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Ai nostri clienti, perché senza di loro non sarei mai diventata una #GirlBoss

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9 La cronologia di una #GirlBoss

17 1. Dunque vuoi essere una #Girl Boss?27 2. Come sono diventata una #Girl Boss59 3. I lavori di merda mi hanno salvato la vita81 4. Rubare nei negozi (e l’autostop) mi hanno salvato

la vita103 5. Il denaro fa più bella figura in banca che ai tuoi

piedi119 6. Abracadabra: il potere del pensiero magico133 7. Io sono l’antimoda151 8. Dell’assumere, del conservare l’impiego,

del licenziare177 9. Aver cura del (tuo) business197 10. La creatività è tutto227 11. Le probabilità

235 Ringraziamenti

Indice

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L’unica cosa che mi fumo è la mia concorrenza.

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La cronologia di una #GirlBoss

Sono cattivo, e mi sta bene. Non sarò mai buono, e questo non è un male.

Non c’è nessuno che vorrei essere, a parte me. – Ralph Spaccatutto

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1984: Sono nata a San Diego di Venerdì Santo, che era pure Smoking Holiday, giornata della marijuana. Prima che possia­te pensare che si tratti di una specie di presagio, lasciate che vi rassicuri che la sola cosa che mi fumo è la mia concorrenza.

1989: Spalmo cacca sul muro dell’asilo; forse la mia prima, vera espressione artistica.

1993: La mia insegnante di quarta elementare pensa che in me ci siano delle cose che non vanno. La lista comprende la sindrome da deficit di attenzione e la sindrome di Tourette.

1994: Mio padre mi porta da Walmart, dove chiedo a un com­messo se hanno dei «Ren e Stimpy che petano.» Il che dimo­stra che possiedo sia un ampio vocabolario sia un senso del­l’umo ri smo lievemente perverso.

1997: Mi innamoro del mio primo capo di vestiario vin tage: un paio di leggings da discoteca arancio caco. Mi c’infilo di nascosto nei bagni della pista di pattinaggio.

1999: Mi procuro il primo lavoro da Subway. Vado in SOC (sin­drome ossessivo­compulsiva) per il BLT, il celebre panino con pomodoro, bacon e lattuga.

2000: Odio il liceo, e vengo spedita da uno psichiatra la cui dia­gnosi è: depressione e sindrome da deficit di attenzione. Provo

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le pillole bianche. Provo le pillole azzurre. Penso che se questo è quello che mi tocca prendere per farmi piacere il liceo, al diavo­lo. Getto via pillole e tutto, e decido di studiare a casa.

2001: I miei genitori divorziano. Cosa che mi sta bene, e col­go l’occasione per andarmene ad abitare per conto mio. Scel­go un appartamento nel centro di Sacramento insieme a un gruppo di amici musicisti. La mia camera è uno stanzino nel sottoscala, e l’affitto è di sessanta dollari al mese.

2002: Vado su e giù per la West Coast in autostop, finalmente approdo nel Pacific Northwest. La mia attività consiste nel fru­gare i cassonetti (mai criticare le ciambelle gratis prima di aver­ne assaggiata una) e mettere a segno piccoli furtarelli.

2002: Vendo il mio primo articolo su internet. Un libro rubato.

2003: Vengo fermata per taccheggio e smetto di botto.

2005: Mollo il mio ragazzo a Portland e mi trasferisco a San Fran­cisco, dove vengo licenziata da un negozio di calzature di lusso.

2006: Mi becco l’ernia, il che significa che per avere l’assicu­razione sanitaria devo trovarmi un lavoro. Lo trovo: verifica dei tesserini all’entrata della facoltà d’arte. Devo ammazzare un sacco di tempo, così cazzeggio per il web e apro un negozio eBay chiamato Nasty Gal Vin tage.

2014: Sono amministratore delegato di un’azienda con un fat­turato di oltre cento milioni di dollari e un ufficio di quasi cin­quemila metri quadri a Los Angeles, un centro di distribuzione e assistenza nel Kentucky e trecentocinquanta impiegati.

(Inserire qui il suono di una puntina che si blocca su un vinile scricchiolando)

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Qui ovviamente tralascio alcuni dettagli, ma se ti raccontassi tutto nell’introduzione non ci sarebbe alcun bisogno di leggere il resto del libro, e io voglio che il resto di questo libro tu lo legga. Tuttavia, è vero: nel giro di circa otto anni sono passata dall’essere una freegan* assolutamente squattrinata, anarchica e in lotta con il sistema, a una donna d’affari milionaria che si sente a proprio agio tanto in una sala riunioni quanto in un ca­merino. Non ho mai ambito a essere un modello di comporta­mento, ma ci sono alcune parti della mia storia, e lezioni che da queste ho appreso, che desidero condividere.

