di Ua-pa, originario della Guiana:d’alto fusto, duro, immarcescibile nell’acqua, anzi,tendente a pietrificarsi, resinoso, rossastro, era notoper la sua durezza e se ne facevano le bordature del-le opere vive e le palanche per i lavori idraulici. Ilguajaco – lignum vitae – originario dell’AmericaCentrale era adoperato per la sua durezza come so-stitutivo del bronzo per le pulegge dei bozzelli. Inalternativa, specie in America, si adoperava il Legnodi ferro, siderorylon cinereum, ancora più duro.Dall’Asia, dal subcontinente indiano, veniva la va-leria indica, detta ponna, un sempreverde tipico diCeylon e dell’Indostan, ottimo per tutti i tipi dicostruzione.Il faggio, fagus sylvatica, alto e dritto, lungo e flessi-bile, era assai apprezzato per costruire remi, aste,aspe per argani, agghiacci, barre per i portelli, cerchiper le rande, bordature per i palischermi, grate per iboccaporti. Il larice, pinus larix, diffuso nell’area me-diterranea, specie in Corsica e sul Gargano, andavabene per le bordature delle opere morte, ma era po-co usato per le coperte e reputato assolutamenteinadatto all’alberatura. Quasi lo stesso valeva per ilpino marittimo, pinus maritima, noto nell’Italia Me-ridionale come “zappino”, adoperato per il fasciamedell’opera morta, i baglietti e il tavolame dei ponti ebasta. Invece era considerato ottimo per il fasciamedell’opera viva il pino fruttifero, o pinus pinea.Il grignano, albero d’alto fusto della Guiana e delBrasile, a grana gialla e liscia, era adoperato per lecoperte dei ponti. Le carapas, al plurale, tra cui la

più adoperata era la carapa guianensis, genere dellafamiglia delle meliacee, la stessa del mogano, era-no considerate eccellenti per fare le bordature perle opere morte, gli alberi composti e i pennoni. Inrealtà non è chiarissimo se ce ne fosse una preferitao se si equivalessero, perché, in base a studi recenti,pubblicati nel 2008, la sola Carapa guianensis è ri-sultata essere un insieme di quattro piante diffe-renti e la famiglia Carapa, un tempo ritenuta di so-li tre componenti, oggi ne enumera ventisette.Il cerro, quercus cerris, veniva adoperato per le bot-ti e i recipienti in genere, dai tini ai buglioli. L’el-ce, quercus virens, dotato di una fibra più compattaed omogenea del rovere, era così resistente ma fa-cile da lavorare, che a metà Ottocento era già dive-nuto assai raro; in marina, si usava per farne muli-nelli, cavicchi, perni per i bozzelli, casse da pastec-che a rastrelliere, gallocce, forbici e manici perstrumenti di ogni genere.Il castagno, castanea vesca, per la sua resistenza al-l’acqua era usato per le botti da acqua e da vino,caratelli, barili, tini, tinozze, gavette, secchie e bi-doni. Il tiglio, tilia sylvestris, bianco e molle, siadoperava per le sculture, come polene, ghirlande,serti di fiori, trofei navali e mensole ornamentali.Il noce, iuglans regia, duro e scuro, fu adoperato alungo per costruire affusti, crocette, bittoni per lepazienze e per lavori di ebanisteria come bussolet-te, paratie a pulimento e imposte da finestre, ma,sia per il suo colore troppo scuro, sia per il dirada-

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Un’immagine tratta dal celebre Arazzo di Bayeux mostra due abbattitori di alberi e, al centro, unmaestro d’ascia intento a lavorare il legno sgrossato per ridurlo in tavole; in apertura una tavoladai Tacuina Sanitatis Casanatensis del XIV secolo che illustra una fase di lavorazione del legname