Così come durante i sette anni trascorsi la gente si è iden­tificata con i look che ho proposto attraverso Nasty Gal, voglio che tu sia in grado di usare #Girl Boss per identificarti con una vita fantastica in cui puoi fare tutto quello che ti pare. Questo libro t’insegnerà a imparare dai tuoi stessi errori e da quelli de­gli altri (inclusi i miei). T’insegnerà quando mollare e quando volerne ancora. T’insegnerà a fare domande e a non prendere nulla come oro colato, a capire quando seguire le regole e quando riscriverle. T’insegnerà a riconoscere le tue debolezze e a sfruttare i tuoi punti di forza. Ti dimostrerà che c’è una certa ironia nella vita. Per esempio, ho avviato un commercio online in modo da poter lavorare da casa... per conto mio. Adesso in una sola giornata parlo con più persone di quanto non facessi prima in un mese intero. Sia chiaro che non mi sto lamentando.

Questo libro non t’insegnerà ad arricchirti in fretta, a farti strada nell’industria della moda o ad avviare un business. Non è né un manifesto femminista né una biografia. Non vo­glio sprecare tempo a dilungarmi su ciò che ho già fatto per­ché resta ancora molto da fare. Questo libro non t’insegnerà come vestirti la mattina. Quel libro semmai arriverà in segui­

* Da freeganism: movimento che si oppone agli sprechi del consumismo recuperando dalla spazzatura di supermercati e ristoranti alimenti scartati ma ancora commestibili. [N.d.T.]

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to... ma solo dopo che avrai detto a tutti i tuoi amici di com­prare questo.

Mentre leggi, ho tre consigli da darti che vorrei tenessi a mente: non crescere mai; non diventare noiosa; non lasciare mai che il Grande Capo prenda il sopravvento. Okay? Bene. Cominciamo.

#Girl Boss per la vita.

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Una #Girl Boss sa quando tirar pugni e quando incassare.

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Dunque vuoi essere una #Girl Boss?

La vita è breve. Bando alla pigrizia.– Io

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Dunque vuoi essere una #Girl Boss? Per cominciare, ti di­co due cose. Primo: grandioso! Hai appena fatto il primo passo verso una vita fantastica per il solo fatto di volerne una. Secondo: questo sarà l’unico passo facile. Vedi, il punto è che essere una #Girl Boss non è facile per niente. Per arrivar­ci devi lavorare sodo, e una volta arrivata, devi lavorare an­cora più sodo per restarci. Ma in fondo, chi ha paura di lavo­rare sodo? Io no di certo, e sono sicura nemmeno tu. O se mai ce l’avessi, sono certa che questo libro ti cambierà le idee al punto che giunta alla fine dell’ultimo capitolo starai davvero gridando: «Datemi del lavoro! Voglio del lavoro e lo voglio adesso!»

Una #Girl Boss è qualcuno che si assume la responsabilità della propria vita. Ottiene ciò che vuole perché lavora per que­sto. In quanto #Girl Boss, assumi il controllo e ne accetti la re­sponsabilità. Sei una lottatrice, sai quando tirar pugni e quan­do incassare. A volte infrangi le regole, a volte le rispetti, ma alle tue condizioni. Sai dove stai andando, ma non puoi farlo senza divertirti un po’ strada facendo. Dai più importanza all’o­nestà che alla perfezione. Poni domande. Prendi la tua vita sul serio, ma non prendi te stessa troppo sul serio. Stai per con­quistare il mondo, e nel farlo lo cambi. Sei una cazzuta.

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Perché dovresti ascoltarmi?

Le donne sono per natura anarchiche e rivoluzionarie.

– Kim Gordon

Se ci fossero delle regole per essere una #Girl Boss – e non ce ne sono – una sarebbe quella di mettere tutto in discussione, compresa la sottoscritta. Così partiamo sicuramente con il piede giusto.

Sono fondatrice, CEO e direttrice creativa di Nasty Gal. Ho messo su questo business da sola, in soli sette anni e prima ancora di compierne trenta. Non provenivo da una situazione economicamente agiata né da scuole di prestigio, e non ave­vo adulti che mi dicessero cosa fare lungo il percorso. Ho tro­vato la strada da sola. Nasty Gal ha avuto grande attenzione da parte della stampa, che però l’ha spesso presentata come una sorta di fiaba. La storia dalle­stalle­alle­stelle di un’inge­nua dal senso pratico? Okay. Il Principe Azzurro? Se parliamo del mio investitore, Danny Rimer di Index Ventures, okay. Un mucchio di scarpe? Okay. Ma non importa – la stampa va sem­pre bene – sto solo attenta a non consolidare l’impressione che sia successo tutto da un giorno all’altro, e che sia successo proprio a me. Non mi fraintendere: sono io la prima ad am­mettere di essere stata fortunata in molte cose, ma ci tengo a precisare che nulla è accaduto per caso. Ci sono voluti anni di dita sporche a furia di scavare fra indumenti vin tage, qualche dolorosa bruciatura con i panni bollenti e parecchi Kleenex luridi ficcati dentro tasche di cappotti, prima di arrivare qui.

Non molto tempo fa, qualcuno mi ha detto che ho il do­vere di portare Nasty Gal il più lontano possibile, perché rap­presento un modello per le ragazze che desiderano fare della loro vita qualcosa di fantastico. Non so ancora bene cosa pen­sare al riguardo, visto che per la maggior parte della vita non

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ho mai creduto nemmeno al concetto di “modello”. Non vo­glio essere messa su un piedistallo. E comunque, il mio deficit di attenzione è troppo grave per poter stare così in alto: pre­ferisco fare casini, e creare storia mentre li faccio. Non voglio che tu guardi su, aspirante #Girl Boss, perché tutto quel guar­dare su può tenerti giù. L’energia che spenderesti concen­trandoti sulla vita di qualcun altro è spesa molto meglio lavo­rando per conto tuo. Perciò, sii l’idolo di te stessa.

Ti racconto la mia storia per ricordarti che rigare dritto non è la sola via per il successo. Come vedrai nel resto del libro, crescendo non ho collezionato molti elogi. Non ho terminato la scuola, sono stata una vagabonda, una ladra, una studentessa di merda e una dipendente svogliata. Da piccola mi sono sem­pre cacciata nei guai. Dal pugno tirato allo stomaco della mia migliore amica quando lei ha fatto cadere la mia Play­Doh (ave­vo quattro anni) all’accusa di aver incendiato una bomboletta di lacca per capelli durante una riunione di famiglia (colpevole), quello che davo normalmente era il cattivo esempio. Da adole­scente ero pura angoscia ambulante, e da adulta sono sostan­zialmente una giovane Larry David per metà greca sui tacchi, incapace di nascondere il disagio, l’insoddisfazione o il dubbio, inevitabilmente me stessa e a volte onesta da far schifo.

Ho tentato l’ovvia strada dei lavori a ore e del centro di formazione professionale, e per me non ha mai funzionato. Mi è stato detto per molto tempo che la strada per il successo era lastricata di caselle che ti toccava spuntare, a cominciare dall’ottenere un diploma seguito da un lavoro, e mentre con­tinuavo a provarci e a fallire, a volte avevo l’impressione che il mio futuro fosse una vita da sfigata. Nonostante ciò, ho sem­pre sospettato di essere destinata a fare qualcosa di grande, e di esserne capace. Poi è saltato fuori che quel qualcosa era Nasty Gal, ma lo vuoi proprio sapere? Io Nasty Gal non l’ho trovata: io Nasty Gal l’ho creata.

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Abbandona tutto ciò che della tua vita e delle tue abitu­dini ti può bloccare. Impara a creare da sola le tue occasioni. Sappi che non c’è un traguardo; la fortuna premia l’azione. Parti a tutto gas verso la vita straordinaria che hai sempre so­gnato, o che ancora non hai avuto il tempo di sognare. E pre­parati a divertirti come una matta strada facendo.

Questo libro s’intitola #Girl Boss.Non sarà mica un manifesto femminista? Oh Dio. Credo che ne dobbiamo parlare.#Girl Boss è un libro femminista, e Nasty Gal è un’azienda

femminista nel senso che t’incoraggio, come ragazza, a esse­re ciò che vuoi e a fare ciò che ti piace. Ma non sono qui per definire tutte noi delle womyn* anziché delle women e per incolpare gli uomini di ognuna delle fatiche sostenute lungo il percorso.