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mento dovuto a uno taglio eccessivo, dopo l’EtàNapoleonica si usò sempre meno e se ne limitòl’uso alla costruzione di ruote da timone, chiesuo-le per le bussole, stipetti e mobilio comune.Un altro legno durissimo, l’olmo, ulmus campe-stris, invece, era adoperato prevalentemente pergli affusti delle artiglierie navali e per farne ma-schette per gli alberi maggiori, corpi di tromba,crocette, pomi degli alberi, teste di moro al postodel noce, casse per bozzelli e bittoni per le pazien-ze. Un altro legno adoperato per piccole cose era ilcarpino, carpinus betulus, che, in quanto duro e bi-torzoluto, veniva usato quasi solo per le manovel-le e le ruote degli affusti d’artiglieria e altri lavorida carreggio.Il pioppo, populus alba, dal legno bianco e leggerosi usava per cuscinetti da sovrapporre ad altri legnipiù duri per proteggere i cavi dallo sfregamento.L’ebanisteria prevedeva l’uso di vari legnami, fra iquali i più impiegati erano una mezza dozzina. Ilmogano di tutte e tre le diverse specie, swieteniamahogani (mogano cubano), swietenia macrophylla(mogano dell’Honduras) e swietenia humilis (moganomessicano), dalla tessitura stretta e regolare e dallefibre spesso intrecciate a formare un disegno stria-to, si prestava a qualsiasi lavoro e in particolare

per le ruote da timone, le chiesuole delle bussole,gli stipetti, i telai delle porte. In America, grazie albasso prezzo che aveva, si impiegava con successopure per l’ossatura e i rivestimenti delle navi.L’acero – acer pseudoplatanus – alternato al moganoe al palissandro si usava per le porte e le paratie; ea sua volta il palissandro – dalbergia dei vari generi– serviva oltre che per le porte e le paratie, solo peri mobili di bordo e, nella versione detta legno dirosa, per le intarsiature.Restavano un paio di legni di uso considerato tra-scurabile ma che fino alla rivoluzione tecnologicadi fine Ottocento avevano la loro importanza.Uno era il sughero, la corteccia porosa del quercussuber, che allora come in seguito serviva solo per itappi, i galleggianti e i salvagenti. Il suo legno nonsi usava perché, a forza di levare la corteccia, l’al-bero finiva per seccarsi e il legno risultava inutile.L’altro era l’ontano – alnus – che, troppo fragile efacile a marcire, era impiegato solo per farne car-bone naturale da mescolare a zolfo e salnitro perprodurre la polvere da sparo.Quanto legno occorreva per una nave? Tantissi-mo. Ai primi dell’Ottocento si calcolava che percostruire un vascello da 80 cannoni occorressero4.000 querce e 2.000 fra pini ed abeti. Ma, atten-

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Uno scorcio del Bosco Cancegio (del cansiglio in dialetto veneto) con tronchi abbattuti lasciati a stagionare: da questa foresta proveni-va il legname, principalmente i remi in faggio, con il quale venivano realizzate le galee da guerra della Serenissima

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zione, in realtà ne occorrevano di più, perché que-ste 6.000 piante erano quelle effettivamente usate,non quelle tagliate. Il taglio infatti era l’inizio delprocedimento e già da quello si vedevano notevolidifferenze fra il sistema inglese e quello francese eitaliano. Fermo restando che tutti tagliavano lequerce all’inizio dell’inverno e in luna calante,mentre per gli alberi resinosi si aspettava la finedell’inverno, gli Inglesi tagliavano alle radici, cioèa livello del terreno e schiomavano i tronchi se-gando al di sopra dell’inizio della ramificazione. IFrancesi e gli Italiani invece tagliavano circa mez-zo metro al disopra delle radici e al disotto dellabase della ramificazione. Il risultato era che i tron-chi inglesi, oltre ad essere più lunghi non si fende-vano alle estremità, l’attorcigliamento delle fibredi legno nei punti di divergenza delle radici e deirami dal tronco contribuiva a tenere il fusto com-patto, mentre, in sua assenza, i tronchi segati inFrancia ed Italia si fendevano alle estremità ed an-davano ulteriormente segati per poterli lavorare.Non vale la pena d’addentrarsi troppo in tutti gliaccorgimenti seguiti di là e di qua della Manicanel trattare i fusti e basterà dire che il sistema in-glese consentiva una migliore essiccazione del le-gno e di conseguenza una maggior durata degliscafi. Per di più gli Inglesi aspettavano almeno unpaio d’anni prima d’usare i fusti per la costruzio-ne, mentre i Francesi e gli Italiani li lavoravano su-bito. Il taglio dunque era il primo passo da cui po-tevano nascere delle difficoltà tali da rendere ne-cessario abbattere un maggior numero di alberi diquelli strettamente necessari, ma i problemi nasce-

vano nel periodo della conservazione. Infattiquando veniva portato ai cantieri navali, il legna-me veniva accuratamente ispezionato dagli inge-gneri costruttori e dai capimastri carpentieri perverificarne eventuali difetti e vizi. Macchie brunetendenti al giallo, o picchiettature bianche dal for-te odore di tabacco indicavano la grisolia, cioè lafermentazione della linfa rimasta nel fusto e venu-ta a contatto coll’aria. Se la macchia era scura e simanifestava nel mezzo di un nodo, era il cosiddet-to occhio di pernice che indicava che il tronco al-l’interno stava marcendo e, se i carpentieri con lasgorbia ne scavavano il centro, trovavano sicura-mente il “nocchio coperto”, cioè una sostanzamolle e bianchiccia estesa per parecchi centimetrie dal forte odore fungoso.Macchie gialle indicavano un principio di putrefa-zione secca nel cuore del legno, per cui occorrevatagliare il fusto verso l’estremità dove si era mani-festata la macchia e imbiancarlo a calce per vederese la malattia continuava o no. I buchi invece in-dicavano la presenza di un tarlo speciale, il lymexi-lon navalis, la cui presenza è oggi assai ridotta. Neesistevano solo tre specie in tutta Europa, ma sem-pre abbastanza da fare guai, perché le loro larveerodevano il legno assai più in fretta e in maggiorquantità dei tarli comuni.Se il tronco era stato al gelo, poteva essere vittimadi gelicidio, cioè delle fessure prodotte nel legnodalla cristallizzazione della linfa per colpa dell’ec-cessivo freddo invernale che si dividevano in ci-pollature – quando si verificavano intorno al mi-dollo della pianta, come se lo volessero separare

dal resto del fusto – e instellature, cioè in fessureche partivano dal centrodella pianta diffondendosia raggiera verso l’esterno.Rimanevano ancora due di-fetti: la torsione delle fibree la putrefazione secca. La

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Il maestro d’ascia era una figura dispicco nei cantieri navali; espertodei vari legnami ne conosceva l’es-senza, il miglior modo di impiego,e la sua bravura consisteva nel sa-gomare e adattare il legno appenasgrossato trasformandolo in ordi-nate, madieri e altro. Nell’immagi-ne, gli attrezzi da lavoro che usava,la cui forma è rimasta pressochéinalterata nei secoli

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prima consisteva nell’avere le fibre che descriveva-no delle ellissi intorno all’asse dell’albero inveced’essergli parallele. Se il legname era dritto, tantobastava a rifiutarlo, se invece era curvo, lo si accet-tava. La putrefazione secca invece era una vera pe-ste, perché si verificava sul legname tenuto all’a-sciutto e non si poteva impedire in alcun modo. Lalinfa reagiva trasformandosi, ad esempio, in acido

carbonico o in carbona-to d’idrogeno e, mentreall’esterno il troncosembrava intatto, all’in-terno si svuotava la-sciando una cavità sem-pre più ampia e con unapolvere simile al tabac-co. Questo tipo di de-gradazione si verificavatanto all’esterno che al-l’interno dei legni dacostruzione ed era sem-pre accompagnato dallosviluppo di un fungochiamato boletus lacry-mans, descritto per laprima volta nel 1781 daFranz Xavier von Wul-fen, ma identificato piùesattamente come ap-partenente al genere“Serpula” da Petter Kar-sten nel 1884. Cresceva– e cresce – nelle fessure

e nei buchi superficiali del legname estendendosicome un lungo ovale ocra-arancio dai bordi esternibianchi. Per anni si discusse se la sua comparsa fos-se la causa o l’effetto della putrefazione secca, macomunque tutti erano d’accordo che bastasse ve-derlo per rendere necessario il rigetto del legname.Con tutti questi difetti, resi inarrestabili dallamancanza di agenti chimici adatti a contrastarli

ed eliminarli, il legno difet-toso era talmente tanto chesi poteva arrivare a dovernetagliare anche il doppio delnecessario per averne abba-stanza per una sola nave.E la nave, una volta costrui-ta, quanto durava? Nonmolto, almeno secondo icanoni attuali. A metà Ot-