Non ho mai pensato una sola volta in vita mia che essere una ragazza rappresentasse un ostacolo da superare. Mia ma­dre è cresciuta cucinando e pulendo, mentre i suoi fratelli avevano il permesso di godersi la fanciullezza. Per mia madre, essere una femmina era un assoluto svantaggio. Forse perché i miei genitori lavoravano entrambi a tempo pieno, o magari perché non ho avuto fratelli, io questo tipo di parzialità non l’ho mai avvertita.

So che generazioni di donne hanno lottato per diritti che per me sono acquisiti, e che in altre parti del mondo un libro come questo non vedrebbe mai la luce. Credo che il modo migliore per onorare il passato e il futuro dei diritti delle don­ne sia ottenere dei risultati. Invece di star lì seduta a parlare di quanto per me ciò sia importante, preferisco darmi una mos­sa e dimostrarlo.

* Termine usato da alcune femministe convinte che avere la parola “uomo” (man) inclusa in “donna” (woman) renda le donne un sottoinsieme del ge­nere maschile. [N.d.T.]

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Con il mio tocco, una giacca a vento di grossa taglia diventava Comme des Garçons, e dei pantaloni da sci si trasformavano in dei Balenciaga.

La mia prima reazione nella vita è quasi sempre stata «no». Per riuscire ad apprezzare pienamente le cose, io devo prima rifiutarle. Datemi pure della caparbia, ma è il solo modo per far mio qualcosa: invitarlo nel mio mondo invece di veder­melo piovere in grembo. A diciassette anni prediligevo le gambe pelose ai tacchi alti, con un regime d’igiene che pote­va essere al meglio definito come “punk con la crosta”. Indos­savo indumenti da uomo acquistati da Walmart. Le rare volte che un ragazzo faceva per aprirmi una porta, io rifiutavo pren­dendolo come un insulto, tipo “posso aprimi la porta da sola, grazie tante!”. Cosa che, siamo onesti, più che femminista, significava essere semplicemente maleducata.

Adesso so bene che lasciare che qualcuno mi tenga aper­ta una porta non riduce certo il mio senso di indipendenza. E quando mi trucco, non lo faccio per assecondare antiquati e patriarcali ideali di bellezza femminile. Lo faccio perché mi fa sentire bene. È questo lo spirito di Nasty Gal: vogliamo che vi vestiate per voi stesse, ben sapendo che non c’è nulla di su­perficiale nel prendervi cura del vostro look. Vi sto dicendo che non dovete scegliere fra essere intelligenti o essere sexy. Avete entrambe le cose. Siete entrambe le cose.

Nel 2014 il femminismo vive una nuova era in cui non c’è nemmeno più bisogno di parlarne? Non saprei, ma voglio far finta che sia così. Non voglio mentire: non c’è nulla di lodevo­le nell’essere una donna priva di laurea. Ma sono consape­vole che questo è anche il mio vantaggio: posso partecipare a una riunione e stracciare qualcuno ricorrendo semplice­mente alla mia “istruzione da strada”. Io, insieme a innume­revoli altre #Girl Boss di cui si traccia il profilo nel libro, oltre alle ragazze che questo libro lo stanno leggendo e a quelle che #Girl Boss devono ancora diventarlo, ce la faremo senza piagnistei, bensì lottando. Non ti basterà chiedere a qualcu­no di prenderti sul serio per essere effettivamente presa sul

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serio. Devi farti avanti e conquistartelo. Chi se ne importa se questo è un mondo per uomini? Sono comunque molto feli­ce di viverci da ragazza.

La teoria della stringa rossa

Sono diventata adulta credendo che il capitalismo fosse una truffa, ma ho scoperto che invece è una sorta di alchimia. Me­scoli duro lavoro, creatività e autodeterminazione, ed ecco che qualcosa comincia a bollire in pentola. Una volta che quest’al­chimia cominci a capirla, o addirittura a riconoscerla, puoi ini­ziare a vedere il mondo con occhi diversi.

E comunque io credo di aver sempre visto il mondo con occhi diversi. Mia madre racconta che a cinque anni avevo una stringa rossa e correvo per il parco giochi trascinandome­la dietro. Tutti gli altri bambini mi chiedevano cosa fosse, e io rispondevo che era un aquilone. Di lì a poco, ognuno di loro aveva una stringa rossa e correvamo tutti insieme trascinando i nostri aquiloni lassù in cielo.

Se io e questo libro abbiamo qualcosa da dimostrare, è che se credi in te stessa, crederanno in te anche gli altri.

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«Con il mio tocco, una giacca a vento di grossa taglia diventava Comme des Garçons e dei pantaloni da sci dei Balenciaga.»

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