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La nave reale svedese Gustavo Vasa, un galeone da 64 cannoni varato nel 1620, affondò per una se-rie di circostanze durante la cerimonia del varo davanti a Stoccolma su un basso fondale, e vennerecuperato, dopo un lungo oblio di quattro secoli, nel 1961. L’eccellente qualità del legno di quer-cia dello scafo ha consentito la sua perfetta conservazione

Per costruire il vascello inglese So-vereign of the Seas (poi Royal Sove-reign) varato nel 1786, fu necessa-rio utilizzare 10.000 metri cubi dilegname, per lo più querce dellacontea del Northumberland, la cuicontessa disse, amareggiata, il gior-no del varo: “Mi hanno preso un’in-tera foresta per farne una sola nave”

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tocento In media si calcolava adodici anni la vita di una navedi legno a vela e da 15 a 20 an-ni quella di una nave mista avele e vapore, beninteso, a con-dizione che venisse loro fattauna diligente manutenzione.In gran parte la vita della navedipendeva da come era statoconservato il legno prima dicostruirla, per cui si parlava diconservazione a secco, in ac-qua e per iniezione. Quella asecco era reputata la migliore esi faceva tirando in secca il le-gname e mettendolo al riparo,possibilmente sotto una tet-toia. Per iniezione si facevainiettando nel legno della navesale marino, soluzione adottatain Russia, o solfato di rame, co-me si faceva in Francia, o, infi-ne, all’inglese, deutocloruro dimercurio, che però costavatroppo, era velenoso e tropposolubile in acqua.Un altro sistema era quello del-la disseccazione artificiale deilegnami destinati a costruire lanave. Infine la conservazionein acqua si faceva mettendo ilegnami da costruzione permolto tempo nelle cosiddetteVasche d’espurgo, piene d’ac-qua sempre in movimento,dolce – secondo alcuni – o sala-ta, o mista di mare e dolce o,infine, minerale. Quest’ultimosistema era stato seguito dallaMarina delle Due Sicilie che, nel cantiere di Ca-stellammare di Stabia, aveva sempre adoperato va-sche d’espurgo piene di una miscela d’acqua mi-nerale e acqua di mare. Il risultato era stato otti-mo e dunque il metodo era raccomandabile. Collegname trattato a quel modo erano state costrui-te le fregate Cerere e Minerva, progettate da Imbert,varate nel 1794. La Cerere era durata meno perchésfasciata sulla spiaggia dei Granili da una libeccia-ta nel 1820. La Minerva invece era stata demolitanel 1828 insieme alla Sirena, sua coetanea. Ma ilprimato lo deteneva la Carolina. Costruita dall’in-gegner Bianchi nel 1810, regnando Gioacchino

Murat, varata nel 1811, ribattezzata Amelia nel1815, era rimasta in linea fino al 1860 passandonella Regia Marina col nome di Caracciolo. Alata aterra e ricostruita, aveva rivelato un’ossatura tantosalda da rompere le trivelle dei mastri foratori in-caricati di sostituire il fasciame esterno e, finiti ilavori, era stata trovata in condizioni tanto buoneche nei successivi cinque anni aveva fatto per duevolte il viaggio fino all’America Latina, venendoradiata nel 1865. Un caso eccezionale, certo, maun esempio di cosa si era saputo fare col legnoquando ancora non esistevano resine, vernici chi-miche e siliconi. �

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Per portare a termine la costruzione della nelsoniana Victory (nella foto in una inconsue-ta foto colorata del 1900, occorsero 6.000 alberi, il 90% dei quali querce, il rimanenteabeti, pini e olmi